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Full text of "Rivista italiana di numismatica e scienze affini"

RIVISTA ITALIANA 



DI 



NUMISMATICA 

E SCIENZE AFFINI 



RIVISTA ITALIANA 

DI 

NUMISMATICA 

E SCIENZE AFFINI 

PUBBUCATA PER CURA DELLA 

SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 

, E DIRETTA DA 

FRANCESCO ed ERCOLE GNECCHl 



ANNO XXIX - 1916 - VOL. XXIX 




MILANO 
Casa Editrice L. F. Cogliati 

Corso P. Romana, N. 17 
I916. 



PROPRIETÀ LETTERARIA 




SOCIETÀ iNUMlSMATICA ITALIANA 



Presidente Onorario 

S. M. VITTORIO EMANUELE III 
Re d' Italia 

Presidente 

Conte Comm. NICOLÒ PAPADOPOLl 

Senatore del Regno. 

Vice -Presidenti 

GNECCHl Comm. Francesco — GNECCHl Cav. Uff. Ercole 

Consiglieri 

CAGIATI Avv. Cav. Memmo. 

CUNIETTI CUNIETTI Barone Cav. Alberto. 

JOHNSON Stefano Carlo. 

LAFFRANCHl Lodovico. 

MO ITA ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana. 

RICCI Dott. Serafino, Conservatore nel R. Gabinetto Numismatico di 
Brera in Milano. 

Angelo Maria Cornelio, Segretario. 



CONSIGLIO DI REDAZIONE DELLA RIVISTA PEL 1916. 

Gnecchi Francesco e Gnecchi Ercole, Direttori 

Laffrancmi Lodovico — Motta Emilio — Papadopoli C. Nicolò 

Ricci Serafino. 



FASCICOLO L 



APPUNTI 



DI 



NUMISMATICA ROMANA 



CXI e CXII. 

LA FAUNA E LA FLORA 

NEI 

TIPI MONETALI. 

Molte piccole cognizioni, ciascuna delle quali, 
isolatamente, non presenta che uno scarso interesse, 
acquistano valore quando, riunite in un tutto, possano 
essere considerate nel loro complesso. 

La storia non è che il risultato della ordinata 
riunione e della conseguente concatenazione di fatti, 
che, per se stessi non avrebbero che piccolissima 
importanza. La numismatica è un ramo della storia 
e non divenne una scienza, se non quando si pensò 
a coordinare le diverse monete in serie regolari 
ed organiche. Per arrivare a questo risultato, fu 
necessario studiare uno ad uno i diversi elementi 
che costituiscono la moneta. È sempre necessario 
incominciare dall'analisi per arrivare alla sintesi. 

La scienza numismatica non è semplice, e molti 
sono gli elementi che vi concorrono: il legale, il 
ponderale, l'economico, l'artistico, il tipologico, i 
quali camminano bensì paralleli ; ma hanno ciascuno 
una vita a se e si mantengono ben distinti l'uno 
dall'altro. Devono quindi essere studiati ciascuno se- 



12 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

paratamente. Lasciando tutti gli altri in disparte, non 
è che del tipologico che qui intendiamo occuparci ; 
anzi di un solo ramo di questo, perchè esso pure è già 
complesso, abbracciando parecchie categorie di figu- 
razioni, di persone, di oggetti, di idee. Nessuna di 
tali categorie va trascurata da chi vuol penetrare 
nello spirito della monetazione romana, perchè nulla 
vi fu introdotto a caso e tutto vi trova la sua ra- 
gione, tutto ha un significato.... ciò che certamente 
non si potrebbe dire delle monetazioni moderne. 

Air inizio degli studii numismatici, la prima at- 
tenzione fu rivolta alle effigi dei principi, come quelle 
che offrivano il massimo interesse. Si passò poi alle 
figurazioni dei rovesci e, in prima linea, vennero gli 
dei, i semidei, gh eroi, le personificazioni allegoriche, 
gli avvenimenti storici o leggendarii. 

Se questi elementi furono, qual più qual meno, 
fatti oggetto di osservazione e di studio, ve ne sono 
altri che furono dimenticati e, fra questi, noto i due 
regni della natura, l'animale — escluso l'uomo s'in- 
tende — e il vegetale. 

Abbiamo bensì qualche lavoro particolareggiato 
sull'uno o sull'altro soggetto del primo, meno ab- 
biamo sul secondo ; ma uno complessivo sulla Fauna 
e sulla Flora non mi consta sia stato fatto da al- 
cuno. Io stesso, che all'argomento ho dedicato qual- 
che studio (i), mi accorgo di non avere neppure ac- 
cennato alla parte che ora sto per esporre. 

Eppure il simboHsmo animale e floreale segue 
e pervade, al pari degli altri menzionati, tutta la 
numismatica romana e la sua persistenza e il suo 
interesse — non lo prevedevo iniziando questo la- 



(l) Vedi in Rivista Hai. di Numism., 1905. Le Personificazioni alle- 
goriche stille monete imperiali. Ibidem, 1906. Gli Dei ^ i Semidei e gli Eroi 
e 1907, Hoepli, Milano. Tipi monetarii di Roma imperiale. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI I3 



voro ; ma me ne sono persuaso strada facendo — 
non sono minori di quelli dei fatti umani o delle rie- 
vocazioni degli dei. Io non saprei citare un soggetto 
umano o divino che abbia avuto una più lunga per- 
sistenza di due umili soggetti della Fauna e della 
Flora, il Cavallo e l'Alloro; ne trovo quale dio, od 
eroe della favola possa riuscire moralmente o religio- 
samente interessante quanto lo sono, sotto il rapporto 
politico ed economico, l'Aquila e la Spiga di grano. 

La testa del Cavallo apparve sulle monete prima 
di quelle di Giove. L'Alloro coronò il capo delle 
prime divinità stampate sulle monete, simbolo di 
gloria e di vittoria. Gli dei sono tutti morti da molto 
tempo nella numismatica e in tutto il resto.... ma il 
Cavallo vive ancora e di qual vita ! L'Alloro, dopo 
venticinque secoli, conserva ancora tutta la sua fre- 
schezza e tutto il suo significato. 

L'Aquila sorge col nascere di Roma ; domina 
tutti i momenti importanti della storia romana; guida 
le legioni alla conquista del mondo, segue e rappre- 
senta tutte le vittorie. Non raccoglie le sue ali spie- 
gate alla gloria, se non quando s'affievolisce il po- 
tere di Roma, segnando il decadimento dell' impero. 
La Spiga, il simbolo dell'alimentazione, segue senza 
interruzione l'andamento economico del mondo ro- 
mano, accenna e commemora i buoni rifornimenti 
dello stato e, quasi in segno di rimprovero a chi 
reggeva la cosa pubblica, scompare nei tempi della 
miseria. Così le belve segnano i tempi dei circensi, 
l'Alloro, la Palma e la Quercia le glorie dei prin- 
cipi, le vittorie delle Legioni e la felicità del popolo. 

Dare una breve monografia di ciascun soggetto 
della Fauna e della Flora, rilevarne nei limiti del 
possibile l'origine, il significato e l'influenza, e se- 
gnare finalmente in un prospetto sinottico l'entrata, 
lo sviluppo e la scomparsa di ciascuno, attraverso 



14 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

la monetazione repubblicana e la imperiale, in ordine 
cronologico, ecco lo scopo che mi sono prefisso. 

Seguendo il quale, non solo mi parve talvolta 
opportuno accennare all'origine e alla parte che 
molti soggetti avevano avuto in monetazioni ante- 
riori e specialmente nella greca; ma mi lasciai an- 
che trascinare ad aggiungere qualche accenno in- 
torno a taluni, che, dopo il transito nella romana, 
ebbero ancora tanta vitalità, da persistere nella me- 
dioevale e di arrivare anche alla moderna. 

Mi parve che un poco di contorno contribuisca 
a dar valore alla figura principale del quadro. 

L'argomento, per essere trattato a fondo, richie- 
derebbe proporzioni ben maggiori di quelle che for- 
zatamente mi sono imposto, scrivendo un Appunto 
per la nostra Rivista. Il mio piccolo studio, non 
pretende quindi di esaurire l'argomento ; le note 
storiche o mitologiche non sono che embrionah, le 
citazioni di monete limitate al puro necessario, sono 
ben lontane dall'essere complete, e le ho omesse, 
quando la leggenda vi supplisce (^). 

Ad ogni modo, sarà sufficiente a dare un' idea 
dell' importanza e dell' interesse dei due nuovi ele- 
menti della Tipologia romana e potrà preparare ad 
altri la via per un lavoro più completo. 

Milano, novembre iprj-marso jgió. 

Fr. Gnecchi. 



(i) Le citazioni si riferiscono al Cohen {Description hisiorique des 
monnaies frappées sous l'empire romain. Paris, 2." ed., 1880-1892) per le 
monete imperiali, ai miei Medaglioni romani (Milano, Hoepli, 1911) per 
quanto li riguardano, al Corpus Nummorum Italicorutn (Roma dal 1910 
in corsp di pubblicazione) per alcune delle poche monete medioevali. 
Quanto alle monete della repubblica, essendo tanto facile rintracciarle 
quando si conosca il nome del magistrato che le ha coniate, invece di 
citare il Babelon, ho preferito dare il nome del nìagistrato coll'anno 
della coniazione ; parendomi interessante anche il seguito cronologico. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 15 



PARTE I. 
LA FAUNA. 

(Tav. 1, li, III e IV). 



La Fauna ha il vanto dell'assoluta priorità sui tipi che 
vennero stampati sulle monete; gli animali ebbero l'onore di 
fornire i primissimi elementi alla tipologia monetaria. Le pri- 
missime monete della Lidia, ove si crede che la moneta 
abbia avuta la sua origine, non portavano alcun tipo; ma 
la semplice impressione di un ponzone quadrato da un lato 
e alcune striature irregolari dall'altro. Quando si trovò ne- 
cessario, per conferir loro autorità e garanzia, di imprimervi 
un tipo, vi si stampò una testa di toro, di leone o d'altro 
animale. Non fu che più tardi, che gli uomini e gli dei vi 
presero la loro parte. 

Pare che i magistrati monetari e gli artisti primitivi non 
avessero trovato di meglio che gli animali, per esprimere i 
loro concetti e per simboleggiare le allusioni alle località, 
alle attitudini, alle glorie e alle aspirazioni di un popolo. 

Per essi il Cavallo esprimeva il concetto di un popolo 
guerriero, l'Aquila e il Leone accennavano all'idea di forza e 
di predominio ; il Delfino, la Conchiglia, il Granchio erano 
simboli di un paese marinaro. 

Queste le primitive indicazioni dirette degli animali per 
sé stessi. Vennero poi le indicazioni riflesse. 

Molti animali già antichissimamente erano stati accapar- 
rati da diverse divinità ; ne rimasero il simbolo e servirono 
a rappresentare la divinità stessa cui erano legati. Così Mi- 



l6 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

nerva veniva rappresentata dal suo simbolo, la Civetta, Giove 
dall'Aquila, Bacco dalla Pantera. 

E v'ebbero pure le rappresentazioni geografiche; il Coc- 
codrillo divenne simbolo dell' Egitto, il Toro dell'Armenia. 

Seguendo l'esempio della Grecia, le prime monetazioni 
italiche si basarono sulla Fauna e la grande prevalenza di 
questa perdura anche nella monetazione Romano Campana. 

Durante la repubblica e l'impero, i tipi animali andarono 
gradatamente diradando, mano mano che nella monetazione 
si introducevano nuovi tipi religiosi, politici, sociali, portati 
dal progredire della civiltà. 

I tipi nuovi, cui bisognava far posto, divenivano sempre 
più numerosi, cosicché la Fauna non vi potè conservare a 
lungo la parte preponderante, che aveva conservata nella 
greca, ove alcuni tipi, come la Civetta ad Atene, il Lepre 
a Messina perdurarono per secoli : ma pure il numero delle 
monete romane è così grande, che un largo posto rimase 
sempre anche alla Fauna. 

* * 

Non tutti i Tipi d'animali hanno il medesimo interesse e 
la medesima importanza, non tutti la medesima durata e non 
tutti vanno considerati sotto il medesimo punto di vista. 
Altra è l' importanza della Lupa coi Gemelli, il simbolo più 
tipico di Roma, altra quella di una Tigre o di un Orso che 
lottano nel circo. Alcuni tipi non sono che occasionali e non 
vi fanno che una o due apparizioni, mentre altri vi perdu- 
rano per lunghissime epoche. Gli animali poi, come molte 
altre figurazioni, vi stanno in diversi modi e, a seconda dei 
modi, assumono maggiore o minore importanza. 

Talora vi sono rappresentati veramente come Tipo, nel 
significato allegorico loro attribuito. Questi sono i casi in cui 
la rappresentazione di un animale assume la sua massima 
espressione. Ma talvolta l'animale non occupa che un posto 
secondario, come l'Aquila ai piedi di Giove, il Cane o il 



NEI TIPI MONETALI ROMANI I*^ 

Cervo accanto a Diana, il Pavone accanto a Giunone. E 
sempre il significato simbolico che si vuol rendere; ma l'ani- 
male non è più che il complemento della rappresentazione 
di una divinità. Talvolta ancora l'animale rappresenta il dio 
o l'eroe che lo ha vinto o abbattuto, come il Cinghiale eri- 
manteo è posto talora a rappresentare Ercole. Domina solo 
come tipo, ma la leggenda ne spiega il significato HERCVLI 
CONS AVG {Gallieno). Altra volta un animale simbolico è 
posto ad affermare la qualità del personaggio rappresentato, 
come il piccolo Delfino dietro la testa di Pompeo, indica la 
sua qualità di PRAEFECTVS CLASSIS ET ORAE MARITTIMAE. 

Durante la Repubblica, molti animali furono assunti, per 
somiglianza di nome, quali emblemi di famiglia e furono 
stampati sulle monete, quando dalla famiglia uscì un magi- 
strato monetario. Quei monetari erano amanti dei rebus e 
dei giuochi di parole, Voconio Vitulo scelse come suo stemma 
e stampò sulle monete un Vitello, L. Torio Balbo aveva 
scelto un Toro. Di parecchie di tali espressioni simboliche 
ci venne dato di ritracciare il significato — e non era diffi- 
cile — all'epoca in cui i monetari, accanto al simbolo, met- 
tevano il loro nome, come nei due casi citati. Ma nei tempi 
più remoti, quando il bronzo e anche l'argento repubblicano 
era anepigrafo, abbiamo molti simboli, che certamente deb- 
bono aver avuto un significato, ma che ci rimangono affatto 
misteriosi e assai probabilmente rimarranno tali per sempre. 

Per esaurire l' argomento , bisogna accennare anche 
alla numerosissima schiera d'animali — o di parti d'animali 
perchè in questa categoria sono talvolta rappresentati anche 
la sola testa o un altro membro — che, insieme ad altri 
oggetti, a numeri, a lettere alfabetiche formano, durante la 
repubblica, la serie che generalmente si dice dei piccoli sim- 
boli, ma che io più volentieri direi dei piccoli segni varianti, 
perchè veramente non vogliono simboleggiar nulla ; non sono 
che il risultato di una bizzarria e non servirono ad altro 
che a soddisfare il gusto di varietà e di vanità di alcuni 
magistrati monetari, fra cui primeggiano i Calpurnii, e se- 

3 



[3 



FR. GNECCHI 



LA FAUNA E LA FLORA 



guono L. Pletorio, C. Mario Capitone, L. Papio, D. Silano 
e parecchi altri. 

Questi piccoli segni varianti, non avendo significato in- 
dividuale, non hanno interesse nel nostro argomento e sono 
quindi esclusi dalla nostra descrizione. 

Gli animali rappresentati nelle monete non sono tutti 
animali reali. Alla Fauna naturale venne ad aggiungersi la 
fantastica, comprendente gli esseri immaginari come Cer- 
bero dalle tre teste, l'Idra dalle sette teste, oppure quelli 
in cui vennero riunite parti di diversi individui, quelli cioè 
che furono composti con una parte dell'uomo e il resto di 
un altro animale. Così il Centauro metà uomo e metà cavallo, 
la Sirena metà donna e metà pesce. 

Per semplificazione e perchè tutti i singoli soggetti vanno 
presi nel loro significato simbolico, ho tenuto un ordine al- 
fabetico unico, nel quale ho riunito la Fauna reale e la fan- 
tastica, formando così un totale di 74 voci, ossia : 



Aquila 
Ariete (Pecora 

Agnello) 
Asino 
Bove 

Bove a faccia 

umana 
Camello 
Cane 

Capro-Capra 
Capricorno 
Cavallo 
Centauro 
Cerbero 
Cervo 
Cicala 
Cicogna 
Cinghiale 
Civetta 
Coccodrillo 



Coleottero 

Colomba 

Conchiglia 

bivalve 
Conchiglia 

elicoidale 
Coniglio 
Cornacchia 
Corvo 
Delfino 
Drago 
Elefante 
Farfalla 
Fenice 
Gabbiano 
Gallo 
Gazzella 
Giovenca 
Giraffa 
Granchio 



Grifone 


Rana 


Ibis 


Rinoceronte 


Idra 


Rombo 


Ippocampo 
Ippopotamo 
Leone 
Lepre 


Satiro 
Scarabeo 
Scorpione 
Scrofa 


Lupa 
Minotauro 


Serpente 
Sfinge 


Mulo-Mula 


Sirena 


Orso 


Sorcio 


Pantera 


Struzzo 


Pantera alata 


Testuggine 


Pavone 


Tigre 


Pegaso 
Pesce 


Toro 
Toro alato 


Polipo 
Pollo 


Tritone 
Uccello. 


Porco 


Vitello 



NEI TIPI MONETALI ROMANI I9 



ELENCO DEGLI ANIMALI E TIPI RELATIVI 



AQUILA. 

Ab Jove initium. L'Aquila ci si presenta prima nella 
serie. La regina dei cielo, che, come il più ardito e il più 
forte dei volatili, venne destinata a rappresentare il Sommo 
Giove — A nido devota Tonanti — era naturale che, quale 
simbolo di dominio, fosse anche scelta a rappresentare il po- 
polo dominatore. E così fu. Essa venne adottata fino dai 
primissimi tempi e non abbandonò mai più la monetazione 
romana repubblicana e imperiale fino alla decadenza, soste- 
nendovi una parte assai più elevata di quella, pure impor- 
tante, che le era stata assegnata nella numismatica greca. 

In questa non rappresentava che l'egemonia talvolta mo- 
mentanea d'una città o d'un popolo ; nella romana rappre- 
senta oltre venti secoli di incontestata egemonia mondiale. 

Essa fa la sua prima apparizione nell'aes grave italico, e 
precisamente nell'asse di Riete in Sabinia, nel quale ci offre 
l'unico esempio di un'Aquila marina, poggiata su di un 
pesce simboleggiante il lago che esisteva presso quella città, 
rinomato per un'isola natante. 

Non essendovi luogo per l'Aquila nella serie dell'asse 
hbrale, la sola serie dove, come è noto, non figurano che 
teste di divinità al diritto e la prora al rovescio, essa 
ci appare per la prima volta in Roma, poggiata sul fulmine, 
nel pezzo quadrilatero avente al rovescio il Pegaso con 
r iscrizione ROMANORVM e contemporaneamente nei pri- 
missimi aurei romani coniati nella Campania. La troviamo 
poi, come Tipo, quasi sempre poggiata sul fulmine, nei de- 
narii di L. Aurelio Cotta, 90 a. C, Cn. Cornelio Lentulo, 84 
a. C, Pomponio Rufo 71 a. C, Pletorio Cestiano 69 a. C. 
Q. Cassio Longino, 60 a. C, M. Cordio Rufo, M. Terenzio 
Varrone, 49 a. C. e Petillio Capitolino, 43 a. C. 

Una testa d'Aquila forma spesso l'ornamento del casco 
della dea Roma in molti denarii repubblicani e nel decapondio. 



20 FR, GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Stabilito r impero, l'Aquila è raramente poggiata sul 
fulmine ; essa non designa più il dominio agognato, ma il 
dominio raggiunto. Augusto la rappresenta ora sul globo, 
ora su di una corona d'alloro ; in seguito la vediamo anche 
su di uno scettro o su di un'ara o al cuspide di un tempio. 
L'Aquila, quale Tipo, dopo Augusto, compare ancora 
sulle monete di Vespasiano (Cohen, 120 a 122), di Tito 
(Coh., 59, 61), di Domiziano (Coh., 319, 358, 359), di Trajano 
(Coh., 96, 541), di Adriano (Coh., 427-29, 504-5, 1 166-7), di 
Antonino Pio (Coh., 179, 180, 346). 

Dall'epoca di Trajano l'Aquila viene dedicata in modo 
speciale alle monete di Consacrazione. Incomincia con Mar- 
ciana (Coh., 3 a 9), Matidia (Coh., i a 6), Sabina (Coh., 27- 
34) e Faustina madre (Coh., 182-5), finché il Pavone venne 
a sostituirla per le Auguste e prosegue con gli Augusti, 
Antonino Pio (Coh., 153-63), M. Aurelio (Coh., 78 a 94), Vero 
(Coh., 55-57), Commodo (Coh., 61), Pertinace (Coh., 6 a io). 
Severo (Coh., 81-86), Caracalla (Coh., 32-33), Salonino (Coh., 
2-5, 7-11), Vittorino (Coh., 22-27), Tetrico padre (Coh., 29), 
Claudio Gotico (Coh., 41-46), Caro (Coh., 1422), Nigri- 
niano (Coh., 2-3), Costanzo Cloro (Coh., 26, 26), Galeno 
Massimiano (Coh., 14-20), Romolo (Coh., 1-12), sempre con 
le leggende CONSECRATIO o AETERNA MEMORIA. In via ge- 
nerale, per le Consacrazioni delle Auguste, l'Aquila poggia 
sullo scettro; per quelle degli Augusti, il più sovente, sul 
globo; ma alle volte è spiegata al volo, trasportando in cielo 
l'imperatore o l'imperatrice. 

La troviamo inoltre come simbolo, quasi sempre ai piedi 
di Giove, e sovente con una corona nel rostro, nelle nume- 
rosissime rappresentazioni del massimo dio romano, durante 
i primi quattro secoli dell'era nostra. 

Spesso la vediamo come termine glorioso dello scettro 
imperiale e, all' epoca della tetrarchia, una testa d'Aquila 
fregia sovente il collo o il petto dell'Augusto, il quale tiene 
pure talvolta una testa d'Aquila fra le mani, o stringe l'elsa 
di una spada, il cui pomo è formato da una testa d'Aquila. 

In seguito essa culmina la volta dei tempii dedicati alla 
memoria degli Augusti, AETERNAE MEMORIAE. 

All'epoca costantiniana l'Aquila porta lo stesso Giove 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 21 



nelle vie dei cieli; vedasi Licinio padre (Coh., 96 a loi), Co- 
stantino Magno (Coh., 293). 

Quale il più vero e più spiccato simbolo della potenza 
romana, la troviamo su innumerevoli monete rappresentanti 
quelle insegne gloriose che dovevano impiantarsi in tutto il 
mondo, apportatrici prima di guerra, poi di civiltà. 

In quale onore fosse tenuta in Roma l'Aquila imperiale, 
insegna del supremo potere militare, ci riesce chiaro nel de- 
nari© d'Augusto (Coh-, 248) in cui domina, coronata da un 
trofeo, fra due insegne ; in altri aurei o denarii, in cui è af- 
fidata a Marte SIGNIS RECEPTIS (Coh., 258) o è collocata 
nel Tempio di Marte vendicatore MARTI VLTORI (Coh., 189); 
oppure fra due insegne (Coh., 248) o imbrandita da Marte 
nel centro dello stesso tempio (Coh., 193 e segg.); o in altri 
ancora, nei quali le è dedicata una quadriga trionfale S P Q R 
(Coh., 273 e segg.); infine in altri, nei quali il carro che la 
porta è collocato nel tempio di Marte (Coh., 278 e segg.). 

Molte volte le Aquile romane figurano incidentalmente 
sulle monete rappresentanti scene di Allocuzione, di Vittoria, 
di Trionfi; talvolta invece sulle monete coniate appositamente 
per l'esercito, di cui la serie più ricca è quella delle legioni e 
delle coorti di M. Antonio, a cui fa seguito quella di Set- 
timio Severo e d'altri imperatori. In queste monete l'Aquila 
legionaria è collocata fra due insegne militari. 

L'Aquila non cessa dal fare le sue apparizioni, nell'uno 
o nell'altro modo, se non quando, accentuata la decadenza, 
i simboli avevano perduta la loro significazione e ai tipi 
forti e veri, nella monetazione, s'era andato sostituendo, con 
la divisione dell'impero, il tipo unico, vano e bugiardo della 
Vittoria con la croce sulle monete d'oro, rappresentazione 
che equivaleva alla completa mancanza di tipi dell'argento 
e del rame. 

L'Aquila, che aveva assunto la massima importanza nella 
numismatica romana, e che era scomparsa al momento della 
decadenza, risorge col risorgere delle libertà italiane e, per 
tutto il medioevo, mantiene il suo primato nella nostra serie 
monetaria. Su molte monete figura come Tipo, citerò le 
zecche di Desana, Messerano, Bozzolo, Castiglione delle Sti- 



22 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

viere, Como, Maccagno, Mantova, Milano, Mirandola, Pisa, 
Lucca, Messina, ecc., ecc. 

Attraverso i secoli essa sempre rimase l'emblema del 
potere e, modificandosi, stilizzandosi, a seconda dell'arte pre- 
dominante, durò fino ai nostri giorni, in cui ancora spiega 
le sue ali negli stemmi e nelle monete di molte nazioni, ora 
emblema di giusto e liberale potere, ora di aggressione, di 
conquista, di rapacità. 

L'Aquila Sabauda, che già rifulse sulle monete di Ame- 
deo V {Corpus, I a 29), al principio del 1300, è ancora 
ben viva oggidì e, vessillo di libertà e di patria, sta ancora 
sorvegliando le Alpi e guidando i nostri bravi soldati alla 
rivendicazione dei sacri diritti d' Italia nostra contro 

" l'Aquila grifagna 
Che, per piti divorar, due becchi porta „. 



ARIETE. 

PECORA — AGNELLO. 

La testa dell'Ariete figura nell'asse dei Vestini e in altri 
spezzati delle monetazioni primitive dell'Italia Centrale. Pro- 
babilmente si intendeva accennare a una ricchezza agricola 
paesana o forse anche rammentare un antico mezzo di scam- 
bio, pecus. 

L'Ariete, dominante come Tipo nel campo della moneta, 
non lo troviamo che nel denario di L. Rustio, 71 a. C, 
mentre in altro monetario della stessa famiglia, Q. Rustio, 
19 a. C, abbiamo un'ara ornata di due teste d'Ariete, col 
che si chiude la sua rappresentazione nelle monete repub- 
blicane. 

Per quanto l'Ariete sia un animale bellicoso e pugnace, 
tanto che venne dato il suo nome a una macchina di guerra, 
non credo che questa sia la ragione del suo trovarsi sulle 
monete dei Rustii. Probabilmente dobbiamo cercarne una 
più umile e più casalinga. Sarebbe per esempio bastato che 
la lana avesse già costituita l'antica industria dei Rustii, 
perchè, all'entrare di un membro nel collegio monetario, 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 23 

avesse assunto l'Ariete quale emblema di famiglia. Come ab- 
biamo già osservato, ciò era perfettamente nell'ordine d'idee 
di quei monetarii, e neppure i loro lontani discendenti li 
smentiscono. Il fatto si rinnova anche al giorno d'oggi e 
potrei citare il caso di fortunato lanajuolo, che, entrato nella 
classe della nobiltà, ornò, appunto come riconoscenza e come 
simbolo della sua fortuna, il suo nuovo stemma colla testa 
di un montone. 

Nei tempi imperiali l'Ariete non è riprodotto che su al- 
cuni medaglioni d'Adriano (Gn., i6 a 23), di Antonino Pio 
(Gn., 29) ; ma semplicemente come vittima condotta al sa- 
crificio. 

L'Ariete però aveva già ab antiquo il suo posto an- 
che nel cielo fra le Costellazioni e ciò gli conferì l'onore di 
ornare colle sue spoglie o, per meglio dire, col suo corno 
ricurvo il capo del sommo dio romano, quale era venerato 
nella Libia, sotto il nome di Giove Ammone, In tale strano 
abbigliamento, lo vediamo la prima volta nell'aureo e in 
un denari© di Q. Cornuficio, 46 a. C. e in altro di L. Pi- 
nario Scarpo, 31 a. C. ; poi, passando all'impero, in un 
bel medaglione di Trajano (Gn., 5), in un piccolo bronzo 
d'Adriano (Gn. 136), in altro di M. Aurelio (Gn., 108 a no) 
e finalmente in un aureo di Settimio Severo, con la leg- 
genda lOVI VICTORI. 

La Legione I M{mervtna) di Carausio ha per suo em- 
blema TAriete e, sotto Vittorino padre, emblema della me- 
desima Legione PRIMA MINERVINÀ è una Vittoria seguita 
dall'Ariete. 

In un piccolo bronzo di Giuliano II abbiamo, un'Aquila 
e un Ariete in una corona votiva (Coh., 138), forse come 
omaggio di vittoria a due legioni, se ne riteniamo quei due 
animali gli emblemi. 

Della femmina dell'Ariete, non conosco che un'unica 
apparizione in un denario di Vespasiano, nel quale un pa- 
store sta mungendo una Pecora, denario che appartiene alla 
mia collezione e che pubblicai nel 1899 (^X 

Se, per completare la famiglia, dobbiamo comprendervi 



(i) Rivista Italiana di Numismatica, pag. 439, n. 31. 



24 FR. GNECCrtl — LA PAÙNA E LA FLORA 

anche la prole, cioè l'Agnello, esso è rappresentato su di un 
raro bronzo d'Augusto (Coh., 250) quale una delle due vittime 
destinate al sacrificio, collocate su due basi ai lati del tempio. 
Le due vittime, stando a quanto dice Prudenzio, dovevano es- 
sere un Agnello e un Vitello, e tali appaiono realmente sugli 
esemplari bene conservati. È forse lecito riconoscere l'Agnello 
anche nel grazioso animaletto che, ritto in piedi o talora saltel- 
lante, offre le sue zampe anteriori all'Autunno nella nota rap- 
presentazione delle quattro Stagioni (vedi la voce Lepre), 

L'Ariete compare abbondantemente, nella sua spoglia 
costituente il toson d'oro, in molte monete coniate in Itaha 
da dominazioni straniere e specialmente dalla spagnuola. 

Il dolce Agnello si trasformò nell'Agnello mistico o nel- 
V Agnus Dei e, come tale, figura su parecchie monete me- 
dioevali (Monferrato, Rodi, ecc.) e su molte medaglie sacre, 
anche moderne. 

ASINO. 

Anche 1' umile e paziente somaro ha l'onore di figurare 
simbolicamente in alcune monete imperiali e, se non il suo 
corpo intero, offre la sua testa, come emblema di una pro- 
vincia barbara, ma felice. L'Asino simboleggia la Dacia e la 
sua testa rimpiazza l'Aquila romana sulle insegne mihtari 
di quella Provincia. - Caput asininum Dacorum arma - nelle 
monete degli imperatori Trajano Decio, Gallieno e Aure- 
liano. Su alcune di queste monete, che portano la personi- 
ficazione della provincia, è scritto semplicemente DACIA» su 
altre DACIA FELIX. Se poi questa leggenda, alla metà del 
terzo secolo, fosse veritiera non oserei garantire. Al tempo 
del primo Trajano, quando avvenne la conquista romana, sia 
che la dicessero DACIA CAPTA, oppure DACIA AVGVSTA 
PROVINCIA, essa figurava legata, inginocchiata e in lagrime 
su di un mucchio d'armi, come una semplice schiava. 

L' intera figurazione dell'Asino non compare che in una 
tessera mitologica dell'alto impero, ove, con aria stanca, porta 
Silene quale cavaliere (Coh., 3). 

Il modesto quadrupede non trovò fortuna nella numisma- 
tica medioevale e moderna. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 25 



BOVE. 

Il pio Bove è l'emblema dell'Agricoltura e insieme della 
Pietà. Come uno degli animali nostrani più noti, come sim- 
bolo del lavoro agricolo e, forse anche, come ricordo del- 
l'unità di scambio anteriore alla moneta, esso venne rappre- 
sentato quale Tipo nell'asse di Luceria e in uno dei quadri- 
lateri primitivi, nel quale è ripetuto in ambo i lati. Una scena 
eminentemente agricola ci è presentata da un medaglione di 
Commodo (Gn., 98), nel quale stanno di fronte la Terra e 
un pastore. La prima tiene delle spighe e s'appoggia a un 
cesto d'uva; il secondo ha con sé quali, compagni, due buoi. 
Ma quest'esempio è isolato ed è generalmente nell'atteggia- 
mento di lavoro che troviamo il Bove, quale simbolo del- 
l'Agricoltura. In denarii repubblicani di C. Cassio Longino, 
109 a. C. si vedono due Bovi col giogo, e tali sono ripetuti 
da Tito (Coh., 67). 

Nei denarii di C. Mario Capitone, 84 a. C. il pajo di 
Bovi è aggiogato all'aratro ed è guidato da un colono. In 
un denario d'Augusto (Coh., 117) e in un rarissimo bronzo 
di Trajano (Coh., 539) invece, l'aratro è guidato da un sa- 
cerdote ; col che non è più simboleggiata l'Agricoltura, ma 
la Pietà. 

Più innanzi, sotto Commodo, il guidatore dell'aratro è 
Ercole sotto i tratti di Commodo o, se si preferisce. Com- 
modo sotto i tratti d'Ercole, e lo scopo del lavoro non è 
più quello d'arare i campi, né d'elevare l'Agricoltura a cosa 
sacra, bensì di segnare con un solco la delimitazione di una 
nuova città. HERCVLI COMMODIANO (Gn., 21-22), HERCVLI 
ROMANO CONDITORI (Gn., 23-24), HERCVLI ROMANO AVGV- 
STO iGn., 25 a 35). In un medaglione di Faustina madre 
(Gn., 19), il Bove è assunto all'onore di tirare il carro por- 
tante l'Augusto quale Pontefice massimo e l'Augusta velata 
e munita del bastone augurale. Sale poi alla semi-divinità 
nei numerosi bronzi di Giuliano II, nei quali rappresenta il 
Bove sacro alle divinità d' Egitto, col nome di Api, con i due 
astri dei Dioscuri sopra il capo, un'Aquila ai piedi e la leg- 
genda SECVRITAS REIPVBLICAE. 

Nelle monete di Vittorino lo troviamo come emblema 



20 FR. GNECCHl — LA FAUNA E LA FLOftA 

della Legione V MACEDONICA. In quelle di Carausio della 
Leg. VII CLAVDIA e della Leg. Vili AV&VSTA. 

Il Bove non è escluso dalla numismatica medioevale. A 
Parma abbiamo un quattrino della Repubblica (1335-46) col 
Bove, come Tipo, poi un grosso d'Alessandro Farnese (1586-92). 
Alessandro Vili (1689-91) ha un testone con due Bovi ag- 
giogati all'aratro. 

Tra i progetti della nuova monetazione italiana per la 
moneta d'oro, che doveva rappresentare l' Italia agricola, il 
Boninsegna aveva presentato un modello con un pajo di 
Bovi {Corpus, 19) ; ma venne preferito l'altro del medesimo 
artista con 1* Italia aratrice [Corpus, 24 a 29). 

BOVE a faccia umana. 

Il tipo è greco e le due monete che lo riproducono nella 
serie romana non sono che copie di monete greche e pre- 
cisamente di Napoli. Il Bove a faccia umana ci si offre a 
mezzo corpo in un bronzo della Campania (Bab. 12), a corpo 
intero, con una Vittoria che vi sopravvola, in uno dei primi 
aurei d'Augusto, coniati dal suo triumviro Durmio, 17 a. C. 
Poco o nulla sappiamo di questo monetario e quindi ci riesce 
inafferrabile il significato che intese attribuirvi ; né possiamo 
escludere che, oriundo di Grecia, si sia accontentato, per 
questa, come per parecchie altre sue monete, di ispirarsi 
a quei tipi, copiandoli servilmente, senza annettervi un si- 
gnificato speciale. 

CAMELLO. 

Il Camello era la cavalcatura dei re orientali. Non ap- 
pare che due volte nei denarii di M. Emilio Scauro, 58 a. C. 
e di A. Plauzio, 54 a. C, nei quali sono figurati i vinti 
Bacchio re della Giudea e Areta re di Petra, che, inginoc- 
chiati accanto ai loro camelli, di cui tengono le redini, fanno 
atto di sottomissione. 

Durante l' impero, il Camello, è ricordato come emblema 
dell'Arabia in due bronzi di Trajano (Coh., 28 e segg., 88 
e segg.) e d'Adriano (Coh., 1233-4). Lo vediamo portare in 
groppa due persone in una tessera da giuoco dell'alto impero 
(Coh., 4). 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 2^ 



CANE. 

Il Cane va considerato sotto diversi aspetti; come sim- 
bolo di fedeltà e di custodia, come simbolo di caccia e come 
cavalcatura. 

È ne! primo significato che pare sia stato stampato su 
alcune monete librali primitive, poi sui piccoli bronzi della 
Campania. Fra i monetarii della repubblica, il primo che lo 
rappresenta è C. Antistio Labeone, 174 a. C, che lo aveva 
adottato come stemma di famiglia. La leggenda narra avere 
un Cane, latrando da una finestra, salvato da naufragio un 
navigante, antenato degli Antestii. Seguono L. Marcio Fi- 
lippo, 112 a. C, L. Cesio, 104 a. C, nel denario del quale, 
si vede il Cane accarezzato dagli dei Lari, C. Mamilio Lime- 
tano, 84 a. C, sul cui denario è rappresentato il Cane Argo, 
che riconosce all'arrivo il suo padrone Ulisse e finalmente 
T. Carisio, 48 a. C. 

Il Cane fedele, sotto l'aspetto di compagno dell'uomo è 
rappresentato in un medaglione d'Adriano (Gn., loi), ripe- 
tuto da Antonino Pio (Gn., 85), con Pane, e un Cane isolato 
su di un piccolo bronzo d'Adriano (Coh., 1393), pare avere 
il medesimo significato. 

Di Cani da caccia ve ne sono di due specie, il levriere 
e il segugio. Il primo, il Cane tipico di Diana, figura per 
la prima volta nel denario di C. Postumio, 64 a. C, corrente 
da solo nel rovescio, mentre al diritto sta il busto di Diana. 
Questo modo di rappresentazione è unico, mentre ritroviamo 
poi il Cane accanto alla dea, quale suo fido compagno, ogni 
volta che essa compare nelle monete di Augusto, Adriano, 
Antonino Pio, M, Aurelio, Commodo, Gallieno. 

Il grosso Mastino o Segugio da caccia lo abbiamo nel 
denario di C. Osidio, 213 a. C, in atto di assalire e adden- 
tare un Cinghiale ; e forse si deve riconoscere anche nel 
grosso Cane in lotta con un milite o un gladiatore sul de- 
nario di Cn. Domizio Enobarbo, 119 a. C. 

V'ha infine a registrare il Cane sostituito al Cavallo 
per la dea Iside, che su di esso compie i suoi viaggi in 
traccia delle sparse membra del trucidato marito Osiride. 
Il Cane d' Iside ha generalmente l'aspetto ferino del Cane 



28 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

lupo, ma a quale razza veramente appartenga è difficile dire, 
trattandosi di un Cane immaginario come la sua cavalcatrice. 
Di solito è lanciato a gran corsa, col muso rivolto all' in- 
dietro. Compare sui medii bronzi imperatore d' Adriano 
(Gn., 131), di Faustina seniore (Gn., 37) e di Faustina ju- 
niore (Gn., 42 a 44) per non più riapparire che con Giu- 
liano II (Coh., 99-101), Giuliano ed Elena (Coh., 6) e Elena 
(Coh., 16 a 18). 

Il Cane fa pure qualche comparsa nella numismatica 
medioevale e moderna. Citerò il Cane al guinzaglio di Fran- 
cesco II Gonzaga, duca di Mantova {Corpus, 139 e segg.), 
il Cane in attesa, di Vincenzo TI Gonzaga, duca di Mantova 
(1626-27), col motto FERIS TANTVM INFENSVS e il Veltro di 
Filippo II di Spagna, duca di Milano (1556-1598) con NEMO 
IMPVNE LACESCET. 

CAPRA-CAPRO. 

