RIVISTA ITALIANA DI NVMISMATICA E SCIENZE AFFINI FONDATA NEL 1888 DA SOLONE AMBROSOU EDITA DALLA SOCIETÀ NVMISMATICA ITALIANA ANNO • XXXIII • SECONDA SERIE VOL • III • I e II TRIMESTRE 1920 MILANO REDAZIONE ED AMMINISTRAZIONI MAURI, 8 OCIKT^TNYMISMATICA ITALIANA Via Achille Mauri, 8 — MILANO S. M. IL RE, Presidente Onorano, v PAPADOPOLI conte sen. NICOLÒ, Vice-Presidente Onorario O STRADA MARCO, Presidente effettivo. MONNERET prof. UGO, Vice-Presidente effettivo. CORNAGGIA conte GIAN LUIGI, Segretario. JOHNSON STEFANO CARLO, Tesoriere. SOLA-CABIATI conte GIAN LODOVICO, Bihlioietmh. BONAZZrdott. POMPEO, Consigliere GAVAZZI dott. CARLO " GRILLO GUGLIELMO " LAFFRANCHI LODOVICO " l! o K(a La sede della Società è aperta il Sabato dalle ore 21 alle 22 '/. Rivista Italiana di Numismatica Redazione ed Amministrazione: Via A. Mauri, 8 - Milano COMITATO DI REDAZIONE: BqNAZZI dott. P. - CORNAGGIA conte G. L. - MoNNERET prof. U. Jlìybonamerìio annuo nel Regno L. 30 - all' Estero L. 35. A. SE GRE CIRCOLAZIONE TOLEMAICA E PRETOLEMAICA IN EGITTO Industrie Grafiche AMEDEO NICOl.A & C MlLANO-VAREbE Rivista Italiana di Numismatica e scienze aj^ini Anno XXXIII. Seconda Serie - Voi. Ili - I e II trim. 1920 CIRCOLAZIONE TOLEMAICA E PRETOLEMAICA IN EGITTO LA MONETA PRESSO I POPOLI PRIMITIVI IN GENERALE. I mezzi di scambio dei popoli primitivi quantunque com- pletamente subordinati alle loro occupazioni ed ai loro bi- sogni più o meno immediati, hanno in generale il carattere comune di merci fungibili, utili e così largamente diffuse da non presentare forti oscillazioni nella loro domanda ed offerta. Inoltre poiché per lo più i popoli più antichi sono in preva- lenza pastori e nomadi, poi si fissano e divengono agricoltori e solo in uno stadio di civiltà più avanzata rivolgono le loro attività ai commerci e alle industrie a ciascuna di queste oc- cupazioni corrispondono più o meno mezzi di scambio diversi. Il bestiame è la moneta dei pastori, i prodotti dei campi (in specie cereali) quella degli agricoltori; i metalli vili, greggi o lavorati sotto forma di oggetti utili o i metalli nobili fog- giati ad ornamento (^\ ed infine la moneta vera e propria fungono invece da intermediari degli scambi presso i popoli che hanno raggiunto uno stadio economico assai più avanzato. Questo schema che come s'intende è completamente ar- tificiale e come tale grossolanamente approssimativo deve (I) Negli ijoniiiii primitivi, forse più che in quelli civili, la passione per rahbigli.imento e la soddisfazione delle vanità legate in gran parte a questioni sessuali sono spesso non meno vive dei bisogni elementari. essere accettato per quel che vale, perchè come nelle scienze fisiche la sorgente di ogni progresso è l'osservazione diretta dei fatti e l'esperimento, così ed a maggior ragione nelle costruzioni storiche le teorie anche che abbiano un'apparenza logica, devono essere completamente subordinate alle poche conoscenze positive che ci restano delle età passate. Per dare un'idea dell'antica circolazione degli Egiziani dovrò passare rapidamente in rivista i mezzi di scambio usati dai popoli del Mediterraneo prima dell'introduzione delle monete coniate e ciò soltanto per mostrare come sotto questo aspetto l'Egitto non si diversifichi affatto dalle grandi mo- narchie dell'Oriente colle quali era in stretti rapporti d' in- teressi. Su questo argomento poco o nulla ho potuto ag- giungere di nuovo a quello che è stato scritto in questi ul- timi anni (i). E noto che nei poemi omerici, che si riferiscono ad un'epoca anteriore all'invenzione della moneta, il commercio si effettua in generale collo scambio di oggetti tipici che nelle parti più antiche dell'epopea sono rappresentati invece per lo più da capi di bestiame, buoi e vacche, quantunque sia da ritenere che l'uso della moneta-bestiame, comune ai popoli prevalentemente pastori (2), si mantenga come residuo anche in epoche relativamente recenti (3). Nei poemi omerici insieme al bestiame-moneta sono usati i metalli, ferro, rame e bronzo, per lo più foggiati sotto forma di utensili-monete, tripodi e lebeti (4) ed asce (5) la cui (i) Per una ricapitolazione dei dati relativi alla moneta primitiva vedi K. Reclino sotto Geld {Pauly Wissowa Real EncycL). (2) I latini con le parole pecunia da pecus: i Germani con l'inglese fee (tedesco Vieh), gli indiani rupia dal sanscrito riipa (gregge), ecc. (3) Leggi di Dracone (fine del VII secolo avanti Cristo). Polluce, IX, 61. (4) Tc,'liio8«(; e Xé^Y)xs<; compaiono ancora nei più antichi frammenti di leggi cretesi a Cnosso e Gortyna. (5) Hesych., Script. Metrol.y I, 318, 'HjxiuéXsxxov xpi}i.valùv r^ Kevtà]j.vouv xò 'fàp TCevtàp.voDv néXsxo xaXelxat napà Ilacp'loic ed Hesych., Script. Mctrol., \, 318. Il TtéXexD di Cipro probabilmente non era che uno di quegli uten- sili-moneta comuni in Grecia nell'ultimo periodo della civiltà micenea. Sul TcéXexu cipriota vedi anche Hill, BMC Cyprus, pag xxxiii. grandezza in generale non essendo uniforme, né regolata a quanto pare secondo principi razionali, deve essere indicata nei singoli casi (i): un sensibile progresso è rappresentato invece dal xé>.exu Cipriota al quale Esichio attribuisce una grandezza determinata (2) e più ancora dall'aystupa di Cipro e dagli òpzki 8Yjp.ooito. Forse non sarà troppo azzar- dato spingere le analogie fra i pesi moneta egiziani antichi e quelli bi- zantini sino a supporre l'esistenza di kite che si comportavano rispetto a quelle reali come solidi Ct>i'<ì> IS'.toxixcI) e C. 'A).84ov5p5Ìa- rispello al vò)jiiO}i.a C fiirjfiooia). {3) Le kite che conosciamo appartengono in generale alla XVIII di- nastia e sono ad essa posteriori. È probabile che se pure esistessero varie kiie quella tebana finisse col diventare la misura ufficiale, in ogni modo, secondo me la kite pesava in generale gr. 9,70 circa sino dalle prime dinastie. 14 mi sembra dimostrino abbastanza bene l'insussistenza dei due tipi di kite pesanti e leggere : N. Materiale Numero delie kite Pese unitario 4700 Calcare 150 (I) g'-- 9,88 7000 Granito grigio 150 w 8,92 7001 Calcare [100] ^ 10,108 7002 Bronzo [50] » 10,27 7003 Calcare 40 „ 9,72 7004 Basalto 40 i> 9,345 A 7005 Quarzo nero [25] 1» 9,51 4914 Alabastro 20 „ 9,56 7006 Basalto 10 »» 9,10 7007 Ematite 10 „ 9.04 7008 Bronzo [10] w 9,43 7009 Bronzo [lOJ ,, 9,76 7010 Sienite 9 l> 9,51 7011 Bronzo [•^1 » 9.15 7012 Bronzo [■>] » 9,98 7013 Rame [5] » 9,85 7014 Calcare 4 M 9,27 7015 Piombo 3 „ 9,072 7016 Ematite [-*] W 9,57 7017 Bronzo I-M »» 10,18 7018 Bronzo e piombo \A „ 9.95 7019 Ardesia 1? » '.mi 7020 Basalto 1? „ 10,18 7021 Bronzo Il] M 9,59 7022 Serpentino % •1 9.17 7023 Steatite % „ 9,09 7024 Cristallo di quarzo % n 9,99 7025 Bronzo % n 9.45 7026 Ematite V. n 9.15 7027 Ematite V.. n 9,91 7028 Serpentino ^. n 9,38 L'unità d'oro egiziana corrisponde ad un peso di gr. 13.90, 13.30 circa che è assai vicino a quello di molti sicli sacri delle città fenicie come appare dalla seguente tabella (cfr. Weigall, op. cit., pag. 392) : (i) I dati contrassegnati nella seconda colonna con parentesi quadra sono dedotti supponendo i pesi multipli della ki/e, gli altri dati invece risultano direttamente da iscrizioni dei catDpioni. A questa lista di dati si possono aggiungere alcuni inediti del museo di Torino pubblicati nel mio articolo: MetroL totem, e pretotemaica. Aegyptiis, 1920, fase. II. Non ritengo sicura la denominazione dei nn. 7001, 7002, 7017, 7018 e 7020. 1 J5 N. Materiale Numero delle unita 1 Peso unitario 4902 Calcare 60 13,01 7029 M 50 13,55 7942 » 40 13,84 7030 w 30 13,98 7031 Steatite 30 13,89 7032 Calcare 30 13,92 B 7033 Alabastro 19 13,02 C 7034 » 18 1 3,69 7035 Calcare 8 12,21 7036 Basalto 6 13,77 D 7037 Serpentino 5 13,00 7038 Calcare 4 13,68 7039 Basalto 2 13,49 7040 Steatite o 13,58 7041 Calcare >) 13,88 7042 Steatite 1% 13,95 7043 Arenaria 2 14,16 7044 Steatite 1 12,61 7045 Alabastro 1 13,02 7046 Malachite 1 13,32 7047 Ematite 1 13,92 7048 Steatite % 12,53 7049 Calcare V* 12,29 7050 Rame 'U 12,99 Il peso medio di questi pezzi dà una media di gr. 13,33 e poiché gli scarti dal valore medio nei pesi dei singoli cam- pioni sono dello stesso ordine di grandezza di quelli riscon- trati nelle kùe, si può supporre un peso delTunità d*oro di gr. 13,90 circa che non è facilmente commensurabile con quello delle unità fondamentali d'argento. Ne segue che al contrario di quanto accade in generale per la moneta per- siana e greca, non si può escludere che il piede dell'oro egiziano fosse di origine diversa di quello dell'argento e che non si può per ora stabilire se il rapporto fra il valore dei due metalli ha avuto un'influenza sul peso dell'unità aurea (i). (i) Se si ammettesse l'eguaglianza dell'unità d'oro a 2n kite d'ar- gento, rapporto simile a quello che si riscontra nel darico pcrsinno eguale a 20 sicli, si avrebbero i seguenti dati : Peso dell'unità d'oro Kit. 19,40 16.16 15,{,2 14,56 13,86 12,!)2 9,70 12 12 % 14 1:. i6 Insieme alle kite e alle unità d'oro sono stati trovati in Egitto pesi classificati come shekel fenici, il cui peso medio nei pezzi descritti da Weigall (op. cit., pag. 388-389 e 394) (i), è di gr. 14,56. Questi shekel possono considerarsi presso a poco come eguali a Vjooo ^i talento egiziano Kerker di gr. 29,11 mentre i pesi piìi alti parrebbero indicare piut- tosto uno shekel vicino ai 15,12 gr. e i piìi bassi invece, una unità egiziana eguale ad i V2 kite. 1 due multipli del doppio siclo n. 7072 e 7074 corrispondono probabilmente ad Viooo di talento egiziano e vanno riconnessi alla monetazione delle città fenicie (2). Le classificazioni degli shekel assiri di un peso medio di gr. 8,16 corrispondente a quello di due darici d'oro (gr. 8,37) sono in gran parte incerte perchè, ad eccezione dei nn. 7051, E 7053 e 7055, i campioni sono tutti anepigrafi; è però molto probabile che il n. 7051 indichi 30 unità di ferro ciascuna eguale a Vg ^^^^^^ babilonese di 502 gr. circa, che il n. E 7053 sia Vgo di mana e che il n. 7055 corrisponda ad Va» di mina o doppio (I) Shekel fenicio N. Materiale Numero delle unità Peso unitario 7072 Calcare 20 29,24 (doppio siclo) H7073 Bronzo 50 3,49 (V4 di siclo) 7074 Calcare 6 29,24 (doppio siclo) 7075 Basalto 6 14,92 7076 » 2 14,64 7077 Bronzo 2 13,608 7078 Ardesia 1 14,98 7079 Bronzo 1 14,97 7080 Calcare 1 14,60 7081 Sienite % 15.21 7082 Rame e Piombo 1 14.06 7088 Bronzo 1 14,32 7084 »> % 14,00 7085 w % 15,03 7086 » .'4 14,77 (2) Cfr. i dati dei talenti di Hagia Triada a pag. 8 e quel.i relativi alla monetazione delle città fenicie a pag. 51 e segg. darico (i). A queste unità si riconnettono probabilmente i sicli persiani corrispondenti a Vs di sialo assiro (Weigall, op. cit. pag. 389 e pag. 394) (2). Le unità di piede attico (Weigall, op. cit., pag. 387 e pag. 393) (3) possono essere riportate a frazioni di un'unità (i) I pesi dei sicli assiri riportati da Weigall (op. cit., pagg. 386-87 e pag. 393), sono i seguenti : N. Materiale Unità Peso Unitar. Annotazioni 7051 Sienite 10 8,19 — Unità di gr. 24,57 : il n. 7051 reca l'iscri- zione " 10 di ferro „. 7052 Calcare 30 8,36 E 7053 Basalto 10 8,44 — Unità di gr. 25,32: il n. 7053 reca l' iscri- zione « =30 „. 7054 Vetro Bleu l'I* 8,06 7055 Serpentino 8,14 — Unità di gr. 16,28: il n. 7055 reca 1' iscri- zione " 2* „. 7056 Bronzo 2 8,29 7057 » 1 8,10 7058 w V2 8,10 7059 Vetro Bianco V, 8,16 7060 Vetro Bleu V2 7,91 7061 Bronzo Va 7,78 7062 Quarzo Bianco Vs 8,41 (2) Il peso medio dei sicli persiani è di gr, 5,604. N Materiale Unità Peso Unit. Annotazioni 7087 Calcare 5 5,47 L'unità è di gr. 21,88 7088 4 5,65 7089 4 5,70 7090 Rame 4 5,65 7091 Bronzo 2 5,572 (3) 7063 F 7064 7065 7066 7067 7068 7069 7070 G 7071 Bronzo e piombo Ematite Bronzo e piombo Bronzo Sienite bruciata Ematite Bronzo 50 40 40 20 20 5 10 4 o 4,39 4,51 4,11 4,3") 4,37 4,33 4,32 4,34 4.3! L'unità e di gr. 17,66 i8 eguale ad i Va volte il talento egiziano (29,11 X i '/s = kg. 43,66) cioè al Kerker giudaico di 100 mine attiche (vedi pag. 55 e segg.); in ogni modo credo opportuno di rav- vicmare al Kerker egiziano e ai pesi fenici quelle unità elen- cate sotto il nome di piede della dramma attica. Anche assai incerto mi sembra il ravvicinamento di pesi di circa 6 gr. alle dramme eginetiche (Weigall, op. cit., pag. 390 e pag. 395) d). APPORTO FRA IL VALORE DELL'ORO E QUELLO DELL'ARGENTO IN EGITTO PRIMA DELLA CONQUISTA iMACEDONE. Ben poco sappiamo su questo argomento. 11 papiro di Bulaq II dove 5 pezzi d'argento equivalgono a 6 pezzi d'oro si riferisce evidentemente ad unità che dobbiamo presumere diverse fra loro, perchè i rapporti fra i due metalli usati in Egitto come misure dei valori non potevano differire molto da quelli che si riscontrano presso gli assiro-babilonesi e presso i greci; si potrebbe a mo' d'esempio supporre che l'argento fosse misurato in deben o kite e l'oro in un'unità che corrisponderebbe rispettivamente a qualcosa come ^"/^ od 7* di unità d'oro, in modo che il rapporto fra i due metalli si mantenesse vicino ad i : 14. Per questa ragione anche il P. Rhind, pi. XIX, n. 62 (2) di assai incerta interpretazione non può secondo me indicare un rapporto fra l'oro, l'argento, il piombo e il pezzo di shaii di 12:6:3:1; che se questo testo indicasse un vero (I) N. Materiele Unità Peso Unit. Annotazioni 7092 7093 7094 7095 Basalto Bronzo Ematite Bronzo 12 2 1 1 6,38 5,961 5,98 5,72 L'unità e di gr. 12,76 (2) Griffith, op. cit., pag. 436. 19 rapporto tra i valori dei metalli usati come mezzi di scambio si dovrebbe necessariamente supporre l'uso di unità ponde- rali diverse. In conclusione è presumibile che il rapporto fra l'argento e l'oro si aggirasse almeno dopo la XVIII dinastia approssimativamente fra i : io ed i : 15 e che sotto il do- minio persiano corrispondesse abbastanza bene a quello vi- gente in Grecia, in Sicilia e in Persia presso a poco nella medesima epoca U) e che di conseguenza in Egitto come nei dominii del gran re esistessero due piedi unitari, uno per l'oro, l'altro per l'argento, calcolati in modo che, dato il rap- porto fra i valori dei due metalli, si avesse un facile rag- guaglio fra le due unità monetarie (vedi pag. 32 e segg). VALORE DEL DANARO IN EGITTO PRIMA DELLA CONQUISTA MACEDONE. Le nostre conoscenze relative al potere acquisitivo della moneta egiziana sono assai scarse sia per 1' esiguo numero dei dati sia per le difficoltà che presenta V interpretazione dei testi. In un papiro di Kahun del regno di Amenhotep 111, dove le merci sono calcolate a " pezzi „, un bue corrisponde ad un pezzo d'argento che col Griffith ritengo eguale ad un uten (2). (1) Come è noto Erodoto III, 95, i calcola a j : 13 il valore dell'ar- gento in oro in Pei sia ai suoi tempi "tò /puoiov TpioxaiSBxaotóoiov Xo^t- Cóp.tvov, TÒ •j^'^lffia EÒptaxetai èòv Eòpoixv ?j'fhori%ovz'x xal é^a^ooitov xal Tetpaaj^'.Xituv „, ina il vero rapporto Iemale tra 1 ilue metalli eia certa- mente di 1 : 13 Vs perchè il darico che pesava gli ^/g dell'unità d'argento corrispondeva a 20 sicli. Un rapporto analogo troviamo nella stessa epoca (438-7 a. C.) ad Atene nel conto degli epistati incaricati di sor- veglianza alla fabbricazione dello statua crisolefantina d'Athena come si rileva dal CJA, IV, i, 3 (suppl. del tomo I) n. 298 bis, pag. 146 dal quale risulta un valore dell'oro in argento di 13,96-14,04, confermato dal CI8., I, 300-311 (434-433 a- ^'•)- (2) L'///'''" ••fini \/;ilc in lii<J (il-;iH1Plf to! (M 11 :i i l'iir. 20 In un conto della XX dinastia un medimno tolemaico o doppia artaba di grano è valutato 2 itteii, un bue 119 uten, un asino 40 uten. Durante la XXII dinastia un terreno di io arure ad Abido è affittato e venduto ad 1 uten; 370 hin di miele sono pagati 3 ^3 ^^i^^ d'argento, cioè circa una kite per io hin, mentre in un ostrakon più antico 5 uten della stessa sostanza sono valutati 4 uten di rame (i). E probabile che il rapporto fra il valore del rame e quello dell'argento non dovesse differire molto da i : 80— i : 100, quale presso a poco ci risulta dai dati dei testi dell'epoca bizantina e da congetture relative al corso dei metalli nella monetazione romana e siciliana primitiva. Supponendo un rapporto rame argento di circa i :8o— i : toc si viene ad assegnare ad i uten di rame il valore di Vs Vio kite d'argento e ad un'artaba di grano, durante la XX di- nastia il prezzo di circa due oboli d'argento tolemaici. Un bue costa circa 41-32 dramme tolemaiche durante il regno di Amenhotep III, un asino quattro o cinque dramme to- lemaiche, uno schiavo nero 65 dramme (2 deben e 4 kite) nei P. Ryl., Ili, pag. 15 della XXV dinastia. Per queiio che si può indurre di questi dati assai scarsi e poco sicuri il po- tere acquisitivo dell'argento poco prima e durante la con- quista persiana doveva essere qualcosa come 4 volte mag- giore di quello dell'epoca di Tolemeo Filadelfo, cosa del resto prevedibile perchè l'introduzione della moneta coniata aumenta ovunque di molto il medio circolante. La scarsezza di accenni a monete-pesi diversi dal deben e dalla kite nei documenti demotici del periodo persiano e la rarità di nomi- nali stranieri circolanti in Egitto prima della conquista mace- done fanno ritenere che nella valle del Nilo sino ai tempi di Alessandro il Grande si seguitasse ad usare come mezzi di scambio i metalli preziosi, il rame e Io stagno, pesati e che anche sotto il dominio persiano, quando l'uso della moneta era divenuto corrente presso quasi tutti i popoli del medi- terraneo, in Egitto la valuta dei singoli paesi doveva essere (l) Ponendo eguali i due prezzi del miele si ricaverebbe un rap- porto di 1 : 40 circa fra il rame e l'argento, ma è evidente che questo dato ha un valore quasi nullo. 21 accettata a peso e probabilmente ragguagliata in deben e kite dagli indigeni ed in unità ponderali nazionali dagli abi- tanti delle colonie greche e semitiche. Certo è che le monete introdotte in Egitto dai Greci presso a poco nel periodo persiano dal VI al I\' secolo a. C. risultano di pezzi di origine, di tipi e di pesi assai diversi. Così nel ritrovamento di Sokha e di Sog-el-Hager (Sais e Xois) descritto da Dressel (Z. /. A^., 22, 1900, pag. 231 e segg.) sono rappresentati nominali di Taso, Lete, Neapoli, traco- macedoni indeterminati, di Egina, Corinto, Nasso, Taso, Cla- zomene, Focea o Teo (?), Chio (?), Samo (?), Idime, Camiro, laliso, Licia, Sardi, Fenicia, Cirene e Cirenaica e da parec- chi pezzi di origine sconosciuta: in un altro ripostiglio tro- vato nel 1860 presso Memfi insieme ad un notevole numero di barre d'argento martellate, furono rinvenute 23 monete arcaiche, descritte da Longpérier {Rev. Ntim., 1861, pag. 414 e segg.) e attribuite da questo autore, alcune con certezza, a Lete, Egina, Corinto, Nasso, Focea, Chio, Cos, Cipro e Ci- renaica, altre con minore certezza a Maronea, Ege, Corinto, Eretria, Ceo, Calcedone, Samo e Faselis. Un altro ritrova- mento del 1887 nel Delta (W. Greenwell, A'^ Chr., 1890, pag. i e segg.), ha dato 24 monete di Taso, Lete, Mende, Neapoli, Corinto, Cizico, Mileto, Chio, Samo, Cos, Licia, Cipro, Tiro, Cirenaica, e 3 indeterminate ; contemporaneamente arrivarono al medagliere di Parigi dei pezzi di Dicea, Sermile e Atene. Negli scavi di Petrie a Naucrati insieme a barre d'argento tagliate furono rinvenute 15 monete di Siracusa, Atene (3 esemplari), Egina, Chio, Samo (3 esemplari), Mallos, Licia e Cirenaica. Le barre d'argento ritagliate nei ripostigli di monete, le tracce di forbici in alcuni pezzi arcaici e la coesistenza di nominali coniati in uno spazio di circa 250 anni su piedi dif- ferenti (1) dimostrano che la moneta greca in Egitto prima della conquista macedone, era accettata a peso. Si può dire inoltre (i) Nei ripostigli egiziani sono rappresentati in prevalenza gli sta- teri eginetici, i didraninii attici, i nominali niaceduni di circa 10 gr. che hanno spesso un peso eguale a quello della Kite (gr. 9,70) e i pezzi di Chio e delle città dell'Asia Minore di gr. 7,80-7,40. 22 che in questi ritrovamenti* egiziani siano rappresentate le principali città greche che coniavano monete fra il VI ed il IV secolo, eccezione fatta per l'isola di Creta, forse più che per il caso, per l'epoca tarda nella quale comincia la conia- zione dell'argento nell'isola; è invece assai più notevole l'as- senza in Egitto di sicli d'argento medici (i). PIEDE MONETARIO TOLEMAICO. L'assenza di monete coniate in Egitto nel periodo per- siano non meraviglia; quando si pensi che paesi civili ave- vano fatto a meno per secoli di una moneta coniata e che il commercio internazionale dei greci e dei romani era fatto per lo più per mezzo di metalli preziosi in barre o in pani pesati e spesso anche saggiati, quindi la mancanza della mo- neta coniata in Egitto non poteva costituire che un piccolo inciampo nelle sue relazioni commerciali cogli altri popoli. E opinione comune di tutti gli studiosi che la conquista macedone introducesse in Egitto una moneta di piede e. d. attico di gr. 4,30 circa (2), e che la differenza di peso fra la dramma primitiva tolemaica e quella attica di gr. 4,366 fosse cosa di poco rilievo, tanto più che i nominali dei primi To- lemei per la loro affinità coi pezzi attici dovevano finire col circolare alla pari con essi (3). Il peso di gr. 4,2854 per la dramma tolemaica risulta : i.° dall'esame dei nominali più elevati in migliore stato di (i) La storia di Aryandes (Herod., IV, 166) che preposto da Cambise alla satrapia dell'Egitto offese mortalmente Dario di Hystaspes coniando monete d'argento che rivaleggiavano in purezza coi darici d'oro, quan- tunque non abbia sinora una conferma nei ritrovamenti di monete egiziane rende verosimile l'ipotesi di una circolazione sia pure ristretta di sicli nell'epoca saitica. Però i sicli circolanti in Egitto dal VI al IV secolo a. C. non sono in ogni modo medici, ma fenicio-giudaici, come accennerò dove tratto dei rapporti della moneta fenicia con quella ales- sandrina. (2) I pezzi coniati sotto Cleomene e sotto la satrapia di Tolemeo Soter non superano mai i gr. 4,30. (3) Pare che in Egitto sotto il dominio persiano fossero alquanto diffuse le imitazioni della moneta ateniese del " Vecchio stile „. Cfr. Head, Hisf. Num., pag. 377. 23 conservazione; 2.° da considerazioni di carattere metrologico che esporrò in questo saggio. Un attento esame dei pezzi di Cleomene e della Satrapia di Tolemeo Soter permette di assegnare alla dramma tole- maica della fine del IV sec. a. C. il peso normale di gr. 4,2854 eguale a quello della moneta dei Seleucidi (v. pag. 62 e segg. e a quello della moneta persiana degli Arsacidi e dei Sassa- nidi U) la cui identità con quella tolemaica è confermata nella maniera piii brillante dal peso normale di gr. 4,285 (21 del dinar arabo dei Califfi d'Oriente. Questa dramma che si riscontra in Siria, sotto i Seleucidi, in Egitto sotto i Tolemei, in Persia sotto gli Arsacidi e i Sassanidi e in tutto l'Oriente sotto forma di dinar arabo deriva probabilmente dal cubito usato in Egitto nel periodo saitico e sotto i Tolemei: infatti dal cubito reale eguale in lunghezza al meh suten di 524,96 mill. si ricava un piede di mill. 349,87 il cui cubo corrisponde a Kg. 42,854 cioè esat- tamente a loooo dramme dei primissimi Tolemei 13). Il sistema monetario tolemaico presenta quindi i seguenti rapporti col piede cubico reale : Cubo del piede di un cubito reale di mill. 524,91 kg. 42,854 i Mina di dramma tolemaica (4) gr. 428,54 100 i Mina di dramma tolemaica ridotta „ 357,1 120 1 Vs i Dramma tolemaica gr. 4,2854 loooo 100 83 Vs ^ Dramma tolemaica ridotta gr. 3,571 120000 120 100 i Vs i. (i) Per la moneta degli Arsacidi e dei Sassanidi cfr. Vasquez QuEiPO, Syst. métr.. III. (2> CtV. A. Segrè, Moneta bizantina. Rendiconto dell'Istituto Lom- bardo, 1920, pag. 329. (3) Un cubito di un piede cubico eguale a loooo dramme attiche do- veva essere di mm. 528,1. Non so se il cubito fiietereo raggiungesse quella lunghezza, ma è probabile che se non era identico con esso doveva essere equiparato al meh sitteii (vedi A. Segre, Misure totem, e pretoleiiiaiche. Aegyptus, 1920, fase. II). Il cubito tolemaico dovrebbe es- sere secondo me eguale a quello reale quantunque il nxoXtixatxòi; w'vix'^ del Museo di Torino sia assai vicino a 526 mill., credo che la sua lun- ghezza teorica fosse quella di mill. 524,91 che lo renderebbe facil- mente commensurabile colla dramma monetaria. {\} Chiamo tlramma tolemaica quella di gr. 4,2854 e dramma ridotta quella di gr. 3,571 coniata dopo il 290 circa. La mina tolemaica di 100 dramme ponderali di gr, 4,2854 corrisponde a 125 dramme ridotte ^' Kf"- 3»57' e la libbra di 96 dramme ridotte a gr. 342,8 cioè a circa loo dramme romane. 24 Devo premettere un breve riassunto sulla monetazione tolemaica in gran parte tratto dalla poderosa opera dello Svoronos, " Tà vojjLiafxaTa toO /cpà-rou; tOv -jzTolzy.of.io}^ ^^, riassunto che è necessario presupposto allo studio della circolazione monetaria del regno dei Tolemei. MONETA D'ORO TOLEMAICA. La moneta d'oro coniata in Egitto sotto Cleomene e sotto la Satrapia di Tolemeo I ha per base la dramma di gr. 4,2854. In questo periodo sono coniati tetradrammi di gr. 17,1316, dramme e tetroboli (?) (0. Lo statere d'oro fu ridotto a io oboli attico-tolemaici nei primi anni di regno del Soter (2), sotto il quale in Cirenaica dove fu conservato forse un poco più a lungo che in Egitto il piede attico-tolemaico (3) furono coniati stateri d'oro di gr. 8,571 (4) contemporanei ai tetroboli egiziani di gr. 2,857 ^5). Prima adunque della riforma di Tolemeo I sono coniati in oro lo statere e la dramma mentre è assai incerto se il didrammo e il tetrobolo appar- tengano allo stesso periodo dei nominali d'oro attici coniati prima della riforma monetaria del Soter pare siano i seguenti: (i) I nominali d'oro di gr. 2,70 coniati a Cipro da Menelao fratello di Tolemeo (312-311) si avvicinano in peso ai tetroboli di gr. 2,857. (2) Mancano criteri sicuri per stabilire con precisione la data della riforma monetaria di Tolemeo I. (3) Dato il rapporto di 6 : 5 fra lo statere attico-tolemaico d'oro a quello ridotto è talvolta assai difficile poter stabilire se alcuni nominali d'oro, appartengano alla serie e. d. attica e a quella ridotta e se il nuovo piede monetario fosse esteso contemporaneamente a tutti i do- minii dei Tolemei. Di difficile classificazione sono i pezzi d'oro coniati dopo il 308 con due nonnnali un tetradrammo (?) di gr. 15,03 e un di- drammo (?) di gr. 6 89 e 6,71 dei quali per ora ci contentiamo di se- gnalare l'esistenza. (4) 1 pesi dello statere d'oro della Cirenaica (vedi Svor. Classe III, pag. 50 e segg.), sono di gr. 8,54 (n. 314) e gr. 8,55 (n. 315). (5) 1 pesi osservati dei tetroboli di Tolemeo Soter sono di gr. 2.87, 2.86, 2.85, 2.81 (2), 2.80 (2), ecc. Nominali d'oro coniati sul piede attico-tolemaico. ! Peso nei Valore in dramme d'ar- IValorc in dramme ri- I ed. I genio (I) col rapporto j dotte col rapporto oro Nominali Peso attico-tolemaici (in d'oro grammi ! oboli attici j oro-argento di i : io argento di i : io Tetradramiiìo 17,iaiG 24 40 -iS Statere 8,671 12 20 24 Dramma 4,2854 H 10 12 Tetrobolo 2,857 4 6-V:, 8 Tolemeo Soter (305-285) introdusse un nuovo tipo di moneta d'oro che si mantenne sotto il Filadelfo presso a poco sino al 271-70 a. C. E questo il pentadrammo o rpij^puaov (2) del peso normale di gr. 17,855 col suo decimo o triobolo di gr. 1,7855 che sono i nominali d'oro più comuni in Egitto in questo periodo. Il Tp()(^pi>(7ov che come lo indica il nome corrisponde a 3 XP'^^QS <7TaT7ipe; o a 60 dramme d'argento pari ad Vioo eli ta- lento (3) probabilmente deve essere identificato col talento d'oro (4) di 3 x?^iXY]pL(uv ó xiupitxó(; (piriai. '$60 «l Xà^ot xóXavt« Xpoooò? é4 s/iuv ànoiotxai. Sembra nonostante le testimonianze degli scrit- tori metrologici che i talenti d'oro di questo tipo non siano stati co- niati che in Egitto. 26 Greci dell'epoca Alessandrina ed era ragguagliato a 6 dramme attiche all'epoca di Alessandro il Grande quando l'argento era in un rapporto di i : io coll'oro e a 5 dramme quando il rapporto fra i due metalli fu abbassato ad i : 12. Non so se debbano essere ravvicinati ai nominali e. d. attici quei didrammi che Svoronos chiama stateri d'oro di piede fenicio (i) coniati da Tolemeo Soter fra il 305 e il 285; ma da quanto si è detto dai primi anni di Tolemeo Soter sino al 270 sono coniati con certezza sul piede di una dramma d'oro di gr. 3,571 solo il pentadrammo o Tot/^pu^ov ed il trio- bolo corrispondenti rispettivamente a 60 e 6 dramme d'ar- gento come risulta dalla tavola seguente: Nominali d'oro sul piede della dramma di gr. 3,57. Nominali Peso in gra.Timi 1 Peso in oboli Valore in dramme d'argento Pentadrammo Didrammo ? Triobolo 17,8-55 7,142 1,7855 30 12 3 60 24 L'emissione dei Toi^^pixia che recano l'effige di Tolemeo Soter anche durante il regno del Filadelfo, si arresta (2) dopo la morte di Arsinoe Filadelfo (270-71) colla comparsa degli paeia del peso normale di gr. 27,878 recanti l'effige della regina divinizzata: dal 270-71 a. C. in poi la dramma d'oro tolemaica di gr. 3,571 è ridotta a gr. 3,4838. Sotto Tolemeo Filadelfo sono coniati in oro gli otto- drammi, [AvasXa di gr. 27,868 del tipo descritto da Svoronos (i) Svoronos, op. cit., pag. 18, nn. loi, 102, ili, 121, 126, 128, ecc. I pesi di questi nominali sono di gr. 7.30, 7.19, 7.15 (2), 7.13 (2), ma la maggior parte di essi hanno un peso inferiore a gr. 7.12. Il e. d. piede fenicio corrisponde secondo l'opinione comune dei metrologi a gr. 3.638 quindi dà un didrammo di gr. 7.276 mentre il piede ridotto tolemaico <^i S^' 3-571 dà un didrammo di gr. 7.142. (2) I pentadrammi emessi nel 266-65 a. C. dovrebbero ora conside- rarsi come eccezionali; probabilmente le date di queste monete dovreb- bero essere controllate. 27 (op. cit., n. 605), i tetradrammi, i mezzi pas^a di gr. 13,934 <^), i didrammi di gr. 6,967 (2) e le dramme di gr. 3,48385 (3'. Nominali d'oro di Tolemeo Filadclfo coniati sul piede della dramma di gr. 3,48. Nominali Dnmme d'oro di gr. 3,48 Dramme d'argento di gr. ■^,571 Mvatìov 10 100 ictvtaxpoaov 5 50 0'18pa)(jAOv 2'/. 25 «potxfxYi l'A 12 V. Dai nominali aurei già trattati risulta che la dramma d'oro attico-tolemaica di 4,285 gr. sotto Cleomene è ridotta a gr. 3,571 sotto il Soter e a gr. 3,48125 dopo la morte di Arsinoe Filadelfo, quindi non credo esatta l'assegnazione di Svoronos al legno di Tolomeo III Evergete dei seguenti no- minali di peso attico che portano l'immagine di Berenice, Rspsv'.xsia vopdfAaTx (Poli., Onom., t. X, 84, 101). Decadrammo d'oro attico (4) P. n. gr. 42,854 Pentadranimo (5) „ 21.427 Pentemidrammo (6) n 10,7315 Dramma (7) u 4.2854 Triobolo (8) H 2,1427 Triemibolo {9) n 1,07135 Certo è che questi pezzi hanno per base la dramma d'oro di gr. 3,571 o quella di gr. 4,2854 che si mantiene con la prima in un rapporto esatto di 6 a 5 mentre è invece as- (i) Pesi osservati, Svor., 11. 604. (2) Pesi osservati, Svor., n. 605, gr. 6,95. (3) Pesi osservati, Svor., n. 606. ji;r. 3,45. (4) Per ia moneta d'argento dello stesso tipo vedi pag. 30-31. (5) N. 972, gr. 42.83, 42.81, 42,76 (2). (6) N. 962, gr. 21.42, ecc. (N. 978), ^r. 21 40 (2), ecc. (7) N. 980, gr. 4.30 (2), 4.28 (2), 4.27 (2), ecc. (8) N. 281. gr. 2.15(2), 2.14(2), 2.13, ecc. (9) N. 982, gr. 1.15, 1.08. 107(2), 1.06(2), ecc. 28 solutamente da escludere la nuova dramma di gr. 3,483 (i), quindi i pezzi che lo Svoronos e tutti coloro che si sono oc- cupati di numismatica tolemaica, attribuiscono a Berenice II e quindi al regno di Tolemeo III, per il loro piede monetario appartengono secondo me a Berenice I e precisamente ai primi anni di regno del Filadelfo, sotto il quale ebbe luogo la divinizzazione della madre Berenice I (2). Attribuendo il BspevUsiov vófy.tdfjLa al regno del Filadelfo non ci resta che as- segnare a quei nominali il valore che ad essi conferisce il confronto con la moneta coniata prima della morte di Arsinoe. Poiché il così detto decadrammo d'oro con un rapporto oro-argento di i : io corrisponde a loo dramme attiche o 120 tolemaiche e a 120 dramme attiche 144 tolemaiche con un rapporto di i : 12, al BspEvtxsiov vóy/.^ay. d'oro si possono assegnare i seguenti valori <3> : Bepsvixeia vofJtiojxata Oboli Oboli Pesi tole- attici maici Dramme attiche rapporto oro I argento 1 : IO I : 12 Dramme tolemaiche rapporto oro argento T ; IO I 1:12 Decadrammo Pentedrammo Pentemidrammo Dramma Triobolo Triemiobolo 42,854 (;o 72 100 120 120 21,427 30 3(i 50 ()0 60 1 10,713 15 18 25 30 30 4,2854 6 17 Vs 10 12 12 2,1427 3 375 5 () 6 1,0713 IV2 17. :^V. 3 3 144 72 30 (1) In questo caso il dodecadrammo di questo piede monetano cor- risponderebbe a gr. 41.806 e non a gr. 42.85, e i nominali inferiori sa- rebbero ridotti anch'essi in proporzione. (2) Si sa che sotto il regno di Tolemeo II Filadelfo furono tributati a Berenice onori divini insieme al suo marito. Theocr. XVII, 121 e segg. Kallixenos F. H.G., III, 59 e 65, sul culto dei Beol ocoxvjpe? cfr. Wil- KEN, Gel. An., 1895, 193 e segg., con accenno all'iscrizione Aduletana, GIG.. III, 5184-5797 {IGL, 727) come moglie di Tolemeo I, dove sono nominati i Beol ocDXYjpe?. Come madre di Filadelfo e di Arsi noe è nomi- nata in due iscrizioni in Olympia {Dittenberg. Sylloge, 152), in GlG.y III, 5184 e 5795 (= IGL, 727), come moglie di Tolemeo 1 in GIG., II, 2614 (Pauly Wissowa, Realenz, pag. 283, sotto Berenike). (3) I valori del Bepevóxeiov vóixca|Aa sono stati effettivamente quelli indicati nelle colonne 6, 7 e 9 per i cambiamenti di rapporti fra l'oro e l'argento effettuatisi nel periodo che va dagli inizi della conquista ma- cedone al 279-280 a. C. 29 I dati della quinta colonna della tavola di pag. 28 con- frontati con quelli della sesta colonna di questa dimostrano come per il Bspevixstov vójxidfAa sia più probabile il rapporto fra l'oro e l'argento di 1 : io che quello di i : 12. L* Evergete coniò invece il paeTov di gr. 27,868, la dramma di gr. 3,483 e Temidrammo di gr. 1,74(1): i suoi successori mantennero presso a poco gli stessi tipi monetari, onde quan- tunque la maggior parte delle congetture dello Svoronos re- lativi alla coniazione dell'oro tolemaico dopo il Filopatore siano assai discutibili (Head, Hìst., Num.^, pag. 855 e segg.) si può tuttavia ritenere che l'emissione di nominali aurei cessi soltanto sotto il regno dell'Aulete (80-58 e 55-51), quando il tetradrammo di argento divenne una moneta di biglione. MONETA D'ARGENTO TOLEMAICA. L'argento fu coniato su larga scala sotto Cleomene e sotto la Satrapia del Soter sotto forma di stateri attico-tole- maici di gr. 17,136 simili ai pezzi ateniesi, ma mentre i te- tradrammi mantengono inalterato il loro peso legale sotto la Satrapia di Tolemeo I, le dramme e i trioboli pare abbiano il peso inferiore al normale (2) di gr. 3,75 e gr. 1,8725 (3). Nel 311-305(4) e forse sino ai primi anni di regno del Soter (5) sono coniati stateri, di gr. 15,7098 (6), su un piede di una dramma di gr. 3,927 che lo Svoronos chiama impro- priamente rodio (7) sinché il tetradrammo tolemaico sotto il (i) I pesi delle dramme d'oro si mantengono generalmente inferiori al peso normale (n. 995) gr. 3.08, gli emidrammi non superano i gr. 1.55, "• 935» gr. 1.53. ^52, n. 983, gr. 1.55, n. 984, gr. I.51. (2) Dato il numero abbastanza ragguardevole di pezzi che ci sono rimasti ed il loro slato di conservazione non si può supporre che il basso peso delle dramme e dei triboli sia accidentale. (3) Dran.ne (n. 34) gr. 3.74, 3.71, 3.8. 3.59, 3.51, 3.50, ecc.; Trioboli ("• 35) gr- 188. 180, 1.74, 1.71 ; Dramme (n. 43) gr. 3.70, 350, ecc.; Dramme (n. 45) ^v. 3.77, 3.70, 3.50; Dramme (n. 40) p;r. 360, 3.55. (4) Svoronos, op. cit., n. 96. (5) Ctr. classe A, serie A e B, di T-'U-tn,-,, 1 (6) La media di 15.71, 15.65, 15.63. (7) Di questi piede non esistono clit ^1: suur: •. 3° Soler subisce una nuova riduzione di peso ad assume il tipo caratteristico della moneta alessandrina; da ora in poi esso recherà l'effige di un Tolemeo al diritto, l'aquila al verso. A questo statere del peso di gr. 14,99 bacile a determinarsi data l'abbondanza e la buona conservazione dei pesi rimasti si dovrebbero accompagnare didrammi di gr. 7,498, dramme di gr. 3,75, trioboli di gr. 1,875, ecc.; forse appartengono a questa serie i didrammi (i) della Cirenaica (304-285 a. C.) di cui alcuni recano la testa di Tolomeo I, altri quella di Be- renice I mentre invece la serie A della classe B (Svoronos, opera citata) di Tolemeo Soter presenta ottadranimi che appartengono almeno dal punto di vista metrologico al piede monetario di gr. 3,57. Non ci si può nascondere che la classificazione della moneta d'argento alessandrina nel periodo che precedette Tolemeo Filadelfo presenti, almeno in apparenza, non poche complicazioni che dipendono generalmente dalle incertezze cronologiche, dalla varietà delle zecche e dalla scarsità dei materiali (2). Ciò nonostante pure attraverso le difficoltà che presenta lo studio della valuta egiziana della fine del IV secolo e il principio del III resta accertato negli anni che precedono il regno del Filadelfo 1' uso successivo di tetradraiiimi di gr. 17.138, 15.098 e 14.996 (3) ed infine di gr. 14.284, dopo Tolemeo II sotto il quale la moneta alessandrina acquista una uniformità di peso e di tipi che ne rendono assai più agevole lo studio dal nostro punto di vista. Anche per l'argento secondo me va attribuito all'epoca del Soter e ai primi anni di regno del Filadelfo il Becevì/ceiov (i) Pesi osservati (n. 309) gr. 7.42, (n. 317) 7.42, (n. 318) gr. 7.46, 7.45, 7.42. Questi nominali appartengono alla stessa serie dei trioboli d'oro di gr. 2,865 e dei didramini di gr. 8,56 v. p. 25. (2) Non si potrebbe escludere che alcune delle complicazioni della monetazione tolemaica della fine del IV e principio del III secolo po- trebbero in parte avere origine dalla coniazione di monete di piede straniero destinate quasi esclusivamente al commercio estero. (3) Probabilmente le difficoltà che derivano dall'uso dei sottomultipli il cui peso non si accorda sempre con quelli degli stateri, potrannc essere spiegate con una revisione della cronologia dei pezzi. 3t vó{jLi<7(j.a che Io Svoronos classifica come moneta di piede at- tico di Tolemeo 111 Evergete (^) costituita da pentadrammi attici (p. n., gr. 21426) (2), pentemidrammi (p. n., gr. 10,713) (3) tetroboli (p. n., gr. 2,856) Ù), dioboli (p. n., gr. 1,428 (5> e da un nominale d' argento di cui esiste un unico esemplare (n. 988) di gr. 46,68 in cattivo stato di conservazione al quale si può assegnare il peso approssimativo di 12 dramme attiche. Come ho già accennato dopo Tultima riforma monetaria del Soter si intraprese in Egitto la coniazione degli stateri di gr. 14,284 e delle dramme di gr. 3,571 che fu continuata ininterrottamente <6ì fino all'epoca del triumviro M. Antonio il quale forse tentò di introdurre in Egitto per breve tempo e senza fortuna il denaro repubblicano di Ve* ^^ libbra ro- mana. Gli stateri tolemaici ridotti a moneta di biglione sotto l'impero da Tiberio (18-19) furono poi coniati sino al 295 circa, anno in cui ha luogo la riforma monetaria di Diocleziano (7). (i) Ved. pag. 28 e segg. Questi stessi nominali potrebbero essere rispettivamente esadrammi, didrammi, tetroboli e dioboli tolemaici. (2) (n. 963) gr. 20.20, 20.17, ("• 982) gr. 21.12, 20.05, 19.92, 19.85. (3) (n. 990) gr. 10.17, 10.00, (n. 991) gr. 9.95. (4) (n. 987) gr. 227. (5) (n. 985) gr. 0.87, 0.76. È difficile si tratti di oboli di peso ec- cedente. (6) Dopo il 270-71 sono coniati dal Filadelfo decadrammi del peso di gr. 35,71 colla testa di Arsinoe e tetradranmìi di gr. 14,284 sotto l' Evergete si continuano i tipi monetali del Filadelfo; sotto Tolemeo IV e V sono comuni i didrammi, sotto V Epifane sono coniati ottodrammt (p. n. 28,56) (p. oss. gr. 28,47), tetradramuìi e didrammi e forse trio- boli, dioboli e oboli. Gli altri Tolemei in generale emettono stateri che restano sempre la moneta tipica alessandrina, didrammi e a volte dramme e frazioni di dramma. 11 triumviro M. Antonio coniò in Cire- naica pezzi di gr. 15.61, 15.40, 15.27, 15.16, 15.08 eguali in peso a 4 de- nari repubblicani (Svoronos, op. cit., n. 1808) e in Egitto con scrittura latina nel 34-35 un nominale àp^opiov Jvjvipiov di gr. 3,84 che proba- bilmente più che a sostituire le dramme alessandrine doveva servire per il soldo delle legioni romane. (7) (n. 364) gr. 3.57, 3,55 (n. 372) gr. 3.33, 3.28, 3.13 (n. 570) gr. 3.38 (11. '-JT^I <' ! 2,<(i (Il ZO^,\ V'f. :> on (w zr)~: i "T o ->T 32 RAPPORTO FRA L'ORO E L'ARGENTO MONETATI NELL'EPOCA ALESSANDRINA. Il rapporto legale fra rargento e Toro in Grecia ai tempi di Alessandro era certamente di i : io come appare da varie iscrizioni che vanno dal 336-335 al 306-305. Nei conti della PouXyi di Delfi e sotto l'arcontato di Dione (336-335 a- C.) BCH., XXIV, 1900, pag. 124 e segg. ^i), 150 filippi d'oro (il filippo è uguale al didrammo attico) corrispon- dono ciascuno a 7 stateri eginetici o 20 dramme attiche come sotto Tarcontato di Theone (328-7) [BCH., XXIV, pag. 475), dove il darico è ragguagliato a 7 stateri eginetici (20 dramme attiche) r^apsijcol TpiTaxQCiot sIjcogi si;... toÓtwv ìtz'zx cTocTfipcrc ; quan- tunque in questa stessa iscrizione (col II A 7), àptG(7.e!:Tai ^ì ó ^apsr/cò; éfTUTà (TTaTYip<7t x]aì ^pa/jy/7. si ha invece un corso al darico forse eccezionalmente un poco più elevato. Un rapporto assai vicino ad i : io (1:9,45) risulta dai conti degli hieropi di Delfi dell'anno 329-328 (C. /. A., IV, 28346) dove 2 philippi, I dramma ed i obolo d'oro corri- spondono a 50 dr. 5 '4 oboli (i dramma calcidica l'obolo). Il solito rapporto può esser ricavato dal CI. A., II, 719 (321-20 a. C.) ed i Did., 728 (319-18) e dalla rubrica dei conti dell'Arconte Coroebus (306-5 a. C), CI. A., II, 327, che ha maggiore importanza per il mio studio perchè contemporaneo della moneta tolemaica e perchè offre un ragguaglio per somme d'oro e d'argento assai rilevanti. Il rapporto di i : io fra l'oro e l'argento che ricorre nelle iscrizioni della fine del IV secolo compare anche negli scrittori di questo periodo come risulta dal passo della Ilapa- ypoooù? sxaxòv TCevx-rjXovxa Tsxaaxov sv éittà oxatTipoc, Toùxo Iy^vsxo el; àp^optoo TCocXo-.ioy I 33 xaTa^YiìCTn di Menarra^Mi^ramandatoci da Polluce, Script. MetroL, I, 290. ^ Tò Sèypu^iov oTi ToO àpyupiou ^exaTU/.