La Capra e il Capro erano male segnati dagli antichi, 
i quali li consideravano animali immondi, puzzolenti, infesti, 
apportatori di malattie e di disgrazie, che non si dovevano 
toccare e neppure nominare. Ma, se questo è il giudizio che 
si faceva nel mondo reale sulla sventurata coppia caprina, 
assai diverso era quello che, se ne faceva nell'Olimpo 

Il Capro maschio, nella numismatica ci si presenta come 
semplice cavalcatura pel pastore Ati, nel denario di Cor- 
nelio Cetego, 104 a. C, oppure come vittima da sacrificio 
in quello di L. Pomponio Molo, 94 a C. 

La Capra femmina rimane pure, nel mondo terreno e 
reale, semplice animale simboleggiante l'agricoltura, quando 
è munta da un pastore, nei denarii di Vespasiano (Coh., 220) 
e Tito (Coh., 103) oppure figura fra gli animali da circo che 
dovevano concorrere a solennizzare le feste secolari SAECV- 
LARES AVGG dei Fihppi. Ma passiamo al mondo extra reale, 
all'Olimpo. 

Apollo e Bacco aggiogano al loro carro una Capra in- 
sieme ad una Pantera, in un medaglione d'Adriano (Gn., 44), 
ripetuto da Antonino Pio (Gn., loi a 104), Mercurio si prende 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 29 



un Capro a compagno, in altro medaglione d'Adriano (Gn., 
122). La stessa Giunone Sospita, a cui si immolavano Capri 
come scongiuro contro la malefica loro influenza, sceglie ap- 
punto questi animali a proprio simbolo. Non solo fa tra- 
scinare il suo carro da una pariglia di Capri, nel denario di 
Renio, 154 a. C, ma si orna il capo di una pelle caprina, 
come appare nei denarii di L. Roselo, io8 a. C, L. Torio, 
94 a. C, L. Papio, 79 a. C L. Procilio, 79 a. C. e Q. 
Cornuficio, 46 a. C. e si intitola Caprotina. Né qui fini- 
sce l'ascensione della Capra femmina, alla quale, per una di 
quelle contraddizioni che sono proprie di tutte le mitologie, 
sono riservati ben più alti onori. Essa assume una posi- 
zione eccelsa, anzi semi-divina, quando rappresenta la Capra 
Amaltea, la nutrice di Giove in Arcadia. 

Tali ce la mostrano già alcuni denarii di Manlio Fontejo, 
88 a. C, medaglioni di Antonino Pio (Gn., 6o-6i), aurei, 
antoniniani e bronzi di Gallieno e di Salonino nei quali 
Giove fanciullo cavalca la Capra Amaltea, con la leggenda 
lOVI CRESCENTI o lOVI EXORIENTI o anche in denarii di 
Tito (Coh., 171), di Domiziano (Coh., 589), in cui la Capra 
non porta Giove, ma è circondata da una corona d'alloro, 
intorno a cui corre la leggenda PRINCEPS IVVENTVTIS, quasi 
augurio al Cesare di una educazione pari a quella di Giove. 

La Capra Amaltea è talvolta nell'atteggiamento di nu- 
trire il massimo dio in un bronzo d'Adriano (Coh., 426) e 
in un antoniniano di Gallieno dalla leggenda PIETAS SAECVLI. 
La pili insigne rappresentazione però di tale funzione è quella 
che ci viene offerta dal grande medaglione di Gallieno e 
Salonina, di cui un esemplare in argento esisteva già da 
tempo nell'Imp. Gabinetto di Vienna, e un secondo in oro 
veniva dall' Egitto nel 1896 ad arricchire il Gabinetto di 
Parigi. La strana leggenda PIETAS FALERI , rimasta per 
lungo tempo enigmatica, vennp spiegata in occasione del- 
l'acquisto dell'esemplare d'oro, dal Babelon, il quale la rian- 
noda all'origine della gens Valeria, di cui Gallieno era o si 
vantava discendente (i). All'ombra di un albero Giove fan- 



(i) V. Revue Nuntismatique, 1896. Médaillon d'or de Gallien et Sa- 
lottine. 



3© FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

ciullo sta succhiando il latte della sua nutrice, mentre un 
altro fanciullo tien sollevata la gamba destra posteriore 
della Capra. Davanti a questa sta un'Aquila, che ad essa si 
rivolge e, all'esergo, un fulmine, come constatazione della 
divinità della scena. La Capra Amaltea è pure rappresen- 
tata senza Giove fanciullo in altri antoniniani di Gallieno 
che portano però la leggenda lOVI COtiS{ervafort) KW(y{usit) 
ad indicare a quale Capra si intenda alludere. 

CAPRICORNO. 

Il Capricorno, mostro immaginario, caprone con coda di 
pesqe, simbolo della felicità, che si estende alla terra e al 
mare, segna la Costellazione sotto cui nacque Augusto, il 
quale lo impresse come oroscopo in parecchie delle sue 
prime monete in oro e in argento. In alcune di queste, 
sopra al Capricorno, brilla un astro, per allusione all' in- 
fluenza celeste, oppure il Capricorno tiene un timone, un 
cornucopia o il globo, alludendo alla direzione e all'esten- 
sione dell' impero, alla giusta e ben guidata egemonia mon- 
diale. 

Si può dire che Augusto sia il solo che abbia adottato 
come Tipo il Capricorno. Anteriormente non lo si trova che 
quale simbolo, dietro la testa di Venere nel bronzo di Q. 
Oppio, 46-45 a. C. Tiberio mette due Capricorni nel sesterzo 
coniato in onore d'Augusto, rappresentante la corona civica 
a lui decretata dal Senato e dal popolo Romano (DIVO AV- 
GVSTO S P Q R) certo ispirandosi ai sentimenti del grande 
imperatore (Coh., 302 d'Augusto). E poi il Capricorno non 
viene ripetuto come Tipo che da Vespasiano, Tito e Domi- 
ziano in quella emissione commemorativa del centenario della 
Vittoria d'Azio, nella quale vennero rievocati molti tipi di 
Augusto, che ormai andavano scomparendo dalla circola- 
zione (i), emissione che avremo parecchie occasioni di citare 
anche in seguito. Dopo di che, non lo troviamo piìi se non 
come emblema legionario nelle monete di Gallieno e di 
Carausio. 



(i) V. L. Laffranchi, Un Centenario numismatico nell'Auiichttà in 
Rivista It. di Numismatica, 191 1. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 3I 

In quelle di Gallieno vediamo segnate col Capricorno 
la Leg. I ADIVTRIX. la XIIII GEMINA, la IIXX PRIMIGENIA 
e la XX, XXI, XXII e XXX VLPIA. 

Nelle monete di Carausio è segnata (come in Gallieno) 
la XIIII GEMINA. 

CAVALLO. 

Nessun animale ricorre così frequentemente come il Ca- 
vallo ; ma la sua presenza non è che raramente Tipo o em- 
blema. Il pili delle volte non è che accessorio necessario 
della rappresentazione. 

Il Cavallo venne in origine considerato simbolo guer- 
riero. Tale ci appare la sua testa rozzamente, ma energica- 
mente modellata nel triente della serie grave del Lazio; tale 
il Cavallo in moto nell'asse della serie di Lucerà. 

La testa o la protome e l' intera figura del Cavallo, li- 
bero o con cavaliere, ricompajono sulle monete d'argento e 
di bronzo della Campania con le leggende ROMA o ROMANO» 
Poi, entrando nella serie di Roma, abbiamo come Tipo il Ca- 
vallo fermo, sellato e bardato di Quinto Azio Labieno, 40 
a. C. e il cavallo lanciato a gran corsa, talvolta libero e 
senza freno, tal altra montato, nei numerosissimi denarii di 
L. Calpurnio Risone, 89 a C, C. Marcio Censorino, 84 a. C, 
M. Calpurnio Pisone, 69 a. C, C. Calpurnio Pisone e C. Po- 
stumio, 64 a. C, e, possiamo anche aggiungervi, i Cavalli dei 
Dioscuri. Castore e Polluce ci si presentano quasi sempre 
galoppanti di conserva, talora appiedati presso i loro de- 
strieri o in atto di abbeverarli al fonte, cosicché questi in- 
divisibili compagni si possono considerare come una loro 
parte integrante. La serie non è breve e comprende le fa- 
miglie: Aelia, Antestia, Acilia, Aurelia, Autronia, Baebia, 
Caecilia, Calpurnia, Coelia, Cupiennia, Decia, Domitia, Fa- 
bia, Horatia, Itia, lulia, lunia, Lucretia, Lutatia, Maenia, Mar- 
cia, Matiena, Memmia, Minucia, Plautia, Postumia, Quinctia, 
Sempronia, Terentia. 

In seguito, nello sterminato numero delle monete repub- 
blicane, il Cavallo, nelle sue firequentissime e, diciamo pure, 
nobili e gloriose apparizioni, non è più che un animale da 
tiro o da sella. 



32 FR. GNECCHr — LA FAUNA E LA FLORA 

Abbiamo cosi : La Biga di Giove (Acilia, Fabia), di Giu- 
none (lulia, Mettia, Procilia), d'Apollo (Opeimia), di Venere 
(Crepusia, lulia, Marcia, Memmia), di Marte (Poblicia), di 
Diana (Cornelia, Decimia, Furia, luventia, Spurilia, Valeria), 
della Libertà (Cassia, Egnatia), della Vittoria (Afrania, Annia, 
Atilia, Caecilia, Calidia, Carisia, Cipia, Claudia, Clodia, Coelia, 
Cornelia, Domitia, Flaminia, Fulvia, lulia, lunia, Juventia, 
Lollia, Lucilia, Maiania, Marcia, Mettia, Mussidia, Pinaria, 
Rutilia, Saufeia, Servilia, Tarquitia, Titinia, Tituria, Valeria), 
della Pietà (Caecilia), di Pompeo (Pompeia), del re gallo (Co- 
sconia), d'altri guerrieri (Aurelia, Farsuleia, Hostilia). 

La Triga della Vittoria (Mallia, Naevia). 

La Quadriga di Giove (Anonime, Acilia, Antestia, Au- 
fidia, Aurelia, Cornelia, Curtia, Domitia, Garcilia, Mmucia, 
Ogulnia, Papiria, Plautia, Sentia, Trebania, Vargunteia, Ver- 
gilia), di Minerva (Licinia, Titia, Vibia), di Marte (Aburia, 
Fonteia, Gallia, Postumia), d'Apollo (Baebia), di Saturno (Ap- 
puleia), della Libertà (Porcia), della Vittoria (Annia, Antonia, 
Considia, Fabia, Fannia, Maenia, Marcia, Numitoria, Opimia, 
Rubria, Tullia), di Mario (Fundania). 

Durante l'impero, l'apparizione del Cavallo è tanto estesa 
e tanto frequente, che stimo opportuno dare la nota dei 
pochi imperatori, nelle cui monete il Cavallo non ricorre mai. 
Eccone la lista, incominciando da Augusto, dalla quale si ri- 
leva come, da principio non si tratti che di alcuni personaggi, 
i quali, quantunque giunti alle maggiori onorificenze, fino a 
quella di battere moneta al proprio nome, non portarono però 
corona e che del resto non ebbero che una coniazione assai 
limitata. Nel seguito poi, non è questione che di qualche regno 
di brevissima durata, talvolta di mesi o di giorni, come av- 
venne di parecchi tiranni usurpatori. Non hanno dunque il 
Cavallo nelle loro monete : M. Agrippa, Britannico, Clodio 
Macro, Ottone, Vitellio, Annio Vero, D. Giuliano, Pescennio, 
Albino, Diadumeniano, i due Gordiani Aft-icani, Balbino, Pu- 
pieno, Pacaziano, Giotapiano, Emiliano, Macriano, Quieto, 
Regaliano, Leliano, Mario, Quintillo, Vaballato, Giuliano tir.", 
Dom. Domiziano, Costanzo Cloro, Romolo, Licinio figlio. 
Valente tir.°, Martiniano, Delmazio, Anniballiano, Vetranione, 
Costanzo Gallo, Giuliano li, Graziano. 



Kei tipi monetali romani 33 

Naturalmente il Cavallo non figura che eccezionalmente 
sulle monete coniate al nome delle Auguste. Due sole di 
queste possiedono Cavalli, per così dire, al proprio servizio. 
Faustina madre in un medaglione (Gn., 21-22) sta per mon- 
tare nella propria biga, e in un altro (Gn., 23-24) è traspor- 
tata in cielo in una biga. Il medesimo fatto riproduce un 
bronzo di Paolina (Coh., 2) e questi rimangono i soli esempii 
del Cavallo adibito alla Consacrazione. 

Giulia Domna ha alcune monete col rovescio della biga 
di Diana, le due Faustine e Giulia Mesa qualche moneta di 
Consacrazione col rogo, in cima al quale si vede una qua- 
driga. 

Nelle monete imperiali il Cavallo non appare mai come 
Tipo, se non vogliamo mettere in questa categoria, come 
abbiamo fatto per la repubblica, il Cavallo della Mauretiana 
nei bronzi d'Adriano (Coh., 952 e segg.), quello di Roma sul 
grande medaglione di Commodo (Gn. 96) e quelli dei Dio- 
scuri nei medaglioni di Antonino Pio (Gn., 95), di M. Au- 
relio (Gn., 39), di M. Aurelio e L. Vero (Gn., 5) e di Com- 
modo (Gn., 177), nelle monete di Geta (Coh., 11 a 17), in un 
aureo di Tacito (Coh., 30) e nei numerosi bronzi di Mas- 
senzio colle leggende AETERNITAS AVG N. 

E vi possiamo forse aggiungere, come atteggiamento 
speciale, il Cavallo domato da Ercole, HERCVLI THRACIO, 
nell'aureo e nell'antoniniano di Postumo. In tutti gli altri 
casi — e sono numerosissimi — il Cavallo non ha che un 
posto onorifico, quale accessorio necessario della scena rap- 
presentata. 

E qui giova notare come il passaggio dalla repubblica 
all' impero segni un mutamento radicale nella qualità dei 
personaggi che eravamo soliti vedere occupare i carri trion- 
fali e specialmente le quadrighe. Ne scendono le divinità, 
lasciando il posto all'imperatore. 

Ben raramente — e di preferenza sui medaglioni — 
troviamo ancora qualche divinità in quadriga. Giove in me- 
daglioni di Antonino Pio (Gn., 12 e 49-50), di M. Aurelio 
(Gn., Il) e di Sett. Severo (Gn., i). 

Il Sole in medaglioni di Elio (Gn., 2-3), Antonino Pio 
(Gn., 67), Faustina juniore (Gn., 23), Commodo (Gn., 3-4), 



34 l-R- GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Aureliano (Gn., 2-3), Tacito (Gn., 8), Probo (Gn., 38 a 41). 
E di Probo abbiamo ancora parecchi antoniniani (Coh., 640 
a 698). 

La Vittoria in monete d'Antonino Pio (Coh., 1079 a 1085), 
M. Aurelio (Coh., 581-2), o in medaglioni (Gn., 57-58), in 
in monete di Commodo (Coh., 510) o medaglioni (Gn., 37, 
144 e 145) e nel medaglione di Valeriano (Gn., 5). 

Oppure in biga. Diana in monete di Giulia Donna (Coh., 
104 a 109) e la Vittoria in un aureo d'Augusto (Coh., 67) o 
in medaglioni d'Adriano (Gn., 14-15), d'Antonino Pio (Gn., 36) 
e di Gallieno (Gn., 32). 

Vi sono poi alcune quadrighe riservate a rappresenta- 
zioni simboliche. In alcune di quelle d'Augusto, la quadriga 
porta una piccola quadriga (Coh., 76 e segg.), un'aquila e 
una piccola quadriga (Coh., 271 e segg.), il calathus (Coh., 
357 e 429) (i), una palma (Coh,, 456), oppure è presentata 
vuota (Coh., 483) (se pure non è ancora il calathus, che vi 
si rappresenta), come è vuoto il carro di Tiberio (Coh., 
64 e segg.). Due Vittorie e una piccola quadriga portano 
quelli di Claudio (Coh., 31) e di Vespasiano (Coh., 147). 

Una quadriga d'Eliogabalo porta la pietra conica (Coh., 
265 e segg.) e, chi crede agli aurei di Uranio Antonino, vi 
trova la ripetizione di questa cerimonia. 

All' infuori di queste eccezioni, la biga è pochissimo 
usata ; ma nella quadriga e, più raramente, nella sestiga e 
nel carro a otto cavalli, non vediamo che l' imperatore e la 
sua famiglia, oppure l'imperatore e la Vittoria che l'accom- 
pagna o l'incorona. 

Sono tutte quadrighe imperiali quelle d'Augusto (Coh., 
82, 115, 231-34, 298, 544), di Tiberio (Coh., 45), di Ger- 
manico (Coh., 6), di Claudio (Coh., 15), di Vespasiano (Coh., 
475-78), di Tito (Coh., 226-33), di Domiziano (Coh., 93, 138, 
154-55, 161-62, 476-77), di Irajano (Gn., 3), di Antonino 
Pio (Coh., 319-20), di M. Aurelio (Coh., 581-82), di Vero 
(Gn., 17-19), di Commodo (Gn., 87 a 89, 103 a ro6 ; Coh., 
510), di Caracalla (Gn., 4; Coh., 418), di Geta (Coh., 121- 



(I) Vedi alla voce: Vegetali in genere. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 35 



122), di Macrino (Coh., 88, 104 a 107), d' Eliogabalo (Gn., 2 ; 
Coh., 16, 17), di Alessandro (Gn., 12 a 15, 18, 19, 21, 22; 
Coh., 225-26, 294 95, 330, 376-77' 458- 478, 480), di Filippo 
padre (Gn., 8, 9, 15), di Filippo figlio (Gn., 2 a 5), dei due 
Filippi (Gn., 4), di Gallo e Volusiano (Gn., 7), di Gallieno 
(Gn., 9, 31), di Probo (Gn., 14), di Numeriano (Gn., 11), 
di Costantino Magno (Gn., 67). Così pure sono imperiali le 
sestighe di Sett. Severo (Coh.. 104), di Gallo e Volusiano 
(Gn., 6), di Probo (Gn., 12, 13), di Massenzio (Coh., 60, 61), 
di Costanzo II (Gn., 2, 4) e di Valente (Gn., i) nei loro 
grandi medaglioni d'oro, di Onorio I nel suo medaglione 
d'argento (Gn., i) e imperiale è il carro trionfale a otto Ca- 
valli nel medio bronzo di Settimio Severo (Coh., 53). 

Il Cavallo durante l' impero assume una maggiore inti- 
mità col suo padrone, essendo specialmente destinato a por- 
tarlo in sella. L' imperatore ben sovente ci si presenta a ca- 
vallo, e lo vediamo in diversi atteggiamenti. 

Solo, semplicemente in moto, con la destra alzata, da 
pacificatore, ADVENTVS AVG, FELIX ADVENTVS. EQVIS RO- 
MANVS. 

Solo o accompagnato dal Cesare e dai Cesari pure ca- 
valcanti, oppure da militi a cavallo o a piedi, in corsa, DE- 
CVRSIO. ADVENTVS AVG. 

In partenza per la guerra, spesso preceduto dalla Vit- 
toria e seguito dai vessilliferi, PROFECTIO, EXPEDITIO. 

Di ritorno vincitore a Roma, dopo una spedizione, op- 
pure in atto d'arrivo trionfante in altra città, solitamente pre- 
ceduto dalla Vittoria e seguito da militi, con le leggende : 
ADVENTVS AVG. FELIX ADVENTVS, ADVENTVI FELICISSIMO. 
oppure con VICTORIA AVG- e nei bassi tempi GLORIA RO 
MANORVM. GLORIA REIPVBLICAE e, con Giustiniano, SALVS 
ET GLORIA REIPVBLICAE. 

In lotta col nemico, nei medaglioni di L. Vero (Gn., 4, 
6, 39) ARMENIA, m quello di Massimino (Gn., 4) VICTORIA 
GERMANICA, di Galeno Massimiano (Gn., 7) VICTORIA PER- 
SICA e in molti altri medaglioni e bronzi dalla Tetrarchia 
m avanti con le leggende: VIRTVS u VIRTVTI AVGG. VICTORI 
o DEBELLATORI HOSTIVM o GENTIVM BARBARARVM. 

Fmalmente in caccia, in atto di trafiggere con la lancia 



t/ 



36 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 



un leone, un cinghiale o altra belva, in medaglioni anepi- 
grafi o con la leggenda VIRTVTI AVGVSTI, di Adriano (Gn., 
67 a 69, 96, 97), di M. Aurelio (Gn., 89, 90), di Commodo 
(Gn., 152), o in bronzi di quest'ultimo (Coh., 972-3). 

Eccettuati i casi di trionfo, l'imperatore usa sempre il 
suo Cavallo come cavalcatura. Tale lo vediamo nelle sue ar- 
ringhe e riviste all'esercito, specialmente in Adriano EXER- 
CITVS BRITANNiCVS, CAPPADOCICVS, ecc. (Coh., 553 e segg.) 
mentre nelle allocuzioni ADLOCVTIO si mostra a piedi e il 
Cavallo si vede frequentemente sporgere fra i militi. 

Gli archi sono spesso coronati da monumenti equestri 
o da carri trionfali. 

Di quadrighe sono quasi sempre culminati i roghi e fre- 
quenti sono pure le riproduzioni di monumenti equestri prin- 
cipalmente nei primi secoli. 

Nei tempi della Tetrarchia il busto del Cavallo appare 
anche nel diritto di medaglioni e monete, accanto all'effigie 
imperiale, tenuto pel freno dall' imperatore. 

Gli scudi e le corazze degli imperatori sono spesso 
adorne di basso rilievi rappresentanti scene guerriere in cui 
il Cavallo ha la sua parte. 

Tale è nella numismatica romana il Cursus honorum del 
nobile quadrupede, il quale, per essere, tanto in pace che in 
guerra, l'animale che ha maggiori contatti con l'uomo, per 
esserne cioè il piìi vicino e fido compagno, ebbe e conservò 
la sua sempre intensa e gloriosa rappresentazione nelle serie 
monetarie attraverso i secoli fino ai nostri giorni. 

Nella serie medioevale non solo servì di cavalcatura a 
centinaja di principi e sovrani; ma venne ancora molte volte 
rappresentato quale Tipo, libero o bardato, fermo o corrente, 
allegro o recalcitrante. Basteranno alcune citazioni, come il 
testone di Pier Luca Fieschi (1528-48) per Messerano {Cor- 
pus, 3), il cavallotto di E. Filiberto di Savoja (1558) {Corpus, 
5-21) e quelli di Vespasiano Gonzaga principe di Sabbioneta 
(1574-7) con la leggenda FORTES CREANTVR FORTIBVS {Cor- 
pus, 34 a 40), il IO soldi di Ferdinando Carlo Gonzaga Ne- 
vers, duca di Mantova, nel 1702, con la leggenda QVI LEGES 
IVRAQVE SERVAI {Corpus, 46), il cavallotto di Camillo e Fa- 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 37 



brizio (158097) per Correggio, quello di Alessandro Pico 
(1612-37) per Mirandola, il da 6 soldi di Alfonso II Gonzaga 
(1650-88) per Novellara; infine i numerosi cavalli di parecchie 
zecche napolitane, Aquila, Napoli, Amatrice. ecc.. ove il no- 
bile animale è presentato col bisticcio EQVITAS REGNI. 

Il Cavallo mantenne così la sua presenza nelle monete 
per ben 25 secoli e, dopo esser stato l'occasione di capo- 
lavori d' incisione nell'antica Sicilia e nella Magna Grecia, 
come nella Roma repubblicana e imperiale e nel medio evo, 
mette il suo suggello anche nella nostra numismatica con- 
temporanea. Il bravo Calandra, ispirandosi a Eveneto, con 
la quadriga d* Italia, ci diede forse la più bella moneta d'ar- 
gento che attualmente circoli nel mondo. 

CENTAURO. 

L'essere favoloso metà uomo (o raramente donna) e 
metà cavallo, si dice originario della Tessaglia. E probabil- 
mente si formò tale leggenda dall'essere quel popolo assai 
dedito all'arte di domare i cavalli e all'equitazione. I cava- 
lieri tessagliesi combattevano spesso coi tori, e da ciò il 
nome di Centauri. 

Troviamo il primo Centauro combattente con Ercole nel 
triente della Campania ; solo, in un piccolo bronzo di Au- 
fidio Rustico (136 d. C). Nel denario di M. Aurelio Cotta, 
154 a. C, Ercole vincitore è in biga, tirato da due Centauri. 

Durante l' impero lo ritroviamo nei medesimi tre atteg- 
giamenti. Il Centauro solo, in piccoli bronzi di Gallieno (Coh., 
72 a 74), su alcuni del padre Tetrico, sotto l'invocazione 
d'Apollo, APOLLINI CONS AVG ; in altro del figlio Tetrico 
sotto l'invocazione di Febo SOLI CONSER e in altro di Giu- 
liano II (Coh., 137) quale espressione votiva. Combattente 
con Ercole in un medaglione di M. Aurelio (Gn., 69), in 
un aureo (Coh., 598) e in un piccolo bronzo (Coh., 706) di 
Massimiano Erculeo. Un medaglione di Antonino Pio (Gn., 
94) ci presenta la lotta dei Centauri con Teseo. In altri 
due medaglioni di M. Aurelio abbiamo il carro di Venere 
(Gn., 73, 74) tirato da due Centauri, uno maschio e l'altro 
femmina e quello di Ercole (Gn., 31) tirato da quattro Cen- 



38 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

tauri rappresentanti le quattro Stagioni con la leggenda TEM- 
PORVM FELICITAS. 

Nelle monete di Gallieno e di Carausio il Centauro, ora 
con un globo, ora con la clava, ora con l'uno e l'altra, figura 
come emblema delia Leg. II PARTHICA. In quelle di Carausio 
talvolta tiene uno scettro ed è pure emblema dì una Le- 
gione IIII, I.... (?). 

Nel medio evo vediamo una volta risorgere il Centauro, 
in atto di lanciare una freccia, nel ducatone di Carlo Ema- 
nuele I, duca di Savoia (1588) con la leggenda OPPORTVNE. 

CERBERO. 

Cerbero è il Cane infernale dalle tre teste, simbolo di 
Plutone. Poco ha a che fare Plutone colla numimastica ro- 
mana e scarse apparizioni vi fa anche il suo seguace. Non 
lo troviamo difatti che su di un medaglione di M. Aurelio 
(Gn., 72) nel quale seguirebbe (se pure è veramente Cerbero 
che si volle rappresentare) il bestiario che precede il carro 
fantastico di M. Aurelio e Faustina; poi, ai piedi di Plutone, 
in un aureo (Coh., 240) e in pochi bronzi (Coh., 352 e 387) 
di Caracalla o, trascinato da Ercole, che lo aveva vinto e 
incatenato, in un piccolo bronzo di Postumo (Coh., 122) ed 
in altro di Massimiano Erculeo (Coh., 259). 

CERVO. 

Il Cervo è simbolo della caccia; è quindi naturale che 
si trovi generalmente all'accompagnamento di Diana, e che 
gli si debba attribuire il medesimo significato anche quando 
lo troviamo solo. 

Diana è in biga di Cervi sui denari! di C. Allio Baia, 
90 a. C, e su quelli di L. Axio, 69 a. C, a meno- che in 
questi ultimi si tratti non precisamente di Cervi, ma di Axi, i 
quali del resto non ne sono che una varietà. Il Cervo stante 
da solo, oppure accanto a Diana (DIANA EPHESIA, FELIX, 
VICTRIX) compare replicatamente dal quinario di Anzio Re- 
stio 49 a. C. e dal denario di Ostilio Saserna 49-46 a. C, 
alle monete e medaglioni nei varii metalli di Augusto, 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 39 



Adriano, Antonino Pio, Faustina jun., Filippo Padre, Gallieno, 
Macriano, Postumo, Claudio II, Carausio. E qui giova no- 
tare come il Cervo figuri sempre quasi il compagno e l'amico 
di Diana piuttosto che l'agognata vittima. Forse era il ri- 
cordo o il rimorso per la sorella d'Apollo, d'aver tramutato 
in Cervo il timido Atteone, che la rendeva benevola verso 
quell'animale. 

Abbiamo però anche il Cervo assalito e addentato da 
un Leone in un denario di M. Durmio, 20 a. C, e il Cervo 
abbattuto da Ercole, in un antoniniano di Postumo HERCVLI 
ÀRCÀDIO e in parecchie monete di Massimiano Erculeo e di 
Diocleziano con la leggenda VIRTVS AVGG o VIRTVTI AVGG. 

Una Cerva fu la nutrice di Telefo, come la Lupa dei 
gemelli romani e, in tale sua funzione, la troviamo ripro- 
dotta in un bel medaglione di Antonino Pio (Gn., 92). 

Nel Medio evo abbiamo la Cerva col motto BIDER CRAF 
in un quattrino anonimo attribuito a Francesco II Gonzaga 
{Corpus, 25 e segg.), il Cervo accovacciato che tiene lo scudo, 
in parecchie monete di Casale coniate dai Paleoioghi mar- 
chesi di Monferrato, Guglielmo II (1494-1518), (Corpus, i a 
5, 25, 63 a 66), G. Giorgio (1530-33) (Corpus, 6-13) e da 
Carlo V {1533-36) (Corpus, 8-9); la Cerva corrente alla fon- 
tana in monete di Ferdinando Gonzaga (1623-26) [Corpus, 
25» 37 e segg.). 

CICALA. 

Appare su alcuni bronzi italici primitivi (Umbria) a pro- 
babile indicazione dell'estate e della maturanza delle messi. 

CICOGNA. 

Simbolo della Pietà, la Cicogna figura al dritto di un 
denario di Q. Metello Pio, 79 a. C, davanti alla testa della 
Pietà, e, accanto alla figura di questa, in aurei e denarii di 
M. Antonio dalla leggenda PIETAS. 

La troviamo ancora in Adriano colla rappresentazione 
d'Antiochia e in Gallieno quale emblena della Legione III 
ITALICA. 



40 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

CINGHIALE. 

Il Cinghiale è talvolta indicato semplicemente come fiera 
da caccia e combattente, ma il più delle volte allude al Cin- 
ghiale Erimanteo abbattuto da Ercole. É già impresso nei 
bronzi primitivi del Lazio e dell'Apulia, libero, stante o cor- 
rente; ci appare poi in un denario di M. Voltejo, 88 a. C, 
e in un piccolo bronzo anepigrafo di Trajano (Coh., 341), e 
in altro di Gallieno con la leggenda: HERCVLI CONS AV. 
Nel denario di M. Durmio, 20 a. C, è trafitto da un dardo, 
in quello di C. Osidio, 43 a. C, colpito da un dardo e as- 
salito da un mastino. In medaglioni di Adriano (Gn., 67 a 69) 
e di Marco Aurelio (Gn., 89 e 90), trafitto dalla lancia del- 
l'imperatore, che gli muove incontro a cavallo; mentre in 
un denario di L. Livinejo Regolo, 43-42 a. C, è accovac- 
ciato ferito, dopo il combattimento con un gladiatore. 

In un aureo di Probo HERCVLI HERIMANTHIO e in due 
di Massimiano Erculeo VIRTVTI AVGG, Ercole si porta sulle 
spalle le spoglie del vinto Cinghiale Erimanteo. 

11 Cinghiale è l'emblema della Leg. I ITALICA sotto 
Gallieno, della Leg. XX VALERIA VICTRIX sotto Vittorino, 
della Leg. XXV. V. sotto Carausio. 

CIVETTA. 

Della Civetta, simbolo di Minerva, rarissima è la rappre- 
sentazione durante la repubblica. Non ci appare che in un 
sesterzio di C. Anzio Restio, 49 a. C, poggiata su di uno 
scudo, e, accanto alla Concordia, in un aureo di Lepido 
(Grueber, voi. i, pag. 342). 

Più frequente ci appare durante l' impero, dapprima 
come Tipo in qualche P B di Nerone (Coh., 183), e di Trajano 
(Coh., 342), e in qualche altro piccolo bronzo anonimo dei 
tempi di Domiziano; oppure, insieme all'Aquila e al Pa- 
vone, su bronzi e medaglioni di Adriano (Gn., 50 e 64), e di 
Antonino Pio (Gn., 28, 127, 140 e 152), in rappresentazione 
simbolica delle tre maggiori divinità Giove, Giunone e Mi- 
nerva; poi in medaglioni d'Adriano (Gn., 130), su di una 
rupe, di M. Aurelio (Gn., 45-46), sull'ulivo, di Commodo (Gn., 
47), su di una colonna, sempre accanto a Minerva, oppure 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 



sullo scudo della dea, in un medaglione di M. Aurelio (Gn., 
67 a 105), e in aureo e bronzi di Geta (Coh., 108 a ni). 
Infine su di un piccolo bronzo del padre Licinio (Coh., 
142), in altro di Costantino Magno (Coh., 485-86), e in un 
aureo dello stesso (Coh., 453), sempre nel medesimo signi- 
ficato d'allusione a Minerva, espresso dalle parole SAPIENTIA 
PRINCIPIS o SAPIENTIA PRINCIPIS PROVIDENTISSIMI. 

Nei tempi più recenti la Civetta, come uccello della 
notte, non conservò che il significato della notte eterna e 
non la si vede più che sui monumenti fìjnerarii. 

COCCODRILLO. 

Il Coccodrillo nelle monete non ha che un significato 
geografico, essendo unicamente destinato a rappresentare 
l'Afi-ica e specialmente l' Egitto. Ci appare la prima volta 
sul bronzo di M. Canidio Crasso, 57, a. C, presumibil- 
mente coniato durante il suo soggiorno in Egitto, ove co- 
mandava le truppe di M. Antonio. In aurei e denari d'Au- 
gusto il Coccodrillo indica precisamente la conquista dell'E- 
gitto AE&YPTO CAPTA. 

E lo ritroviamo di nuovo in Adriano, accanto al Nilo 
NILVS ; in Antonino Pio, accanto ad Alessandria e in Cara- 
calla con Iside (Coh., 319), o coll'Africa (Coh., 334). 

COLEOTTERO. 

Non si trova che su di un'antica semi-oncia dell'Italia 
Centrale. 

COLOMBA. 

Come Tipo, la Colomba non fa che rare apparizioni 
sulle monete. La prima su un piccolo bronzo anonimo con 
S C probabilmente del tempo di Domiziano. La seconda su 
alcuni aurei di Faustina iuniore, ove è messa a rappresen- 
tare la Concordia. La Colomba è sola nel campo e la leg- 
genda dice: CONCORDIA. La Colomba è l'uccello favorito di 
Venere e la troviamo appunto al seguito di questa, in un 
medaglione della stessa Faustina juniore (Gn., 12, 40) e in 
altro di Commodo (Gn., 67), poi in un aureo di Crispina (Coh., 



4Ì i^K. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

38). Due colombe ornano la sedia curule della Cestia-Nor- 
bana (in ossequio a Venere?), due Colombe stanno sul fron- 
tone del tempio (di Venere?) in un medio bronzo di Elioga- 
balo (Gn., 6). 

E con questo si chiude la breve serie. 

La Colomba, più che nell'antica, appare nella monetazione 
medioevale. La troviamo nei grossi di Galeazzo Maria e 
Massimiliano Maria Sforza per Milano col motto A' BON 
DROIT; ma assai più abbondantemente ritorna con un signi- 
ficato mistico nelle diverse monete in cui è rappresentata 
l'Annunciazione, e più ancora in quelle papali delle sedi 
vacanti, ove è rappresentata in un'aureola di raggi, sempre a 
significazione dello spirito divino, che illumina la mente 
umana 

" Veni Creator Spiritus „. 

E rimase pure, pel medesimo periodo ed ancora rimane 
presentemente, quale simbolo di carità, nelle tessere degli 
ospedali o degli istituti di beneficenza. 

CONCHIGLIA BIVALVE. 

Il Pecten è impresso su parecchi bronzi primitivi pesanti 
del Lazio, della Campania e dell'Umbria, e talvolta un lato 
presenta la parte convessa e l'altro la parte concava. Evi- 
dentemente si riferisce al mare. 

Da quell'epoca remota la Conchiglia scompare durante 
tutta l'epoca romana e non la ritrovo che sullo scudo d'oro 
di G. Giacomo Trivulzio per Mesocco {Corpus, io). 

CONCHIGLIA ELICOIDALE. 

Nel triente d'Atri è rappresentata una testa femminile 
(divinità marina?) uscente da una conchiglia elicoidale. 

CONIGLIO. 

Il Coniglio è originario della Spagna e credo che a 
questa sua qualità unicamente debba l'onore d'essere stato 
scelto come emblema di quel paese. Al piccolo e timido 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 43 

rosicchiante, non sono riconosciute alte doti morali da noi 
moderni e difficilmente avrebbero potuto riconoscergliene 
anche gli antichi, per accordargli l'onore di rappresentare 
una nazione forte e vigorosa. Comunque sia, noi non pos- 
siamo che riconoscere quanto ci dichiara tutta una serie di 
monete d'Adriano. Qui giova notare che il Coniglio non è 
mai rappresentato né sulle antiche monete autonome della 
Spagna, né su quelle di Galba, che si riferiscono a quella 
Provincia, con le leggende: HISPANIA. HISPANIA CLVNIA o 
VLPIA, GALLIA-HISPANIA. 

Nessuna traccia infine è dato trovare di esso avanti l'e- 
poca d'Adriano. Dal che risulta che l'emblema non era molto 
antico, e che è precisamente ad Adriano che il ConigUo è 
debitore della sua celebrità numismastica. Possiamo anzi 
determinare la data di tale avvenimento. Il grande impera- 
tore, che vanta la serie più vasta di monete, fece tre con- 
secutive emissioni riguardanti le provincie dell'impero. La 
prima, commemorativa de' suoi viaggi, con le leggende 
ADVENTVI AFRICAE... HISPANIAE. ecc., ebbe luogo l'anno 135. 
La seconda, commemorativa dei miglioramenti introdotti 
nelle provincie, con le leggende RESTITVTORI AFRICAE .. 
HISPANIAE, ecc., avvenne il 136, e la terza, a memoria ed 
onore delle provincie stesse nell'anno 137, con le semplici 
indicazioni AFRICA-.. HISPANIA. ecc. 

Ora, nella prima di queste (Coh., 37, 42), il Coniglio non 
figura ancora, nella seconda (Coh., 821 a 842), appare in 
tutte le 22 varietà, senza eccezione e nella terza (Coh., 1258, 
1273), persiste nella maggior parte, quantunque qualche 
volta eccezionalmenie manchi. Da ciò risulta che l'emblema 
fu adottato da Adriano nell'anno 136. Il Coniglio si vede 
anche in un altro bronzo nello stesso Adriano (Coh., 1068), 
nel quale Minerva sta presso all'ulivo della Betica. C'è chi 
credette vederlo in un aureo di Gallieno (Coh., 833), accanto 
a Serapide; ma non se ne scorge il nesso ed è quindi per- 
messo dubitarne. Meglio a proposito lo ritroviamo, rappre- 
sentante la Spagna, nell'aureo rarissimo di Lehano, il quale, 
quanto pare fu l'unico seguace d'Adriano. 

Inutile dire che il Coniglio non ebbe miglior fortuna in 
seguito, nel medioevo e nell'epoca moderna. 



44 FR' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 



CORNACCHIA. 

È dubbio se la Cornacchia abbia diritto di figurare nella 
nostra serie. 

L'uccello che si vede, come simbolo, sui bronzi di L. 
Antistio Gragulo, si vorrebbe una Cornacchia da Eckhel, un 
Corvo dal Borghesi. Il primo spiega la sua interpretazione 
colla somiglianza del nome Gragulus con Graculus, il se- 
condo vorrebbe trovare la stessa allusione al nome di Gra- 
gulus nel gracchiare del corvo. Data la grande tendenza dei 
Triumviri monetarii per i giuochetti di parole o per i rebus, 
ambedue le spiegazioni potrebbero essere ammesse. Io pro- 
penderei però per la prima, come più analoga ad altre si- 
mih, e perciò ho accettata la Cornacchia, senza però esclu- 
dere che essa si potesse trovare nella contingenza di cedere 
il posto al Corvo, ritirandosi dalla serie. 

CORVO. 

La prima apparizione del Corvo, e anche la più chiara 
e più completa, come Tipo, è sul sestante campano, nel 
quale occupa tutto il campo della moneta, tenendo nel becco 
una foglia o un fiore. 