àGtov y.v v yàp óXxtiv Tà).àvTOo ^pu'jiov GOt icatStov, sffTT.xa rspwv, STràys'. {xstÌ Ta'jxa T^epì tóutoo ^.syoiv, fxaxapco; sxelvo-; ^sxa xàXavTa xaTa(p«Ya>v ,,. Anche interessante è il passo di Arriano, IV, 18, 7 sul- l'assedio della fortezza dei Sogdiani dal quale si ricava il rapporto di i : 10 fra l'argento e l'oro, dall'eguaglianza di un talento, che m quell'epoca deve essere attico, a 300 da- rici d'oro. Questo rapporto (2) pare sia rimasto tradizionale in Gre- cia, perchè nel 189 nel trattato di pace cogli Etoli questi pagavano ai romani l'indennità di guerra ragguagliando la mina d'oro a io mine d'argento: " tóìv (^£/,a (/.vóiv àpyjpiou jivav <^i^óvTe; (3) „. Questi dati fanno supporre che il rapporto fra l'argento e l'oro che sappiamo vicino ad i : 15 in Atene ai tempi di Pericle, di i : 13 S, in Persia nella stessa epoca e ad i : 12 ai tempi di Platone (Ps. Platone Hipparchus, pag. 241 D.), si fosse innalzato ad i : io probabilmente verso la metà del IV sec. per l'intensivo sfruttamento delle miniere aurifere del monte Pangeo in Tracia da parte di Filippo di Mace- donia (4). Nello stesso senso influirono certamente anche le conquiste di Alessandro che riversarono sulla Grecia tesori per quei tempi immensi. Però a questo riguardo devo osser- vare che non basta l'abbondanza o meno dell'oro nella cir- colazione di un paese per inferirne i rapporti legali fra la valuta aurea e quella d'argento, che come dimostrerò nel (i) Menandro fiori fra il 320 ed il 292 a. C. (2) EsiCHio, Script. Metrol., I, 307, '0 Ss -^pììzùb:; ittp'. 'Attixoìt; Sóvatat t^ayj^ÒLZ 8óo u>c lloXé(iapxó(; cpfj^t, Spa)(|i-r] 2l to6 ^puooò voniafiato^ àp^upcoo 3pa)r(i.à(; 3éxa ptvàv Sé Xéfooo'.v to'j<; tcévte ^puooò; éxatov Spaj^jxat KOtoòoiv •j.vàv |iiav (3) PoLiB., 6, XXII, 15, 8, confermato da Livio, XXXVIII. 11. * Pro argento si auruni dare mallent. darent coiivenit duiii prò arjienlcis de- cem aureus unus valeiet ^ e dal commento di Zonara, X, 540 B. . (4) Th. Reinach, l'Htsl. par la wontiait, pag. 52 3 34 corso di questo studio l'oro monetato nell'epoca ellenistica era coniato con troppo alti rapporti fissi rispetto all'argento per poter esser considerato semplicemente come una merce nei riguardi della circolazione interna. RAPPORTO FRA IL VALORE DELL'ORO E DELL'ARGENTO MONETATO PRESSO I TOLEMEL La dramma tolemaica d'oro è successivamente di gram- mi 4,2854 sotto Cleomene ed il Soter, di gr. 3.571 sotto il Soter e il Filadelfo, di gr. 3,483 dopo il 270-71. Quella d'ar- gento originariamente di gr. 4,2854 sotto Cleomene e To- lemeo I è ridotta a gr. 3,927 e g^r. 5,75 sotto il Soter che probabilmente iniziò anche la coniazione della dramma ales- sandrina tipica di gr. 3,571- 1 dati che derivano direttamente dallo studio delle monete e quelli che possiamo ricavare dai documenti ci permettono di determinare a volte con certezza e a volte invece soltanto con molta probabilità il rapporto fra l'oro e l'argento monetato nel!' Egitto Tolemaico. Dall'epoca di Cleomene alla reggenza di Tolemeo I, l'oro e l'argento sono coniati su uno stesso piede di gr. 4,2854. I nominali aurei- emessi sono il tetradrammo, il didrammo(?), la dramma e verosimilmente il tetrobolo. Nominali Peso normale Dramme Oboli Rapporto 1:12 Rapporto 1 : IO Tetradrammo 17,139 4 24 48 40 [Didrammo] 8,571 2 12 24 20 Dramma 4,285 1 6 ]0 10 [Tetrobolo] 2,857 Va 4 8 6^/3 Il valore dell'oro in argento nella fine del IV secolo era certamente quello che riscontrammo nei documenti di que- st'epoca citati a pag. 32 e segg. Il rapporto decimale fra i due metalli che in Egitto forse come in Persia era gi.à praticato Ira le unità monetane d'oro e d'argento si adatta assai bene ai nominali d'oro di Berenice che se fossero invece multipli di 35 dramme tolemaiche, sarebbero coniati in un rapporto di 12 coll'argento (r) e darebbero i risultati evidentemente assai poco soddisfacenti dell'ultima colonna della tavola seguente (2): Valori in argento dei nominali d'oko coniati in egitto PRIMA DEL 270-71 a. e. Pesi no rmali dei no- i in grammi 2 * ■o- II ._ l'i _T3 :r:"u Rapporto oro-argento di 1 : IO Rapporto oro-argento di 1:12 minai dramme dramme dramme dramme e . - e " - 2 ed. attiche tolemaiche e d. attiche tolemaiche ^ gr. 42.854 IO 12 60 72 100 120 120 144 * „ 21,427 5 6 30 36 50 60 60 72 „ 17,85 -tVe 5 25 30 41^3 50 50 60 ■X- ,■ Hi,71 2 Va 3 15 18 25 30 30 36 „ 8,57 2 2^5 12 14 75 20 24 24 28 Vs » 7,142? 1*/. IO 12 18 20 20 24 „ 4,2854 l IV5 6 "''U 10 12 12 14% II 2,87 *u V. 4 4V5 6^3 8 8 9V. 1» 2,142 'U '/5 3 3^/5 5 6 6 TVs l,7'-\5 V,, V2 2*/2 3 4 Ve 5 5 6 ., 1,071 V4 /IO IV3 l*/5 2V« 3 3 3V5 I noriiilUili contrassegnali asterisco ^ appartengono esclusivaiiiente alla categoria del Bep»vixetov vó^itofia. Il rapporto fra l'argento e l'oro ai tempi di Tolemeo II prima della coniazione degli {xvaeia fu certamente abbas- sato ad I : 12 <3), come dimostra il nome di Tpiypuffov dato al pentadrammo d'oro di gr. 17,85 coniato dal Fiiadelfo insieme al triobolo. Questo nominale che compare nel P. Edgar, 5, 2, è cambiato in p-vaeTa (vedi pag. 26) come una moneta equi- valente a 60 dramme tolemaiche. Il passaggio dal rapporto argento-oro di quello di i : 10 a I : 12 è stato secondo me graduale. I dati di cui disponiamo fanno ritenere che l'oro fosse coniato su piede attico sino ai tempi di Tolemeo II, ma è molto probabile che alla dramma d'oro attica si facessero corrispondere sino ai primi anni di (i) I dati di questa tavola sono ottenuti i aggtiagiiando k- draninic tolemaiche di gr. 3,571 a 5 oboli di dramma attico-tolemaica di gr. 4,2854. (2) La morte di Berenice 1 e quindi anteriore all'emissione dei pen- tadramini del Fiiadelfo. (3) Questo rapporto di i : 12 fra l'argento e roro tolemaico è iden- tico a quello che vigeva nella stessa epoca in Sicilia. Vedi A. Skgrè. Note di monetazione e di metrologia stcìliana (sludi in onore di Ors; 36 re^no del Filadelfo non più di io, ma 12 delle dramme to- lemaiche coniate sotto il Soter. Poiché il primo statere ri- dotto di gr. 15,71 corrisponde esattamente a 22 oboli di dramma attica tolemaica, il secondo di gr. 14,99 a 21 oboli della stessa dramma se poniamo un didrammo d'oro tole- maico eguale a 12 dramme d'argento si ricava un rapporto fra i due metalli rispettivamente di i:ii e i : io V2 ^^^• Dopo la riforma monetaria di Tolemeo Filadelfo (271-70), sino alla conquista romana allo statere d'oro di gr. 13,9216 si fecero corrispondere 25 dramme d'argento tolemaiche di gr. 3,571 il che porta ad un rapporto fra l'oro e l'argento di I :i2^Vi6. Questi dati ci risultano con sicurezza dal nome di (xvaeia dato agli ottodrammi d'oro tolemaici del peso di gr. 27,845 e da un passo dello 2xut£u; di Heronda del tempo del Filadelfo dove evidentemente 4 darici d'oro sono calcolati come una somma più elevata di una mina o penta- statere d'oro tolemaico (2). (i) Il peso dello statere attico-tolemaico moltiplicato per 12 è eguale rispettivamente ad 11 e io '/a didrammi ridotti di gr. 7,851 e gr. 7,445- (2) Nel mimo di Heronda un calzolaio alla moda Kerdon domanda una mina d'argento per un paio di sandali Fóvat, pif^c; fAV"^^ èouv fi^tov i:oùxo TÒ CsùYO(; ; la compratrice si lamenta per l'enormità del prezzo; un'amica interviene per domandare quanto costa un altro paio di cui Kerdon ha detto sopra (v. 30) e ritorna a dire (v. 106) che è della stessa qualità e dello stesso valore del primo; Kerdon risponde (v. 99) : oxatYjpa? névis . vai [aoc Hsobz. cpoità Yj 'laKxy.' EòetYjpti; Yjfxépocv TCàaav Xa^sìv àva>Yoe)G\ àWh'^uì jxiv [èyOaJtpo) v.YjV Téaoapàc fxoi oapeiv.oòc ónóoxYjxa'..... Reinach e con lui la maggior parte dei commentatori trovano delle oscu- rità sul testo perchè ponendo 5 stateri eguali ad l mina e un rapporto fra l'oro e l'argento i : io, ritengono implicitamente che si tratti di nominali attici. Il ragionamento non è esatto come dimostra l'imbroglio dei com- mentatori di fronte ai darici del verso 103. Gli stateri di cui parla Kerdon sono quelli dell'epoca di Tolemeo Filadelfo di cui 5 formavano il ^vaelov o ottodrammo tolemaico di gr. 27,845. In questa epoca /poooó? o xptJ30ó(; oTttTYjp è semplicemente un nominale d'oro corrispondente a 20 dramme d'argento, quindi quando Kerdon dice è^Oaipto xy^v xéoaapàg jiéì oapetv.oìx; ÒTCÓoxviTat intende come è naturale di parlare di una cifra più elevata : infatti 4 darici corrispondono esattamente a 33,52 gr. d'oro o 120 dramme d'argento tolemaiche. 37 Il rapporto legale fra i due metalli si mantenne di 1 : 12 *Vie» P^r tutta l'epoca tolemaica. Su questo nuovo piede monetario sono coniati i seguenti nominali : Ottodrammo o jivatìov (i) gr. 27,843 = d»-. 100 Distatere o ntvt-rjxovTaipaxfxov „ 13,9216 = ^ 50 Statere „ 6,966 = „ 25 Dramma „ 3,483 = „ 12 V» Triobolo „ 1,741 = „ 7V4 Lo Statere d*oro prende il nome di xP'^aoO; TaXavTOv, che presso l'anonimo alessandrino, Script. MetroL, I, è raggua- gliato a due dramme attiche di tre scrupoli (2). "'Ayei oòv tò ypudoO? TaXavTOv 'ÀTTDtà; 5pay{j(,à; Suo, ypà{/,{xaTa ?', TETapTa? Questo passo messo in relazione con quelli dell'epoca romana ci dà le seguenti divisioni del pasTov : MvaBÌov gr. 27,868, i atot^jp „ 6,968, 4, I ^P«XK''h .; 3,4838, 8, 2, I x»Tapr»i „ 1,7419, 16, 4, 2. I Tpttfxjia „ 1,1613, 28, 6, 3, I Va, i Il XP'^<^°'^ èxKT/ifLou avaelov del P. Paris, io, è con ogni pro- babilità identico a quello che compare nei papiri dell'epoca romana. Lo statere del Filadelfo pesante circa i ^^/ ^^ del di- drammo d'argento ha tutta l'apparenza di essere coniato su un piede affatto indipendente da quello tolemaico, né mi parrebbe troppo azzardato supporre che come la dramma d'argento di gr. 3,571 è il pentobolo della dramma e. d. at- tica di gr. 4,2854, così lo statere tolemaico posteriore al 270-71 corrisponde ai Vg del darico d'oro (3) che come è noto (i) Come moneta d'oro Suida, Script. MetroL, I, 336. (2) Al solito in questo passo la confusione fra le drauuiie attiche ^' g""* 4,366 con quelle romane di 3 scrupoli deriva dall'equiparazione della dramma romana a quella alessandrina e dalla sostituzione pres- soché costante nei passi metrologici del denaro neroniano alla dramma attica. (3) Il peso del darico è approssimativamente di gr. 8,37 (Hultsch, Griech. u. rom. Metro/., pag. 129-34): io oboli di darico corrispondereb- bero a gr. 6,975 e le dramme d'oro a gr. 3,487. 38 sino alla fine del IV sec. circolava alla pari collo statere at- tico ed alessandrino, ed era almeno sino alla conquista ma- cedone la moneta aurea piìi diffusa in tutta la Grecia (>). MONETA DI RAME TOLEMAICA. Le monete di bronzo tolemaiche presentano m .s:enerale una grandissima uniformità di tipi (2), e caratteri distintivi, in generale particolari a ciascuna serie e non a ciascun no- minale; perciò data la natura di questa mia ricerca nell'esame della coniazione del rame dei Lagidi terrò conto quasi esclu- sivamente del peso normale dei singoli pezzi, tanto più che la loro grande uniformità di tipi e di pesi fa arguire che gli oboli del Filadelfo seguitassero a circolare in Egitto fin sotto ai primi imperatori di casa Giulia i quali si studiarono di continuare le tradizioni nazionali nella monetazione del rame come in quella dell'argento. La maggior parte delle antiche ricerche sulla moneta di bronzo tolemaica hanno perso ormai ogni interesse per- chè la tesi degli antichi metrologi che tentava di fare di essa una moneta vera coniata con un rapporto fra il rame e l'argento di i a 120 è ormai completamente caduta in sl guito alle fruttuose ricerche di Grenfell, P. Tebtunis, App. II. pag. 580. La stessa sorte hanno quindi subito le vecchie equipa- razioni formulate da Hultsch (3), dei nominali di bronzo del sistema egiziano del dehen e della kite con gli oboli e le dramme di rame. Il bronzo tolemaico fu coniato su due piedi monetari differenti. La classificazione dei pezzi coniati nel periodo che va da Cieomene ai primi anni di regno di Filadelfo è per (i) Hultsch, op. cit., pag. 179 e segg. La menzione dei darici da parte di Heronda (v. p. 36) non è priva di interesse. (2) Per lo più al diritto porta la testa di Zeus Amnione e al verso una o due aquile con le ali aperte o chiuse e la scritta ritoXBfiaioo (uT-ripo? o IItoX8{i.aioo BaoiXéto? in epoche più recenti. (3) Hultsch, Die Ptolemàischen Miinz-und Rechiungswerte Abh. K. Sachs. Gesellsch.^ XVII, Leipzig, 1903. 39 ora puramente ipotetica per le incertezze e le difficoltà de- rivanti dalla scarsità dei dati e dalla prevalenza di nominali di piccolo peso. In ogni modo essa rappresenta certamente le ordinarie frazioni di dramma attica anche per i suoi pesi (i). I nominali di rame anteriori a Tolemeo 11 possono essere rappresentati dalla tabella seguente : Nominali Peso in grammi Peso in unità egiziane Valore *n oboli Valore in yaXxoi A 17,14 4 (iraiiniie e. d. attirhe I 4 B 8,57 2 V ^4 - C 4,285 ! ., v« 1 D 2,14 Vir, V. E 1,07 Vs. Vi Questa classificazione quantunque presenti necessaria- mente una certa indeterminatezza ed arbitrarietà, perchè nell'antica moneta di rame specie per i pezzi di minor peso si passa sempre da un nominale all'altro per gradi insensi- bili, si adatta secondo me meglio di ogni altra ai dati che possediamo. Tolemeo li portò un completo mutamento nella conia- zione del rame stabilendo quei tipi e quei pesi che i no- minali di bronzo tolemaici mantennero almeno teoricamente inalterati sino all'epoca di Cleopatra VII. Data l'importanza dell'argomento e l' interesse che ha suscitato presso la mag- gior parte degli studiosi di numismatica e di metrologia an- tica esporrò brevemente i criteri che mi hanno guidato nella classificazione delle monete di bronzo tolemaiche posteriori al Filadelto. I presupposti necessari della mia classificazione sono i seguenti : i.° - La moneta tolemaica di rame, come risulta dai papiri corrisponde a nominali greci e quindi a multipli e fra- zioni di <'h( i . (I) V pag. 64 f malogie la moneta contemporanea dei Scleucidi a 40 2.° — I nominali di Cleopatra VII contrassegnati con TT di gr. 20,1 — 15,8 e quelli contrassegnati con M di gr. IO — 7,891 (Regling, Z. /. Num., 1901, pag. 115), come assai esattamente ha riconosciuto Grenfell (App. P. Tebi., I, 595), corrispondono rispettivamente a 80 e 40 dramme di rame — cioè ad i obolo e a Vj obolo (i), perchè l'obolo di rame è eguale a 80 /aXxoO ^^oLyj^oLi e il talento di rame tole- maico (2) si divide come segue : XaXxoù xàXavTOV I 'Apyopioo òoay[^'i\ 'O^oXóc XaXxói; XaXv.oó 8paxM-*ri 12 Vr 600. 6000, I 6, 48, 480, I 8, 80, I IO, Partendo dal peso dell'obolo di Cleopatra, i nominali di bronzo più alti di gr. 100 — 92 negli esemplari ben con- servati non possono esser classificati che come tetroboli (3); donde risulta che le monete di rame da Tolemeo II in poi sono multiple di un pezzo di 5 dramme di rame (Vg xa>^^^?) che è il nominale piìi basso che compaia nei papiri (4). 11 peso del tetrobolo che non potrebbe essere determinato con esat- tezza matematica senza il sussidio dei dati della metrologia egiziana è un dehen come avevano riconosciuto giustamente Revillout, Hultsch, ecc., i quali però erroneamente (s) lo iden- tificarono attribuendo ad esso per di più il peso inesatto (i) La monetazione dell'Aulete e di Cleopatra VII è assai trascu- rata, tanto per i pezzi d'argento che ormai sono tramutati in monete di biglione che per quelli di rame ai quali non si può assegnare un peso ben definito senza riferirsi ai nominali corrispondenti più antichi, che invece mancano dei contrassegni del valore. (2) Ved. pag. 46 e segg. (3) Qualunque altra classificazione dei nominali di bronzo tole- maici posteriori al Filadelfo incontrerebbe difficoltà insormontabili per- chè dovrebbe assegnare ai pezzi di rame un valore esprimibile facil- mente in frazioni attiche di dramma e compatibile nello stesso tempo col peso dell'obolo di Cleopatra. C4) Cfr. Erone, nveojiattxà, 1, 21, dove il it^.'xàSpa^^iJLOv vó|Aiofi.a do- veva essere una monetina di rame destinata a mettere in moto delle macchine che fornivano l'acqua lustrale all'ingresso di alcuni templi di Alessandria. (5) A. Segrè, Misure tolem. e pretolemaiche, Aegyptus, 1920, fase. IL 41 di gr. 90,96. Assegnando adunque al tetrobolo il peso del deben, 50 dramme di rame tolemaiche corrispondono a ' /a^ di deben cioè al re, unità ponderale usata frequentemente nei testi almeno sino dalla XVIII dinastia '20 'Uo re 4,52 »/,. 3 Tv. 15 */.o re „ 3,0 '/, 2 1 lo Vio re 1,51 '/,, 1 V, 5 Assegnando alla dramma di 6 oboli il peso i Vt ki^e si ricava che il rapporto fra l'argento e il rame tolemaico co- niati dopo il Filadelfo è di 40.50, quello fra Toro e il rame di 40.50 X 12 = 486 e 40.5 X 12.81 = 518.8 dopo la riforma del Filadelfo ; in questi calcoli non si tiene conto dei cambi variabili delle dramme dei vari metalli. (i) A. Segrè, Aegypius^ 1920, fase. II. (a) Fondamentalinenle errato è rarticolo di Hultsch, che serven- dosi degli studi di Revillout trasse da un presunto rapporto di i ; xao fra il rame e l'argento una classificazione della moneta di bronzo to- lemaica che non si accorda né con i dati dei papiri, nò con quelli della moneta di Cleopatra, né colla divisibilità che presenta il nominale (te- trobolo) del peso di un uien. 42 CIRCOLAZIONE TOLEMAICA. Lo studio della circolazione tolemaica quale appare dai papiri richiede una distinzione per lo meno in tre periodi. Il primo che va dall'epoca di Cleomene al regno del Fila- delfo è assai intricato per i continui cambiamenti del piede monetario dell'argento di cui ho trattato a pagg. 29 e segg. il secondo va dal 270-71 fino alla fine del II secolo a. C, il terzo da quest'epoca giunge agli inizi dell'impero. I papiri anteriori al regno di Filadelfo si contano sulle dita : perciò poco possiamo dire di questo periodo che è forse il più complicato della monetazione tolemaica. Per ora il primo esempio di dramme egiziane di Alessandro h TTI àpyupioi» 'AXsJavSpeioo compare nel P. Eleph., I (31 1-3 io), i, 11-12 se il Dittenberger. Sylloge, I, 3, 387, non è piij antico di due anni (i). Le dramme alessandrine di questo periodo di peso e. d. attico prendono costantemente il nome di 'A>^£;av5p£iou àpyupiou ^^(x.jjxcf.1, come ci risulta oltre che dallo scarso materiale epi- grafico, dai pezzi coniati sotto Tolemeo Soter, che tranne qualche rara eccezione portano tutti la scritta AAESANAPOT (2). Il passaggio dall'unità e. d. attica a quella tipica tolemaica può essere ricostruito soltanto mediante induzioni. Ritengo che i nominali e. d. attici quotati alla pari della dramma ateniese (3), per il commercio estero fossero valu- tati a Vg di dramma tolemaica perchè il loro valore in que- st'epoca doveva dipendere quasi esclusivamente dal peso e (i) RuBENSOHN P., Eleph., I, nota 21. (2) Rari pezzi anonimi furono coniati pare dopo la morte di Ales- sandro IV (SvoRONos, n. 25 e segg;.). Un'altra serie di monete (Svoro- Nos, n. 32) reca l'iscrizione nTOAEMAIOT AAEEANAPEION (scil. vó|j.ta(Ji.a). (3) La quotazione delle dramme di Alessandria alla pari colla dramma attica è certa perchè la differenza di peso dei due nominali « inferiori a quella che intercede fra lo statere attica e il darico che pure corrispondevano ad egual numero di dramme d'argento. 43 dal titolo. Per contro nei paesi soggetti al dominio dei Tole- mei il potere liberatorio della valuta egiziana dipendeva tanto dal suo valore intrinseco che dalla legge, quindi non è im- probabile che le vecchie dramme di peso e. d. attico fossero ritirate dalla circolazione con quei mezzi ai quali si accenna nel P. Edgar, 5, per i Tpi^^puaa e le altre monete d'oro (') : è quindi probabile che l'argento di Alessandria fosse tolto di mezzo prima da una bassa valutazione legale che ne rendeva proficua la fondita, l'esportazione o la conversione in moneta nuova, e successivamente da leggi fiscali che ne vietavano l'uso. Sotto Tolemeo li la dramma d'argento serviva come moneta di conto effettiva, però il suo cambio con quella di rame non era fisso. Lo statere d'argento in rame, alla pari, corrisponde a 24 oboli, come risulta dai documenti greci e demotici dell'epoca tolemaica dove 24 monete di rame sono scambiate con due unità. Nei papiri demotici dove Grifììth legge " rame 24 = 2 kite (2) Spiegelberger „ oboli 24 = 2 kite (Grenfell, P. Tebt., App. II, pag. 581-83), il senso è cer- tamente 24 oboli = I statere perchè la kite nei documenti demotici è eguagliata costantemente al didrammo, né ormai si hanno più dubbi sull'interpretazione di questa frase che trova il suo riscontro nel Revenue Laws, LX, 15, Xr.^óixeSa si; TÒv (TTaTYipa òpo>.où; xS' e nel P. Eleph., 17 (22322), i, 27, yivovxai yjxhioxj et; >c$ h^p,. Nel periodo anteriore alla fine del li sec. a. C. l'unità monetaria tolemaica è, come ho detto, lo statere d'argento che fa un aggio del io % circa sul rame (y7Xy.Q^ oò àiWaL-^rì) quando non venga a stabilirsi per convenzione un cambio alla pari (^.a^itò? ìdóvOfjLo;) (3). Non c'è dubbio, secondo me, che il corso dell'argento abbia un carattere puramente legale perchè se esso fosse (1) Vedi pag. 45. (2) Vedi anche Griffith, F. Ryi, III, XVB, pag. 135, a, Il e pag. 137 e segg:. P. Ry/., Ili, XVI, pag. 140, ecc. (3) Un fenomeno analogo si riscontra nei primi ire secoli dell'im- pero quando il tetradrammo d'argento è quasi costantemente raggua- gliato a 28 oboli di rame. 44 dovuto alle condizioni di un mercato libero si riscontrerebbero nelle valutazioni dei tetradrammi in rame quelle forti oscil- lazioni caratteristiche della valutazione dello statere tolemaico in dramme di rame o del solido d'oro bizantino in voo{y.fi,ia. Il tetradrammo d'argento è quasi costantemente raggua- gliato a 26 V2 oboli di rame con piccole oscillazioni quasi sempre trascurabili, ed ancora meno accentuate di quelle che appaiono nella valutazione dello statere di biglione in oboli sotto l'impero (i). Come l'argento fa un aggio sul rame così è probabile che l'oro non fosse cambiato alla pari cogli altri metalli, ma nulla possiamo dire di preciso su questo argomento. Certo è molto probabile che si tenessero generalmente separati i conti nelle diverse specie monetarie (2) e che si raggua- gliasse poi tutto in unità di conto tenendo calcolo del corso dei cambi. I testi dove si trovano accenni a monete d'oro sono per (i) Sul Revenue Law., app. II, n. 5 in un conto di xepàtia pel pa- gamento deU'àicójAotpa (III secolo a. C. metà) si hanno i seguenti rag- guagli fra U2:uali valori nominali di rame e d'argento : rapporto rame argento rame argento A) col. II T157 dr. 3 ob. =: 1043 dr. 3 ob. 11.09257 : io B) 3429 dr. Va ob. = 3091 di. Vj ob. 11.09257 : io C) 3891 dr. 1V2 ob. = 3399 dr. 4 Vi ob. 11. 151 : io Calcolando in questo testo un rapporto di *°/, fra la drannna d'argento e quella di rame si ricava che lo statere d'argento è ragguagliato quj a 3673 oboli di bronzo. Un corso di 26^3 oboli di rame per lo statere compare in Wilcken Ostraka, I, 331, nel P. Zois, I, 33 (II, sec ), ne] P. Louvre, 62 col., 5 1., 16, nel P. London, III, 1200, 1. 10-12 (192-168 a. C.) y^ctKiiob èv KS e. e nel P.S. I. V., 518 (251-50 a. C.) dove 1408 dr. 4 Vj ob. di rame corrispondono a 1275 dr. 5 ob. d'argento. Nel P S. I., 338 (244 a. C), invece in un conto di à\iv.'f\ ed altre tasse che do- vevano essere pagate in argento lo statere è di 26,43 oboli di rame perchè a 61 dr. i ob. di rame si aggiungono 6 dr. 2 ob. per trasformare il rame in argento cfr. i, 4346 è? tò ^aotXtxòv Sci xà^aoO-at -/aXxo'I/ xal àXla^y] h <;= (h 4Cf). Nel P. Hibeh, 1, 51 (245 a. C.) il tetradrammo di rame pare sia quotato ufficialmente a 25 oboli, xal oópia? Xàjipave é|(a8p)àxfiOoc ^«l ènaXXaYv)? xo5 rni'iQOoc, tòóv Sfpa^iJLwv) (Ò^oXòv) (-^jitwpéXiov), TùooÒTo fàp txxEuat èy PaoiXixoù. (2) Tale è l'uso in Grecia e nell'Egitto sotto il dominio romano. 45 ora assai rari e poco importanti fatta eccezione per il P. Edgard, 5 (del 25 anno del Filadelfo), relativo al cambia- mento del piede monetario aureo avvenuto sotto Tolemeo II. Il P, Edgard, 5, è interessante per la politica finanziaria del Filadelfo il quale colla soppressione dei To{/pu.oi7coO /a[>./CoCI] Axi TT.v £ì^i<7{Jt.svirjv àX^ayriV io; tt.i avaL 'X ò[...t(ov ^è à>.[>.oj]v èvyattuv /aXxoO xal tt.v £t0'.<7(jL£vnv àXXavYìv 'azI, il quale fa supporre che l'oro e l'argento circolassero alla pari dopo le riforme del Filadelfo, perchè in esso è data facoltà di pa- gare una parte delle somme dovute, in oro o in argento ToO xaivoO vop.(<7fj(.aTo; mentre pel rame è prescnito il solito aggio TTiv £Ì0'.(j(jLÌvyiv xXkxyh che è come ho già dimostrato a pag. 44 dovrebbe essere di io dr. e 2 Vg oboli ('). La mancanza di monete d'oro nei testi tolemaici dimostra che questo metallo non era usato che scarsamente nell'in- terno dell'Egitto, mentre doveva essere meno raro ad Ales- sandria ed in generale negli empori coininerciali, perchè è più che probabile che l'uso di valuta aurea per il lom- (n La cifra del I'. Eleph, i^, I. 9, f poco chia: > nicnda- zioni che propone Rubensolin non mi sembrano rntendibili. 46 mercio internazionale, specie quando nel I secolo a. C. il le- tradrammo tolemaico divenne una moneta di biglione. 1 ri- trovamenti di nominali d'oro tolemaici in Egitto confermano il mio punto di vista sia per Tepoca dei Lagidi che per il periodo imperiale. Naturalmente non è possibile dire se l'oro fosse cam- biato sempre alla pari coll'argento specie per i regni degli ultimi Tolemei — ma non è improbabile che ciò sia avve- nuto per il basso rapporto fra i due metalli (12 'ViJ fissato dal Filadelfo in un'epoca in cui l'argento pare valesse circa un decimo dell'oro. Non sono affatto alieno dall'ammettere che anche per l'epoca tolemaica il metallo bianco funzionasse da moneta vera, perchè è evidente che non si può parlare di un vero bimetallismo a rapporto fisso nell'Egitto dei La- gidi quando si confronti la moneta tolemaica con quella con- temporanea degli altri paesi del mediterraneo (i). E opinione comune di coloro che si sono occupati di monetazione tolemaica che nel II sec. a. C. il rame acqui- stasse una posizione preponderante nella circolazione egi- ziana. Quest'idea che spesso va accompagnata col vecchio pregiudizio di un rapporto di i : 120 fra i due metalli è com- pletamente sbagliata. Innanzi tutto si deve osservare che sarebbe stato inve- rosimile che un paese civile quale l'Egitto dei Tolemei in pieno II sec. a. C. fosse tornato da una moneta vera d'ar- gento ad una di rame che evidentemente non avrebbe mai potuto soddisfare alle più elementari necessità del commercio, specie quando fosse stata moneta vera come era l'opinione dei più (2). La differenza fra la monetazione del III sec, e quella della fine del II e I sec. a. C. è puramente formale, perchè in quel periodo essa resta eguale a quella del Filadelfo per (i) Vedi i rapporti fra l'oro e l'argento a pagg. 34 e segg. (2) Anche il ferro in via eccezionale può esser considerato come mezzo di scambio nel P. Tebt. I, 99 (148 a. C), xdiv 8' è^ è?petXY)}i.aTcijv (TCupoù) a8 M 'Bttc6 xa(Xìco5) où {àlla-^ri) xàXavta jxC 'K^v ta[o('vójJLOu)J 'AtS 'Bot atSYj(poo) (tàXavTa) 2. 47 tipi, pesi e nominali coniati e solo alle vecchie unità di conto che prima erano lo statere e la dramma d'argento si ag- giunge la dramma di rame (iccKK.orJ Spa^^pL-f,) unità di conto, che, come fu dimostrato da Grenfell nei P. Tebiunis I, App. II, corrisponde ad Vjooo — ^/isoo ^^ tetradrammo. Il rapporto di I : 500, I : 450 fra la dramma di rame e quella d'argento ci risulta anche da un passo di Festo in generale passato sotto silenzio e travisato dagli scrittori perchè in contrasto colle vedute di chi si occupava di monetazione alessan- drina: questo passo {Script. Meirol.,\\,^i) che sembra sfug- gito anche al Grenfell — Talentorum non unum genus. At- ticitm est sex milium denariornm. T^hodiuni et Cistophoriim quaituor milium et quingentoriim denarium, Alexandrimnn XII denarium^ Neapolitanum sex denarium, Syracusantim triiim denarium, Rheginum victoriati — vale tanto per l'epoca alessandrina che per il principio dell' impero. Esso assegna al talento alessandrmo 12 dramme e per conseguenza alla dramma di argento 500 dramme di rame. Si tratta però di un ragguaglio, di fatto soltanto approssimativo, per le con- tinue oscillazioni alle quali era soggetto il rapporto fra i no- minali d'argento e quelli di rame che molto probabilmente fu scritto per l'epoca tolemaica e per i primissimi anni del- l'impero, come fa supporre l'equiparazione della dramma alessandrina al denario romano (0. Ora il rapporto effettivo fra le dramme d'argento tolemaiche e quelle di rame nel Il-I secolo a. C. è stato determinato da Grenfell in base ai P. Tebtunis /, né dati nuovi sono venuti sinora a rischiarare i problemi connessi colla circolazione della moneta tolemaica di questo periodo, quindi il meglio che ci resta da fare è di rappresentare nelle tavole seguenti i corsi del tetradrammo tolemaico in dramme di rame nel II-l sec. a. C. I M I (1) L'I «. <1lll'.l.l Ì 'i^ 08 .io Testo Data f^ h s §-2 55 73 O a -a a^-^ P. Tebtunis I, 113 114-113 8 + 8 437 Va 1750 I, 185 112 12 375 1500 I, 256 112 12 410 1640 I 112, 1, 122 112 4 487 Va 1950 475 1900 „ h 111 112 8 ' I, 35 III 40 500 2000 1. 116, 184,5 II sec. a. C. (fine) 12 450 1800 ^ „ 1, 116, 1, 4, 5 >f » » 4 + 4 460 ; 1840 ■ . 1> 1^79 n » » 20 495 i 1980 H „ I, 120, 1, 108 97 64 , f 4 ^495 / 1980 „ 1, 40 „ „ ' \ 49 Ì487V2\ 1950 „ 1, 51-54 » » ,12 + 4 487 Voi 1950 .1, 140 1 ' -^ ( '425 f 1700 „ 1, 175 v n 8 ' 475 1900 8 462 7. 1800 : I, 253 96 o 69 6 450 1800 I, 121, p. 502 94 o 61 4 412 V. 1650 1, 1, 5 ,. 260 400 1600 I, 1, 39 t » 6 ,, 1, 1, 55 } }> 8 „ 1, 1, 64 t M 8 ,i » 1, 1, 69 ; -* 4 ,^ ti ì, 1, 81 , M 8 V 1. 1. 139 • » 4 .. n I. 123, 1, 2-3 I sec. a. L. (prii e.) — 462 V-, 1850 1, l, 189 < i 8 400 \ i 1600 I, 1. 209 76 ^ 12 410 > 1640 76 76 16 432 V2 450 458 [ 1730 M » 4 < 1 1800 t» ,; 20 • 1832 II, 475 I sec. a. C. (fine) 8 400 1600 A questi dati do bbiamo a^g-jungeie i seouenti testi : Testo Numero delle Quotazione e Iella Quotazione del di amme scambiate dramma tetradrammo 450 1800 455 1820 P. Paris, 59, 1, 2, 5 8 532 V, 2300 P. London, 29, 1, 6 8 522 V 2050 P. Petrie II, 29 d. 1 >0 625 2500 Dalla fine del II secolo alla metà del I a. C. il cambio della moneta d'argento in rame non presenta più il solito aggio del 10(1); perchè se alla pari la dramma d'argento (i) Quantunque il passo di Pesto assegni alla dramma d'argento il valore di 500 dramme di rame i corsi dell'argento nell'epoca tole- maica sono in genere un poco più bassi. 49 doveva valere 480 /aXxoO W/f^at (O il corso dello statere a 26 Vj oboli avrebbe portato ad assegnare alla dramma d'ar- gento 530 dramme di rame; valutazione che alla fine del II sec. principio del I sec. a. C. non trova riscontro in nes- suno dei testi conosciuti. L'argento in quest'epoca non fa più aggio sul rame come ai tempi del Filadelfo, anzi nella tavola di pag. 48 dove sono riportati i valori delle dramme d'argento in -/^oLky-oO ^pa/(i.ai spesso è il rame che fa aggio sullo statere, il che fu supporre che in quest'epoca il tetradrammo di fronte alla moneta divisionale di bronzo non serbi la posizione privilegiata che aveva sotto i primi Tolemei. Non credo però che il ribasso della moneta d'argento rispetto a quella di rame sia dovuta ad un peggioramento nella coniazione dello statere tolemaico, perchè soltanto sotto l'Aulete comincia l'emissione dei tetradrammi di biglione che diverranno la moneta alessandrina per eccellenza (2). Il corso a 26 '^j oboli dello statere tolemaico aveva cer- tamente un carattere ufficiale (vedi pag. 44) quindi non è dif- ficile ammettere che quando si assegnò alla dramma di rame il carattere di moneta di conto si migliorasse la sua posi- zione rispetto a quella d'argento accordandole una maggiore protezione legale che certamente può avere influito sul corso dell'argento nelFultimo secolo del regno dei Lagidi. Rimane ancora però da sapere se i nominali dei primi Tolemei cir- colassero alla pari insieme a quelli dell'Aulete e a quale epoca precisa si possa far risalire l'alterazione del titolo dei tetradrammi d'argento. Alla prima questione si può tentare una risposta basan- dosi dall'analogia che presenta la coniazione del denaro ro- mano con quella del tetradrammo alessandrino. In generale le monete imperiali d'argento del I e II secolo compaiono (i) La valutazione delle dramme d'argento a 450 dramme di rame assegnerebbe all'argento coll'aggio un corso di 500 dramme, però se- condo me, non alla pari nonostante i dubbi in proposito di Grenfcll P. Tebtunis I, Appendix 11, pag. 600-601. (a) Ancor meno si può pensare ad una pletora di nominali d'ar- gento, che anzi nel II e 1 sec. a. C. sono coniati con maggiore parsi- monia che ai tempi del Filadelfo. 50 con scarse frequenze nei ripostigli dove prevalgono i denari di biglione del III sec. a. C. perchè certamente i vecchi pezzi fatta eccezione per quelli repubblicani che in linea ge- nerale non compaiono nei ripostigli posteriori alla riforma neroniana essendo valutati alla pari con i più recenti, veni- vano per il loro forte valore intrinseco demonetizzati sia da parte dello stato che dei privati. Analogamente ritengo l'ar- gento dell'Aulete e di Cleopatra III fosse calcolato alla pari con quella del III sec. a. C, ma che i Lagidi facessero la fruttifera speculazione di emettere nominali di biglione e di ritrarre nello stesso tempo gradualmente i pezzi di buona lega. Il corso dei cambi della moneta tolemaica d'argento è assai variabile come risulta dalla tavola a pag. 48; negli stessi testi e a distanza di pochi giorni a Tebtunis il corso dell'argento subisce notevoli oscillazioni. Allo stato attuale delle nostre conoscenze è difficile poter stabilire le leggi che regolavano 1 cambi dell'argento. Non credo possibile che nella valutazione dei tetradrammi si tenesse conto del loro peso e del loro titolo come per i so- lidi d'oro bizantini, che un simile saggio avrebbe intralciato completamente il commercio; merita invece maggior favore l'ipotesi di un cambio indipendente dal valore intrinseco dei pezzi che però ci costringe a ricercare le cause delle oscil- lazioni della valuta nelle condizioni del mercato o in dispo- sizioni legali che attualmente ignoriamo nella maniera piij completa. Questo stato di cose muta dopo la conquista romana : si ritorna allora a conteggiare in dramme d'argento perchè la x°^ly.o\) ^p«xP--n tolemaica, usata piuttosto di rado sotto l'im- pero e in generale con un rapporto fisso col tetradrammo era stata già abbandonata dagli ultimissimi Tolemei, l'Aulete e Cleopatra, che erano ritornati ai sistemi di conto del Fila- delfo. Questi però col loro statere di biglione diedero ai ro- mani un esempio di frode monetaria che i nuovi conquista- tori seguirono co.i entusiasmo. 51 MONETA TOLEMAICA NEI TESTI DEMOTICI. Non è dubbio che nei documenti demotici siano ripro- dotte le unità monetarie usate nei testi greci. In linea generale si può affermare che il debeìi corri- sponde sempre a 20 dramme, a 5 stateri e a io kite. Le dramme sono successivamente quelle di Alessandro di gr. 4,285 (i), quelle di Tolemeo Soter, ed infine quelle del Fila- delfo di gr. 3,571 ed anche quando si sostituisce alla dramma d'argento quella di rame come moneta di conto si seguita a chiamare deben 20 dramme di rame equivalenti al TCTap- TTifxdptov e ad indicare col nome di statere e di kite rispetti- vamente 4 e 2 dramme di rame (2), Concludendo le unità monetarie dei testi demotici sono le seguenti: Kerker i Deben 300 i Sttr 1500 5 I Kite 3000 IO 2 I. RELAZIONI FRA LA MONETAZIONE FENICIA E QUELLA TOLEMAICA. Sono note le relazioni commerciali fra i paesi fenici e l'Egitto, che hanno sempre maggiori conferme nei continui ritrovamenti di pesi e misure fenicie nell'Egitto pretolemaico (i) Nel P. Ryl., Ili, pag. 144 del regno di Alessandro IV 2 pezzi d'argento, eguali a io stateri, sono pezzi e. d. attici, vedi pag. 29. (2) Nel II sec. a. C. si usavano nei documenti demotici le unità di rame; come risulta dai papiri di questo periodo (vedi p. es. le cifre dei P. Ryl., Ili, XVI, pag. 139; P. Ryl., lil, XL, pag. 64). Quantunque manchino perora prezzi di mercanzie di uso frequente il P. Ryl. XXXVII, pag. 162-63 della tìne del II sec. a. C. assegna ad un'asina il prezzo di 300 pezzi d'argento che corrispondono ad un talento di rame (12*/, dramme d'argento circa) che si accorda discretamente con altri dati dei testi greci. Per le monete d'oro invece non ho potuto per ora trovare dati precisi. Le unità d'oro sono accennate nel P. Ryl., Ili, XX, 149 (6) e nel P. Ryl., Ili, XXXVII, pag. 163, dove a piccoli pezzi d'oro sono ragguagliati a 40 pezzi d'argento cioè a 800 dramme di rame. In questo caso il piccolo pezzo d'oro corrispondeva in valore a 5 oboli d'argento ed in peso di '/xs d' dramma d'oro. 52 e di misure egiziane nei paesi delle coste orientali del Me- diterraneo però i dati monetari per la loro evidenza e per la loro importanza si distinguono da tutti gli altri. Il gruppo di monete di Sidone che Baheìon {Histoi're de la monnaie. Descripiion historique, II, 2, pagg. 561-671) clas- sifica sotto Bodastoret (Bodastor) 380-374 a. C. e che reca al verso nel carro del re dei re un personaggio che è un Egiziano, come indicano senza che sia possibile il dubbio, il suo scettro, il suo costume, la sua pettinatura, la sua at- titudine, la sua quadratura di spalle e le sue anche strette, si presenta frequentemente nei ritrovamenti in Egitto, in Fe- nicia e sulle coste meridionali dell'Asia Minore (Dressel, Z. /. N., XXII, pag. 243). Queste particolarità e sopratutto la presenza dell'Egiziano dietro il carro fecero pensare a Babelon (op. cit., pag. 563 e segg.) d) che queste monete fos- sero state coniate in una zecca diversa dalle altre e che come i nominali di Sidone, di Stratone III (345-332 a. C.) fossero emesse in Egitto. Del pari evidente è l'influenza egi- ziana sulla moneta di Tiro. Il peso nominale delle monete fenicie non sembra si possa riconnettere facilmente con quello del kkr egiziano di kr. 29.1, ma come si vedrà in seguito sembra piuttosto che possa essere di sovente ricollegato col sistema ponderale giudaico ed alessandrino tardo (2). La moneta delle città fenicie coniata prima della con- quista di Alessandro è rappresentata per lo più dai sicli o tetradrammi fenici di un peso oscillante in generale fra i 14,28 ed i 13,60 grammi circa. Come dimostrerò appresso in questo saggio, il talento giudaico era effettivamente di 43,66 kg. secondo il sistema ponderale, di kg. 42,85 secondo il sistema monetario e si divideva in 50 mine pesanti eguali a 100 mine leggere che corrispondevano alla loro volta rispet- tivamente a 60 e 30 sicli sacri di gr. 14,18. Questi dati però sono confermati solo parzialmente dai pesi dei nominali fenici perchè la monetazione delle varie città era subordinata ad esigenze di natura economica oltre che metrologica (3). (i) Babelon pone queste monete fra il 380 ed il 374 (pagg. 565-72). (2) Vedi le mie misure alessandrine dell'epoca romana. (3) Questi argomenti sono ripresi in un mio saggio di metrologia orientale che uscirà tra breve. 53 Gebal (Byblus) conia stateri di peso in generale inferiore ai 14 gr. (i), Sidone presenta invece una serie di ottadrammi e doppi sicli sacri di un peso assai vicino a quello di otto dramme alessandrine che parrebbero far supporre che il piede fenicio ivi usato avesse per base un siclo di gr. 14,20- 14,00 quasi identico allo statere alessandrino ^2); ma le mo- nete di Sidone col tempo vanno abbassandosi di peso sino a divenir più leggere di quelle di Tiro coniate su uno shekel di gr. 13,80 circa <3). Come si vede è probabile che il piede fenicio differisse di qualche decimo di grammo da una città ad un'altra e da un'epoca all'altra, presso a poco come acca- deva per i solidi bizantini coniati in diverse regioni. Una reciproca influenza fra l'Egitto, la Fenicia e la Siria non può essere negata nel V e IV sec. a. C, ma essa diviene molto più appariscente nel periodo che va dal IV sec. alla fine del IL Allora l'influsso dei Tolemei e dei Seleucidi, di- retto o indiretto, sulla moneta delle città fenicie nell'epoca alessandrina è fortissimo, sia nel periodo del dominio tole- maico durato a Sidone dal 261 al 202 e a Tiro dal 267 al 201-200 che nel periodo del dominio seleucidico, durato a Sidone dal 202 al in e a Tiro dal 201-200 al 126-125. Del resto anche la coniazione dei nominali autonomi di Sidone iniziata dopo il in non si sottrae all'influsso alessandrino (4) (i) Gli stateri di Byblus, coniati dal 410 al 374, pesano gr. 13.89, 13.67, verso il 360 gr. 14.35, 1412, verso il 340 gr. 13.27, 13.15, verso il 333 g»"- 13-56. 13 ao, 1306 (Babelon, op. cit., pag. 535-552). (2Ì Gli ottodrammi di Sidone coniati verso il 475 presentano i pesi di gr. 27.40, 27.10 (frusto), verso la metà del V secolo di gr. 28.25, 28.07, 28.01, 28. Verso il 400 a. C. i doppi sicli pesano gr. 27.50, 27, fra il 380 e il 374, gr. 28.40, 28.33, 28.04, 27, ecc., dal 373 al 362, gr. 25.82, 25.78, 25.75, 25.72, ecc., dal 355 al 361 gr. 25.87, 25.80, 25.50, ecc., sotto il Satrapo Mazaios (359-55) gr. 26, 25.82, 25.77, dal 343 al 338 gr. 25.77, 25.10, dal 349 al 346 gr. 25.96, 25.91, 25.60, ecc., dal 345 al 332, gr. 25.72, 25.70, ecc. (Babelon, op. cit., pag. 543-607). (3) Siclo, verso il 470 gr, 13.80, 1360, 13.47, 15.15, verso la metà dei V sec. gr. 13,65, dal 420 al 400 circa gr. 13.54, 13.50, 13,40, 13.18, al principio del IV sec. gr. 13.28, 13.24, 13.18 (metà e seconda metà del IV sec.) gr. 13.90, 13.57, 13-27, ecc. (Babelon, op. cit., pagg. 607-622). (4) Vedi p. es. il tetradrammo che porta al verso l'aquila sulla prua di una galera. Head, Hist. Num.y pag. 797; statere gr. 14.45. di- drammo gr. 7.01. 