Durante la Repubblica, olire il posto che gli contesta 
la Cornacchia, non lo vediamo che sulla spalla di Giunione 
Sospita in tutti i denarii della Cornuficia, certamente in si- 
gnificato augurale, significato che si conferma in seguito, 
quando, col lituo e col prefericolo, ci appare nei denarii e 
quinarii di M. Emilio Lepido e Marc' Antonio (Coh., 2 a 6), poi 
su aurei o denarii di Vitellio (Coh., no a 116), e di Domi- 
ziano (Coh., 552), ove sta appoggiato sul tripode; in un P B 
di Domiziano (Coh.. 529), ove sta su di un ramo d'alloro 
sacro ad Apollo, e finalmente in un medaglione di M. Au- 
relio (Gn., 34) ove lo si vede sull'Albero d'alloro, presso il 
quale sta Apollo. Probabilmente si troverà in altri meda- 
glioni simili; ma non è sempre facile rintracciarlo, perchè 
si richiederebbe una conservazione perfetta... il che avviene 
assai di raro. 

Perchè presso i Romani il Corvo fosse uccello di buon 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 45 

augurio non so. Probabilmente non era a loro conoscenza 
la leggenda, per quanto antica, del Corvo lanciato dall'arca 
di Noè e non più ritornato! 

DELFINO. 

L'emblena di Nettuno è il simbolo della potenza marit- 
tima. Ha un numero infinito di rappresentazioni nella numi- 
smatica greca, dalla quale passò nella romana, incominciando 
dall'aes signatura italico, sul triente che porta al lato opposto 
il fulmine. Durante la Repubblica, lo troviamo in di un raro 
bronzo di M. Antonio al nome di Sosio, 39, 38 a. C, con 
un tridente, al rovescio della testa di Nettuno; mentre nel 
denario di M. Terenzio Varrone, 49 a. C, al rovescio della 
testa di Giove terminale, sta coll'Aquila e con uno scettro 
ad indicare la potenza di terra e di mare. 

Solitamente però il dolce Delfino è cavalcato da Cupido 
e tale ci appare nei numerosi denarii di L, Lucrezio Trione, 
74 a. C, e di M. Cordio Rufo, 49 a. C. Riappare poi, sem- 
pre col medesimo gentile cavaliere, in un rarissimo denario 
d'Augusto (Coh., 269) e più tardi in un medaglione di Fau- 
stina juniore (Gn., 6). Con Vitellio (Coh., no, 116), il Del- 
fino è collocato su di un tripode in compagnia del Corvo, 
con Tito (Coh., 320, 323), e con Domiziano (Coh., 551-52, 593), 
è solo, sopra o sotto il tripode, o attorciliato a un'ancora, 
e con questo finiscono le sue apparizioni come Tipo. 

Con Augusto, Agrippa, Caligola, Vespasiano, Adriano, 
M. Aurelio, Caracalla, Gallieno, Postumo, Carausio, Aure- 
liano, Diocleziano, Massimiano Erculeo e Costantino Magno 
il Delfino è il simbolo di Nettuno ; il quale, munito del Del- 
fino e del tridente, costituisce l'emblema della Legione XI 
CLAVDIA sotto Gallieno e della Leg. XXI VLPIA sotto 
Carausio. Nei diversi medaglioni di Gordiano Pio colla leg- 
genda TRAIECTVS e la trireme, alcune teste di Delfino si ve- 
dono sporgere dalle onde. 

DRAGO. 

Il Gigante anguipede, il Tritone, il Tifone, il Serpente 
a testa umana e il Drago, sono esseri immaginarli e fan- 



46 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

tastici, di forme non bene definite, che, nelle loro svariate rap- 
presentazioni, vengono quasi a confondersi in un comune si- 
gnificato, alludendo tutti a un nemico dell'umanità, a un es- 
sere fornito di enorme forza materiale; ma che alla fine deve 
cedere alla forza morale dell'uomo. Neil' imbarazzo di tante 
incerte denominazioni e forme variate, io non ho saputo far 
di meglio che dividere tali mostri in due gruppi, intitolan- 
doli Drago e Tritone. E la distinzione tra l'uno, e l'altro, 
più che nella forma, la vedo nel significato. Il primo accenna 
piuttosto a forza morale e riesce sempre soccombente, mentre 
il secondo, basato preferibilmente e, quasi esclusivamente, 
sulla forza fisica, talvolta esce anche vincitore della lotta. 

Fermandoci ora al primo, esso compare più tardi del 
secondo nella numismatica romana e non vi fa che una appa- 
rizione, sotto forma di Serpente a testa umana — a meno 
che questo non si voglia calcolare che come una derivazione 
del denario di G. Cesare, in cui l'Elefante schiaccia il Ser- 
pente — . Ciò avviene verso la metà del quinto secolo con 
Valentiniano III in Occidente e con Marciano in Oriente, nei 
loro soldi d'oro e continua poi in quelli dei successori, Pe- 
tronio Massimo, Maggioriano e Libio Severo. 

Nel rovescio di questi aurei, con la leggenda VICTORIA 
AV&G, è rappresentato l' imperatore munito della croce e 
del globo niceforo, in atto di calpestare un Serpente a testa 
umana. L' intenzione era certamente quella di rappresen- 
tare un forte e pericoloso nemico debellato. Ma quale ? 
L' insigne conservatore del Gabinetto di Parigi, sig. Ernesto 
Babelon, pubblicò a proposito di queste monete nella Revtte 
Numismatique del 1914, un articolo antico e moderno, nu- 
mismatico e politico, nel quale dimostra come il Drago sotto 
forma di Serpente a testa umana non abbia come altri simili 
mostri un significato vago ; ma invece alluda precisamente 
e ben chiaramente a una persona determinata, ossia a quel 
barbaro troppo celebre, a quel disastro, che dalle selvagge 
foreste nordiche era piombato sull' impero romano, a quel- 
1' " Attila flagellum Dei „ che finalmente, dopo tante stragi 
e tante rovine, era stato vinto e sgominato. 

La forza barbara aveva alle fine dovuto cedere agli 
avanzi della civiltà romana. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 47 

L'argomento si prestava a confronti di tempi e di con- 
pizioni politiche e morali, a ravvicinamenti palpitanti d'at- 
tualità e l'autore seppe scegliere il momento opportuno per 
la sua pubblicazione. 

Pure variando e mutando le forme esterne, in questo 
identico significato delle monete romane di Valentiniano e 
successori, il Drago attraversò i secoli e giunse fino a noi, 
talvolta come soggetto cavalleresco e guerriero ; ma più 
spesso, anzi quasi sempre, come concetto religioso. 

Si dipinge da secoli e si dipinge anche oggidì la Ver- 
gine Immacolata in atto di calpestare un mostro rappresen- 
tante il genio del male, e numerosissime sono le monete, nelle 
quali la Vergine o un Santo — e fra questi con predilezione 
San Giorgio, talora a piedi ma il più sovente a cavallo — 
trafigge con la lancia il Drago, ora in una, ora in altra delle 
sue svariate forme. Posso citare di volo le zecche di Genova, 
Ferrara, Mantova, Casale, Mesocco, Retegno e terminerò 
ricordando, come la più splendida riproduzione di tale con- 
cetto, quel piccolo capolavoro del nostro Pistrucci, che co- 
stituisce il rovescio della sterlina e d'altre monete dell'im- 
pero britannico. 

Nel medio evo il Drago servì a varii stemmi gentilizii 
in senso dirò fantastico e si possono citare ad esempio al- 
cune monete della zecca milanese, coniate da Giovanni e 
Lunchino e da Bernabò Visconti, che portano il Drago alato 
quasi in concorrenza alla Biscia. Naturalmente sia la Biscia 
come il Drago non erano che il risultato d'una leggenda ri- 
ferentesi alle imprese di qualche antenato della famiglia ; 
ma, anche assente il vincitore, la Biscia uccisa, o il Drago 
catturato, qualunque fosse la forma più o meno bizzarra che 
assumevano, rappresentavano sempre il genio del male sog- 
giogato da quello del bene, la forza bruta vinta dall'in- 
telligenza. 

Vedasi anche la voce Tritone, sotto la quale ho riuniti 
tutti gli altri mostri sopra nominati, che pure, potendo pre- 
starsi a qualche differenza di interpretazione, hanno sempre 
molta analogia con quello, cui si è riservato il nome di 
Drago. 



48 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 



ELEFANTE. 

L'Elefante entrò a far parte della Fauna nella numisma- 
tica romana quale animale di guerra ; vi rimase poi assai 
lungamente sia come tale, sia come animale di parata, rap- 
presentante della Maestà, della Munificenza e anche — per 
la sua longevità — dell'Eternità. 

Fece la sua prima comparsa in Italia colle truppe car- 
taginesi e i Romani ne fecero la conoscenza alla battaglia 
d'Ascoli, 279 a. C. Fu in memoria di questa vittoria che 
essi riprodussero l'Elefante in un pezzo quadrilatero fuso 
poco dopo quella battaglia. 

Nel medesimo significato la riprodussero i Metelli nei 
loro denarii, C. Cecilio Metello Caprario, nel 134 a. C, che 
vi rappresentò Giove in quadriga d'Elefanti, Q. Cecilio Me- 
tello Pio nel 79 a. C. e Q. Cecilio Metello Pio Scipione nel 
46-48 a. C, che vi riprodussero pure l'Elefante, sempre al- 
ludendo alla Vittoria di Panormo, riportata nel 251 a. C. dal 
loro antenato L. Cecilio Metello, sull'esercito Cartaginese, il 
quale aveva nuovamente portati gli elefanti alla battaglia. 
Siccome si pretendeva che la parola in lingua punica signi- 
ficasse Cesare, l'Elefante venne assunto come proprio em- 
blema dal Dittatore, che lo stampò in un comunissimo suo de- 
nario dalla leggenda CAESAR, rappresentandovi l' Elefante, 
che col piede schiaccia un Serpente ; col che dicono abbia 
voluto celebrare la vittoria su re Giuba. Potrebbe darsi, 
come si è accennato alla voce Drago, che questo denario di 
Giulio Cesare fosse stato il prototipo, da cui derivò, con 
medesimo significato, il soldo d'oro di Valentiniano III. 

Una imitazione in bronzo, barbara perchè coniata in 
Gallia, fece di questo denario il magistrato monetario A. 
Irzio, 58 a. C, legato e amico di Giulio Cesare. 

Dall'epoca d'Augusto, l' Elefante non abbandona com- 
pletamente il suo tipo guerriero, ma è preferibilmente adi- 
bito alle comparse gloriose nelle bighe e nelle quadrighe 
imperiali. Coi nomi dei Triumviri Aquillio Floro, L. Petronio 
Turpiliano e M. Durmio, Augusto conia tre denarii con la 
sua biga, tirata da elefanti. 



NEI TIPI MONETALI ROMAN! 49 

Come Tipo di guerra e di munificenza insieme troviamo 
r Elefante solo, o montato da un guardiano, libero, bardato 
e talora anche corazzato, nelle monete di Tito (Coh., 300-3), 
Domiziano (Coh., 590-1), Antonino Pio (Coh., 564-5), Commodo 
(Coh., 377-8), Severo (Coh., 348-52), Caracalla (Coh., 208-10, 
230 i), Eliogabalo (Coh., ii8j, Massimiano Erculeo (Coh., 13 
a 22), Galeno Massimiano (Coh., 9). 

Ma la Munificenza o, forse meglio, la Maestosità del mas- 
simo pachidermo, l'abbiamo nei carri trionfali portanti gli 
Augusti e le Auguste. 

La biga nelle monete d'Augusto (Coh., 229-30, 354, 427, 
479-81), Tito (Coh.h., 397), Giulia di Tito (Coh., 19), Nerva 
(Coh., 150), Marciana (Coh., 12-13), Faustina seniore (Coh., 
53, 201 a 204), Faustina juniore (Coh., 11). La quadriga, 
in quelle di Nerone ed Agrippina (Coh., 3 e 4), Vespasiano 
(Coh., 205), M. Aurelio (Coh., 95), Lucio Vero (Coh., 53-4), 
Pertinace (Gn., i) e fin qui sono tutte quadrighe destinate 
alla cerimonia solennissima della Consacrazione, accompa- 
gnate quindi dalle leggende: CONSECRATIO, AETERNITAS 
o AETERNITATI oppure EX SENATVS CONSVLTO- 

Pochissime sono le quadrighe d'Elefanti adibite ad altre 
circostanze. Un medaglione d'oro di Diocleziano e Massimiano 
coi semplici loro nomi (Gn. i e 2), un bronzo di Massenzio FEL 
PROCESS CONS ili AVG N (Coh., 59) e un altro medaglione d'oro 
di Costanzo II (Gn., i) con AETERNA GLORIA SENAT P Q R. 

Le più alte e onorifiche mansioni affidate all'Elefante non 
lo esonerarono dal presentarsi talvolta come semplice fiera 
da circo. Tale ce lo mostra l'anfiteatro di Gordiano, com- 
battente con un Toro e, sotto il medesimo aspetto, lo si può 
considerare nelle monete secolari dei Filippi. 

Geograficamente 1' Elefante fornì l'emblema alla Perso- 
nificazione dell'Africa, la quale si orna delle sue spoglie, allo 
stesso modo che Commodo, Gallieno, Probo, Massimiano si 
ornano di quelle del Leone. 

L'Africa è sempre così figurata nel denario della Cor- 
nuficia e nell'aureo della Cestia Norbana e, con tale orna- 
mentazione, attraversa poi tutto l'impero. 

Qualche reminiscenza dell' Elefante evocò anche il medio 

7 



50 FR. GNECCHl — LA FAUNA E LA FLORA 

evo. La prima volta lo troviamo sulla moneta di Federico II 
d'Aragona (1296-1337) per Catania. 

Emanuele Filiberto di Savoia pose l'Elefante in mezzo 
a un branco di pecore in una sua mezza lira del 1562 con 
la leggenda INFESTVS INFESTIS {Corpus, 103) e Vincenzo II 
Gonzaga, duca di Mantova nel 1627 lo pose in senso guer- 
riero in un doppio grosso col motto : ACCENSVS SANOVINE 
IN MOSTI S {Corpus, 31). 

FARFALLA. 

Due sole sono le apparizioni della Farfalla e noi dob- 
biamo limitarci a constatarle, senza poterne afferrare, né una 
volta né l'altra, il significato. 

Essa appare la prima volta nella serie di quelle monete 
repubblicane anonime che portano parecchi simboli, i quali 
con ogni verosimiglianza, dovevano avere un significato ; 
ma che a noi non è dato scoprire, appunto perché quelle 
monete erano anonime. 

La seconda avviene nell'aureo della Durmia, al rovescio 
della testa d'Augusto, ove é raffigurato un Granchio marino 
che tiene fra le sue branche una Farfalla. Che cosa si é vo- 
luto esprimere ? L'agilità e la lentezza ? La debolezza e la 
forza ? La leggerezza e la solidità ? Non seppe penetrare 
il mistero neppure l'acuto ingegno di Heckhel, il quale, 
dopo aver detto che alcuni antiquari! vorrebbero vedere 
in questo simbolo , come in quello d' altra moneta dello 
stesso Augusto con l'Erma sovrapposta al fulmine, la spie- 
gazione del detto famigliare al grande imperatore : " Fe- 
stina lente, dux enini providus praestai temerario „ ag- 
giunge, non senza una punta d' ironia : " Quorum sententia, 
qui voi et, subscribat „. 

E io francamente sarei tentato di sottoscrivere, non solo 
per non avere alcunché di meglio da proporre ; ma perchè 
mi pare che questi contrasti d'idee sono affatto consoni al 
nostro spirito latino. Non solo ne abbiamo parecchi esempii 
antichi, ma, in tutta la numismatica e nell'araldica del medio 
evo, sono numerosissimi i motti e le imprese che si basano 
sul contrasto e sull'antitesi. Il bisticcio di Durmio non vi 
stuonerebbe punto. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 51 

FENICE. 

È certamente molto antica la favola relativa alla Fe- 
nice, perchè questa si vede rappresentata sull'obelisco di 
Ramsete, il quale regnava 1600 anni avanti l'era volgare. 

Uccello mistico, immaginario, la Fenice si vuole prove- 
niente dall'Egitto, oppure dalla città del Sole, vale a dire 
dall'Oriente. Talora è rappresentata somigliante ad un'Aquila; 
più sovente smilza e arieggiante piuttosto l'Ibis o la Cicogna, 
con un ciuffo. Il suo capo è solitamente circondato da una 
aureola radiata. Alcuni anzi dicono che la testa della Fenice 
spicca sul disco del Sole. Generalmente poggia su di un 
globo, oppure su di un monticello o mucchio di pietre. 

Individuo unico della sua specie, la Fenice aveva una 
vita lunghissima e, quando si sentiva prossima alla fine, si 
fabbricava essa stessa il rogo, vi si inceneriva, per risorgere 
poi dalle proprie ceneri. 

" Post fata, resurgo „. 

Tali rinascite avvenivano a cicli, diversamente determi- 
nati, secondo le diverse leggende, ma della durata di pa- 
recchi secoli ciascuno, in istretta relazione col movimento 
dei pianeti e, in modo particolare, del pianeta Mercurio. 

La sua longevità e, più ancora, la sua strana facoltà di 
risurrezione fecero della Fenice, 1' * Avis aeterna „ il sim- 
bolo dell' Eternità, della Rinnovazione, del Miglioramento. 

Difatti sulle monete è generalmente accompagnata dalla 
leggenda AETERNITAS- 

Per quanto antica, la Fenice è sconosciuta nella numi- 
smatica repubblicana e la sua prima apparizione quale Tipo, 
occupante tutto il rovescio della moneta, avviene in un bel- 
l'aureo di Trajano (Coh., 658-659) ove poggia su di un ramo 
d'ulivo. 

In altro bellissimo aureo d'Adriano (SAEC AVR) sta su 
di un globo retto dall' imperatore. In monete e medaglioni 
delle due Faustine (Gn., i e i) il globo colla Fenice sta nelle 
mani della stessa Eternità. E con poche varianti e, sempre 
col medesimo significato, abbiamo ancora la Fenice in Tre- 
boniano Gallo, Emiliano, Carino, Massimiano Erculeo, Co- 
stantino Magno, Costante I, Costanzo II, Graziano e Teodosio. 



52 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Nel medio evo è rievocata qualche volta la Fenice e 
nel significato antico di risurrezione e di rinnovazione la tro- 
viamo, al momento più splendido della zecca milanese, nel 
testone di Bona di Savoia per Milano con la nota leggenda 
SOLA FACTA SOLVIVI DEVM SEQVOR. Nel significato d'eter- 
nità nel mezzo tallero del 1663 di Annibale degli Ippolili, 
marchese di Gazzoldo, con la leggenda HINC VITA PERENNIS 
{Corpus, 4). 

Per noi moderni si può dire che l'antico alto e buon si- 
gnificato della Fenice, pace e felicità eterna, è scomparso 
completamente. La parola non resta presso di noi che come 
indicazione di persona o di cosa tanto sublime e tanto per- 
fetta, che è impossibile ritrovare. 

" L'Araba Fenice 
" Che vi sia ciascun lo dice, 
* Dove sia nessun lo sa „. 

GABBIANO. 

Linneo diede il nome di Buteo vulgaris a quell'uccello 
di rapina che noi chiamiamo volgarmente Nibbio o Pojana. 
Ora il naturalista, che osserva il volatile rappresentato nelle 
monete della gente Fabia, non vi riscontra nessun carattere 
dell'uccello di rapina. Per quanto microscopiche siano certe 
rappresentazioni sulle monete, l'incisore romano sapeva im- 
primervi il giusto carattere, cosicché l'osservatore discerne 
a prima vista, senza esitazione, se si è voluto fare un corvo, 
una civetta o una colomba. Qui vediamo un volatile agile 
dalle gambe lunghe, dal collo allungato, che può avere qual- 
che analogia con la cicogna, ma nessuna con un uccello di 
rapina. Dobbiamo quindi abbandonare Linneo e appoggiarci 
a una autorità più antica, più autentica e più sicura, a quella 
di Plinio, il quale afferma che il nome di Buteo era dato a 
un uccello acquatico. Senza precisarne la varietà, che ve ne 
sono molte in questa specie, per dimensione e per colore, 
dal bianco al cinerognolo e al nero, senza dire cioè se 
sia veramente un Gabbiano, piuttosto che un alcione o un 
airone, possiamo affermare che è ad uno di tali uccelli acqua- 
tici, che corrisponde l'incisione della moneta, la quale Io rap- 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 53 

presenta in atto di spiccare il volo, davanti alla biga della 
Vittoria, nei denarii e, davanti alla prora, nei bronzi di C. 
Fabio Buteo, 89 a. C. 

Plinio racconta che uno di tali uccelli era venuto una 
volta, a posarsi come segno di buon augurio, su di una nave 
comandata da un Fabio e che da allora la gens Fabia aveva 
assunto quel volatile come stemma di famiglia. Accettiamo 
tale leggenda, simile a molte altre. 

GALLO. 

Il Gallo, simbolo di solerzia, di vigilanza, d' industria e 
anche di combattività era sacro ad Apollo " Apollini sacra 
avis „, a Mercurio, a Luni e a Marte. 

La sua rappresentazione è estremamente limitata nella 
monetazione romana. 

Appare la prima volta nel sestante d'Atri, della serie 
italica primitiva, poi sul quadrante di L. Marcio Filippo, 
112 a. C. 

E, durante l' impero, fatta eccezione d'un piccolo bronzo 
o tessera anonima dell'alto impero (Coh., 25), in cui è dato 
come Tipo, non Io troviamo che. talora a terra, talora su 
di una colonna, in medaglioni di Adriano (Gn,, 16 a 23) e 
di M. Aurelio (Gn., 47) e neppure possiamo assicurare che 
in quelli d'Adriano si tratti veramente di un Gallo. 

GAZZELLA. 

Fra le molte varietà di ruminanti che stanno fra il Cervo 
e il Capro, ben difficile riesce determinare quale specie ab- 
biano inteso rappresentare gli artisti incisori con l'animale 
che ora ha l'aspetto di gazzella, ora di daino, di capretto, 
di cervo giovane, di camoscio, di antilope o simile. 

I cataloghi lo indicano in diversi modi, a seconda del- 
l'impressione momentanea del compilatore ; perciò ho cre- 
duto bene riunire tutte queste varietà sotto il nome di Gaz- 
zella, che si deve intendere in senso lato. Del resto non è 
figura molto importante nella nostra serie. 

II grazioso quadrupede appare per la prima volta nel 
quadrante di Licinio Nerva, no a. C, senza che ne possiamo 
penetrare il significato. 



54 FR' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Un secondo, che dalle lunghe corna si potrebbe anche 
classificare uno stambecco, è sul denario di C. Plauzio, 54 
a. C. Alcuni lo vorrebbero un Capretto, simboleggiante 
r isola di Creta. 

Meglio ci spieghiamo i bronzi di Antonino Pio, Salonina, 
Vittorino, Tetrico padre, ove l'animale, stando in diversi at- 
teggiamenti, o solo, o con Diana, qualunque sia veramente la 
sua specie, non fa che sostituire il Cervo, indicando la caccia. 

Sulle monete millenarie di Filippo padre e di Otacilla 
ha il significato di bestia da circo. 

GIOVENCA. 

Manca alla serie repubblicana e non appare che sotto 
Augusto in oro e in argento, in monete di eccezionale bel- 
lezza di stile. Queste monete furono riprodotte da Vespa- 
siano e nel suo V e VII Consolato e da Tito nel suo V, 
ossia negli anni 74 e 76, durante quell'emissione commemo- 
rativa, che abbiamo accennato alla voce Capricorno. 

Né nella moneta tipica d'Augusto, ne nelle successive 
imitazioni di Vespasiano e Tito, v'ha alcuna leggenda che 
si riferisca all'animale rappresentato ; ma non credo di er- 
rare, interpretandolo come simbolo di fertilità. 

Difatti ritroviamo la Giovenca in parecchi denarii di Ca- 
rausio, non più sola come nel tipo originario ; ma munta da 
una pastorella, con la leggenda VBERITAS (Coh., 364 a 
366, 371). 

GIRAFFA. 

In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 72) è rappresen- 
tato il carro simbolico degli sposi M. Aurelio e Faustina, 
tirato da due Pantere, preceduto da una suonatrice di tim- 
pani e da un bestiario. Nello sfondo, sovrasta ad altre figure 
la testa di una Giraffa. 

È questa 1* unica sua apparizione nelle monete romane. 
Potrebbe darsi che a quell'epoca la Giraffa avesse fatto il 
suo primo ingresso in Roma e, nell'occasione delle nozze 
imperiali, la prima sua comparsa in pubblico. 



NEI TIPI MONETALI ROMANE 55 



GRANCHIO. 

Il Granchio, tanto comune in parecchie serie di monete 
greche, specialmente in quelle d'Agrigento, per indicare il 
mare e la potenza marittima, non compare che due volte nelle 
romane. La prima è chiara su di un denaro di M. Servilio e 
C. Cassio Longino, 43-42 a. C, ove sta a ricordo della Vit- 
toria di Cassio sui Rodiani, avvenuta in vista dell' isola di 
Cos, la quale aveva il Granchio come suo emblema. Difatti 
esso tiene un acrostolio in segno di Vittoria. 

Assai meno chiara è la seconda sull'aureo di M. Durmio, 
20 a. C, in cui lo vediamo nella misteriosa compagnia della 
Farfalla. Nulla conosciamo della vita di Durmio né sappiamo 
se abbia riportato vittorie navali. Ma questo, in ogni modo, 
non scioglierebbe l'enigma, di cui s'è parlato alla voce Far- 
falla. 

GRIFONE. 

Un Leone alato con testa d'Aquila ornata da una cresta, 
costituisce il Grifone, animale mitologico sacro ad Apollo. 
Diversi paesi, l'India, l'Assiria, la Persia, la Scizia, l'Etiopia, 
e fors'anche qualche altro, se ne contendono l'origine. 

La sua testa forma il rovescio dell'asse del Lazio, che 
porta al diritto la testa giovanile d'Ercole. La sua completa 
figura fa nel denario di L. Papié, 79 a. C, una apparizione 
unica, compensata però dal numero stragrande di varietà, 
formate dai piccoli simboli — o meglio sigiUi, come li chiama 
Eckhel — che ne differenziano i numerosi esemplari. 

In una tessera o piccolo bronzo, probabilmente dell'epoca 
di Domiziano (Coh., 38), un Grifone accovacciato tiene una 
zampa su di una ruota. Adriano ha qualche medio bronzo 
(Coh., 433-5) col Grifone corrente. In un medaglione d'An- 
tonino Pio (Gn., 68) il Grifone sta accanto ad Apollo. 

Alcune monete di Gallieno (Coh., 75 a 80 e 95) e di 
Carausio (Coh., 16 a 21) hanno il Grifone corrente con la 
leggenda APOLLINI CONSERVATORI AVO-. 

Il Grifone non è di indole perversa. Avido dell'oro era 
preposto nei templi alla guardia dei tesori, insidiati da gi- 



5^ FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

ganti e da mostri maligni. Forse in tale qualità simboleggia 
la lotta fra i credenti e gli infedeli, e forse la sua figura 
orna talvolta i troni, quasi a custodia della fede e dei tesori. 
Lo vediamo difatti in un bronzo imperatorio di M. Au- 
relio (Gn., 105) ornare il seggio di Minerva. E lo vediamo 
pure, quale ornamento del seggio della Salute, in parecchi 
medaglioni e bronzi di M. Aurelio, Faustina juniore. Com- 
modo e Geta, dalla leggenda SALVS. Talvolta serve pure di 
ornamento alle tavole lusorie, in piccoli bronzi di Nerone 
(Coh., 47 e segg.) e di Trajano (Coh., 349). 

IBIS. 

L'uccello sacro dell'Egitto non compare che sulle mo- 
nete d'Adriano dalla leggenda AEG-YPTOS e su alcune di 
Antonino Pio dalla leggenda ALEXANDRIA. 

Sotto Gallieno è emblema della Legione III ITALICA. 

IDRA. 

Il mostro dalle sette teste, prodotto dai serpenti della 
palude Lernea, non appare che, vinto da Ercole in un 
antoniniano di Postumo con la leggenda HERCVLI ARG-IVO e 
su alcune monete di Massimiano Erculeo e di Diocleziano con 
le leggende HERCVLI INVICTO, IMMORTALI. CONSERVATORI, 
DEBELLATORI, VIRTVS o VIRTVTI AVGG. 

IPPOCAMPO. 

L' Ippocampo o Cavallo marino, che ha la parte ante- 
riore del cavallo e termina in pesce, figura nelle monete 
che si riferiscono a cose di mare. Lo troviamo così nei de- 
narii di Crepereio Roco, 64-56 a. C, traente la biga di Net- 
tuno e la quadriga di M. Antonio e Ottavia nei bronzi dei 
comandanti della flotta, Oppio Capitone, L. Sempronio Atra- 
tino e L. Bibulo. 

Da quest'epoca dobbiamo saltare a Gallieno e a Tetrico 
padre, sotto ciascuno dei quali l'Ippocampo è rappresentato 
in un piccolo bronzo con la leggenda NEPTVNO CONS AVO-. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 57 



IPPOPOTAMO. 

Quale rappresentante dell'Africa o dell'Egitto, e spe- 
cialmente del Nilo, appare col Coccodrillo in parecchie mo- 
nete d'Adriano (Coh., 982 a 1002), rappresentanti appunto 
questo fiume. E con simile significato ci appare poi su qual- 
che piccolo bronzo di Giuliano II ed Elena (Coh., 107) e di 
Elena (Coh., 18) col carro d'Iside tirato da due Ippopotami. 

Quale bestia da circo, ci appare nelle monete dei Fi- 
lippi e di Otacilla, dedicate alle feste secolari. 

LEONE. 

La maestà, la robustezza, la magnanimità, acquistarono 
al Leone il titolo di re degli animali e lo fecero simbolo di 
gagliardia, di potenza e d'impero, eguagliandolo così al prin- 
cipe dei volatili. All'Aquila il regno dell'aria, al Leone quello 
della terra. 

È in questo significato che il Leone occupa il suo gran 
posto nella numismatica romana, sia che esso venga rappre- 
sentato nella sua calma maestosa, in cui esprime con dolcezza 
l'indomita volontà di dominio " mitem animum sub pectore 
forti „, sia che venga rappresentato nello stato di lotta, il 
cui degno avversario e unico vincitore è il più forte dei 
semidei. 

La sua testa di fronte, con una spada nelle fauci appare 
già in un asse primitivo del Lazio, e la sua figura intera, 
nel medesimo atteggiamento, nella dramma della Campania. 
Ma scarse sono le sue rappresentazioni nel periodo repub- 
blicano. 

Ci appare per la prima volta combattente con Ercole 
nel denario di C. Poblicio, 179 a. C, aggiogato alla biga 
di Cibele in quello di M. Voltejo, 88 a. C. e nell'aureo di 
Cestio e Norbano, 43-44 a. C. 

Due teste di Leone ornano la base del monumento a 
L. Minucio nel denario di C Minucio Augurino, 129 a. C. 

Una testa leonina forma ornamento alla capigliatura della 
stessa Cibele nel denario di M. Pletorio Cestiano, 69 a. C. 

E V intera figura troviamo sul quinario di M. Antonio e 

8 



58 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Fulvia (Coh., 32) nel quale pare che il triumviro ponesse 
il Leone a ricordare che, imitatore di Cibele, egli ne aveva 
domati e attaccati al proprio carro. 

Quale simbolo di famiglia che ci rimane oscuro, lo tro- 
viamo in un semis di C. Servilio, 123 a. C, e, combattente 
nel circo, nel denario di Livinejo Regolo, 43-42 a. C. 

Assai più numerose sono le apparizioni del Leone du- 
rante l'impero, in tutti gli atteggiamenti indicati e in nuovi. 

Il Leone è la cavalcatura di Cibele, e di questo tipo 
abbiamo la migliore riproduzione in un medaglione di bel- 
lissimo stile di Faustina seniore (Gn,, 11) col Leone che gra- 
vemente passeggia, e in altro di Sabina (Gn., i) col Leone in 
corsa, tipo che venne ripetuto dalla stessa Faustina (Gn., io) 
e più tardi in parecchie monete dei Severi dalla leggenda 
INDVLGENTIA IN CART. 

Il maestoso carro della dea è tirato da una pariglia di 
Leoni in un bronzo di Faustina seniore (Coh., 55), da una 
quadriglia in monete d'ogni metallo di Giulia Domna (Coh., 
116 a 119) e in medaglioni di bronzo d'Adriano (Gn., 5) e di 
Antonino Pio (Gn., 81). Quest'ultimo ne è la più splendida 
riproduzione. 

Quando la Gran Madre è assisa in trono, due Leoni le 
siedono maestosamente ai lati. Così nel medaglione di Fau- 
stina seniore (Gn., 8) e in parecchie monete delle due Faustine, 
di Giulia Domna e di Giulia Soemiade, dalle leggende MÀTRI 
MAGNAE, MAIRI AVGG, MAIRI DEVM, MAIRI DEVM SALVIARI. 

Il Leone in quiete è rappresentato in altro medaglione 
d'Antonino Pio con la leggenda MVNIFICENIIA (Gn., 31) op- 
pure accanto alla personificazione della Munificenza in altro 
bronzo dello stesso imperatore (Coh., 563) e in un aureo di 
Costantino Magno con la leggenda VIRIVS AVG-YSII (C, 679). 

In un bel bronzo di Domiziano (Coh., 517) il Leone tiene 
una spada nelle fauci. 

Caracalla, intendendo accentuare l'espressione del potere 
e della forza del Leone, gli pone un'aureola di raggi intorno 
al capo e un fulmine nelle fauci (Coh., 335, 366 a 371, 401 
a 404) e in tale atteggiamento lo riproducono più tardi Probo 
(Coh., 452, 455 a 458), Massimiano Erculeo (Coh., 469 a 471) 
e Carausio (Coh., 390). 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 59 

Commodo si atteggia ad Ercole Romano, e, quale nota 
caratteristica, nelle monete che portano le leggende HERCVLI 
ROMANO, HERCVLI COMMODIANO AV&, orna la sua effigie 
delle spoglie del Leone Neraeo. L'esempio è seguito da Set- 
timio Severo, Gallieno, Probo, Massimiano Erculeo e Diocle- 
ziano, quando vogliono accennare la loro parentela o somi- 
glianza col semidio. 

Infatti pare che, fra le fatiche d'Ercole, l'abbattimento 
del Leone Nemeo. — V. Postumo HERCVLI NEMAEO, Carausio 
Diocleziano, Massimiano Erculeo VIRTVS o VIRTVTI AVGG — 
sia stato il piìi apprezzato nell'antichità, anche dallo stesso vin- 
citore, perchè di quelle spoglie fece il suo più ambito trofeo, 
e la pelle del Leone Nemeo, avvolta alla clava, o portata sul 
braccio, o appesa a un albero vicino, divenne il suo simbolo 
più abituale. Si può anzi dire che Ercole, nelle sue numero- 
sissime raffigurazioni, non sia mai sprovvisto di questo em- 
blema ; e così avviene che, ad ogni apparizione sua, abbia 
sempre un riflesso anche il Leone, del quale portano così 
stampata un' impronta molti imperatori, che non hanno diret- 
tamente il Leone nelle loro monete. 

Le spoglie del Leone sono date come Tipo nel denario 
di C. Coponio e Q. Sicinio, 49 a. C. 

La caccia al Leone ci viene presentata da medaglioni 
d'Adriano (Gn., 95 a 97) e di Commodo (Gn., 152) coli' im- 
peratore a cavallo, in atto di trafìggerlo con una lancia. 

In un solo denario di M. Durmio ci è offerta la lotta 
del Leone col Cervo, mentre quella del Leone col Toro ci 
viene accennata in parecchie monete dal secondo al terzo 
secolo, nelle quali, presso al Leone, allo stato di tranquilla 
soddisfazione o ancora nelle sue grinfe, sta il teschio di un 
Toro divorato, quale testimonio dell'ottenuta vittoria (v. Toro). 

Geograficamente il Leone è qualche volta rappresentato 
quale emblema dell'Africa, accanto alla quale sta accovac- 
ciato. Med. di Commodo (Gn., 5 e 6) e monete della Te- 
trarchia con la leggenda F ADVENTVS AVGO N N. 

La testa del Leone orna molte volte nei bassi tempi i 
bracciuoli del trono imperiale. 

In un raro denario d'Augusto il Leone corrente è se- 
gnato come emblema della Leg. XVI. Nelle monete di Gal- 



6o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

lieno il Leone è emblema della Coorte Pretoriana e della 
Leg. mi FLAVIA, VII CLAVDIA, Villi AVGVSTA ; in quelle 
di Vittorino della Leg. Vili GEMINA ; in quelle di Carausio 
della Leg. III.... e della Leg. IV FLAVIA. 

Il Leone non esaurisce la sua carriera con la numisma- 
tica romana ; ma la prosegue in tutta la numismatica me- 
dioevale italiana, giungendo fino alla moderna. Troppo a 
lungo ci condurrebbe il citarne qui la serie completa, pas- 
sando per le zecche di Savoia, di Roma, di Bologna, di Fer- 
rara, di Modena, di Ancona ed altre molte. 

Il Leone rampante, frequentissimo, che orna lo stemma 
principesco, o i due Leoni che lo fiancheggiano o lo reggono 
non hanno che significato araldico. Ma talvolta il Leone ap- 
pare anche come Tipo e, per citare solo alcuni esempii, 
noterò le molte monete del Senato romano (i 188-1252), 
il grosso di Carlo d'Angiò (1262-65), '^ giulio di Leone X 
(1603-21) ; ma sopratutto va menzionato il Leone alato di 
S. Marco, il quale si mantenne glorioso un millennio nelle 
monete d'ogni metallo della Serenissima, e non diede 1' ul- 
timo ruggito che or fa poco più di mezzo secolo, nella mo- 
netazione del Governo Provvisorio di Venezia nel 1848. 

LEPRE. 

Il Lepre non ha che una piccolissima parte nella mone- 
tazione romana, non vi è mai rappresentato quale Tipo, come 
avviene nella greca, ma solo quale simbolo dell' Inverno, 
nelle monete e nei medaglioni, in cui, con le leggende FE- 
LICIA TEMPORA, TEMPORVM o SAECVLI FELICITAS vengono 
figurati quattro bambini rappresentanti le quattro Stagioni. 
Il graziosissimo tipo, introdotto da Adriano (Gn., 91), è fra 
quelli che ebbero maggior numero di riproduzioni, dal mo- 
dulo massimo al minimo in bronzo, e anche in oro, ai tempi 
costantiniani. Il tipo venne dapprima riprodotto da M. Au- 
relio pel medaglione d'Annio Vero e Commodo fanciulli 
(Gn., i), da Antonino Pio (Gn., 137), Faustina juniore (Gn., 28), 
Commodo (Gn., 135 a 138; Coh., 727 a 730), Treboniano Gallo 
(Gn., 5), Probo (Gn., 37 e 86-7), Caro e Carino (Gn., 1), 
Carausio (Coh., 352), Licinio figlio (Gn., i). 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 6l 

Anche nei grandi medaglioni è molto difficile assicurarsi 
se quel minuscolo animaletto sia un Lepre oppure un Coni- 
glio, quale viene generalmente descritto. Ma, osservando gli 
esemplari più nitidi e freschi, parrai si possa asserire con 
certezza che veramente si tratta di un Lepre, interpretazione 
che è anche la più razionale, come consigliata dal fatto, che 
il Lepre indica una caccia invernale, mentre non si saprebbe 
quale significato attribuire al Coniglio nella figurazione del- 
l'inverno. 

LUPA. 

La Lupa, con o senza i Gemelli, — il significato è sem- 
pre eguale — è forse il Tipo più caratteristico nella numi- 
smatica romana. Non la troviamo naturalmente nelle monete 
primitive, perchè la leggenda di Romolo e Remo era troppo 
fresca ; o, meglio, non era ancora formata. Ci vollero quattro 
secoli per maturarla e la Lupa non appare che nella serie 
delle monete campane. 

In quelle di Roma la troviamo la prima volta nei de- 
narii di Sesto Pompeo Faustulo, 129 a. C, ove è rappresen- 
tata la scena tradizionale dei Gemelli allattati dalla Lupa, al- 
l'ombra del fico ruminale e alla presenza del pastore Faustolo. 