54 e così pure quella autonoma di Tiro (126-125 a. C. 56-57 d. C.) (i). Anche Tottodrammo d'oro coniato nel 103 sotto l'in- fluenza di Tolemeo X del peso di gr. 28,33 non può essere che il solito fxvaetov alessandrino, colla differenza però che mentre i Tolemei avevano ridotto le dramme d'oro a gr. 3,48, quelle di Tiro avevano mantenuto inalterato il peso di gr. 3,571 che vigeva in Egitto prima della riforma mone- taria del Filadelfo (vedi p. 26). È quindi certo che nelle città fenicie come nel regno tolemaico il rapporto oro-argento era esattamente di i : 32 72 mentre presso i Tolemei nonostante si facesse valere la dramma d'oro 12* ^ volte quella d'argento, la piccola differenza di peso fra i due nominali faceva risa- lire il corso dell'oro a 12 ^V^g rispetto a quello del metallo bianco (2). Tornando alla metrologia delle monete fenicie un'iscri- zione di un siclo di Tiro ci permette di ricostruire il sistema ponderale fenicio quale è applicato alla monetazione. Esi- stono infatti a Tiro due shekel d'argento (Babelon, op. cit., pag. 611) che recano nel verso l'iscrizione schiloschon che in ebraico vuol dire V30 [di mina] ed un mezzo siclo d'argento con l'iscrizione al verso fna-kntzi kesepk (mezzo siclo) eguale presso a poco in peso ad una dramma alessandrina. Questi dati ci permettono di stabilire che il siclo sacro di gr. 14,18 era eguale ad Vgo di un'unità che come appare immediata- mente non può essere che una mina di gr. 428,5 (3) i cui centesimi sono probabilmente spesso quelle unità che il prof. Petrie chiama dramme assire o dramma attiche ed i cui cinquantesimi sono coniati frequentemente dei nominali di gr. 8,80 circa nei pezzi piìi alti (4). Ci restano da esaminare le altre frazioni del siclo. il siclo sacro si divideva in due sicli volgari, 60"" di mina, questi alla loro volta in 2 mezzi sicli ma-hatzi-keseph o 120°*' (i) Vedi la moneta di Tiro descritta da Head, Hist.Num , pag. 800. Il peso del tetradrammo di Tiro in questo periodo è eguale a quello del tetradrammo alessandrino. (2) Vedi pag. 37. (3) La moneta chiota presenta qualcosa di analogo a questi 30."^ colle sue xtoaapaxooxat di mina eginetica. (4) Gr. 8.B6, 8.85, 8.76, 8.71, 8.70, 8.68, 8.60, 8.42, ecc. 55 di mina che si dividevano alla loro volta in unità di 0,86- 0,80 gi\ che Babelon classifica come triemioboli fenici. Se la classificazione di Babelon fosse esatta questi pezzi corrispon- derebbero ad V48 ^' mina, ma non è affatto detto che la mo- netazione fenicia ammettesse divisioni analoghe agli oboli greci, anzi da Ezech, XLV, 12 (testo greco) e dalTExod. XXXVIII, 25, 26. si ricava che il talento doveva essere rag- guagliato come in antico a 60 mine, ma la mina a ^o shekel soltanto e che quindi il talento era uguale a 3000 shekel, erano divisi in metà o beka Gen., (XXIY , 22, Ezech, XXXVIII, 22) e in 20"* (Ezech., loc. cit.), chiamati gerah o grani in ebraico ed oboli nella versione greca {Jewish En- cyclop. sotto Numismatica voi. IX, pag. 350). E quindi evi- dente che quelli che Babelon chiama triemioboli non sono che i gerah ventesimi di siclo sacro i quali alla loro volta si dividevano ancora per metà. Prendendo quindi a base del sistema monetario di quest'epoca la mina, si ricavano le seguenti frazioni di mina che costituiscono una gran parte dei nominali coniati nelle città fenicie. Mina gr. 428,5, l Siclo sacro gr. U,28. 30, 1 Didrammo e. d. attico gr. 8,57, 50, 1 Vs. 1 Siclo volgare gr. 7,14, 60, 2, 1 V.v 1 Dramma e. d. attica ^r. 4,285, 100, 3 V3, ^. l 'Ai ^ Dramma fenicia o mez- zo siclo volgare gr. 3,57, 120, 4, 2V5, 2, 1 Vv 1 Gerah gr. 0,857, 500, 16 V3, 10, 8 V3, 5, 4 V^, 1 Mezzo gerah gr. 0,428, 1000, 33 7,, 20, 16 V3, 10, 8 V3, 1. Mentre dai dati antichi pare che gli ebrei usassero in origine un talento di 3600 sicli (60 mine di 60 sicli), più tardi dopo la cattività di Babilonia il sistema ponderale giudaico pare fosse mutato in modo che la mina ne contenesse sol- tanto cinquanta. Secondo me è probabile che il talento di 3600 iiicli, fosse quello assiro-babilonese che Erodoto rag- guaglia a 70 mine attiche e che il vero talento ebraico fosse quello che, secondo Giuseppe Flavio, corrispondeva a 100 56 mine (^) che equivalgono, prendendo come unità monetaria la dramma e. d. attica usata in Siria sotto i Seleucidi e conservatasi sotto il dominio arabo (2) a kg. 42,854. Un'altro passo attribuisce alla mina ebraica il valore di 2 Vt libbre che a mio avviso potrebbero essere vere e pro- prie libbre giudaico-alessandrine e non libbre romane perchè dividendo per 50 il talento ebraico si ricava un'unità ponde- rale di gr. 857,08 che corrisponde a due mine di gr. 428,54 e a 2 Vs volte un'unità ponderale eguale a gr. 342,83 assai vicina alla libbra ebraica, secondo me eguale a quella ales- sandrina di gr. 349,83 (3). Il talento giudaico in ogni modo corrispondeva a 3000 sicli sacri eguali al tetradrammo fenicio o a 6,000 sicli voi" gari eguali al didrammo alessandrino. Il siclo sacro di gr. 14,28 corrispondeva a sua volta a 20 oboli (gerah) di dramma seleucidica o alessandrina di gr. 4,285; il siclo volgare a IO gerah. Sui ragguagli dei sicli coi nominali alessandrini non può esistere dubbio perchè se non bastasse la testimonianza degli scrittori dell'età bizantina e dei commentatori dei testi sacri, ci restano le monete attribuite a Simone Maccabeo (143-145 a. C.) o alla prima rivolta dei Giudei di un peso di gr. 14,26 recanti la scritta shekel Israel e i mezzi shekel chatzi-ha- shekel (cfr. Head, Hist. Nitm., pag. 807) il cui peso si ac- corda esattamente con quello del siclo volgare o trentesimo di Tiro recante l' iscrizione ma-catzi-keseph. I testi bizantini che equiparano il siclo a V, e a \'^^ di (1) Il talento ebraico kikkar (pane, cerchio, disco) indica una massa di metallo a forma di disco (cfr. greco «pBotSec ^^puoioo) del peso di 100 mine come risulta da Ioseph, Antiquitates, 86, 7, nella descrizione dei candelabri del tempio " Ao/vio ex ^^poooù xgxcuveDjisvfj Siaxevo? ota6fxòv •XODoa }i.vac Ixatòv, "E^paìot jaèv xaXoùoiv xt^/aps?, «l? 3è xyjv 'EXX*r)viX7]v f*.tTapaXXó|X8vov yXòiooav oirjjxaiVBt taXavtov. Il talento giudaico equivaleva quindi a 125 libbre giudaico-alessandrine come dimostra del resto anche il ritrovamento di un peso campione di un kikkar di kg. 42 circa nel tem- pio di Gerusalemme {The Harvard Theological Review, 1915, pag. 525). (2) Joseph, Antiquitaies, XIV, § 7, i Xaftpàvn 8è, xal Soxòv èXoopHq- XotTOV xp"'3Yjv ix jivùiv Tpiaxooicttv 7ie«0fr)|JLévYiv, 4) 8è fi.và :rap' 4)jjlìv loxótt Xitpa? Suo xal "/jiiioo. (3) Alla libbra alessandrina si deve assegnare il peso di gr. 349,33 circa, ved. A. Segrè, Sistema metrico alessandrino sotto l' impero. 57 oncia romana sono invece inesatti, perchè partono da una dramma neroniana di gr. 3,41 invece che da quella alessan- drina di gr. 3,571, essi quindi in definitivo non fanno altro che ragguagliare il siclo a Vj e ad V4 di oncia che è quella giudaica e non quella romana di 20 e io gerah (D. Altri nuovi contributi alla metrologia e alla numismatica giudaica sono portati dal ritrovamento di alcuni nuovi pesi- campioni. In Palestina sono stati trovati 6 pesi chiamati neseph e 2 pesi di V4 di ntsephi^) dei quali uno reca l'iscri- zione " 5 „. I pesi del neseph sono rispettivamente di gr. 10,20 perfetto, 9,50 (rotto), 8,99 (rotto), 8,68 (bucato), 9,25 (perfetto); i quarti di neseph corrispondono rispettivamente a gr. 2.54 (perfetto) e gr. 2,50 ed i 20'"' a gr. 0,54 circa. Il peso del neseph che può essere calcolato come eguale a gr. 10,20 circa è un poco troppo alto per adattarsi ad essere il 50.'"** della mina babilonese (3), mentre può essere facilmente il 40."^" di una mina monetale di Tiro (4), tanto più che è più logico ridurre ad un piede giudaico pesi trovati in Palestnia che ad un piede, che probabilmente era estraneo a quella regione. Altro peso della Palestina sono il payam di gr. 7,61 e 7,27 (E. Pilcher, op. cit., pag. 115) che può essere rag- guagliato a % di neseph e quindi a metà di quel nominale di circa 15,30 gr. coniato ad Arado fra il 137 e il 46 a. C. (vedi pag. 58) ed il beka eguale a V^ siclo sacro rappresen- (i) Hesych, Strip/. MetroL, I, 325, SixXo? t«xpa8pax}iov 'Attixóv. Dalla Gal., Scrip. MetroL, 238, io, xò oixXov fj^ti Po xò?', e. Gal. 231 e lab. Orib. 245 si ricava l'eguaglianza in peso di un siclo a 3 solidi o ad i statere. L'eguaglianza del siclo sacro a 20 gerah risulta da Epiph, Script. Metrot., I, 275, SixXo; Si èoxt oxaOjAÒ? «f?, «pòi; hi xb àp^ópiov r^óo, xat f ivovxoti òpoXot, x'ó Y^p otxXoc ó ^aotXtxòc x' ò^oXoi elatv xal reap' aXXrj^ xò téxaoxov :•?]'; o(l)f*i*C, tlai l'^L'i e lexicis veteris tebtaiiienii, Script. Metro/., l, 304, ot/Xov òpoXot xéooapt^ ó Jè Hto8tt»pfjxo<; èv xoì? ànópoi? xr^z YP*f*'l'» ^•T*^ otxXov x' ò^oXoóc. Negli Script. Metro/., I, 305, naXiv 8è xò oixXov 3 foxiv •rjfitau xou oxaxr^'^oz, Ttxapxov xyjc oò'Cfiaf: ^x*' Xenxà x' ed in EiMPH, Script. Metro/., I, 266, A«f«i Y^P ^^ '^4* AtuiT'.x(p xò Sé 8i8pa/p.ov «txooi òpoXoi Stt 3è xéxapxóv èoxi x-Fj^ oÒYxta? xò 5t8pax|Aov, -r^òe £?ì'.Ò'Ì''/ e che la schekel si divideva in 4 7 o quarti (YD) 7 ed i quarti a loro volta in io challur (4). (i) Zu den aramaischen Papyri von Elephantùie. Sitztmgsb. d. k. preussl. Ak. zu Berlin, a. 191 1, pagg. 1026 e segg. (2) Il kars era eguale ad *|g di mina assiro-babilonese come dimostra il peso di 2 kars di gr. 166,724. Weissbach {ZDMG, 61,402). (3) Vedi pag. 51. (4) Nell'epoca tolemaica il sckekel era equiparato al tetradrammo alessandrino, il quarto alla dramma e il challur {gerah) ad Vj, di sckekel 6i Sin qui sono d'accordo con Mayer, dove però mi sembra che questi abbia torto è nell'interpretazione della frase che ricorre spesso nei testi aramaici '* argento 2 7 (quarti) per kars o argento 2 7 (quarti) per unità di io sicli „. Secondo il Mayer il kars corrisponde in quei documenti a io sicli me- dici d'argento di gr. 5,6 e il 7 ad */< di ^^^^ cosicché colla frase 2 7 per kars si verrebbe ad indicare la vera unità kars di 83,7 ^v. Questa interpretazione ora non mi sembra giusta : i.° perche trovo arbitraria l'assegnazione del nome kars che era V^ d' marta babilonese ad una unità di io sicli medici che per quanto ho scritto a pag. 22, n. i contraria- mente all'opinione di Mayer non ritengo fossero le unità d'ar- gento correnti in Egitto sotto gli Achemenidi ; 2.° ritengo che il nome (YD) 7 debba indicare il quarto di un schekel piuttosto che un quarto di kars ; 3.° perchè secondo Mayer la Irase '' argento 2 7 più 1 kars „ piuttosto complicata verrebbe a significare sempli- cemente Vg di mina babilonese che è proprio quello che si chiamava kars. Un altro argomento non meno probante è secondo me offerto dal documento L di Cowley assegnato da questi al primo anno d'Artaserse I, epoca della rivolta di Inaro, dove la formula usata per indicare l'unità monetaria, è " nel peso campione di Ptah, argento un schekel per io unità (kars) „ nel quale il Ma^^er attribuisce, secondo me arbitrariamente, a kars il significato di unità di io doppi sicli persiani d'argento di gr. 11,20. Nei testi di Elephantina dell'epoca saitica tarda 2 schekel d'argento sono sempre equiparati ad uno statere quando le relazioni colla Grecia dettero alla valuta ellenica una certa diffusione nel paese, così per es., in questo periodo in un documento di Chabbas del 340 a. C. (O, il deben è ragguagliato a 5 stateri. Secondo me l'interpretazione che si deve date alle formule che indicano la valuta d'argento nei testi aramaici è completamente diversa da quella del Mayer: per me il kars o sesto della mina babilonese è una unità di IO sicli di gr. 83,7, che il siclo eguale al darico era (i) Mayer, op. e.;., |>ai4. 1034. 62 anche una unità fondamentale di peso mentre il siclo medico introdotto in Persia sotto gli Achemenidi non pare avesse avuto diffusione, né in Fenicia, né in Egitto (vedi pag. 22). Il Y37 poi secondo me nei testi citati è un quarto di siclo e non un quarto di kars (i) dimodoché l'unità di misura dei papiri aramaici sarebbe in generale di io V^g schekel o gr. 87,9 ed eccezionalmente di gr. 92,1 nel testo dell'epoca di Artesersel. Nel primo caso l'espressione corrente si presterebbe a supporre un'unità di misura accomodata ad un piede fenicio od attico che infatti 5 stateri ateniesi corrispondono a gr. 87,33 ^ 5 sicli-tetradrammi o sicli fenici di gr. 16,145 corrispondono ad un'unità di gr. 85,7 (2). In effetti i pesi sinora raccolti in Egitto (vedi pag. 17, n. i) ci fanno sup- porre che il piede e. d. attico o assiro fosse più assai dif- fuso del piede del siclo persiano e che le kite d'argento fos- sero d'uso corrente anche sotto gli Achemenidi contraria- mente a quello che sembra ritenere il Mayer. RELAZIONI FRA LA MONETAZIONE DEI TOLEMEI E QUELLA DEI SELEUCIDI. Le monete dei Seleucidi, coniate sullo stesso piede mo- netario di quello di Alessandro il Grande e dei Tolemei hanno per unità ponderale la dramma di gr. 4,285 ^3) e sono (1) Se dovessimo invece dare al YD7 il significato di ^/^ di kars si otterrebbe invece il peso di gr. 135,65. (2) Si deve ricordare ciie deben e kite nel periodo tolemaico hanno sempre indicato unità di 20 e di io dramme siano queste di peso at- tico, di peso e. d. fenicio o dramme di rame. (3) Il peso dei tetradrammi d'argento dei Seleucidi si mantengono in generale inferiori a gr. 17,10 nel BMC. Seleucia Kings of Syria : su un rilevante numero di tetradrammi poco più di una dozzina superano questo peso. La media di questi pezzi più alti è di gr. 17.155, il peso da me stabilito per il tetradrammo attico-tolemaico è di gr. 17,142 mentre quello tradizionale del tetradrammo ateniese è gr. 17,466. Con questo mi sembra dimostrato che la moneta tolemaica come quella se- leucidica deriva da una dramma di Alessandro di gr. 4,2854. 63 assai simili a quelle dei primi Tolemei. Come nella mone- tazione egiziana ed ateniese per unità di conto lo statere è coniato molto più abbondantemente degli altri pezzi; seguono subito dopo, in ordine di frequenza le dramme, i dioboli, i trioboli e gli oboli. Dal regno di Alessandro I (150-145) ri- comincia nelle città fenicie l'emissione sistematica di tetra- drammi il cui peso non può essere determinato esattamente per la poca accuratezza nella loro coniazione. Poiché però essi nei pezzi meglio conservati non superano in generale il peso di gr. 14,25 (i> è da ritenere che gli stateri fenici co- niati sotto i Seleucidi siano senz'altro di peso tolemaico (2), tanto più che l'influenza egiziana su di essi anche in que- st'epoca è notevolissima (3). E da ritenere che le città fenicie soggette ai Seleucidi per ragioni di indole commerciale si servissero di moneta tolemaica e di moneta indigena coniata sul piede tolemaico insieme a moneta di piede e. d. attico quale è quella coniata nella Siria. In moneta siriaca di peso e. d. attico lo statere fenicio corrispondeva a 20 oboli. MONETA D'ORO SELEUCIDICA. L*oro dei Seleucidi è relativamente scarso. Il nomi- nale coniato con maggior frequenza è lo statere di gr. 8,56 che almeno sotto i primi Seleucidi doveva corrispondere in valore al )(pu./cov, ma come dimostra la monetazione ateniese, seleucidica, tolemaica e chiota del I sec. a. C, ecc., che sono tutte più o meno di tipo attico, ai tempi di Alessandro, il jol\y.qz era certamente 67 coniato in rame come lo dimostra il suo stesso nome. La divisione del x*^^^* *" io dramme di rame è invece proba- bilmente esclusivamente tolemaica ('). E certo che la moneta di bronzo che aveva funzione di moneta divisionale aveva naturalmente un corso ristretto al luogo di emissione. Nei mercati dove si convenivano greci di tutte le regioni come p. es. a Delo, probabilmente le banche raccoglievano il rame che scambiavano coll'argento e coH'oro, probabilmente con un aggio che serviva a pagare il servizio che esse rendevano al pubblico. L'ufficio del cam- biavalute (2) aveva nella civiltà ellenica un'importanza assai maggiore di quella odierna, dato l'ingente numero di stati autonomi che emettevano moneta. A questo proposito si deve dire che mentre conosciamo abbastanza bene le leggi colle quali si effettuava il cambio variabile della moneta divisio- nale y.h[LOi nell'epoca bizantina (3), fatta eccezione per l'Egitto, (i) Non credo si possono riferire alla moneta attica il passo tratto da Fozio, Script, Meirol.y I, 330; Suida, Script. Metroi., \, 320, è^oXóc 6 tóxoc ti^oi vo}xia|*aTO':, ò^oXòc 8è nap' 'AQfjvatOK; i^ toT' ^(aXxcùv, ó òè x**^- xoùi; ).8TCiù»v éntà-TÒ de TàXavxov toù ÀpYupcou Xttpòjv tóùv vòv/8oaapu>v xaì vofii- 3{iàTu>v òxxòi xal e »^^.. perchè non esistono oboli attici di 6 x*^*o^ ^ non c'è traccia di una divisione del x^^^^C in 7 Xtictà. Come per la moneta Tolemaica le divisioni della dramma attica non dovevano an- dare oltre il mezzo x*^*^^C se pure non si arrestavano al x*^*^- Po- trebbe forse giovare a risolvere le questioni relative alla moneta di rame attica un buono spoglio delle iscrizioni. (2) Il cambiavalute prende vari nomi xoXXtxTdpto?. àpYt>po{iotpóc, àpYopoicpàtTjc. ecc., vedi p. es. Script. Metroi., I, 307, xoXXtxtdipio?, 6 àp- Yupa}i.oi^ò(; ì^TOt ó «ép(i.a àvrl àp^opioo àXXaoaófxtvo; xpaiitCt'Cf)(:, ò àpYO- poitpàxfj*;. In generale xo^Xu^tCeiv e xtpfxaxt-^ttv sono sinonimi (cfr. Script. Metroi. f I, 306, xtpfiaTiCiiv aòxò tooxBoxi xoXXo^tC«iv). Anche nell' Kgitto pare esistessero banche la cui funzione era puramente quella di cam- biare la moneta: xoXXopioxixal xpanéCat. P. Oxy., XII, 141I, BGU., 74I, BGU., 1053, spesso nel BGU., 1118-1156, P. Hamb , i, C.P.R.I., P. Strasse., 34, PSL, 204. Quantunque non si possa con sicurezza limitare il campo delle uoXXoPioxtxal xpauéCac al cambio delle monete è giusta secondo me la veduta degli editori del P. Oxy., XII, 1419, n. 4, che vedono nelle xoXX. tpait. romane un equivalente delle àjioi^ixol xpanéCoii tolemaiche contrapposte alle xp'HH'-^'''"^*'^*- ^ ttctx*r)pY,xat xpcttiéCai {/\ Oxy.^ XII, 1411. n. 4). (3) A. Segre, Monete bizantine. Rendiconti dell'Istituto Lombardo, a. 1920. pag. 323. 68 nulla sappiamo di preciso delle leggi che regolavano lo scambio dell'argento e dell'oro in moneta di bronzo in altri paesi. Nelle poche iscrizioni finanziare che si riferiscono al cambio di moneta d'argento p. es. nominali attici e vopi HoCkiy.oi in dramme eginetiche di Delfo si deve ritenere che i cambi si effettuavano alla pari, perchè le oscillazioni dei rapporti ponderali fra le varie specie d'argento sembrano dovuti alla imprecisione delle antiche coniazioni. Certo per piccole somme non si bada a differenze minime di peso che d'altronde anche per le grosse partite sono molto spesso compensate dalla maggior voga dei nominali. Per es. dalle iscrizioni si rileva che l'argento di Ales- sandro (i) di piede e. d. attico circolava alla pari con quello ateniese nonostante tra i pesi normali i due tetradrammi in- tercedesse una differenza di circa un terzo di obolo. Il da- rico d'oro, il xP^toO; attico e quello di Filippo di Macedonia pare fossero egualmente quotati, quantunque il darico avesse un peso inferiore di circa un quarantesimo agli altri due sta- teri: è anche probabile che qualcosa di simile accadesse coi nominali d'oro tolemaici di peso ridotto rispetto a quelli di peso intiero e di peso e. d. attico. Si capisce come nei cambi la maggior diffusione di un nominale potesse avvantaggiarlo di un poco rispetto a quelli meno in voga, ma si tratta sempre di aggi minimi (2). Sino a che si rimane nel cambio di nominali di uno stesso metallo non si superano mai certi limiti che presso di noi sono chiamati punti dell'oro e che presso gli antichi forse si dovrebbero piii propriamente chia- mare punti dell'argento, data la preferenza che generalmente si accordava dai greci al metallo bianco. Quando invece si doveva scambiare un metallo con un altro subentrano altre considerazioni. Così come ho dimostrato la moneta d'oro aveva presso i Tolemei un valore nominale i2^7i« (i) Naturalmente sotto il nome di argento di Alessandro si inten- dono anche i pezzi di peso e. d. attico coniati dai suoi successori. (2) Vedi p. es. l'iscrizione del Tholos di Epidauro, Iscriz. Arg., I, 1485, dove la valuta eginetica in pieno secolo era in corso alla pari con quello attico. Invece per un caso di aggio vedi CIG., 2334, dove le dramme di Tenos a parità di peso con quelle Rodie sono scambiate col 5°/, di perdita, Mommsen, Mannaie Rom., I, 51. 69 volte superiore a quello dell'argento, presso i Seleucidi 12 V^ volte, presso i Siculi probabilmente 12 volte; s'intende quindi che ove esistesse la possibilità di un facile cambio in ar- gento, la valuta tolemaica d'oro doveva essere preferibile a quella seleucidica e siciliana e che naturalmente la maggiore o minore difficoltà del cambio in argento, a parità di condi- zioni, doveva influire sul corso delle varie monete. In generale, sulla fine del IV sec, filippi, stateri e da- rici correvano alla pari ed equivalevano a io dramme attiche, anche nel II sec. a. C. i differenti rapporti legali fra l'oro e l'argento dovevano creare afflusso di oro e conseguente uscita di merci e d'argento nei luoghi dove questo metallo era pa- gato più caro. E possibile che in questo modo si possa spie- gare la relativa abbondanza di nominali aurei nel regno dei Tolemei rispetto a quello del regno dei Seleucidi e di altre regioni, ma bisogna andare assai cauti in questo genere di deduzioni quando si rifletta che la storia antica non meno di quella moderna è ricca di spogliazioni di popoli vinti da parte dei vincitori. Si può solo affermare che un basso rap- porto fra il valore dell'argento e quello dell'oro coeteris fa- ribiis contribuiva a mantenere uno stok d'oro nel paese, ma la scarsità di nominali aurei nei paesi ellenici non va spiegata tanto colla preferenza che i Greci dimostravano per l'argento, quanto colle spogliazioni metodiche delle quali andarono soggetti i paesi di civiltà greca da parte dei ro- mani dell'ultimo secolo della repubblica. Evidentemente i rag- guardevoli stok di aurei coniati a Roma da Cesare in poi pro- vengono in grandissima parte da spogliazioni di tesori greci. CAMBIO DELLA MONETA VERA IN MONETA DIVISIONALE. È probabile che il cambio del rame di una stessa re- gione con l'argento e l'oro fosse effettuato generalmente alla pari a meno che leggi forse di carattere fiscale non stabi- lissero un corso della moneta divisionale un poco diverso da quello nominale {xXkoL^rì) come avveniva presso i Tolemei. Dalle iscrizioni anteriori all' impero non credo che un fatto 70 simile risulti chiaramente in paesi che non siano soggetti al dominio dei Tolemei. E del pari probabile che i nominali antichi di bronzo avessero un corso ristretto a pochi anni in paesi che mutavano di regime e di piede monetario con una certa frequenza. Quanto poi alla valuta di rame straniero è evidente che in generale esso non aveva corso e che il suo cambio portava con sé una certa perdita che andava a beneficio del cambiavalute. Ma in generale la moneta antica non poteva allontanarsi molto dal suo valore nominale rap- presentato quasi interamente dal suo valore intrinseco per- chè l'argento che è quasi sempre la moneta vera per eccel- lenza nei paesi di civiltà ellenica è coniato possibilmente puro con un titolo che va per lo piij dal 96 al 98 '^ ^ ga- rantito per l'eventualità di falsificazioni (monete di piombo e di suberaté), generalmente assai rare, dalle saggiature specie nei pagamenti di una certa entità ù). Quanto alle monete d'oro, non credo privo d'importanza l'aver dimostrato che almeno dal II sec. a. C. i Seleucidi, le città fenicie e i Tolemei (dal 270-71 a. C.) avevano sta- bilito che lo statere d'oro valesse 25 dramme d'argento. Mentre sinora si era creduto che nell'epoca ellenistica il rap- porto legale fra l'oro e l'argento fosse di i : io i documenti tolemaici rettamente interpretati ci danno modo di stabilire invece un rapporto fra i due metalli assai vicino ad un 1 : 12 Vg il che prova che i romani derivarono l'aureo certa- mente dallo statere ellenistico dei Tolemei e dei Seleucidi e non certamente dai '/^o\j(soX attici e dai pezzi di Filippo e di Alessandro. La imitazione è troppo palese per non essere immediatamente ravvisata: l'aureo ha in origine il peso esatto di V.J2 di libbra e di due dramme ; se subisce qualche leg- giera modificazione nel peso è solo per adattarsi ai rapporti variabili fra i due metalli preziosi che sono a base della mo- netazione romana (2). A. Segrè. (1) Vedi p. es. nel CIA.y II, 327, àp^oplou 'AXs^avBpeiou 8oxip,aoTà xàXavxa. (2) Vedi A. Segrè, Moneta Alessandrina dell'Impero. FALSIFICAZIONI DI DENARI DELLA REPUBBLICA ROMANA Nell'estate del 1918, durante una mia breve permanenza a Roma, mi vennero offerti alcuni denari della Repubblica Romana, di una certa rarità, che, ad un esame sommario, mi parvero abili falsificazioni, poiché le leggende non corri- spondevano né al tipo né allo stile delle monete cui si ri- ferivano. Le giudicai falsificazioni imperfette atte a gabellare dei semplici collezionisti, non già degli studiosi che avessero rocchio esercitato sulle monete consolari. Rimasi però col- pito per r imitazione perfetta. Per fattura, qualità del metallo, superficie, patina, in nulla differivano da denari autentici. Ora la cortesia di un amico (i) che aveva acquistato un certo numero di questi denari sofisticati insieme ad un mi- gliaio di denari comuni ma di ottima conservazione, mi ha permesso di farne un esame attento che mi condusse ai se- guenti risultati. Si tratta di una quarantina di monete che hanno l'aspetto di denari consolari del tutto normali, di buona conservazione e indubbiamente antichi ed autentici. Questo aspetto al primo momento mi sconcertò alquanto, perché non potevo fare a meno di dire a me stesso : Se è possibile eseguire con conii moderni monete di tale appa- (I) L'ingegnere Pietro Gariazzo di Torino che gentiimcnle ha tallo dono degli esemplari stessi alla Società Numismatica Italiana. A nome della Società ringrazio sentitamente. 72 renza in tutto simili alle antiche, come distinguere le mo- nete autentiche da quelle falsificate ? Ma questa mia meraviglia ebbe breve durata, perchè ben presto mi accorsi che, benché non si vedesse traccia di bulino, un abile, perfetto ritocco aveva contraffatti dei comuni denari facendone risultare denari rari, altri con strane va- rianti, altri ancora con leggende o gruppi dì lettere scono- sciuti. Come dissi, il lavoro di ritocco è, specialmente in alcuni esemplari, assolutamente perfetto ; con forte ingrandimento, e se si è prevenuti, appena si riesce a vedere una lieve al- terazione della superfice laddove è avvenuto il lavorìo del bulino. Il colore nella località lavorata è perfettamente ac- compagnato col resto della moneta. Però, esaminando alcuni esemplari con ingrandimento e a luce radente, si riesce a distinguere una differenza lieve di colore, una tenue sfuma- tura che corrisponde alle lettere o punti asportati. Questo in conseguenza della compressione più o meno forte del conio a seconda delle parti rilevate o compresse, il che pro- duce un grado diverso nell' aggregazione molecolare del metallo. Ho già detto, che malgrado la loro onesta apparenza di autenticità, detti denari non possono certo trarre in inganno chi ha famigliarità colle monete in questione per il fatto che, leggende, monogrammi, ecc., non combinano col tipo normale al quale si riferiscono, trovandosi una dicitura riferentisi ad un personaggio su di un denaro che appartiene ad un altro magari di epoca assai anteriore o posteriore. Credo utile, non solo a titolo di curiosità, ma anche allo scopo di mettere in guardia gli amatori e collezionisti, di il- lustrare alcuni di questi tipi falsificati o per dir meglio con- traffatti. I (due esemplari). Col denaro di Cneus Lucretius Trio a leggenda CN • LVCR nel rovescio sotto i Dioscuri e TRIO al diritto dietro la testa di Roma (Babelon (i), Liicretia, (i) Babelon, Monn. de la Rep. Rom. Paris. 73 n. t) fig. I, si è fabbricato un pseudo denaro di Quintus Fig. I. Lutatius Catulus (Bab., LiUatia, n. i) togliendo le let- tere N • V • R al rovescio e TRI al diritto; il primo C è stato abilmente tramutato in Q (osservando bene se ne vede la traccia); nel diritto poi l'O di TRIO figura come un simbolo con l'apparenza di una coroncina, fig. 2. La Fi! moneta non può appartenere a Q. Lutatius Catulus non solo per il fatto della scoperta sofisticazione, ma perchè in tutto diversa per stile. Basti confrontare la testa di Roma del denaro autentico, vedi fig. 3. I^'g- 3. 74 2. 11 denaro di Q. Marcus Libo, con Q • MARC al rovescio e LIBO dietro la testa di Roma (Bab., Marcia, n. i) fig. 4, Fig- 4. opportunamente lavorato, diventa un denaro a leggenda C . AL riferibile a C. Allius (Bab., Alita, n. 2). Nel di- ritto, con criterio analogo al precedente, si cancella LI O e si ricava dal B uno strano simbolo, fig. 5. Fig. 5. 3. La stessa leggenda, vedi fig. 4, è trasformata in un'altra: AVR legata in monogramma che vorrebbe rappresentare un denaro di Aurelius (Bab., Aurelia, n. 8) fig. 6. Fig. 6. 75 4. Pure dalla stessa moneta di Q. Marcius Libo è ricavato il seguente denaro con Q . L • C sotto i Dioscuri, fig. 7. Fig. 7. Il lavoro è buono; si osservi però lo sforzo per ottenere la lettera L restando Q e C invariati. Si distingue per il tipo, vedi fig. 3. 5 {sette esemplari). Comuni denari di C. Valerius Flaccus (Bab., Valeria, n. 7) con leggenda al rovescio: C • VAL • C • F • in basso e FLAC in alto, fig. 8 sono trasformati Fi-. 8. in fantastici denari di Allius e C. Allius togliendo parte della leggenda in basso e FLAC in alto, fig. 9 e io. La Fig. 9. Fig. IO. 76 contraffazione è assurda portando i denari autentici (Bab., Alita, n. i e 2) i Dioscuri nel rovescio e non la Vittoria in biga, tipo questo assai posteriore. 6. Si comprende che il falsario aveva spiccata simpatia per il nome di Allius perchè opera una quarta trasforma- zione in suo favore, riducendo il denaro di Caius Ante- stius con C • ANTESTI al rovescio e cane corrente al di- ritto dietro la testa di Roma (Bab., Antestia, n. 2), fig. 11, Fig. II in un altro tipo di Allius (Bab., Alita, n. i). Nel diritto il cane, con metamorfosi degna di Ovidio, si trasforma in una specie di coppa, fig. 12. Fior. 12. 7. Riduzione, sempre collo stesso sistema, di un denaro di C. Plutius (Bah.. Fluita, n. i). fig. 13, in uno di L. Itius 77 'Bab., Itia, n. i), fig. 14. Anche in questo caso la con- Fig. 14. trafifazione è assolutamente ridicola, dato lo stile barbaro del denaro di C. Plutius in confronto al normale stile romano dell'autentico denaro di L. Itius, fig. 15. Fig. 15. 8 [quattro esemplari). Per costruire il raro denaro di M. Au- fidius (Bab., Atifidia, n. i) è stato scelto quello di L. Antestius Gragulus (Bab., Antfistiay n. 9), fig. 16. La Eig. 16. leggenda al rovescio è stata opportunamente cambiata in M • AVF, creando una M a spese di due gambe di ca- 78 vallo. Si osservi che le gambe dei cavalli nella pseudo Aufidia sono 6 anziché 8, fig. 17. Fig. 17. La figura 18 rappresenta un denaro con iscrizione ME le- gati in monogramma ma, che dovrebbe riferirsi a un Metellus (Bah., Caecilia, n. i) con quadriga invece dei Dioscuri. Si tratta invece della comunissima moneta di P. Maenius Antiaticus (Bah., Maenia, n. 7) con leggenda alterata, fig. 19. Fig. 18. Fig. 19. Credo inutile consumare altro spazio per illustrare altre falsificazioni sempre dello stesso genere; mi limiterò ad enun- ciarle semplicemente : 10 (due esemplari). Una strana fantastica leggenda: CARISI {sic) tratta dal denaro di C. Aburius (Bab., Aburia, n. i). 11 {sei esemplari). Varianti di S. Afranius (Bab., Afrania, n. 2) con S • AFRA all'esergo sotto ROMA. Non è che il denaro di Baebius Tampilus (Bab., Baebia, n. 12). 12 {due esemplari). Denaro con AVR in monogramma, ridotto dal denaro di Garbo (Bab., Fapiria, n. 7). 13. Denaro con la Vittoria in biga, sotto A. È quello di Sa- ranus (Bab., Atiliay n. i) tolte le lettere S ed R. 79 14- Altro denaro di L. Itius ricavato da M. Atilius (Babelon, Attila, n. 9). 15. Denaro con leggenda A • RI (?) Alterazione di C • ÀBVRI. Infine alcuni altri denari con lettere insignificanti e fan- tastiche ottenute sempre mutilando leggende di denari comuni. Per imbrogliare maggiormente la matassa tra i detti denari ve ne erano alcuni abbastanza rari ed autentici : due di Itius, uno di Aufidius, due con testa femminile sotto i Dioscuri (Bab., Horatia, n. i). * * Come si vede l'opera dei falsari è indefessa e non si raccomanderà mai abbastanza di mettersi in guardia e di stare al corrente di ogni nuova mistificazione. È appunto con questo criterio che ho illustrato uno degli ultimi pro- dotti in materia di falsificazioni. L'arte di contraffare monete autentiche per trarne va- rianti o addirittura monete rare da monete comuni non è certo di oggi, ne di ieri. Anche in tempi lontani e forse più di oggi, questo sistema di contraffazione è stato in onore. Antiche e rinomate raccolte pubbliche e private ne sono più o meno inquinate, ed una revisione attenta di certe raccolte da lungo tempo abbandonate e sepolte nei musei, non solo farebbe risultare che la mia opinione non è errata, ma senza dubbio, riserverebbe molte sorprese in materia di falsificazioni. Per quanto riguarda le monete cosidette consolari, colgo l'occasione per raccomandare che i conservatori dei musei e i collezionisti abbandonino una buona volta l'antiquata ed illogica classificazione alfabetica, o come suol dirsi, per fami- glia. Se Tordinamento cronologico preconizzato da Goltz e desiderato dal Cavedoni d) fin dalla metà del secolo scorso, presentava difficoltà allora, bisogna riconoscere, che dopo gli studi e le ricerche del Salis, Bahrfeldt, Grueber, Hill, ecc., oggi l'ordinare cronologicamente le monete della Repubblica (I) Cavedoni, Ragguaglio storico archeologico citi precipui riposti- gli, ecc., prefazione pag. 9. 8o Romana riesce sufficientemente agevole. Valga l'esempio del catalogo del British Museum compilato dal Grueber (^i) che, salvo qualche lieve modifica in rapporto a studi ulteriori, si può considerare perfetto come base. Col metodo di classifica per famiglie, essendo impossi- bile avere sottocchio le monete contemporanee di date epo- che, si può incorrere precisamente nel pericolo di essere ingannati da monete abilmente contraffatte del tipo delle suddescritte. Basterà invece, mettere una di esse tra quelle che do- vrebbero essere contemporanee, perchè l'occhio più malde- stro riconosca subito, dalla fattura, dallo stile o dal tipo, un anacronismo palese. Febbraio, 1920. Pompeo Bonazzi. (i) Grueber, Coins of the Roman Republic in the Brithis Miiseum. L GROSSO AUTONOMO DI COMO Rileggendo attentamente l' interessante opuscolo del compianto numismatico, dott. Solone Ambroscli, L'Ambro- sino d'Oro (J), argomento da me già trattato (2)^ e sul quale ho intenzione di ritornare, mi vien fatto di rilevare una nota la cui importanza mi era altre volte sfuggita. Si tratta pre- cisamente della nota (3) nella quale si espone che nel ripo- stiglio di Cameri (Novara) ed in quello bergamasco i quali non possono essere, come è stato luminosamente dimostrato, posteriori alla metà del secolo XIV, si è trovato il grosso autonomo di Como (fig. i), attribuito dal Friedlaender alla breve Repubblica Abbondiana del 1447-48, e, malgrado i serii dubbi del Caire e dell'Ambrosoli (4), fino ad ora dai numismatici ritenuto per tale. Or bene, per questa circostanza, e per altre ragioni che andrò esponendo, con " buona pace del tedesco autore „ come ben diceva il Caire " non solo il fatto sembra poco ** probabile „, ma sono arrivato alla persuasione che il grosso autonomo non possa essere stato coniato sotto il governo popolare del 1447-48. L'argomento dei ripostigli è dei più serii e dovrebbe sempre far pensare gli studiosi; è impossibile che si riscon- trino anomalie, e se a tutta prima queste sembrano esistere, andando in fondo alla questione si potranno trovare cose nuove; anomalie mai. Parliamo un po' del nostro grosso. È mia abitudine limitarmi ad un campo assai ristretto di studi, a quello che per ragioni speciali di località e, dirò. (1) L* Ambrosino d'oro (ricerclie storiche numismatiche). Milano» tip. editrice !.. F. Coghati, 1897 (estratto del volume: Ambrosiana, scritti varii pubblicati pel XV Centenario della morte di S. Ambrogio. (2) Rivista Italiana di Numismatica, 1912, pag. 203. (3) ^P- <^i^M L' Ambrosino d'oro, pag. la e 13, nota 2". (4) GaMteita Numismatica, Como, 1881, pag. 47 e i88a, pag. 85. 82 di simpatia, si presenta più indicato ; e, per quanto le mo- deste cognizioni lo permettono, approfondirlo. Como (la cui zecca abbracciava sotto la sua giurisdizione anche il caro mio paesello natale) per il grande interesse delle sue vicende storiche ed artistiche, delle quali magnifici campioni ci sono rimasti, ebbe sempre per me un fascino particolare, e le sue, non molte, ma interessanti monete, fu- rono da parte mia oggetto di costante studio ed osservazione. Orbene, confesso che al mio sguardo il grosso auto- nomo, così interessante per sé stesso, ha sempre avuto un non so che di speciale, una fisionomia particolare, per il che ebbi come la sensazione che non fosse al suo posto. Troppa differenza presentava con quello della Repubblica Ambro- siana del 1447-50; un regresso artistico anziché un progresso su quello di Franchino II Rusca (1408-12) (fig. 3) che pure era la copia perfetta del grosso di Giangaleazzo Visconti per Milano (1378-1402) (fig. 4) : ma pur sotto questa sensa- zione non riuscivo ancora a fermarmi su qualche cosa di positivo, e mi domandavo perchè solo questa moneta non aveva, come le altre, corrispondenza in quelle milanesi. Una circostanza, che per se stessa non avrebbe alcun interesse, ne acquista invece messa in relazione con le altre. Qualche anno fa trovai assieme, in una cittadina nelle vici- nanze di Como, due monete d'argento talmente ed ugual- mente ossidate di nero che sembravano coperte di pece e quasi irriconoscibili; certamente queste due monete dovevano aver passato assieme dei secoli I ripulitele, una di esse era il nostro grosso autonomo, l'altra il grosso di Azzone Vi- sconti per Milano; entrambi della medesima buona conser- vazione. Colla mente sotto queste impressioni rilessi le note del Caire e dell'Ambrosoli ; fu una rivelazione! ecco il motivo, dirò così, della mia diffidenza, ecco il motivo della compa- gnia secolare dei due grossi suaccennata, ecco perché il grosso di Como si trova nei ripostigli di Cameri e di Ber- gamo, che non possono essere posteriori della metà del se- colo XIV: perchè é stato coniato precisamente prima di que- st'epoca; invero confrontandolo colle monete di Azzone Vi- sconti (1335-1339) risulta luminosamente come sia stato co- 83 niato contemporaneamente o quasi al suo mezzo grosso (fig. 2); lo giudichi dalle illustrazioni il cortese lettore. La figura del Santo, le lettere singolarissime, tutto insomma di- rebbe che i due conii vennero incisi dalla medesima mano. Fig. I. Fig. 2. Fig. 3- ''A- }■ 84 E come ciò? Mi mancano il tempo ed i mezzi per poter far ricerche particolareggiate, e d'altronde in questo campo è sempre arduo trovare la documentazione perfetta, ed il più delle volte si deve fermarsi ad induzioni. Può darsi che il grosso autonomo sia stato coniato prima che Azzone assumesse la Signoria della città di Como, dopo aver scacciato Franchino I Rusca (1335) lasciando un mo- mento r illusione ai comaschi d'aver ricuperato l'autonomia comunale; oppure subito dopo l'immatura sua morte (1339) allorché la Signoria della città passò agli eredi dei Visconti, che però non si curarono di battervi moneta (0; quello che è certo si è che, per le suesposte circostanze e ragioni, cor- roborate dal confronto delle monete, non vi ha dubbio che il grosso autonomo fin qui dato alla Repubblica Abbondiana del 1447-48, debba essere riportato a mio avviso indietro di oltre un secolo, verso l'epoca della Signoria di Azzone Vi- sconti, e per ora sotto la seguente denominazione : Moneta autonoma della prima metà del secolo XIV. Torno (Como), agosto 19 19. Pietro Tribolati. (i) Solo nel 1408 venne riaperta la zecca allorché la città di Como passò di nuovo alla famiglia Rusca (Franchino II) precisamente all'epoca del dissolvimento del ducato di Milano per opera del malgoverro di Giovanni Maria Visconti. Tessere di Savoia inedite o corrette Come contributo alla pregiata opera di Vincenzo Promis sulle Tessere di Principi di Casa Savoia o relative ai toro antichi Stati (i) ho il piacere di presentare ai lettori della Rivista due tessere molto interessanti. La prima che io ritengo inedita, venne coniata a ricordo del matrimonio di Emanuele Filiberto duca di Savoia, con Margherita di Francia, duchessa di Berry, avvenuto nel- l'anno 1559. Porta nel campo del diritto lo stemma inquartato di Sa- voia, con la corona ducale e col collare dell'Annunziata sul quale è ripetuto quattro volte il motto: FERI, ed in girci la leggenda esplicativa del motto stesso, cioè: FORTITVDO • ElVS - RODVM • TENVIT. Nel campo del rovescio sono raffigurati due guerrieri che si appoggiano alla lancia con la mano sinistra e con la destra sostengono un giglio fiorito. Sopra lo scudo di Francia entro contorno a cartocci, fra i segni zodiacali di Marte e di Venere. Ai piedi del guerriero di smistra vi è un piccolo (1) Torino, 1879. 