Durante la repubblica però non sono numerose le ripro- 
duzioni della Lupa. Essa ci appare sola in un denario di 
P. Satrieno, 74 a. C, coi Gemelli, in un asse di P. Terenzio, 
mentre in un denario di L. Papio Celso, 45 a. C, prende 
parte a una scena affatto nuova. Essa apporta un pezzo di 
legno su un braciere acceso ; mentre l'Aquila, che gli sta di 
fronte, soffia colle ali nel fuoco. La curiosa scena non venne 
più ripetuta. 

Durante l' impero, più frequente è la sua apparizione, 
sia come Tipo, sia come simbolo, accanto a Roma, e la tro- 
viamo in medaglioni e monete di Nerone, Vespasiano, Tito, 
Domiziano, Trajano, M. Aurelio, Faustina juniore, Filippo 
padre, Gallieno, Salonino, Quintillo, Floriano, Probo, Massi- 
miano Erculeo, Carausio, Massenzio, Costantino Magno, Giu- 
liano II. Quando figura come Tipo ha spesso le leggende : 
S. C , SALVS VRBIS. AETERNITAS AVG-, ORIGINI AVG, RO- 
MANOR RENOVA(//o), TEMPORVM FELICITAS AVG N. 



62 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

La serie più abbondante è quella in bronzo (grandi bronzi 
o medaglioni e piccoli bronzi) eseguita da Costantino Magno. 
Questi pezzi, portanti al diritto il busto galeato di Roma 
colla dicitura VRBS ROMA e, al rovescio anepigrafo la Lupa 
coi Gemelli e, sopra di essa, le due stelle dei Dioscuri, fu- 
rono coniati in tutte le zecche dell'impero. 

Costanzo II e Costante fecero una riconiazione dei pic- 
coli bronzi di Costantino con la Lupa. 

La Lupa nelle monete di Gallieno è l'emblema della 
Leg. II ITALICA. 

La Lupa permane e permarrà per molto tempo ancora 
il simbolo di Roma, per quanto più usata nei monumenti 
che nella numismatica. Anche in questa però lasciò qual- 
che traccia durante il medio evo e la troviamo nel grosso 
di papa Adriano VI (1522-23), poi su molte quadruple di 
Ottavio Farnese (1556-86), Rannuccio I Farnese (1592-1622) 
ed Odoardo Farnese (1622-1646), per Piacenza. 

MINOTAURO. 

In tutte le combinazioni mostruose dell'uomo con un 
altro animale, all'homo sapiens s'ebbe sempre il riguardo 
di riservare la parte anteriore o la più nobile; ma vi fa ec- 
cezione il caso del Minotauro il quale, su di un corpo umano, 
porta una testa taurina. 

Il tristo prodotto della compagna di Minosse e d'un toro, 
nell'isola di Creta, simbolo di malvagità e di menzogna, non 
deturpa che una volta la numismatica romana in un anto- 
niniano di Caracalla (Coh., 297), ove lo si vede inginocchiato 
davanti a Plutone. 

MULA - MULO. 

E necessario avvertire che ben differenti erano, presso 
il popolo romano, le attribuzioni del Mulo in generale e della 
Mula, come le vedremo riflesse nelle monete. 

L' ibrida progenie del somaro e della giumenta è assai 
utile nell* economia domestica per la sua forza , la sua 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 63 



sobrietà e la sua facile accontentatura. Perciò in tutti i 
tempi venne adibito a sostituire vantaggiosamente, quale 
bestia da tiro o da soma, il Cavallo, al quale rimase sempre 
inferiore per nobiltà di forme, per carattere e per facilità di 
addestramento. 

È in questo senso generico di razza, che probabilmente 
vediamo il Mulo come simbolo in alcune monete anonime 
della Repubblica; a meno che anche qui si tratti di qualche 
leggenda o di qualche analogia di nome a noi sconosciuta, 
con un magistrato monetario. 

Ne! medesimo significato di bestia da tiro, dobbiamo in- 
terpretare i due MuH pascenti, e la carriola col timone al 
vento nello sfondo, che vediamo nell' interessante sesterzio 
di Nerva (Coh., 143-4) con la leggenda VEHICVLATIONE ITA- 
LIAE REMISSA- Ciò vuol significare che, essendo slata dalla 
magnanimità dell'imperatore abolita un'imposta, che gravava 
su tutte le città d'Italia pei trasporti, i muli o i cavalli po- 
tevano godere un poco di riposo e pascolare tranquillamente. 

Fin qui nulla che non riesca perfettamente chiaro. Riesce 
invece più difficilmente spiegabile, perché la Mula — la fem- 
mina — sia stata assunta a compiere funzioni elevate ed 
onorifiche, in competizione col Cavallo e coH'Elefante, perchè 
cioè sia stata adibita a tirare il carpento funebre, delle 
Auguste. 

Il suo stato di servizio incomincia con Livia d'Augusto 
(Coh., 7-8) S P Q R IVLIAE AVGVSTAE e prosegue con Agrip- 
pina madre (Coh., 1-2) S P Q R MEMORIAE AGRIPPINAE. Domi- 
tela giovane (Coh., 1) MEMORIAE DOMITILLAE S P Q R. Giulia 
di Tito (Coh., 9-10) DIVAE IVLIAE AVG. DIVI TITI F S P Q R, 
Marciana (Coh., 9 a 11) CONSECRATIO. Sabina (Coh., 72), 
S. C. Faustina seniore (Coh., 196 a 200) EX S C Dopo qual- 
che intervallo, con Costanzo Cloro (Gn., 21), Elena di Giu- 
liano II (Coh., 14) e Gioviano (Coh., 27), le due Mule tirano 
il carro d'Iside. 

L'elevazione della Mula a uffici onorifici non fu molto 
antica, essendo cominciata solamente con l'impero; ma, in 
compenso, le venne conservata fino a tempi relativamente 
recenti. 



64 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Se la Mula tirava il carpento funebre delle Auguste o 
della dea Iside, in Roma imperiale, rimase, pur che fosse 
bianca, la cavalcatura del papa e degli alti dignitari della 
chiesa nella Roma papale. Non mi consta però che abbia 
miai figurato sulle monete. 

ORSO. 

Mi pare che l'Orso non abbia avuta a rappresentare altra 
parte che quella di bestia da circo. Difatti non la trovo che 
in un unico tipo, corrente intorno alla nave del circo, fra 
quadrighe ed altre belve, tipo che di Settimio Severo (Coh., 
253-4) e di Caracalla (Coh., 117 e 118) conosciamo in oro e 
argento e solo in argento di Geta (Coh., 67). 

PANTERA. 

L'animale sacro a Bacco per avergli fornito il latte, 
come la Lupa a Romolo e Remo, era sconosciuto nella nu- 
mismatica primitiva. Non compare che due volte durante la 
repubblica, in un sesterzio di T. Carisio, 48 a. C, e in un 
denario di C. Vibio Varrone, 43-42 a. C. 

Più frequentemente appare durante l'impero. In un me- 
daglione d'Adriano (Gn., 44-5) ripetuto da Antonino Pio (Gn., 
IDI a 104), una Capra e una Pantera tirano il carro d'Apollo 
e di Bacco ; in altro d'Antonino Pio (Gn., 37) il carro di 
Bacco e d'Arianna è tirato da un Satiro e da una Pantera. 
In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 72) due Pantere sono 
aggiogate al suo carro nuziale. 

In posizione secondaria la troviamo nelle monete e me- 
daglioni di Adriano, Antonino Pio, Commodo, Severo, Cara- 
calla, Geta, Gallieno, Claudio Gotico, quasi sempre con 
Bacco o con manifestazioni bacchiche. Spesso è presso al- 
l'ara o al tempio di Bacco. 

In piccoli bronzi di Gallieno la Pantera, rappresentata 
come Tipo, è consacrata al suo patrono dalla leggenda Ll- 
BER(o) ?{atri) COfiS{servaiori) AyQ{ustf). 

In un medaglione di Costantino Magno (Gn., 3-4) dalla 
ampollosa leggenda GLORIA SAECVLI VIRTVS CAESS pare 
che la Pantera non alluda al culto di Bacco, stando curvata 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 65 

in atto di sottomissione, fra l'imperatore padre e il figlio Co- 
stantino II, che gli offre un globo colla Fenice. 

In bronzi di Commodo la Pantera rappresenta la preda 
di caccia dell'imperatore (Coh., 957-958). 

PANTERA ALATA. 

Non compare che un'unica volta in un medaglione d'An- 
tonino Pio (Gn., 75), nel quale è rappresentata Diana Luci- 
fera corrente su questo nuovo animale. 

PAVONE. 

Il più bello degli uccelli, il più ricco di colori e di ri- 
flessi, venne anticamente dedicato a Giunone nell' isola di 
Samo, e ne rimase il simbolo. 

In un grazioso medaglione di Faustina juniore (Gn., 9), 
Giunone fanciulla è rappresentata seduta su di un Pavone, 
scherzando fra due danzatrici. Giunone dea è quasi sempre 
rappresentata col Pavone a' suoi piedi e, siccome Giunone 
è una deità che predomina nelle monete delle Auguste, è 
naturale che anche la rappresentazione del Pavone sia assai 
numerosa nelle monete delle Auguste, mentre in quelle 
degli Augusti non è che eccezionale. L'abbiamo sulle mo- 
nete di Sabina, delle due Faustine, di Lucilla, Crispina, 
Scantina, Giulia Domna, Paola, Mesa, Paolina, Otacilla, 
Mammea, Etruscilla, Cornelia Supera, Mariniana, Salonina, 
Magnia Urbica. 

In quelle degli Augusti non lo troviamo che sotto Osti- 
liano, Gallo e Volusiano nelle loro monete e medaglioni col 
tempio di Giunone Maziale, IVNONI MARTIALI. Gallieno ha 
un piccolo bronzo con Giunone e il Pavone (Coh., 416) IVNO 
CONSERVAI ; ma il rovescio è evidentemente di Salonina. 
E ibrido del pari sembrerebbe doversi considerare quello 
simile di Claudio Gotico (Coh., 133-5) 'VNO REG-INA, se non 
fosse ripetuto in diverse varietà. 

Come Tipo troviamo il Pavone in medaglioni di Adriano 
(Gn., 12, 50, 64) e Antonino Pio (Gn., 28) per simboleggiare 
Giunone in compagnia dell'Aquila e della Civetta, simbo- 
leggianti Giove e Minerva. 



66 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Ma la vera rappresentazione tipica è sempre riservata 
alle Auguste nei due significati di Concordia e di Consa- 
crazione. 

Nel primo significato dobbiamo intenderlo nelle monete 
di Giulia di Tito (Coh., 5 a 8), di Domizia (Coh., i a 4) e, 
in parte, anche di Faustina juniore, pure quando vi manca 
la parola CONCORDIA. 

Fino al tempo di M. Aurelio, l'uccello simbolico della 
Consacrazione fu l'Aquila, sia per gli Augusti che per le 
Auguste ; ed è solamente con Faustina juniore che il Pa- 
vone viene a sostituirsi all'Aquila. Da allora, in diversi at- 
teggiamenti, a pie fermo, a destra o a sinistra, oppure di 
fronte, a coda spiegata, o raccolta, oppure librato a volo e 
trasportante la diva estinta agli Elisi, troviamo il Pavone 
sulle monete di tutte le Auguste, che ebbero l'onore della 
Consacrazione, Faustina juniore, Giulia Domna, Giulia Mesa e 
Mariniana, con la leggenda CONSECRATIO- Il Pavone si può 
quindi dire una figurazione esclusivamente femminile. 

Giunone, fra gli altri suoi titoli, ha anche quello di 
Giunone Moneta. Anzi fu precisamente sotto il nome dijwio 
Moneta, che la dea fu designata a presiedere alla officina 
monetaria eretta nel 345 a. C. sull'area dell'arce capitolina 
già occupata dalla demolita abitazione di Manlio. E quindi 
naturale che l'emblema della dea, fosse già da allora, anche 
l'emblema della Moneta, vale a dire dell'officina monetaria. 
E io credo di vedere la piii antica rappresentazione del Pa- 
vone, con tale precisa indicazione, nella famosa tessera del 
Museo di Vienna, rappresentante la zecca primitiva, in quel- 
l'oggetto rotondo, che, per essere un po' consunto, venne 
finora definito un globo, e che sta nel centro fra le due cu- 
spidi del tempietto a tre nicchie, nel quale sono collocate 
le tre Monete. Quel globo non è che il Pavone visto di 
fronte; e, mentre un globo non avrebbe significato alcuno, 
il Pavone ne ha uno chiarissimo. 

PEGASO. 

Il Cavallo alato procreato dal sangue di Medusa appare, 
come una delle più antiche e importanti rappresentazioni, con 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 67 

la leggenda ROMANORVM, nel rovescio del quadrilatero che 
porta al diritto l'Aquila sul fulmine; poi in due bronzi della 
Campania con la leggenda ROMA. 

Ritorna nei denarii e quinarii di Q. Tizio, 90 a. C, e, in 
quelli di L. Cossuzio, 54 a. C, lo ritroviamo cavalcato da 
Bellerofonte, come si vede sulle monete di Corinto, dalla 
quale officina pare essere uscita questa emissione. 

Nel passaggio dalla repubblica all' impero, il Pegaso è 
rappresentato nei denarii d'Augusto coniati da L. Petronio 
Turpiliano (Coh., 491). Vespasiano (Coh., 114) e Domiziano 
(Coh., 47) nel centenario d'Azio, ripetono il Pegaso d'Augusto 
(vedi Capricorno). 

II Pegaso è rappresentato in medii e piccoli bronzi di 
Adriano (Coh., 436-37) e un'ultima volta lo troviamo, a guisa 
di simbolo, al diritto di un medaglione d'oro di Gallieno 
(Gn., 16) e come Tipo, al rovescio del medio bronzo dello 
stesso imperatore, con la leggenda ALACRITATI. 

Il Pegaso nelle monete di Gallieno è emblema delle Le- 
gioni I e II ADIVTRIX. 

Il Pegaso nel medioevo non ebbe molte riproduzioni. 
Non trovo da citare che un cavallotto di Camillo e Fabrizio 
(1580- 1597) per Correggio, ed uno di quei quattrini anonimi 
di Mantova con la testa di Virgilio, che generalmente si at- 
tribuiscono al duca Francesco II Gonzaga (1484 15 19). 

PESCE. 

In un asse della Sabinia l'Aquila è ferma su di un pesce, 
probabilmente a rammentare il lago esistente presso la città 
di Riete (Reate). Sul rarissimo denario d'argento d'Annibal- 
liano il fiume Rodano tiene nella destra un pesce. 

Non occorrono spiegazioni sul significato. 

POLIPO. 

Questo emblema marino non appare che in un triente 
primitivo di Tibur (Tivoli). 



68 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

POLLO. 

In uno dei pezzi quadrilateri di bronzo sono rappresen- 
tati due Polli in atto di beccare del grano. E questo l'unico 
monumento numismatico, nel quale si possa senza alcun 
dubbio riconoscere il Pollo, maschio o femmina, non importa, 
ma certamente non Gallo, il quale abbastanza bene da questi 
si differenzia e si identifica, quando viene rappresentato. 

Inutile rammentare come gli auguri traessero i loro 
auspicii dal modo di mangiare dei Polli, e come, sapendo 
perfettamente che tale modo non poteva essere variato se 
non dal grado d'appetito dei Polli e dalla maggiore o mi- 
nore appetibilità del mangime, due di essi, al dire di Cice- 
rone, non potessero incontrarsi per via senza sorridere. Co- 
munque sia, i Polli del quadrilatero non possono avere che 
significato augurale. 

Alcuno vorrebbe vedere un Pollo nel bipede pennuto 
che sta sulla prora, al rovescio del quadrante di L. Marcio 
Filippo, 112 a. C, ma io ci vedo piuttosto un Gallo. 

In alcuni medaglioni d'Adriano rappresentanti una scena 
di sacrifizio, all' ingresso del tempio, qualcheduno vorrebbe 
riconoscere un Pollo ; ma l' interpretazione è assai dubbiosa, 
stante la piccolezza dell'animale e il modo di rappresentarlo, 
che varia a seconda degli esemplari. Talvolta anzi si arriva 
perfino a ravvisarvi un piccolo quadrupede. 

PORCO. 

Negli aurei della Campania, che portano al diritto la testa 
di Giano bifronte, come pure nei denarii della Guerra Sociale, 
vediamo il Porco sacrificato dai guerrieri. E ancora, quale 
vittima, lo troviamo sotto Augusto nell'aureo di C. Antistio 
Regino e negli aurei e denarii di C. Antistio Veto, e più 
tardi in un medaglione di M. Aurelio (Gn., 84) e in bronzi 
di S. Severo (Coh., 105) e di Caracalla (Coh., 48) dove viene 
sacrificato pei giuochi secolari (LVC SAEC). 

Invece nei denarii di Q. Tizio e Vibio Pansa nel 90 
a. C, gli vediamo affidata altra missione, quella cioè di pre- 
cedere Cerere, guidandola, secondo i mitologisti e i poeti, 
a rintracciare la figlia Persefone. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 69 



RANA. 
Appare su alcuni bronzi italici primitivi (Apulia). 

RINOCERONTE. 

L'implacabile nemico dell'Elefante, l'ostinato e combat- 
tente pachidermo di cui si disse: Rhinoceros niinqiiam victus 
ab hoste redit, ha una comparsa minuscola nella numismatica 
romana. Non lo vediamo che in alcuni piccoli bronzi di Do- 
miziano (Coh., 673, 674) e in alcune tessere anonime che 
vengono attribuite allo stesso Domiziano (Coh., 2-3). 

ROMBO. 

Il pesce Rombo non compare che una sola volta nella 
moneta di bronzo che Proculejo fece coniare probabilmente 
nell'isola di Corcira, durante la guerra civile che precedette 
la battaglia d'Azio, 30 a. C. 

SATIRO. 

L'uomo agreste, cornuto e dalle gambe caprine appare 
sul medaglione di Antonino Pio (Gn., 37) aggiogato con una 
pantera femmina al carro di Bacco ed Arianna. 

Questa è la sua unica vera apparizione, quantunque al- 
cuni vogliano, in altri medaglioni dionisiaci di M. Aurelio e 
Faustina juniore, riconoscere una testa di Satiro nelle erme 
che generalmente sono dette di Pane o di Silvano. 

SCARABEO. 

Non figura che in una semiuncia primitiva d' incerta at- 
tribuzione. 

SCORPIONE. 

Quale sia il merito che al velenoso e ripugnante insetto 
aperse la via agli onori del Cielo fra le Costellazioni e a 



70 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

quelli della terra nella rappresentazione di una provincia, 
davvero non so; a meno che lo si possa trovare nel detto: 

" Qui vivens laedit, morte medetur „. 

Comunque sia, lo Scorpione era l'emblema della Comma- 
gene, dove l'edile curule P. Plauzio Ipseo aveva comando 
sotto gli ordini di Pompeo e figura quindi nei suoi denarii, 
come in quelli del suo collega M. Emilio Scauro nel 58 a. C. 
Per quale ragione lo si trovi anche sul denario di L. Far- 
sulejo Mensore, 82 a. C, ci è ignoto. 

Nella serie imperiale lo Scorpione non è che uno degli 
attributi dell'Africa e, come tale, lo vediamo in parecchie mo- 
nete d'Adriano (Coh., 136 a 147) e in un medaglione di 
Antonino Pio (Gn., 25) riferentisi a quella regione. 



SCROFA. 

La Scrofa, se facciamo una sola eccezione in cui ci ap- 
pare come vittima, nel denario di C. Sulpicio, 94 a. C, ove 
si vedono due guerrieri stendere su di essa la destra, quasi in 
atto di destinarla a sacrificio, sia nelle monete come nei me- 
daglioni, si riferisce sempre a quella incontrata da Enea, 
sbarcando in Italia nelle vicinanze di Lavinio. 

Alcuni denarii di Vespasiano (Coh., 213) e di Tito (Coh., 
104) la rappresentano con tre piccoli. 

Adriano (Coh., 1168) e Antonino Pio (Coh., 449 e 775) 
vi aggiungono l'elee nei loro bronzi. E in due medaglioni lo 
stesso Antonino ci espone tutta la leggenda. In uno di questi 
(Gn., 99) sono rappresentati Enea e Ascanio che, scendendo 
dalla nave, trovano la Scrofa in una grotta; nell'altro (Gn., 
115), la Scrofa coi piccoli occupa la parte centrale, mentre 
in lontananza si vede Enea che giunge alle mura di Lavinio, 
recando sulle spalle il vecchio Anchise. 

Questa tradizione fu feconda di falsificazioni o dirò me- 
glio di mistificazioni nella numismatica romana. Ad essa 
furono ispirati molti pezzi pesanti di bronzo, nei quali è ap- 
punto rappresentata la Scrofa in atto d'allattare i piccoli, e 
celebre fra tutte rimarrà quella del famoso nummo reale o 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 71 

di Servio Tullio, di cui furono vittima parecchi insigni nu- 
mismatici, quali il duca di Blacas, il barone D'Ailly e il 
duca di Luynes (i). 

SERPENTE. 

Nessun animale ebbe forse la gloria d'essere consacrato 
a tante divinità come il piìi ripugnante e il più pericoloso 
dei rettili. Se lo contendono Giove, Nettuno, Pallade, Giu- 
none, Febo, Apollo, Plutone, Bacco, Mercurio, Iside, Sera- 
pide, Esculapio, Igea. E numerosi sono di conseguenza i suoi 
significati: Prudenza, Vigilanza, Concordia, Vittoria, Potenza, 
Igiene, Salute. 

Il Serpente appare la prima volta in compagnia del 
Toro nel quadrante della Campania ; poi, passando alle mo- 
nete della repubblica, abbiamo la biga di Cerere tirata da 
due Serpenti nei denarii di C. Vibio Pansa, 90 a. C. e M. 
Voltejo, 88 a. C. ; il Serpente appiedi di Giunone Sospita 
in quello di Procilio, 89 a. C, e di C. Memmio, 60 a. C. ; 
il Serpente attorcigliato intorno al tripode nel denario di 
M. Voltejo, 88 a. C, oppure intorno all'ara nel denario, 
nell'asse e nel quadrante di Dosseno Rubrio, 83 a. C. ; 
il Serpente che precede Minerva nel bronzo di C. Clovio, 
46-45 a. C. ; il Serpente nutrito da una fanciulla nel de- 
nario di L. Roscio Fabato, 64 a. C, nel quinario di Papio 
Celso, 45 a. C, e in quello di M. Mettio, 44, a. C. Se- 
condo la favola il Serpente abitava nel tempio di Giunone 
e ogni anno una vergine doveva porgergli il cibo. Se il Ser- 
pente lo accettava, era provata la purezza di quella e per 
contro era negata, se lo rifiutava. Finalmente il Serpente 
nutrito dalla Salute nel denario di Acilio Glabrione, 54 a. C. 
Due Serpenti stanno di fronte, sulla sedia curule, in un aureo 
di L. Cestio e C. Norbano, 44 a. C. Due Serpenti attorniano 
la cista mistica nei cistofori di M. Antonio, e di Serpenti è 
formata la capigliatura della Medusa nei denarii di M. Cordio 
Rufo, 49 a. C, e di Cossuzio Sabula, 54 a. C. 



(i) Ved. Le Numntus de Servius Tullius nella Revue frattfaise de 
Numismatique, 1859, pag. 322. 



72 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Durante l'impero, si ripetono molte delle figurazioni re- 
pubblicane e ne abbiamo altre nuove. Il Serpente che pre- 
cede la Nemesi, negli aurei e denarii di Claudio (Coh., 50 a 68) 
e di Vespasiano (Coh., 282 a 288). Il Serpente che esce da 
un canestro portato dalla figura femminile rappresentante 
Alessandria, in un denario d'Adriano (Coh., 154 a 156). 

Il Serpente che si lancia da una nave nei medaglioni 
di Antonino Pio (Gn., i a 3) dedicati al dio della Salute 
AESCVLAPIVS. 

Il Serpente che corre davanti a Giunone Sospita in un 
denario di Commodo (Coh., 270). 

Il Serpente attorcigliato intorno all'Albero delle Espe- 
ridi nei medaglioni di Adriano (Gn., io e 43) e di Antonino 
Pio (Gn., 87-88), in un quinario d'argento (Coh., 228) e in 
alcuni bronzi (Coh., 584-586) di Massimiano Erculeo. 

Il Serpente attorcigliato intorno al bastone di Esculapio 
nei medaglioni di Adriano (Gn. 11 e 42) e di Antonino Pio 
(Gn., 9-10), poi in tutte le diverse figurazioni del semidio in 
parecchi bronzi dell'alto impero. 

In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 71) ove Esculapio 
contro il solito, è rappresentato nudo, oltre al Serpente at- 
torcigliato al suo bastone, due altri si ergono da terra, uno 
da ciascun lato. 

Il Serpente si vede spesso sullo scudo o sull'ulivo di 
Minerva. Talvolta è nutrito dalla stessa Minerva (Coh., Geta 
108 a III). 

Con Giuliano II ed Elena abbiamo i Serpenti in modi 
nuovi, uscenti dai vasi portati da Iside e Osiride (Coh., 113 
a 115), o formanti capelli delle furie (Coh., 129-130). 

Ma il numero maggiore delle apparizioni del Serpente, 
durante tutto l' impero, è costituito da quasi tutte le monete 
riferentisi alla Salute. La Personificazione della Salute, SALVS 
AVG, SALVS PVBLICA, una delle più comuni, è quasi sempre 
rappresentata da una figura femminile, seduta o in piedi e 
talvolta appoggiata a una colonna, in atto di nutrire il Ser- 
pente, che tiene fra le braccia, oppure che si svolge da un'ara 
o da un albero o che sorge da terra. 

La sua rappresentazione dura quasi ininterrottamente 
dal principio dell'impero fino alla Tetrarchia. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 73 

Qualche ricordo di sé lasciò il Serpente nella numisma- 
tica medioevale. Francesco III Gonzaga duca di Mantova e 
di Monferrato (1540-1550) ha un grosso in cui è rappresen- 
tato Ercole fanciullo che strozza i Serpenti, con la leggenda 
ENECTIS VITIIS {Corpus, 44). Un gruppo di Serpi presenta 
Ercole I d'Este (1471-1505) in un suo testone di Ferrara e 
un grosso Serpente è attorcigliato alla spada brandita dal 
Leone, nell'osella di Alvise II Mocenigo (1700-1709) con la 
leggenda PRVDENTIA ET FORTITVDO. 

In significato araldico è a citarsi qui la Biscia Viscontea, 
che, passata dopo il governo dei Visconti, allo stemma della 
Città di Milano, si può dire che, o sola o inquartata col- 
l'Aquila teutonica, coi Gigli di Francia, col Leone o il Ca- 
stello di Spagna e ultimamente colTAquila bicipite, domini 
tutta la monetazione milanese per ben cinque secoli. 

È sempre col significato d'Igea che il Serpente vive 
ancora ai nostri giorni, attorcigliato al bastone d'Esculapio, 
insegna delle farmacie e simbolo di salute. 

Il Serpente poi nel cristianesimo assunse un nuovo si- 
gnificato, quello dell'eternità, allorché lo vediamo formare 
un circolo, mordendosi la coda, nei monumenti funerarii. 

SFINGE. 

La Sfinge è un mostro favoloso, che ha il capo e il 
seno di donna (raramente d'uomo o d'ariete), la groppa di 
leone, le ali d'aquila e talora la coda di serpente, quasi a 
raccogliere in sé l'accortezza, la forza e la prudenza. La 
Sfinge é proveniente dall' Egitto e antichissima è la sua ori- 
gine. Un'iscrizione trovata sulla zampa sinistra della Sfinge 
di Cheope porta che quello è il ritratto del re Tutmosi, che 
viveva diciassette secoli avanti l'era volgare. 

In Egitto la Sfinge godeva un gran culto, come ne 
fanno fede i numerosi esemplari in granito e in basalto, 
che ancora vi esistono, collocati generalmente quale or- 
namento lungo i grandi viali che conducevano alle piramidi 
o nelle piramidi stesse. La Sfinge era un mostro bene- 
fico, simbolo di fecondità e suo compito era quello di sor- 
vegliare le piene e gli straripamenti del Nilo. 



74 FR. GNECCHI — LA I^AUNA E LA FLORA 

Dair Egitto la Sfinge fu trasportata in Grecia, ove ne 
fu radicalmente falsato il concetto e quindi non vi ebbe, né 
vi poteva avere il culto del suo paese d'origine. 

I Greci la dicevano nata da Tifone e da Echidma, la 
facevano proveniente dall' Etiopia e ne formarono un mostro 
perverso, che infestava la strada da Delfo a Tebe, propo- 
nendo enigmi ai passanti e divorando o gettando in mare 
quelli che non sapevano scioglierli. Finalmente Edipo riuscì 
a indovinare quello famoso dell'animale che il mattino ha 
quattro gambe, due al meriggio, e tre la sera, dicendo che è 
l'uomo, il quale da bambino si trascina colle mani e coi piedi, 
nella forza dell'età cammina colle due gambe e nella vecchiaia 
si aiuta con un bastone. Allora la Sfinge si buttò in mare. 

Dalla Grecia passando a Roma, la Sfinge modificò nuo- 
vamente il suo significato. Abbandonò cioè la perversità, 
conservando il carattere enigmatico. 

La Sfinge seduta e alata ci appare per la prima volta 
sul denario di T. Carisio, 48 a. C, che porta al diritto la 
testa d'una Sibilla. Dal diritto e dal rovescio di questo de- 
nario spira un'aura di vaticinio e di mistero e rimane anche 
per noi un enigma, non potendo dire quale sia il sentimento 
che lo ha ispirato. 

Pochi anni dopo, la Sfinge appare come Tipo in un bel- 
lissimo cistoforo (Coh., 31) e in due aurei d'Augusto (Coh., 
433 ^ 334)- Secondo antichi autori. Augusto aveva una grande 
predilezione per la Sfinge, e Svetonio afferma che la portava 
incisa nella pietra del proprio anello e ne usava come sigillo 
delle proprie lettere, forse alludendo al segreto epistolare. 

In alcune opere antiche è descritto anche un aureo dello 
stesso Augusto col tipo della Sfinge e la leggenda ARMENIA 
CAPTA; ma pare che tale moneta non esista e infatti poco 
se ne comprenderebbe il significato. 

In un aureo d'Adriano (Coh., 982) la Sfinge sta accanto 
al Nilo e qui non ha che significato geografico. 

In un medaglione dato da Vaillant una Sfinge alata sa- 
rebbe montata da un guerriero (Gn., C04). 

Due Sfingi stanno ai lati della divinità africana che sim- 
boleggia il secolo abbondante SAECVLO FRVGIFERO in un 
aureo (Coh., 68) e in un medaglione (Gn., 4) d'Albino. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 75 



Insieme alle altre deità o semideità egiziane è riprodotta 
in parecchi piccoli bronzi di Giuliano II (Coh., 135-6, 168-9) 
e due Sfingi sono aggiogate al carro d' Iside, in un piccolo 
bronzo di Elena (Coh., 41). 

Fra le monete medioevali, la Sfinge sta sullo stemma 
nel pezzo da io zecchini coniato da A. Teodoro Trivulzio 
nel 1677 {Corpus, 19) col motto strano e sibillino NE TE 
SMAh il quale accenna al significato oggi assunto dalla parola 
Sfinge, che s' impiega per indicare una persona enigmatica, 
impenetrabile e sovente anche falsa. Ci aggiriamo quindi 
sempre intorno al significato greco-romano e più nulla ri- 
mane del primitivo significato egiziano. 



SIRENA (?). 

Dicono che le Sirene fossero tre sorelle, figlie d'Archeloo 
e di Calliope o di Tersicore, e che le tre incantatrici usassero, 
la prima la voce, la seconda la tibia, la terza la lira, per at- 
tirare colla dolcezza della musica gli incauti, che si lascia- 
vano adescare, e poi divorarli. 

Le Sirene si dipingono generalmente col corpo di donna 
terminante in pesce ; ma pare che i monetarii romani si 
prendessero molte licenze, perchè assai diversamente furono 
rappresentate nei soli due casi che ci offrono. 

L. Valerio Aciscolo, 46-45 a. C, ci dà un uccello con 
testa di donna, ornato dell'elmo di Minerva, che cammina 
portando una doppia tibia ; mentre P. Petronio Turpiliano, 
20 a. C, stampa sul suo denario una donna nuda con ali e 
coda d'uccello, che suona la tibia ! Sarebbe dunque sempre 
la stessa delle tre sorelle, la suonatrice di tibia, che ci viene 
presentata sotto due forme molto diverse fra loro e scostan- 
tesi affatto dalle forme classiche della Sirena. 

Ma sono poi veramente Sirene quelle che i numismatici 
classificano tali? E lecito il dubitarne ; chi ci assicura che 
quei monetarii avessero invece inteso di rappresentare un 
Arpia, una Chimera o anche eventualmente un tipo di pura 
invenzione, di cui oggi ci sfugge il significato. 



76 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Fossero anche Sirene sotto forme nuove, non sarà certo 
lecito di alzare la voce contro questi arbitrii a noi che, nella 
nostra nuova monetazione, ci siamo fatto lecito, o per lo meno 
abbiamo permesso all'artista, di rappresentare la Libertà col 
tipo di una Erinni e l' Italia in modo che nessuno la rico- 
nosce.... neppure leggendone il nome I 

SORCIO. 

Troviamo il piccolo rossicchiante nel denario di T. Quinzio 
Trogo, 104 a. C, nel quale è rappresentato in grandi pro- 
porzioni sotto due cavalli correnti, montati e guidati da un 
solo cavaliere. 

In mancanza d'altra spiegazione, è lecito argomentare 
che quel Sorcio stia a ricordare un antenato dei Quinzii, cui 
forse era stato dato il soprannome di Mus. 

I numerosi simiH esempi che ci offre la repubbhca ro- 
mana, autorizzano pienamente tale supposizione. 

STRUZZO. 

Non fa che una semplice apparizione sotto Trajano, per 
simboleggiare l'Arabia (Coh., 26, 27 e 36 a 38). 

TESTUGGINE. 

La Testudo romana non era che un arma di difesa; ma 
pure ha suono di guerra, e in tono guerriero figura forse 
la Testuggine nell'aes grave del Lazio e della Campania. 

In seguito, l'unica impronta della mite e pacifica Te- 
stuggine la troviamo in un sesterzio di C. Vibio Pansa, 
43 a. C, faciente parte di una monetazione, che s' ispira 
completamente alla pace. Tale qui dobbiamo quindi in- 
terpretarla, anche perchè si trova al rovescio del busto di 
Mercurio. 

TIGRE. 

Compare pochissime volte e sempre nella semplice 
espressione di belva da circo. La prima volta in un denario 



NEI TIPI MONETALI ROMANI ^^ 



di Livinejo Regolo, 43-42 a. C, in lotta con un gladiatore; 
più tardi corrente nell'arena del circo, in aurei e denarii 
di Settimio Severo (Coh., 2534), di Caracalla (Coh., 1 17-8) e 
in un denario di Geta (Coh., 67), tutti con la leggenda 
LAETITIA TEMPORVM. 

Durante l'evo medio e moderno non la trovo che nel- 
l'osella di Alvise IV Mocenigo (1763-1779), seduta di fronte 
a un Leone, con la leggenda AFRICA TICtRIS AGIT PACEM 
CVN REGE FERARVM. 



TORO. 

Il Toro rappresenta la forza e nello stesso tempo l'ani- 
male da sacrificio per eccellenza. Figura quindi in questi 
due significati ; ma non è raro il caso che venga confuso 
col Bove, le cui attribuzioni sono ben differenti. 

Il Toro compare nelle primissime monete pesanti del- 
l' Italia Centrale. Ora vi troviamo il Toro corrente o a ri- 
poso, ora la semplice sua testa. 

In varie attitudini, e quindi con diversi significati, lo pre- 
sentano le monete della Repubblica. L. Torio Balbo, 94 a. C, 
non ebbe certamente altro scopo, nel rappresentarlo nella 
sua serie di denarii, se non quello della analogia della pa- 
rola col proprio nome, facendo così del Toro corrente lo 
stemma di famiglia. 

Nel denario di L. Voltejo Strabone, 60 a. C, il Toro 
è la cavalcatura d'Europa, e di Valeria Luperca in quello 
di Valerio Aciscolo, 46-45 a. C; mentre in quello di Postu- 
mio Albino, 74 a. C. e di C. Antistio Veto, 16 a. C, appare 
come vittima destinata al sacrificio. 

Nei denarii della Guerra Sociale il Toro sta accovacciato 
accanto al guerriero, oppure assale furiosamente la Lupa. 

Finalmente con Giulio Cesare ritroviamo il Toro cor- 
rente nel denario di Livinejo Regolo, 43 a. C. 

Con Augusto il Toro abbattuto dalla Vittoria raffigura 
l'Armenia domata ARMENIA CAPTA, forse alludendo al Monte 
Tauro, e tale Tipo è ripetuto in un bellissimo medaglione di 
Antonino Pio (Gn., 109). 



78 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Augusto possiede un denario (Coh., 129) di fabbrica stra- 
niera e semibarbara, in cui il Toro è dato assolutamente 
quale Tipo della moneta, forse come espressione di forza, e, 
su monete di bello stile, introdusse il tipo del Toro infero- 
cito o cornupete (Coh., 140-1, 151 a 161) Tipo greco, imitato 
dalle monete di Turio, che figura in seguito in aurei di 
Vespasiano {Coh., 112) e di Tito (Coh., 48), in quella emis- 
sione commemorativa, già più volte menzionata. È molto 
difficile dire se Augusto avesse inteso con ciò di appropriarsi 
il tipo, attribuendogli un significato allegorico, oppure se il 
Toro non sia stato scelto, come opina l'Erizzo, dal magistrato 
monetario Statilio Tauro, unicamente per allusione al pro- 
prio nome. 

Il Toro figura come Tipo in alcuni piccoli bronzi di Gal- 
lieno dalla leggenda SOLI CONS AVG (Coh., 983-5). 

Un aureo e un bronzo di Postumo ci offrono il Toro 
domato da Ercole HERCVLI CRETENCI (Coh., 114), HERCVLI 
INVICTO (Coh., 127). 

In atto di combattimento colle belve nel circo, il Toro 
è riprodotto da Settimio Severo (Coh., 252 a 254) con la 
leggenda LAETITIA TEMPORVM e ripetuto dai suoi figli. 

Tutte le altre riproduzioni del Toro durante 1' im- 
pero, specialmente nei medaglioni di M. Aurelio, Com- 
modo, Geta, Eliogabalo, Alessandro, Gordiano Pio, Tre- 
boniano, Volusiano, Gallieno, Postumo, lo rappresentano 
quale vittima per sacrificio; mentre in un medaglione di 
Commodo, ripetuto da Diocleziano, dalla leggenda VOTIS 
FELICIBVS, abbiamo un Toro morto sulla riva di un porto 
di mare. 

Per non so quale bizzarria Caracalla coniò alcune mo- 
nete, sulle quali la biga di Diana è tirata da due Tori (Coh., 
326, 361 e 394 a 399). 

In monete di Probo (Coh., 447 a 451) e in altre di Dio- 
cleziano (Coh., 64 a 68), Massimiano Erculeo (Coh., 91-92), 
Costanzo Cloro (Coh., 33 a 36), Galeno Massimiano (Coh., 
26 a 28) e Costantino Magno (Coh., 71), con la personifica- 
zione dell'Africa e le leggende FEL ADVENT AVGG N N o 
CONSERVATOR AFRICAE SVAE, del Toro non abbiamo che 
il teschio accanto al Leone emblema dell'Africa. 



NEI TIPI MONETAIJ ROMANI 79 

In parecchi cataloghi si descrivono queste monete, ac- 
cennando un teschio di Bove. Davvero, da quanto si vede 
nelle monete, troppo difficile riescirebbe decidere se quel te- 
schio debba avere appartenuto a un Bove piuttosto che a 
un Toro. Siccome però è rappresentata la scena finale di una 
lotta fra due belve, e quel teschio è il trofeo del vincitore, 
pare che il degno avversano del Leone abbia naturalmente 
dovuto essere un Toro. 

Nelle monete di Gallieno il Toro è segnato come em- 
blema della Legione III ITALICA ; VI, VII e Vili CLAVDIA 
e X GEMINA. In quelle di Vittorino padre della Legione X 
FRETENSIS. 



TORO ALATO. 

Questo animale fantastico non appare che una volta sola, 
in un medaglione di Antonino Pio (Gn., 74), corrente con 
Diana Lucifera in groppa. 



TRITONE. 