86 toro ed un gallo è ai piedi del guerriero di destra, all'esergo due rami d'alloro intrecciati. Attorno la leggenda: GALLIA- FORTIT per Galliae Fortitudo. Data l'allusione del toro al Piemonte e del gallo alla Francia, completata dai simboli di Marte e di Venere troppo chiara risulta Tallegoria, che non ha quindi bisogno di ulte- riore spiegazione. La seconda tessera è illustrata dal Promis al n. 8i del- Topera citata, ma in modo non esatto, forse per la cattiva conservazione dell'esemplare da lui studiato. È stata coniata nel 1558 in onore di Michele Borgarelli da Poirino, consigliere del re di Francia, dalla Camera dei Conti di Piemonte e Savoia. Mentre in quella riportata dal Promis la leggenda del diritto è trascritta così : MIC • B&ARL POD- IVAR • 9DNS • E • COS cioè: Michael Burgarellus Podiovarini Condominus et Consiliarius — nel- l'esemplare da me riprodotto in figura si legge chiaramente R • COS • in fine di leggenda, cioè : Regiiis Consiliarius. Nel rovescio è perfettamente uguale a quella pubblicata dal Promis, cioè porta entro ricca corona d'alloro e di fiori la leggenda in 7 righe : • LACH — AMBRE • - • DESCOMP — TESDEPIE — DMONTET — SAVOIE • - 1558, con sopra una piccola crocetta. Torino, novembre 1919. Emilio Bosco. I IL CARDINALE LAMAKMORA E LE ZECCHE DI CREVACUORE e MESSERANO PARTE SECONDA (1) BIBLIOGRAFIA Adriani (G. B.). — Lettere e monete inedite del secolo XVI appartenenti ai Ferrerò Fieschi, antichi conti di Lavagna e marchesi di Messerano, iltustrnte con nuove annotazioni. Torino, Fontana, 185I (2 varianti di Promis, VI, 11, colla data 1572 e una variante di Promis, IV, 6, ed è tutto). Ambrosoli (dott. Solone). — Di un singolare cavallotto al tipo bellinzo- nese in R. L N,, 1896, pagg. 435-446 (cavallotto anonimo, che però egli attribuisce alla zecca di Messerano dal motto Non nobis, ecc., del diritto, quantunque il rovescio abbia S. Martinus Episcopus, giacché questo Santo lo troviamo anche in un testone di Ludo- vico II Fieschi, edito da Vincenzo Promis e in un altro di Pier Luca II, edito dal conte Papadopoli). Ansberoer (D*). — V. D'A. Argelati (Filippo). De Monetis Italiae, vmriorum illusttium virorum Dis- sertationes. Milano, 1750-59, 6 Tomi, con tavole e figure nel testo. Beeldenaer of te figuer hook dienende op te nieuve ordonnantie van der munte, ecc. Aja, 1608, in-4 (pag. 25, Ludovico II Fieschi, dalle Ta- vole sinottiche di V. Promis). Bellini (ab. Vincenzo, f 1783). — De Monetis Italiae Medit Aevi hacttnus non evulgatis. Dissertazione prima, alquanto varia dalle susseguenti e meno corretta, in-4. Ristampata in Argelati, Tonio V. Idem. — Idem. Disscrtationes quatuor, volumi 4. Ferrara, 1755-79, in-4* Vedi Tomo 3», tav. VI, n. i, Ludovico II e Pier 1.! : 1' « ^ 'i ; (1) Vtdi pane prima tlN, a. XXXII, acconda «erir, 4 » irimeatre, i^iq, pagg. ai9-39Q 88 Tomo i», pag. 50, n. 3, Ludovico II Fieschi ; Tomo 2°, pag. 60, n. i, Lud. II Fieschi; Tomo 3°, tav. VI, n. 2, Lud. II Fieschi; Tomo I, pag. 50, n. 1-2, Pier Luca Fieschi. Berg (Adam). — Neu mùntz biieck. Miinchen, 1597 (riporta monete di Messerano, come può vedersi nelle Tavole sinottiche di V. Promis). Billon d'aur et d'argent de plusieurs royaumes, etc. Gand, 1552, in-12 (pagg. 24, 37, 50, 158, Ludovico II Fieschi. dalle Tavole sinottiche di V. Promis). Bollettino Italiano di Numismatica, 1909. — v. Cunietti. Idem, 1911. — V. Bosco. BoRELLi (Gio. Battista). — Editti antichi e nuovi dei Sovrani principi della R. Casa di Savoia, delle loro tutrici e dei Magistrati di qua dai monti. Torino, 1681, in-fol., fig. (pagg. 324, 327, 329, Fr. Fil. F. F. ; pagg. 355. 356, n. I, 3, 4, Paolo Besso F. F. ; pag. 365, Paolo Besso F. F. ; pagg. 355, 356, n. 2, Carlo Besso F. F.). Bosco (ing. Emilio). — Torino. Attribuì a Pier Luca Fieschi una falsi- ficazione in rame del testone bellinzonese in Boll. It.di Num., 1911, pag. 67. Brambilla (Camillo). — Alcune annotazioni numismatiche. Pavia, 1867, in-8 (tav. ann., n. 11, Ludovico lì Fieschi, dalle Tavole sinottiche di V. Promis ; n. 12, attribuito a Francesco Ludovico Ferrerò Fieschi, principe (1667-85), come rilevasi dalla R. 1. N., 1918, pag. 127, ove è detto trattarsi di un quattrino del tutto simile a quello pubblicato ivi dal Cunietti, salvo che nel diritto invece di LAETA . BEAT . PAX reca ALIS TEGIT). Idem. — Altre annotazioni numismatiche. Pavia, 1870, in-8 (pubblicò ' qualche altra moneta). Bullettino di Numismatica Italiana. — Firenze, anno li, 1867-8, v. Caucich; anno III, 1868-9 (pubblicò una moneta inedita, posteriormente alla Memoria di D. Promis. Forse fu lo stesso Caucich, che infatti con- tribuì qualcosa di Messerano all'annata III, ma non ho potuto ve- dere questa ormai vecchia pubblicazione). Carli-Rubbi (conte Gioan Rinaldo). — Delle monete e delle istituzioni delle zecche d'Italia sino al secolo XVII. Mantova, 1754. Carte on liste contenant le prix de cìiacun niarq^ etc. Anvers, 1627, in-4 (pagg. 45» 74» Ludovico II Fieschi ; pagg. 224, 229. 236, 250, 270, 280, 285, Fr. Fil. F. F. dalle Tav. sin. di V. Promis). Caucich (A. R.). — Monete inedite, corrette o rare. Masserano, in Bul- lettino di Numismatica Italiana, anno II, n. i. Firenze, novembre dicembre 1867, pag. 5, tav. I, n. 2, Paolo Besso F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis (pubblicò anche qualcosa di Messerano nello stesso Bull, di Num. Ital., anno 111, n. a, pag. 17, variante dello scudo di Paolo Besso, Promis, XII, i e non so se altro, non avendo avuto modo di vedere tale antica pubblicazione). 89 Ciani (nob. dott Giorgio, di Trento, /- 13-1-17). — (pubblicò due mone- tine in R. I. N., 1896, pagg. 76-78 : la contraffazione anonima d'un quattrino del doge Marino Grimani, con S. Teonesto e nel rovescio il motto NON NOBIS D... che assegna a Francesco Filiberto, e la contraffazione pure anonima della gazzetta veneta del 1570, con FACTVS • MAIOR • VEHITVR invece di Sanctus Marcus Venetus, che il Ciani attribuisce alla zecca di Messerano perchè sarebbe il pezzo da 6 quattrini che Francesco Filiberto contraffaceva a quelli di Venezia, la gazzetta valendo 2 soldi, ossia 6 X 4 = 24 denari, come ricorda D. Promis, pag. 106). Corpus Nummorum Itaiicorum. — (il volume II, uscito nel 191 1, include la zecca di Crevacuore, pagg. ai8 a 220 e la zecca di Messerano, pagg. 296 a 357 e pag. 497). CuNiETTi-CuNiETTi (ten.-col. barone cav. Alberto). — Roma (pubblicò in Boll. hai. di Num. e di Arte della Medaglia, dal 1906 al 191 1, alcune varianti di Messerano). Idem. — (pubblicò in R. I. N., 1909, pagg. 474-8, dalla collezione Luigi Cora di Torino, un tirolino di Crevacuore, anonimo dei Fieschi, e due varianti di monete già conosciute di Messerano : il doppio giulio contraffatto da Francesco Filiberto e uno scitdo o tallero di Paolo Besso, imitato a quelli di Casale). Idem, col modificato cognome Cunietti-Gonnet. — (pubblicò in R. 1. W 1918, pag. 127 un quattrino-. LAETA . BEAT . PAX, testa a de- stra, cerchio lin., rovescio . SI . ROSTRO . FERIT, aquila spiegata con la testa a sin., e. Un., che attribuì a Francesco Ludovico Fer- rerò Fieschi, principe (1667-85) e alia zecca di Messerano). Damoreau. — Traile des négociations de banque et des monnaies etran- gères. Paris, 1727, fol. (tav. I, pag. 176, n. 5, Ludovico II Fieschi; tav. II, pag. 176, n. 20, Fr. Fil, F. F., dalle l^av. sin. di V. Promis) D'Ansberger. — (tavole di monete, menzionate dal Viani nelle sue an- notazioni al manoscritto del card. Lamarmora). Demole (E.). — Monti, inéd. dans le livre de Zuric/i (citato dal Corpus al n. 15 di Paolo Besso ; è il suo Monnaies inedites d'Italie, Bru- xelles, 1888?). Documenti inediti: Tra le lettere di Gaetano Marini, bibliotecario della Vaticana scritte tra il 1777 al 1790 al celebre G. A.Zanetti e pub- blicate nel 1916 a Roma da Enrico Carusi, scrittore della Biblio- teca Vaticana, ve ne sono alcune con cui il Marini manda all'amico dei documenti sulle zecche di Messerano e Montanaro. Il chiaris- simo Ercole Gnecchi, nella R. 1. N., 1916, pag. 421, scriveva : ** Di ** queste zecche non vi è traccia nell'opera dello Zanetti. Se ne • troverà probabilmente tra i numerosi suoi mss. che da tempo " giacciono inediti e dimenticali e che forse presto vedranno la ** luce ,. 90 Documenti Visconieo-Sforzeschi per la storia della secca di Milano, pub' blicati da Emilio Motta in R. l. N. (1893, 1896), vi trovo i seguenti accenni alle zecche di Messerano e Crevacuore : 39 XII 1519, Novara. — Scuti novi de ... Messerano (i) L. 4 s. 2 d. — ; Testoni (di Messerano) da s. 16 dané 3 l'uno s. 15 d. 6; Grossi (di Messerano) da s. 7 dané 3 l'uno s. 7 d. — . 15 IX 1522, Pavia. — Divieto d'importazione e spendizione delle monete delle zecche forestiere di ... Crevacuore ... Messerano .... I X 1524, Milano. — Bando " dei dinari appellati da cornoni dui, sive da Cavatoti tri fabricati ne la cecha di ... Misserano ... quali pen- sandosi non fosseno fatti in le ceche predicte per la varietate nova del stampo, se spendevano per s. 20 e ale volte per grossono i per caduno „. 19 II 1527, Milano. — " et anchora sono comparsi de dicti denari (gros- soni) da s. 17 fabricati ne la cecha de Messerano, quali hanno da uno canto una Aquila, et da l'altra uno homo armato in pede . . . . valeno solum s. 7 per caduno „. Di nuovo si bandiscono le monete, tra altre, di Crevacuore e Messerano. 31 I 1530, Milano. — Bando delle monete, tra altre, di Crevacuore. I III 1530, Milano. — Bando delle monete, tra altre, di Crevacuore. Dotti (E.). — Tariffa .... secondo l'ordine seguito dal Corpus Nummo- rum Italicorum, voi. 2*. Milano, U. Hoepli, 1913 (è quello che in- clude Crevacuore e Messerano). DuvAL et Froelich. — v. Monnaies, etc. Erbstein. — (citato dal Corpus al n. 74 di Francesco Filiberto). Ferrara (Franc). — Esame storico critico di Economisti (Ter. U. T. E., 1890) (contiene considerazioni economiche sulle monete di queste zecche, voi. II, parte i*, pag. 336, nota 2). Ferrerò (Gio. Stefano, vesc. di Vercelli). — Sancii Eusebii Vercellensts Episcopi et Martyris ejusque in episcopatu successorum viice et res gestce. Vercelli, 1609, in-4 (riproduce a pag. 129 la moneta, Pri-mis. IV, 6 o una sua variante). Una prima edizione di quest'opera porta la data, Roma, 1602. Fioravanti. — Antiqui romanorum pontificum denarii. Roma, 1738, in-4 (pag. 263, Ludovico II Fieschi e Pier Luca Fieschi, dalle Tav. sin. di V. Promis. Ma F . IO come è in dette Tavole stampato e che corrisponde alla suddetta opera, è un errore per F'II cioè il Fio- rino d'oro illustrato, del Vettori). Fiorino {II) d'oro antico illusirato. Discorso di un accademico etrusco. Firenze^ MDCCXXXVIII, nella stamperia di S. A. R., per i Tartini e Franchi, v. Vettori. Frova (Filadelfo Libico). — Lettera al can. F. I. Fileppi. Venezia, 176 1 (riproduce nel frontispizio una variante di Promis, IV, 9 e il IV, 6). (i) Anteriore al 1521, cioè del periodo anonimo dei Fieschi, esiste uno scudo d'oro del sole {Corpus, Messerano, n. 5). 91 Gazzetta Numismatica. — Como, 1881, anno I, v. Miari. Idem. — anno I e IV, v. Rossi. Gradhnigo. — Lettera su quattro monete dei secoli di mezzo. Venezia. 1758, in-8 (il n. 2 della tav. II, Crevacuore). — Indice delle monete d'Italia raccolte ed illustrate dal fu monsignor G. A. Gradenigo ve^ scovo di Ceneda (il n. 60 della tav. VI, Crevacuore); dalle Tav. sin. di V, Promis. Grillo (Guglielmo). — Contributo al Corpus Nummorum Italicorum., in Riv. Hai. di Num., 1914, fase. 364, pag. 365 (In questo articolo, del gennaio 1914, vi sono le seguenti varianti e una moneta nuova spettanti alla zecca d» Messerano : Anonime dei Fieschi : la contraffazione finora inedita d'una mo- raglia modenese con MO ' NOV • C ■ M • C nel diritto e S. GER- MANVS nel rovescio e un sesino contraffatto a quelli di Milano; Pier Luca Fieschi: due testoni; Filiberto F, F. : due contraffazioni di Milano e un quarto con grande F; Besso F. F. : tre quarti, due soldi^ il quattrino papale t la contraf- fazione di Lucerna ; Francesco Filiberto F. F. : la contraffazione veneta e due quat- trini col busto a destra e la leggenda FRANCISCVS nel diritto e rispettivamente NON " NO ' DO * SED ' NO ' TVO " D • GL e SALVS NOSTRA nel rovescio attorno alla croce ; Paolo Besso F. F. : quattrino contraffatto a quelli di Milano ; Anonime degli ultimi F. F. : quattrino del leone di S. Marct» colla leg-enda FACTVS ' MAIOR ' VEHITVR nel diritto e DILIGITE IVSTITIAM nel rovescio. E' da osservare che il primo dei due suddescritti quattrini di Francesco Filiberto, dato come inedito dal Grillo, era già stato pub- blicato in un oscuro giornale di provincia. V Eco dell'Industria di Biella, del 15 novembre 1885, ^^ Cesare Poma, sotto il titolo: Di una monetina inedita della zecca di Messerano. HoFFMANN. — Alter und neuer miinz-schlussel. Norimberga, 1692, in-4 (tav. xii, xiv, xvii bis, xlììì bis — Ludovico II Fieschi; tav. xxvii bis, XLviii, xLviii bis — Fr. Fil. F. F., dalle Tavole sinottiche di V. Promis). JoACHiM (Johann Friedrich). — Das neu eròfnele Miinzcabinet, eie. No- rimberga, 1761, in-4, a spese di Giorgio Bauer (tav. xxx, n i — Carlo Besso F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). KoEHLER. — Historische mùnz-belustigung. Norimberga, 1729-50, voi. 22, in-4 (tav. ix, pag. 113 — F'r. Fil. F. F. ; tav. xxii, pa^. 17 Paolo Besso F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). KuNZ. — Miscellanea numismatica italiana. Venezia, 1867, in-tì (lav. ami., n. 10 — Fr. Fil. F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). Lamarmoka (Cardinale). - Memorie relative alla zecca e monete di .Messe- rana e Crevacuore battute dai Fieschi e Ferrerò Fieschi — MS drl- PArchivio Lamarmora, palazzo Lamarmora, Biella-Piazz> 92 LiTTA (PoMPEOj. — Il fasc.o dei Ferrerò in Fani. Celebri Italiane. Milano, 1841 (Le monete incise dal Litta gli furono comunicate dall' insigne Domenico Promis, come questi ricorda nella prefazione alla sua propria opera). Loopliede handboucxkin. Gand, 1546, in-12 (pagg. 90, 106, 185 — Ludo- vico II Fieschi, dalle Tav. sin, di V. Promis). Maestri (Augusto). — Zecca di Messerano, doppia d^oro inedita del prin- cipe Paolo Besso F. F. Modena, tip. G, Ferraguti, 1915, in-8, pag. 9, ed. di 100 es. fuori comm. (è una contraffazione del 1631 circa, colla leggenda P ■ FER "MA' IDUX " AC • S ■ R ' E • P ' >^ V e al rovescio AV ' MO " DV ' FLOR ritrovata a Spilamberto (Mo- dena) nell'aprile 1915). Manuael of liiste naer de welche de ivissel-bancken, etc. Aja, 1630, in-4 (pag. 29 — Fr. Fil. F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). MiARi (conte). — (Pubblicò qualche moneta di queste zecche in Gaz- zetta Numismatica, anno I, Como, 1881). Molano (?) Giovanni. — De Historià SS. Imaginum. Lovanio, 1594 (ci- tato da Zanetti, III, 205-6 -iccome menzionante le monete di Mes- serano con S. Teonesto) Mowiaies en argent du Cabiiul de Vienne (Dnval et Froelich). Vienna, 1769, in-fol., 2.* ediz. (pag. 468 — Fr. Fil, F. F. ; pag. 469 — Paolo Besso F. F.; pag. 469 — Carlo Besso F'. F., dalle Tav. sinottiche di V. Promis). Monnaies en or du Cabinet de Vienne (Duval et Froelich). Vienna, 1759, in-fol. (pag. 260 e suppl. 74 — Besso F. F.; pag. 260 — Fr. Fil. F. F. ; pag. 260 — Paolo Besso F. F. ; supplemento 74 — Fr. Lud. F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). MoREL Fatio. — Imitations ou coìitrefa^ons de la monnaie suisse. Zu- rigo, 1862 (tav. II, n. II — Besso F. F. ; tav. II, n. 12 — Fr. Fil. F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). Idem. — Monnaies inédites de Genève et imitations italiennes, Zurigo, 1866, in-8 (tav. ann., n. 4 — ma l'attribuzione a Fr. Fil. F. F. non è sufficientemente provata ; dalle Tav. sin. di V. Promis). Idem. — V. Revtie Numismatique belge. Motta (Emilio). — v. Documenti visconteo-sforzeschi. Muratori (Lud.-Ant.). — De Moneta sive jure cudendi numnios in An- tiquitates lialicae Medii Aevi; Diss. XXVII, T. II, Milano, 1739, con disegni, ecc. Museum Nummarium Milano- Viscontianum hoc est quod vir illustris atque nobilissimus Gisbertus Franco de Milan-Visconti, ex antiquis- sima Vicecomitum mediolanensium progenie ortus, Liber Baro S. Rom. Imperli Germanici, Dynasta Hinderstenii, Valdhusii, Bylen- veldae, Rosweidoe, Reyerskopii, Lictenbergae, veteris Rheni, et Kej^kopii, Supremo Procerum Trajectinorum Senatui ab actis, et Consiliis rei. rei. Incredibili studio et opera nec mmori sumptu a maio- 93 ribus suis, avo et patre, apparatum servavit et locupletavit — Trajecii ad Rhenum apud Bartolonieum Wild, MDCCLXXXII (opera menzionata dal cardinale Lamarmora a pag. 153 delle sue memorie^ che ne vide una copia nel 1800 circa in Casale presso il marchese Mosòi di Merano). Ordonnance du Roy sur le descry de monnoyes de billon ètrangères. Lyon, 1578 (citata da D. Promis a proposito di V. 9 e V, io — ma resta dubbio se tratti direttamente di queste due monete oppure di quelle di cui desse sono imitazioni). Ordonnance du Roy sur le faide et règlentent general de ses monnoies. Paris, 1615, i""8 (pagg' 93-94 — Fr. Fil. F. F., dalle Tav. sinottiche di V. Promis), Ordonnance pour les changeurs (o Ordonnances et instruction?) Anvers, 1633, fol. (pagg. 37, 66, 206 — Ludovico II Fieschi ; pagg. 189, 193, 198, 210, 217, 224, 229 — Fr. Fi'. F. F., dalle Tav. sin. di V. Promis). Papadopoli (conte sen. comm. Nicolò). — (Pubblicò 16 monete di Mes- serano e Crevacuore in R. 1. N., 1896, faso. 3.°). Placcard du roy sur le reglement de ses monnoyes. Anvers, 1644, in-4 (pag. 36 — Ludovico li Fieschi, dalle Tav. sin. di V. Promis), Plantino, 1575 (in una sua opera intitolata.... menziona le monete di Messerano con S. Teonesto, a detta dello Zanetti, III, 205-6). Poma (Cesare). — Di una monetina inedita della zecca di Messerano nel- VEco dell'Industria di Biella, 15 novembre 1885 (E* il quattrino ri- pubblicato recentemente, come inedito, da G. Grillo, R. I. iV., 1914, Contributo al Corpus, n. 94). Idem. — A proposito della zecca di Messerano e di alcuni punzoni di monete sconosciute (/?. /. N., 1918, fase. 3-4). Promis (Domenico). — Monete delle zecche di Messerano e Crevacuore dei Fieschi e Ferrerò. Memoria. Torino, 1869, in-4 (Nella prefazione av- verte che per le incisioni si valse anche degli esemplari della col- lezione Lamarmora). Promis (Vincenzo). — Tavole sinottiche delle Monete Italiane. Torino, 1869. Idem. — Monete di zecche italiane inedite o corrette^ Memoria 4.* Torino, 1882, in-4 (' ""• 34-25 della tav. II (Crevacuore); n. 32, tav. III (Lu- dovico II e Pier Luca II Fieschi — oro). E* uno scudo d'oro del sole: uno di questi fu pagato L. 265 alla vendita Durazzo, in Ge- nova, nel 1896; n. 33, tav. Ili (contraffazione antica in rame d'un testone d'argento di Ludovico li Fieschi); n. 34, tav. Ili (Besso F. F.); n- 35, tav. IV, Besso F. F.; nn. 36 a 39, tav. IV, Fr. Fil. F. F. ; nn. 40 a ^a, tav. IV, Paolo Besso F. F. ; n. 43, tav. V, Fr. Lud. F. F.). Reformatio monetarum auri et argenti in ditione citramontanà 111. D. Saò. Duci suddita. Torino, 1529, tav. in-fol. (nn. 4. 6, Ludovico II e Pier Luca II Fieschi; nn. 2, 3, 5, 8, Pier Luca F^ieschi, dalle Ta- vole sin. di V. Promis). Revut de la Numismatique belge, sèrie V, voi. I. Bruxelles. 1869 (L'il- lustre Morel-Falio vi descrisse a pp. 257-8, posteriormente alla Me- 94 moria di D. Promis, un pezzo inedito, Io scudo d'oro esistente a Parigi nel Cabinet des medailles). Revue numismatique frangaise. Parigi, 190I, pag. 76 (pubblicò la moneta che nel Corpus è il n. i di Filiberto F. F. (tav. xxix, io e che è uno scudo d'oro contraffatto a quelli del Delfinato con leggende fantastiche). Rivista Italiana di Numismatica, 1896, v. Ambrosoli, Ciani, Papadopoli; 1909, V. Cunietti; 1914, v. Strada e Tribolati. Grillo; 1915, v. Za- netti; 1918, V. Cunietti, Poma. Rivista Numismatica Italiana, 1865, sospesa dopo un fase, dell'anno II, da non confondersi colla R. 1. K. Rossi (dott. Umberto) in Gazzetta Numismatica, anno I, n. 5, 15 luglio 1881, a pagg. 25, 26 (Alcune monete inedite di Messerano, cioè ro- labasso e cavallotto contraffatti a quelli trivulziani di Mesocco e Roveredo). — Osservazioni sopra alcuni sesini di Messerano, ibidem, a pagg. 33-34. D. Promis lasciò in dubbio l'attribuzione di tre se- sini che i Fieschi contraffecero a quelli di Francesco II Sforza per Milano. Il Rossi adduce varii motivi per poterli attribuire a Fili- berto Ferrerò Fieschi. In ultimo dà poi notizia di un altro sesitio di Paolo Besso, col motto SALVS ' MONDI : il Rossi però non propenderebbe a considerare questa moneta come contraff"atta ai sesini di Piacenza, ma bensì a stimarla " uno dei pochi prodotti genuini dell'officina di Messerano „. — Pubblicò anche qualche altra cosa di Messerano in Monete inedite del Piemonte {Gazz. Num., a. III, pagg. 82-94; a. IV, pagg. 57-62; a. VI, pagg. 81-83), "la '" quale dei citati volumi e quali monete non ho modo di accertare. Saraceno (V.). — // corso delle monete seguito negli Stati del Re di Sar- degna e particolarmente nel Piemonte dal ijoo sino al presente, To- rino, 1782, Toscanelli, in-4. Savoia (Tariffa di), v. sub Torino. ScHòTTLE (dott. Gustav). — Die Mì'inzfàlschungen von Masserano iind Crevacuore, und ihre Einfuhr nach Deutschland ums jahr 16-20 (Ber- liner BIàtter, n. 143, nov. 1913). ScHWEiTZER. — Indice delle zecche italiane (il n. 9 della tav. Ili, Cre- vacuore, dalle Tav. sin. di V. Promis). Sommario dei delitti che vengono ascritti al signor I. F. F. F. principe di Messerano. MS della Bibl. del Re, Torino, mise. v. Ili (In questo processo, preparato tra il 1620 e il 1625, e citato da D. Promis, uno dei capi di accusa si riferisce alle contraff"azioni di questo prin- cipe. Da questo processo devono essere estratti i 16 capi d'accusa noverati in un MS intitolato: Memorie d'Antichità del Principato, presso il geom. A. Gibba Mecco di Crevacuore e dei quali quello delle contraffazioni è il n. Io). Strada (M.) e Tribolati (P.). — Varianti inedite di monete di zecche italiane appartenenti alla collezione M. Strada di Milano in R. I. N.^ 1914, fase. 1, pag. 57 (In questo articolo, del novembre 1913. di ag- 95 giunta al Corpus^ vi sono le seguenti varianti e una moneta nuova di Messerano ; Anonime de' Fieschi — una terlina del K — 3 sesini contraffatti a quelli di Milano ; Besso F. F. — 2 soldi e i quarto ; Paolo Besso F. F. — una trillina contraffatta a quelle di Filippo IV per Milano, con PBF nel centro del diritto sormontato da corona, inedita; e una variante inedita di quattrino. Tariffe citate in D. Promis, Monete di Messerano e Crevacuore e in V. Promis, Tavole sinottiche: Torino, 1529 — v. Torino. Gand, 1546 — v. Loopliede. Gand, 1552 — v. Billon. Tolosa, 1558 — V. Tolosa. Lione, 1578 — V. Ordonnance (resta però dubbio se tratti diret- tamente di monete di Messerano). Anversa, 1580 — v. Tresoor. Monaco, 1597 — v. Berg. Aja, 1608 — v. Beeldenaer. Parigi, 1615 — v. Ordonnance. Anversa, 1627 — v. Carte. Aja, 1630 — V. Manuael. Anversa, 1633 — v. Ordonnance. Anversa, 1644 — v. Placcard. Norimberga, 1692 — v. Hoffmann. Parigi, 1727 — V. Damoreau. Tariffe citate dal card. Lamarmora, siccome contenenti menzione di monete di Messerano e Crevacuore : Parma, 1519 — 14 agosto e 22 ottobre: vedi Zanetti, op. cit., T. V. pagg. 121-125. Germania, 1546 — E' la tariffa di Gand, 1546, che il Cardinale chiama di Germania, come risulta dal confronto delle pagine da lui citate, cioè Der Looplieden Handbouxkin. Gand, 1546 — v. Loopliede. Germania, 1548 — ? Germania, 1550 — deve essere quella chiamata fiamminga dal Viani, qui appresso. Anversa, 1580 — v. Tresoor. Germania o Anversa, 1633 — è la stessa, citata sotto due nomi diversi — v. Ordonnance. Tariffe citate dal Viani nei suoi appunti manoscritti alle memorie del cardinale Lamarmora : Mantova, 1519 — 7 febbr., 2v, "Iv/^^oi; sono [M.-babilineiite (ormati su una radicale comune : 'z/ - aqua. 114 che Achille ricorderà — in Omero — che v* è solo Zeus Cronide, tw obU xpsioiv 'Ay/kóìio; Inoo^oCCzi (//., XX I, 194). I! suo culto fu per tempo largamente diffuso; numerosi altri fiumi delle regioni abitate dai Greci presero il suo stesso nome; e, nelle più antiche rappresentanze, esso è raffigurato come l'origine prima di tutte le acque dei fiumi e delle sor- genti. Ed anche il mito ebbe modo di svilupparsi attorno al venerato dio fluviale (0: una saga era specialmente nota a tutti, quella che narrava della lotta sostenuta da Eracle contro Acheloo per il possesso di Deianira, la bella figlia di Oineus. Durante la fiera tenzone, Acheloo aveva fatto appello alla sua facoltà di assumere forme e aspetti svariati (2), e s'era mutato prima in serpente, poi in toro; ma, in questa sua ipostasi, era stato afferrato per le corna dal figlio di Alcmena che, rimasto in possesso di uno dei corni, spezzatosi, l'aveva regalato ad Oineus, quale dono nuziale (3). Il racconto della metamorfosi di Acheloo in toro dovè colpire in special modo l'immaginazione degli artisti greci, poiché essi amarono rappresentarlo sotto quest'aspetto, ca- ratterizzandone però la figura con una faccia umana sosti- tuita a quella taurina (4). E cosi che il toro androcefalo passò (i) Gli dei fluviali fanno parte del più antico Olimpo ellenico : i poemi omerici li hanno familiari. Nel periodo più arcaico della poesia e delle arti rappresentative, essi sono immaginati come vere e proprie personalità divine, aventi figura umana come gli altri dei. Vedi Roscher, Lex., I, 1487 e segg. (Leiinerdt) e R. £., VI, 2774 e segg. (Wasek) ; Welcker, Griech. Gòlterlehre, I, 652 e segg. ; III, 44 e segg. Non ho potuto esaminare lo studio, del resto assai antico, del Gardner, Greek river-worship^ in " Transact. of the R. Society of literatur „, sec. ser., XI (1878), pag. 173. (2) E questa una facoltà peculiare delle divinità deli'eleniento liquido : si ricordino Neieo, Proteo, Tetide, e, tra i fiumi, cltre all'Aclieloo, il Crimiso (vedi Roscher, Lex., I, 1488). (3) Le più antiche fonti letterarie della saga sono Pindaro ((r. 2490, Schroeder) e Sofocle {Trach., 6 e segg., 504 e segg.). La lotta tra Acheloo ed Eracle è raccontata diffusamente da Ovidio, Metani., Vili, 879-IX, 97. (4) La figura taurina per le immagini dei fiumi comparisce assai per tempo nelTarte, a lato a quella umana. Essa fu pt obabilmente sug- gerita agli antichi dal confronto tra l'irruenza e il muggito del toro e il fragore e la violenza delle acque fluviali; confronto a cui alludono 115 a designare, sui monumenti figurati, il fiume Acheloo ; e poiché " Acheloo „ era il re dei fiumi, il " fiume per eccel- lenza „, così il suo simbolo, il toro androprosopo, fu anche il simbolo di un qualunque fiume divinizzato. Ne ci sembra in realtà tanto strana, quanto parve all'Eckhel, TafTermazione di quell'erudito Ignarra del XVIII secolo: " A veteribus " omnium terrarum fluvios dictos fiiisse Acheloos, Acheloos " adeo esse ipsos etiam Campaniae et Siciliae fiuvios, numos * Acheloi huius imagine insignes jure dicendos Ache- '' loicos „ (I). Tornando ora alle monete di Metaponto, di Laus, di Neapolis, di Reggio, è chiaro che dovremo riguardare il toro androprosopo in esse rappresentato come la figura di un qualche dio fluviale che in codeste città aveva culto, oppure dello stesso vero e proprio Acheloo, col quale esse città si sentissero ancora, in base a qualche tradizione o per ragioni etniche, strettamente collegate. Metaponlion (al doppio! già parecchi passi dei poemi omerici (per es. //., XXI, 237 : ^epLuxòj(; Y/jte taùpoc; parlando dello Scamandro) e di altri poeti antichi. Secondo l'opinione comune (art. cit. di Lehnerdt e Waser), questa maniera di rappresentazione avrebbe preso le mosse dal mito di Achtloo e sa- rebbe passata da questo agli altri fiumi; poi, nelle arti rappresentative, si sarebbe attribuita al toro fluviale — per distinguerlo dal toro co- mune — una faccia umana: e così sarebbe nato il toro androprcisopo. io credo che le cose stieno in parte diversamente, e lo dimostrerò in seguito, (i) De Palaestra Neapolilana, pag. 232. Citato dall' Kckhel, Doctiiua numonitn veleritin, F, pag. 131. ii6 Che la venerazione di Acheloo fosse viva a Metaponto è dimostrato a sufficienza dall'iscrizione che si legge sul ro- vescio di quello staterò del V secolo, nel quale codesto fiume è rappresentato sotto forma umana, con corna e orecchie di toro: un genere di figurazione, questo, che se è solitamente usato per gli dei fluviali in generale, più di rado compari- sce a simbolizzare il vero e proprio Acheloo; ma la nostra moneta ci esibisce appunto una di queste meno frequenti rappresentanze. Siamo evidentemente dinanzi ad un tipo " agonistico ,;, del genere cioè al quale appartiene forse la più gran parte dei tipi italioti più antichi (D; la moneta dovè esser coniata in occasione di un agone celebrato a Meta- ponto in onore dell'Acheloo, in cui ai vincitori si offri forse — come suggerisce il Lenormant [La grande Grèce^ I, pa- gina ii8) — anche un premio in danaro. E importante ri- cordare come anche in Acarnania si tenesse un agone in onore di Acheloo K^)\ cosi che non sembra si possa dubitare che il culto di Acheloo a Metaponto derivasse direttamente, anche nelle sue forme esterne, da quello degli Acarnani. Meno sicuro è il significato del toro androprosopo im- presso sul rovescio dei tipi metapontini già descritti. In ge- nerale si ritiene di dover vedere anche in questo il simbolo dell'Acheloo (3); ma non è da trascurare l'ipotesi del Gar- rucci, il quale vi riconosce l'immagine del fiume che scorre a lato della città, il Casuento (4). In realtà, noi potremo as- sicurarci, nel seguito di questo articolo, che un culto fluviale non manca quasi mai in queste colonie italiote, situate in (i) È questa la teoria sostenuta costantemente dall' Head (v. Inirod.. pagg. Lvii e segg., lxxii, e poi passim, specialmente a pagg. 80 e se- guente e 99). (2) SchoL ad lliad., XXIV, 616. Non riesco a capire perchè il Ba- belon, seguendo un'ipotesi del De Luynes, voglia identificare l'Acheloo venerato a Metaponto col piccolo fiume peloponnesiaco affluente del- TAlfeo, solo per trovare una spiegazione plausibile al culto dei Nelidi a Metaponto {Traile^ II, i, pag. 1396). (3) Di questa opinione fu già il Minervini {Saggio di osserv. riunì., pag. 124), seguito dal Poole, Br. Al. C, It., pag. 244, e, con qualche ti- tubsj^ a, dall' Head, pag. 76. Garrlcci, Le monete dell'Italia antica^ II, pag. 135 (ta\ . CV, n. 7).. 117 una regione dove un rivo d'acqua vai meglio di un filone d*oro ; d'altra parte, tracce di un culto fluviale, diverso da quello dell'Acheloo, troveremo anche nella prima delle mo- nete metaponiine prese in esame : a ragione quindi si può dubitare se questo tipo del toro androcelalo, emesso su per giù nella stessa epoca nella quale a Metaponto si disegnava l'Acheloo in figura umana a corna taurine ^^\ fosse destinato a rappresentare anch'esso l'Acheloo medesimo, o non stia invece a simbolizzare il vero e proprio fiume della città, il Casuento (l'attuale Basento), o, come mi sembra anche più probabile, il Bradano che, oltre ad essere il maggiore de' due fiumi che abbracciavano, coH'estrema parte del loro corso, il territorio della città, era forse quello dalla cui vicinanza Metaponto traeva i massimi vantaggi, anche di ordine com- merciale (2). Poco abbiamo da trattenerci sul toro androprosopo di Laus. Questa città conia, fino dalla seconda metà del VI se- colo, monete incuse i cui tipi ripetono quelli della madre patria, Sibari. Così come quelle di Sibari, le monete più an- tiche di Laus presentano il tipo del toro, con la variante però della faccia umana. È questa la più antica rappresen- tanza che ne troviamo sulle monete; e, al più, potrà dividere con essa il primato di antichità quella delle dracme incuse reg- gine (vedi più oltre). Il fiume simbolizzato dalla figura taurina è qui certamente il Laos, omonimo della citta (l'odierno Lao) (3). (i) In verità, nelle singole serie di rappresentanze, ma specialmente in quelle nimiismatiche, è quasi sempre lecito stabilire una successione cronologica in base alla quale il dio fluviale comparisce prima sotto l'aspetto di loro androprosopo, poi sotto forma umana con corna tau- Tine. Però Tintervallo di tempo che separa i due tipi di rappresenta- zioni, è in generale cosi esiguo, spesso anzi inapprezzabile (cfr. Lehnerdt in RoscHEM, Lex., I, 1490), che non si può, a rigore, escludere la con- temporanea comparsa dell'Acheloo in due monete metapontine dello stesso periodo, sotto il duplice aspetto taurino ed umano. (2) Per la topografia di Metaponto, vedi Nissen, I/ai. Laitdeskunde, II, pagg. 911 e segg., e cfr. " Not. Scavi „, 1877, pagg. 96 e segg., 1883, pag- 350. (3) PoOLE, Br. M. C, It., pag. 235 ; Head, pag. 74 ; Babelon, Tratte, li, 1, pagg. 1419 e sejìg. Diverso è il parere del Gardner (Types^ pa- gma 88) sul significato del toro androprosopo sui tipi italioti; e ce ne occupcicmo in seguito. ii8 Anche a Reggio le monete incuse più antiche, contem- poranee air incirca di quelle di Laus, portano il tipo del toro androprosopo, nel quale fu già dall' Holm (Storia della Sic. ^ I, pag. 360) ravvisato il simbolo del fiume Apsias, presso le rive del quale era stata fondata la città (i). Per determinare il significato del toro androcefalo, che è il tipo comune del rovescio delle monete neapolitane, fa d*uopo richiamarci ad un'altra parte della tradizione mitolo- gica spettante al ciclo, dirò così, acheloico. Acheloo, che è il progenitore delle Ninfe dell'acqua e di tutte le fonti — di Dirce, di Castalia, di Kallirrhoe — è fatto dal mito anche padre delle Sirene, ch'egli avrebbe generato accoppiandosi con una Musa (Calliope, Melpomene o Terpsicore), oppure con Sterope, la figlia di Porthaon (2). Se si pensa che Par- tenope, la divinità poliade di Neapolis, l'eponima dell'antica città che la tradizione voleva distrutta dai Cumani e da loro stessi riedificata sotto nuovo nome (^3), era appunto una Sirena, e il culto di questa dea uno dei piij vetusti e impor- tanti della città, s'intende facilmente come dovesse imporsi all'immaginazione di quei coloni, accanto alla leggiadra fi- (\) Il Babelon (li, I, pag. 1469) sulle orme del Garruccf, ricorda anche che uno dei parecchi torrenti che raggiungono il mare nelle vi- cinanze di Reggio, sembra essersi chiamato Taurociniim. (2) Vedi le fonti della tradizione nei citati articoli in Roscher, Lex.^ I, 7 e 7?. £"., r, 215. (3) I discordi pareri sulle origini di Neapolis si raggruppano attorno a due tesi distinte: l'una vuole che la " Nuova Città,, sia stata real' mente preceduta da una " Città Vecchia „ (Palepoli) il cui nome sarebbe stato appunto quello di Partenope, e che ai Rodi dovrebbe la sua fon- dazione, secondo la notizia di Strab., XIV, 654 (Pais, Sloria della Si- cilia e della Magna Grecia, pagg. 313 e segg.; Busolt, Griech. Geschichie, P. pa?. 395); l'altra sostiene invece che nessuna città esistè prima di Neapolis, la quale fu semplicemente una colonia di Cunia (Mommsen, C /. L., X, pag. 170; BiìLOCH, Campanietr^, " Ergànzungen „, pag. 440; cfr. Griech. Geschichte, P, i, pag. 243; P, 2, pag. 230 ; Byvakck, De Ma- gnae Graeciae hisioria antiquissinio, Hagae, 19 12, prg. 122). In ogni modo, un santuario della Sirena Partenope doveva esistere nel luogo ove poi sorse Neapolis, anche prima della fondazione (o della riedifi- cazione) di questa città da parte dei Cumani (Beloch, Griech. Gesch.y loc. cit.). Sul mito di Partenope a Neapolis, vedi Ciaceri, La Alessandra di Licofrone, Catania, 1901, pag. 241. 119 gura della Ninfa, quella mostruosa del padre sventurato^ nella sua ipostasi più familiare a tutto il mondo greco, e come s'affrettassero i Neapolitani, appena liberi dalla sog- gezione di Cuma, a coniare le loro monete col tipo della Sirena Partenope — o di Pallade Atena — sul diritto, e con quello di Acheloo sul rovescio (i). Anche un altro dio fluviale suo proprio dovè riconoscere Neapolis: T omonimo del minuscolo Sebethos che veniva quasi a lambire i margini meridionali della città. A questa culto annette il Beloch grande importanza; e lo considera, insieme a quelli di Partenope e di Afrodite Euploia, fra gli antichissimi che sopravvissero alla colonizzazione cumana: e ciò può ben ammettersi, se si consideri la parte lasciata al Sebeto nella saga delle origini di Neapolis (2). Mancano però a sostegno dell'ipotesi indizi monumentali o tradizioni letterarie ; poiché l'asserzione del Beloch, che " das Bild des " Flussgottes zeigen einige der àltesten Munzen Neapels „ {CampanieHy pag. 52), sarebbe vera solo se volessimo rico- noscere questa immagine del dio fluviale nel toro androce- falo: ma il Beloch stesso lo identifica col simbolo dell' Acheloo (Camp., pag. 36). Il fiume Sebeto comparisce invece sul ^ di un obolo del IV secolo, in forma di un giovane dio flu- viale, accompagnato dalla scritta SEFEIOO^ ; e una sua edi- cola è ricordata in una tarda iscrizione latina (3). Non è per- tanto da dubitare che il toro androprosopo di Neapolis stia veramente a testimoniare sulle monete il culto di Acheloo; il Sebeto non vi comparisce che più tardi, sporadicamente e sotto forma umana, come fu anche d'uso comune rappre- sentare, in ogni epoca, le divinità fluviali. (i) Le monete di Neapolis non cominciano prima della metà del V secolo, evidentemente perchè non prima di quest'epoca la città avrà potuto rendersi del tutto indipendente da Cuma (Beloch, Griech. Gesch.y l", 2, pag. 230; cfr. Campanien, pag. 30). La testa di Atena sulle monete neapolitane è un indice della colonizzazione ateniese della città (Beloch, Camp., paj^. 30; Pais, Storia della Sic, pag. 323). Vedi la serie delle monete neapolitane in Sambon, op. cit., pagg. 173 e segg., 193 e segg. (2) Beloch, Canipanien^ pagg- 28, 51 e segg. (3) La moneta in Samhon, op. cir., pag. 181 e Hlad, pag. 40. Per il culto del Sebethos a Neapolis, vedi Beloch, Cavip.^ pag. 52. I20 Neapolis (al doppio). Non si dimentichi per altro una differente interpretazione di alcuni i quali vedono nel toro delle monete neapolitane, piuttostochè la rappresentazione deirAcheloo, il simbolo di Dionysos Hebon, il cui culto, com'è noto, fu assai diffuso nella Campania (i). Questa ipotesi fu formulata, per la prima volta, da Matteo Egizio e, sulle sue orme, dal Martorelli ; eppoi ripresa e sostenuta dall' Eckhel, il quale volle dimo- strare che non solo in Campania ma anche in Sicilia, il toro androprosopo inciso sulle monete rappresenta Dionysos He- bon (2). Condivisero più tardi il parere dell' Eckhel — però solo in quanto riguarda le monete campane e, al più, quelle catanesi — il Lenormant (in Daremberg-Saglio, I, 620), il Gruppe (anche riguardo a Tauromenium ; Griech. Myth., I, P^Rg"- 3^7' 3^^' noi^ 6), il Gardner [Types, pag. 183), al quale, nell'asserire che i fiumi non ebbero culto speciale in Campania e che, per questo, il toro androprosopo non dovè stare sulle monete ad indicare un fiume, sfuggirono i legami del mito che riunivano Neapolis alTAcheloo, riguardato quale padre della Sirena Partenope e perciò lì onorato, indipen- dentemente dalla sua identificazione con qualsiasi fiume (3). (i) Su questo cuìro c'informa Macrobio, Saturn., I, 18, 9; il dio è chiamato nelle epigrafi ó èttt'f avéorato; ftióc (/. C, " ft. Sic. „, nn. 716, 717) ed era venerato nei Misteri dionisiaci ncapolitani (vedi Farnjell, The Cults of the greek staies, Oxford, 1896-1909; V, pag. 286). Il Beloch crede questo culto originano da Cuma {Cantpanien, pag. 157) e più re- mote origini beotiche gli ascrive il Gruppe {Gr, Myth., I, pag. 367) (2) V'idi, anche per tutta la storia della questione, Eckhel, Docir. JSum. vet., 1, Diss' rt. Ili, pagg. 129 e segg, (3) Un .ilro sostenitore della tesi dt-lT Eckhel fu il Sacken (Z)/V a«/. Bronzen der k. k. Miim^und Antìken Cabinetes in Wien. Wien, 1871, 121 Qualcuno ha considerato senz'altro questa pretesa rap- presentazione di Dionysos Hebon sotto forma taurina in Cam- pania, come un'erronea deduzione dalla notizia di un antico erudito, basata appunto sulla falsa interpretazione di questi tipi monetari (i). Le testimonianze di un culto di Dionysos Hebon — epiteto ignoto al di fuori della Campania — sono in realtà tutte di epoca molto recente (2); ma, com'è il parere del Beloch, questo dio fu certamente conosciuto e venerato fin da antico in Neapolis, che dovette riceverlo da Cuma. Dioniso è del resto una delle divinità che emigrarono in Oc- cidente con la corrente colonizzatrice beoto-ionica (calcidese); e qua, sede principale del suo culto fu Nasse, in Sicilia, che s'ebbe forse dalla fertile isola egea il nome e la divinità pa- trona della città. E la testa di Dioniso è appunto il tipo delle più antiche monete di Nasso (dal 480 a. C. in poi, per tutto il corso del V secolo : Hill, pag. 39 ; Head, pagg. 159 e segg.) ; su di esse il dio è rappresentato barbato e coronato di quercia, alla moda arcaica. Se i cittadini di Catana aves- sero voluto incidere sulle loro monete la figura di questo dio, avrebbero preso a modello i coni di Nasso, loro madre patria, piuttosto che rappresentare Dioniso in una foggia poco familiare all'arte greca, la quale, se conosce e fa ricor- dare spesso l'origine e la natura taurina del dio, non è usa a raffigurarlo sotto l'ipostasi del toro (3). P^r^S- 59 ^ segg.), il quale crede che anche il toro androprosopo di Gela e di Selinunte rappresenti Dionysos. Vedi la bibliografìa dell'argomento alla nota 9 delia pag. 59. (1) Nel passo citato (Safurn., I, 18, 9), Macrobio, accennando ai vari aspetti in cui si suole rappresentare Dioniso — simulacra parihn ptte- y'tli aetaie partim juvetiili fingimi — aggiunge semplicemente : " Prae- " terea barbata specie, senili quoque, uti Graeci eius quern paaoapéot, "- item qnem Ppioéa appellant, et ut in Campania Neapolitani celebrant "• "il^cuva c(»gnominantes „. Della figura taurina non si fa in verità pa- rola. Clr. SroLL in Roscher, Lex., I, 1149. (2) Le due epigrafi già ricordate (/. C, XIV, 716, 717) suno di epoca romana (cfr. C. l. G, III, 5790, 5790 b, pagg. 722, 1255J. (3) L'origine taurina di Dionysos sarebbe denunziata dal fatto che esso ha sostituito, in alcune regioni (per esempio nell' Elide), rautico feticcio del toro simbolizzante il Sole che, al suo passaggio per questa •costellazione zodiacale, raggiunge la sua massima potenzialità ed effi- 9 1 122 Ma, per quanto riguarda Neapolis — e di conseguenza le altre città campane — credo sia da accogliersi senz'altro la felice ipotesi del Sambon. L'insigne studioso della numi- smatica dell'Italia antica non esita naturalmente a ricono- scere l'Acheloo nella figura taurina dei didracmi neapoli- tani ; e si sofferma anzi a far notare l'affinità di alcuni tipi neapolitani del IV secolo con quelli acarnanici : tali somi- glianze spiega coi frequenti rapporti commerciali tra Napoli e la costa occidentale della Penisola Ellenica in quest'epoca, né trascura di ricordare la tradizione secondo la quale, nel più remoto periodo dell'espansione greca in Occidente, si sarebbero stabiliti a Capri quelli stessi Telebi che si ritro- vano nelle piccole isole, chiamate appunto Teleboidi, fra l'Acarnania e l'isola di Leucade (Verg. Acji., VII, 733 segg. ; Tac. Ann., IV, 67; Plin. Nat HisL, IV, 12, 53). Ma il Sam- bon ammette la possibilità che i neapolitani, perduto di vista il significato originario della figura taurina, l'abbiano a poco a poco rivestita di un nuovo carattere, fino a riconoscervi l'immagine simbolica di quel Bacchus Hebon, il cui culto, dopo la fine del IV secolo, andava assumendo importanza sempre maggiore, come dimostra anche l'abbondanza di sog- cacia generativa e fertilizzante (cfr. Grcppe, Gr. Myth., II, pag. 1427)^ Ma se gli epiteti dati al dio nelle formule del culto e in allusioni delle fonti scritte ci presentano assai di sovente un Dioniso concepito setto il simbolo del toro (ricordo solo Pluf., De Is. et Os., 35: taupójjiopcpa Atovuaou TCOioùaiv àYaXjiaxa tzoWoX tcLv 'EXX*f]vu)v), non consta che l'arte abbia dato espressione a questa forma di rappresentazione: in generale essa si è limitata ad assegnare al nuovo dio alcuni attributi dell'antico feticcio taurino (le corna o la pelle), raffigurandolo, nel periodo arcaico, in forma di uomo barbato, e più tardi, dal V secolo in poi, con aspetto giovanile (vedi Stoll in Roscher, Lex., I, 1149; Kern in R. E., V^ 1041, 1044 e segg. Lenormant in Daremberg-Saglio, I, 619, attribuisce una parte più notevole all'ipostasi taurina di Dioniso nell'arte; ma il solo gruppo di monumenti ch'egli cita in proposito — a lato di altri due o tre meno significativi ed esibenti, del resto, la figura del toro ordinario e non quella del toro androcefalo — è questo appunto delle monete di Neapolis e di Catana). E, in generale, " bei den Griechen " finden wir kaum ein bemerkenswerthes Beispiel dass ein Gott in " volstàndiger Thiergestalt vorgestellt oder nach ihr genannt wàre „. (Welcker, Griech. Gòtterlehre, I, pag. 63 ; cfr. II, pag. 597 e segg., e vedi quanto scrive lo stesso Sacken, op. cit., pag. 59). 123 getti relativi ai misteri dionisiaci sui vasi campani ('). La tesi del Sambon è da ritenersi la più prossima al vero ; e ve- dremo in seguito com'essa debba applicarsi anche ad alcune apparizioni del toro androprosopo su monete siciliane, ove sarebbe difficile riconoscere al mostro la funzione di simbolo fluviale. III. Ritorniamo ora al primo gruppo di monete, le quali portano l'eflìgie del toro, rappresentato sotto il suo aspetto ordinario: come risulta dal nostro specchietto, questo gruppo comprende i due coni della prima e seconda Sibari, i tre tipi di Turii, gli stateri d'argento di Posidonia e di Siris e un " hecte „ di Metaponto. Il significato della figura taurina si presenta su tutte queste monete assai pili incerto; conseguenza di tale incer- tezza è la diversità, ed il contrasto anzi, delle interpretazioni per essa proposte. Su un punto solo sembrano concordare i pareri degli studiosi: sul carattere fluviale del toro degli stateri di Turii (2.° e 3.° tipo della nostra serie); carattere che sarebbe in modo abbastanza palese indicato dal pesce che è di solito inciso nell'esergo, e dall'aspetto stesso del toro, rappresentato nell'atto di slanciarsi alla carica, quasi a render l'immagine dell'impeto delle acque del fiume. Questo ,So'j; Oo'jzio; starebbe a simbolizzare qui, secondo alcuni, la fonte Oooiia, la quale pare sgorgasse fuori dalle rocce nelle vicinanze della città che da essa appunto avrebbe preso il nome; secondo altri, esso raffigurerebbe invece, più sempli- cemente, il fiume Crathis (2). Ma nel toro Sibarita, accanto a coloro che lo conside- (1) Samhon, Monnai^'s uni. de l'Italie, I, piig. 173, nota i e pag. 181. Alla tesi del Sambon aderisce I'Hiìad, pag. 39. Sulla sostituzione di si- gnillcato intravista dai Sambon influirono indubbiamente le affinità che ravvicinano Acheloo a Dioniso, sia nel culto — specie quale esso era in Acarnania e in Etolia — sia negli elementi originari costitutivi delle due figure divine (Guuppe, Griech. Myih., I, pag. 343). (2) Alla prima tesi è favorevole il Gahdnkk, Typ., pag. 123; alla seconda THead, pag. 87. 124 rano come un simbolo del fiume Crathis, v'è chi vede sol- tanto un rappresentante dell'armento bovino, fonte di ric- chezza per la città, e chi lo riguarda invece come un em- blema del culto di Posidone, che gli Achei avrebbero por- tato dalla madre patria nelle loro colonie, denominando anzi dal nome di questo dio una di quelle città, Posidonia (i). La stessa divergenza di interpretazioni si ripete pei tipi di Po- sidonia, nella cui figura taurina non si può non riconoscere uno sviluppo di quella di Sibari; sicché anch'essa viene ri- guardata come la rappresentazione di un fiume oppure del dio protettore della città, di quel Posidone che è raffigurato in atteggiamento pieno di fierezza e di maestà, sul diritto delle stesse monete (Head, pag. 80). In verità, la figura del toro ordinario, a differenza di quella del toro androprosopo, riveste, nelle arti rappresen- tative e, per quel che particolarmente ci concerne, sulle mo- nete, un significato di volta in volta diverso, nelle differenti località e nelle varie epoche, a seconda dei culti o delle leg- gende predominanti nelle singole regioni (2), È noto d'altra (i) Per il CraUiib sianm; n uaiu-j.dxn, i ntuc, 11, i, pagg. I412 e segg. e r Head, pag. 84; la seconda interpretazione è quella del Pais, S/orm della Sic, pag. 36, seguito dal Bu.solt, Griech. Gesch., P, pag. 399, nota 3 (vedi anche Millingen, Consid., pag. 10); per Posidone sta infine il Gardner, TypeSj pagg. 38 e segg., il quale è pertanto costretto ad am- mettere che il toro sibarita, passando sulle monete di Turii, mutò si- gnificato e, anziché rappresentare il dio del mare, divenne, quale fjohi Ooópios, un simbolo fluviale. Indirettamente si dichiara contrario a rico- noscere in queste figure taurine un simbolo fluviale il Leiinerdt (in RoscHER, Lex., I, 1489), in quanto afferma che " i-t in der That kein " Monumeut bekaunt, wo ein Fiussgott als reiner stier erschiene „. Per la figura taurina in rappresentanza di Posidone sulle monete, vedi EcKHEL, Doctrina Num. vet., I, Dissert. Ili, pagg. 129 e segg.; sul toro nel culto di Posidone, vedi Groppe, Griech. Myth., II, pag. I138. (2) In Macedonia, sulle monete di Orrescii, troviamo disegnati i buoi intenti al lavoro dei campi (Im.-Bl. -Keller, tav. Ili, n. 27, pag, 20; Head, pag. 195); sui tipi delle città cretesi, il toro con i piedi legati, come a Phaistos, ricorda una delle imprese di Eracle (Im.-Bl.-Keller, tav. HI, n. 32, pag. 21; Head, pag. 473), oppure è il simbolo del mito di Europa, come a Phsistos stessa (Head, pag. 473) o a Lappa (Im.-Bl.- Keller, tav. III, n. 42, pag. 22; Head. pag. 470): ma in qualche altra località, anche al di t'uori dell'Occidente greco, lo vediamo comparire in funzione ai simbolo fluviale. 125 parte che ii toro si trova fra gli animali che stanno al se- guito di Posidone e di Dioniso e che anzi, quest'ultimo dio è spesso raffigurato, se non in fii^ura taurina, almeno però con attributi propri di quella fiera (i). S'intende bene, così, come il IVIillingen e il Pais abbiano pensato che i coloni di Sibari e di Siris incidessero sulle loro monete il toro, quale indice delle prospere condizioni agricole di quelle regioni, seguendo del resto in ciò una consuetudine generale degli italioti a cui ho già accennato (pag. 112, nota i) e della quale sono tipico esempio i coni incusi di M'i^taponto esibenti la / Sybaris (al doppio). spiga di grano, emblema, almeno in origine, non del culto di Demetra, come generalmente si crede, ma della coltiva- zione dei cereali (2). Meno giustificata è l'ipotesi del Gardner, (i) Cfr. quanto ho scritto a pag. 121, nota 3. (2) L'interpretazione corrente della spiga di grano, sulle monete arcaiche di Metaponto, come simbolo di Denictra, ha generato l'opinione comunemente accolta, che il culto di questa dea sia stato, tìn da antico, il più importante della città; mentre altri vede in Apollo il dio princi- pale dei Metapontini (Busolt, Griecìi. Gesc/i., I^, pag. 41 1). In realtà la spiga di grano è piuttosto uno " stemma „ della città, che ne riassume il carattere essenzialmente agricolo (Busolt, pag. cit., nota 2), ed è tipo che si ripete costante sulle monete di Metaponto, in unione con la figura di divinità diverse. È inoltre da not;ire ciie la spiga di grano è attributo di Demetra solo nel cullo eleusino (/(*. /'.., IV, 2749). 120 che il toro stia sulle monete italiote (all' infuori di quelle di Turii) a simbolizzare il culto di Posidone. Mancano argo- menti per sostenere siffatta tesi; giacché questo culto non è testimoniato altrimenti per Sibari, per Siris e per Metaponto, mentre a Posidonia, dov'esso teneva invece il primo posto fra quelli della città, la magnifica figura del dio occupa tutto intiero il campo degli antichi stateri incusi e delle successive monete. La comparsa in queste del toro sibarita (sul rove- scio dei tipi con Posidone) non convalida, ma, secondo me, infirma la teoria del Gardner. Io credo invece che la figui'a del toro sia dappertutto, su queste monete, un simbolo fluviale. E se ne osservi, in primo luogo, il disegno sui diversi tipi. II toro delle monete della prima e della seconda Sibari e di quelle di Siris è evidentemente lo stesso; e se lo rav- Laos (al doppio). viciniamo al toro androprosopo degli stateri di Lao, ci ac- corgiamo subito della stretta parentela che intercede fra questo e quelli. Sul rovescio degli stateri di Posidonia, l'at- Poseidonia (al doppio). 127 teggiamento del toro è un po' mutato: l'animale non è più disegnato immobile, fermo sulle quattro zampe e voltato a guardare indietro; ha invece la testa protesa in avanti, al- quanto abbassata, come si preparasse a camminare. In una posa identica lo vediamo ritratto sui coni più antichi di Turii, dai quali derivano, con progressivo sviluppo, i tipi successivi dei nummi del V e del IV secolo, sui quali il toro ha accentuato la sua posizione di marcia, fino ad apparire, sui tipi più tardi, come lanciato ad un furioso galoppo. Fi- Thurioi (al doppio). nisco con un raffronto dei disegni metapontini: questa città che incide, nelle sue monete del V secolo, una testa di toro androprosopo, a rappresentare uno dei fiumi che le erano sacri (sia esso qui l'Acheloo o il Bradano), aveva già co- niato un antico " sesto „ incuso, probabilmente anteriore al 500, con una testa di toro. Da tutto ciò è facile tirare la conclusione : dovunque, sulle monete delle città italiote, troviamo il toro ordinario, lo vediamo sempre svilupparsi, in tipi derivati e più tardi, in una figura taurina che ha evidenti le caratteristiche del simbolo fluviale; sia questo il toro androprosopo di Lao e di Metaponto o il toro caricante, accompagnato dal pesce, degli stateri di Turii. Quando dunque, poco dopo la metà del VI secolo, le città della Magna Grecia hanno incomin- •ciato a batter n'.oneta, gli artisti di quelle zecche adottavano 128 ancora, come simbolo della divinità fluviale — e fors'anche dell'Acheloo stesso, perchè nulla vieta di identificare col dio acarnano-etolico la testa di toro dell'antica " hecte „ meta- pontina (i) — la figura del toro ordinario. Seguendo la cor- rente predominante nelle arti rappresentative, questa figura si è trasformata ben presto in quella, pili significativa, del toro androprosopo; e a Turii, dove, per ragioni che chia- merò " araldiche ,;, si è preferito conservare intatta la figura taurina che era stata lo stemma di Sibari, alle mosse del toro fu aggiunta Tevidenza dell'impeto e dello slancio delle acque torrenziali, indicate anche chiaramente dal pesce na- tante nella stessa direzione del toro. Ho detto che quando le città italiote emisero i primi tipi monetari, gli artisti che li disegnarono, " adottavano an- cora „ la figura del toro ordinario come simbolo fluviale : intendevo con ciò significare che il loro disegno presentava già fin d'allora un carattere arcaicizzante, giacché la sosti- tuzione del toro androprosopo al semplice toro doveva es- sere ormai un fatto compiuto. Ed ecco perchè Laus, le cui prime monete non possono essere che di qualche decennio posteriori a quelle di Sibari e di Siris (2), disegna già il (r) Cfr. Head, pag. 75. (2) Benché alcuno giudichi in modo diverso (L.acava, Del silo di Blanda, Lao e Tebe Lucana, Napoh, 1891, pag. 37), è evidente che Laus fu fondata dai Sibariti, a' cui floridissimi collimerei necessitava uno sbocco sul Tirreno (Nissen, Ital. Landesk.^ II, pag. 921), qualche decennio prima della loro caduta (Busolt, Griech. Gcsch., I-, pag. 400; Beloch, GriecJi. Gesch., 1-, i, pag. 238) forse anteriormente alla fondazione della stessa Posidonia (vedi Pais, Storia della Sic, pag. 247; Galli, Per la Sibarilide, Acireale, 1907, pag. 119; Byvanck, De Mngnae Gracciae hist., pag. 108); e quest'ultima città, la cui esistenza alla metà del VI secolo si rileva da Erodoto (1, 167), era probabilmente già in vita da un pezzo all'epoca del ricordo erodoteo (vedi Pais, Storia della Sic, pag. 246 e app. IX; Beloch, Griech. Gesch., 1^, 2, pag. 230). Non è verosimile però che Lao, la quale non fu fino al 510 che uno scalo commerciale della sua grande metropoli, abbia battuto moneta prima di Sibari : e perciò i suoi tipi col toro androprosopo saranno certo posteriori a quelli sibariti col toro comune, e quindi anche per il disegno i primi derivati dai secondi. Mi sembrerebbe anzi piij naturale pensare che Lao abbia. 7 129 fiume omonimo della città sotto forma di toro androprosopo (insieme a quello di Reggio, l'esempio più antico che cono- sciamo), mentre il toro comune si mantiene immutato, per forza di tradizione, a Sibari, fino alla caduta della città {510 a. C.) e si ripete poi sui tipi di Posidonia per ragioni che potrei anche qui chiamare araldiche e che meglio indi- cherò come politiche: delle quali vengo ora a parlare. Riprendiamo la tesi del Gardner (vedi pag. 126), che il toro sulle monete di Sibari e di Posidonia sia l'emblema del culto di Posidone: come ho detto, la comparsa del toro si- barita sul rovescio dei tipi posidoniati rappresenta un argo- mento in opposizione a questa teoria. Secondo la tradizione generalmente accolta, Sibari sa- rebbe stata fondata da coloni achei e trezeni, che avevano scelto a loro ecista un certo Is di Elice (i). In progresso di tempo, intervenute gravi discordie fra i due principali ele- menti costitutivi della città, i trezeni, che dovevano essere in minoranza di numero, si videro costretti a sloggiare, ed andarono a fondare sulle coste tirrene, presso le foci del Silaro, la nuova colonia di Posidonia (2). Di lì a non molto però, la potenza e l'orgoglio dei sibariti furono fiaccati nella guerra contro Crotone. Rovinosamente vinta, Sibari fu di- strutta (510 a. C.) e i suoi cittadini costretti ad emigrare in cominciato a coniare i suoi stateri solo verso il 500, posteriormente cioè alla caduta di Sibari. Anche Scidro, fondata dai Sibariti, a simiglianza di Lao, nel periodo della loro massima espansione commerciale e presso a poco dunque alla stessa epoca (Pais, op. cit., pag. 247 ; Busolt, op. cit., 1-, pag. 400; Galli, Sibarit , pagg. 119 e segg.), non battè mai mo- neta per proprio conto, nemmeno dopo la catastrofe della madre patria, di cui risenti forse il contraccolpo più rudemente della città sorella. (i) La fonte principale della tradizione è Strabone, VI, pag. 263; della partecipazione dei Trezeni serba il ricordo Aristotele, Pol.^ V, 5» IO (pag. 1303). Vedi Pais, Storia della Sic, pag. 190 e Ricerche sloriche e geogr. sull'Ital. ani., pagg. 43 segg.; Busolt, Griech. Gesc/i., V\ pag. 398. (2) Secondo un'interpretazione delle fonti proposta dal Pais [Storia della Sic, app. IX, pagg. 533 e segg.) e accolta favorevolmente (cfr. Busolt, Griech. Gesch.^ 1", pag. 400; Byvanck, op. cit., pag. iio). Con essa sembrano concordare i dati offei ti dalle monete. I30 altre terre in cerca di asilo (i). Qualche decennio piij tardi, approffittando della debolezza di Crotone, dilaniata dalle di- scordie civili suscitate dal movimento pitagorico, i Sibariti tentarono, con l'aiuto dei Posidoniati, di ricostruire la loro città; ma, dopo esservisi mantenuti cinque anni (453-448), ne furono di nuovo scacciati dai Crotoniati. Chiamarono essi al- lora nuovi coloni dalla Grecia ; e ne vennero da ogni regione, e a capo dell'impresa si pose Atene che stava allora ag- giungendo successo a successo nella sua attiva e feconda politica occidentale. Fu fondata così, nell'anno attico 444-3, nel luogo ov'era sorta l'antica Sibari, la città che si chiamò più tardi Turii. Ma i sibariti non poterono ottenere — o mantenere — nella nuova colonia la posizione privilegiata che avevano sperato; dovettero perciò s'oggiare anche di qui, e fondarono allora una nuova (terza) Sibari sul fiume Traente (2). Vediamo ora se e come i tipi delle monete accompa- gnano lo svolgersi di questi avvenimenti. I coloni stabilitisi a Sibari non poterono coniare che per pochi decenni : dalla metà del V secolo circa al 510, anno della distruzione della città. Perciò le loro monete non presentano che un solo tipo: quello del toro incuso. Ed è esso il fiume Crathis, la cor- rente benefica, irrigatrice e fecondatrice della pianura, fat- tore indispensabile di produzione e di vita Ì3\ Ma i trezeni, (i) Per la storia di questo periodo, vedi Galli, Per la Sibaritide, pagg. 56 e segg., 139 e segg. ; Beloch, Griech. Gesc/i., 1-, i, pag. 383. La tradizione vuole che Lao e Scidro abbiano ospitato i Sibariti cac- ciati dalla loro città (le fonti raccolte da Byvan'CK, op. cit., pag. 126, nota 2). (2) Beloch, Griech. Gesch., IP, i, pagg. 199 e segg. Sulla fondazione di Turii, vedi Galli, Per la Sibaritide, pagg. 144 e segg. Per Sibari sul Traente, vedi anche Nissen, Ital. Landesk., II, pag. 935. Sulle vicende dei Sibariti, dopo la distruzione della loro città, vedi le conclusioni del Kahrstedt, Ziir Geschichte Grossgriechenlands in V Jahrhunderi^ in " Hermes „ LUI (1918), pag. 180 e segg. (3) Non soltanto per Sibari fu il Crathis oggetto di venerazione, fin dai tempi più antichi ; anche il giovane dio fluviale che occupa il rovescio delle monete di Pandosia della seconda metà del V secolo, è 131 costretti a cercarsi una nuova dimora e stabilitisi alle foci del Silaro, imprimono le loro monete con un tipo diverso ; con la figura del loro dio piìi venerato, di Posidone, la cui religione non avevano forse potuto far prevalere sufficien- temente fra i coloni di Sibari ; quivi infatti di un culto di Posidone manca qualsiasi testimonianza (i). Ma nel secolo seguente, le monete posidoniati si arricchiscono di un nuovo tipo : del toro sibarita, leggermente modificato nel disegno. Il suo significato non può essere dubbio: poiché i Trezeni ben altrimenti disegnavano sulle loro monete, fin dalla prima emissione, la venerata loro divinità marina, così il toro non potrà esser qui in rappresentanza di Posidone; non resta allora che attribuirgli quel valore che già avevamo proposto di riconoscergli sui coni sibariti, quello cioè di simbolo flu- viale. L'accoglimento dello " stemma „ di Sibari sulle mo- nete di Posidonia sarà dovuto certamente, come ha sugge- rito il Pais, all'arrivo nella città tirrenica di un abbondante nucleo di fuggiaschi sibariti, i quali avranno prescelto a loro nuova dimora, insieme agli stabilimenti di Laus e Scidrus da loro stessi fondati, anche la prospera colonia edificata dai chiaramente identificabile col fiume Crathis, il cui nome è inciso nel campo, a fianco della figura (Head, pag. 105). Del tutto favorevole alla nostra tesi, ci si presenta un antico staterò d'argento incuso, coniato quale moneta d'alleanza fra Crotone e Pandosia, alla fine del VI secolo (Head, pag. 95): esso esibisce sul diritto il tipo crotoniate del tripode delfico, e sul rovescio il toro sibarita, con la leggenda IIANAO (llav- JoG'.a). Questo toro è evidentemente il predecessore del giovane dio fluviale delle monete più tarde, e sta a dimostrare che, nel VI secolo, anche a Pandosia si rappresentava il Crathis con lo stesso simbolo in uso a Sibari. (i) I tipi delle monete di Trezene (Head, pag. 443) sono informati al culto delle due divinità più venerate: Atena e Posidone; Faus., II, 30. 6; xal hi xal vópLiojJioc abxolz xò àpy^alov ènóa7]|xa e/et Toiatvav v.al AQvjvà'; Kpóotoitov : la testa di Atena è di solito sul diritto, il tridente di Posidone sul rovescio. Sull'eminente posizione di Posidone tra le divinità venerate in Trezene, vedi S. Wide, De sacris Troezertioritm, Henniou., Epidau- rioriim, Upsala, 1888; Gruppe, Griech, Mylh.^ I, pagg. 190 e segg. ; Meyer in RoscHER, Lex., Ili, 2847. La città stessa era soprannominata fIooti8(uvia (Strab., VITI, 6, 14). 132 loro antichi e malvisti compagni trezeni (0. L'avvenimento si riflette dunque chiaramente sui tipi monetari di Posidonia; le nuove monete posidoniati (II periodo: dal principio alla fine del V sec.) presentano sul diritto la figura di Posidone e sul rovescio il toro fiuviale sibarita, simbolo però ora non pili del lontano Crathis, ma del fiume Silaros, al quale ve- rosimilmente i Posidoniati già rendevano onore (2). Queste monete sono le stesse che i Sibariti coniarono nella nuova città ricostruita alla metà del V secolo in al- leanza con Posidonia e durata in vita solo cinque anni. E quando, nel 444-3, sorse la colonia panellenica di Turii, gli Ateniesi, che ne furono fin da principio — di fatto se non di diritto — a capo, fecero imprimere sul retto delle monete la testa della propria dea, e sul rovescio il toro di Sibari, qual'era sui tipi di Posidonia, e che ritornava qui a simboHzzare il Crathis, il fiume onorato dagh antichi sibariti. A questo punto, ci sia lecito ritornare all'elenco dei tipi descritti al principio del nostro studio e aggiungere a cia^ scuna delle figure taurine che vi compaiono, il significato, che, secondo quanto ci resulta, essa dovette rivestire. Il toro comune effigiato sulle monete incuse di Sibari, è il simbolo del fiume Crathis; simbolo che si ripete sugli stateri di Pandosia in alleanza con Crotone, sui tipi della seconda Sibari, coniati in alleanza con Posidonia, e su quelli di Posidonia stessa, dove però passò probabilmente a rap- presentare il fiume sacro alla colonia tirrenica, il Silaro. Il toro sibarita fu scelto anche per ornare il rovescio delle mo- (i) Pais, Storia della Sic, pag. 537; cfr. Macdonald, Coiiis Type^, Glascow, 1905, pag. 115; Head, pag. 81. {2) Si ricordi la scritta ^i^ElAA, che comparisce sporadicamente sul diritto di queste monete, a lato della figura di Posidone. L' iscrizione non dovrà probabilmente essere integrata come -slXa[po5] ; giacché il nome del fiume sarebbe stato più a proposito sul rovescio degli stateri, accanto al toro che lo rappresenta. Si dovrà piuttosto leggere, come propone 1' Head, pag. 81, Ì^£iXà[pia], con evidente allusione a qualche festa che si celebrava sulle rive del Silaro, in onore di quel fiume, e in occasione della quale vennero emesse quelle monete (cfr, lo staterò di Metaponto con 'AjeXoio asfjXov). 133 nete emesse dalla città panellenica, erede di Sibari ; la città che assunse in seguito il nome di Turii. La figura taurina fu di nuovo qui il simbolo del Crathis; ma non è da esclu- dere che più tardi, i turini l'abbiano riguardata come rap- presentante di quella fons Thtiria, da cui la città trasse il nome. Ed anzi a questo nuovo significato si potrebbe rial- lacciare il tipo più tardo del toro taurino, rappresentato in quell'atteggiamento di galoppo impetuoso, che dà più una sensazione di violenza che non di forza e di maestà. Il toro sibarita comparisce ancora sulle antichissime monete di Siris in alleanza con Pyxus, simbolo del fiume omonimo della città. Nel più antico dei tre tipi metapontini descritti troviamo ancora una volta la testa del toro comune, probabilmente in rappresentanza del maggior fiume prossimo alla città, il Bra- dano, o forse invece simbolo dell'Acheloo. La stessa incer- tezza permane nei riguardi della seconda moneta metapon- tina col toro androcefalo: incertezza che trova la sua ragione nell'esistenza, a noi nota, di un vero culto dell'Acheloo a Metaponto, al quale dovranno forse ricollegarsi tutte le mo- nete di questa città con tipi fluviali. II toro androprosopo di Lao, derivato nel disegno da quello di Sibari, è, come abbiamo visto, il simbolo del fiume chiamato appunto Lao; e quello di Reggio sta a rappresen- tare il torrente Apsias, che scorreva non lungi dalla città. A Neapolis infine, il toro androcefalo riproduce le sem- bianze del mitico Acheloo, considerato qui non tanto sotto il suo aspetto fluviale, ma piuttosto come padre della sirena Partenope. In progresso di tempo però, sembra che la figura taurina di Neapolis abbia cambiato totalmente il suo signi- ficato, trasformandosi nel simbolo di una peculiare divinità campana, Bacchus Hebon. IV. I risultati cui siamo finora pervenuti con la nostra ri- cerca, ci permettono di procedere verso altre conclusioni di carattere più generale, relative ai culti fluviali nelle colonie della Magna Grecia. 134 Dispongo pertanto, in un quadro sinottico, i tipi mone- tari delle città italiote, simbolizzanti, sotto diversi aspetti, un culto fluviale. Città Seconda metà VI sec. V secolo IV secolo ed oltre Metapontion Siris Sybaris Kroton Pandosia Kaulonia Laos Poseidonia Metauron Hipponion Rhegion Neapolis toro toro toro toro toro androprosopo toro androprosopo toro androprosopo e figura virile figura giovanile figura giovanile [toro] figura giovanile figura giovanile figura giovanile (Paestum) (figura virile)? (i) figura giovanile ^ toro androprosopo [tcro androprosopo] I e figura giovanile. Dallo specchio così tracciato risulta anzitutto con inne- gabile evidenza la grandissima diffusione dei culti fluviali nelle città italiote e la loro straordinaria importanza, docu- mentata dal fatto che ogni città dedica ad essi un tipo mo- netario. Le città notevoli sulle cui monete non si rifletta un culto siffatto, non sono che due: Taranto e Locri; alle quali si potrà, se mai, aggiungere Velia. Di altre due, Scylacium e Scidrus, non abbiamo monete ne notizie di altra fonte, se non in misura scarsissima; Terina, Medma e Cuma, infine, venerano ognuna, al posto di un dio fluviale, una ninfa delle fonti, eponima della città, e ne riproducono l'immagine sui tipi monetari. Si può dunque asserire che ogni città italiota ebbe un culto fluviale; se codesto manca, troveremo che un culto affine ne teneva il posto oppure che non c'era il fiume stesso; un fiume, intendo, appena degno di questo nome, il cui corso lambisse i confini della colonia (com'è verosimil- (i) Sulle monete di Medma. 135 mente il caso di Taranto, di Temesa e di Locri) (i). E la vi- cinanza di un corso d^acqua fu normalmente ricercata dagli ecisti delle città italiote, in una regione in cui era quella la condizione essenziale per un felice svolgimento dell'attività agricola; ciò che a quei coloni — specialmente agli " achei „ e ai " locresi ,; — sopratutto premeva. A tre possono ridursi i tipi simbolizzanti la divinità flu- viale ; giacché essa comparisce disegnata in figura di un toro, di un toro androprosopo o di un giovane dio, con l'aggiunta, sporadica, delle corna taurine e con quella, assai pili fre- quente, degli attribuiti propri delle divinità fluviali (2). Il nostro quadro ci permette anche di fissare la crono- logia assoluta e relativa di questi tre tipi, nelle colonie della Magna Grecia. La figura del toro comune ci è offerta soltanto dalle monete di quelle città che già coniavano nella seconda metà del VI secolo, e non riapparisce mai in epoca poste- riore al 500 a. C. La figura del toro androprosopo si con- fonde cronologicamente, al suo apparire, con quella del toro ordinario (giacché le monete di Laus e di Reggio sono con- temporanee, o di poco posteriori, a quelle di Sibari) ; ma, a diff'erenza di codesta, continua nel V secolo, durante il quale comparisce dovunque la figura giovanile del dio fluviale. Questa guadagna sempre maggior diffusione e domina com- pletamente i tipi del IV secolo, dai quali è ormai definitiva- mente scomparso anche il toro androprosopo, per non ri- presentarsi mai più. Ho racchiuso in parentesi quadre i tipi di Posidonia e di Neapolis, inquantochè la loro emissione e il disegno ob- bediscono a particolari esigenze di carattere politico ed aral- (i) Ma Elicile Taras non è in origine altro che l'eroe eponimo del fiume e della città. (2) La divinità fluviale, quando sia rappresentata sotto aspetto umano^ ci si presenta generalmente in figura di un giovane nudo, più di rado di un uomo barbato (talora soltanto la testa): le corna taurine mancano di sovente, specialmente in Sicilia e nella Magna Grecia. Il giovane dio Ouviale è accompagnato spesso da un cane o è rappresen- tato nell'atto di versare la libagione da una patera ; frequentemente tiene in mano un ramo di alloro o la cornucopia (vedi R. £., VI, 2784). 136 dico, che abbiamo del resto già segnalate nel corso di questo articolo. Posidonia indica col toro l'accoglimento dei fuggia- schi di Sibari, il cui tipo monetario unisce al proprio (Po- sidone); Neapolis conserva gelosamente la figura dell'Ache- loo, il padre della " sua „ Partenope: e, quando sarà sce- mata la venerazione del mitico personaggio acarnano, i Nea- politani riconosceranno nel toro androprosopo l'immagine di un nuovo dio, il cui culto era venuto intanto fra loro in favore ; di Bakchos Hebon. Si noti per altro che i Neapo- litani stessi, coniando, nel IV secolo, gli oboli col dio fluviale Sebeto, lo disegnano in figura di giovane divinità virile. Senza pretendere di " incasellare „ in periodi cronolo- gici rigorosamente determinati fatti di per sé così complessi com'è quello della successione dei tipi monetari nelle varie regioni e nelle diverse epoche, non si trascuri di passare in rapida rassegna le rappresentazioni di divinità fluviali sulle monete siciliane, dove esse compariscono con frequenza non minore che sui tipi della Magna Grecia. E facile accorgersi che, nel rappresentare il simbolo fluviale, le monete siceliote si comportano nella stessa guisa di quelle italiote, con l'unica peculiare caratteristica della molto maggior popolarità e dif- fusione della figura del toro androprosopo, il quale seguita a dominare i tipi sicelioti assai oltre i termini cronologici fissati per le monete dell'Italia Meridionale. Le apparente- mente pili numerose " irregolarità „ contro le norme che ab- biamo or ora delineate, non sono invece che il portato di influssi esterni che agirono, per ragioni sopratutto politiche, sui tipi monetari. Poiché la figura della divinità fluviale comparisce sulle monete siceliote un po' più tardi che nella Magna Grecia i^), così noi abbiamo a che fare qui soltanto con le due forme più recenti di rappresentazione; quella del toro androcefalo e l'altra del dio fluviale in figura umana. Anche la flgura I (i) Non saranno forse da ritenere anteriori al 500 le monete di Gela; e di qualche decennio posteriori sono certamente quelle di Ca- tana (HoLM, Scoria della Sicilia, III, 2, pagg. 33, 50). I 137 ■del toro comune non dovè però restare del tutto ignota ai sicelioti, se dobbiamo credere alla informazione di Timeo, che ad un'immagine del dio fluviale Gela, sotto aspetto di toro, si prestava culto nella città di Agrigento (i). La figura del toro androcefalo va assumendo, sui tipi di Gela, un aspetto sempre più umano, nel corso del V secolo, alla fine del quale troviamo la testa del giovane dio fluviale, col solo attributo delle corna (Hill, pag. 8i). Però il toro androprosopo era per Gela ciò che il toro comune era stato per Sibari e fu poi per Turii: Io stemma della città; per- ciò lo vediamo ancora riapparire verso il 400 (Hill, pag. 123), per far posto di nuovo alla testa umana del dio, alla fine del IV secolo. Sui tipi di Catana, il fiume Amenanos è raffigurato in forma di toro androprosopo (Holm, pag. 50; Hill, pag. 48; Head, pag. 131); ma negli ultimi decenni del 400 troviamo la faccia umana con o senza l'attributo delle corna (Hill, pag. 133; Head, pag. 133). Anche Entella e Stiela — lo stabilimento succeduto a Megara — portano sulle litre e sulle dracme del V secolo il toro androprosopo (Hill, pagg. 91, 92 ; Head, pagg. 137, 151); tipo che non si ripete più nel secolo successivo. Più significativa è la seiie monetaria di Agyrium : ivi il fiume Palankaios è rappresentato in forma di toro androprosopo a partire dal 420 a. C. fino agli ultimi decenni del IV secolo fHiLL, pag. 139 ; Head, pag. 124), quando il suo posto è preso dalla figura umana del dio fluviale (2). Il toro androprosopo che troviamo sulle monete di Aetna, dalla seconda metà del IV secolo in poi, è di tipo affine a quelli della Campania (Hill, pag. 182; Head, pag. 119) ed è appunto un riflesso dell'insediamento di una guarnigione di mercenari campani nella città, avvenuto nel 396 a. C, per opera di Dionisio (3): ed è probabile che anche qui. (i) Timeo in Schol. ad Pinci., Pyth., I, 185 (/'. H. G., I, pag. 222. n. 118): Tòv '(àp (xa-jpov) iv x-q TióXet 8Eiv.vópLevov tr?| slvai to'j aXapi8o^, '/.OihàKzp 'f, TtoXX'f] y.aT6/6'. 8ó^a, àXX'er/wv t-zzi réXcovo? xoò Trota jjlo'j. (2) L' Hill (pagg. 177, 220) interpreta diversamente questa lignra. (3) Holm, op. cit., II, pag. 250. 10 138 come nella regione di Neapolis, esso sia passato di li -a poco a rappresentare, sotto aspetto tauriforme, Dionysos Hebon (D. Non m'intrattengo sul toro disegnato sul rovescio deile monete di Tauromenio, che non sta lì come simbolo di una divinità fluviale, ma soltanto come la pii^i naturale illustra- zione del nome della città ; esso è raffigurato in fogge di- verse, con disegni in generale presi a prestito dalle altre città siceliote (cfr. Hill, pag. 171). /Vncora due parole sulla figura del toro comune in fun- zione di simbolo fluviale, che comparisce, a partire dal 400^ a. C. circa, sui tipi monetari di quattro città siciliane. Per prime, Catana e Leontmi coniano, alla fine del V secolo, delle monete di alleanza che portano sul rovescio il toro ga~ loppante, con un pesce disegnato nell'esergo (Hill, pag. 133; Head, pag. 134). Nella seconda metà del IV secolo, anche Adranum conia monete che portano effigiato il dio tluviaje Adranos sotto un duplice aspetto: come figura umana sul diritto e come bue galoppante sul rovescio (Hill, pag. 176; Head, pag. 119). Abacaenum rappresenta sulle monete del III secolo il piccolo torrente montano Helicon in figura di un bue gradiente (Hol:\i, pag. 240; Hill, pag. 220; IIi:Ar», pag. 118). Infine a Gela, il ricordo dell'antico aspetto tau- rino del dio fluviale informa il disegno di alcune monete di bronzo della fine del IV e della seconda metà del III secolo, le quali presentano il toro ordinario, ritto in mezzo ad un campo di orzo {Br. M. C, Sic, pag. 73; Holm, pag. 113; Hill, pag. 166 ; Head, pag. 142). Per poco che si osservino codeste figure, ci si accorge come esse non siano se non la riproduzione, più o meno pedissequa, del tipo in voga a Turii fino dalla seconda metà del V secolo ; esso sembra esser penetrato in Sicilia per la via di Leontini, la fedele alleata di Atene, ed essersi di lì diffiiso in qualche altra re- gione dell'isola. (i) Lo stesso accadde probabilmente anche a Tauromenio : vedi Hill, pag. 200. \)A 4ija;iUj Meli lu \ -liuti finora considerando, e rifacen- domi all'accenno, dato più addietro in una nota fpa^. 114, nota 4), sulla questione dell'uso della figura taurina come simbolo fluviale nelle arti rappresentative, sembra che il complesso dei ricordi letterari e delle testimonianze monu- mentali offerteci da queste monete, ci permetta d: venire alle seguenti conclusioni. L'origine della figura taurina come simbolo iluvia.^ nun è certamente da ricercarsi nel mito di Acheloo, bensì nel ravvicinamento del fiume al toro, suggerito all' irnma;i;na- zione degli antichi da alcuni caratteri di somiglianza che si potevano scoprire fi'a la natura dell'uno e quella dell'altro (J^). Più che r impeto e la violenza — j)ropri dei torrenti e meno assai dei grandi fiumi — dovè imporsi il confronto tra la benefica azione fec(jndatrice dei fiumi e la proverbiale capa- cità generativa del toro. E che sopratutto quest^azione fe- conda delle acque abbiano visto i Greci riflessa nel toro, mi sembra lo dimostri la denominazione di ^' Toro „ data alla costellazione zodiacale corrispondente al periodo delle bene- fiche pioggie prinìaverili, promessa di un dovizioso raccolto. Da questa assimilazione del toro coi fiumi prese le mosse il mito di Acheloo. Poiché la sua natura acquatica di dio fluviale suj)poneva in esso la possibilità dì metamorfosi (c^V. pag. 114, nota 2j, così il mito immaginò per lui quelle due che pei- un fiume erano le più ovvie : la trasformazione in serpente e quincli in toro. La prima riflette semplicemente l'immagine di un corso d'acqua osservato dall'alto, la. se- conda ne riproduce la natura ne' suoi caratteri essenziali. Nel peri(jdo più arcaico del loro sviluppo, le art: rap- presentative (xjnobbero soltanto la figura umana degli dei' fluviali; e anche |)iù tai'di, l'ebbe^ro sempre più familiare. Però, verso il VI secolo, a lato dell'aspetto umano del elio, comparisce la sua immagine taurina. K, lì per lì, sembra che questa rappresentazione si sia informata a due tipi fJistinti : il tipo del toro ordinario per i fiumi in generale, ;1 tipo del (1) t-ii. -i iKH. UH ì .yi:i>j)iiy .^ \ . yvf (pópo')': K'i'. p.O'Jv.K'fi/.o',,; \'.z''i'[rjn'Vt ^ '."Ani^ S'.v. To pt'/.'.ov v.al v^/'s'ìf; y.ul 140 toro androprosopo per l'Acheloo in particolare. Questa figura del toro androcefalo nacque forse dal desiderio di riunire le membra umane del dio fluviale Acheloo con quelle taurine che esso assunse nella sua lotta con Eracle; e fu preferita subito dagli artisti, come quella che, per la sua singolarità, rivelava a colpo d'occhio all'osservatore il suo significato. D'Altra parte Acheloo fu l'unico dio fluviale la cui rinomanza non fosse esclusivamente locale; tanto che si può dire che ila pittura vascolare non conosca altre rappresentanze di di- vinità fluviali in forma taurina, all' infuori di quella di Acheloo in lotta con Eracle (i): al tempo stesso, egli era il massimo fiume della Grecia, noto a tutti, quello al quale si usava identificare ogni altro corso d'acqua. Così che la rappresen- tazione del toro androprosopo — propria dell'Acheloo — prevalse rapidamente sull'altra e rimase la sola usata ad esprimere le divinità fluviali. Data la precoce vittoria del tipo del toro androprosopo, le rappresentazioni della figura taurina comune in funzione di simbolo fluviale dovettero essere scarsissime; non tanto però che noi non possiamo ancor oggi comprovarne l'esi- stenza. Accanto al ricordo dell'antico toro di Gela, conser- vatoci dallo scoliasta di Pindaro, e al noto passo di Eliano (2) — per non citare altre non meno evidenti testimonianze dei testi antichi — abbiamo le serie monetarie delle città italiote, facenti capo al tipo sibarita, le siceliote, imitate da Turii, e, al di fuori dell'Occidente Greco, quelle di Fliunte <3). Sulle (i) Acheloo comparisce dapprima sui vasi a ligure nere in l'orma dì toro con tutta la parte superiore del corpo e le braccia umane (Rei- NACH, Reperioire des vases, I, pag. 55, n. 7 ; pag. 458, n. 6; Calai. 0/ vases in Br. Ahts., II, un. B 228, 313), poi in forma di toro andropro- sopo (Reinach, Bep., 1, 259, 4 ; 393, 4, ecc.). (2) Ael., Varia IJisL, II, 33: 'I'tjV tojv r^o-'xy.ò»'^ zóz'.y v.u\ -za ó^iOpa c/.rJtùiv «j,èv àvhpiuKoii.ó^-DCU': a'noóc, ISpóoavTo, o: Zi '^^^jùjy tiZoz. aòioìc irepiéG-rjv.av, ^0031 [lìv oùv £ÌxàC&D-:v ol ItO{j.'fàX'.ot |j.