Figlio di Nettuno e di Anfitride, il Tritone è un semidio 
del mare, dal corpo umano terminante in una duplice coda 
di pesce. Il mostro costituisce l'uomo o il gigante anguipede, 
il quale è detto anche Tifeo o Tifone dalla mitologia greca, 
celebrato per la sua forza, avendo osato misurarsi collo 
stesso Giove. I combattimenti di alcune divinità coi così 
detti Giganti o Titani, che erano pure rappresentati ta- 
lora con un corpo terminante in serpente, talora con due 
code pure a guisa di serpenti, costituscono la gigantomachia 
mitologica. 

Anche l'altro mostro detto Drago viene talora a con- 
fondersi con questi e non è certamente nelle monete che 
potremo rilevare le piccole differenze, che caratterizzano e 
identificano questi diversi, ma molto simili mostri. 

Abbiamo messo il Serpente a testa umana sotto il nome 
di Drago, riuniamo ora sotto quello di Tritone tutti gli altri 
nella grande varietà delle loro forme. 



*. 



8o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Ci compare la prima volta sul denario di Cn. Cornelio 
Sisenna, 135 a. C, fulminato da Giove in quadriga e assai 
probabilmente simboleggia il re di Siria Antioco III il grande, 
vinto dai Romani nella celebre battaglia di Magnesia nel 
190 a. C. 

Nel medesimo atteggiamento di vinto e fulminato da 
Giove in quadriga riappare in un medaglione di bronzo di 
Antonino Pio (Gn., 49) e in altro d'argento di Settimio Se- 
vero (Gn., i) con la leggenda lOVI VICTORI, nel quale anzi 
i Tritoni sono due. 

Più strana ci riesce la rappresentazione in un denario di 
Filippo padre (Coh., 223). Con la leggenda TRANQVILLITAS 
AVGG-, è figurata la Felicità che tiene un Tritone. È dunque 
la Felicità che invoca e ottiene la Tranquillità, avendo im- 
prigionato il genio del male ! 

La lotta con Giove è poi ripetuta in aurei di Diocle- 
ziano, Massimiano Erculeo e Costanzo Cloro con la leggenda 
lOVI FVLGERATORI. 

L'atteggiamento del mostro anguipede è ben diverso nel 
denario di M. Plet. Cestiano, 69 a. C, ove figura come orna- 
mento del frontone del tempio di Preneste. Qui non è più 
un vinto, ma un vincitore che esso rappresenta ; come pure 
in quello campeggiante nel denario di L. Valerio Aciscolo, 
46-45 a. C, nel quale, occupante tutto il campo del rovescio, 
nell'esergo del quale sta la leggenda V. VALERIVS e, strin- 
gente un fulmine in ciascuna mano, è forse da interpretarsi 
come il leggendario gigante Valente, per quanto non ci 
consti altrimenti che quel gigante fosse anguipede. 

Ai Tritoni vincitori possiamo aggiungere anche quello 
che viene classificato Mostro Scilla, il quale pure ha corpo 
umano e due appendici a forma di serpente o di pesce e si 
vede in atto di vibrare un colpo con un timone, nel denario 
(Coh., 2) di Sesto Pompeo. Questo ha l'aggiunta di tre cani 
che sembrano quasi a lui uniti a guisa di code. 

La sola rappresentazione del Tritone in riposo, a semplice 
significazione del mare, ci è data da un medaglione di Fau- 
stina juniore (Gn., 6), in cui, accanto a Venere marina, stanno, 
da un lato un Delfino cavalcato da Cupido, dall'altro un 
Tritone. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 8l 



Per quanto riguarda il medio evo e il moderno, vedasi 
quanto si disse alla voce Drago, col quale spesso il Tritone 
si confonde. 

UCCELLO. 

Sono parecchi i volatili che abbiamo visto sfilare in 
questa rivista della Fauna numismatica ; ma ne rimane uno 
ancora che non ci può esser noto che sotto il nome vago 
di Uccello. 

Gli antichi auguri traevano il loro oroscopo dal volo 
degli Uccelli in genere e questo è veramente il caso. 

Fra i primi denarii anonimi della repubblica romana 
ve n'ha uno, in cui vediamo Roma seduta, su degli scudi, 
identificata dalla Lupa coi gemelli che le sta davanti , 
mentre nel cielo svolazzano due Uccelli, certamente bene 
auguranti per la Repubblica. La specie di questi volatili 
non è identificabile. Non sono che volatili, Uccelli del buon 
augurio. 

La rappresentazione del denario anonimo viene ripetuta 
in un aureo di Tito (Coh., 64). 

Nelle medesime condizioni sono tre Uccelli che si ve- 
dono sul fico ruminale, all'ombra del quale la Lupa sta al- 
lattando i gemelli, nel denario di S. Pompeo Faustulo già 
citato, come pure i tre Uccelli che svolazzano al disopra di 
Ercole in un aureo di Postumo (Coh., 112). 

Nei medaglioni e bronzi di M. Aurelio e Commodo rap- 
presentanti la Salute in atto di nutrire un Serpente, un Uc- 
cello sta posato sul ripiano inferiore della tavola che porta 
il simulacro della Salute. 

Tutti questi volatili potrebbero forse interpretarsi per 
Corvi ; ma essendo impossibile identificarli, accontentiamoci 
di dirli Uccelli del buon augurio. 

VITELLO. 

La famiglia tauro-bovina non offre nella numismatica 
quell'esempio d'unione, che dà in natura. Essa dovette es- 
sere divisa in tante voci quanti sono i membri che la com- 
pongono, stante le diverse attribuzioni di ciascuno. 



82 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA NEI TIPI MONETALI 



Ci si presenta ora ultimo della famiglia e della serie il 
Vitello, il quale ha un'importanza molto secondaria nella 
serie romana. 

Il pacifico animale non vi ha che poche rappresentazioni- 
La prima, tra la repubblica e l'impero, in aurei e denarii di 
Voconio Vitulo, colla testa di Giulio Cesare (Coh., 45-6). La 
seconda non è che una ripetizione di questi con Augusto 
(Coh., 546-7). Fin qui il Vitello semplicemente è l'emblema 
del nome del monetario. 

La terza sul bronzo d'Augusto già citato alla voce 
Ariete- Agnello, nel quale avrebbe significato di vittima da 
sacrificio. 

Una quarta apparizione del Vitello avviene in un de- 
nario di Tito (Coh., 56-7), appartenente alla serie di rie- 
vocazione di monete dei primi anni dell'impero, più volte 
citata. E ancora una riproduzione del Vitello di Voconio 
"Vitulo. 

Il Vitello, come la sua genitrice, non ha alcun seguito 
nella numismatica medioevale e moderna. 



Continuaaione e fine 
al prossimo fascicolo. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 

1." Periodo (706-774) — Monetazione ducale 



(Continuazione ved. fìisc. III-^IV, 1915). 

Abbiamo innanzi accennato che le prime serie 
di monete, anonime, emesse dai duchi di Benevento, 
rimaste incerte e confuse tra le monete bizantine, 
furono vere fraudolenti contraffazioni, di quelle ge- 
neralmente imposte dagli invasori del nostro paese 
alla ingenuità delle genti nei loro rapporti com- 
merciali. 

Il primo tipo quindi della monetazione locale 
ci viene dato dagli aurei beneventani che portano 
nel campo del retro le iniziali di Romualdo II, di 
Audelao e di Gregorio, il cui carattere, detto al tipo 
di Giustiniano, si presenta in modo da non potersi 
piti confondere con la monetazione imperiale, pur 
avendo una grande affinità con quella. 

A cominciare dalle monete di Romualdo II, che 
hanno la leggenda completa DN IVSTINIANVS PP EA 
{Domimis Jiistinianus perpetims angusttts^>, in seguito 
divenuta scorretta, trasfigurata ed indecifrabile, il 
tipo, imitante il solido di Giustiniano II, presenta una 
figura ideale ed incerta, avvolta in una specie di 
clamide, che affetta ornamenti e ricami, da cui vien 
fuori soltanto la destra mano che innalza il globo 
crucigero, il simbolo della potenza imperiale. 

Questo primo tipo acquista una esattezza mag- 
giore nei dettagli, una fattura più accurata, un ri- 
lievo meno marcato, ma più distinto, nelle monete 
del duca Godescalco, in alcuni soldi e tremissi di 



84 MEMMO CAGIATI 



Gisulfo II ed in alcune tremissi che, al posto delie 
solite iniziali, hanno /'/ simbolo della mano aperta, 
sulla cui attribuzione non sono tutti concordi i cul- 
tori di numismatica che dello studio delle monete di 
Benevento si sono occupati. 

Diremo in seguito le ragioni che ci hanno in- 
dotto a classificare, ad un periodo storico anteriore 
a Gisulfo II, gli aurei anonimi dal segno della mano 
aperta, comunemente chiamati mancusi [signo manus 
cusi) (^) a Liutprando re dei longobardi e ad asse- 
gnarne la coniazione in quei giorni turbolentissimi 
in cui, dopo la fuga del duca Godescalco, Benevento, 
presa con le armi dal potente re longobardo, restò 
a lui sottomessa, finche non ebbe a duca Gisulfo IL 
Continuando ora ad occuparci dei caratteri generali 
della monetazione ducale beneventana, esamineremo 
un secondo tipo, che si incontra anche in un'altra 
serie di monete mancuse ed in alcune altre monete 
di Gisulfo II, quale innovazione monetaria di quel- 
l'epoca, tipo rimasto poi costante nelle successive 
serie coniate durante il periodo autonomo ed in- 
dipendente del ducato beneventano. 

Questo secondo tipo, imitante i solidi di Ar- 
temio Anastasio e non più queUi di Giustiniano II, 
conserva l'apparenza generale del primo, ma ha uno 
stile speciale e nettamente determinato. La figura 
dal collo nudo, piìi allungato, non ha più nella de- 
stra il globo crucigero, ma la sola croce; dal palu- 
damento che avvolge il busto vien fuori anche il 
braccio sinistro, la cui mano poggia sul petto strin- 



(i) Varie sono le opinioni dei dotti sulla etimologia della voce man- 
cusus. Hanno esaurientemente trattato l'argomento il Capobianchi nel 
suo pregevole studio : Pesi proporzionali desunti dai documenti della 
libra romana^ merovingia e di Carlo Magno, in Rivista Italiana di Nu- 
mismatica, A. V, Milano 1892, ed il Martinori nella sua opera : Voca- 
bolario generale della moneta, Roma, 1915, alla voce Mancoso. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 85 

gendo il volumen ^'^^ ) l'insieme non vuol essere più 
il ritratto ideale ed indeciso di un imperatore di Bi- 
sanzio, ma pare voglia rappresentare le sembianze 
del duca di Benevento. Le serie di monete dette al 
tipo di Artemio Anastasio si susseguono, sino ad in- 
contrarsi con quelle, molto rare, emesse nei primi 
tempi di Arichi II duca, il quale, verso il 770, dando 
una riforma alla monetazione ducale beneventana, 
modificò ancora una volta lo stile. 

Pare che l'incisore di questo tipo riformato, che 
sembra una rievocazione deirantico, abbia voluto, 
con linee quasi geometriche, ricavare il volto di 
faccia da una retta orizzontale d'onde scendono 
due segmenti di circolo che si uniscono a formare 
il mento ed una piccola barba. Dentro questo ovale 
due grandi emisferi, incastrati fra quattro lunette 
ricurve, imitano gli occhi e le palpebre ; sul capo 
un diadema, con doppia fila di perle, poggia in forma 
di calotta sulla fronte, lasciando uscire a destra ed 
a sinistra con perfetta simmetria due segmenti con- 
centrici, a rappresentare due ciocche di capelli o due 
appendici del diadema, il quale riprende la solita 
croce che si vede nel diadema che hanno sulle mo- 
nete bizantine le figure degli imperatori da Tiberio 
Costantino in poi. Riappare il globo crucigero nella 



(l) Cilindro o rotolo che si vede frequentemente sulle monete bi- 
zantine nella mano di quasi tutti gli imperatori. Qualche volta questo 
simbolo è preso per la mappa dagli imperatori, o dai grandi perso- 
naggi che donavano al popolo giuochi pubblici, lanciata nel circo al 
momento che essi volevano segnalare l'inizio dello spettacolo ; qualche 
altra per quell'oggetto dai senatori portato ordinariamente in mano, 
come emblema dell'incarico che essi avevano di redigere leggi e de- 
creti. Chiamata anche acacia, da Codinus, questa insegna del potere 
imperiale nell'impero d'Oriente era un sacchetto di stoffa ripieno di 
polvere, che gli imperatori portavano nella mano a ricordo della fra- 
gilità dell'uomo e come monito a sé stessi di moderazione e di cle- 
menza verso i loro sudditi. 



86 MEMMO CAGIATI 



destra mano uscente dal manto, drappeggiato sulla 
spalla sinistra, e la leggenda non è più quella pseudo- 
imperiale più o meno contraffatta, perchè il motto 
DNS VICTORIA è scritto a lettere ben chiare intorno 
alla figura. Nel disegno del retro vi è sempre la 
croce potenziata, da lungo tempo in uso nei solidi 
bizantini, poggiata sopra quattro gradini decrescenti 
(nelle tremissi su di un gradino solo), però le let- 
tere in giro pare siano rimaste per formare un or- 
namento simmetrico a cui l'incisore avesse tenuto 
più che alla fedeltà storica della iscrizione. 

Così distinta, al tipo di Giustiniano II, al tipo 
di Artemio Anastasio, al tipo riformato di Arichi II 
duca, la monetazione ducale mostra le sue serie che 
si susseguono ininterrotte e che per la loro fattura 
progressivamente si vanno allontanando dal pro- 
totipo. 

Difatti, con la riforma di Arichi II duca, il quale 
fin dall' inizio del suo dominio cerca di dare il mag- 
giore impulso al commercio locale, mettendo in rap- 
porto il valore delle sue monete con le monete stra- 
niere, abbassando il titolo dei suoi aurei a 13 carati 
ed un terzo a lega di argento, la monetazione du- 
cale non ha più nulla di comune con la monetazione 
bizantina e diviene apprezzata e ricercata in ogni 
regione. 

Acciocché si possano meglio osservare le prin- 
cipali caratteristiche della monetazione ducale, di- 
stinta nei tipi e per le sue sigle diverse, ne diamo 
il seguente sommario. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 



87 



Primo periodo — Monetazione ducale. 

Moaete AMiime lacerte. 
Primi duchi di Benevento (sec. VI) Contraffazioni bizantine. 



Monete al tipo di Giustiniano II. 

Ronrualdo II (706-731) Soldi e tremissi con la sigla 
Audelao (731-732) • ... 

Gregorio (732^39) . » > » 

Godescalco (739-742) , » • ■ 

Liutprando Re (742) Tremissi mancuse 
Gisulfo II (742-751) Soldi e tremissi con le sigle 



R 




A 




r 




f. D^ 


é . 




rr. 


ir 



Monete al tipo di Artemio Anastasio 

Liutprando Re (742) Soldi e tremissi mancuse 
GisulTo II (742-751) Soldi e tremissi con le sigle 
Scauniperga e Liutprando (751-755) « « 

Liutprando duca (755-758) • . 

Arichi II duca (758-770) , „ 



té 

A f . ri 

XL, LS 
A 



Monete al tip* riformato di Arichi li duca. 

Arichi II duca (770-774) Soldi e tremissi con la sigla. A 






Godescalco (739-742). Gli avvenimenti, che in- 
torbidarono le greche provincie durante i sette anni 
in cui il duca Gregorio dominò Benevento, precipi- 



88 MBMMO CAGIATI 



tarono. Trasimondo di Spoleto, ribellatosi al re Liut- 
prando, era stato da questi sottomesso e nel ducato 
sostituito da Ilderico ; papa Gregorio III temeva di 
Liutprando e rivolgeva ogni suo sforzo allo scopo 
di abbattere la potenza di quel re, di rovesciare la 
dominazione longobarda. 

Alla morte del duca Gregorio, il popolo bene- 
ventano, nel cui seno erano cresciute quelle ten- 
denze particolariste aspiranti al recupero dell'an- 
tica indipendenza, in aperta ribellione, elesse a duca 
Godescalco, il quale naturalmente dovette allearsi 
col Papa e con Trasimondo, che si era nuovamente 
impadronito, nel dicembre del 739, dell'insorto ducato 
di Spoleto. 

A debellare la lega pericolosa Liutprando do- 
vette decidersi a prendere le armi e le rivolse contro 
Spoleto, in cui Trasimondo non si arrischiò a resi- 
stergli, poi contro Benevento ; ed all'approssimarsi 
del valoroso guerriero longobardo, Godescalco perde 
ogni speranza di conservare il trono ; non potendo 
resistere a cosi forte nemico cercò di salvarsi con 
la fuga, ma raggiunto dagli antichi partigiani di Gi- 
sulfo fu trucidato, mentre stava per montare su di 
una nave che doveva trasportarlo in Grecia insieme 
alla moglie Anna ed ai suoi tesori (^). 

Il nome LEO (Leone III), nella leggenda del di- 
ritto di alcune monete di Godescalco, fa supporre 
che questo duca si fosse messo sotto la protezione 
dell' imperatore iconoclasta. 



(1) Paulus Diac, vi, pag. 57. — Catalogns ducum Beneventi, pag. 494. 
— Trova, V, pag. 364. 



LA 2ECCA DI BENEVENTO 



89 



(Tipo A). 




I. Soldo d'oro (Al nome di Leone III). 

^' — DNL — E0PPAGV3 Busto di prospetto di Leone III, 
diademato, tenendo nella destra il globo crucigero. 

I^ — VIVTO > ~ < IVGVI o — CONOB Croce su tre gra- 
dini, sopra globetto, nel campo a sinistra G {Go- 
descalcus) (vedi figura). R. A' 

Coli. Cagiati. 




2. Idem. 

B' — DN : — LEOPP Busto di Leone III, diademato, 

tenendo nella destra il globo crucigero. 

P — VICTO — GV — * — CONOB Croce su quattro gra- 
dini, nel campo a sinistra G {vedi fig.). R. K 
G. Sambon, Repertorio Gerì, delle Monete, n. 393, tav. VI. 




3. Idem (Imitazione del tipo di Giustiniano II). 

& — DNI — NVSPP Busto di prospetto, diademato, tenendo 
nella destra il globo crucigero. 



90 



MEMMO CAGIATI 



P — VICTOR — V&VSTO — CONOB Croce, su di un pic- 
colo globo sostenuto da quattro gradini, accostata 
dalle lettere D — G {Dux Godescalcus) {vedi fig.). 

R. K 
Coli. Cagiati. 

4. Idem. 

^' — DNI — INl|S PP Simile al precedente. 
^ — VICTORI — IVGVITO - CONOB Simile al precedente. 

R. À^ 

G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 395, tav. VI. 

5. Idem. 

^ — DNI — INl|S PP Simile al precedente. 
9< — VICTOR! - ÀVGVSTO - CONOB Simile al prece- 
dente. R K 

G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 395. 

6. Idem. 

^ — DNI — NVSPP Simile al precedente. 
^ — VICTOR - AVG-VSTO - CONOB Simile al prece- 
dente. R. N 

Catalogo della coli. Gnecchi, n. 355. 




(Tipo B). 



r~^n 




I. Tremisse (Al nome di Leone III). 

(&' — DNL — EOPP Busto di prospetto di Leone III, dia- 
demato, tenendo nella destra il globo crucigero. 

P — Vie — >(yV — CONOB Croce su di un gradino, nel 
campo a sinistra G {vedi fig.). R. AT 

A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 6. 





LA ZECCA DI BENEVENTO 9I 



i M t 



2. Idem, 

3' — DNI — VCPP Busto di prospetto, diademato, tenendo 

nella destra il globo crucigero. 
9* — VICI — GVGA — CONOB Croce, su di un gradino, 

accostata dalle iniziali D — G {vedi Ag.). R. K 
A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 6. 

3. Idem. 

B' — DN — V&PP Simile al precedente. 
^ - VICT — GVST — CONOB Simile al precedente. R. A'^ 
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 396. 



4. Idem. 

& — DNI — NVSPP Simile al precedente. 
^ - VICTOR - AVGVS - CONOB Simile al prec. R. AT 
G. Satnboii, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al 11. 396. 

5. Idem. 

B — DN — 108 {sic) PP Simile al precedente. 

^ — VICT — VGTO - CONOB Simile al precedente. R. A.' 

Catalogo della coli. Rossi, n. 348. 



LiUTPRANDO RE DEI LONGOBARDI (742). Il gran 

re dei Longobardi, che in epoca passata aveva in 
parte dato effetto ai suoi disegni, ottenendo la sud- 
ditanza dei ducati di Spoleto e di Benevento, nella 
ribellione di queste due provincie trovò occasione di 
maggiormente imporvi la sua autorità e metterle in 
più salda dipendenza. 



92 MEMMO CAGIATI 



Occupata Benevento con le armi, Liutprando vi 
ristabilì in breve l'ordine e la calma, ma perchè 
questa potesse rimanere duratura egli stesso doveva 
conciliare il suo diritto acquisito alla elezione del 
nuovo duca con i voti degli affezionati partigiani 
dell'antica casa ducale beneventana. Gisulfo, il fi- 
gliuolo di Romualdo II, educato e divenuto uomo 
alla corte di Pavia, doveva apparire per Liutprando 
la persona piti adatta a reggere il governo di quella 
provincia, il duca che non solo doveva ispirargli la 
maggiore fiducia ma che meno difficoltà avrebbe tro- 
vato a tenere in obbedienza il popolo ribelle bene- 
ventano, a cui avrebbe nel contempo ispirata la piti 
grande devozione come il rampollo della vecchia 
stirpe ducale. 

Nel frattempo occorso perchè Gisulfo, chiamato 
da Liutprando in Benevento, potesse giungere dalla 
capitale longobarda per salire sul trono dei suoi 
avi, è probabile che, come primo segno di autorità 
suprema, come una solita e naturale prima ma- 
nifestazione di dominio, il re longobardo abbia fatto 
battere nella zecca di Benevento la moneta che do- 
veva sostituire quella in corso già coniata dal fug- 
giasco duca ribelle. 

Non è certo desiderio di apportare qui una ca- 
pricciosa ed inopportuna innovazione che ci spinge 
a dare alle monete recanti il segno della mano aperta 
una classifica in contraddizione con quella di illustri 
maestri. Ne ha mosso invece la speranza che la nostra 
modesta opinione, richiamando sempre più su tali 
controverse monete l'interessamento degli studiosi, 
possa far sorgere una discussione più ampia appor- 
tatrice di maggior luce ; possa incitare i cultori di 
numismatica a darsi a ricerche che abbiano a riu- 
scire più fortunate. 

Se esaminiamo innanzi tutto la sigla di queste 



LA ZECCA DI BENEVENTO 93 



monete, sigla che alcuni vogliono sia un guanto, 
altri una mano guantata, alcuni il simbolo della pena 
che la legge longobarda comminava ai falsi mone- 
tari, altri un segno di feudalità dei papi al riguardo 
degli imperatori, noi vediamo semplicemente la palma 
di una mano ornata al polso di bracciale, che ci 
ricorda quello longobardo, parte dell'armadura an- 
tica ornante il braccio dei guerrieri. Nella storia 
universale del Cantìi (0 si narra, al proposito, che 
Liutprando col Papa « entrato nella basilica va- 
ticana, sul Corpo dei SS. Apostoli depose in dono 
il manto reale, i braccialetti, l'usbergo, il pugnale, 
la spada, la corona d'oro e la croce d'argento ». 
Osserviamo altresì che nei soldi è rappresentata la 
mano destra, posta nel campo a sinistra della croce, 
mentre nelle tremissi è una mano sinistra posta 
a destra della croce, il che ci fa escludere tutte le 
prerogative che potrebbe avere il simbolo nella sola 
destra mano. 

Se esaminiamo poi le diverse classifiche date 
finora a queste monete, distinte dal segno della 
mano aperta , troviamo che il Capobianchi <2) le 
attribuisce al duca Liutprando (751 - 758) per la 
somiglianza del tipo con le monete di quel duca, 
ed osserviamo che lo stesso identico tipo del soldo 
mancuso, di cui egli ci dà la illustrazione, si ri- 
scontra anche in soldi d' oro segnati da iniziali 
escludenti l'appartenenza al duca Liutprando, men- 
tre poi una tremisse mancusa non ha che vedere 
col tipo delle monete del duca Liutprando ed appar- 
tiene invece a quella monetazione al tipo di Giusti- 
niano II, antecedente al tempo di questo duca. 



(i) e. Cantù, Storia universale, Torino, 1885, voi. IV, pag, 546. 

(2) V. Capobianchi, Pesi proporzionali desunti dai documenti della 
libra romana, merovingia di Carlo Magno, in Rivista /tal. di Numism., 
A. V, Milano, 1892. 



94 MEMMO CAGIATI 



L'illustre numismatico Arturo Sambon (i), nel 
suo poderoso lavoro sulle monete di Benevento, clas- 
sificò le monete mancuse ad un'epoca non precisa, 
verso il 758, ed il venerando Giulio Sambon ^^1, 
nel suo Repertorio generale delle monete, seguendo 
l'opinione del chiarissimo suo figliuolo, assegna al- 
l'epoca da questi indicata il nome d' « Interregno « 
come è chiamata in proposito nel catalogo di ven- 
dita della Collezione Sambon (3). Dai documenti ben 
scarsi che possediamo della storia di quel tempo, 
a cui accenna il dotto illustratore delle monete 
di Benevento, non possiamo formarci un criterio 
esatto di quel periodo che, dalla fuga di Liutprando 
ad Otranto, va al giorno della incoronazione del 
duca Arichi IL Se volessimo anche ammettere la 
coniazione di queste monete anonime fatta a quel- 
l'epoca, non troveremmo alcuna analogia fra il segno 
della mano aperta ed il periodo stesso nel quale si 
trovò Benevento dopo la fuga del duca Liutprando; 
e poi, come si potrebbe spiegare la differenza del 
tipo di quella tremisse mancusa che, tra le serie an- 
teriori e posteriori che sono al tipo di Artemio Ana- 
stasio, appartiene invece al tipo di Giustiniano II ? 

Il Wroth <^4\ da un accurato esame delle leggende, 
dello stile e dei caratteri speciali di queste mo- 
nete mancuse, intuisce la possibilità che possano es- 
sere state coniate tra il 742 ed il 751, epoca del 
regno di Gisulfo II, intuisce altresì che il segno della 
mano possa essere un emblema longobardo, da met- 
tersi in relazione con la venuta di Liutprando re 
nel 742 a Benevento, però è strano che, mentre gli 
argomenti adottati dovrebbero indurlo a conchiu- 



(1) A. Sambon, Recueil ecc., op. cit. 

(2) G. Sambon, Repertorio ecc., op. cit. 

(3) Catalogo della coli. Sambon, op. cit., pag. 6. 

(4) W. Wroth, Catalogne ecc., op. cit., pag. 191, pi. XXV, nn. 11-12. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 95 



dere con l'attribuzione di quelle monete al re lon- 
gobardo, egli conchiuda classificandole tra le incerte 
beneventane. 

Nel catalogo di vendita della raccolta Marti- 
nori ^'> i compilatori di quel catalogo dichiarano, nella 
prefazione, aver lo stesso cav. Martinori prestato loro 
il sostegno della sua valida dottrina nella maggior 
parte delle attribuzioni incerte o contrastate ; dob- 
biamo dunque credere che V illustre Martinori, se- 
guendo le deduzioni (come nella nota del catalogo 
a pag. 31 è detto) contenute nel catalogo del British 
Museum, abbia attribuito il soldo d'oro mancuso 
conservato nella sua raccolta, a Gisulfo IL Non ci 
sembra possibile che il duca Gisulfo, nel portare una 
riforma alle sue monete, scegliesse per queste un 
tipo anonimo, quando la monetazione beneventana, 
pur continuando ad essere una imitazione di quella 
bizantina, aveva acquistato carattere spiccatamente 
nazionale da che portava le iniziali dei duchi, di cui 
egli era il successore. 

Se le monete mancuse non possono dunque 
classificarsi a Gisulfo, né ad epoca posteriore a que- 
sto duca, per le ragioni sopraccennate, dobbiamo 
considerarle battute (sino a quando almeno docu- 
menti certi non venissero a contradirci) prima del- 
l'avvento al trono del figliuolo di Romualdo II e 
immediatamente dopo la fine del ducato di Gode- 
scalco, il quale coniò monete solo al tipo di Giusti- 
niano ; dobbiamo quindi a ragione attribuirle a Liut- 
prando, re dei Longobardi, emesse in quell'epoca 
transitoria, in cui le monete al tipo di Giustiniano 
prendono parte nelle serie di monete di nuovo tipo 
modellato su quello di Artemio Anastasio. 



(i) Catalogo delle monete di zecche italiane componenti la raccolta 
del cav. ing. E. Martinori. Perugia, 1913. 



96 



MEMMO CAGIATI 



Così classificate, queste monete anonime dal 
segno della mano aperta, la cui serie vediamo for- 
mata dal soldo e da una tremisse al tipo nuovo di 
Artemio Anastasio, nonché da una tremisse al vec- 
chio tipo di Giustiniano, risponderanno perfettamente 
alla successione dei caratteri monetali dell'epoca, la cui 
serie vedremmo altrimenti, senza ragione, interrotta 
stranamente ; il segno della mano aperta col brac- 
ciale troverebbe la sua ragione di essere nel sim- 
bolo longobardo, altra volta e su altro tipo di mo- 
neta usato dal re longobardo (^'; l'anonimia sarebbe 
spiegata dal non potere il re Liutprando far segnare 
la sua iniziale a quel posto, dove di solito erano 
tracciate quelle dei vari duchi precedenti, iniziale 
che avrebbe livellato lui alla serie di quelli che erano 
stati suoi dipendenti. 

ì (Tipo A). 




I. Soldo d'oro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 

& — DNI — ••• — INVSPP Busto di prospetto, diademato, 
tenendo nella destra la croce , con la sinistra 
il volumen. 

9f VICTOR — STV - CONOB Simile al preced. R. N 
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 

11. Idem. 

^ — D — W&PP Simile al precedente. 
9 — Vie - VSTV - CONOB Simile al precedente. R. AT 
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 

12. Idem. 

^ — Dti — IVGPP Simile al precedente. 

P — VlCOr - VSTV - CONOB Simile al preced. R. ^ 

Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. 

13. Idem. 

1^ — D — VGPP Simile al precedente. 
9 — VIO — VGTV — CONOB Simile al preced. R. AT 
Coli. Cagiati. 

14. Idem. 

-©' — DN — VPP Simile al precedente. 
9 — VICOA - VSTV — CONOB Simile al preced. R. N 
Catalogo della coli. Ruggero, n. 347, tav. XIX. 



104 MEMMO CACI ATI 




15. Idem. 

/& — D — VGPP Busto di prospetto, diademato, tenendo 
nella destra la croce, nella sinistra il volumen. 

P — VICV — VSTV — CONOB Croce su di un gradino, a 
sinistra sigla, a destra G {vedi fig.). R. M 

Coli. Cagiati. 

16. Idem. 

/©' — D — VG-PP Simile al precedente. 
^ — Vie - AVGTV - CONOB Simile al preced. R. X 
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 399. 

* 

* * 

LiUTPRANDO DUCA C ScAUNIPERGA REGGENTE (75 1 - 

755). Alla morte di Gisulfo, rimase naturale successore 
del trono il di lui figliuolo, al quale era stato dato il 
nome di Liutprando in onore del gran re longobardo, 
però, essendo ancora bambino, il duca Liutprando 
ebbe a reggente sua madre Scauniperga <^'. Del go- 
verno tenuto da costei, che sta a dimostrare come 
in Benevento si fosse ripristinata la successione ere- 
ditaria, pochi documenti ci sono giunti che rischia- 
rino la storia di quell'oscuro periodo. 

Le iniziali S— L, nel campo del retro accosto alla 
croce longobarda, in queste monete ni un 'altra inter- 
pretazione possono avere che i nomi della reggente 
e del giovanissimo duca. 



(i) Un documento del 752 comincia: " Firmamus atque constituimus 
nos d. gli. Scauniperga et d. vir gli. Liutprand summis ducibus gentis 
longobardae „ (Trova, IV, pag. 443. Chroust, n. 38) e cosi ugualmente 
cominciano altri documenti sino al marzo 755. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 



105 



Il Martinori pubblicò un pregevolissimo studio, 
che illustra esaurientemente le monete appartenenti 
al tempo della dominazione di Liutprando e Scau- 
niperga (^), e noi rimandiamo il lettore a questa pub- 
blicazione, che ha importanti cenni anche su tutta 
la interessante monetazione beneventana, acconten- 
tandoci di poter pubblicare qui appresso, tra le 
altre, una variante inedita della serie, appartenente 
alla ricca raccolta del duca Enrico Catemario di 
Quadri, nummo che merita l'attenzione dei numi- 
smatici, perchè, se non si dovessero attribuire ad 
errore di conio, le lettere L— S in luogo di S-L po- 
trebbero anche farci supporre un periodo in cui 
Liutprando, pur non essendo ancora maggiorenne, 
cominciasse a reggere lo stato assistito soltanto da 
sua madre Scauniperga. 

(Tipo A). 




I. Soldo (Toro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 
^ — DM IVNPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce e nella sin, il volumen. 
P - VICTVIRA - VGVSTVI - CONOB Croce, su di un 
globo sostenuto da quattro gradini, sormontata da 
quattro globetti, a forma di rombo; nel campo a 
sinistra S, a destra L {Scauniperga e Liutprandus) 
{vedi fig.). R. S[ 

Coli. Cagiati. 



(i) E. Martinori, Zecca di Benevento. Soldo d'oro di Scauniperga e 
Liutprando minorenne, duchi {TSI-JJJ) in Rivista Ital. di Num.y A. XXI, 
Milano, 1908, pag. 219 e segg. 



ió6 



MÉMMO CAGIAtl 



2. Idem. 

& — DN — ... — IVNPP Simile al precedente. 
Vi - VICTORA — AGVSTV — CONOB Simile al prece- 
dente. R. A^ 
A. Sambon, Le Musée, pag. 8. 

3. Idem. 

^ — DN — • • • — IVNPP Simile al precedente. 
P — VICTORV — VGVSTV — CONOB Simile al prece- 
dente, la croce non è sormontata dai quattro glo- 
betti. R. A^ 

Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 




Idem. 

^ — DN IVNPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce e nella sin. il volumen. 

9 - VICTOR < - >GVSTVY —CONOB- Croce, su di un 
globo sostenuto da quattro gradini, sormontata 
da quattro globetti a forma di rombo; nel campo 
a sinistra L, a destra S {Liuiprandus e Scauni- 
perga) {vedi fig.). Unico K 

Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 

(Tipo B). 




I. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 
>& — DN — ••• — IVNPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce, nella sin. il volumetti 



LA ZECCA DI BENEVENTO I07 



I^ — VTR<1 —  — ^GVT- CONOB Simile al preced. R. K 
Wroth, British Museum, pag. 164, n. i, pi. XXII, n. i. 

3. Idem. 

B' — DN — IVNPP Simile al precedente. 

9 — VITIR< VGVTV - CONOB Simile al precedente. 
La croce è sormontata da quattro globetti a 
forma di rombo. R. K 

A. Sambon, Le Musée, pag. 8. 

4. Idem. 

B' — DN - • • • — IVNPP Simile al precedente. 
I^ — VITVR^ - >(yVTV - CONOB Simile al prec. R. K 
Fr. Fusco Tav. II, a. 8. 

5. Idem. 

& — DN — • • • — INPP Simile al precedente. 
9 — VITIRV — V&VTVI Simile al precedente. R. AT 

Coli, del prof. Dell'Erba di Napol-, 

6. Idem. 

& — DN - • • • — VNPP Simile al precedente. 
I^ — VITIRV - VG-VTI - CONOB Simile al preced. R. K 
Catalogo della coli. Colonna, tav. I, n. i. 

7. Idem. 

^ _ DI VCNPP Simile al precedente. 
I^ - VITTR<1 - >GVTV - CONOB Simile al prec. R. .¥ 
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, tav. VI, n. 401. 



Io8 MEMMO CAGIATI 



« 

* » 



LiuTPRANDO DUCA (755*758). Mentre non ci è dato 
accertare la data della morte di Scauniperga, da un 
documento dell'epoca ^0 sappiamo che nel giugno 
del 756 Liutprando reggeva da solo lo stato bene- 
ventano. Alla fine di quell'istesso anno morì Ari- 
stolfo, che era succeduto ai re longobardi nel cui 
dominio erano seguiti interni sconvolgimenti, e nel- 
l'animo del giovane duca Liutprando si destò la 
brama di sottrarsi completamente alla dipendenza 
del regno. Molte pratiche egli fece allo scopo, che 
però gli riuscirono inutili, ed in ogni modo preferì 
di sottoporsi piuttosto alla sovranità del re Pipino, 
mercè la mediazione del Papa (2)^ che rimanere sot- 
tomesso alla longobarda dipendenza. 

Quando poi Desiderio nel 757-758 gli mosse 
contro con un poderoso esercitola), Liutprando perde 
ogni fiducia in se stesso, nelle sue forze e nei suoi 
alleati, e fuggì ad Otranto, rinchiudendosi in quella 
forte città marittima dove, per essere privo di una 
flotta. Desiderio dovè rinunciare a raggiungerlo, ac- 
contentandosi di prendere Benevento e di insediarvi 
duca Arichi. 

Della fine di Liutprando nessuna notizia ci dà 
la storia, però il Capasso riporta dalle cronache sa- 
lernitane l'epoca della sua morte al 759 (4). 



(i) Un diploma del 756 comincia : " Dum in nomine d. residentes 
nos d. vir gli. Leoprand summus dux Lang., etc. „ (Trova, IV, pag. 619. 
Chroust, pag. 200). 

(2) Con. Carol,, ep. 11 (JaflFè, pag. 65, ep. 17, pag. 79). Waitz. Deutsche 
Verfassunigsgeschichte, III, pag. 90. — Bertolini, pag. 263. 

(3) Chron. Salern. (Mon. SS., HI, pag. 475). 

(4) Capasso, Chron. Salern. 



LA ZECCA DI BENEVENTO 



109 





(Tipo A). 



I AT 1 



Soldo d'oro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 

-©' — DN IVNPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce e nella sin. il volutnen. 

5»' — VICTOR <1 — XtVSTV — CONO B Croce, su di un 

globo sostenuto da quattro gradini, sormontata 

da quattro globetti, a forma di rombo; nel campo 

a sinistra L {Lintprandus) (vedi fig.). R. K 

Coli. Cagiati. 



2. Idem. 

/B' - DN IVNPP Simile al precedente. 

^ — VICTVRV — VGVSTVI — CONOB Simile al prece- 
dente. R. A' 
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 2, pi. XXII, n. 2. 

3. Idem. 

^ — DN IVNPP Simile al precedente. 

^ — VICTOR — GVSTV - CONOB Simile al precedente. 
Sulla croce non vi sono i quattro globetti. R. K 
Catalogo della coli. Rossi, n. 350. 

4. Idem. 

^ _ DN IVNPP Simile al precedente. 

^ — VICTROV — VGVSTV — CONOB Simile al prece- 
dente. R. S 
A. Sambon, Le Musée, pag. 9. 

5. Idem, 

^ — DN - — - VNVPP Simile al precedente. 
9 — VITORV - VGVSTI - CONOB Simile al prec. R. A' 
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 3, pi. XXII, n. 3. 



no 



MEMMO CAGIATI 



6. Idem. 

B' — DH VNVPP Simile al precedente. 

9 — VICTRO — VGVSTV Simile al precedente. R. N 
Coli, del prof. Dell' Erba di Napoli. 

7. Idem. 

B^ — D\\ VNPP Simile al precedente. 

P - VICTOR — AGVSTV — CONOB Simile al prec. R. N 
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 4, pi. XXII, n. 4. 

8. Idem. 

/©' — DN IVNPP Simile al precedente. 

^ — VICTIR> - E 

Coli. Cagiati. 

13. Idem. 

^ — DNI — INVSPP Simile al precedente. 

^ — VICTROV — VGVSTV - CONOB Simile al prece- 
dente. R. M 

A. Sambon, Le Musée, pag. 9. 

14. Idem. 

^ — DIN — INVSPP Simile al precedente, sopra la testa 

rosetta formata da quattro globetti. 
^ — VICTOR - VGVSTV - CONOB Simile al prec. R. K 
G. Sambon, Repertorio Gen. delie Monete, tav. VI, n. 404. 




15. Idem. 

©' — DN — + — IVSPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce, nella sin. il volumen. 