èv tòv l'.pa::'.vov v.al tòv MsTtóit-^v, Aav.sòatjxóvio: cà xòv Eò;:ojxav, -iv.uojviot Zi xa: ^h'L'Azio: tòv 'A^ujiióv, (3) Il tipo del toro sulle monete di L'iiunte comincia verso il 430 a. C. e dura sino alla fine del IV secolo (Br. M. C Pelop., pag. 33, tav. VI, 141 quali tutte la figura taurina s'introdusse, come ho detto, per amor di arcaicità — giacché alla metà del VI secolo o poco dopo, Laus e Reggio imprimevano già il toro androprosopo che doveva essere ormai familiare alla pittura vascolare — e su alcune, per forza di tradizione, fino a tarda epoca si mantenne. Firenze, Diceiiibre i^i'). Giulio Giannelli. nn. 19 e segg. ; Head, pag. 408). Nonostante il diverso parere del Gardner, '' Journ. Hell. Stud. „, VI, pag. 80 e segg., e le incertezze dell' Head, non mi par dubbio, dopo aver letto il luogo di Eliano, che sia da riguardare quella rappresentanza come simbolo fluviale (cfr. Odelberg, Sacra Corinthia, Sicyonia, Phliasia^ Upsaliae, 1896, pagg. 190 e segg.; Waser in R. £"., VI, 2780) ; tanto più che il tipo fliasio par derivato da quello di Turii. Su un didramma di Selinunte è rappre- sentato Eracle in lotta con un toro ; la figurazione è qui probabilmente un simbolo della forza solare, rappresentata da Eracle, che doma la violenza distruggitrice delle acque, personificata dal toro (Holm, III, 2, pag. 122; cfr. pag. 72). Simile è il significato della rappresentanza im- pressa sulle più tarde monete di Sagalassos (Pisidia): un toro — il fiume Keistros(iscr. KECTPOC) — abbattuto da un dio (Dioniso o Apollo). Head, pag. 710; cfr. Waser in R. £"., VI, 2780. Soltanto quando quest'articolo si trovava già sotto stampa, ho potuto leggere lo studio di Salvatore Mirone, Les divi- nités représentées sur les monnaies antiques de la Sicile, pubblicato in '' Revue Nmnismatique „, XXI (igiy-iS), pa- gine 1-24. Mi ha fatto piacere riscontrare che lo studio com- parativo delle monete siciliane consacrate alle divinità fluviali^ ha condotto il Mirone a coìiclusioni che non si discostano dalle mie. AncKegli è persuaso che " la figuratioti primitive des divinitcs fluvialcs commence par la forme animale et l'anthropomorphise graduellement „ ; e crede che il cani- 142 binììicnto sia dovuto al progì'csso delL'arte clic, divautta via via piii aditila, '' esitò a rappresentare ini immagine che mal " s' adattava alle sue concezioni artistiche ,, : mentre, nel pe- riodo della sua decadenza^ ricorse di nuovo alla primitiva im- niagine, meno difficile. Il Mirane osserva anche che la grande diffusione dei culti fluviali in tutte le regioni della Sicilia po- trebbe fornire una prova della venerazione dei Siculi per queste divini tei, in epoca anteriore allo stabilirsi dei Greci: e ciò, naturalmente, per r inestimabile beneficio che i corsi d'acqua rappresentano in una regione caldissima e di ricca produzione agricola al tempo stesso. G. G. Qi issi di C. CLOVIl^S e di li. OPPIOS I\Iolte congetture e molti studi sono stati fatti intorno alle monete di C. Clovius e Q. Oppius, e potrà sembrare su- perfluo che io ritorni su questo argomento. Ma se dal punto di vista analitico, descrittivo e pondometrico lo studio di Bahrfeldt u), che tutti gli altri riassume, può dirsi esauriente, non è ancora stata detta l'ultima parola sulla località di ori- gine delle dette monete. Non si è potuto cioè ancora stabi- lire in quali zecche siano state battute. Io non presumo di definire la questione, ma intendo di portare il mio modesto contributo alla soluzione del problema. Credo utile di premettere un cenno di cronistoria della monetazione di bronzo della Repubblica Romana, atto a sta- bilire lo stato di circolazione di moneta bronzea all'epoca in cui sono state presumibilmente emesse le monete in que- stione. Prescindendo dagli assi librali e trientali fusi apparte- nenti al primo periodo della monetazione romana, l'emissione dell' asse coniato fu abbondante nel sistema sestantario (229217 a. C.) e abbondantissimo nel sistema unciale (217- 15^ a. C); ne è prova il numero considerevole di esemplari giunti sino a noi. Nell'anno 150 a. C. improvvisamente cessa l'emissione dell'asse. Non è certa la causa di questa sospensione, ma, molto probabilmente, ciò avvenne perchè non vi era più ne- cessità di emettere un taglio di moneta di cui doveva esservi : grammi 13,60. Bab. voi. II, pag. 276(7'. Vedi Tavola, n. 9. ÌB' — Testa di Venere diademata a destra. K - Q • OPPIVS • PR • Vittoria con lunghe ali a penne pioventi, che cammina a destra volgendo il capo a sinistra e tiene una lunga palma appoggiata sulla spalla destra. Nella mano sinistra una patera , ricolma di frutta. (i) Tenuto calcolo dei 99 esemplari pesali da Bahrfelct (loc. cit.). [2) Babelon, Description des iMoiinaies de la RepublUjHe Romaim. {3) Gli assi di Clovius che portano la stella dietro la testa della Vittoria sono alquanto difterenti. La testa delia Vittoria stessa è più piccola e si scorge una parte maggiore del busto. Questa differeriza di tipo fa pensare che si tratti di un'altra emissione (A). (4) Babelon. loc. cit. (5) Dressel, Zeitschrifl f'ùr Kiimismafic, 1910, XXIII, pag. 365. (6) Tenuto calcolo dei 45 esemplari pesati da Bahrfeldt, loc. cit. (7) Babelon, loc. cit. 147 \'arianti : a) La -testa di Venere è rivolta a sinistra. ò) Piccolo capricorno dietro la testa. Vedi 'J'avoln, n. 9. e) Mezzaluna dav^anti alla testa in basso, c^) Capricorno dietro e mezza luna davanti alla testa. Bahrfeldtc» nell'accurato studio descrittivo di queste r':ioncte parla anche del piccolo fulmine alato che si trova c.::asi sempre nel rovescio di questa moneta ai piedi della \'ittoria a destra. Il disegno è tenue e poco rilevato per cui questo dettaglio può facilmente sfuggire se non si è pre- venuti. Questo asse è assai pii^i raro del precedente di C. Clo- vius e non credo di esagerare dicendo che per rarità stanno tra di loro come i a io. E' sempre di bello stile, talvolta bellissimo. \'edi il magnifico esemplare illustrato in. 9,'. ALTRO ASSE DI O. OLPILS. 2." jE. Asse semiunciale. Peso medio dei 5 esemplari cono- sciuti : grammi 10,97. Massimo gr. 12, minimo gr. 10.12. Baiirfei.dt (2)^ voi. Ili, pag. 151. Vedi Tavola, n. 5. /©' — Testa di X'enere diademata a destra. R — Q • OPPIVS PR • Vittoria di prospetto con piccole ali allungantesi in alto, che tiene nella mano de- stra una corona, nella sinistra una palma. Questa moneta, di cui non fanno cenno i vecchi testi, fu descritta per la prima volta dal Gnecchi <3). Il B^hrfeldi U» re cita altri tre esemplari; un quinto illustrato fn. 5) fa parte della mia collezione. I detti autori considerano questa moneta come variante. lo invece la considero come un'altra entità monetaria per la (I) Iìarterldt, loc. cit. 12) Baiirfiìldt. Nnc/ìlrage itnd herickiigituf^eìi ztir Mititzkittide dcr EOmisc/ien Republik, voi. Ili. Ilildesheiin, 1919. (3) Rivista lliìliana di Niimismalica, 1902, pag. Ji. in !', \ 1 1 u II I ' .r, Navhlrage, ecc. 148 foggia e ratteggiamento affatto diverso della Vittoria e, più di tutto, per lo stile. Ma di ciò parlerò piìi diffusamente in seguito. Poiché Grueber u) nel suo catalogo del British Museum assegna allo stesso periodo un pseudo asse di L. Plancus, praefedus ìirbis, traendone conseguenze che discuterò in se- guito, per dovere d'imparzialità do la descrizione della mo- neta quantunque si tratti di una falsificazione. ASSE DI L. PLANCUS (falso) ìE. Asse semiunciale. Peso gr. 13,30 (Grueber (2), voi. I [4124]). B' — CAESAR Die • TER Busto alato della Vittoria; dietro la testa una stella. 9 — L • PLANCVS PRAEF • VRB • Vaso da sacrificio (specie di anfora). Vedi Tavola, 11. 3. Questa moneta fu giudicata falsa primieramente da Hill (3), in seguito questo giudizio fu confermato dal Wil- lers (4) e da altri. Il falsario ha approfittato della somiglianza della figura della Vittoria dell'aureo di L. Plancus con quella dell'asse di Clovius, per ritoccare malamente nel rovescio uno di questi assi, fabbricando l'effigie di una brutta anfora a spese della preesistente Minerva. Ne è riuscita una moneta ineccepibile al diritto, mentre il rovescio è completamente rifatto. Ho voluto dir questo per dare un ultimo colpo di piccone ad un falso monumento. Ben poche cognizioni storiche abbiamo intorno a C. Clo- vius. Si sa che nell'anno 45 egli era governatore della Gallia Cisalpina, da una lettera direttagli in quell'anno da Cice- (i) Grueber, Coins of the Roman Republic in the British Museum, London, 1910. (2) Grueber, id. (3) Hill, Lettera all'A. (4) WiLLERs, Gescìiichte der ròiìiischen Kupferptàgung, pag. 99, nota i 149 rone (0. Fu poi nell'anno 293. C. consul suffecttts {^^', inoltre può darsi che il Clovius menzionato su di una iscrizione fu- neraria deirepoca di Augusto (3) sia egli stesso. In quanto a Q. Oppius gli unici documenti storici che lo riguardano sono appunto le monete da lui battute in qua- lità di praefectus (4). A questo proposito si può arguire che egli fosse uno dei " praefecti classis „ che seguirono G. Cesare in Spagna nell'ultima spedizione contro i Pompeiani, e secondo l'Eckhel i5) insieme al suddetto Clovius. Ma se la scoperta del nuovo asse di fabbrica spagnuola prova la presenza di Oppius in Spagna, è soltanto una pura ipotesi che C. Clovius facesse parte della spedizione. Le monete di questi due personaggi hanno una stretta analogia per l'epoca e le circostanze in cui furono emesse, per la qualità di praefectus ed infine per avere in comune l'effigie della Vittoria, al diritto nell'asse di Clovius e al ro- vescio in quelle di Oppius; il che suggerisce che queste monete siano state battute in onore delle vittorie di Cesare. A questo riguardo le opinioni degli studiosi sono con- cordi ; solo il Willers (6) giustamente pensa che l'asse di Clovius sia stato emesso in occasione del trionfo delle quattro vittorie (fine dell'anno 46 a. C.) e quello di Oppius per la vittoria di Munda, 45 a. C. E' questa la mia opinione che conforterò di nuovi argomenti più innanzi Riguardo alla zecca d'emissione nulla di concreto è stato detto. Eckhel (7) per primo mette in dubbio che siano state (1) CicHRo, Epistolae ad Familiam^ XIII, 7. (2) Babelon, Ioc. cit. (3) Okklm, Iscrizione n. 4859. (4) VViLLEKS, ioc. cit., interpreta le lettere PR per PRAETOR an- ziché PRAEFECTVS. Se così fosse si potrebbe pensare che Cesare avesse lasciato in Spagna Oppins in qualità di pretore dopo la Vittoria di Munda (A). (5) Eckhel, Docirina nnmrnoritm . v/ , v<^l V, pag. 173. (6) Willers, Ioc. cit. (7) EcKiiEL, Ioc. cit. 15^ battute in Roma. Lenormant i^' le considera di fabbrica spa- g-nuola basandosi sul fatto che '' in quel momento della sfar:,:: romana noji st batlevaìio monete di rame a Roma, mentre :ii Spagna le abitudini particolari del paese le reclamarano im- periosamente „. Mommsen <2> pure le riferisce alla Spagr.a : Cavedoni (.3) le dice emesse in qualche porto della Licia o a Rodi; Friedlaender Uj a Tessalonica; Babelon '5) è del pa- rere che l'asse di Clovius sia stato battuto in Spagna e quello di Oppius in Spagna o in Sicilia; Gnecchi (6) in Spa- gna o in Sicilia ; pure alla Spagna le attribuiscono il Ca- brici i?) ed il Willers (8). Cohen <9) invece assegna le due monete alla zecca di Roma. Di questo stesso parere è Gruc- ber ( io>^ ma egli basa la sua ipotesi sul presupposto che l'asse di Plancus sopradescritto sia una moneta autentica. Ricono- sciutane la falsità, con generale consenso, tutto il ragiona- mento viene inevitabilmente a cadere. Prendendo in attento esame l'asse di C. Clovius, si ro- tano particolarità stilistiche e paleografiche, che fanno subito escludere che esso sia un prodotto della zecca di Roma. In- nanzi tutto, dal punto di vista artistico, la testa della Vittoria, nella quale si vogliono raflìgurare i tratti di Calpiu-nia, mo- glie di Cesare (i^) è assai diversa e di molto migliore fattura ti) Lenokmant, La ìiioìinaic daiis l'aiitiqiiilr, voi. II, pag. 312-315. (2) i\Io>iMSKx, Hisioire de la inonnaic rout. (3) Cavedoni, Aìuiali dell' Istituto, 1850, pag. 152 (4) Friedlaender. Btrliner Blalt fiìr Miinz., voi. II. pag. 147. (5) Babelon. Ice. cit. (6) Gnecchi, Rivista Italiana di Niimisììiaiica^ voi. XV, pag. ij. 17) Cabrici, La Niunismatica di Augusto. Studi e materiali di c?r- cheologia e numismatica, voi. II, 1902. (8) Willers, VViener Nuni. Zeitschr., 1902. {g\ Cohen, Monnaies cons. Paris, 1857. (io) Grueber, Niimisniatic Croii., 1904. (Il) Questo primo esempio di personificazione della propria moglie nella tigura della Vittoria, fu seguito da AI. Antonio per la moglie Fulvia, nel quinario battuto a Lione (Bab.. Ani., 32), nel denaro di Mussidir^s Longus (Bab.. Mtissidia, 4) e nell'aureo di Nnmonius Vaala (Bab., JVa- mofiia, i). In seguito così fece anche Augusto per la moglie Scribor.ia (Bab., Julia. 17) (A). I=;l della stessa etìigie che si nota in una moneta contemporanea coniata a Roma. Intendo parlare dell'aureo di L. Plancus praefectiis Urbis che porta nel diritto la stessa leggenda C • CAESAR Die • TER (Bab., Munatia. i) (vedi tavola, n. 41. Qui i tratti della figura sono assai grossolani, l'insieme della testa è goffo e inespressivo, e, ciò che piia importa, i ca- ratteri della leggenda, in tutto simili a quelli delle monete contemporanee di Roma, sono assolutamente diversi da quelli che si notano sull'asse predetto. Questi sono caratteristici e non trovano riscontro in monete coniate a Roma, né prima né dopo quest'epoca. Queste caratteristiche paleografiche, che sono ancor pii^i evidenti nella leggenda del rovescio, rivelano una speciale tecnica incisoria. Le lettere nelle parti terminali sono chiuse da piccoli tratti, il che da loro un aspetto speciale a mar- gini taglienti ANCO, una circolare illeggi- bile ed una esagonale con busto nimbato ed il nome lOOANNOY U). Un altro ritrovamento fatto nel 1878 presso Perm fece conoscere altri oggetti con contromarche. Uno ne porta cin- que delle quali una cruciforme, una arcuata con busto nim- bato e monogramma, due circolari con busto di fronte e una rettangolare. Il nome ANAPEOY vi è inciso sotto (5). Due piatti mostrano cinque contromarche (6). Una casseruola trovata a Cherchel ha quattro contro- marche, una cruciforme col nome ANAPCOY e il monogramma (i) Die antikcn Gold-imd Silber-Moiiumenie des k. k. Miìnz-und Au- tiken-Cabineltes in IVien, pa^jg. 78-79, n. 90, tav. S. VII. CtV. Dalton, Catalogne of early christ. antiqnilies, paji. 186. (2) Erklàrnn^ einiger Ktmsiwerke der K. Eremiiage in Compie rendti de in Commission imperiale Archéologiqite poitr /'annéc 186'], pa.ug. 48-50; atlante, tav. Il, n. i, {3) Idem, pag. 52; atlante, tav. II, n. 4. (4) Idem, pdg. 211. (5) Compie rtudii de la Coni in. imphiale archéologiqite pony iH'jS-'ji)^ pag. 148; atlante tav. VII. (6) Idem, pagg. 157 e 158. 174 della parola GYBIOY, la seconda ovale ha un busto nimbato col nome KOCMA, la terza rettangolare ha un busto nimbato col nome I(jO[ANN]OY e forse 6YBI0Y in monooramma, la quarta esagonale sembra contenere il nome [I0YCTI]NIAN0Y(^). Altri gruppi di oggetti siriaci portano delle contromarche che per quanto io sappia non sono state edite : così il mis- sorio, il calice e la patena di Riha. L'Ebersolt ha invece de- scritte, senza però riprodurle (2), le marche del flabellum di Stùmà, oggi al museo imperiale di Costantinopoli : esso ne "porta cinque, la prima rotonda con un busto nimbato e la dicitura IGOANNOV, la seconda poco chiara con un mono- gramma di cui ben si vede solo la lettera K e attorno le let- tere di un nome... GEOV.-., la terza elittica con un busto nimbato sopra al monogramma di 0EOACOPOV e attorno il resto di un nome... OV..., la quarta infine cruciforme col mo- nogramma di GEOACjOPOV nel centro e nelle quattro braccia il nome AI-OM-IA-OV. Altre oreficerie siriane contromarcate si conservano ?.\ Museo Britannico e furono edite dal Dalton. Dal tesoro di Lampsaco proviene un sostegno di lampada a forma di tri- pode con due marche cruciformi aventi le lettere che for- mano il nome C6CT0C. Un disco ha quattro marche in due delle quali, identiche, fu letto il nome CICINNHC. Dal tesoro trovato presso il monastero d'Acheripoetos a Cipro proven- gono un piatto con cinque marche ed un vaso esagonale con tre simili a quelle del piatto (3). Una delle marche è rettangolare con sommità arcuata e contiene una figura di Santo col nome + IOANNIC e un monogramma che può es- sere svolto in TTGTROY; la seconda rettangolare ha forse il nome + TPY(ct>)O0N; la terza ha un busto di santo forse col nome + 0OOIVl(AC); la quarta ha un monogramma e il nome (1) V. Waille, iVo/6' sur une patere d'argent découverie en Algerie, in Builelin d'archeologie, 1893, pagg. 83-90, tav. X e Perrot, C. R. Acad. Inscr., 1893. P^e- 8. (2) la Revne Archéologique, 1911, 1, pagg. 407 e segg. (3) Dalton, Catalogne cit., nn. 376, 379, 397, 399. Altri oggetti con- tromarcati provenienti da Cipro passarono alla collezione Morgan in New York ; non ne ho notizie precise per il dettaglio che mi interessa. 175 (+ IOO)ANNOY ; la qu nta cruciforme ha pure un monogramma e il nome CICINNIC Forse più di tutti importante è il tesoro scoperto nel 1912 a Malaja Pereschtschepina nel governo di Poltava (O. Esso fu trovato con monete di cui la più recente è del- l'anno 668: quindi l'epoca del suo nascondiglio è perfetta- mente stabilita. Fra i molti oggetti quattro specialmente deb- bono fermare la nostra attenzione. Il primo è un piatto di argento con l'iscrizione '' + ex antiquis renovatum est per Paternum reverentissimum episcopum nostrum amen + „ ; tale Paterno fu vescovo di Tomi (l'odierna Costanza) al prin- cipio del VI secolo. Al rovescio vi sono quattro marche che furono lette Ko|7T,Ta;, Hsvo'pO.ou, Mr.wa e l'ultima, latina, D(omi- nus) N(oster) Anastasius P(ius) A(ugustus). L'epoca dunque della verifica è stabilita fra l'anno 491 e il 518. Vi è inoltre incisa anche la seguente nota : " s/.^^''' >'-^-^a?(^^^) AiToa; x.. t)'jY/.ia; Y,. Ypay.|j,aT« i;. y.7.1 ypu((7iou) oùyxia; p. ypa;xf;.aT3c ■/-. zal [;.l{;cto'j) ^pu(GLO'j) '^o[jÀ(7[j.olt7. fi. che distingue il peso dell'argento e quello della doratura. Il secondo oggetto è un /sovi^iócs^rTov che porta cinque marche, lette Mà(5i(^-0(7), narpix-fc:), + Da-rpixi; (n)p7.(-/ìévYi;, e Bwy.a. Inoltre vi è la nota ''è(7T(i) tó yspvL[ió;£f<7T0u) cùv TO'jT(o A'.Tpz; Y.. oOy/.'.av a. yQ7.[y.y.y.zix) y.. Un boccale (Cìttov) (i) Disgraziataiìiente non mi furono accessibili gli studi di Maka- HENKO, Beneschewitsch e Farmakowsky nel Bolleit. della Cornili. Inip. Russa di arcìieol., voi. XLVI, pagg. 207 e segg.; XLIX, pagg. loi e segg. e 117 e segg., uè il volume di Sarietzki edito a Poltava nel 1912. Conosco solo le note di Farmakowsky in Archaeol Anzeiger, 1913, pa- gina 229 e segg. e di Robrinskoy in Mcm. de la Sor. dts Antiq. de France, 19I3, Parigi, 1914, pagg. 225 e segg. Per le note sul peso del metallo prezioso debbo ricordare che iscrizioni consimili si trovano an- che al rovescio di argenterie romane: di solito sono semplicemente gra- tile, ma alcune volte sono incise. Ricordo fra queste la patera del tesoro trovato ai Fins d'Annecy (Cfr. Deonna in Reviie ArcJiéolog., 1920, pag. 127) che reca al rovescio : V • S • C • P Il XII L'iscrizione va probabilmente letta voto soluto comprobatum pondus mentre la seconda linea da dei numerali che non so mettere in accordo col peso dell'oggetto, che è di gr. 520. 176 reca le cinque marche + nxT:i{yj.;), 0ojaa, Uy-^{i)y.i;, (ny.TcìJ/.i-^ e Mà(;L)p;. In ultimo un piatto ha le cinque marche {^i)zyi;, 'Bx{Gi'k'.]o;, 'Hpa/.AiO'j (Ko;j.i)T{y.;), Xzigzo'^{6zo;) e (na)Tpu(i;). Lo studio di questi monumenti, di cui il numero po- trebbe forse essere aumentato da una esplorazione dei musei, ci può condurre a delle conclusioni non prive d'interesse. Abbiamo un monumento merovingico attribuito al secondo quarto del VII secolo e molti bizantini che possiamo rite- rnere di diversi secoli ; alcuni portano cinque contromarche delle quali generalmente quattro sono a due a due iden- tiche. Tutto ci conduce ad accettare l'ipotesi di Smirnoff e Dalton che esse fossero dei segni ufficiali e che il loro numero usuale fosse quello di cinque. Alcune di queste contromarche portano delle figure nim- bate, certo di santi, accompagnate dal loro nome, Giovanni, Andrea, Cosma, Tomaso, altre dei nomi di imperatore (Giu- stiniano) o d'imperatrice (Teofano) o delle immagini che sembrano tolte da monete imperiali, senza nome, o col nome di Anastasio. Le altre sono in generale con nomi o mo- nogrammi di difficile spiegazione (I) ; CECTOC, CICININHC (?j, CICINNIC, lOOANNOY, eEOAOOPOV, TPY(O)(j0N, ecc., sono r nomi che con maggiore o mmore sicurezza si sono decifrati. A questi corrisponderebbe sull' unico oggetto merovingico conLromarcato, una immagine religiosa, una figura d'uomo che rie orda le monete contemporanee ed un nome ARBALDO. Essi sono probabilmente i nomi dei funzionari proposti alla verifica dei metalli preziosi. Sarebbe quindi assai importante che tutte queste contromarche fossero di nuovo studiate con maggior attenzione di quanta loro si è data fino ad ora e fossero edite con tutta esattezza onde poter chiarire alcuni punti del problema che rimangono oscuri. V o (i) Lo stesso nionogramnia B+C '^il sembra si possa leggere su A due degli oggetti trovati in Russia: cfr. C. R, i86j cit., pag. 52 e C. R. i8']8--]() cit., pag. 156 (attorno al secondo lo Stephani avrebbe letto il titolo di CXOAACTIKIC, che apparirebbe anche su un altro oggetto C R, iSj8-jg, cit., pag. 148: ma la lettura non è sicura) e su quello di Vienna. 177 La marca sugli ogg-etti d'oro bizantini può essere messa in rapporto con la disposizione del e. If, § ii del " Libro del prefetto „ dell'imperatore Leone il saggio, con la quale si vieta ad ogni orefice di lavorare l'oro o l'argento a do- micilio, ed ordinando che il lavoro fosse fatto solo nelle of- ficine della via di Mese. Tale disposizione non può avere altro scopo se non di ottenere un controllo sulla lavorazione e quindi sulla purezza del metallo. Non sappiamo se tali of- ficine fossero statali, ma dato lo spinto di immenso controllo governativo suH' industria costantinopolitana, non sarebbe assurdo il supporlo: ed il concentrare ivi la lavorazione dei metalli preziosi può essere messa in rapporto con la marca ufficiale apposta agli oggetti di oreficeria, come anche deve avere relazione col funzionamento dello CuyocTadiov di cui in seguito dovrò lungamente occuparmi, trattando dell'organiz- zazione delle zecche nel basso mipero. Certo è importante a questo proposito un passo di Sinesio, che cito di su la traduzione latina: " ubi enumeraverunt, ubi appenderunt, ubi denique publico sigillo aurum obsignaverunt „ (i), passo sul quale hanno già richiamata l'attenzione Cuiacio e Gotofredo commentando il decreto di Giuliano che istituisce la funzione degli zigostati. Esso deve essere posto in rapporto con un testo agiografico del VII secolo, ancora piìi esplicito (2) è il racconto di un miracolo ove si narra come il carico di stagno portato da un bastimento è cambiato in " argento di primo titolo detto di cinque sigilli „ '^> [J-'^'^ 7^'^^ /.aGG'lTSco; eòpsOr, p.£- Ta^vV/iOèi; Zi; àpyupLOv ttow-tìgtov tÒv z.a);o6[/.£vov 7:£VTa'7CppayiaTov, mentre il piombo è trasformato in argento " di secondo ti- tolo „ i'-; Sz'jTzfjv àpY'jpiov. Più precisa conferma dei dati ar- cheologici non si poteva trovare. Se col " pubblico sigillo „ abbiamo la chiara menzione di segni ufficiali posti a garanzia del titolo sugli oggetti di oro e d'argento ; se il fatto e largamente documentato per l'impero bizantino ed un esempio ne abbiamo anche nel regno merovingico, non v'è ragione di meraviglia che si ve- (1) Epis/. 127. MiGNE, P. G. LXVT, 1507. (2) CoMBEFis, Hisloria Ilaeresis moiifl/iclifarittii, Parigi, i6-j8, pa gin.'i 640 e 6|i. 178 rificasse anche nel Langobardo. Il testo di Rothari, che non può ricevere altra spiegazione, lo proverebbe (0. Da ciò la menzione di un oro puro che frequentemente ricorre nei do- cumenti italiani dell'alto medioevo, di un aurum obryzum. Già in una carta toscana del 737 (2) sono citati auri solidus obridiacus (3) pensantis numero duo, questo per l'ambiente langobardo; e per il bizantino ricordo i documenti di Ra- venna che già nel 539 e 546 parlano di auri solidos domi- nicos probitos obriziacos optimos U), formola che si ripete per tutto il VI secolo, se non piij per i soldi, almeno per le libbre e per le oncie d'oro (5). Chi doveva ricevere quest^oro non sempre si trovava nelle condizioni di poterne verificare la purezza: è quindi logico pensare all'esistenza di una marca ufficiale che la garantisse, posta sulle barre o sugli oggetti : da ciò la punizione di chi la marca falsificava. Ma in un certo qual senso è più importante constatare che le marche ufficiah di controllo venivano poste non solo su oggetti di orificeria, ma anche su masse o barre di me- talli preziosi. Dico più importante perchè tali barre così con- trollate potevano servire, come infatti servirono, a pagamenti delle grosse somme: cosa che già risulta da leggi contenute nel codice Teodosiano. Vediamo quali esempi sono giunti sino a noi di tali barre contrassegnate. (i) La marca ufficiale di garanzia sugli oggetti preziosi la ritro- viamo più tardi ueli' Italia medioevale: si veda a Venezia la disposi- zione riferentesi al sigillum ducatus nel capitolare del 1233. Capitol. delle arti veneziane, ed. Monticolo, I, 120. XVI, e MI IP. Leges, t. Il, col. 1693, CLXVI. Pili tardi, a Milano, i bullatores auri sono ricordati nei testi e nelle leggi. (2) Trova, n. 514 che erroneamente la data del 738. (3) Così leggerei l'obridi acus della carta. La forma obridriacus è nelle notae papinianae: cfr. Keils, Granunat. lai., IV, 325, i.* colonna, n. II, La forma obryzatus si ha in Cod. Just. 11, u, 3 e 12, 48. (4) Marini, Papiri, u. ti 4, 41. (5) Marini, Papiri, n. 120, a. 572; 121, a. 591; 122, a. 591; 125, ecc. Il termine obrizo si corrompe poi in ehrizo nel X secolo in Ravenna {Rcg. S. Apollinare, nn. i, 3, 4, 5, io, ecc.) in briciuni nell'undicesimo (idem, n. 34); a Roma in ebries nel 983 {Arch. paleogr. ital.^ II, tav. 15), ebritias a Roma, Sutri, Toscanella {Arch. Soc. Romana SI. Patria, XVI, 1893, pag- 340; XXI, 1898, pagg. 497, 499, 501, 502, 504, 505, 507, 518, 520, 527, 529; Arch. paleogr. ital., II, tav. 16). 179 Alcune danno il nome delle officine da cui provengono e l'indicazione della purezza dell'argento; cosi quelle trovate a Dierstorf hanno : 0F= • PRI • MVS TR • PVS • P I (ex) of(ficina) Primus Tr(everis) pus(ulatus) p(ondo) I (- li- br. i) (i) o come meglio fu letto: of(ficinator) primus Tr(eve- rorum) pus(ulati) p(ondo) I. La seconda porta (^) : PRI . .CI • TR PS ^ P • I cioè : . . . Prisci(anus) Tr(everorum) p(u)s(ulati) p(ondo) I. Le barre trovate a Laibach (Emona) (3) con 50 aurei di cui il pili recente è del 353, portano il busto e il nome dell'im- peratore Magnenzio, la marca in forma di sigillo quadrato con riscrizione FLAV (Flavius o Flavianus) e l'altra pure quadrata con iscrizione in due linee, di cui la prima è il- leggibile : C AQ PS che ci richiama per la zecca di Aquileia allo stesso tipo di quelle sopra citate di Treviri. Il sigillo col busto e il nome dell'imperatore Magnenzio ricorda quello col busto e il nome di Anastasio sulla patera del governo di Poìtava. Il solo nome dell'officina, e non quello della zecca, por- tano alcune sbarre trovate in Inghilterra (4): così una rinve- nuta con monete di Arcadio e di Onorio a Tower ha : EX OF FÉ HONORINI (i) CIL, XllI, 10036, 14. (2) CIL. XIII, 10036, 15. (3) LuscHiN V. Ebengreuth in Monatsblatt d. Niim. Gesell. Vienna, 1911, pagg. 345-349. (4) CIL, VII, 1196-1198. A queste marche recanti semplicemente il nome delle officine vanno avvicinate quelle col solo nome del fonditore PROCVLVS COCXIT della raccolta Weber (cfr. catalogo vendita Ilirsch, Monaco, 1909, n. 2938, tav. 57) e BENIGNVS COXIT di una sbarra egi- ziana (cfr. RuBENSoiiN in Archaeol. Anzeiger, 1902, pag. 46). i8o L'altra di Coleraine trovata con monete che vanno da Costanzo II a Costantino III : EX OF PA TRI CI ci E la terza che è integrabile: (EX OF FL) CVRMISSI Infine ricordo la barra trovata nel 1900 a Richborough^i V ora al museo di Canterbury, con : EX OFFI I3ÀTIS Portano esse sole il titolo dell'officina come garanzia di peso e di titolo, al modo di alcuni aurei merovingici. Ma altre barre offrono maggior ricchezza di segni: così la massa d'argento di Dierstorf porta quattro marche (2) : i) di tipo monetiforme con la figura di Roma e la di- citura VRBS ROMA ; 2) tre busti imperiali che ricordano quelli dei pesi uf- ficiali del secolo quinto; 3) la marca CAND che va letta: candidum argentum; 4) la marca PAVL cioè Paulus o Paulinus, il nome forse del funzionario che l'ha bollata. E veniamo alle barre d'oro. Alcune trovate nel basso Egitto (3) portano : ANTIVS [PjROBAVIT oppure : ACVEPP SIG 6RM0V PROBAVIT ERMY cioè il segno del probator (in greco So/c.f/.acTr.;) e del signator. Ma più importanti sono le marche sulle barre d'oro di (i) Cfr. Havekfield, in Antiquary, 1900, pag. 335 e Athenacum^ 5 gemi. 1901 ; CIL, VII, addit. pag. 640. (2) CIL, XIII, 10036, 13. (3) Cfr. Hill, in Proc. Sor. Antiq. XX, pagg. 92 e segg.; Rubensohn,, in Archaeol. Anzeiger, 1902, pag. 46. i8i Transilvania (i) e miglior correlazione hanno con gli oggetti artistici che abbiamo elencati. Le barre possono dividersi secondo le marche in quattro serie: A) reca le marche: i) LVCIANVS 2) FL • FLAVIAN OBR • I • SI(t :! VS PRO SIG- AD DIGMA ^ Cioè: Lucianus obryziarius primus signavit. Il termine Obri- ziarius si trova nelle glosse registrate anche dal Du Gange. La seconda marca va letta: FI. Flavianus probator signavit ad digma. Su ogni barra è battuta una volta la prima marca e quattro la seconda. B) Reca la marca i) e le tre seguenti : 3) QVIRILLVS ET DIONISVS ^ SIRM SIG % 4) Q z Q tre busti imperiali ^ Q z 5) La figura di Sirmio sedente tenente una palma con sopra una stella: sotto SIRM. Le due sbarre di questa serie recano una volta la marca i), 3), 5) e due volte la marca 4). C) Reca la marca i) e le due : 4^) z o z tre busti imperiali ^ z O 5 rt) La figura di Sirmio e. s. con la palma sopra cui il monogramma ^ e sotto SIRM. Gli oggetti di questa serie recano ognuno una volta ogni marca. D) La quarta serie si compone delle marche i) e 4 «) bat- tute la prima una volta e la seconda due volte. (I) CIL, III, 8080. Siamo qui davanti a dei blocchi d'oro marcati (verso il 375-378) dai pubblici funzionari della zecca imperiale di Sir- mio, l'obryziarius, il probator che li ha esaminati al cam- pione (digma =: (^£l'y(7-a) che li hanno riconosciuti di metallo puro e che perciò vi hanno imposiio e fatto imporre dagli altri funzionari la marca (signum) di garanzia. Come sugli oggetti preziosi che ho piìi in alto elencati, anche qui la stessa marca appare in certi casi ripetuta due volte: la cor- relazione è evidente fra i bolli dell'impero d'occidente del IV-V secolo sulle barre, e quelli bizantini (sugli oggetti) del VI-VII sec. Ciò convalida l'ipotesi che i nomi letti sulle marche bizantine siano di funzionari di un ufficio statale. Le barre di cui abbiamo fatto cenno (O dovevano avere quindi un valore legale e dovevano esser quelle che si ac- cettavano nelle casse dello stato secondo il cod. teodo- siano (2). Se abbiamo potuto ricordare un oggetto merovingico (la coppa di Valdonne) marcato come le orefìcierie bizantine, un testo di Paolo Diacono (3) ci prova forse che anche le barre d'oro venivano bollate in epoca langobarda e ciò suf- fragherebbe la nostra interpretazione del passo di Rothari. Tale testo si riferisce all'invasione sassone della Gallia me- ridionale (a. 574) e del tributo pagato per aver libero il ri- torno: qui dum ad Sigispertum regem pergunt multos in itinere negotiatione sua deceperunt, venundantes regulas aeris, quae ita nescio quomodo erant coloratae, ut auri pro- bati atque examinati speciem simularent, unde nonnulli hoc dolo seducti dantes aurum et aes accipientes pauperes sunt effecti. Ora non mi pare possibile che l'inganno fosse basato solo sulla coloritura delle sbarre di bronzo che dovevano simulare delToro : questo è detto provato (4) ed esaminato e (i) Portava anche il nome di regulae aurea, Vulgata. Josua, 7, 21. Cfr. anche l'editto di Diocleziano 30, la (CIL, III, pag-. 1951). (2) Cod. Teod. XII, 6, 2: XII, 7, i; VI, 52, 2; IX, 17, 2. (3) Hist. Laiig., 3, 6. Queste barre segnate erano probabilmente fatte ad imitazione di quelle bizantine. (4) Aurum probatum sta in rapporto con la funzione del probator indicato nei marchi di Transilvania. % i83 doveva assai probabilmente portare il segno della prova e dell'esame, la marca ufficiale cioè. Ma per ritornare al testo dell'Editto, il segnare o figu- rare l'oro (sia che si adotti la lettura del codice di Gotha (i) o quella di tutti gli altri manoscritti) trova la sua spiegazione nei monumenti che siamo venuti esaminando. Dobbiamo ri- tenere che il concetto del grande legislatore era quello di introdurre anche nel regno langobardo la marca di garanzia dell'oro ; che questo egli abbia ottenuto non possiamo dire, che nessun oggetto langobardo a noi giunto reca di tali marche. * In un certo qual senso non si ottenne nemmeno l'appli- cazione integrale del concetto di regalia applicato alla mo- neta; un grande ducato langobardo sfugge completamente al potere centrale e batte moneta per suo conto, indipen- dentemente dal ve. il ducato di Benevento. Se anche sono di dubbia attribuzione alcune monete che il Wroth vuole dei duchi da Grimoaldo I a Gisulfo I, è certo che con Ro- mualdo II (706-731) comincia a Benevento una monetazione propria imitante nel tipo e nel taglio il nummo imperiale e recando con-e solo segno del duca, l'iniziale del suo nome nel campo. Il fatto è troppo noto perchè io abbia ad insi- stervi. Il ducato beneventano ha voluto così, anche nelle monete, affermare il suo continuo separatismo dal regno. Ma su un'altra moneta enigmatica debbo richiamare l'at- tenzione: è un piccolo aureo del medagliere municipale di Milano (^} più volte edito, ma sempre inesattamente. Esso ha esaltamente : (i) La credo preferibile malgrado l'avviso contrario degli editori dell'Editto nei MGH ; sio;nare è termine tecnico e specifico come ap- pare dai marchi di Transilvania e dalle diciture aes signatum, auriim signatum tanto conmni, Signum e poi in rapporto con sigillnm e questo è il termine usato nel testo agiografico sopra indicato. (2) N. 3106, peso gr. 1,33. t84 vB^ — ARIP€R .-. X • C€L • RGX figura del sovrano di faccia che tiene nella sinistra il globo crucifero. 9 — IFFO GLORIVSO AVX Croce potenziata (fig. 5). Fig. 5- Il richiamo al nome reale può riferirsi tanto ad Ari- perto I (653-661) quanto ad Ariperto II (701-712): il tipo nulla <:i può dire che la derivazione è evidente dalle monete im- periali, prendendo ad esempio un diritto che già appare sotto Tiberio Costantino (578-582) epoca nella quale fa anche la sua apparizione la croce potenziata che figura sul rovescio (i). Intorno a un duca Iffo la storia è muta; per quanto il nome non sia raro nei documenti langobardi i^), nessuno di •quelli che lo portano ebbe si alto grado. Di un duca Wiffo è cenno in una lettera di Gregorio Magno (3), ma oltre alla differenza grafica non lieve, anche il tempo non concorda, perchè questo sarebbe vissuto nel 599 e non sappiamo poi con tutta certezza che fosse un langobardo. Siamo anche in questo caso costretti a formulare una ipotesi. Ricordo che a Lavis, villaggio posto a non molti chi- lometri da Trento, furono scoperte nel 1885 le traccie di una tomba contenente fra le altre suppellettili una di quelle croci (i) Il Sabatier, pag. 23T, nn. 6-7, tav. XXII, 18-19 indica appunto un semisse ed un treinisse di rovescio analoghi al nostro che assevera di " fabrique barbare „. Ciò dimostra che il tipo era diffuso fra i po- poli barbarici. (2) Cfr. gli esempi citati in Bruckner W., Die Spracìie der Latigo- barden, Strasburgo, 1895, § 74? Anmerk. 2, pag. 150. Il iMeyer C. Sprache und Sprachdenlìmàler der Langobarden^ Paderborn, 1877, pag. 292, lo •dichiara ungewissen ursprungs. (3) Reg, IX, III. Cfr. Hartmann, Gesclì. It., Il, t.'' p.'^, pag. 156, n. 4. i85 auree caratteristiche delle tombe langobarde (i). Su di essa è riscrizione CNC IFFO, che fu anche Ietta PNC IFF'O. Ricordo che altre croci langobarde portano delle iscrizioni non prive di interesse: così due di Monza di cui la prima reca il mo- nogramma CR simile a quello che appare sul rovescio delle monete di Astolfo, e l'altra il doppio monogramma /^ R Sappiamo che il nesso R sulle monete langobarde deve es- ser sempre svolto in Rex. Inoltre una famosa croce trovata in una tomba ricchissima di Cividale porta il nome del ce- lebre duca Forogiuliese CISVLF; la croce di Lavis ha molti rapporti con quest'ultima e per il confronto con la moneta in discussione io sono portato ad attribuirla al duca Iffo. Dato il luogo del ritrovamento della croce, lo penso duca del ducato tridentino; infatti del grande e celebre ducato non conosciamo se non il duca Euin morto nel 595 ed il suo successore Gaidoald; poi le nostre conoscienze hanno una lacuna sino a Alahis, vivente ai tempi di re Cuniperto. Prima di lui vi è largo spazio per includere il nome d'Jffo vivente ai tempi del primo Ariperto, oppure ben possiamo porlo dopo Alahis, sotto il secondo re dello stesso nome. 11 titolo di Gloriuso è protocollare nei documenti ducali langobardi sia beneventani quanto spoletini (2); è quindi logico ritro- varlo riferito ad un duca di Trento. Come ultima ragione a giustificare la mia supposizione penso che una infrazione alla regalia monetaria non doveva esser possibile se non in uno dei quattro grandi ducati: ora tanto a Forum Julii quanto a Benevento ed a Spoleto conosciamo i nomi dei duchi nel periodo al quale la moneta sarebbe riferibile (3) e non rimane quindi possibile se non pensare al ducato di Trento. Comun- que, in qualsiasi modo si voglia considerare questa moneta, essa rappresenta un fenomeno sul quale era doveroso ri- chiamare l'attenzione. (i) Cfr. Campi, Le iouibe barharicìie di Civezzano, Trento, 1886, pa- gina 26; Orsi in Atti e Meni, della R. Dep. di St. Fair, per le prov. di Ronìd^na, 1887, pngg. 353-355; Diì: Bayk, /«^///.s/r/V Arm^o^., pagg. 87-88. (2) CiiKOUsT A., V f iter sue luingen iieber d. laug. K.-und H.-Urk., pagg. 109 e 137. (3) Cfr. le lavole cronologiche in IIodgivIn Tu. Italy and Iier invaders, voi. VI, pagg. 36, 62, 84. 13 86 Le monete langobarde non offrono altra caratteristica notevole in merito alle questioni di diritto sino ai giorni di Ahistulf (749-756): sotto questo re appare al rovescio, in luogo della solita rappresentazione dell'arcangelo Michele con la dicitura SCS MIHAHIL, una stella o fiore a sei raggi e sei fiamme avente attorno o la dicitura + FLAVIA LVCA o l'altra + FLAVIA PITA C. I nomi delle città sono assai più numerosi nei conii del successore Desiderius (757-774) per il quale abbiamo la dicitura : + FLAVIA TICINO, seguita qualche volta dalla lettera C ; + FLAVIA MEDIOLANO; + FLAVIA SEBRIO. seguita qualche volta da una delle let- tere I, S, T, & ; + FLAVIA PLACENTIA, seguita da AVG- in nesso; + FLAVIA VIRCELLI; + FLAVIA VmCENClA, seguita qualche volta da FG- ; + FLAVIA TARVISIO, seguita qualche volta da C oppure CI; + FLAVIA LVCA ; + FLAVIA PITA C. Questa serie di iscrizioni che può forse essere prose- guita (I) deve fermare l'attenzione dello studioso. Dapprima è notevole che sul rovescio dell'auro scompaia l'immagine del Santo protettore dei langobardi per lasciare il posto ad un'immagine senza preciso significato quale è la stella, e ad un nome di città. Quando sia avvenuta tale sostituzione è (i) Accenno principaliiiente ad una moneta ancora inedita, esistente nella raccolta Gavazzi in Milano, della quale già posso dar cenno grazie alla cortesia del proprietario. Essa ha al diritto + Q|^ . DGSI • D€R R X X attorno alla solita croce potenziata, ed al rovescio -|- FL'''A PL-VM- BIA H attorno alla solita stella. Essa è della zecca di Ponibia, comi- tato certamente laiigobardo giacché nel 745 un documento parla dei finibus pkiuibense {Cod. Dipi. Langob.^ n. XI) e nell'anno 841 abbiamo notizia di un Maginardo vicecomes plumbiense (MHP. Chart. I, 39, n. 23). Le monete auree senza nome regio, portano anche i nomi di zecca FLAVIVCLIV, FLAVIA 9TVNA (Cortona?) e FLAVIA PISTVRIA su una ancora inedita (su altre è alterato in PITVAIA). difficile dirlo: il materiale numismatico ci riporterebb - ad Ahistulf, ma forse i documenti ci permettono di risalire ad epoca anteriore. Già un documento del gennaio 730, cioè del regno di Liutprando, contiene la menzione di sol. lucani ed un altro di un solo mese posteriore al primo ricorda un auri soledus stellatus nobus lucano (i): i termini si ripetono in carte del 739 e 746 ^2)^ tutte dunque anteriori ad Ahistulf. Perchè nei contratti questi soldi si potessero dire stellati bisognava che portassero la stella e non il S. Michele; e perchè si dices- sero lucani era necessario che il nome della zecca vi appa- risse scritto chiaramente. Dalle carte si dovrebbe indurre che il nuovo tipo è apparso sotto Liutprand. Lascio gli stellati di Cunincpert e di Liutpert che si trovano in alcune colle- zioni, essendo assai probabilmente delle falsificazioni moderne. Se i primi soldi stellati sono apparsi sotto Liutprand, come i documenti ci porterebbero a credere, dobbiamo ritenere che sotto questo re vi è stato un doppio tipo di monetazione aurea, quella cioè degli stellati col nome della città ove ve- nivano coniati, e quelli invece col San Michele senza il nome della zecca, le monete cioè che comunemente ci sono note. La doppia monetazione è numismaticamente documentata sotto Ahistulf e nulla logicamente ci vieta di farla risalire anche al suo grande predecessore: sotto Ahistulf le monete con nome di zecca appaiono a Lucca e a Pisa, sotto Liut- prand sembra solo a Lucca. Si direbbe che il movimento di trasformazione comincia nel ducato toscano e che solo sotto Desiderius, quando il regno langobardo si sgretola, si dif- fonda anche nel rimanente d'Italia. Tutto ciò è concomitante ad un affievolirsi del potere monarchico e ad un precisarsi del movimento autonomistico delle città italiane. 11 nome delle città, sulle monete citate, è preceduto dal- l'appellativo Flavia. Esso è nome reale del tempo di Au- thari (3), ma lo portarono anche altri re barbarici, Odoacre, (i) Trova, nn, 477 e 478. Per la lettura lucano clr. Simonetti iu S/u(^i Storici, I, 1912, pag. 472. (2) Tkcjya, nn. 519. 595, 598. (3) Paolo Diac, III, 16. CtV. Ciiroust, op. cit., pagg. 25 e segg. Teoderico (^) e il visigoto Reccarecio, forse per l'analogia osservata dallo Stark col goto franiòs, signore: certo non fa premesso al nome delle città in ricordo del titolo di Flavia dei tempi romani (2), perchè quelle non l'ebbero e i titoli romani non perseverarono nel medio evo. Una rara ecce- zione è data dalle monete visigote, sulle quali è inciso COR- DOBA PATRICIA (che anche appare in una formola notarile (3) nome che si trova in Plinio e in Isidoro (4). E solo in epoca tarda che a Colonia si fa rinascere sulle monete il nome di Colonia Claudia Ara Agrippinensis (vel Agrippina) o Col. Claud. Augusta Agrippiniensium, che già figura sulle mo- nete di Postumo. Con la coniazione di Carlo il Grosso tro- viamo la formola abbreviata COLONIA A, che sarà svolta completamente in COLONIA AGRIPPINA ai tempi di Ottone III. Perchè il titolo d'onore Flavìus (Paolo Diacono dice oh dignitatem Flavium appellarunt) sia stato unito al nome delle città è problema che piìi riguarda la storia costituzionale del Regno che non la numismatica: era importante avvertire che già forse dai tempi di Liutprand e certo da quelli di Ahistulf il nome delle zecche appare chiaramente scritto sulle mo- nete, mentre prima tutto al più poteva celarsi sotto la dub- bia interpretazione di una iniziale posta nel campo del diritto. J (1) Oltre alle fonti indicate in Chroust, si cfr. Mommsiìn, Ostgoih. Studien in Neiies Archiv, XIV, 536 e pref. alla sua ediz. di Cassiodoro; L. Hartmann, Gesch. Ital. im Mittelallers, I, Gotha, 1897, P'^g- ^^ e li, I.* p. (Gotha, 1900), pag. 65. (2) Su colonie e municipi che portarono il titolo di Flavia cfr. J. AssMANN, De Coloniis oppidisque Ronianis qiiihus imperatoria nomina vel cognomina imposita siint. Djss. Jena, 1905. Non è cosi sostenibile neppure la tesi di L. Hartmann riportata da Kubitschek, Chrysopolis^ in Niim. Zeitsch.^ 1909, pag- 46, che cioè sulle monete abbiano portato Tcpiteto di Flavia quelle città che all'epoca della coniazione erano regie in senso ristretto vale a dire non sottostavano a un duca bensì a un gastaldo. Ora, ad esempio, Lucca era certamente ducato anche ai tempi di Liutprando e di Desiderio. Sulla situazione di Pisa rispetto al regno siamo complete: mente all'oscuro. (3) MGH. Formiilae, ed. Zeumer, pag. 587, 20. (4) Plin. H. N., Ili, io; Isid. Pac, Chron.y C. 36 (Espi.fia Sagrada, Vili, pag. 291) e CIL, HI, pag. 306. Non spiegato è il NARBONA GA- LER • oppure (yAL • ERA ^^^ qualche moneta visigota di quella città. i89 Appare non solo con un predicato onorifico ma anche con delle aggettivazioni non prive d'interesse. Così il nome di Flavia Placentia è seguito dal nesso AVG che va svolto in Augusta. 11 nome di Augusta Placentia non figura in alcun documento langobardo, salvo che nella carta del 12 mag- gio 716, ove è detto Actum Augusta Placentia, la sola ro- gata non da un comune notaio ma da un Vitalis vr. subdia- conus exceptor civitatis Placentinae (i). Se la lettera C che segue i nomi di Ticino, Pisa, Treviso, può svolgersi in Ci- vitas (e la variante di una moneta di Treviso del ripostiglio di Hans (2) ove si legge CI lo confermerebbe) se le lettere FG- (o forse FC) di una moneta di Vicenza ci rimangono di interpretazione dubbia, come pure le lettere I, S, T, G- che seguono il nome di Seprio, il trovare sulla moneta di Pia- cenza il titolo di Augusta collegato col fatto che il solo do- cumento piacentino scritto da un funzionario reca Augusta Placentia, dimostra che questo era il nome ufficiale della città. Ma nella carta non appare il titolo di Flavia, che solo sta sulla moneta; ciò mi fa pensare che vi fu aggiunto a chiara dichiarazione d'essere puramente regio il diritto di moneta battuta nella zecca di Piacenza. Flavia Placentia Au- gusta mi par voglia dire in altre parole: moneta regia bat- tuta nella zecca di Piacenza, mentre il nome della città era semplicemente Augusta Placentia (3). Questo perchè i mate- riali da me indicati non abbiano da trascinare incautamente qualche studioso a rinforzare con nuove fantastiche disserta- zioni il vano tentativo che in questi ultimi anni il Mengozzi ha fatto per galvanizzare e presentare sotto nuove spoglie una ben giustamente morta teoria, che vorrebbe si conti- nuassero nei secoli del predominio langobardo in Italia un complesso di diritti acquisiti alla città e che questa esistesse quasi come entità giuridica di contro al dominatore straniero. (i) Porro, CD£., n. 3, coli. 14-15. Cfr. Cfr. Chroust, pag. 48. (2) E' la moneta n. 25 secondo la catalogazione di F. Jecklin, il quale però non la lesse rettamente. (3) Mi sembra superlluo avvertire che da nulla ci risulta che Pia- cenza portasse il titolo di Augusta in epoca romana, come asseverano dei tardi cronisti. Cfr. il Chroìticon placentinnm di Giovanni de Mussis in RIS. XVI, coli. 561 e 564. 190 Sarà bene ora renderci conto quali forme abbia assunto il diritto monetario nelle Gallie sotto il regno merovingico, onde poi meglio comprendere il successivo sviluppo del di- ritto monetario in Italia. Le tribù germaniche che dal Reno premevano i confini dell'Impero già fino dal terzo secolo avevano appreso a contraffare la moneta romana: così molte imitazioni delle monete di Tetrico, se proprio non appartengono agli Ala- manni d), certo sono prodotte dall'industria di popoli Bar- barici. Dopo pili che il bronzo si imita Toro; il de Jonghe ha indicata la curiosa imitazione di un soldo di Costantino e nell'importante ripostiglio di Dortmunt abbiamo delle fal- sificazioni barbariche da Magnenzio a Valentiniano II. Con- quistate le Gallie si direbbe che le tribù Franche non hanno saputo liberarsi di questa inveterata abitudine delle falsifica- zioni, copiando i soldi ed i tremissi sino a quelli di Foca ed anche di Eraclio, ma indicando con lettere nel campo il nome dei luoghi ove venivano coniate, e qualche rara volta scri- vendo il nome intero v2) dapprima specialmente sulle monete regie. 11 che dimostra un rapido sorgere di numerosissime zecche per tutte le Gallie immediatamente dopo la conquista. Per la questione che ora ci interessa possiamo dividere le monete merovingiche in varii gruppi. Il primo si compone di quelle che portano un nome regio, cominciando da Teo- derico re d'Austrasia (512-534). Dapprima non portano se non un nome ed un monogramma, poi con Theodebertus d'Austrasia anche l'effige del sovrano (3) ed un segno di zecca. Più tardi al nome del sovrano e della zecca, si unisce quello del monetario, CHRA • MNVS sotto Hildebertus, DACE F(ecit?) sotto Sigibertus, ANTIMI M(onetarius) sotto Childe- (1) C(ììììe vorrebbe il Forrer, Alamaniiische Tetricus-Na( /ipi ài^tiiii^en in Beri Miinzbl.^ 1911, pai^o. 56-61. (2) Cfr. G-AbALOR ^'^ ^^^ imitazione ci: Giustino II. Tolsi 01, n. 527; /^VRIL ^^' ^^^^ trcniisse al nome di An.istasio, ecc. (3) Cfr. Quanto dice Procopio. Bell. Golii., Ili, 33. 191 bertiis III, e così via. Il colleg"arsi del nome dello zecchiere con quello del sovrano è significativo: dimostra come quello venisse assumendo un'importanza non trascurabile: e infatti la monetazione merovingica non è una monetazione regia, ma prevalentemente una monetazione di monetari. A questo "ruppo si possono anche aggiungere quelle monete che portano un nome di maggiordomo. Così il nome di Ebroin (f 68i) figura su un denaro che porta al rovescio il nome del monetario Rodemarus e su un altro, del ripo- stiglio di Bais, a rovescio anepigrafo. Inoltre quelle che por- tano i nomi dei patrizi di Marsiglia, Antenor, Ansedert e Nemfìdius (i). Un secondo gruppo di monete merovingiche è costituito da quelle che portano un nome di chiesa : qui possiamo con- siderare due sottogruppi. Il primo reca generalmente il nome della chiesa al diritto ed il nome del monetario al rovescio; il secondo porta invece al diritto " Racio „ seguito dal nome della chiesa (esempio Racio S. Martini) o dai termini Ecclesia (esp. Racio Ecles. Senon.) o Basilica o più raramente Mu- naxtirii. Come si vede le amministrazioni dei beni ecclesia- stici batterono moneta. Un terzo gruppo di monete merovingiche reca dei nomi di vescovi : così Avitus Ebescobus di Clermont-Ferrand (674- 689), Lambertus ips (= ipiscopus) a Lione, Procolus Eps a Clermont-Ferrand nel sec. VIII, Norbertus E[)s a Riom, ecc. Un quarto gruppo, numericamente il più importante, reca un nome di località seguito da termini diversi : castel- lum o castrum, civitas, curtis, domus, pagus, portus, vicus, villa. Al rovescio generalmente il nome del monetario. Il nome della civitas è qualche volta scritto per esteso, o abbre- viato, o ridotto in monogramma : il nome del vicus è qual- che volta unito sulla stessa moneta col monogramma del nome della città dalla quale dipende. Così ad esempio le monete di Caranciaco e di Mauriaco vico portano il mono- gramma AR cioè Arverno civitas. Un caso eccezionale è il nome di due città sulla stessa moneta, che si verifica per una (i) Cfr. Carpentier A., Marseille. Motuiaies des pairices, in Uevue Ntimism., 1864, p;iffg. 1 18-130. 1 192 che reca al diritto Segusio civitate (Susa) e al rovescio Si- duninsi(iim) in civi(tate) Va(llensium). Importanti sono le mo- nete che al nome di località hanno unite le indicazioni sinc- nime domus e villa (0. Un quinto gruppo di monete merovingiche indica che sono coniate da enti tutto affatto speciali. Alcune derivano dall'amministrazione del tesoro: così una moneta di Rennes reca al diritto RÀCIO FIS(ci) e al rovescio REDONIS; altre portano invece al rovescio il nome di un monetario (esp. Abolenus). 11 termine poi si trasforma in quello di Racio Do- mini: l'uso dei due può anche essere contemporaneo, perchè lo stesso monetario Abolenus segna anche una moneta con questa seconda formola. Un altro gruppo di monete reca le diciture in palacio (2), in scola re(gia), in scola fit, escola re(gia), monita in sco(la), scola re(gia): sarebbero monete coniate per o nella scuola palatina (3). Infine un certo nu- mero di monete poitano le indicazioni di mallum (Mallo Ar- lavis, Mallo Campione, Mallo Manriaco o Matiriaco, Mallo Satidi?) il luogo cioè ove il popolo teneva le assemblee. Un sesto gruppo di monete reca semplicemente il nome del monetario o dei monetari, perchè si verificano dei casi di monete portanti due nomi d'uomo (4). Da questa sia pur sommaria esposizione si possono trarre delle conclusioni fondamentali. Dapprima la multipli- cità delle zecche nell'interno del regno merovingico, giacché bisogna accettare l'asserzione che già nel XVII secolo emet- teva il Le Blanc, che cioè tutti i nomi di luogo scritti sulle monete indicassero altrettante officine monetarie: anche i testi ci provano che i monetari risiedevano in diverse città, così la vita di S. Eligio (I, 3) che indica una zecca di Li- moges (publica fiscalis monetae officina) o la vita Aridii ab- (i) Un elenco è dato da L, Maxe-Werly, in Rev. Belge de Niint.^ 1890, pag. 14 e segg. (2) Cfr. Rev. Nnmism., 1896, pag, 437, tav. Vili, 9. (3Ì Cfr. G. DE PoNTON d'Amécourt, Monnaies de fècole palatine in Ann. Soc. Num., IX, 1885, pagg. 258 e segg. (4) Data l'importanza del tenomeno ne richiamo qui alcuni esempi, riferendomi a A. de Belfort, Descript., nn. 651 1, 1757, 6045, 6172, 66c^ e Prou, Calai. Monn. rnérov., nn. 92, 171, 172, 173, 183, 237, 2707, ecc. 193 batis Lemovicini che ci parla di una " Ricovera coniunx Tu- ronici monetarii „ (i). Così sulle monete stesse abbiamo un Romanos mu(nitari) Acauninsis a St. Maurice d'Agaune, un Cornino monetario Albigiinse ad Albi, un Mone(tario) Juffo in Daernalo. Alla multiplicità delle zecche fa giusto compenso la multiplicità delle persone che avevano diritto di battere moneta: il re, i maggiordomi, le chiese e così via, conside- rando che anche un gran numero di semplici località farebbe pensare che ogni proprietario avesse ricevuto o si fosse arrogato il diritto di battere moneta. E la teoria del Fillon (2), che malgrado tutto io ritengo la meglio fondata fra quante sono state emesse per spiegare la monetazione merovingica. A questa manca dunque il fondamento di ogni diritto regio e quindi anche ne deriva l'impossibilità di ogni concessione del diritto di moneta, che rientra invece fra i diritti di im- munità di ogni dominio. Quale è la genesi di questa, per così dire, organizza- zione monetaria? Io credo che varie ragioni fondamentali vi abbiano contribuito: la prima è la dispersione dei monetari delle zecche imperiali sciolte al momento dell'invasione. Gli operai si separano, qualcuno rimane a continuare il lavoro in un'officina alla quale dà il suo nome. Così si possono spiegare le monete che portano la dicitura VIENNA DE OF- FICINA LAVRENTI, imitante un tremisse di Maurizio Tiberio, e la lionese con DE OFICINA IVIARET, imitante un tremisse di Giustiniano. E la Gallia meridionale che ci mostra aver nome gallo-romano i piij antichi monetari vissuti in epoca nota: a Lione Maurentius (511-558) e Dacco (551-575), a Vienne Laurentius (582-602), Antimius a Tours (575-595): è la Gallia meridionale che da il massimo numero di imitazioni delle monete imperiali le quali portano le iniziali di Marsi- glia, Arles, Valenza, Vienne, Viviers, Usez, Senez, Venasque, Die, località tutte non lontane dai soppressi centri monetari dell'Impero. Questi operai, che continuano ad imitale il tipo imperiale, sono ben ricordati da Cassiodoro (3): Monetarios (i) Cfr. MGH. Ss. Rr. inerov., IV, paor. 671; III, pag. 591. (2) B. F'iLLON, Letlres à M. Duf^ast-Mattfeux, pap:. 35, Idee analoghe o anche A. de Baktiiélemy, in Rev. Nuntisfu., 1895, pag. 81. r l'arti n/. V. -^o. (3) Variaruìtì, V, 39. 194 autem, quos specialiter in usum publicum constai inventos, in privatorum didicimus transisse compendium, qua prae- sumptione sublata, prò virium qualitate functionibus publicis applicentur, testo fondamentale che già ho avuto occasione di ricordare e importantissimo non solo per il fatto che ri- marca, ma anche perchè si riferisce a quella parte delle Gallie alla quale abbiamo accennato. E bene anche ricordare che nelle Gallie un gran numero di monetari lavorava, come anche in Oriente, nella propria officina al di fuori di quella statale: l'assorbimento di questi operai nei possessi privati deve esser stata estremamente facile. Ma questa diaspora della famiglia monetale non può certo spiegare il grandissimo numero dei monetari che tro- viamo, già all'inizio del VII secolo, sparsi in tutti i paesi delle Gallie. È necessario quindi ricorrere ad un altro ordine di fatti. Prendiamo in esame le tessere plumbee romane (i): è indiscutibile che fra le loro molte varietà ve ne sono alcune che hanno il carattere di una quasi-moneta. I passi di Mar- ziale e di Plauto dimostrano per Roma ed Atene la circola- zione di questa " nigra moneta „ e i dati archeologici ne confermano la diffusione, giacche furono trovati i medesimi tipi del medesimo conio in Gallia e a Roma, in Italia, in Grecia, in Egitto. Le tessere private hanno avuto un valore di piccola moneta, per lo piìi limitata entro i confini della villa, della domus, del grande possesso fondiario insomma, che possedeva una sua propria organizzazione economica (2). Così considerata una classe di tessere, è facile vedere come essa formasse il punto di partenza per una parte della mo- netazione merovingica: nelle Gallie abbiamo, contrariamente a quanto si verifica in Italia alla fine dell'Impero, dei grandi possessi fondiari, dei veri latifondi, di cui si impossessano i (i) Su queste si vedano le opere fondamentali del Rostovtsew, Ètiides sur les plombs aniiques, in Revne 2\'u;n., 1897-1899; Riniskiia svintsoviia tesseri. Pietroburgo, 1903; Ròmische Bleilesserae. Lipsia, 1905. Inoltre il catal. della coli. Recaniier del Dissard e le note del Maxe- Werley citate nella bibliografia. (2) RosTovsEW, Rolli. Bleites., pag. 108, 111-116. 195 capi g-ermanici durante l'invasione pur mantenendo in essi come ben si sa tutte le forme di struttura economica del distrutto regime. Per la mancanza del concetto giuridico della moneta considerata come regalia, non vi era impedi- mento legale a che alla coniazione delle tessere nella villa per l'uso interno si sostituisse una coniazione monetaria. Il re, che probabilmente dispone delle antiche officine imperiali, ha degli artefici che meglio si attengono al tipo monetario vero; i privati, che hanno degli antichi coniatori di tessere o dei monetari che molto hanno subito l'influsso di quegli esempi, dispongono di un numerario che rapidamente si dif- ferenzia dal tipo della moneta imperiale. Il monetario meiovingico non ha veste di funzionario, ma di artefice: non dipende, salvo i monetari regi, dal re, ma bensì dal signore laico od ecclesiastico nel cui possesso egli vive e per il quale egli lavora. Se una publica fiscalis monetae officina può esistere in qualche luogo, infinite sono le officine private che si uniscono alle altre necessarie al- l'organizzazione economica della villa. Ed è anche possibile ritenere che un semplice privato conii liberamente del me- tallo; il che servirebbe a spiegare le monete che portano semplicemente il nome del monetario. Trovo inutile sviluppare largamente questi accenni che sono sufficientemente chiari per chi conosca l'organizzazione territoriale nelle Gallie ed il perseverare delle sue forme nel trapasso romano-merovingico. Solo voglio richiamare qualche prova ai'cheologica a sostegno di quanto ho asserito: la prova è data da un perseverare delle monete plumbee anche sino al VII od all'VIII secolo (0. Nel gabinetto delle me- daglie presso la biblioteca nazionale di Parigi si conserva (i) Anche nel XIII secolo si trova un piombo che riproduce il tipo delle monete di Sigfrido II arcivescovo di Magonza (1200-1230): inedito da Buchcnau in Blàlter f. Miinfreiiiìde, 1904, coli. 31 19-3120. Anche molti piombi bizantini andrebbero studiati sotto questo punto di vista. Esiste infatti un interessante testo di Michele Psello (1020-1072) nel Ióvo^{>t; Tcùv vójxuiv [Fair, ,^'r., CXXII, 955-956) che sembra annoveri fra i mezzi di pagamento che debbono essere valutati a peso, oltre l'oro e l'argento, anche il piombo, mentre vi contrappone le monete minute che debbono essere nun, erate. 196 una tessera che porta al diritto TIDIRICIA V, cioè Tidiriciaco vicus, attorno ad una testa, ed al rovescio + SIG-OAfDO, cioè Sigoaldo, attorno ad una croce (0. Ora di tale vicus conosciamo molte monete di stile analogo al piombo citato, ed una porta appunto il nome del monetario Sigoaldo (2). Il Fillon ha fatto conoscere due altri piombi: il primo ha al diritto una testa diademata e intorno + VIENNA VICO ; al ro- vescio + VIVATVS MON attorno ad una croce crismata can- tonata da quattro punti. Il secondo ha al diritto il nome in- completamente leggibile di FÉ • • • IPEA • attorno a un busto a sinistra, e al rovescio ALFINIV • MON • attorno ad una croce. Il primo pesa grammi 2,60 e il secondo gr. 2,18 'S). Altri piombi merovingici sono stati pubblicati dal Baudry e dal Chalon (4). Il numero delle tessere di tipo monetale citate è assai piccolo in rapporto a quello delle monete merovingiche giunte sino a noi: ma bisogna tener conto della facilissima alterabilità del metallo che ne ha distrutto la massima parte. In Italia un gruppo importante di piombi ci è dato dal territorio di Luni (5). Un primo piombo, noto in 22 esemplari di diametro variante da 15 e 25 mm. e di peso da gr. 3,080 a 14,020, reca al diritto un busto grossolanamente disegnato e al rovescio VENANTIVS EPCS (A e N in nesso) scritto cir- I (i) Prou, Cat. M. mér , n. 2372; cfr. Reviie Niiin., 1886, pag. 210 e Fillon, Eludes nitmism., 1856, pag. 92 che dà una diversa lettura. Il piombo pesa grammi 12,30. (2) Proq, op. cit., n. 2365. (3) Fillon B., Considératioìis liislar. et artist. sur les monnaies de France, Parigi, 1850, pag. 216, nn. Ili e V e tav. IV, 3, 5. (4) Baudry, in Bull, de la Soc. Nat. des Antiq. de France, 1877, pagg. 40-42. Chalon R , in Rev. Belge de Numism., 1859, pag. 545. Si veda anche nn piombo monetiforme disegnato in Conbrouse, tav, 158 L, n. 17, che però non mi pare merovingico. (5) Cfr. U. Mazzini, Dì una zecca di Luni, in Miscellanea di studi in onore di G. Sforza, Lucca, 1918. Dal punto di vista che sto trattando sarebbero da studiare anche alcune rare monete di piombo o piombi monetiformi mussulmani fra i quali indico quelli editi da Stickel nella Zeitsch. d. Deut. Morgenl. Gesellsch., XL, 1886, pagg. 83-84 (ctr. anche XXXI, 1877, pag. 534) e da Casanova, in Revue Numismatique, 1900, pagg. 184-185 Ma r indagine ci porterebbe troppo lontani dal nostra soggetto. 197 colarmente attorno ad un monogramma che non può asso- lutamente leggersi " ecclesie basiliane „ come vorrebbe il Mazzini. Il piombo apparterebbe al vescovo di Luni, Ve- nanzio, al quale già nel maggio 594 il papa Gregorio Magno indirizzava una lettera e che è ancora citato nel 603 in una epistola dello stesso ponteficie a Deusdedit vescovo di Mi- lano. Un certo numero di questi piombi è rivestito da una sottilissima pellicola di rame, altri sono di una miscela di rame e piombo: questo e il loro numero fa escludere siano delle bolle, perchè ai 22 esemplari citati bisogna aggiungerne altri II, identici ai primi ma con la dicitura rovesciata. Di stile analogo è un secondo tipo di piombi che reca al diritto un busto fra due croci ed al rovescio un rozzo monogramma nel quale il Mazzini ha letto Lazarus, il nome cioè del vescovo successore a Venanzio sul trono episcopale di Luni e contemporaneo alla conquista della città compiuta da Rothari: il piombo è noto in due esemplari del peso di gì-- 3'05 e 3>98. Un terzo tipo è rappresentato da otto piombi di dia- metro e peso variabili, che recano da un lato la dicitura ECCL e dall'altra B e un monogramma che contiene le let- tere L, A, N, E. Il Mazzini ha letto P^cclesie Basiliane, dal nome della primitiva cattedrale di Luni, il che è probabile ma non sicuro. Un altro piombo reca al diritto il solito busto fra due croci e al rovescio una f alla cui asta verticale è adossato una B; nel campo a sinistra una croce, a destra una V e un segno lunato. Trascuro gli altri piombi trovati nel territorio di Luni perchè si rivelano di epoca posteriore e probabilmente non di origine locale: quelli presi in esame costituiscono già un gruppo importante sia per l'unità di stile quanto per il nu- mero delle loro varietà. Il nome di Venanzio ne fa certa l'ori- gine dall'antica città tirrena, ma parlare di una zecca uftì- ciale a Luni è assurdo: Roma e Ravenna erano nell'Italia settentrionale e centrale le sole zecche dell'Impero, al quale appartenne, sino alla conquista di Rothari, anche la Marit- tima. È dunque una coniazione puramente locale quella che ci sta innanzi: coniazione di un numerario divisionale d'in- 198 fimo valore per l'uso interno dei possessi della chiesa lu- nense, o per sopperire alla mancanza di quelle frazioni di folli che coniavano le zecche imperiali e che mal potevano giungere alla riviera tirrenica, separata come essa era ter- ritorialmente dal corpo dell'impero. I piombi col nome del vescovo lunense ed il suo busto mi pare non possano tro- vare altra spiegazione, e ad ogni modo essi contribuiscono a chiarire il problema della monetazione merovingica. Per ritornare a questa, debbo osservare che vi è uno 'stretto rapporto fra il monetario e l'orefice, come ben prova il notissimo passo della vita di S. Eligio, per quel principio da me in altro luogo illustrato, il quale fa si che nell'eco- nomia della vita medioevale le professioni affini, separate nell'epoca romana, s'accomunino nello stesso individuo. L'ore- fice-monetario è il depositario dei metalli preziosi: battendo la moneta e mettendovi il suo nome egli da con questo al pubblico una garanzia sul peso e sulla bontà del metallo (0. Tale garanzia si esprime col termine, come infiniti documenti portano, di probatae monetae (2); l'artefice è probatus. Ricor- diamo che S. Eligio è detto faber aurifex probatissimus, e la legge degli Alamanni (3) stabilisce un'alta composizione per il faber aurefix aut spatarius qui publice probati sunt. In quest'ultima forinola appare un'intervento statale (publice probati); ora mi richiamo alla prima parte di queste mie (i) Le falsilìcazioni d'epoca merovingica (Cfr. Prou, Ca/n/., nn. 206, 282, 359, 380, 409, 522, 691, 722, 963, 1008, 1022, 1025, 1147, 1231, ecc.) non possono spiegarsi se non come la prova che si voleva far circolare sotto un fdlso nome, che dava garanzia, una moneta scadente. L'abbi- namento delle funzioni di orefice e di monetario è già stata osservata da A. DE LoNGPÉRiER, Revue Nitin., VI, 1861, 407-428 = Oeuvres, II, 514 e da DuLiTH, Journal internai. iVarch. ntimism., II, 1899, 285, per l'Egitto tolemaico e vi sono indizi per ritenere che avvenisse anche nell'Egitto bizantino. (2) In epoca tarda il termine si altera; cfr. la forma probabiles de- nari!, nummi probabile?, nei diplomi di Ottone Ili, ed. Sickel, n. 89, ^35j 350 e in quello riportato nel Chron. Laurish., MGH.. SS. XXX, pag. 401. (3) § LXXIV, 5 (LXXIX, 7). Da cfr. con la formola della legge Bur- gunda (X, 3): qui aureficen electum occiderit 150 sol. solvat ; e con quella della lex rom. burg. (II, 6); prò aurefice electo 100 sol. 199 note, all' illustrazione cioè del marchio di garanzia posto sulle oreficerie merovingiche. Si può ritenere che esso non potesse esser usato se non dalTaurefix publice probatus, il che gli da una situazione preminente di controllore. Fra la marca dell'oreficeria e la formola della legge vi deve esser stato uno stretto rapporto che oggi noi presentiamo senza pur poterne afferrare in pieno la fisonomia. L'orefice-monetario diveniva il depositario di grandi quantità d'ogni prezioso metallo e fra le sue funzioni, oltre quella di eseguire la moneta, deve essersi trovata anche quella di tener banco di cambio; ad ogni modo professione lucrosa non per lui solo, ma bensì anche per il signore al quale era legato col vincolo della ministerialità. Da ciò l'at- taccamento ad un privilegio che dava si tanto reddito e l'im- possibilita durata per tutto il medio evo d'eliminare le mo- netazioni signorili e lasciar sussistere la sola monetazione regia. Questo per la massima parte dell'Europa occidentale. La speciale struttura della regalità nel regno merovingie o ed il suo continuo affievolirsi aveva permesso il sorgere di infinite zecche particolari, stato di fatto che era diventato stato di diritto. Nelle epoche successive i signori ottengono dal sovrano dei diplomi concedenti la moneta onde avere e lo stato di fatto e lo stato di diritto. Il concetto giuridico della monetazione feudale è tutto insito già nella forma par- ticolare della monetazione merovingica. * * La riforma monetaria cominciata da Pipino ^ compiuta da Carlo Magno può sintetizzarsi così: ricondurre la moneta ad essere un diritto regio, afiìdare la sorveglianza e la di- rezione delle officine monetarie al conte, dando in via ec- cezionale ai missi un potere di controllo superiore. Salvo quindi l'apparire dei missi, i carolingi non hanno fatto altro se non applicare per tutto l'impero quanto già esisteva, come meglio vedremo in seguito, nel regno langobardo. La tanto vantata riforma non fu se non un plagio. Il passaggio dal sistema merovingico al carolingico non fu certo attuato in un giorno; abbiamo ancora delle monete 200 che portano i nomi dei monetari sotto Pipino (Auttramno, Gaddo, Novinus), sotto Carlomanno (Leutbra....) e sotto lo stesso Carlomagno (Arfiuf, Auttramno, Gervasius, Maurinus, Odalricus, Rodland, Walacarius). Le officine monetarie sono ancora numerose; nei primi tempi alcune portano, come nel- l'epoca merovingica, nomi di chiese. Nell'anno 805 Carlo- magno decreta col capitolare di TionviUe (§ 18) che non si conii moneta se non al palazzo; e rinnova la prescrizione nell'anno 808, senza però ottenere d'essere obbedito. Dopo di lui il numero delle zecche aumenta e l'editto pistense (864) che stabilisce non potervi essere zecche se non a Quen- tovic, Rouen, Reims, Sens, Parigi, Orleans, Chalon, Melle e Narbonne, oltre che all'officina palatina, rimase inascoltato; sotto il regno di Carlo il Calvo funzionano circa 130 zecche. La scelta dei monetari, che in origine dipende dal conte, ai tempi dell'editto pistense è fatta da quelle persone in quo- rum potestate deinceps monetae permanserunt: ai conti non rimanevano quindi se non le officine regie. La moneta, fa- cente parte del comitatus, segue le vicende di questo e di tutti i diritti ad esso collegati: quando i conti rendono ere- ditaria la carica, del diritto di moneta s'impossessano attratti dai grandi lucri che con esso erano congiunti. Nel diploma di Carlo il Semplice per la chiesa di Autun (i), con cui esso concede al vescovo la moneta della città, essa è detta: mo- netam quam in praefato urbe comitalis potestas dominabatur, essa cioè era dominio e proprietà del conte. Ciò è confer- mato dai diplomi per Treviri del 902 e per Puy del 924 (2). Nel X secolo la moneta è dunque proprietà dei conti o dei vescovi-conti, i quali alla fine del secolo cominciano ad iscri- vere il loro nome a fianco di quello del sovrano nei pezzi da loro coniati. Questo per le zecche regie. Ma già Ludovico il pio nell'anno 827 aveva inaugurato il sistema di concedere officine monetarie speciali a certe chiese, se possiamo ritenere attendibile il fatto riportato nella Translatio S. Sebastiani, per S. Medardo di Soisson. Certa è la fondazione di una zecca per Corbie sassone fatta dallo I (i) Dell'anno 900 : Cfr. Recueìl des ììist. de Frante, IX, png. 486. (2) Cfr. Prou. Calai iìioìiu. carol., pagg. lv-lvii. I 20I Stesso sovrano nell'anno 833 (i), per la chiesa di Mans nel 836 (2), e sono ben noti tutti i diplomi che danno a chiese e monasteri i diritti ormai uniti nell'economia medioevale di mercato e moneta. Se questi diplomi in origine non conce- dono se non la fondazione di una zecca che batta monete di tipo regio, con la carta del 920 per Prum (3), Carlo il Sem- plice riconosce al monastero il diritto di coniare proprii nu- mismatis monetam: essa quindi perde il suo carattere pub- blico e diviene una cosa privata. Cominciano i vescovi dei paesi renani a porre le iniziali dei loro nomi sulle monete; così a Strasburgo OD per Odbert (907-913), GD per God- fried (913), RS per Richwin (914-933), VEB per Eberhard (933-934): Salomone III vescovo di Costanza (892-911) scri- verà sul rovescio dei suoi denari il nome intero SALOMON. Siamo agli inizi della monetazione signorile. Ciò nei paesi d'oltr'alpe dell'Impero carolingico: con maggiori dettagli dobbiamo studiare quanto è avvenuto in Italia nel medesimo periodo. * * Quando Carlo Magno conquistò l'Italia si trovò innanzi ad una situazione monetaria ben diversa da quella francese. Qui il re langobardo aveva conservato, salvo le eccezioni di cui sopra ho accennato, specie Benevento, il pieno diritto regale della moneta che veniva battuta in un certo numero di zecche sotto la sorveglianza e la direzione del conte, que- stione quest'ultima che mi riserbo di dimostrare in seguito. Nell'insieme un perfetto ordinamento statale che servì a Carlo da modello per i suoi tentativi di riforma compiuti nel resto dell'Impero. Dopo la sconfitta di Desiderius alcune zecche continua- rono a battere l'abituale moneta, del cui tipo già ho parlato, ma togliendo il nome del re e sostituendolo con una leg- (1) BòHMER-MiilILBACHER, 893. (2) BÒHMER-MUHLBACHER, 928. (3) Recueil des hist., cit., IX, pag. 548. Cfr. anche il diploma per Caiiibray del 911 in Prou, op. cit., pag. lxvi, nota i; quello di S. Mar- tino di Tours, Recueil, IX, pag. 528. 14 202 gendd fittizia, composta in generale delle lettere V, I, O, N, ciò fecero le zecche di Lucca, di Pisa, di Pistoia e alcune altre delF Italia centrale. Quella di Lucca anche creò un secondo tipo, ove il nome della città invece di essere scritto per esteso è espresso in un monogramma. Sono queste le monete che così erroneamente furono dette auto- nome e che invece non sono se non il prodotto di una co- niazione transitoria del momento confuso ed anarchico che seguì lo sfasciarsi del regime antico quando il nuovo non si era ancora organizzato. Ma ben presto tutte le zecche del regno ricominciarono a battere la moneta regia per Carlo re, copiando il tipo langobardo: la moneta aurea ha cioè al di- ritto la leggenda D(ominus) N(oster) CAROLO (oppure CA- ROLVS) R (oppure REX), scritto in circolo attorno ad una croce potenziata e solo per un esemplare di Lucca attoino ad un busto di prospetto. Al rovescio la moneta porta la dicitura FLAVIA (oppure FLA o FL) seguito dal nome delle zecche. Queste sono Milano, Bergamo, Seprio, Ticino, Lucca e Pisa. La moneta di Pisa ha il nome della città seguito da C, iniziale di Civitas. La massima parte di queste monete ci sono note dal ritrovamento di llanz; ora un pezzo contenuto in questo ri- postiglio solleva un problema interessante. E un pezzo d'oro di stile analogo a quello degli altri conii ma avente al di- ritto la dicitura + DOMM : S CAROLVS scritta attorno al mo- nogramma R -F; al rovescio la dicitura + FLAVIA CVRI-AM attorno all'abbreviazione GIVI. Il problema che si pone è questo : dato che tutte le monete carolingiche di cui stiamo occupandoci derivano da prototipi langobardi, la moneta di Coirà deriva anch'essa da una precedente moneta di stile langobardo oppure essa rappresenta l'apertura di una nuova zecca, creata da Carlo Magno, ed in questo caso a quale epoca è ella attribuibile. Nel V secolo la Rezia dipende civilmente dalla diocesi d'Italia ed ecclesiasticamente da Milano come prova la sot- toscrizione al concilio del 451 : Abundantius (vesc. di Como) prò se et prò absente sancto patre suo Asinione episcopo ecclesiae curiensis primae Rhaetiae. Essa fa parte del regno 20^ di Teoderico di cui i confini giungono lungo il Reno sino a Basilea (i), ed è amministrata da un duca ed è ritenuta come la rocca che difende l'Italia (2). Subisce poi la conquista franca e viene in potere di Teodeberto d'Austrasia verso il 536-537 (3) e ancora nel 590 è il luogo di riunione dei venti duchi che Chidelbertus manda contro l'Italia (4). Malgrado questa dominazione franca l'iscrizione sepolcrale del vescovo Valentianus (f 7 gennaio 548) è datata dal post cons. di Ba- silio (5). Per quanto dipende da Milano ecclesiasticamente, il suo vescovo Vittore firma gli atti del concilio di Parigi del IO ottobre 614 e Tello quelli del concilio di Attigny, che ebbe luogo fra il 760-762 (^) ai quali non partecipavano se non vescovi del regno franco : dipendenza quindi nominale puramente. Il testamento del vescovo Tello (15 die. 765) è datato con gli anni di Pipino: tutto prova che la Rezia Cu- riense mai non fece parte del regno langobardo (7). Dunque la moneta carolingica di Coirà non rappresenta la continua- zione di un tipo langobardo: essa è il prodotto di una nuova officina apertavi da Carlo Magno, in quanto che non cono- sciamo nemmeno monete merovingiche attribuibili alla Rezia. Tale punto ammesso in modo sicuro, rimane a spiegarsi perchè Carlo Magno abbia introdotto nella zecca un tipo essenzialmente italico, facendo apparire anche sulla moneta il titolo di Flavia premesso al nome di Coirà, titolo caratte- ristico. L^unico dato che ci sorregga è la divisione dell'im- pero dell'anno 806, per la quale il ducato curiense viene (1) ScHUBERT, Uiilerwerfuiig der Alaniaìinen nìiter die Franken. Stra- sburgo, 1884, pag. 57. (2) Cassiod., Var., I, XI ; VII, IV, Ed. Momniseii, pagg. 20 e 203-204. (3) Procop., Bello goth., I, 14 ; Agathias, Risi., I, 4, 6, 7. (4) Gregor Turon., H. /'., X, 3; Paolo Diac, III, 31. (5) CIL., XIII, 5251. (6) MGH., Conc, I, pagg. 185-192; II, pag. 73. (7) E' quindi una tarda e leggendaria tradizione quella raccolta dalla Chronicii Mediolanensis che mette come paesi retti da Desiderio " Liguriam, Emiliani, Venetiam, Alpes Coriam (sic), Retiam, Tusciam ^ et Sampnitam „. Cfr. Tediz. Cinquini, Roma, 1904, pag. 11. La Genea- logia comitiim Angleriae, altra mistificazione del XIV secolo, spiega " Retia de quo est Coriam „. Stessa ed., pag. 29. 204 dato a Pipino, cioè unito all'Italia (i). Ma d'altra parte os- servo che la moneta di Coirà porta il nome di Carolus rex francorum, è quindi anteriore alla coronazione imperiale del- l'anno 800. Bisogna da ciò concludere che una forma d'unione della Rezia all'Italia aveva già avuto luogo innanzi questa ultima data (2). La coniazione dell'oro alla fine del sec Vili in Italia non è stata dunque qualcosa di eccezionale, un sem- plice perseverare della tradizione langobarda : ebbe invece grande importanza, tanto da condurre alla creazione di una nuova zecca (3); è quindi doloroso che i documenti siano muti intorno al regime monetario italiano durante gli ultimi anni del sec. VIII, o che i documenti a noi pervenuti ri- mangano inesplicabili. Tale è il § 9 del Capitolare di Mantova: De moneta- Ut nullus post kalendas augusti istos denarios quos modo haberi visi sumus dare audeat aut recipere; si quis hoc fe- cerit, bannum nostrum componat. Al capitolare si assegna generalmente la data del marzo 781, ma quale moneta si intendeva con esso demonetizzare ? Il Prou fa un lungo ragionamento per dimostrare che con la disposizione legislativa si intendevano colpire quei de- nari che hanno al diritto la leggenda CAROLVS scritta su due linee, per sostituirvi i denari a monogramma U). Non mi sembra che lo studioso francese sia riuscito nella sua di- mostrazione, e ciò per diverse ragioni. Intanto egli deve am- (i) MGH., Legum, I, pag. i:io e segg.; Capii,, I, pag. 126. Non vidi: U. Stutz, Karls des Grossen divisio voii Bistiim itnd Grafschaft Chiir.^ Historische Anfsàlze Karl Zetimer z. 60 Gebiirlslag... dargebracht. Wei- mar, 1910. (2) Cile fosse unita alla marca d' Italia-Austiia, come sostiene il Baudi di Vesme, Dell'orig. rom. del comitato, pag. 284, noia 51, non so proprio dirlo. (3) La monetazione di Coirà continuò coniando denari sotto Ludo- vico il Pio (Mader, Krit. Beitr., IV, 9) e sotto Ottone I (Dannenberg, pag. 369). Poi dal vescovo Ulrico (1002-1026) ebbe una monetazione ve- scovile (Dannenberg, pagg. 369-371, 501, 672). Coirà fu staccata eccle- siasticamente da Milano dopo l'anno 842, quando Verendario suo ve- scovo è ancora al concilio milanese dell'arciv. Angilbcrto, e prima del- l'anno 847 quando Gerbraco è già al concilio di Magoiiza. (4) Catalogne ruonn. caroL, pagg. viii-xi. 205 mettere che la demonetizzazione del tipo non avvenne con- temporaneamente in Francia ed in Italia, perchè il § 5 del capitolare di Francoforte del 794 chiama " novi denari! „ quelli che Carlo Magno dice portare " nominis nostri no- misma „, cioè il monogramma; tredici anni sono un po' troppi perchè i denari si dicano ancora nuovi. Ma di una nuova moneta parla anche una lettera di Alenino datata del mag- gio 796(1) che il Prou non ricorda; il § 18 del capitolare di Thionville dell'anno 805 indica i denari qui modo mone- tati sunt, e per non perderci a citare tanti esempi documen- tari, ricordo che le carte pistoiesi dell'anno 812 contengono la menzione di " novios denarios „ (2). Che denari sono questi? ancora quelli dal monogramma che il Prou vorrebbe coniati nel 794 o quelli del tipo XPICTIANA RELIGIO ? Che i denari dal tipo del monogramma si siano formati per influsso italiano, lo provano alcuni conii di Treviso (3), che rappresentano una transizione verso tale tipo. Inoltre dei denari con CAROLVS su due linee abbiamo in Italia quattro tipi distinti, quelli col rovescio R F, poi quelli col rovescio R F collegato con altro monogramma, quelli col nome della zecca scritto su una o due linee (LVCA, PARMA, MEDIOL., ecc.) e infine quelli col nome della zecca scritto in monogramma (LVCA, SEBRIO, PARMA). A quale di tutti questi tipi si vuol riferire il decreto di Carlo? A uno solo o a tutti? Come si vede la questione è assai oscura e ben lontana dall'aver avuta una soluzione. Qualche nuovo contributo al problema porteremo nello studio cronologico dei tipi carolingici. (i) Jaffè, Mori. Alciiiniaua, n. 53; MGH., Epist.^ ed. Dtimmler, pa- gina 140. E' importante notare che i denari della nuova moneta servono ad Alenino come una indicazione di peso. (2) Fioravanti, Mem. stor. pistoiesi, doc. pag. 18 ; Zaccaria, Aneciio- t or uni //leciti aevi, pag. 307. (3) Prou, Catal., cit., n. 911. Ripostiglio llanz n. 85-86 catal. Jecklin. Si ritiene anche che il monogramma di Carlo nei diplomi abbia avuto origine dalla imitazione bizantina: cfr. Lechner J., Das mo/iogramtn tn de/i Urkimde Karls des Grossen, in Neiies Arc/iiv, XXX, 1905, pa- gina 702 e segg.; Wolfram G., in Jahrb. d, Gesellsch. fiir Lothringische Gesch. tmd Alierthiimskunde, XVII, 1905, pagg. 346-349; Poole R. L., The Seal and Moiiogra/ii of Charles the Great, in The English Hist. Rew., 1919, pagg. 198 e scgg. 206 Che ad ogni modo ai testi legali non si deve dare se non una importanza minima nello studio della storia econo- mica, lo prova il fatto che quei denari del tipo CAROLVS su due linee che certo sono i più antichi fra tutti quelli coniati da Carlo Magno in Italia, hanno continuato a circolare libe- ramente in barba a tutti i capitolari. Lo prova il ripostiglio di Ilanz, databile al più presto dell'anno 8io : esso conteneva 39 denari di Carlo Magno e di questi tre soli erano del tipo del monogramma, due di Treviso e uno di Pavia I Per di più osservo che il più antico documento italiano dell'epoca carolingica che parli di denari grossi è il lucchese dell'ot- tobre 8oi (0. Ora fra i denari del tipo CAROLVS su due linee e quelli al monogramma, vi è una notevole differenza di diametro e di peso; il termine di grossi non si adatta se non a questi ultimi ed è strano che nessun documento li citi fra le due date 781 e 80 r. Come si vede vi sono non pochi elementi che si oppon- gono all'accettazione della tesi del Prou: cosa tanto più grave perchè così rimaniamo all'oscuro di quando avvenne la riforma ponderale di Carlo Magno e più difficilmente po- tremo studiarne le ragioni. E certo ad ogni modo che Carlo Magno ha continuato in Italia il diritto regio della moneta già vigente sotto i lan- gobardi, senza intaccarlo con strappo alcuno, come per nulla lo intaccarono i suoi successori sino alla fine circa del se- colo IX. Una situazione tutto affatto particolare si presenta però, durante il regno di Carlo per territori non appartenenti al regno langobardo: Benevento, Roma e Venezia. A Bene\'ento il duca Arichi (II), regnante dal 758, bat- teva secondo la tradizione del ducato, delle monete tipo bi- zantino portanti quale unico suo contrassegno l'iniziale A nel campo del rovescio. Caduto il regno Arichi s'intitola (i) Meni, e doc. per servire alla storia del ducato di Lucca, t. pag. 4. iV, 207 principe, e tale titolo appare sulle monete ove alla leggenda dei tempi precedenti " Victoria augustorum „ si sostituisce quella di " Victoria principi „. Le lotte con Carlo e la vit- toria del re franco non hanno lasciata alcuna traccia sulle monete. Morto Arichi nel 788, il figlio Grimuald (III) già prigioniero di Carlo, fu da questi riconosciuto come succes- sore legittimo d'Arichi dietro un tributo annuo, il patto di vassallaggio e il riconoscimento della signoria di Carlo espressa palesemente mettendo il nome di questi sulle mo- nete e sui documenti ('). In conseguenza Grimuald battè delle monete d'oro che portano al diritto il suo ritratto con la leggenda + GRIMVALD, oppure + GRIMVALD DX (dux), e al rovescio DOMS •:• CAR • R e nel campo le lettere GR ; inoltre delle monete d'argento che portano al diritto il mo- nogramma di Carolus rex ed al rovescio quello di Grimoald. 11 beneventano appare dunque come un duca (si osservi bene e non principe come il genitore) che batte una moneta por- tante il nome del re: il vincolo di vassallaggio è chiara- mente espresso. Ma come è noto Grimuald scuote ben presio il giogo franco dopo sposata una nipote dell'imperatore Costantino VI; e dal 793 tiene testa agli eserciti di Carlo. Il nuovo periodo di libertà ben si vede sulle monete, che riprendono il tipo di Arichi con al diritto + GRIMVALD ed al rovescio VICTO- RA •:• PRINCIP con le lettere GL nel campo. Così le monete d'argento portano al diritto il monogramma di Grimuald ed al rovescio BENEBENTV. Nulla più rimane della sudditanza al re franco, del quale come dei suoi successori non appare alcun segno sulle monete di Grimuald IV (806-817), di Sico (817-832), di Sicardo (832-839) e di Radelchis (839-851), le (i) Set prius cum sacramento luijus modi vinxit ut Langobardorum iiicntuin tonderi fecit, cartas vero nummos sui iiomiiiis caracteribus superscribi semper juberet. Accepta deiiique licentia repedandi, a Be- neventi civibus magno cum gaudio, exceptus est {Grintoaldtts). ì\\ snos aureos ejusque nomine aliquamdiu tìgurari placuit. Scedas vero simi- liter aliquanto jussit exarari tempore. Reliquia autem prò nihilo duxit observanda; mox rebellionis jurgium iniliavit. Erchempertus, Ilisi. ìnvi^- ben., e, 4, ed. Waitz, MGH., pag. 236. 