^ - VICTOR — VSTV — CONOB Croce su di un globo 
sostenuto da quattro gradini ; nel campo a sini 



112 MEMMO CAGIATI 



stra sigla-monogramma (L D), a destra sigla-mo- 
nogramma (VX) {Liuiprandus dux) [vedi fig.). R. M 

Coli. Cagiati. 

i6. Idem. 

^ — DN - ••• — IVSPP Simile al precedente. 
P — VICT — VSTO - CONOB Simile al prec. R. .¥ 

G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 406. 

(Tipo B). 




1. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 

^ — DI — • • • — VNPP Busto di prospetto, diademato, te- 
nendo nella destra la croce e nella sin. il volumen. 

P — VTR — GVT — CONOB Croce su di un gradino nel 
campo a sinistra L {Liuiprandus) [vedi fig.). R. AT 

Coli, Cagiati. 

2. Idem. 

B^ — DI — VCNPP Simile al precedente. 

R) — VICT - VITV — CONOB Simile al precedente. R. A' 
Sambon, Le Musée, pag. 9. 

3. Idem. 

©' — DN — • • • — VNPP Simile al precedente. 
^ — VITRV - V&VTV — CONOB Simile al preced. R. A^ 
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 5, pi. XXII, n. 5. 

4. Idem. 

^ — DN — VNPP Simile al precedente. 

9* — VITR — VGVT - CONOB Simile al preced. R. N 
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 6. 



La zecca di BENEVENTO I 13 

5. Idem. 

.B' — DN — • VNPP Simile al precedente. 

9 — VICT< — >GTV - CONOB Simile al preced. R. Al 
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 

6. Idem. 

/©" — DN — VNPP Simile al precedente. 

^ — VICTIR> — ^VQ-TV - CONOB Simile al prec. R. A' 
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 403. 

7. Idem. 

& — DN — VGVPP Simile al precedente. 

9 — VICT ~ V&TV — CONOB Simile al preced. R. K 
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 403. 

8. Idem. 

/^ — D — • • VGPP Simile al precedente. 

9 — VICT> - ^STV - CONOB Simile al preced. R: A' 
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 

9. Idem. 

& — DN — IVNPP Simile al precedente. 

9 — VITRV — VGVTI Simile al precedente. La croce è 
sormontata da quattro globetti. R. K 

Coli del prof. Dell' Erba di Napoli. 

10. Idem. 

^ — DN — • • • — IVPP Simile al precedente. 
^ — VITORV — VOVTV — CONOB Simile al prec. R. S 
Catalogo della xroii. Martinori, tav. IV, n. 277. 

11. Idem. 

^ — DI — VNPP Simile al precedente. 

^ — VITR - VGVT — CONOB Simile al preced. R. K 

Fr. Fusco. Tav. II, n. io. 

15 



tI4 MEMMO CAGIAtl 




12. Idem. 

7^ — DN L - VG-PP Busto di prospetto, diademato, 

tenendo nella destra la croce, nella sinistra il 
volumen. 

^ - VICTO — VGTV - CONOB Croce su di un gradino, 
nel campo a destra sigla-monogramma (L DVX) 
{Liiitprandus dux) {vedi fìg.)- R. K 

Fr. Fusco. Tav. II, n. 12. 

13. Idem. 

^ — DIN — INVSPP Simile al precedente. 

? — VICTOR — VGVSTI - C • ONO • B Croce su quat 
tro gradini, nel campo a sin. A, sopra la croce 
quattro globetti a forma di rombo {vedi fig). R. M 
Coli. Cagiati. 

4. Idem. 

Esemplare simile al preced., ma variante di conio. R. M 
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 5, pi. XXII, n, 11, 

5. Idem. 

Altro esemplare simile con VGVSTV. R. S 

Wroth, British, Museum, pag. 168, n. 4, pi. XXlI, n. io. 

6. Idem. 

B' — DNSVI — + — CTORIA Simile al precedente. 
^ — VICTORIV - GVSTV — C • ONO • B Simile al prece- 
dente. R. K 

Coli, del prof. Dell' Erba di Napoli. 

(Tipo B). 




I. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio). 

^ — DN — • VNPP Busto di prospetto, diademato, te 

nendo nella destra la croce, nella sin. il volumen. 

9 — VITIR-^ — JIVTV - CONO B Croce, su di un 
gradino, sormontata da quattro punti a forma di 
rombo, nel campo a sinistra A (vedi fig.). R, K 
Coli. Cagiati. 

5. Idem. 

B' — DNSVI - + — CTORIA Simile al precedente. 
^ — VITIRV VGVTV - CONOB Simile al preced. R. K 
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli. 



6. Idem. 
Altro esemplare simile al precedente con VGVTI. 
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 7, pi. XXII, n. 13. 



R. K 



7. Idem. 

Altro esemplare simile al prec, con variante di conio. R. A^ 
A. Sambon, Le Musée, pag. 12. 



120 MEMMO C agiati 



8. Idem. 

/B' - DNSVI - + — CTORIA Simile al precedente. 
^ — VITIRV — VGVTI - CONOB Simile al preced. R. A^ 
Coli, del duca Catemarlo di Quadri di Napoli. 

9. Idem. 

Altro esemplare simile al precedente con VG-VTV. R. ^ 
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 9, pi. XXII, n. 15. 



{Contìnua) Memmo Cagiati. 



UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE 





La moneta che intendiamo illustrare è un quat- 
trino rinvenuto, anni or sono, presso Montalto della 
Berardenga. del quale non si conosce la vera origine. 

Esso appartiene al tipo di quelli battuti nella 
prima metà del secolo XVI (i). É un quattrino cosi- 
detto nero, cioè di puro rame e senza lega, come 
ne furono battuti anche dalla Repubblica Senese. 
Nel suo diritto si legge : VENA • VENA • nel campo la 
grande S sfogliata ; nel rovescio : CIVITAS CIVIGINI, 
nel campo la solita croce gigliata. Nel rovescio fra 
le due parole sono due scudetti di forma simile a 
quello che si vede nel principio della leggenda nei 
quattrini senesi; pesa gr. 0,57. 

Quarè l'origine di questa monetina ? Crediamo 
di poter proporre tre ipotesi, delle quah l'ultima 
forse potrebbe presentare maggior verosimiglianza. 

Anzitutto potrebbe supporsi che si tratti di una 
brutta imitazione, eseguita in Camerino, della moneta 
senese, come altre ve ne furono, del genere di quella 



(i) D. Promis, Monete della Repubblica di Siena. Torino, Stamperìa 
Reale, 1868, pag. 55-57. 



IO 



122 PALMIERO PALMIERI 



illustrata dal comm. A. Lisini (^) battuta in Recanati 
da Pier Venanzio di Niccolò, zecchiere in quella 
città, recante nel diritto : S. FLAVIANVS nel campo S, 
e nel rovescio: RACANETO, croce gigliata. Perciò la 
leggenda del nostro quattrino, che per se non avrebbe 
significato, potrebbe far pensare che grossolanamente 
mascheri il nome di una zecca (2). 

Ma per quanto mi sia data cura d'investigare, 
non mi è riuscito scoprire nulla che possa dare in- 
dizio di una imitazione di zecche di altre città. E nem- 
meno ho trovato notizia di un passaggio di Pier Ve- 
nanzio di Niccolò zecchiere, da Recanati a Camerino, 
circostanza che avrebbe potuto dare un indizio, sia 
pur lieve, in riguardo alla monca leggenda. 

Resterebbe allora l'altra ipotesi, che cioè si 
tratti di un tentativo di falsificazione da parte di 
persone dello Stato di Siena. Che l'abitudine ci fosse, 



(1) A. LisiNi, Una imitazione del quattrino Senese. Miscellanea sto- 
rica senese, a. V, 1898, nn. 11-12, pag. 157. 

(2) Il Ch.mo sig. comm. dott. Alessandro Lisini direttore del R. Ar- 
chivio di Stato di Venezia, così cortesemente mi scriveva, in merito a 
questa moneta, il 19 gennaio 1914: " Questa mi sembra un'altra imita- 
" zione uscita dalla zecca di Camerino. La leggenda VENA " VENA " 
" vorrebbe stare per S. Venantius patrono di Camerino, l'altra inulto 
" confusa starebbe in luogo di ClVIT CAMERINI. Sia opera dello 
" stesso Pier Venanzio passato alla zecca di Camerino? In ogni modo 
" escluderei che fosse opera di falsari Senesi. Ad essi avrebbe poco 

* giovato, in caso di scoperta l'alterazione della leggenda, poiché la 
" falsificazione del quattrinello Senese rimaneva troppo evidente, e la 
" condanna non sarebbe stata attenuata „. 

Ed il Ch.mo sig. prof. dott. Luigi Rizzoli direttore del Museo Civico 
di Padova, così, non meno gentilmente, mi scriveva in data 13 marzo 

1914 : " Ho esaminato il lucido della moneta che Le interessa, & 

" Dopo aver dubitato che si trattasse di una vera e propria moneta 
" Senese uscita dalla zecca ribattuta, sarei venuto a concludere con il 
" Lisini trattarsi di una nuova contraifazione Senese. Stabilire poi il 
" luogo dove fu contraffatta ed indicare senz'altro Camerino mi sembra 
" molto azzardato. Del resto il Lisini e Lei, che conoscono meglio di 
" me i prodotti della zecca Senese, e quindi anche le contraffazioni 

* possono giudicare con la massima competenza anche in questo caso „. 



UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE I23 

per cui il caso non sarebbe nuovo, ce lo prova il 
Lisini stesso ^^); e che tale frode poi fosse comune 
anche nei Castelli Senesi, lo apprendiamo da quanto 
ci narra V Anonimo nel Bellum lulianum, a proposito 
dei Martinozzi di Monte li Frè, nella descrizione che 
fa del castello prima che venisse diroccato : « ... In 
« proximo crepido ex brupto cum brupeto et tor- 
« culari alcorio intrusum longo recessu locus re- 
u motior a omnibus instrumentis ad cudendam Mo- 
« netam, eo loci post dirutam Arcem, invenuti malici 
u quoque, et incudes reperti et cuprei Nummi, 
« nondum signati, sed tantum attonsi forcipe, Typi 
« et formule, diversam imaginem, tanta opportu- 
u nitate fretus in nove liber tatis odium, in Patrie 
u excidium, Latronum gregem Johannes Martinozius 
tf alebat » (2). 

Il castello di Montelifrè cadde in potere della 
Repubblica Senese, il 23 luglio 1526. Proprio in 
quest'anno nel quale, sembra, non si trascuravano 
i lavori monetari in Montelifrè, la Repubblica di 
Siena batteva moneta di necessità! (3). 



(i) A. Lisini, Moneta Senese. Miscellanea storica senese, a. I, 1893, 
n. 2, pag. 17. 

(2) Pecci, Storia dello Stato di Siena, parte VII, pag. 105. 

(3) " Anno 1J26 

Moneta di rame battuta per necessità a Siena. 

Nella città di Siena stava senza sospetto delle genti della lega, non 
havendo voluto entrarvi, benché da più bande ne fusse ricerca, et es- 
sendo fra le molte spese della guerra inhabile a trovar denari per 
altra via, poiché per assedio ebber tolto la fortezza di Montelifrè a Gio- 
vanni Martinozzi, mandarono a bandi i Conservatori della libertà e 
venderono et affittarono molte possessioni de' Cittadini, ch'erano ribelli, 
o fuorusciti, per supplir a' bisogni, occorrevano per servitio pubblico 
dovendo secondo le qualità degli accidenti, che giornalmente nascevano, 
spender in condur nuove genti d'arme, e fortificare in più luoghi con 
Baluardi le mura della Città, le quali spese conoscendo di non potere 
mantenere con l'entrate ordinarie e gravezze solite porsi a Cittadini, 



124 PALMIERO PALMIERI 



Vi ha un'ultima ipotesi che potrebbe mostrar 
forse maggior verosimiglianza. Essa trae origine e 
conforto dal luogo ove la moneta fu rinvenuta, da 
Montalto della Berardenga. Di esso scrive il Pecci (^): 
« Nella provincia della Berardenga vedesi situato un 
« piccolo Castelletto o piuttosto antico fortilizio, che 
a Mont'Alto addimandasi, perchè posto in Poggio 
« eminente, sebbene non così elevato che non gli 
u sovrastino all'intorno monti superiori. 

« Era da mura castellane, con Barbacani e ter- 
« rapieni circondato ma questi per le guerre, e per 
« il lungo corso degli anni in gran parte, presente- 
« mente al suolo appianate, danno unitamente con 
« tre Torri, che tuttora restano in piedi, sebbene 
« abbassate e ridotte a uso di Colombaie a cono- 
« scere opere di remotissima costruzione ». 

E più avanti <2) : « Considerava la Repubblica di 
« Siena questa Fortezza, che gli rimaneva distante 
« miglia dieci, come Frontiera fra quella parte col 
« dominio Fiorentino e perciò la tenea ben guar- 
« data e custodita etc... ». 

Appartenne Montalto ai conti Berardeschi, ma 
nella loro decadenza, con le altre terre e castelli, 
cadde in potere della Repubblica Senese ; la quale 
nel 1481 accordò agU abitanti diversi privilegi, allo 
scopo di aumentarne la popolazione, e di tenere il 
luogo ben fortificato. Ma poiché gli abitanti ne tra- 
scurarono la difesa, la Repubblica consegnò il ca- 
stello a M. Giovanni Palmieri, cittadino autorevole 



fecion battere gran quantità di quattrini di Rame puro, e con essi spen- 
dendoli per buoni fecion molte spedizioni etc... „. 

(Historia del Sig. Orlando Malavolti de fatti o guerre Sanesi, cosi 

esterne come civili etc In Venetia, MDXCIX per Salvestro Marchetti 

libraro all' insegna della Lupa. Libro VII della III parte, pag. 132). 

(1) Pecci, op. cit., pag. 331. 

(2) Pecci, op. cit., pag. 332. 



UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE I25 

ed accreditato, con solenne istrumento rogato da 
Ventura Cigni notaio Lucignanese il 15 giugno 1546. 
E fu concesso con patti e privilegi tali da sembrare 
poi effrenati, al Consiglio della Balia, che il 17 di 
ottobre dell'anno 1557, tolse ogni franchigia e pri- 
vilegio ai discendenti di Giovanni Palmieri, non la- 
sciando loro che il possesso del luogo con il titolo 
di Signoria ('). 

Ciò premesso sarebbe fuor di luogo supporre 
che negli ultimi anni che precedettero la caduta della 
Repubblica Senese, le cui finanze non erano molto 
floride al pari di quelle dei suoi Castellani, per sop- 
perire alle spese ed al soldo degli armati, che pur 
ve ne dovevano essere nel castello, a Montalto 
non si sia ripetuto quanto si fece a Montelifrè ? ; 
e che la leggenda imbrogliata sia dovuta ad impe- 
rizia di conio, oppure ad una artifiziosa ed ignoran- 
tesca unione di mezze parole, per togliere l'appa- 
renza di una vera e propria falsificazione della mo- 
neta di Siena o di quella di Camerino o di altro 
luogo, sistema usato appunto dai Gonzaga, dagli Ip- 
politi, dai Mazzetti, e da altri nel contraffare le mo- 
nete di altri Stati ? 

Ecco l'ultima ipotesi, intorno alla quale piacerà 
conoscere l'autorevole parere del Lisini, che così si 
esprime : 

« Può essere benissimo opera di qualche fal- 
« sario, ma non mi sembra una moneta ossidionale, 
« perchè questa sorta di monete non ricorreva alle 
u imitazioni. Gli stozzi trovati a Montelifrè dovettero 
« servire a falsari e non per monete legittime. Mo- 
" nete false Senesi se ne fecero in molte terre e 
« castelli e forse in Siena stessa. Non si può quindi 
« escludere a priori che anche in Montalto non se 

(I) Peco, op. cit., pag. 131-134. 



126 PALMIERO PAÌ.MIERI 



u ne siano battute. Però non si deve neppure di- 
« menticare che le anomalie delle monete in genere 
« e nelle medioevali in specie sono più frequenti 
a di quanto si crede. Imparaticci, prove di stampe 
u e di zecca., fanno spesso lambiccare il cervello ai 
« numismatici, e spesso fanno dir loro un sacco di 
« corbellerie ! ». 

In ogni modo, sia prezzo dell'opera nostra l'aver 
richiamata l'attenzione dei competenti sull'origine di 
questo infusorio della numismatica, secondo la frase 
dello Chalon, che potrebbe avere una storia curiosa 
ed interessante. 



Sovicille (Siena), 22 febbraio 191 6. 

Palmiero Palmieri. 



Contribuzione al « Corpus Nummorum Italicorum » 



Neir intenzione di portare un modestissimo con- 
tributo all'opera veramente grandiosa del nostro So- 
vrano, mi permetto far note ai lettori della Rivista 
le seguenti monete. 



CASA SAVOIA. 
Carlo Emanuele II duca (1648-1675). 




Mezza lira. 

B' - CAR • EMAN • Il • D BAVDI Busto a destra ; 

esergo : • • 52 « 

P — PRIN • PEDEMON o REX • CYP Stemma coro- 
nato ; esergo : * S • • 
Rame inargentato. — Peso gr. 6,10. 

Questa moneta che ha una certa rassomiglianza 
con la mezza lira descritta nel « Corpus Nummorum » 
voi. I (Casa Savoia) a pag. 342, n. 28-34 ^ tav. XXIV, 
n. 7, riterrei che fosse una prova di conio, poi non 
eseguita. 



128 PALMIERO PALMIERI - CONTRIBUZIONE AL « CORPUS n 

Zecche minori del Piemonte. 

CARMAGNOLA. 

Lodovico II marchese di Saluzzo (1475-1504). 

Soldino. 

^' — • LVDOVICVS • M • SALTIAR Scudo ritto coronato 

con cimiero. 
I^ — testina • SANCTVS • CONSTANTIVS : ^ : Croce gi- 
gliata, con 4 punti agli angoli. 

Argento. — Peso gr. 1,05. 

Soldino. 

fì' — • LVDOVICVS • M • SALTIA^f • Scudo ritto coronato 
con cimiero. 

P — testina • SANCTVS • CONSTANTIVS .'. Croce fiorata. 
Argento. — Peso gr. 0,98. 

Michele Antonio marchese di Saluzzo (1504-1528). 
Soldino. 

^ — : MCAEL • A • M : SALVTIA^I : Scudo coronato. 
^ — testina : SANCTVS : CONSTANTIVS : Croce fiorata. 
Argento. — Peso gr. 1,08. 

LOMBARDIA — Zecche minori. 

SABBIONETA. 
Isabella Gonzaga e Luigi Carafa duchi {1591-1638). 




Sesino. 

^ — ^ ALOI • C • ISAB ES Nel campo : grande S 

fra due punti. 
R) — SANCT VS NICCOLAV-- 11 Santo, con tre palle 
nella mano destra. 
Mistura. — Peso gr. 0,65. 

Palmiero Palmieri. 



NECROLOGIE 



LUIGI CORRERÀ. 



Il 24 gennaio 
scorso, in Na- 
poli, mancava ai 
vivi il professor 
comm. Luigi 
Correrà. 

Per nulla pre- 
sago della pro- 
pria fine, l'illu- 
stre uomo in 
quella stessa 
mattina si sen- 
tiva tanto feli- 
ce pregustando 
la gioia del ri- 
torno del suo 
caro figliuolo, 
che nel pome- 
riggio sarebbe 
giunto dalla fron- 
te della nostra 
bella guerra. Le 

malinconie, le ansietà dei mesi scorsi, le angosce contenute 
e severe della sua anima adusata all' immenso sacrificio 
della rassegnazione, si erano dileguate, ogni amarezza del 
suo cuore si era addolcita; ma nell'impaziente attesa dell'ora 
sospirata si era sentito agitato da una inquieta tenerezza, da 
un certo struggimento che gli fece desiderare di muoversi 
e di distrarsi, di uscir di casa con una delle dilette sue fi- 




130 NEC (^ OLOGIE 

gliuole per recarsi dal suo avvocato, più che per conferire 
di affari con lui per trovar modo d'ingannare il tempo. 

In famiglia si era rimasti intesi che più tardi tutti in- 
sieme si sarebbero incontrati alla stazione ferroviaria, all'ar- 
rivo del treno col quale doveva giungere il caro atteso; 
ed il treno arrivò, i primi sportelli si aprirono e ne disce- 
sero i viaggiatori più frettolosi, ma il giovane Ufficiale, che 
era tra questi, indarno girò lo sguardo ansioso a ricercare 
coloro che egli era sicuro di trovare lì, al suo arrivo, con 
le braccia aperte protese verso di lui. 

Il prof. Correrà qualche ora prima era stato colto da 
una trombosi cerebrale nello studio del suo avvocato; un 
valente dottore, chiamato in fretta, era accorso presso di lui; 
però ogni soccorso della scienza, per quanto sollecito, non 
era riuscito efficace a strappare al male, improvviso, violento 
e crudele, l'uomo che sino a pochi istanti prima era stato 
sano e robusto, vegeto e forte. Dolorosa, piangente la bella 
anima di Luigi Correrà si era allontanata dal mondo, il 
padre tenerissimo non aveva avuta la gioia di sentirsi an- 
cora una volta stretto tra le care braccia del suo figliuolo ; 
il baldo giovane, reduce dalle trincee, rivedeva i suoi cari, 
affranti dalla più penosa angoscia, accanto alla spoglia esa- 
nime del venerato genitore! 

Si divulgò di un subito in città la triste nuova della 
morte del prof. Correrà destando un senso d' incredulità e 
di doloroso stupore in tutti coloro che insino a pochi giorni, 
a poche ore innanzi, avevano incontrato e riverito V uomo 
stimatissimo, il benemerito cittadino, il maestro o l'amico 
carissimo. Le onoranze funebri furono degna e solenne ma- 
nifestazione di ammirazione e di rimpianto verso l'illustre 
Estinto, e poi, la Casa Correrà rimaneva immersa nel lutto, 
nel vuoto irreparabile che le si era fatto d'intorno; il gio- 
vane Ufficiale tornava al suo posto, tra le fila dei prodi sol- 
dati d'Italia! 

» 
* * 

Luigi Correrà, il degno figliuolo di queir illustre giu- 
reconsulto che fu Francesco Saverio Correrà, nacque in 



NECROLOGIE 13 1 

Napoli il 1852 e mostrò precocemente di aver sortito da 
natura eletto ingegno, carattere fermo, indole mite, una este- 
riore autorità — specchio dell' animo suo — uno squisito 
equilibrio tra il cuore schietto e generoso e la mente lucida, 
ordinata, aspirante alle più alte idealità. Giovinetto, avido 
come era di sapere, ingenerò meraviglia giustificata nei com- 
petenti, con la soda cultura classica e con la squisita ten- 
denza all'arte che lo rendevano ammiratissimo; senonchè 
il padre suo, luminare nelle giuridiche discipline, non voleva 
il diletto Luigi avviato a divenir letterato, poeta e pittore, 
ma vagheggiava nel figliuolo, così singolarmente dotato, il 
naturale continuatore delle proprie opere e della sua fama 
professionale. 

In omaggio al desiderio paterno Luigi Correrà si lau- 
reò giovanissimo dottore in leggi, però, attratto irresistibil- 
mente dalla sua passione dominante per gli studi storici e 
letterari e. per le ricerche archeologiche, continnò a coltivare 
questi suoi studi prediletti, trascurando i codici e le pandette. 
Quando poi un sogno d'amore s' impadronì del suo cuore, 
ed il matrimonio che a lui prometteva la felicità di tutta la 
vita ebbe a trovare contrasto insormontabile nella volontà 
dell' inflessibile genitore, si appalesò tutta la fermezza del 
carattere di Luigi Correrà; egli rinunciò ad ogni agiatezza 
abbandonando la casa paterna, affrontò l' ignoto, sposò la 
fanciulla adorata e andò a fissare la sua residenza in Roma, 
dove poco dopo si laureò Dottore in lettere e filosofia. 

Professore pareggiato nel 1889 insegnò storia antica 
nella R. Università di Roma ; storia antica ed epigrafia in- 
segnò poi nella R. Università di Napoli, dacché, rientrato fi- 
nalmente nelle buone grazie del padre, potè tornare nella 
casa del grande giurista ed allietarne gli ultimi anni di vita, 
insieme alla sua dolce ed eletta compagna, ai suoi cari fi- 
glioletti. 

* * 

Mente vasta e lucidissima, forte fibra di lavoratore, il 
prof. Correrà ebbe campo di porre in valore i doni largiti- 
gli da natura ; la sua multiforme attività potè svolgersi se- 



132 NECROLOGIE 



renamente nei diversi ambiti degli studi coltivati, nelle molte 
pubblicazioni edite ed inedite che ci ha lasciate — in cui è 
addensata materia tanto vasta e così varia da sbalordire — e 
tra i non pochi ed importanti incarichi, che in varie contin- 
genze dal Governo e dalla Città natale gli vennero affidati, 
in cui egli portò il suo metodo di coscienziosa analisi e di 
perfetto ordinamento, in cui lasciò orme incancellabili della 
sua straordinaria competenza, della sua eccezionale genialità, 
della sua intemerata onestà. 

In tutti i lavori del Correrà è da ammirare la dottrina 
profonda, la logica serrata, la rigorosità di metodo, l'intuito 
artistico, l'analisi accuratissima, la coordinazione mirabile; i 
suoi scritti sono quindi pregevolissimi. Articoli, note storiche 
ed artistiche, memorie originali, recensioni sugli argomenti 
più diversi, figurano in quasi tutte le riviste scientifiche ita- 
liane e straniere, ma non ci è possibile dare di essi un som- 
mario esame, non è possibile neanche un accenno, »in que- 
sta nota fugace, a tutta la poderosa opera del Maestro. Ci 
limiteremo quindi a citare alcune tra le produzioni del grande 
studioso, le quali per natura di contenuto, si debbono ri- 
tenere più idonee ad interessare i lettori di questa Rivista, 
e ricorderemo ad essi : 

Le piti antiche monete di Napoli. Nota letta alla R. Ac- 
cademia di Scienze Lettere ed Arti. Napoli, 1902. 

Ripostiglio di monete romane di Potenza, in questa Ri- 
vista. Milano, 1902. 

Osservazioni intorno ad una moneta di Neapolis, in Atti 
del Congresso internazionale di Scienze storiche. Roma, 1904, 
ed in questa Rivista. Milano, 1905. 

Ripostiglio di denari repubblicani in Roma, in questa 
Rivista. Milano, 1907. 

Note di Numismatica tarantina, in Neapolis, anno J. Na- 
poli, 1913. 

Saggio sulla Numismatica tarantina, in Neapolis, a. I. 
Napoli, 1913- 

Un ripostiglio di l/^ittoriati, in Rassegna Numismatica 
del Lanzi. Roma, 1914. 

La politique monétaire d'Athcnes du V siede avant notre 
ère, in questa Rivista. Milano, 1914. 



NECROLOGIE I33 



Ed a proposito delle pubblicazioni numismatiche del 
Correrà, un'altra ne avremmo avuta, che egli andava pre- 
parando, sulla monetazione delle colonie greche d' Italia, 
che avrebbe certamente preso un posto importante nella bi- 
bliografia della materia, dando gran fama all'Autore e grande 
profitto agli studiosi. Egli volle dare appunto un saggio 
della sua opera in preparazione nelle belle conferenze pe- 
riodiche, che si benignò di concedere al Circolo numismatico 
napoletano, del quale fu Socio fondatore e Consigliere, ed 
in esse svolse, tra l'altro, un originale suo metodo di clas- 
sifica greco-classica, una magistrale fusione del sistema to- 
pografico con quello cronologico, tenuto conto della dipen- 
denza della monetazione delle colonie da quello delle città 
di origini, metodo perfettamente rispondente a rendere meno 
arduo lo studio di quella numerosa varietà di tipi che ci ha 
lasciato il mondo ellenico. Quelle lezioni, che il Maestro si 
compiaceva di chiamare letture amichevoli, le quali tanto 
concorso di ascoltatori richiamarono, sono rimaste incom- 
plete, per il Sodalizio un ricordo, che oggi acuisce nei Socii 
il doloroso rimpianto per la impreveduta scomparsa del- 
l'acclamato conferenziere ! 



Delle tante benemerenze cittadine del prof. Correrà ri- 
corderemo il notevole atto di munificenza da lui compiuto, 
regalando alla Biblioteca Nazionale di Napoli la stupenda 
Biblioteca del padre suo, ricca di oltre quattromila volumi, 
nonché di tutte le dotte alligazioni giuridiche dello stesso. 
Non meno cospicuo fu il dono di un modello di officina elet- 
trica — del valore di oltre quindicimila lire — da lui offerto 
al Museo Trinchesi di scienze naturali, allorché, fungendo 
da Assessore per la Pubblica Istruzione della città di Napoh, 
ebbe occasione di curarne il riordinamento. 

Del pari lodevoli sono le numerose iniziative, sponta- 
neamente da lui assunte, e quale Consigliere Comunale, e 
quale Ispettore di monumenti e scavi, e quale Componente 
l'amministrazione dei Collegi Riuniti di educazione femminile. 
Il saggio, provvido ordinamento delle antichità — venute a 



134 NECROLOGIE 



mano a mano in luce durante i lavori pel risanamento di 
Napoli e nello sgombero dei monasteri femminili — la felicis- 
sima sistemazione delle stupende sale di Donna Regina — bar- 
baramente votate alla devastazione dall'inqualificabile van- 
dalismo burocratico — rendono imperitura la riconoscenza 
della Città verso il benemerito suo figlio. 

Vivendo di un costante lavoro, tra i suoi libri e le sue 
raccolte, coltivando nella sua cella, come modestamente so- 
leva chiamare il suo studiolo prezioso, studi profondi e dif- 
ficoltose ricerche, il prof. Correrà rivelava tra gli intimi e 
tra i suoi discepoli una giocondità che l'avvolgeva di una 
grande simpatia; però, quante volte nel corso della sua vita, 
non scevra di disavventure, egli dovè ricercare nella sua 
coscienza intemerata, nella fede cristiana, nel culto della fa- 
miglia, la pace per la sua anima nobilissima e generosa ! 
quante volte l'amore per la scienza e per l'arte, la stima 
affettuosa e devota dei suoi amici e dei suoi discepoli, la 
meticolosa cura per i suoi libri e per le sue raccolte, lo aiuta- 
rono a nascondere le grandi amarezze, perfino la violenza 
brutale del dolore, sotto un sorriso costantemente dolcissimo 
che si è spento d'un tratto ! 

* * 

Rievocando oggi il nome caro e riverito di Luigi Cor- 
rerà dobbiamo ricordare, come egli non inaridì mai la sua 
anima di artista squisito della dottrina tra le antiche carte 
e i libri, di cui rivelò ai giovani ogni fastigio col religioso 
culto dell'amante, coli' inalterata coscienza dell'apostolo, e che 
seppe raggiungere, nella sua nobilissima esistenza di studioso 
geniale, la perfetta armonia tra la scienza e la vita, quale 
egli le volle: una continua aspirazione ad ogni umano ideale. 
Il Correrà, maestro di storia e di archeologia, fu sommo 
conoscitore del mondo greco e del mondo romano, grecista 
e latinista perfetto, epigrafista e numismatico di grande va- 
lore, le cui opere non ebbero altra mira piìi agognata che 
la illustrazione di queste regioni meridionali d'Italia che egli 
amava di amore profondo. Dei nostri studi di storia e di 
arte locale il Correrà si occupò amorosamente, fino agli 



NECROLOGIE I35 



ultimi giorni di sua vita ; fino agli ultimi giorni suoi egli ha 
studiato ed amato, è stato esempio di operosità e di virtù 
non comuni. Con Luigi Correrà è scomparso uno dei na- 
poletani che più hanno onorata la Patria con il vigore dell'in- 
gegno, con la vastità della dottrina, con l'austerità della vita 
e con la nobiltà degli intenti. 
Onore alla sua memoria ! 
Napoli, Aprile 19 16. 

Memmo Cagiati. 



LUIGI RIZZOLI (SENIORE) 

—;-.—-" Di Luigi Rizzoli seniore (fu Giu- 
seppe) defunto il io gennaio 1916 
nella tarda età di quasi 86 anni, 
profondamente commosso m' ac- 
cingo a rievocare la nobile esi- 
stenza con la gratitudine di chi 
ebbe in lui una guida amorevole 
allo studio della Numismatica e alla 
pratica conoscenza delle antiche 
monete, con l'ammirazione di chi 
per essere a lui succeduto nel- 
l'ufficio di Conservatore del Museo 
Bottacin potè più e forse meglio degli altri apprezzarne il 
lungo, proficuo e sempre diligentissimo lavoro compiuto a 
vantaggio del Museo, con l'animo di un nipote che a lui fu 
affezionatissimo. 

Nato a Padova da Giuseppe Rizzoli e da Camilla Re- 
nato (28 marzo 1830) e cresciuto accanto al padre noto an- 
tiquario che a Padova conduceva un avviatissimo negozio 
al quale avevano confluito incessantemente le più preziose 
opere d'arte scultoria e pittorica, antiche armi e pregevoli 
monete, e dove avevano trovato convegno i dotti della città 
per intrattenersi sugli argomenti più disparati di scienza, 
d'arte e di letteratura, Luigi Rizzoli senza aver potuto se- 
guire un corso regolare di studi s'era creato un patrimonio 




136 NECROLOGIE 



COSÌ cospicuo di cognizioni storielle, numismatiche ed arti- 
stiche, particolarmente padovane, da essere ben presto ap- 
prezzato e consultato per la varia e soda coltura da emi- 
nenti studiosi italiani e stranieri. Conseguita in pari tempo 
la pratica del commercio antiquario, e favorito dall'esempio 
del padre che meritamente legò il suo nome alla scultura 
in avorio (i), s'era provato egli pure con successo a scolpire 
l'avorio, l'alabastro, la madreperla e ad eseguire artistici in- 
tarsi nei legni più ricercati per colore e durezza (2). Aveva 
inoltre il Rizzoli continuato con ogni cura a dare incre- 
mento ad una piccola ma interessante collezione di monete, 
medaglie, tessere e bolle padovane (3), felicemente iniziata 
dal fratello Pietro, studente d'ingegneria, morto a Padova 
nel 1851 in seguito ad infezione malarica contratta a Bron- 
dolo e a Chioggia durante l'assedio di Venezia, ch'egli con 
ardore patriottico aveva raggiunto per offrirle il braccio 
contro lo straniero oppressore (4). 

E Luigi Rizzoli pure, sebbene non avesse partecipato 
direttamente alle guerre per l'indipendenza nazionale, perchè 
trattenuto presso il padre che aveva bisogno d'assistenza 
per continuare nell'azienda antiquaria, aveva informato il suo 
animo ai più sinceri sensi d' italianità, come ne diede prova 
nel luglio del 1866 all' ingresso in Padova del magnanimo 
Re Vittorio Emanuele IL Allora egli, in unione ad altro pa- 
triotta, il prof. E. N. Legnazzi, ideò e fece costrurre in le- 
gname sulla piazza delle Erbe un grandioso arco trionfale 
ornato con trofei d'armi antiche e moderne e con bandiere 
nazionali, che attestasse la gioia e la gratitudine di Padova 
al suo Liberatore. 

Rigido di carattere, onesto fino allo scrupolo, religioso 



(i) Giuseppe Rizzoli padovano scultore in avorio e antiquario {Nozze 
d'oro Berti- Rizzoli). Padova, 1890. 

(2) La famiglia Rizzoli possiede non pochi di siffatti oggetti arti- 
stici dovuti all'abilità ed al buon gusto di Luigi Rizzoli. 

(3) Questa collezioncina fu dal Rizzoli stesso ceduta nel 1900 al 
Museo Bottacin ; cfr. Collezione numismatico-sfragistica padovana [in 
* Bollettino del Museo Civ. di Padova „, a. III]. Padova, 1900. 

(4) SoLiTRo Giuseppe, Un valoroso dimenticato {Pietro Rizzoli i82'j- 
i8ji) [estratto da " Il Risorgimento Italiano „, anno V (1912)]. Torino, 
Bocca, 1912. 



NÈCftOLOGlE 137 



senza ostentazione, il Rizzoli godette non soltanto le sim- 
patie di quinti ebbero occasione d'avvicinarlo, ma strinse 
anche numerose amicizie, che si resero sempre più salde nel 
periodo in cui prestò la sua opera come impiegato del Ci- 
vico Museo di Padova, al quale fu assunto nel 1865, dopo 
che cioè Egli aveva fatto ritorno da Trieste dov'arasi recato 
per incarico del Comune di Padova a ricevere le raccolte 
numismatiche, che il comm. Nicola Bottacin aveva a Padova 
generosamente donate  pare indichi 
la dinastia dei Savoia, che abbraccia nel suo do- 
minio Trieste redenta. Nello sfondo il golfo di 
Trieste con la Penisola dell'Istria. Intorno, a cer- 
chio, la leggenda scultorea nella sua classica bre- 
vità IMMORTALE • ODIVM NVMQVAM • SANABILE • 
VVLNVS • 




51I — Entro una grande corona di quercia, chiusa in basso 
da una targa romana coi numeri degli anni sto- 
rici di questa guerra MCMXV — MCMXVI, domina 
un'aquila romana, col capo volto a destra, posata 
su una roccia, che ha dintorno gli stemmi delle 
provincia redente all'Italia. Essa protegge con le 
grandi ali raccolte questi stemmi, e soprattutto sul 
dinanzi quelli di Trento e di Trieste. Nello sfondo, 
dal lato di Trento si delineano le cime rocciose, 
dal lato di Trieste se ne stende lontanando il golfo. 



VARIETÀ 153 

La medaglia, specialmente sul diritto, pel quale l'artista 
non fu inceppato dalle figurazioni araldiche, e potè dare 
slancio alla fantasia e al sentimento patriottico, si presenta 
una forte opera d'arte, alla quale aggiunsero vigoria l'alto 
rilievo, uscente libero dal cerchio, e la figura quasi diviniz- 
zata dell'eroe, che si protende, nella bella nudità classica 
degli eroi greci e romani, contro l'eterno oppressore. Questi 
è ormai ridotto all' impotenza, quantunque sia armato degli 
strumenti della tortura, coi quali per tanto tempo martoriò 
i nostri infelici fratelli di stirpe, di gloria e di dolore. 

Non si può osservare senza commozione questa nuova 
opera dello Stabilimento Johnson. Esso non lascia passare 
alcun avvenimento importante che non lo rievochi con qual- 
che durevole contributo alla medaglistica nazionale. E noi 
gli siamo questa volta doppiamente grati, perchè la sua me- 
daglia è per sé stessa il più fervido augurio, la più ferma 
promessa per la prossima completa liberazione delle terre 
irredente dall'odiato giogo straniero. E un atto di coraggio 
e di fede. 

S. Ricci. 



La vendita Ratti e la Collezione sfragistica al 
Museo Municipale di Milano. — Durante la seconda metà 
dello scorso marzo ebbe luogo a Milano, nelle sale del Cova, 
la vendita della collezione del fu dott. Luigi Ratti, costituita 
da stampe, libri, oggetti d'arte, documenti, sigilli, monete e 
medaglie riferentisi all'epoca napoleonica e specialmente alla 
città di Milano e alla Lombardia. 

La parte più completa della collezione era la serie dei 
sigilli, dalla dominazione spagnuola venendo fino all'austriaca; 
ma la bella serie di circa 800 pezzi, subendo la sorte co- 
mune di tutto il resto, andò frazionata nei giorni della ven- 
dita fra numerosi acquirenti, sebbene tanto la Commissione 
quanto il Conservatore del Castello, non avessero trascurato 
di tentare in precedenza di assicurare al Comune l' intera 
collezione. Le trattative abortirono e si dovette addivenire 
all'asta pubblica, nella quale la gara si svolse specialmente 

20 



451 VARIETÀ 

per talune serie di sigilli, concorrendovi anche il Governo 
nell'intento di contestare il disperdimento fra i privati. 

Per accordi intervenuti a mezzo del Conservatore, oggi 
si può dire che la raccolta dei sigilli sia assicurata nella sua 
quasi totalità al Comune, essendovi stata destinata in buona 
parte il fondo del lascito Galeazzo Visconti, per incremento 
dei Musei d'Arte. Con ciò si può affermare fondato il museo 
sfragistico milanese, e, intorno a questo robusto primo nu- 
cleo, sarebbe bene che venissero a riunirsi gli esemplari che 
tutt'ora si trovassero vaganti, senza scopo, presso i privati. 
Coloro fra questi che fossero possessori di qualche esem- 
plare di sigilli, riguardanti Milano e la Lombardia, qualunque 
ne sia l'epoca, dovrebbero affrettarsi a offrirlo alla nuova 
collezione sfragistica del Castello. Un esemplare isolato o 
pochi esemplari non hanno che un piccolissimo interesse ; 
ma ne acquistano invece uno grandissimo, riuniti in un tutto 
organico, come è quello che costituisce già oggi il nuovo 
museo. Possiamo anzi già affermare che qualche privato ha 
sentito il dovere di offrire qualche pezzo che conservava 
in famiglia. 

Sarebbe desiderabile che tale buon esempio avesse molti 
imitatori. 

La Direzione. 



II commiato dal [pubblico del '' Supplemento al- 
l'opera : Le Monete del Reame delle Due Sicilie „ di 
Memmo Cagiati (i). — L'ultimo fascicolo di questa interes- 
sante pubblicazione, che ha il vanto non solo d'aver conte- 
nuto quelle correzioni ed aggiunte ai fascicoli dell'opera : 
Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a 
Vittorio Emanuele IL che poi troveranno posto in uno spe- 
ciale volume, ma di essere stata la squilla di incitamento ai 
collezionisti, ricercatori, numismatici e storici dell' Italia Me- 



(i) Anno V, nn. 3-4, Napoli, luglio-dicembre 1915, del Supplemento 
all'opera " Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a 
Vittorio Emanuele li ^ a cura dell'autore Memmo Cagiati. 



VARUETÀ 155 

ridionale per collegarsi a un lavoro di ricerca utile e lode- 
vole, contiene un gentile commiato del Consigliere Delegato 
del Circolo Numismatico Napoletano, nella sua qualità di 
fondatore e direttore del Supplemento stesso. 

Partendo dal concetto, ormai riconosciuto da tutti, che il 
maggior merito della pubblicazione del Cagiati è stato quello 
di riunire in una associazione seria e fiorente, quale è il Cir- 
colo numismatico napoletano, i cultori di studii numismatici 
d'ogni parte d' Italia, il Cagiati riporta per intero la delibe- 
razione del Consiglio Direttivo stesso del Circolo, come è 
stata determinata nel processo verbale della seduta consi- 
gliare del 5 ottobre scorso : * Il Consiglio, ad unanimità di 

* voti, delibera la pubblicazione trimestrale del Bollettino 
" del Circolo Numismatico Napoletano affidato alle cure ed 
" alla responsabilità dell'Ufficio di Presidenza, che ne assu- 
" mera la Direzione e l'Amministrazione. Plaude alla pro- 
" posta del Consigliere Delegato, sig. Cagiati, ed alla sua 
" decisione di cedere in omaggio all'Associazione, specie 
" quando poteva dal suo Periodico, il Supplemento^ ricavare 
" onore ed utile personale, il diritto di pubblicare una Ri- 
" vista numismatica per le provincie meridionali d'Italia. Sta- 
" bilisce che il Bollettino del Circolo Numismatico Napole- 
" tano sia del formato e del tipo del Supplemento all'opera 
" del Cagiati, in 16 pagine di testo con illustrazioni, coper- 
" tina a parte, stampato in quel numero di copie necessario 
" per essere distribuito gratuitamente a tutti i Soci del So- 

* dalizio dal marzo 1916 (epoca in cui sarà pubblicato il 
primo numero) ed ai non soci per abbonamento „. 

Mentre a Memmo Cagiati dà tutto il suo plauso, la So- 
cietà Numismatica Italiana, che ha l'onore di averlo suo Con- 
sigliere, augura al nuovo Bollettino il miglior successo, come 
quello che riunisce gli sforzi delle altre pubblicazioni numi- 
smatiche italiane in una sola azione nazionale, dalle Alpi al 
mare, per tenere alto e rispettato, specialmente in faccia allo 
straniero, lo studio delle nostre discipline numismatiche e 
medaglistiche nelle tre loro massime manifestazioni : le pub- 
blicazioni delle ricerche o scoperte scientifiche, i cataloghi 
delle collezioni pubbliche o private, gli insegnamenti per for- 
mare nuovi numismatici, studiosi e collezionisti, che manten- 



156 VARIETÀ 

gano la nobile tradizione italiana nel nostro campo prediletto 
di indagine scientifica. 

Il fascicolo di commiato di Memmo Cagiati contiene un 
Indice particolareggiato, ordinato per nome di Autore, di 
quanto è contenuto nelle cinque annate 1911-15 del Periodico 
Supplemento all'opera: " Le Monete del Reame delle Due Si- 
cilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele IL Questo in- 
dice è seguito da un secondo dei sommarli di ciascun nu- 
mero per le cinque annate sopradette del Periodico Supple- 
mento e dall'elenco delie opere numismatiche di Memmo Ca- 
giati, fra le quali primeggiano le Monete del Reame delle 
Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele II, edi- 
zione in 300 esemplari numerati e firmati dall'Autore, divisa 
in tre grandi parti, di cui la prima, illustrante la Zecca di 
Napoli, la seconda illustranti le Zecche minori del Reame di 
Napoli sono già pubblicate; la terza parte, comprendente le 
Zecche Siciliane, è in corso di stampa. 

S. Ricci. 



Riunione delle Collezioni Numismatiche di Milano. 

— Il Consiglio Comunale di Milano approvò definitivamente, 
in prima lettura, nella seduta del 28 gennaio e, in seconda, 
nella seduta del 25 febbraio, la Convenzione col Governo 
relativa alla riunione delle Collezioni numismatiche, quale 
l'abbiamo data nell'ultimo fascicolo. 



Finito di stampare il 15 aprile 1916. 
RoMANENGHi Angelo FRANCESCO, Gerente responsabile. 



FASCICOLO IL 



APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA 



CXI e CXII. 

LA FAUNA E LA FLORA 

NEI 

TIPI MONETALI. 

(Continuazione e fine, vedi fase. I, 1916, pag. 11 a 83). 



PARTE IL 
LA FLORA. 

(Tav. V e VI). 

La Flora seguì immediatamente la Fauna nei tipi delle 
più antiche monete. Nel primo periodo greco, al Toro, al Del- 
fino, alia Civetta vennero subito ad aggiungersi la Spiga di 
grano, il Grappolo d'uva, la Palma, la Foglia d'Acanto e 
la Rosa; e il medesimo fatto si veritìcò nella monetazione 
romana. 

La serie della Flora è assai meno numerosa di quella 
della Fauna ; ma ciò non vuol punto significare che essa sia 
meno interessante. 

Come nella Fauna, così anche nella Flora, varia è l'im- 
portanza dei diversi soggetti, come varia è la loro durata. 
Alcuni non sono che occasionali e passeggeri, altri accompa- 
gnano la monetazione romana dalle sue origini alla sua fine. 
La Rosa, il Cipresso, il Fico, il Pino non vi fanno che una 
rapida apparizione e con pochissimo interesse, mentre l'Ai- 



i6o 



FR. GNECCHI 



LA FAUNA E LA FLORA 



loro, la Quercia, la Palma e la Spiga di grano spiegano la 
loro lunghissima vita con una espressione non certo minore 
dei più importanti soggetti della Fauna. La loro allegoria 
non è meno significativa e il loro allacciamento con la storia 
politico-sociale non è meno stretto ed è altrettanto continuo. 
Essi pure — e mettiamo in prima linea l'Alloro e il Fru- 
mento, quello per la parte morale, questo per la parte ma- 
teriale — rappresentano le glorie e gli interessi più impor- 
tanti del popolo e dello stato. 

Alcuni soggetti della Flora, come parecchi della Fauna, 
sono talora rappresentati quali Tipi, e specialmente l'Alloro, 
la Spiga di grano, la Palma e la Quercia ; ma più spesso 
ai vegetali tocca una posizione meno elevata, non essendo 
rappresentati che quali attributi, emblemi, accessori! o sem- 
plicemente quale ornamento, sempre però con un significato 
allusivo. 

Al pari di alcuni soggetti della Fauna, ne troviamo nella 
Flora parecchi, che non sono esclusivi della monetazione ro- 
mana; ma che riconoscono la loro origine nella numismatica 
greca ed hanno una continuazione nella medioevale italiana 
e nella moderna, come si andrà accennando di volta in volta. 

Discorrendo della Fauna, abbiamo notato come talora 
vi hanno differenze di significato fra l'uno e l'altro sesso. No- 
teremo ora come dei vegetali, talora sia il solo fiore o il frutto 
che viene rappresentato, talora la fogha, la fronda, il ramo 
o anche l'albero intero. 

La Flora comprende 15 voci, ossia : 



Alloro 


Giunco 


Quercia 


Cipresso 


Loto 


Rosa 


Edera 


Palma 


Ulivo 


Fico 


Papavero 


Vite 


Frumento 


Pino 


Vegetali diversi 



NEI TIPI MONETALI ROMANI l6l 



ALLORO. 

Il caso che, alfabeticamente, nel nostro idioma, assegnò 
il primo posto nella Fauna all'Aquila, l'assegna nella Flora 
all'Alloro. Come l'Aquila primeggia fra gli animali, il Laurus 
nobilis è quello fra i vegetali, che ha, nella tipologia romana, 
se non il posto più importante, certamente il più alto e più 
glorioso. L'Aquila e l'Alloro, indicati in origine a rappresen- 
tare la vittoria, la potenza e la gloria, divennero in seguito 
gli emblemi più chiari e più caratteristici della divinità dap- 
prima, poi del potere e della dignità imperiale. 

Dell'Alloro sono rappresentati nelle monete il ramo e 
la corona, più raramente, l'albero. 

Troviamo il ramo la prima volta accanto alla sedia cu- 
rule, nel denario di Q. Pompeo Rufo, 58 a. C, e una se- 
conda, accanto alla Lira, nel denario di Q. Cepione Bruto, 
44-43 a. C. Due festoni di lauro ornano la vera di pozzo di 
L. Scribonio Libo, 54 a. C. Due rami d'alloro pendono dal 
tripode nell'aureo di C. Cassio Longino, 42 a. C. e due rami 
d'alloro troviamo pure nell'aureo di P. Licinio Stolo, 17 a. C. 
(Grueber, 11, 81), fiancheggianti le insegne pontificali. 

Con Augusto il ramo d'alloro fa la sua più larga appa- 
rizione. Nell'aureo di Caninio Gallo due rami fiancheggiano 
una porta, che dovrebbe essere quella del palazzo imperiale. 
E i due rami troviamo ancora in aurei e denarii dello stesso 
Augusto. In un primo tipo (Coh., 47-48) l'effige anepigrafa 
dell' imperatore è fregiata della corona civica, e, alla corona 
imperiale, pare suppliscano i due rami d'alloro che stanno 
al rovescio, con la leggenda CAESAR AVGVSTVS. In altro tipo 
(Coh., 50 a 53) i due rami d'alloro sono posti ai lati dello scudo 
votivo. In un terzo la moneta è senza effigie (Coh., 206 a 208). 
Il rovescio è dedicalo alla corona civica, con la solita leg- 
genda GB CIVIS SERVATOS. e, al diritto i due lauri, con la 
leggenda CAESAR AVGVSTVS, oltre che a commemorare le 
due vittorie di Tiberio in Pannonia e di Druso in Germania, 
stanno a sostituire l'effigie imperiale. 

In tutti i sesterzii poi coniati dai monetarii d'Augusto, 



l62 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

recanti la corona civica (vedi Quercia), questa è sempre fian- 
cheggiata dai due rami d'alloro. 

I due rami d'alloro d'Augusto vennero riprodotti da 
Vespasiano (Coh., 109-110) e da Tito (Coh., 47) nell'occasione 
del centenario già piii volte citato a diverse voci della Fauna. 
Dopo questi e, dopo alcuni piccoli bronzi di Domiziano 
(Coh., 525 a 529), rappresentanti un Corvo poggiato su di un 
ramo di lauro, in alcuni dei quali (Coh., 526 a 528), un ramo 
d'Alloro figura pure al diritto della moneta, come simbolo 
di gloria, davanti alla testa d'Apollo, esso non appare più 
che quale simbolo di vittoria, nelle mani dell'Imperatore, del 
Senato, o di qualche divinità. 

E veniamo alla Corona, il simbolo che, sempre nel si- 
gnificato del massimo potere, accompagna tutta la moneta- 
zione romana dalla sua aurora al suo tramonto e che cronolo- 
gicamente ci si presenta prima del ramo e prima dell'albero. 

La testa di Giove è coronata d'alloro nel semisse della 
monetazione pesante e lo è sempre in seguito, ogni volta 
che viene riprodotta nelle monete della Repubblica, come 
lo sono quelle di Giano, di Saturno, d'Apollo. 

La corona d'alloro figura pure in diversi altri modi in 
molte monete d'ogni metallo. Già, durante la Repubblica, la 
troviamo dapprima come simbolo in monete anonime, poi in 
quelle delle famiglie Acilia, Aelia, Aemilia, Antonia, Arria, 
Aurelia, Caecilia, Carisia, Cornelia, Fabia, Fonteia, Hosidia, 
lulia, Lucilia, Manlia, Plaetoria, Valeria, Vibia, talora esposta 
veramente quale Tipo, talora circondante l'effigie del diritto 
oppure la rappresentazione o la leggenda del rovescio. 

Ciò avviene più raramente durante l' impero, ove però 
i voti: VOTA o VOTIS X, XV, XX. SIC XX, SIC XXX, ecc., o 
altre leggende importanti sono iscritte in una corona laurea. 

La corona d'Alloro è l'attributo più espressivo e più 
costante della Vittoria e talvolta anzi la sostituisce e la rap- 
presenta, come ne abbiamo un esempio nei bronzi di Nerone, 
nei quali il tipo di Roma è abbondantemente rappresentato. 
Nel sesterzio la dea Roma regge una piccola Vittoria, mentre 
nei moduli minori, a questa è sostituita la semplice corona. 

Come attributo della Vittoria, essa ha una rappresenta- 
zione estremamente numerosa. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 163 

La troviamo per la prima volta accoppiata alla Palma nella 
dramma della Campania, e da allora possiamo dire d'avere 
un seguito ininterrotto di Vittorie e quindi di corone sulle 
monete di ogni magistrato monetario e d'ogni imperatore. 
La Vittoria non cessa di reggere la corona, se non quando 
cessa d'avere significato e l'Alloro scompare contempora- 
neamente all'Aquila, ai tempi della decadenza. 

Ma l'ufficio più alto e più glorioso delia corona d'Al- 
loro è quello che essa compie quale ornamento delle effigi 
imperiali. 

Col principio dell'impero, con l'assunzione del principe 
a una dignità semidivina, che permetteva di dedicargli un 
culto, come testificano le monete, nelle quali è rappresentato 
il tempio a Roma e ad Augusto — ROìH{ae) ET hW(r{usio) — 
la corona d'Alloro passa dal capo di Giove, d'Apollo o d'al- 
tra divinità a quello dell'Imperatore romano. Essa non è più 
un semplice segno di Vittoria, ma riassume il significato del 
potere imperiale, e il suo posto non è più solamente al ro- 
vescio delle monete, sia pure quale Tipo; ma al diritto ove, 
quale marchio del supremo potere, cinge il capo dell* impe- 
ratore. 

Il Tipo che consacra questo fatto l'abbiamo in alcuni 
bronzi d'Augusto, coniati dai suoi monetarii P. Lucio Agrippa 
e Salvio Ottone, in cui si vede, dietro al capo dell' impera- 
tore, una piccola Vittoria che gli sta allacciando la corona 
(Coh., 447, 517 a 519). 

Non sono che i pochi principi abusivi, i tiranni, che non 
osarono assumere la corona di lauro, come Pacaziano, Gio- 
tapiano. Marino, Regaliano, Mario, Vaballato. 

Tutti i veri imperatori la portarono e non venne abban- 
donata, se non quando gli imperatori decadenti, vedendosi 
sfuggire di mano il potere reale, non trovarono di meglio 
che accontentarsi delle apparenze. E, come, avendo perduto 
l'arte dei bei medaglioni di bronzo, credettero supplirvi col 
valore intrinseco del metallo, coniandone dei miserevoli in 
oro, alla semplicità della verde corona d'alloro, sostituirono 
uno sfarzoso diadema di pietre preziose. 

La corona d'alloro non è certamente ornamento fem- 
minile. Assai meglio alla donna si adatta il filo di perle o il 



164 FR. GNFXCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

diadema ; ma però ne troviamo qualche volta eccezional- 
mente ornata la testa di Sabina (Coh., 19, 20, 92). 

Non occorre quasi accennare come l'Alloro a guisa del- 
l'Aquila, abbia perdurato, senza interruzione, a occupare un 
posto eminente nella numismatica medioevale e nella moderna. 

L'albero figura ancora talvolta come Tipo e citerò il 
testone di Francesco II Sforza per Milano col vecchio Alloro 
che non cede all'imperversare del vento NEC SORTE NEC 
FATO. 

Il ramo lo vediamo innumerevoli volte sporgere dalle 
corone gentilizie, reali o imperiali, oppure dagli stemmi, 
frammisto ad altro di Palma o d'Ulivo. 

E così pure è grandissimo il numero delle teste di re- 
gnanti cinte di corona laurea, la quale passò coi tempi da 
Augusto a Carlo Magno, a Carlo V e a Napoleone. 

La corona d'alloro figura sempre, anche al giorno d'oggi 
in un sì gran numero di monete e di medaglie, che non è il 
caso di fare citazioni. 

CIPRESSO. 

Eliogabalo teneva come albero sacro il Cipresso, e ap- 
punto di tale albero può interpretarsi il ramo che talvolta 
tiene nella destra (Coh., 213). 

EDERA. 

La Vite e l'Edera sono le due piante sacre al dio del- 
l'ebbrezza e della giocondità. 11 perchè della prima non abbi- 
sogna di spiegazione; ma, siccome di questa era facile l'abuso, 
la seconda serviva di antidoto, volendo la fama che fosse 
un calmante ai soverchi ardori provocati dal bacchico liquore. 
Oltre a ciò, l'Edera, come arbusto sempre verde, simboleg- 
giava la perpetua giovinezza. E per l'uno e per l'altro mo- 
tivo, la troviamo sempre collegata a Bacco e a* suoi seguaci, 
più ancora che non la Vite. D'Edera è quasi sempre coronata 
la testa di Bacco, di Sileno il suo educatore, di Libera e di 
Feronia. La più antica testa di Bacco coronata d'Edera è 



Mei tipi monetali romani 165 



quella che ci presenta il bes di C. Cassio Longino, 109 a. C. ; 
riprodotta in seguito nei quinarii di M. Porcio Catone, loi 
a. C, nel denario di Q. Tizio, 90 a. C, in quello di M. Vol- 
tejo, 88 a. C. e di C. Vibio, 43 a. C. 

L. Cassio, 79 a. C, ha un denario con la testa del Li- 
bero Padre da un Iato, coronato d'Edera e quella di Libera 
dall'altro, coronata di pampini ; C. Vibio Pansa, 90 a. C, ci 
offre, oltre alla testa di Bacco, quella di Silene, pure coro- 
nata d'Edera. 

E arrivianjo ai cistofori di Marc'Antonio, in cui l'Edera 
cinge la testa imperiale, oppure, mista a grappoli d'uva corre 
tutto air ingiro della rappresentazione del rovesciò (Coh., i). 

Nelle monete imperiali bisognerebbe seguire tutte le rap- 
presentazioni bacchiche, per intravvedere nelle minutissime 
proporzioni l'Edera che circonda il capo di Bacco, o che si 
intreccia sul suo tirso, talvolta frammista ai pampini. 

Una sola volta, a mia cognizione, è rappresentata la 
testa di Bacco nel campo della moneta ed è nel rarissimo 
antoniniano di Gallieno dal rovescio CONSERVATOR EXERC 
(Coh., 139 (i)) ed è in questa sola che possiamo chiaramente 
discernere le foglie d'edera che ne costituiscono la corona. 

FICO. 

Non entra nella numismatica romana che il Fico Rumi- 
nale e che forse meglio si direbbe Romilare, — quello cioè 
sotto cui la leggenda racconta che il Pastore Faustolo incontrò 
la Lupa allattante i Gemelli. — L'episodio è rappresentato 
dal denario già descritto nella Fauna {Lupa) di Sesto Pompeo 
Faustolo, 129 a. C, e, dopo d'allora, non ritroviamo più 
traccia di quest'albero. 

FRUMENTO. 

Il Chicco di grano e la Spiga sono gli emblemi della 
Fertilità e dell'Annona, rappresentano cioè la base dell'ali- 
mentazione. Era naturale che ne dovesse ben presto appro- 



(i) Rettificato nella Rivista Hai. di Nutn., 1913. V. Franc. Gnecchi, 
Bacco, pag. 151 e segg. 



l66 FR. GNECCHI — LA FAUNA K LA FLORA 

fittare la monetazione romana, come già aveva fatto la greca, 
specialmente nelle Provincie dell' Italia Meridionale. 

Il Chicco di grano già si trova in parecchi bronzi italici 
primitivi del Lazio e dell'Italia Centrale, e già la Spiga fi- 
gura nell'oncia di Lucerà e in un rarissimo bronzo quadri 
latero. 

In seguito, il Chicco fu abbandonato e la Spiga prese 
il sopravvento. Essa figura nel quadrante della Campania 
e in alcune monete anonime, certamente nel significato di 
fertilità dei campi, come la vediamo in seguito formare la 
corona di Cerere in denarii di C. Cassio Ceiciano, 90 
a. C, M. Fannio e L. Critonio, 89 a. C. , di L. Furio 
Brocco, 53 a. C, di Q. Cornuficio, 46 a. Ce nell'aureo 
di Mussidio Longo, 43-42 a. C. Anzi in quest'ultimo, non 
solo forma l'ornamento del capo di Cerere; ma è ripetuta 
quale Tipo monetale nel rovescio, come lo è pure in un 
denario di Q. Fabio M. Eburneo, 123 a. C, e in altro di 
Postumio Albino, 4342 a. C. 

Ma, durante la repubblica e anche durante l' impero, la 
Spiga che appare sovente, dapprima isolata nel campo della 
moneta, poi sporgente dal modio, o quale attributo e orna- 
mento di Cerere, più che la fertilità della terra, era dedicala 
a significare l'Annona o l'approvigionamento dello Stato, e 
quasi sempre rammenta e glorifica i fatti che vi riferiscono. 

C. Minucio Augurino, 129 a. C., ad esempio, rappresen- 
tando nel suo denario il monumento eretto tre secoli avanti 
al Console L. Minucio, vi pianta due Spighe allato, onde ri- 
cordare come quel monumento fosse stato la ricompensa per 
l'approvigionamento di Roma. 

M. Marcio, 119 a. C, mette nel suo denario le Spighe 
per glorificare il padre, che aveva saputo fornire a Roma il 
frumento al prezzo infimo di un asse per misura. 

C. Norbano, 84 a. C, pure volle glorificare il padre, 
che, durante la guerra sociale, seppe così bene approvigio- 
nare la città di Reggio, che i nemici ne dovettero abbando- 
nare l'assedio. 

Fausto Cornelio Siila, 64 a. C, allude colla Spiga al- 
l'approvigionamento di Roma eseguito da Pompeo. 

E altri parecchi magistrati ricordano col simbolo della 



NEI TIPI MONETALI ROMANI J67 

Spiga le cariche di edili, come T. Vettio Sabino, 69 a. C, 
onorevolmente sostenute da loro stessi o da qualche loro 
antenato. 

La Spiga isolata nel campo non figura che eccezional- 
mente nelle monete imperiali, come, per esempio, due Spighe 
stanno davanti all'effigie della Spagna in un denario auto- 
nomo di Galba (Coh., 429). 

Tiberio, in un raro suo bronzo (Coh., io), unisce due 
Spighe al Caduceo, per indicare il connubio del Commercio 
e dell'Agricoltura. In denarii e medii bronzi di Vespasiano 
(Coh., 163-4, 16970) e di Tito (Coh., 87, 89, 90) due mani 
giunte stringono un Caduceo e due Spighe con la leggenda 
FIDES PVBLICA, quasi per collocare il felice connubio sotto 
r invocazione della pubblica lealtà. Il medesimo simbolo è 
ripetuto da Antonino Pio (Coh., 344, 833, 871 a 873, 920, 
1056), quantunque vi manchi la leggenda. 

Quale 7 ipo poi figura più spesso il mazzo di Spighe, 
del quale Augusto diede il primo esempio coi suo cistoforo, 
imitato in seguito da parecchi, da Nerva fino a Giulia Donina; 
oppure il canestro di Spighe, di cui abbiamo il primo esempio 
in Domizia (Coh., 13 a 15), seguito poi da Pescennio e da 
Sett. Severo con la leggenda FELICITAS TEMPORVM. 

Di Cerere, sulle monete imperiali non è più rappresen- 
tata l'effigie, ma la personificazione, e la corona di Spighe 
dalla testa della bionda regina dei campi passa a quella di 
alcune Auguste, specialmente votate al suo culto. 

Livia, che apparteneva a questa schiera, non è coronata 
di Spighe che nelle sue monete coloniali ; ma, ne! seguito 
della serie romana, abbiamo Antonia in un aureo (Coh., i) 
e in un denario (Coh., 2), Agrippina giovane in un meda- 
glioncino d'argento, al rovescio di Claudio (Coh., 3), Domizia 
in diversi piccoli bronzi (Coh., 13 a 18), Sabina in bronzi 
(Coli., 21 a 23, 41, 42, 61, 63), in denarii (Coh., 32, 44, 56), 
in un aureo (Coh., 28) e nell'unico suo medaglione (Gn. i). 

Qualcuno credette vedere la corona di Spighe su alcuni 
aurei di Gallieno, fra cui quelli dedicati alla dea Galliena 
GALLIENÀE AVGVSTAE ; ma ormai è ammesso che si tratta 
sempre della corona di Giunco. Ved. a questa voce. 

La personificazione di Cerere nelle monete impenali, 



l68 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

tiene ordinariamente in mano due o tre Spighe, talvolta due 
Spighe e un Papavero e appare in un numero grandissimo 
di monete, incominciando da Giulio Cesare, proseguendo 
quasi senza interruzione, fino a Caracalla ; alla quale epoca 
cessa, per non riprendere che eccezionalmente con Claudio 
Gotico (?) e Giuliano IL 

Parecchie volte ancora ricorre la Spiga anche in mani 
diverse da quelle di Cerere, come per esempio in quelle di 
Livia d' Augusto poi dell'Annona , dell'Abbondanza, della 
Speranza, di Mercurio, di un Genio, di qualche Augusta. Nei 
medaglioni introdotti da Adriano e spesso ripetuti in seguito 
col tipo delle quattro Stagioni, rappresentate da quattro put- 
tini, nelle mani dell'Estate, vediamo costantemente le Spighe. 

Fino dalla repubblica e continuando coll'impero, la Spiga 
è adibita a indicare in modo speciale la fertilità dell'Africa 
e ne diviene uno degli emblemi ; così nel denario di Q. Me- 
tello Scipione e in quello del legato Eppio, 48-44 a. C. 

Nelle monete imperiah, quando venne introdotta la Per- 
sonificazione dell^Africa e specialmente dell'Egitto, vediamo 
la Spiga spuntare dalla terra, nei bronzi di Adriano dalla 
leggenda RESTITVTORI AFRICAE, oppure sporgere dal cor- 
nucopia che tiene il fiume Nilo, in rappresentanza dell'Egitto. 
Vedansi le numerose monete di Adriano, dalla leggenda 
NILVS (Coh., 982 a 1002). 

L'Ippopotamo, il Coccodrillo e lo Scorpione non sono 
che gli emblemi puramente geografici dell'Egitto; la Spiga 
è qualche cosa di più, accennando alla fecondità del suolo, 
e pare che a questo significato tendessero in modo speciale 
le rapprentazioni di quel fertile paese. Io credo anzi che 
tale medesima significazione abbiano i piccoli bambini che 
talvolta si vedono scherzare intorno al colosso del vecchio 
Nilo. Chi, in quei bambini, vuole riconoscere i confluenti 
del massimo fiume dell'Egitto, non riflette che, in tal caso, 
il loro numero dovrebbe essere fisso e costante, mentre il 
numero varia da uno a tre nelle monete, e diviene assai più 
considerevole nelle grandi sculture. Nel più splendido esem- 
plare delle rappresentazioni del Nilo, che si conserva nel 
Braccio Nuovo del Vaticano, il numero dei bambini scher- 
zanti e saltellanti, sale a sedici ! 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 169 

D'altronde, i confluenti del Nilo sono tanto lontani dal- 
l'Egitto abitato e civile d'allora, che assai probabilmente a 
quell'epoca non erano conosciuti. E poi ancora, i bambini 
sono discendenti, rappresentano cioè la posterità — e potreb- 
bero in ogni caso alludere alle diramazioni del delta — 
mentre i confluenti sono, se vogliamo così chiamarli, gli 
antenati o i progenitori del fiume. Mi pare quindi più ovvio 
e piti razionale di pareggiare quei pargoletti alle Spighe, 
riunendoli a queste nella significazione della fecondità di 
quella terra, portata appunto dal Nilo. 

Un'emblema che equivale alla Spiga pel significato è il 
modio. La sua figurazione come Tipo, già iniziata da L. Se- 
stio, 44-42 a. C, nel suo quinario e da Livinejo Regolo, 
43-42 a. C, nel suo denario, prende un grandissimo sviluppo 
durante l'impero. La sua più importante apparizione quale 
Tipo, l'abbiamo in un sesterzio di Nerva con la leggenda 
PLEBEI VRBANAE FRVMENTO CONSTITVTO, rammentando 
con ciò la riorganizzazione del servizio annonario in Roma. 

Il modio, da cui generalmente emergono alcune Spighe 
e spesso anche il Papavero, figura ancora qualche volta 
come Tipo in piccoli bronzi di Claudio (Coh., 72 a 75), di 
Adriano (Coh., 472) e in monete di Antonino Pio (Coh., 183, 
834, 874-75). Più spesso lo vediamo quale copricapo del 
Genio del Popolo romano o di qualche divinità come Iside, 
Serapide, Plutone, in segno di ricchezza e di abbondanza. 

Ma la sua serie più grande è quella che accompagna le 
Personificazioni dell'Abbondanza e dell'Annona, e special- 
mente di quest'ultima, di cui diventa l'attributo indispensa- 
bile. L'Abbondanza e l'Annona vengono riprodotte quasi 
ininterrottamente sulle monete di tutti gli imperatori, da Ne- 
rone fino a Gallieno, ed eccezionalmente anche più in là. 

L'Annona poi, il vero simbolo dell'approvigionamento, 
non ha solo il modio come proprio emblema; ma ne pos- 
siede un altro molto più grandioso. Assai sovente, al se- 
condo piano delle monete raffiguranti l'Annona, si vede spor- 
gere la prora di una nave, la quale, in questi casi, non è 
l'espressione della forza marinara della nazione; in senso 
bellico; bensì della sua flotta mercantile, adibita in modo 
speciale al rifornimento dei viveri. 



170 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 



Già sotto Nerone troviamo nella sua monetazione colo- 
niale rappresentate delle navi accompagnate dalla leggenda 
ADVENTVS AVGVSTI (Coh., 403 a 409); ma venendo alle mo- 
nete di Roma, tutte le triremi che costituiscono il Tipo di 
molti bronzi o denarii di Adriano, di M. Aurelio, di L. Vero 
e d'altri imperatori non hanno altra espressione che quella 
sopra accennata. Esse non parlano di distruzione, di rovine o 
di guerra, ma unicamente di pace e di abbondanza. Sono le 
navi che portano i prodotti dell'Africa e della Sicilia all'Urbe 
e rappresentavano la vita del popolo romano, il quale le 
salutava allegramente al loro arrivo. Ciò dà la chiave delle 
leggende che le accompagnano, le quali altrimenti rimar- 
rebbero inesplicabili. 

FELICITATI AVO- leggiamo in gran numero di bronzi e in 
qualche denario d'Adriano (Coh., 651 a 713) e l'iscrizione tal- 
volta è collocata sulla vela, in bronzi di M. Aurelio (Coh., 
188 a 195), di L. Vero (Coh., 69 a 84) e in un aureo di Gal- 
lieno (Coh,, 207), FELICITATI CAES in un bronzo di Com- 
modo (Coh., 118), FELICITAS TEMP in un bronzo d'Elioga- 
balo (Coh., 27), PROVID AVG in un medaglione di Commodo 
(Gn., 122) e in altri suoi bronzi (Coh., 635 a 639), FELICITAS 
AVG in bronzi di Carausio (Coh., 65-66), LAETITIA AVG m 
piccoli bronzi di Postumo (Coh., 164 a 186), di Alletto (Coh., 
17 a 22), ABVNDANTIA AVG in un piccolo bronzo di Caro 
(Coh., 5). E probabilmente a questa serie vanno aggiunte 
anche le altre monete rappresentanti una trireme, senza 
leggenda che vi alluda, come quelle d'Adriano (Coh., 445-49) 
dalla semplice iscrizione COS III. 

In quelle triremi sta la più potente espressione di quel 
chicco di grano, che sotto svariate forme, ora solitario, ora 
raccolto nella buccia della Spiga, oppure ammucchiato nel 
modio o più grandiosamente accumulato sulle navi, s'infiltra 
in tutta la monetazione romana e tutta la pervade dal prin- 
cipio alla fine, mettendovi una nota di felicità e di ricchezza. 

Anche al giorno d'oggi arrivano d'oltre oceano i tran- 
santlantici carichi di grano per la vecchia Europa, che non 
produce abbastanza pel suo consumo; ma la poesia se n'è 
andata. L'impressione che ne hanno i popoli non è più la 
schietta gioia di vivere ; ma piuttosto il dolore dell'oro occor- 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 



lente a pagarne l'importazione; a cui bisogna aggiungere... 
proprio nel momento in cui scriviamo..., anche la trepidazione 
e l'incubo dei siluranti nemici, che attendono i carichi al 
varco, per calarli proditoriamente a picco! 

La simbolica Spiga durò anche oltre l'epoca romana: 
ma nel medio evo quando, più che alla fecondità della pace, 
si pensava alle agitazioni della guerra, essa non vi fece che 
poche comparse. 

Nel vero significato antico non troverei che le due Spighe 
nel pezzo da quattro scudi d'oro di Alessandro Vili (1689- 
1691) per Roma coi due bovi aggiogati all'aratro e la leg- 
genda RE FRVMENTARIA RESTITVTA ; mentre negli altri 
esempi che si possono citare, è d'uopo riconoscere che il 
movente era stato piuttosto l'ostentazione che la realtà. Ab- 
biamo il mazzo di Spighe nello zecchino di A. Teodoro Tri 
vulzio del 1676 {Corpus, i), con la leggenda VIRTVTIS MESSIS, 
nella parpagliola di Filippo II di Spagna per Milano coniata 
nel 1593 con DONVM DEI, falsificata poi dalla zecca di Pas- 
serano, nello scudo di Innocenzo XII (1691-700) per Roma 
con la leggenda DET DEVS DE COELO e in varie monete di 
Filippo III e Filippo IV di Spagna per Napoli e in altre 
della repubblica napoletana del 1648... ma erano sempre 
tempi di miseria! 

La Spiga risorse nel suo vero significato nell'età moderna 
quando tornò a spirare l'aura di libertà e di progresso. 

Nel mezzo scudo della Repubblica Cisalpina (1797-1802) 
essa corona il capo della Repubblica. E più copiosamente 
figura nel primo progetto per la monetazione della Repub- 
blica Italiana del 1802-1803, tutto dedicato all'Agricoltura e 
al Commercio. Mentre i pezzi d'argento erano ornati al di- 
ritto d'una ghirlanda di Spighe, quelli di rame da i, 2 e 5 
denari portavano pure al diritto, come Tipo e nello stesso 
tempo come indicazione di valore espresso in cifre al rove- 
scio, una, due e cinque Spighe. 

Il grano ha pure una parte importante nella nostra mo- 
netazione moderna. La moneta d'oro rappresenta l' Italia 
Agricola che sta arando e nello stesso tempo tiene — forse 
anticipando gli eventi — un grosso manipolo di Spighe. 



172 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

La Spiga figura pure nel 20 centesimi di nichelio, e 
figurerà anche presto nel pezzo da io centesimi, di pros- 
sima coniazione. In questi momenti torbidi e tristi la Spiga 
ci sia buon augurio di pace e di prosperità. 

" Non divitiae pacem, sed pax divitias „. 

GIUNCO. 

Il Giunco o canna palustre è uno degli attributi delle 
(IfMtà marine, fluviali o lacustri, come il remo, l'urna da cui 
sgorga l'acqua, l'Ippopotamo o il Pesce. 

Lo troviamo quindi nei bronzi di Nerone (Coh., 250 
a 254), di Vespasiano (Coh., 404) e di Trajano (Coh., 525-26), 
nell'aureo d'Adriano (Coh., 11 13), nei medaglioni d'Antonino 
Pio (Gn., I a 3) e ne' suoi bronzi (Coh., 817 a 825) e nel 
medaglione di M. Aurelio (Gn., 24) col Tevere; nei bronzi 
di Trajano con l'Eufrate e il Tigri (Coh., 39), col Danubio 
(Coh., 136) o con l'Acqua Trajana (Coh., 20 a 25); nei me- 
daglioni di Adriano (Gn., 48, 49, 104) con l'Oceano. 

E, per non dilungarci troppo in citazioni, ci limiteremo al- 
l'aureo di Gallieno (Coh., 828), nel rovescio del quale l'im- 
peratore è rappresentato con un Giunco in mano, fra il Reno 
e il Meno, i quali pure sono forniti del Giunco. 

Ma con Gallieno il Giunco è assunto all'onore di cin- 
gere quale corona il capo imperiale. In un medaglione unico 
di bronzo (Gn., 24) dal comunissimo rovescio delle Tre Mo- 
nete e in parecchi aurei dal rovescio VBIQVE PAX e VICTO- 
RIA AVG- (Coh., 1078) e con la strana e curiosa leggenda 
al diritto GALLIENAE AVGVSTAE, il capo dell'imperatore è 
ornato della corona harundinacea. 

Molto si è discusso intorno a questi aurei, ai quali per 
lungo tempo si volle attribuire un significato satirico, che 
però non regge alla critica. Pare invece molto più natu- 
rale l'ipotesi, che queste monete siano state coniate in 
omaggio alla Ninfa Galliena, divinità acquatica (i). Questa 



(i) Vedasi in Num. Circular^ 1899. R- Movat, Les Médailles de Gal- 
lien à l'effigie couronnée de roseaux, pag. 3449 e in Rivista Hai. di Num., 
a. 1905. L. Naville, Quelques moimaies de Gallien en or et en bronae, 
pag. 179 e Francesco Gnkcchi, idem, 1906, Ubique Pax, pag. 151. 



NEI TIPI MONETALI ROMANI I^S 

ipotesi spiega nel medesimo tempo in modo esauriente tanto 
la leggenda femminile, da interpretarsi in senso dedicatorio 
alla Ninfa, cui Gallieno prestava un culto speciale, quanto la 
corona di Giunco, eccezionalmente adottata in omaggio alla 
medesima Ninfa, 

Un altro caso, che con questo ha qualche analogia è quello 
di una piccola tessera incerta dell'alto impero, che porta la 
testa di un bambino velato e coronato di Giunchi, mentre 
al rovescio ha le semplici lettere S-C- in una corona d'ulivo. 
Questa tessera è, assai probabilmente, il ricordo funebre del 
piccolo Annio Vero, figlio di M. Aurelio, morto a sette anni, 
forse votato in quell'occasione a una Ninfa o a una divinità 
acquatica. 

Vedasi alla voce Vite, ove si descrive una tessera simile 
attribuita al medesimo fanciullo vivente. 

LOTO. 

Quale veramente fosse la pianta di Loto che godeva 
culto in Egitto, e piiì anticamente in India, non sappiamo. 
Si trattava però d'una pianta acquatica, d'una ninfea. Era 
perciò intesa quale simbolo della generazione, prevenendo 
così la scienza moderna che dall'acqua ritiene formato il 
protoplasma. 

Il fiore di Loto ebbe già una vita nella numismatica 
greca e, nella romana, non l'ha che per riflesso della mito- 
logia egiziana. Non è che l'ornamento del capo d'Iside in 
qualche bronzo, come Adriano (Gn., 130-31; Coh., 1369), An- 
tonino Pio (Coh., 26), Faustina seniore (Gn., 37), Faustina 
juniore (Gn., 42 a 44) e piii tardi nelle molte rappresenta- 
zioni della dea egiziana, che ci offrono parecchi piccoli bronzi 
di Giuliano II ed Elena. 