208 quali portano liberamente il titolo di PRINCE BENEBENTL È sotto Adelchis (853-878) che riprende la dominazione franca: mentre le monete di questo principe in un primo tempo por- tano solo il nome + ADELHIS PRINCE, dopo la spedizione di Ludovico II (866) esse portano sul diritto + LVDOVI- CVS IMRE e sul rovescio + ADELHIS PRINCES, e più tardi solo il nome dell'imperatore, o quello dell'imperatore e dei- imperatrice Angilberga coi titoli di Augustus e di Au- gusta. Dopo la rivolta del gran langobardo contro l'ignobile giogo franco, è il pontefice Giovanni Vili che tenta stabilire la sua sovranità sopra Benevento: abbiamo in corrispondenza una moneta che reca + ADELGI • PRN e nel centro un mo- nogramma con le lettere lOHA, mentre al rovescio sta il nome della cattedrale SCA • MR. Con gli ultimi principi di Benevento ritorniamo alla monetazione che porta il solo nome del Signore langobardo. A Capua possiamo osservare un fenomeno analogo: le prime monete dei conti di Capua portano il nome dell'arcan- gelo Michele e della città CAPVA: ma dopo la morte di Lan- dolfo (marzo 879) il conte Pandonulf si sottomise a papa Gio- vanni Vili che subito fece battere una moneta portante at- torno al nome della città il suo + IOANNES • PAPA, moneta ricordata anche da Erchempertus (0, che quasi adopera le stesse parole che già usò per narrare che Carlo Magno fece porre il suo nome sulle monete e sulle carte beneventane. A Roma ci si presenta un fenomeno analogo. La zecca dell'Urbe aveva coniato per i re goti e, dopo la restaura- zione del potere bizantino, per gli imperatori d'Oriente. Ciò deve essere durato fino al primo decennio circa del sec. Vili, perchè leggiamo nel Liber pontificalis, nella vita di papa Co- stantino (708-715): hisdem temporibus cum statuisset populus Romanus nequamquam heretici Imperatoris nomen aut chartas (i) Quia Pandonulfus prius se subdiderat dicto papae in cuius vo- camine et cartae cxaratae et nummi figurati sunt. Erchemp , e. 47, ed. Waitz, pag. 254. 209 vel figuram solidi susciperent (i). L'accenno all'eretico impe- ratore deve riferirsi a Filippicus Bardones (711-713) che rav- vivò la controversia dei moneteleti nella sinodo constantino- politana del 712. È noto che i primi saggi di monetazione papale sono le tessere in rame di Gregorio (731-741) e di Zaccaria (741- 752) (2 ; ma monete propriamente dette non ne abbiamo che con Adriano (3) (772-795) il quale batte dei denari d'argento che portano al diritto la dicitura — HADR • • ANVS Px P at- torno al suo busto e nel campo I e B, e al rovescio — VIC- TO-IA DNN .*• attorno ad una croce potenziata con ai fianchi le sigle R e M ed all'esergo la marca dell'oro CONOB. RM è la marca della zecca di Roma come sui tremissi di Co- stantino V e Leone IV. Come si vede è il tipo bizantino che si ripete con l'anacronismo della marca dell'oro su una nìo- neta d'argento. In quanto poi alle sigle del diritto I e B, esse non sono state spiegate in modo soddisfacente: vi si è voluto leggere Imperator e Basileus, oppure Jesus e Basileus. Le medesime sigle Bl le troviamo su monete arabe d'oro che ripetono il tipo imperiale di Eraclio, Eraclio Costantino ed Eracleone (4). Una imitazione diretta dalle bizantine non è ammissibile, in quanto che gli aurei dei tre basilei non hanno mai nel campo le due lettere come le imitate monete arabe: ma invece recano il monogramma di Eraclio con una (i) Lib. poniif. ed. Duchesne, I, pag. 392. (2) Per tutte le monete papali che verrò citando mi riferisco, salva nel caso di altre indicazioni, all'opera del Serafini. Non deve meravi- gliare se le due tessere monetarie sono rettangolari : anche i bronzi di Costantino V (741-755) dalla marca XXX hanno la stessa forma. Cfr. Wroth, Calai. Imp. Byz. Coins^ n. 70-71, pag. 389. (3) Si potrebbe pensare che è attribuibile all'usurpatore Toto duca di Nepi (767) una moneta edita dal Wroth, nel catalogo delle monete vandale, ostrogote e langobarde del British Museum (pag. 153, n. i, tav. XXI, i) che ha al diritto la leggenda y — 1|||| TOTO + ^-^^ '*^" torno ad un busto a d. con paludamento e corazza : al rovescio, attorno ad una croce potenziata, una leggenda senza significato. Per lo siile la moneta appartiene al sec. Vili. (4) Cfr. i cataloghi di Berlino, Neutzicl, cit., n. 21 e di Parigi, I a- voix, cit., n. 26. 2IO delle lettere A, B, I, G, 6, K nel campo, mentre al seguito della leggenda al rovescio VICTORIA AVGG- hanno le lettere numerali da A a I, cioè da i a io. Questi ultimi sono cer- tamente i numerali che contraddistinguono le officine della zecca costantinopolitana; nessun influsso debbono aver avuto sulla monetazione islamica ne è possibile pensare ad una de- rivazione da loro. E stata enunciata l'ipotesi che la marca Bl sugli aurei mussulmani fosse un segno di valore, dello stesso tipo che IB (== 12) sui bronzi bizantini della zecca d'Ales- sandria; oppure che si dovesse leggere Bl come 2.^ indi- zione. La moneta di Adriano non deriva ad ogni modo dal tipo dei tre basilei, bensì da quelle contemporanee di Co- stantino V Copronimo (741-775) coniate in una zecca d'Italia che dallo stile il Wroth vorrebbe fosse Roma. Che la zecca dell'Urbe malgrado la citata asserzione del Liber Pontificalis avesse continuato a coniare in nome dell'imperatore d'Oriente da Filippico a Costantino V lo provano non solo le citate considerazioni stilistiche del Wroth, ma più sicuramente an- cora l'esistenza di un tremisse coi busti di Costantino \' e di Leone IV, posteriore dunque al 751, che porta al rovescio attorno alla croce potenziata la solita dicitura VICTORI AVG-TO (augustorum) e nel campo il segno di zecca di Roma, RM. E sotto lo stesso imperatore abbiamo dei bronzi con il segno XXX e l'indicazione di zecca [R]OM (0. Da ciò si vede come siano tendenziose o volutamente false molte asserzioni del Liber Pontificalis, dove i dati sono sfacciatamente alterati per il fine politico della Santa Sede. Per ritornare al denaro di Adriano e alla marca IB, osservo che le monete bizantine coniate fra Giustiniano II e Costan- tino V non hanno mai segni di zecca nel campo, ma bensì alla fine dell'iscrizione nel rovescio, se provengono dalla zecca di Costantinopoli, secondo la classificazione del Wroth; li hanno invece nel campo al rovescio gli aurei di coniazione provinciale, di Cartagine, di Roma e di Ravenna. Questi segni sono varie lettere (A, B, 6, G, H, I, M, R, S, A, TT, 0) (l) Wroth, Catal. of. the Imp. Byz. Coitis, II, Costantino V, n. 65, pag. 388 e tav. XLV, io. Il tremisse è di bassissima lega, di electron. Per il bronzo slessa opera nn. 70-71. 211 qualche volta la combinazione l€, oppure una stella con una delle lettere I, A, €, H, A, R, o la combinazione RM già ac- cennata. Salvo quest'ultimo caso, tutti gli altri non possono richiamarsi ad iniziali di zecca (non esistendo che Ravenna e Roma), ne a numerali di officine, perchè si arriverebbe a cifre troppo alte: forse sono segni di emissione dei quali il significato esalto ci sfugge e forse ci sfuggirà sempre. In quanto poi ai segni al diritto della moneta e nel campo, questi si osservano sotto Leone III e Costantino V nelle zecche italiane e sono lettere f, C. A, R, A ; oppure due let- tere, ai due lati del busto imperiale, RI, lA e il loro signifi- cato ci è ignoto, ma probabilmente costituiscono una serie di segni di cui qualche elemento solo è giunto fino a noi, e fra i perduti vi era probabilmente il prototipo del segno papale, IB. Questo primo denaro d'Adriano è dunque tutto affatto ancora nella tradizione bizantina. Adriano batte ancora un altro tipo di denari che si al- lontanano dagli esempi bizantini e più si avvicinano alla tes- sera di Gregorio. Essi hanno al diritto su tre linee, tagliate da una croce, la leggenda HADRIANVS PAPA, e al rovescio pure su tre linee, SCI PETRI; questo genitivo fa presupporre l'espressione completa Sci Petri moneta. Tale denaro mostra nel papa il pieno pos^:esso del diritto monetario. Ma appena avviene la conquista carolingica le cose cambiano aspetto: è a Roma che si batte un denaro portante la dicitura sul diritto + CAROLVS REX FR(ANCORVM), attorno al mono- gramma, che continua sul rovescio + ET LANG(OBARDORVM) AC PAT(RICiVS) ROIVI(ANORVM) attorno ad un altro mono- gramma poco chiaro, che io leggerei come una R con due tratti inclinati ai quali sono attaccate le lettere A e fi. Da Leone III sino a Giovanni Vili la moneta romana assume un aspetto che già abbiamo incontrato a Benevento: porta il nome dell' impttratore al diritto in circolo attorno al mo- nogramma IMP, ed al rovescio + SCS PETRVS attorno al monogramma del papa. Considero questa seconda faccia della moneta come rovescio, a differenza di quanto fanno altri studiosi, perchè l'indicazione " sanctus petrus „ tiene il posto del nome della zecca che non è di regola sul diritto. 212 I denari romani assumono quindi l'aspetto completo di un denaro imperiale dove per una speciale concessione, che non sappiamo se avvenuta in seguito ad accordi, appare il mo- nogramma del papa; il tipo stilistico è poi tutto affatto franco, mentre a Benevento era continuato il tipo locale pur con l'iscrizione del nome del nuovo signore. Il nome dell'impe- ratore Carlo appare sui denari del tempo di Leone III; quello di Ludovico il pio da Leone III a Gregorio IV; quello di Lotario da Gregorio IV a Benedetto III; quello di Ludo- vico II da Benedetto HI a Giovanni VIII. Il monogramma IMP del diritto è qualche volta sosti- tuito da PIVS o da ROMA. Giovanni Vili approfitta della de- bolezza degli ultimi carolingi per battere un denaro dal quale scompare il nome dell' imperatore : esso ha al rovescio + ROMA attorno al monogramma papale, e al diritto SCS PETRVS scritto verticalmente ai due lati del busto dell'apo- stolo la cui presenza ci indica il lato più importante della moneta. Ma con l'incoronazione di Carlo III si ritorna al tipo imperiale, apparendo sul diritto + CAROLVS IMP attorno al monogramma del papa. Con Marino I il tipo cambia ancora: al rovescio abbiamo MARINI PP attorno al monogramma di Roma, al diritto + SCS PETRVS attorno al monogramma di Carlo. Con Adriano III e Stefano VI la disposizione è scam- biata ritornando al tipo del diritto con + CAROLVS IMP at- torno al monogramma di Roma e del rovescio con + SCS PETRVS attorno al monogramma del papa. Ma in vacanza dell'impero Stefano batte una moneta che ha al diritto + SCS PETRVS attorno al monogramma papale e al rovescio + SCS PAVLVS attorno al monogramma di Roma. Comunque si voglia considerare la questione, è chiaro che il pontefice non batte moneta con diritti sovrani, ma solo con diritto feudale: come egli deve attendere il riconosci- mento imperiale perchè la sua elezione sia valida così deve mettere il nome del suo signore sulle monete. La moneta di Roma è un caso di coniazione feudale in Italia avanti il X secolo: è evidente che il pontefice mal subisce il giogo ed approfitta della vacanza o della gran debolezza deli' im- pero per cancellare il nome del sovrano dai comi, pronto 213 poi a rimettercelo appena l'imperiale potenza si è rista- bilita (I). Il reddito della moneta romana appartiene al papa: ciò risulta chiaramente dal XV cap. degli atti del concilio di Ravenna dell'anno 877 (2), col quale enumera i beni dipen- denti immediatamente dal fisco pontificio e che non potevano essere dati in beneficio. Se il reddito era papale non lo era il diritto di battere moneta, puramente imperiale ; perchè anche nel suo giuramento (3) l'imperatore riconosce nell'illi- mitata autorità del pontefice quanto a lui apparteneva od ai suoi romani, ma mai in nessun atto egli cedette a questi il suo Diritto monetario. * * Pili semplice si presenta il problema per Venezia. La città lagunare passata dalla reale alla nominale dipendenza dell'Impero d'Oriente, divenuta tributaria dell' Impero Caro- lingio (4), batte nel nome di Hludovicus dapprima di Hlota- rius poi, una moneta di tipo completamente franco e portante (i) Nella datazione dei documenti privati esistono grandi divergenze: le carte di Monte Aniiata per il territorio romano {Arch. Soc. Roin. di St. Patria, XVI) per tutta l'epoca carolingia recano prima il nome del- l'Imperatore e poi quello del papa: così le carte Viterbesi del registro Farfensc. Le carte di Subiaco seguono in un primo tempo la stessa regola (dee. a. 837), per poi invece posporre il nome dell' Imperatore a quello del papa (docc. aa. 850, 857, 866, 876). (2) Concilio di Ravenna^ 877 (Mansi, XVII, 337), § XV : Auctoritate summi judicis d. n. J. Ch praecepimus, decernimus et modis omnibus interdicimus, ut amodo et deinceps nuUus quilibet homo petat patrimonia sanctae nostrae ecclesiae,... videlicet... monetam romanam... sed haec omnia in usum salarli sacri palatii Lateraneusis perpetualiter mancant, ita ut solitos reditus et angarias perpetualiter absque ulla contradictione persolvant. (3) Vedi quelli di Carlo Magno e di Ottone I in Hauck., Kirclieii- gesck., II, 83 e Jaffé, Biblioth., II, 588-594. (4) Cfr. oltre la storia del Kretschmayr, gli studi particolari; Fanta, Die Vertràge d. Kaiser mit Venedig bis ztmi Jahre 98 j, in Mittheil. d. Insi. f. òst. Geschichisf., i.°suppl.eE. Lentz, Der allmahliche Uebergang Venedigs von fakiischer zu nominelkr Abìidngikeit von Bysanz, in Byz. Zeitsch, III, 1894. 214 sul rovescio il nome della zecca. + VENECIÀS o + VENECIAS MONETA nel primo caso, VENECIA nel secondo. La libbra veneta è già citata nel patto dell'anno 840(^1). Quando l'im- pero carolingio declina, e del suo potere meno teme la città, avviene, come a Roma, la scomparsa del nome imperiale: la nuova moneta, pur continundo il tipo franco del tempio, reca al diritto + DS CVNSERVA ROMANO IMP ed al rovescio XPE SALVA VENECIAS (2). Determinare quando questi denari furono battuti e quando vennero sostituiti dagli altri portanti la dicitura '' Cristus imperat „ di cui in seguito dovremo parlare, è cosa assai malagevole : certo la loro epoca non può esser fatta scen- dere, per ragioni stilistiche, oltre la fine del IX secolo. Nel medesimo periodo i documenti veneti sono datati con gli anni degli imperatori di Costantinopoli. Nell'antitesi fra le carte e le monete è tutta la politica veneta la quale mantiene i suoi rapporti con Bisanzio per ottenerne 1 criso- boli che le aprono le porte dei mercati mediterranei; e nel medesimo tempo col tributo all'impero carolingico facilita le concessioni di tutte quelle esenzioni di dazi ed aggravi che le permettono dapprima di penetrare, poi di mantenere una situazione commercialmente privilegiata, nei centri di traf- fico della valle padana. La moneta veneta è battuta in ori- gine certamente come moneta imperiale; poi lentamente, con tutta l'organizzazione del palatium, sfugge alla potestà sovrana per passare esclusivamente sotto quella del doge, il quale si guarderà bene di ricordare in qualsiasi modo tale trapasso abusivo e si farà riconoscere, da Rodolfo nel 925, il diritto monetario come consuetudine datante dai più antichi tempi (3). Per concludere: il principio romano della moneta intesa quale diritto regio fu ereditato ed applicato in massima dai langobardi, e da questi si inspirò Carlo Magno nella sua ri- Ci) MGH. Capa., ir, n. 233, § 34, pag. 135. (2) La forinola ricorda il " Deus adiuta Romanis „ dell'argento di Eraclio nel 615. Cfr. Chron. Alex., I, pag. 706, ed. Bonn. (3) Cfr. il diploma in Schiaparelli, / dipi. Hai. di Liidov. Ili e di Rodolfo II, N. XII. Inoltre Dandolo, in Rr. II. Ss., XII, col. 200 B. 21! forma abolendo la libertà di moneta che vigeva nelle Gallie sotto i Merovingi. I successori di Carlo non seppero mante- nere intatto il principio nei paesi d^oltr'alpe sino alla fine; Io seppero o lo poterono in Italia, imponendo anche il nome sovrano in territori in un certo qual modo esterni al regno, Roma e Venezia. È solo sotto i re d'Italia che il principio viene intaccato ed in breve volgere di anni quasi distrutto : come ciò sia avvenuto dovremo ora vedere. * * * Con un diploma datato del 21 novembre 894 (i) Beren- gario concede ad Egilulfo vescovo di Mantova la moneta pubblica : con altro del 9 gennaio 905 concede alla chiesa di Treviso due parti della moneta pubblica che appartene- vano al fisco (2). Di una moneta mantovana anteriormente al documento berengario non abbiamo notizia alcuna attra- verso testi e carte, ne esemplari in essa coniati sono a noi pervenuti : la sua esistenza è possibile se ammettiamo la tesi che ogni comitato alla fine dell'epoca langobarda avesse la sua moneta, e che tale diritto si sia perpetuato nell'epoca carolingia. Il documento di Treviso ci fa vedere come Be- rengario concede due parti della moneta, quelle cioè che appartenevano al fisco: cede dunque solo il reddito della zecca, e non tutto, poiché le altre porzioni dovevano essere sotto altra signoria che non la regia, probabilmente la comitale. I diritti di Mantova vengono confermati in seguito da un diploma di Lotario del 27 maggio 945, nel quale il re dice: confirmamus S. Mantuane eccl. publicam ipsius civitatis mo- netam a predecessoribus nostris iamdictae sedi concessam : statuentes ut in Mantua, Verona atque Brixia habeat robo- rem et discurrat. Secundum conventum civium predictarum (i) ScHiAPAUELLi. / iliploììii di Berengario /, N. XII. " Monetani pu- blicam ipsius Mautuane civitatis nostri regali dono ibi perpetualiter liabendam concedimus .,. (2) ScHiAPARELLT, op. cit., N. LII, " duas portioncs publicae nionttae " ad cauieraui nostri palatii olim pcrtinentes „. 2l6 urbium constet mixtio argenti et ponderis quantitas (i). Il tracciare Tambito entro il quale doveva aver corso e valore la moneta mantovana, in Verona e Brescia, e quindi anche nei loro comitati, è assai importante; come lo è anche l'in- tervento dell'assemblea cittadina nel fissare il tipo della mo- neta. Il conventus civium esercita alla metà del X secolo un potere che fino ad ora non gli è stato riconosciuto. Si viene dunque formando nell' Italia-Austria uno slesso stato di diritto che si era già sviluppato nella Francia e nella Germania (^): il passaggio della moneta dal fìsco ai vescovi. È in questo stesso periodo che appaiono le più antiche mo- nete di Verona: la prima porta al rovescio il nome della città ed al diritto l'invocazione + HIXPI N0MIN6, poi seguono quelle coi nomi di Ugo e Lotario, di Lotario solo e poi di Berengario IL Del 921 è un documento che cita un Domi- nicus monetarius de Civitate Veronae ^3). Vediamo un pò* l'assieme dei fenomeni monetari che si sono svolti neir Italia-Austria fino a questo momento, perchè possono dar luogo a considerazioni interessanti. Sotto i langobardi abbiamo due zecche sicure, testificate dalle monete, a Vicenza e Treviso: la seconda continua sotto Carlo Magno ed i suoi successori, la prima scompare, a meno che non vogliamo a Vicenza attribuire due denari di Carlo, il primo col nome in due Imee e col rovescio Rex Francorum col segno di zecca V (4), il secondo dal tipo im- periale recante lo stesso segno sotto il busto. Anche se questa attribuzione vogliamo ammettere è certo che dopo Carlo Magno non rimane in funzione se non la zecca di Treviso. Questa funziona evidentemente come zecca della (i) Torelli, Regesto lìiantovano, n. 21. (2) Per la seconda vedi J. Menadier, Dos Miìnzrecht dcr deiiischen Bischófe, in Berliner Munzblàtter, 1910, pagg. 581-585, 604-607. (3) Zanetti, tomo IV, pag. 390. Già però una carta del 920 contiene il passo "... argentum den. bonos spendibiles qualis in illis diebus hic in civitate Verona per caput ambulaverit monete publice den. duode- cim... „. Ardì. Paleogr. ItaL, III, tav. 8. (4) Prou, n. 894. 217 marca, termine che g-ià appare nell'anno 8i8 (i). Sotto Be- rengario Verona viene acquistando sempre piij valore: è la città fedele ove egli trova rifugio ad ogni rovescio di fortuna, è la città forte, chiave d'Italia, come già l'aveva intuita Teo- derico e come meglio la comprenderà Ottone. Sotto il re italico è Walfred conte di Verona che diventa marchese del Friuli (f 896), e sotto Berengario li, nel 952, troviamo già noto il nome di Marca di Verona (2). La cosa certo preesi- steva al nome, e forse il nuovo ordinamento è contemporaneo al sorgere della zecca di Verona, che osserviamo bene, coin- cide quasi con lo spegnersi della zecca di Treviso. Le ul- time monete di Treviso sono battute al nome di Lotario, certo il I; le prime di Verona datano al più tardi del 920 come sopra abbiamo visto, ma probabilmente sono a que- st'epoca anteriori. Forse Treviso ha continuato a coniare per qualche tempo nel nome di Lotario anche dopo la morte del sovrano, fenomicno che può essere sostenuto da quanto avvenne in Francia ove ancora nel sec. XI S. Filiberto di Tournus batteva monete al nome di Lotario. E in epoca in- termedia fra gli anni 855 e 920 che avviene il trapasso Tre- viso-Verona: tutto ciò può farci pensare ad una speciale po- litica di Berengario rispetto a Verona. £ evidente che con la concessione dell'anno 905 Beren- gario cede al vescovo di Treviso non due parti della zecca che nella città più non esisteva, ma due parti di quei red- diti dal fisco ottenuti dalla zecca: e la donazione fors'anche è fatta per allievare il danno od il dolore che il trasporto stesso della zecca aveva prodotto alla città. Certo è che la donazione viene confermata nel 991 e 966 da Ottone III, nel 1014 da Enrico II, nel 1026 da Corrado II, nel 1047 da Enrico III, nel 1065 da Enrico IV, nel 1070 da Enrico V, nel 1142 da Corrado III, nel 1144 da Enrico VI e ancora nel (i) Cadoalum comitem et niarcae Foro iulianensis praefectum. Ann. reg. frane, ad. a. {MGH., Ss., I, 205). Cfr. ancora lo stesso testo ad. aa. 819 e 828, op. cit., pagg. 206 e 274. Nella Vita Hlud., ce. 32 e 42 si hanno i termini di provincia e ducatus. MGH,, Ss., II, pagg. 624 e 631. (2) Contin. Regin., 952; ed. Kurzc, pag. 166. 15 2l8 1154 da Federico I (i), cioè quando la zecca certo non esiste in Treviso. Da quanto siamo venuti esponendo si delinea un rap- porto fra zecca e marca, che pur s'impone anche se con precisione non possiamo afferrarlo; non solo ma ancora una ripartizione dei diritti sulla zecca fra il fisco ed altri poteri. Si è giunti sino al punto in cui pervennero rapidamente tanto la Francia quanto la Germania di battere delle monete si- gnorili? Vi sono dei dati che ciò testificano, e che ora dob- biamo esaminare. Prima di tutto debbo ricordare che molti contratti del X secolo, redatti nella marca veronese, fissano i pagamenti in denari " monetae publicae „ il che fa supporre che cir- colassero anche altri denari che non uscivano dalla zecca di Stato. Ma veniamo ad una carta assai piìj importante. Un documento imperiale di Ottone II, il famoso atto del 7 maggio 983 per gli uomini di Lasize, contiene la frase : et omni hominibus Longobardorum ibidem transeuntibus duos imperiales prò homine auferre (2). H diploma non ci è giunto in originale, solo lo conosciamo attraverso due copie. La prima, eseguita nel 1624 (alTarch. di Stato di Venezia) di- pende da altra copia autenticata il 27 sett. 1270; la seconda (all'arch. di Stato di Verona) è della metà del XVII secolo. Le due copie sono indipendenti e conservano entrambe la voce imperiales: non si può quindi pensare all'influsso del- l'una su l'altra (3). La distinzione delle monete imperiali dalle (i) SicKEL, Urk. O. Ili, nn. 69 e 225 ; Bresslau e Blocx, Urk. H. JI, 11. 3133; Bresslau, Ur/e. K. IL n. 66; Ughelli, V, 511, 5I2 ; Stu.mpf, Ada, n. 466; Ughelli, V, 519; Stumpf, Acta, n. 473 e 480. (2) La seconda delle fonti diplomatiche che sotto accennerò dà la variante accipere. (3) Tatti gii altri documenti che contengono la voce imperiales e che si attribuiscono ad epoche anteriori al Barbarossa, sono stati mal datati dagli editori: così OooRicr, Sior. bresc, V, 36, pubblica nn dcn:. come del 12 marzo 1022 mentre è del 1222; lo stesso autore, V, 76, ne da un altro del 27 aprile 1088 mentre è del 1288; così non può essere del 1069 la carta del monastero di Arona MHP. Chart. I, col. 618, ma certamente del Xlll secolo giacché vi si parla di turonesi e di medaglie. 219 altre è dunque di molto anteriore a Federico di Hohenstaufen^ e può farsi risalire al tempo ottoniano, quando cioè i mar- chesi acquistano una importanza grandissima. Riprova che conferma la verità dell'ipotesi sta nel fatto che il più celebre fra di loro, Ugo il Grande di Toscana, battè moneta in suo nome. Di questi coni abbiamo vari tipi: il primo esce dalla zecca di Lucca giacché ne porta il nome al rovescio + Cl- VITÀTE LVCA, oppure + CIVITATI LVCA. mentre ha al diritto, attorno al monogramma di Ugo, la leggenda + MARCHIO. Il secondo porta il nome di Ugo e di sua moglie Giuditta, avendo al diritto il monogramma con la leggenda + DVX TVSCII, ed al rovescio + DVX IVDITA attorno al nome LVCA. Il terzo tipo esce dalla zecca di Arezzo, probabilmente aperta dal marchese: reca al diritto + MARCHIO attorno al mono- gramma di Ugo ed al rovescio + CIVITATE attorno al nome ARITO ^^). Queste monete, note è vero in pochi esemplari, sono contemporanee ai denari lucchesi degli Ottoni e di En- rico, i denari imperiali della Toscana. Lo stesso fenomeno deve essere accaduto nell'Italia settentrionale se è possibile attribuire ai duchi di Carinzia e Friuli Otto e Corrado, e al duca Burcardo, alcune monete che il Dannenberg volle dap- prima di Breisach poi di Zurigo, ma che certamente non ap- partengono a quest'ultima città e sono di tipo nettamente veronese. In Germania, ricordo, abbiamo comunemente delle mo- nete imperiali e delle monete feudali coniate nella stessa zecca, sia al tempo degli imperatori Sassoni, quanto durante quello della casa di Franconia. Per ora ci basta aver richia- mata l'attenzione sulle non dubbie prove della contemporanea coniazione imperiale e feudale in Italia nel X secolo. Le concessioni imperiali ai vescovi continuarono anche dopo quelle di Mantova e Treviso: fra il 948 ed il 950 è da- (i) Su tutte queste monete si veda Corderò di S. Quintino, Della zecca e delle monete degli antichi march, della Toscana^ in Memorie luc- chesi, XI; Promis D., Monete di Ugo 1 march, di Toscana battuta in Arezzo, in Riv. della num. ant. e moderna, 1, Asti, 1865, pag". 30-32; LnrrzMANN JJ. Scheidemtinze des Herzogsthuuis Lucca, in Num. Zeitung, 1836, pag. 71; 1837, pag- 53- 220 labile un diploma perduto di Lotario, col quale viene con- cesso a Manasse arcivescovo di Milano la moneta della città (0. L'arcivescovo Manasse è una delle più grandi figure del decimo secolo e sulla sua politica abile e grandiosa è inutile ritornare tanto è nota. Imparentato con le più grandi personalità di Provenza, egli già nel 920 aveva avuto da Ludovico l'jus monetae d'Arles(2): ciò forse Taveva adde- strato neir impadronirsi della ricca moneta di Milano. La do- nazione non ha nulla che ripugni in se : non solo è nel ca- rettere e n^lla linea della politica contemporanea (3), ma, quando studieremo l'organizzazione dei monetari milanesi vedremo nello stretto legame fra questi e l'arcivescovo una prova della sua verità. Le monete milanesi dell'epoca non portano alcun contrassegno del potere arcivescovile: erano per il presule una fonte di lucro e null'altro, si da giustifi- care la riforma ottoniana di cui è cenno nell'Annalista Sas- sone (4K Certo è che i denari d'Ottone, gli ottolini, serbano gran fama ancora nel secolo XL così troviamo citati al 9 agosto 1021 a Lucca i sol. de Octo de Papia, nel 11 17 a Barletta i denarios bonos grossos de Oddone, e persino nella Provenza, avanti il 1032, i sol. de Otone (5). Il denaro tì'Ot- (i) Il diploma è ricordato in una bolla di Alessandro III, Totirs, 14 ottobre 1162, per l'Arcivescovo di Milano : J. W. 10764. Cfr. il passo: Preterea monetam qiiani iliustris memorie Lotarius quondam Romano- rum rex beato Ambrosio et pie recordacionis Manasse antecessori tuo eiusque successoribus sicut in ipsius privilegio exinde facto continetur, prò anime sue salute noscitur legiptime concessisse tam tibi quam su- cesoribus tuis auctoritate apostolica nihilominus confirmamus. (2) BM, 1481 : Recueii hisL de Frnme, IX, 686. (3) Gli storici milanesi del medioevo ignorano la donazicne, tanto che nel XIII secolo si è sentito il bisogno di fabbricare il falso diploma di Carlo Magno, i maggio 809, di ampia donazione d'ogni diritto all'ar- civescovo senza specificare la moneta {MGH, Dipi. Caro/., n. 277). Nel XIV sec. Galvaneo Fiamma parla di un privilegio di moneta dato da Teodosio a S. Ambrogio ! (4) Mediolanenses subjugans, monetam iis innovavit, qui numm usque hodie (cirra 1150-1152) Ottelini dicuntur. (5) Reg. capii. Lucca (Reg. Chart. Ita!.), I, n. 102; Cod. Diplom. Sa- 221 tone sta in un certo qual modo al denaro vescovile come r imperiale di Federico Barbarossa sta al denaro comunale. Le concessioni vescovili a poco a poco si estendono : Ravenna, la rivale di Milano, ottiene la moneta con una bolla di Gregorio V del 28 aprile 998 che viene confermata il 27 settembre 999 da Ottone III (i): ma non sembra che l'arci- vescovo abbia fatto uso del suo diritto. Diversamente avviene ad Aquileia: il grande patriarca Popone ottiene in data 11 settembre 1028 un diploma di Corrado II col quale gli viene conferito " licenciam monetam publicam infra civitatem Aqui- legiensem faciendi. Igitur denarios ipsius monete ex puro argento firmiter precipimus fieri et Veronensis monete de- nariis equiperari, nisi prenominatus patriarcha sua spontanea voluntate velit meliorari. Habeantque licenciam omnes nostri regni negociatores in qualibet venali merce ipsos denarios accipere, si tamen fuerint simplices falsitate (2) ,,. Subito egli si affretta ad esercitare il diritto e batte un denaro di cui il tipo è poi seguito, con variazioni stilistiche, per secoli. Più tardi Corrado II (1033?) confermando i diritti della chiesa d'Ascoli autorizza il vescovo a tenere mercato ^^ mo- netam etiam in civitate construere ad componendos nummos cuiuscumque generis ,; (3); nel 1047 Vicenza riceveva il di- ritto di battere moneta del tipo veronese (4); il 16 aprile 1049 Enrico III concede al vescovo di Padova " licenciam et po- testatem monetam faciendi in civitate Pataviensi secundum rese, Vili, n. XXXII ; Cartidaire de l'Abbaye de Lérins, ed. Moris et Blanc, I, pag. 30. In quest'ultimo cartulario una carta del 1094 (pag. 105) parla di den. papiensiurn. (i) Kehr., It. ppnt.^ V, Archiep. Rav., n. 166; Sickel, Die Urk. O. Ili, n. 330. Successiva conferma di Enrico II nel 1014 Bresslau e Block, Urk. K. II, n. 290 bis. (2) Bresslau, Urk. K. II, n. 131. Sul diploma si può vedere quanto scrisse P. S. Leiciit, // denaro del Patriarca Popone d' Aquileia, in Meni. Slor. Cividalesi, 1905, pagg. 50-54. Sulla moneta di Popone cfr. Pusciii A. Un denaro unico del Patriarca Popone di Aquileia, in Riv. Hai. Nuììtisin., 1914. Pa?g- 395-402. (3) Bresslau, Urk. K. II, n. 203. (}) Brunati, Re nuììi. Palav., cap. Vili. -222 pondus veronensis monetae sibi suaeque ecclesiae perpetua- liter concedimus atque permittimus et ut certior auctoritas huius nostrae concessionis videatur in una superficiae dena- riorum nostri nominis et imaginis impressionem, in altera vero ejusdam civitatis fìguram imprimi iussimus (i) „; il 27 giugno 1052 lo stesso imperatore conferma alla chiesa di Arezzo i possessi ed i privilegi fra i quali " in ipsa aritina civitate licentiam percutiendi denarios cuiuscunque monetae voluerit, secundum antecessorum nostrorum imperatorum piissimam largitionem (2) „, e fra il 1056 ed il 1105 è data- bile un diploma perduto di Enrico IV che concede la mo- neta al vescovo di Piacenza (3). Con l'affievolirsi e poi l'annullarsi pratico del potere im- periale nella seconda metà del secolo XI, si rendono inutili i diplomi di concessione. Nel fatto i vescovi si impadroni- scono della moneta e quando il potere del vescovo-conte cede passo a passo innanzi alla nuova forza comunale, è al comune che appartiene la moneta. La reazione non avverrà se non all'epoca federiciana: ma ciò appartiene ad altro pe- riodo al di fuori dei limiti cronologici che ci siamo fissati. Venezia che aveva battuto la moneta al tipo del tempio, con le diciture DS CVNSERVÀ ROMANO IMP al diritto, e XPE SALVA VENECIAS al rovescio, trasforma in seguito questo tipo segnandolo al diritto con la leggenda + CRISTVS IM- PERAI e ponendo al rovescio il solo nome di VENECI scritto al posto delle colonne del tempietto tetrastilo. Quando sia avvenuto il passaggio dall'una forma all'altra non si può dire: certo è che mancano per Venezia i denari al nome di (i) Gloria, Cod. dipi. Padov., doc. n. 152. (2) Pasqui, Docc. per la storia della città di Arezzo, doc. n. 177. I diplomi anteriori non fanno però cenno di tale diritto. Non si dimen- tichi però che una zecca era esistita In Arezzo sotto il marchese Ugo. (3) E' ricordato nel diploma di Corrado del 1140 edito anche recen- temente in Falconi P., Le monete piacentine. Piacenza, 1914, pagg. 93-94. 223 Ottone e che questi descritti ne tengono il posto. E con Timperatore Corrado che il nome del sovrano ritorna ad ap- parire sulle monete venete : conservando lo stesso rovescio ultimamente descritto, al diritto delle nuove monete appare dapprima + CONRAD' IMPER', poi, sotto Enrico III, + EN- RICVS IMPER. Con Enrico IV o V cambia anche il rovescio: al semplice nome della città ed al tempio tetrastilo viene sostituito il nome del Santo protettore + S MARCVS VENECIA e il busto dello stesso santo. Una notizia riportata dal Dan- dolo (2) riguardante la coniazione di una moneta al nome del doge Orso Orseolo (1030-31) deve ritenersi falsa: perciò la monetazione di Venezia durante il secolo XI non si diffe- renzia per nulla da quella delle altre città lombarde che bat- tono tutte al nome imperiale. E solo al tempo del Barba- rossa che Vitale Michiel (1156-1172) conia dei denari col suo nome, cioè al diritto • V • MICHL DVX • ed al rovescio -f • S • MARCVS VHE attorno al busto del Santo: si apre così la serie delle monete dogali. La coniazione di V^enezia non presenta nulla di partico- lare, se escludiamo il periodo ottoniano e dei cosidetti re d'Italia quando il nome del sovrano non appare sulle monete, da quella delle altre città dell'Italia settentrionale: batte cioè in nome dell'imperatore, liberandosi da questo vincolo solo quando le regalie, e quindi anche la moneta, passano dal so- vrano ai comuni. Ben pili complesso si presenta il problema per Roma : Formoso, Stefano VII, Romano e Teodoro battono moneta (891-897) al nome di Guido, di Arnolfo e di Lamberto im- peratori. Le monete recano generalmente al diritto il nome dell'imperatore scritto attorno al monogramma di Roma, e al rovescio il nome SCS PETRVS attorno al monogramma del papa: per un solo caso, sotto Formoso, tale rovescio (2) Ilic urbem Gradensein et ccclesias reparat, et monetam parvain sub ejiis noiiiitie, ut vidhnu^, excudi fecit. Dandolo, /US., XII, pag. 240. 224 presenta il nome FORMOSI PP attorno al busto dell'apostolo fiancheggiato dalle lettere SP. Una variazione troviamo con Giovanni IX (898-900): al diritto vi è il nome dell'imperatore Lamberto scritto attorno al monogramma del papa, e al ro- vescio il busto dell'apostolo con a fianco la dicitura SCS PETRVS scritta verticalmente. In vacanza dell'impero (900-903) Benedetto IV riprende il tipo dei due apostoli col diritto + SCS PETRVS attorno al monogramma del papa e col rovescio + SCS PAVLVS at- torno al monogramma di Roma; poi con Ludovico III (dopa 901) sostituisce al nome di Paolo quello dell'imperatore. In- fine adotta un terzo tipo sostituendo al monogramma di Roma la dextra dei. Cristoforo conia col secondo tipo di Benedetto. E l'energico Sergio III (904-911) che introduce più pro- fonde variazioni nel tipo monetario. Una prima sua moneta reca al diritto + SCS PETRVS attorno a p ; al rovescio + LODOVVICVS IVP attorno al monogramma PIVS: deve esser stata coniata nel 904, avanti l'accecamento di Ludovico. Il nome di Berengario non appare sulle monete di Sergio che invece presentano dei tipi nuovi e interessanti. Dapprima la leggenda SER + Gì • PP attorno al busto del pontefice, mentre al rovescio abbiamo + SCS PETRVS con RO . nel centro. L'introduzione del ritratto papale sulle mo- nete è assai importante, visto come in quest'epoca sono rari gli stessi ritratti imperiali: è il diritto di piena sovranità che viene esprimendosi sempre piii chiaramente. Un terzo tipo R I O delle monete di Sergio reca + SERGIVS PP attorno a — r ^ M I A mentre il rovescio porta il busto di S. Pietro fiancheggiato dalla dicitura SCS PETRVS su due linee verticali. Poi prende il sopravvento il nome della città; abbiamo cioè al diritto + RO •:• MA attorno a S «E e al rovescio il busto del santo con le lettere SP. Una variante ha il nome papale in mono- gramma. Un ultimo tipo di Sergio ha al diritto la leggenda + SALVS PATRIAE attorno al monogramma del papa e al 225 rovescio il solito + SCS PETRVS attorno al monogramma di Roma. Il successore di Sergio, Anastasio (911-913) riprende il quarto tipo del suo predecessore, quello col nome di + RO •:• MA • Giovanni X (914-928) avendo riconosciuto Berengario, mette il nome dell'imperatore sulle monete secondo due tipir nel primo + BERNEGARIV MP sta scritto attorno a ^--? M j A. mentre al rovescio abbiamo il busto dell'apostolo con a fianco lOH e S PETRS scritto su due linee verticali, nel se- condo + BERNEG-ARIV PP (?) attorno a lOHANS PA scritto in monogramma, mentre al rovescio è + SCS PETRVS attorno al monogramma di Roma. Ma morto Berengario e succedu- togli Rodolfo, questo non viene riconosciuto sulle monete: il conio reca infatti al diritto + SCS PETRVS attorno a lOHANS PA in monogramma mentre il rovescio ha una leg- genda quasi incomprensibile e rovescia B^SD attorno R O alla rappresentazione di un edificio con scritto a fianco ., 7. MA Con Giovanni XI (931-935) abbiamo al ^ + IOH(ann)ES P attorno alla dicitura A e al rovescio + SCS PET(rus) at- PAE torno al monogramma di Roma. Ma sotto questo pontefice un'altra autorità mette il suo nome sulle monete: è il potente Alberico II principe e senatore dei romani. Abbiamo al di- FI ritto + ALBRIC + PRICIP attorno alla dicitura ERI e al ro- IV ^ Ilo vescio + SCS PETRVS attorno a l + E oppure . Sotto O ^ I ^ Marino II (942 946) il diritto ha + ALBER •••• PRI attorno al monogramma di Roma e il rovescio + SCS PETRVS attorni al monogramma Marino. Sotto Agapito (946-955) abbiamo i seguenti tipi : P I — Al diritto + ALBERICVS attorno al monogramma _^ V e al rovescio il busto dell'apostolo con la dicitura. + SCS PETRVS. 226 :2 — Al diritto + AGAPITVS PA attorno al busto dell'apo- stolo e al rovescio + SCS PETRVS attorno al mo- nogramma di Alberico (i). Queste monete debbono trattenere la nostra attenzione. La nostra dicitura FIERI IV(ssit) ci ricorda quella che, con un diritto di Honorius (2), coniò il re svevo Richiar (448-456) con la leggenda IVSSV RICHIARI REGES (sic, in luogo di regis) forse alla zecca di Braga; o quella arabo-latina di Spagna IN NOMINE DOMINI IVSSIT MVSE AMIRAS (697-715), e corrisponde a fieri fecit; Alberico così non solo pone il suo nome al posto di quello imperiale, ma afferma in un modo sin qui inusitato, il suo diritto di moneta. Un parallelo lo troviamo nella coniazione già accennata dei marchesi di Toscana: sono questi i rari ma significativi esempi di una monetazione signorile in Italia. P Qualche dilficoltà offre la lettura del monogramma ^ \^ o V sulla moneta del tempo di Agapito. Alcuni lo lessero Aga- pitus (3), altri Patricius (4), basandosi sul fatto che questo ti- tolo è attribuito ad Alberico dalla Yitae pontificum e da Flodoardo. Certo è che col declinare del grande signore, il papa ri- prende il suo diritto e il suo nome dapprima confinato in (i) Sulle monete di Alberico si veda Gregorovius, Die Mitnzen Al- berichs des Fiirsten und Senators der Romer^ in Sitztingsber. d. K. Bayer Ak. pliiì. KL, 1885, pagg. 27-45 ^ ^- LA.BRUZZT, Di una nioueta di Albe- rico principe e senatore dei Romani^ in Ardi. Soc. Roni. Storia Patria, 1912, pagg. 133-149- (2) Cohen, Vili, n. 29 di Onorio. (3) ViGNOLi. De antiquioribiis pouf. rom. dcn.; Fioravanti, Aniiq. poni. rom. den.; Cinagli, Le iiionete dei papi, pag. 9; Promis, Alon. dei rom. pont.; Gregorovius, op. cit. ; Serafini, Monde e bulle pi. del me- nagi. Val. (4) ScHEDio, Origines Giielficae, Hannover, 1750, pag. 129; Carli, Ant. Hai., IV, pagg. 70-71 ; Provana, Studi critici, pag. 143; Keiir, op. <:it., pag. 469; Labruzzi, op. cit. 227 un semplice monogramma si stende di nuovo interamente sulla moneta e quello del senatore dei romani si rattrappisce in un semplice monogramma. Così il nome del papa si era affievolito innanzi a quello degli imperatori. Con Giovanni XII (955-963) abbiamo due tipi di monete: il primo, anteriore al 962, porta al diritto + DOMNVS lOHA oppure + DOM IOANES attorno a PAPA in monogramma, e al rovescio + SCS PETRVS attorno a ROMA in monogramma oppure ad una stella ad otto raggi (i). Ma coronato impe- ratore Ottone il Grande il suo nome ritorna sulle monete romane : i tipi sono due. Nel primo abbiamo al diritto il ri- tratto di Ottone circondato dalla leggenda + OTTO IMPE- RATOR, al rovescio + DOM lOHANNES attorno a PAPA m monogramma: nel secondo abbiamo + DOM lOHS PAPA at- T torno a O O e al rovescio + SCS PETRVS attorno alla mano T divina. Certo fra i due tipi sui riguardi della sovranità, vi è una sfumatura ben percepibile. Con Leone Vili (963-965) appare un nuovo tipo: al diritto + DOM LEONI P attorno a M O I T R O e al rovescio + SCS PETRVS attorno a ^ — _ : un al- A ^ ' ' tro tipo reca + LEONI PAPAE OTTO cioè " Ottone al papa Leone „ stabilendo bene la preminenza del potere imperiale sul papale. Con Giovanni XIII (963-972) abbiamo tre tipi di- versi ; il primo ha al diritto : I O H S PAPA OTTO e al rovescio + SCS PETRVS attorno al monodramma di T Roma. Nel secondo abbiamo il monogramma T O con la O leggenda circolare + lANNES PAP e al rovescio + SCS PE- (1) CtV. Kkiir in (JiielUìi mui f-'orschuìt^eii^ \\ [)a