PALMA. 

Il Palmizio o albero di Palma (e s'intende generalmente 
la Phoenix dactilifera), ha un significato molto differente 
dalla semplice fronda, a cui pure si dà il nome generico di 
Palma. 

83 



174 ^^' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Il primo non ha che un significato geografico. Indicava 
anticamente la Fenicia ; ma, nella numismatica romana, è 
specialmente chiamato a indicare la Palestina, ossia la Giudea. 

La Palma invece, ossia la fronda, veniva offerta dai 
Greci ai vincitori dei pubblici giuochi e restò in seguito sim- 
bolo di Vittoria in guerra. In tale significato generale rima- 
sero parecchie frasi nel linguaggio comune, come riportare 
la Palma, le Palme accademiche, la Palma del martirio. 

La Palma appare assai prima del Palmizio nella numi- 
smatica romana e già la troviamo in un sestante primitivo del- 
l'Umbria, dopo il quale passa e si perpetua nelle monete della 
Repubblica e dell'Impero. Raramente però ci appare come 
Tipo e ben pochi sono gli esempi che si possono citare ; il 
primo in un denario di Q. Licinio, 49 a. C., in cui la Palma 
è associata al caduceo e alla corona d'alloro ; il secondo in 
altro denario di C. Mario Tromentino, 17 a. C., nel quale la 
Palma ha un posto estremamente onorifico, figurando sola 
in una quadriga trionfale. E da quest'epoca, per ritrovarla 
come Tipo, dobbiamo saltare fino al terzo secolo, nelle mo- 
nete costantiniane. 

In alcuni denarii d'argento sono rappresentate tre Palme 
sorgenti dal suolo, col nome dell'imperatore e del Cesare 
in <:iro, CONSTÀNTINVS CAESAR (Coh., 82), CONSTANTIVS 
AVG- (Coh., 10-11). Altrove non è che attributo. 

Augusto ha un denario (Coh., 295), nel quale due Palme 
ornano il Clipeo votivo S P Q R CL V- 

E Vitellio scolpì una Palma davanti alla sua effigie in 
alcuni denarii (Coh., 100, to8) al cui rovescio la Vittoria non 
porta che uno scudo colla scritta S P Q R. 

Talvolta infine si vede nei bassi tempi una Palma sor- 
gere accanto a Giove o alla Vittoria o al Genio del popolo 
romano, e due Palme stanno molte volte accanto alla leg- 
genda nelle monete e nei n^edaglioni votivi, specialmente 
d'argento, dalle leggende SIC X, SIC XX, SIC XXX e simili. 

La Palma però ha una serie numerosissima, quale attri- 
buto della Vittoria, quasi sempre associata alla corona d'al- 
loro. Essa è portata dalle innumeri Vittorie, e non solo da 
queste, ma benanco da Venere vincitrice VENVS VICTRIX o 
dai militi scortanti i carri trionfali e, per via di tutte queste 



NEI TIPI MONETAU ROMANI 175 

figurazioni, s'infiltra nelle monete in numero stragrande, per 
tutta la durata della Repubblica e dell'Impero. 

Un'altra Personificazione, che ha per suo arredamento, 
insieme al cornucopia la Palma, non in senso di vittoria ; 
ma di gioia e di festa, è la Giocondità HILÀRITAS. Vedansi le 
monete di Adriano (Coh., 378, 818-820), Antonino Pio (411 12), 
M. Aurelio (Coh., 230 a 234), Faustina juniore (Coh., 109 a 
117), Lucilla (Coh., 28 a 32), ecc. ecc. 

La Palma, come simbolo di premio al vincitore nei 
giuochi, si trova sovente incisa e talvolta ageminata in ar- 
gento, sui Contorniati. 

Il Palmizio o albero di Palma non incomincia a compa- 
rire che con la conquista della Giudea e numerose monete 
di Vespasiano (Coh., 224 a 247, 591, 621 a 629) e di Tito 
(Coh., 107 a 119, 383 a 385, 391-2) ricordano quell'impresa, 
rappresentando la Giudea accasciata e piangente, appiedi di 
un Palmizio, con le leggende IVDAEA, IVDAEA CAPTA. IVDAEA 
DEVICTA o talora semplicemente con VICTORIA AVG-VSTI o 
anche anepigrafi, nelle quali è rappresentala la Vittoria, che 
sta scrivendo VIC AVG oppure OB CIV SER su di uno scudo 
appeso al tronco di un Palmizio, appiè del quale sta la 
Giudea piangente. 

Sempre alla Giudea si riferiscono il sesterzio di Vespa- 
siano con un Palmizio (Coh., 495), il bronzo anepigrafo di 
Domiziano con un elmo e uno scudo appiedi di un Palmizio 
(Coh., 535) e altri simili piccoli bronzi della famiglia dei Flavii. 

Segue il bel sesterzio di Nerva con la leggenda: FISCI 
IVDAICI CALVMNIA SVBLATA commemorante la soppressione 
degli abusi e la riorganizzazione dell' amministrazione in 
Giudea. Il solo Palmizio vi è rappresentato a simboleggiare 
la Provincia, cui la leggenda si riferisce. 

Anche la personificazione della Giudea quando nella 
scena non v'ha il Palmizio, è sempre accompagnata da uno 
due o ire bambini che recano una Palma (vedi Adriano, 
Coh., 51 a 57, 871-72). 

Per una sola volta con Antonino Pio, il Palmizio ritorna 
alla sua antichissima significazione, in un sesterzio ricordante 
la Fenicia PHOENICE, come antico simbolo di questa pro- 
vincia (Coli., 596). 



176 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

I! Palmizio è ripetuto qualche volta in seguito, da Set- 
timio Severo (Coh., 723 a 734), Caracalla (Coh., 636 a 644), 
Geta (Coh., 224), celebranti i trionfi britannici. Queste mo- 
nete rappresentano una o due Vittorie, in atto di appen- 
dere uno scudo al tronco di un Palmizio. Ma, se tale figu- 
razione aveva la sua ragione nella Vittoria giudaica di Tito; 
la riproduzione dei Severi non ne è che una servile imita- 
zione, priva di significato... a meno che vi sia una allusione 
che non so afferrare. 

A un tronco di Palma la Vittoria appende lo scudo vo- 
tivo VO DE in monete di Commodo (Coh., 663 a 672) con 
la leggenda SAECVLI FELICITAS. 

Il Palmizio nel Medio Evo non lo trovo rappresentato 
che una volta nel raro giulio dei conti Ippoliti di Gazzoldo 
1590-1663) con la leggenda INCLINATA RESVRGIT [Corpus, i) 
e una seconda nell'osella di Francesco Morosini (1688-94) '" 
rappresentazione del Peloponneso. 

La Palma, o, per essere più esatti, la fronda di Palma, 
conservò tutto il suo valore nella numismatica medioevale e 
anche moderna nel suo significato quale simbolo di merito 
e di vittoria in genere, quantunque non abbia più l'estesa 
applicazione che ebbe in antico. 

Nelle monete del Medio Evo il più delle volte la Palma 
figura nelle mani dei martiri. 

Nelle monetazioni degli ultimi secoli, la Palma si vede 
talora uscire dalle corone, frammista ai rami d'Ulivo o di 
Alloro. Due Palme fiancheggiano lo stemma in tutta la mo- 
netazione di Maria Teresa per Milano (1740- 1780) e in buona 
parte di quella de' suoi successori. Al Palmizio non rimase 
che una vaga allusione all'Africa o ai paesi caldi in generale. 

PAPAVERO. 

È noto come il Papavero sia il simbolo di Morfeo ; ma 
il Papavero nella numismatica è ben lontano dall'alludere al 
sonno e all'oblìo. Dobbiamo cercarne altrove il significato. 
Notiamo anzitutto che quello che si vede emergere fra le 
Spighe non è un fi ore di Papavero ; ma la capsula che ne 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 177 

contiene i semi, ossia il frutto maturo, che ha completamente 
perduto i petali. Ora il Papavero è uno dei vegetali che 
produce il maggior numero di semi e può essere preso 
come simbolo di fecondità e d'abbondanza. Si dice che il 
Papavero è tanto largo nella produzione di semi, che, in un 
breve giro d'anni, coprirebbe il mondo della sua vegetazione, 
se tutta la terra fosse a sua disposizione. 

Giova poi anche notare come il Papavero nella natura 
si associ facilmente al frumento. Il biondeggiante campo di 
grano è sempre abbellito e rallegrato dalle macchie rosse 
del fiore di Papavero e anche questa naturale associazione 
può avere contribuito a far accogliere il Papavero quale 
augurio di messe copiosa. 

Difatti il Papavero non compare mai solo nelle monete, 
ma sempre in compagnia della Spiga e ne forma, per così 
dire, il complemento. Lo vediamo di solito fra le due, quat- 
tro o sei Spighe che sporgono dal modio o dal canestro e 
talvolta anche fra le due Spighe che stanno nelle mani di 
Cerere, dell'Augusta, dell'Annona o d'altra personificazione. 
La sua presenza fra le Spighe però non è mai determinata 
da circostanze speciali, ma solo dall'opportunità d'arte o di 
spazio e non muta e neppure varia il significato della rap- 
presentazione. 

Per questi motivi mi parve opportuno accennare il 
fatto genericamente senza tenere nota particolareggiata 
delle sue apparizioni e senza dargli un posto nel prospetto 
sinottico finale. 

PINO. 

Di un ramo di Pino è coronato Silene nel denario di 
D. Giunio Silano, 89 a. C. 

E può essere di Pino anche il ramo che talvolta si 
vede nelle mani di Pane in alcuni medaglioni della buona 
epoca. 

QUERCIA. 

Prima dell'albero apparve il frutto e già troviamo la 
Ghianda in alcune piccole frazioni della monetazione italica 



178 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

primitiva. È però probabile che il significato allora non fosse 
quello della forza e che quel frutto non accennasse che alla 
buona vegetazione delle foreste o anche alla prosperità dei 
consumatori di ghiande, che certo formavano allora una parte 
cospicua del patrimonio sociale. 

Del resto la Ghianda, rappresentata da sola, incomincia 
e finisce con l'oncia del Lazio e in seguito non appare che 
sui rami di Quercia, frammista alle foglie. 

Nella litra della Campania vediamo, dietro alla testa di 
Marte, un ramo di Quercia e qui la Quercus robur^ ha cer- 
tamente il significato della forza ; ma anche questa forma di 
rappresentazione è unica e tutta l'importanza della Quercia 
è concentrata nei due rami allacciati e formanti corona. 

Neppure la rappresentazione di questa è molto estesa 
e certamente non può paragonarsi a quelle della corona di 
alloro ; ma a questa però segue immediatamente come im- 
portanza. 

La Corona laurea costituiva il vero serto imperiale, la 
Corona querna costituiva invece la corona civica, la quale 
non era stata creata appositamente pel capo imperiale ; ma 
aveva un'origine più antica e una storia. 

La corona civica era data come premio a chi, in bat- 
taglia, avesse salvato un milite compagno, abbattendo un 
nemico ; corrispondeva cioè alla moderna medaglia al valore. 
Era un distintivo eminentemente onorifico e le teste impe- 
riali non la sdegnarono. 

Anticamente era intessuta di due rami d'Elee Quercus 
sempervirens, poi si adottò il Castano, e infine si venne alla 
Quercia. È nella corona civica che la Quercia assolve il suo 
più alto e glorioso mandato. 

La corona civica è assunta da Augusto, che ne fa pompa 
in aurei, denari, assi, con la leggenda S P Q R (Coh., 284, 
285) e talvolta vi iscrive lOVI VOT SVSC PRO SAL CAES 
AVG S P Q R (Coh., 183), in altri, o sola o circondante il 
Clipeo votivo (Coh., 206 a 216) con la leggenda OB CIVIS 
SERVATOS. In altro ancora (Coh., 30) ne affida la custodia 
all'Aquila imperiale, che vi sovrasta, tenendola fra gli artigli. 

La ripetono in suo nome, quale Tipo, nei loro aurei i tre 
monetarii d'Augusto, Aquillio Floro, M. Durmio e Petronio 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 179 

Turpiliano. Essi coniarono due aurei per ciascuno, diremo 
simmetricamente, uno portante un diritto allegorico e al ro- 
vescio, qiinle Tipo, la corona civica con la leggenda CAESAR 
AVGVSTVS O C S oppure AV&VSTO OB C S, l'altro con ro- 
vescio allegorico, mentre al diritto vi figura la testa d'Augu- 
sto con la Corona querna.,. quantunque i cataloghi anche 
moderni, seguendo gli antichi, si ostinino ancora a dire : 
Testa d'Augusto laureata... come dicono sempre laureata la 
testa di Galba, mentre in molti de' suoi seslerzii sia vera- 
mente coronata di Quercia. 

La corona civica d'Augusto è poi ripetuta nei sesterzi, 
fra i rami d'alloro e, sola, negli assi e nei dupondii di tutti 
i suoi triumviri monetali pel bronzo, Q. Elio Lamia (Coh., 
340-41), Asinio Gallo (Coh., 368-69), Cassio Celere (Coh., 
408-9), Gallio Luperco (Coh., 434-36), Licinio Stolone (Coh., 
440-42), Marcio Censorino (Coh., 452-54), Nevio Sordino 
(Coh., 471-73), Plozio Rufo (Coh., 501-2), M. Sanquinio (Coh., 
520-21), Q. Crispino Sulpiciano (Coh., 505 a 510), T. Sem- 
pronio Gracco (Coh., 524-25). 

Ed è pure ripetuta nei bronzi coniati da Tiberio in me- 
moria ed onore d'Augusto (Y. Coh., n. 252 e 301 d'Augusto). 

La ritroviamo poi in seguito in un raro bronzo dello 
stesso Tiberio PONTIF MAX (Coh., io) e in monete di Caligola 
SPQR OB CIVES SERVATOS (Coh., 18 a 26), di Claudio 
EX se PP OB CIVES SERVATOS (Coh.. 86 a 98), di Galba 
SPQR OB CIV SER EX S C OB CIVES SER (Coh., 285 a 305), 
di Vitellio SPQR OB CIV SER (Coh.. 85 a 87). di Vespa 
siano. S P OR (Coh., 515 a 517), SPQR ADSERTORI LI- 
BERI ATIS PVBLICAE (Coh., 518 a 521), SPQR OB CIV 
SER (Coh., 523 a 532), di Tito SPQR OB CIV SER (Coh., 
265), di Trajano SPQR OPTIMO PRINCIPI (Coh., 581 a 584) 
e finalmente in monete e medaglioni d'Adriano SPQR ÀN 
FF HADRIANO AVG PP (Ch., 1424, Gn., 38) e d'Antonino 
Pi" SPQR OPTIMO PRINCIPI (Coh., 791 a 793) SPQR AM 
PLIATCRI CIVIVM (Gn. 43), SPQR AN FF OPTIMO PRIN- 
CIPI PIO (Gn. 44). 

E da quest'epoca la Quercia scompare completamente, 
a meno che una corona di Quercia si sia voluto rappresen- 
tare nelle monete di M. Aurelio portanti la leggenda PRIMI 



l8o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

DECENNALES fCoh., 491-499) e in un bronzo di Commodo 
S PQR LAETITIAE C V (Coh., 713), ove però, se tale era l'in- 
tenzione, l'incisore non sarebbe riuscito a imprimervi quel 
carattere deciso che non lascia luogo a incertezze. 

Poche esplicazioni ha la Quercia nella numismatica me- 
dioevale. Come Tipo l'albero figura nel pezzo da due doppie 
del 1590 di Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova e del 
Monferrato col motto ROBVR SISTIT. 

E la troviamo nelle monete papali di Sisto IV (1471-84) 
e di Giulio II (1503) come stemma della famiglia Della Rovere, 
come pure sulle monete dei duchi della Rovere, Signori di 
Pesaro e Urbino. 

La corona di Quercia, saltando il Medio Evo, riappare 
nelle monete moderne. Essa orna lo scudo della Repubblica 
Cisalpina e figura nel rovescio di tutte le monete di uno 
dei progetti per la Repubblica Italiana. Una corona contesta 
di un ramo d'alloro e uno di Quercia forma il rovescio delle 
belle monete del Governo Provvisorio di Lombardia del 1848, 

Una Corona di Quercia portavano le ultime monete di 
bronzo austriache pel Lombardo-Veneto (1859-60) e una co- 
rona d'Alloro e di Quercia portano le monete di rame del 
Regno d' Italia fino al 1902, ossia fino alla nuova mone- 
tazione. 

ROSA. 

È notoria l'abbondanza dei rosai che, fino dagli antichi 
tempi, abbellirono l'isola di Rodi, la resero celebre e le 
diedero il nome. La Rosa restò così il simbolo della bellis- 
sima isola e le sue antiche monete ne portano il tipico ricordo. 

Fu precisamente per ricordare la sua vittoria sui Ro- 
diani, che, in uno de' suoi denarii, C. Cassio Longino, 42 
a. C, il socio di Bruto nell'assassinio di Cesare, stampò la 
Rosa di Rodi sotto il Granchio che stringe, fra le sue bran- 
che, l'acrostolio. 

Questo è l'unico caso in cui possiamo assicurare d'avere 
una rosa sulle monete romane. 

In qualche altra moneta, come per esempio in altro de- 



NEI TIPI MONETALI ROMANI ifii 

nario dello stesso Cassio Longino, è rappresentato un acro- 
stolio, del quale alcuni vorrebbero vedere le punte termi- 
nanti in rose. E può essere, pel motivo ora esposto ; ma, 
sia in questo, come in altri simili casi, le rappresentazioni 
sono ridotte a proporzioni tanto microscopiche, che nessuno 
può assicurare che si tratti veramente di rose, piuttosto che 
di gigli o d'altro fiore, oppure di un semplice ornato floreale. 

La Rosa ha trovato nella numismatica medioevale e se- 
mimoderna uno sviluppo assai maggiore che non nella ro- 
mana. 

La zecca di Livorno ha la Rosa nelle piastre di Ferdi- 
nando II Medici (1655-70) e in quelle di Cosimo III Medici 
(1670-1723) ed anche in monete d'oro di quest'ultimo, che 
appunto si chiamano pezza e mezza pezza della Rosa. 

Si trova pure in uno zecchino di Ferdinando Gonzaga 
duca di Mantova (1612-26), cui si dava il nome di zecchino 
della Rosa. 

E ancora la troviamo in uno zecchino per Roma di Be- 
nedetto XIII (1724-30). 

Anche nelle Oselle veneziane la Rosa ha la sua parte. 
Alvise II Mocenigo (1700-1709) rappresenta un rosaio, a cui 
varia le leggende ETIAM RIGENTE HYEME VIRESCIT. SOLVM 
PROVOCATA FERII. Oppure, colla rappresentazione di Venezia, 
FVLCITE ME FLORIBVS. o, con la luna splendente nel cielo, 
MAGIS REDOLE! LVNA SERENA. 

Francesco Lovedano (i 752-1 762) vi scrive ROSA SVPER 
RIVOS AQVARVM. 

ULIVO. 

Ci troviamo davanti a un vegetale che olimpicamente è 
sacro a Minerva e forma uno de' suoi attributi, geografica- 
mente rappresenta la Spagna e moralmente simboleggia 
la Pace. 

Nelle monete repubblicane 1' Ulivo non appare forse che 
una volta, nel denari© di Fausto Cornelio Siila, 53 a. C, nel 
quale è rappresentato Bocco, re di Mauretania, inginocchiato 
davanti al propretore, in atto di offrirgli un ramo d'Ulivo. 

u 



l82 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Durante l' impero, incontriamo dapprima aurei e denarii 
di Augusto, nei quali uno o due militi (Coh., 130 a 135) pre- 
sentano rami d'Ulivo all'imperatore. 

In un piccolo bronzo di Domiziano (Coh., 300) che porta 
al diritto il busto di Pallade, al rovescio è dato come Tipo 
un ramo d'Ulivo con la leggenda IO - IO TRIVMP (Coh., 300). 

Nell'aureo anepigrafo di Trajano (Coh., 659) con la Fe- 
nice, questa è poggiata su di un ramo d'Ulivo. 

Dopo di che, il ramo non figura più quale Tipo ; ma 
dobbiamo accontentarci di trovarlo quale emblema nelle mo- 
nete d'Adriano riferentesi alla Spagna (Coh., 37 a 41, 821 a 
844, 1258 a 1274) oppure nelle mani di Minerva nei meda- 
glioni e nelle monete di parecchi imperatori, quando le leg- 
genda è MINERVA PACIFERA, d'Ercole HERCVLI PACIFERO, 
di Mercurio e anche di Marte, il quale è volgarmente chia- 
malo il dio della guerra; ma pure molte volte compie anche 
azioni di pace e, in queste occasioni appunto, le monete sono 
intitolate MARTI PACIFERO. 

Personificazioni allegoriche che spesso portano il ramo 
d'Ulivo sono la Pace, la Felicità, la Sicurezza e la Provvi- 
denza, PAX, FELICITAS, SECVRITAS, PROVIDENTIA e più ra- 
ramente la Tranquillità QVIES, in Diocleziano (Coh., 428) e 
in Massimiano Erculeo (Coh., 494). Spesso lo portano pure 
l'Imperatore, i Cesari, il Senato. 

L'albero d'Ulivo figura più raramente. Quale emblema 
della Spagna non trovo da citare che il bronzo già citato di 
Adriano (Coh., 1068). Quale emblema di Minerva, si possono 
accennare alcuni medaglioni di M. Aurelio (Gn., 45, 46, 49 
e 67) e alcune monele di Geta (Coh., 108 a no). 

Come la Spiga e come la Quercia, l'Ulivo non fece che 
qualche rara apparizione nel Medio Evo, durante il quale 
ricorderò il grosso di Vincenzo II Gonzaga duca di Mantova 
(1626-27) nel quale da un lato un ramo d'Ulivo è incrociato 
alla spada, mentre al rovescio sta la leggenda IVSTITIA ET 
PAX OSCVLATAE SVNT, lo scudo d'oro di Clemente XI (1700- 
1720) coH'albero d'Ulivo e la leggenda FIAT PAX, l'osella 
di Silvestro Valier, nel quale si vede una Colomba che vola, 
tenendo nel becco un ramo d'ulivo, con la leggenda VICTRIX 



1 



NEI TIPI MONETALI ROMANI 183 

CAVSA DEO PLACVIT, ed altra di Alvise III Mocenigo, in cui 
la Pace tiene il ramo d'Ulivo e il cornucopia, con la leg- 
genda IN VIRTVTE ET ABVNDANTIA PAX. 

D'una ghirlanda d'Ulivo circondano le leggende delle 
loro oselle i dogi Alvise Pisani {1735-1741), Pietro Grimani 
(i 741-1752). 

Ma, a guisa della Spiga e della Quercia, l' Ulivo risorse 
rigoglioso nelle monete e nelle medaglie moderne. Il ramo 
si vede sovente associato a quello d'Alloro e di Palma ador- 
nanti le corone, sempre nel medesimo significato biblico di 
Pace, che gli era stato attribuito al suo primo apparire PAX 
HOMINIBVS BONAE VOLVNTATIS. 

11 più antico accenno all'Ulivo è certamente quello del 
ramoscello riportato dalla Colomba lanciata dall'arca del 
padre Noè in esplorazione. Esso era l'annuncio della cessa- 
zione dell' ira divina, e dell'apparizione dell'arco baleno, an- 
nunciatore di pace alla terra rattristata e sconvolta dall' im- 
perversare degli elementi. 

Dopo tanti secoli, è sempre nel medesimo significato che 
il ramo d'Ulivo culminante nelle mani della Pace sull'arco 
di trionfo che da essa prende il nome, qui nella nostra Mi- 
lano, è pure brandito come segnacolo delle universali aspi- 
razioni, dall'Italia, nella nostra nuova moneta d'argento. 

E sempre a quel ramo che stanno rivolti tutti gli sguardi 
della parte civile d' Europa, in trepida attesa che il desiderato 
augurio possa verificarsi, perchè il mondo insanguinato e 
oppresso dalle barbare stragi e dalle immense catastrofi, 
ritorni alla vita, alla tranquillità, alla Pace, a quella pace uni- 
versale, come desiderava il nostro Cavour, che, coUegata colla 
liberta dei popoli, sarebbe il piti gran beneficio largito dalla 
divina Provvidenza! 

VITE. 

Il grappolo d'uva, che già aveva figurato nella numi- 
smatica greca, appare in qualche bronzo della serie grave 
del Lazio, poi ritorna come simbolo in parecchi bronzi 
anonimi della Repubblica, unitamente a una Farfalla che vi 
si posa. Difficile dire il significato tanto del semplice grap- 
polo come della riunione del grappolo alla Farfalla. 



184 FR. GNECCHl - LA FAUNA E LA FLORA 

Più facile ci riesce rilevarlo, quando vediamo i pampini 
accompagnare le rappresentazioni di Bacco, il quale aveva 
per suoi emblemi la Vite e l'Edera, e valga quanto si è detto 
a quest'ultima voce. Talvolta i due emblemi sono frammisti 
e riesce difficile fare una netta divisione. 

La Vite è sempre espressione di festività, d'allegria di 
gioventù. Una tessera di bronzo (Coh., 31), di attribuzione 
incerta perchè anepigrafa; ma sicuramente della buona epoca 
imperiale, rappresenta da un lato la testa d'un bambino co- 
ronato di pampini, il petto circondato da una ghirlanda di 
grappoli. E assai probabile che si tratti del piccolo Annio 
Vero, figlio di M. Aurelio. Al rovescio 1^ tessera porta le 
sole lettere S C in una corona di pampini e d'uva. 

Qui la Vite non avrebbe evidentemente che significato 
di giocondità e di gioventù, come il Giunco avrebbe avuto 
quello della mestizia e del dolore nell'altra tessera che forse 
è l'antitesi di questa e ricorda la morte dello stesso Annio 
Vero (Vedi Giunco). 

La Vite però è anche simbolo di fertilità, e tale signi- 
ficato è supponibile avesse il grappolo d'uva nella moneta- 
zione primitiva. 

Sul sesterzio di Trajano rappresentante la Dacia (Coh., 
125), uno dei due bambini, che le stanno accanto, porta delle 
spighe, l'altro un grappolo d'uva. 

Probabilmente deve interpretarsi coUiC un grappolo l'og- 
getto spesso indistinto, che sta in mano alla VBERITAS in 
Trajano Decio, Etruscilla, Erennio, Ostiliano, Gallo, Volu- 
siano, Gallieno, Salonina, Postumo, i Tetrici, Claudio 11^ 
Quintino, Aureliano, Tacito, Floriano, e in tal caso sarebbe 
sempre alla fertilità, che esso allude. 

In simile significato troviamo pure la Vite in due me- 
daglioni colle rappresentazioni della Terra e di Pomona. La 
Terra, TELLVS STABILITA, in Adriano (Gn., 90), Antonino Pio 
Gn. 99), Faustina juniore (Gn., 5), Commodo (Gn., 125 a 131) 
sta sdraiato all'ombra di una Vite, e, posando la destra sul 
globo terrestre che le sta accanto e sul quale quattro put- 
tini rappresentano le stagioni, si appoggia col gomito sini- 
stro a un canestro ricolmo di grappoli d'uva. Questa figu- 
razione è ripetuta in un bronzo di Giulia Donina dalla leg- 
(genda FECVNDITAS (Coh., 34 a 38). 



NEI TIPI MONETAU ROMANI 185 



Pomona nel medaglione di Commodo TEMPORVM FE- 
LICITAS (Gn. 133-4), sta seduta con due Spighe e un seme 
di Papavero nella sinistra, indicando con la destra due fan- 
ciulli ignudi che le stanno davanti in una tinozza. Il primo in 
piedi, coglie dalla Vite i grappoli, il secondo li sta pigiando, 
mentre un terzo in fasce sembra godere della scena. 

Il Medio Evo e l'Evo moderno, trascurarono quasi com- 
pletamente la Vite nel campo numismatico. Nel primo non 
trovo da citare che un grappolo d'uva nei tornesi della Re- 
pubblica napoletana (1648). E nella numismatica semimoderna 
dobbiamo citare ancora una volta il primo progetto per la 
monetazione della Repubblica Italiana, dedicato in modo spe- 
ciale all'Agricoltura. Un grappolo d'uva figura nei pezzi di 
argento, accanto al caduceo. 

VEGETALI IN GENERE. 

Come nella Fauna v'è l'Uccello inqualificabile, così av- 
viene parecchie volte nella Flora di non potere in alcun 
modo precisare di quali soggetti vegetali veramente si tratti 
ed è necessario riassumerli in un tutto indeterminato. 

Molte volte si incontrano altari, tripodi, templi inghirlan- 
dati. Quelle ghirlande sono formate da foglie, di fiori e di 
frutti; inutile cercare di quale specie siano quelle foglie, quei 
fiori e quei frutti. 

La personificazione della Speranza è data da una gio- 
vane che cammina portando un fiore. La Musa Erato ha 
per simbolo un fiore. Il Corvo nel sestante della Campania 
reca nel rostro un fiore. Ma chi potrebbe identificare questi 
fiori ? 

Così vi sono cornucopie e canestri ricolmi di frutti e di 
fiori indefinibili, e che del resto avrebbero sempre il me- 
desimo significato anche quando si potesssero definire. Erano 
semplicemente frutti e fiori in genere, con evidente allusione 
a festa, ad abbondanza, a ricchezza, a giocondità. 

Aquillio Floro, avendosi scelto come suo stemma genti- 
lizio un Fiore, ce lo offre in oro e in argento ingrandito, 
tanto da occupare tutto il campo della moneta. 



l86 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA 

Eppure nessun botanico lo saprebbe classificare, perchè 
così volle appunto chi inventò quel fiore. 

L'emblema di Floro doveva essere un fiore; ma un 
fiore indeterminato, astratto, generico e per ciò stesso inclas- 
sificabile. 

A questo proposito Aquillio Floro possiede un'altro de- 
nario, in cui sta una quadriga con un fiore, e alcuni vor- 
rebbero che anche questa alludesse al suo nome. Credo che 
qui la spiegazione non calzi, e non sia più l'allusione al nome 
che dobbiamo ricercare. E vero che da quella quadriga 
sporge qualche cosa di somigliante a un fiore; ma quella 
quadriga non è speciale ad Aquillio Floro, poiché il mede- 
simo denario fu pure coniato dai suoi due colleghi M. Dur- 
mio e Turpiliano, Non potendo supporre che questi l'abbiano 
fatto in omaggio a Floro, bisogna trovare un'altra ragione 
a quel tipo, che sia comune ai tre magistrati. E tale spie- 
gazione si trova facilmente quando, in quella quadriga, si ri- 
conosca il carro trionfale, che in una delle cerimonie dei 
misteri Eleusini, recava il calathus o canestro di fiori che 
era consuetudine offrire a Venere. 

Ciò non toglie però che le due quadrighe entrino nella 
categoria delle rappresentazioni di Vegetali in genere. 

Ai fiori indeterminati si possono aggiungere gli alberi 
del bosco ove caccia Diana, oppure dove Ercole sta ripo- 
sando delle sue fatiche o Igea sta nutrendo il Serpente di 
Esculapio. Sono elei, roveri, uHvi ? Chi li può distinguere ? 

Finalmente, nelle monete imperiali e specialmente nei 
medaglioni, si trovano figure di Deità bocchereccie. Pane, 
Silvano, che talora tengono in mano un ramo, che nessuno 
potrà mai dire se sia di Quercia piuttosto che di Pino. 

Questi sono i frammenti del mondo vegetale che entrano 
qua e là a far parte della decorazione monetaria. Essi sono 
così frazionati e così indistinti, che basterà averli accennati 
in blocco, senza scendere a una più minuta descrizione. 

Nel prospetto sinottico che segue non poteva mancare 
un posto per questi Vegetali in genere, i quali, benché ra- 
ramente abbiano un'importanza propria, entrano moltissime 
volte nelle rappresentazioni e spesso anche con uno speciale 
significato. 



PROSPETTO SINOTTICO 

DELLA FAUNA E DELLA FLORA 
NEI TIPI MONETALI DI ROMA 

DAI TEMPI PIÙ REMOTI 
FINO ALLA CADUTA DELL'IMPERO D'OCCIDENTE 



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Italica 

Primitiva 

Quadrilateri 

Monetazione 
Campano- 
Romana 

Repubblica 

Monete Anonime 

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Acilia .... 

Aelia 

Aemilia .... 
Afrania .... 
Annia .... 
Antestia . . . 

Antia 

Antonia .... 
Appuleia . . . 
Aquillia .... 

Arria 

Asinia .... 

Atia 

Atilia 

Aufidia .... 
Aurelia .... 
Autronia . . . 

Axia 

Baebia .... 


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Caesia .... 
Calidia .... 
Calpurnia . . . 
Canidia .... 
Caninia .... 
Carisia .... 
Cassia .... 
Cestia .... 

Cipia 

Claudia .... 
Cloulia .... 
Clovia .... 
Coelia .... 
Considia. . . . 
Coponia. . . 
Cordia .... 
Cornelia. . 
Cornuficia . . . 
Cosconia . . . 
Cossutia. . . . 
Creperia . . . 
Crepusia . . . 
Critonia. . . . 
Cupiennia . . . 
Curatia .... 
Curtia .... 

Decia 

Decimia. . . . 
Domitia .... 
Durmia .... 
Egnatia .... 
Egnatuleia . . . 

Eppia 

Fabia 

Fabrinia . . . 
Fannia .... 
Farsuleia . . . 
Flaminia , . . 
Flavia .... 


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Fulvia .... 
Fundania . 

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Gallia .... 
Garcilia .... 

Gellia 

Herennia . . 

Hirtia 

Horatia ... 
Hosidia .... 
Hostilia .... 

Hitia 

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luventia .... 
Licinia .... 
Livineia. . . . 

Lollia 

Lucilia .... 
Lucretia. . . . 

Luria 

Lutatia .... 
Maecilia. . . 
Maenia .... 
Maiania .... 
Maliia .... 
Mamilia .... 
Manila .... 
Marcia .... 

Maria 

Matiena .... 
Memniia. . . 
Mescinia . . . 
Mettia .... 
Minatia .... 
Minucia .... 
Munatia. . . . 
Mussidia . . 
Naevia .... 


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Numitoria . . . 
Ogulnia .... 
Opimia .... 
Oppia .... 

Papia 

Papiria .... 
Pedania .... 
Petillia .... 
Petronia . . . 
Pinaria .... 
Plaetoria . . . 
Plancia .... 
Plautia .... 

Plutia 

Poblicia. . . . 
Pompeia . . . 
Pomponia . . . 
Porcìa .... 
Postumia . . . 
Procilia .... 
Quinctia. . . . 
Quinctilia . . . 
Renia .... 
Roscia .... 
Rubria .... 
Rustia .... 
Rutilia .... 
Salvia .... 
Sanquinia . . . 
Satriena . . . 
Saufeia .... 
Scribonia . . . 
Sempronia . . . 
Sentia .... 
Sepullia .... 
Sergia .... 
Serviiia .... 


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Silia . . . 
Sosia . . . 
Spurilia . . 
Stalla. . . 
Statilia . . 
Sulpicia . 
Tarquitia . 
Terentia 
Thoria . . 
Titia . . . 
Titinia . . 
Tituria . . 
Trebania . 
Tullia. . . 
Turillia . . 
Valeria . . 
Vargunteia 
Ventidia. . 
Vergilia . . 
Vettia . . 
Veturia . . 
Vibia . . . 
Vinicia . . 
Vipsania . 
Voconia. . 
Volteia . . 

Imperò. 

Ponipeo M, 
Giulio Cesai 
M. Antonio 
Augusto. . 
Livia . . . 
Agrippa. . 
Cajo . . . 
Tiberio . 
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Valeriane P. . . • • • • • • • • • • • • • • • . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • ! • 1 • • • 1 F ^^XJ 3sr A. FI^OI^A. 20I ■Jf .^ i- : ; 1 « e eS 1 e H e : 1 1 1 L « ® . «a e ce e o. <»: » ® )na tuggin re ione elio Ilio ro ra mento ICO a» CS B = "^ « « •• m \ L e CL ( a- "= E >a=(.e£:(.B ri .£ e» (p i <» J o «. o ♦; = -a £ .2 e e 3 := S£ « H! T -i _l _ j Z a. Q. a. {o. Q. CO cole/} CO COH-I(-I-I-0> <1UU.CSQ L 3 > > , ; • . • • 3».».< 3 . . • . » . • • • 6 . . • . • 3 • . . . • . . . • . . • . . . . • • . . IO • • • . 1 » . • • • 7 • • 3 . . • . « » . . • • 4 • • • . . . . • . . . «o • • • . < » . • • • 7 • ...» 2 • . . • • • • . • . • .». , . 9 • . • • * 3 • . • . « I • . . • ....... 6». ♦.« I . . . . — • . . . » • . • 6 • . . . • 4 . • . • 4 ► . • . • 5 . . . • I . • . • 3 • • I . . ^ . ....... 2 ... . ....... 4». ••* . • . . 2 . • . • 2 » . • . • 6 • • . ....... I . . . . ...... 2 «... , . . . . 2 ....... 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Massimino D Massenzio . » IP A.TJ 3Sr A. ft^c:>:eìa. 203 CB g ♦^ O t8 O — c > _ _ cs ce tt e ^■'-i z Q. a. a. Q. e u u : « ^ 1^ 0. C/3 CO i C/3 CO ICO *- Jl O O = Si® »- = > I |ao 3 4 I 2 1 o 3 8 4 3 2 3 3 3 5 3 5 3 6 5 6 5 6 2 6 4 5 5 5 5 I 3 5 5 5 5 3 4 2 I 3 2 5 3 204 F A.XJ 3Sr A. 3 < 'ZI < e "co < > o 03 "a E CS ai e ce o <0 a. OS e e e u 'il a. ce o « > ce o S 3 ce ■*-< e 93 o 03 .a 03 o > L. a> O ce e ai o « 03 .2 le e O ce 03 > © •a e o u e O ce .s E _o e u o 'E o o e > o o e s a o co ai e .2 LlI _ce ce u. e = « ce U. CS Romolo .... Aless.» tir," . . Licinio P. . . , Licinio F. . . . Valente tir.» . . Martiniano. . . Costantino M, . Fausta .... Crispo .... Delmazio . . . Anniballiano . . Costantino II . . Costante I . . . Costanzo II . . Nepoziano . . . Vetraniano. . . Magnenzio. . . Decenzio . . . Cost.e Gallo . . Giuliano II. . . Elena .... Gioviano . . . Valentiniano I . Valente .... Procopio . . . Graziano . . . Valentiniano II . Teodosio I . . Flacilla .... Massimo . . Vittore .... Eugenio. . . . Onorio .... Costanzo III . . Placidia .... Costantino III . Costante . . . Massimo tir." . . Giovino .... Sebastiano. . . • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • r • ■ ■ r 1 F J^TJ nsr j^ FIL.OR.A. 205 « ea ^ , - Q. — e > es (S i u ' e CI. :a.,a. 0. O I e» I o 0. co 'CO I a 4 2 I I IO II 5 3 a 2 j 2 3 2o6 F .AuXJ N" A. "5 < 09 < e e < > e CD o E O 93 C ce o te CL ce o o e t- o o 'i- o. ce U o "èe > ce o £ s ce "S 0) e 1. a> .n t. ai O o > U ce e ss o o .5 Is s> e ò ce ■f > 'Z. •a e o u o u ce E _o o o e "jat 'E o o e > e U e e (^ > 1 ! • . I 2 I I 2 I . . 2 . . 2 . . 2 . . 2 . . 2 . . 2 . . I . . I . . I . . I . . 2 . • 3 . . 2 Satiro Scarabeo Sorcio Struzzo Toro alato — Antonino Pio — Monetazione primitiva. — Quinctia. — Trajano. — Antonino Pio Cipresso Fico . Leto . Papavero Pino . Rosa . FLORA. Eliogabalo Pompeia Adriano — Antonino Pio — Faustina se- niore — Faustina juniore — Giuliano II — Elena Eliogabalo Cassia . Errata corrige: pas. 23 Ariete (rìsa 1 1 ) in luogo di Gn. 29, lessasi Cn. 80, 69. pas- 40 Civetta b luogo di Grueber, voi. I, pas. 342, lessa» voi. 1, pas. 584. Per una svista tipografica nel Prospetto Sinottico fu omesso il sesno indicante la prewnza, pei Buenti sossetti: Asino a Traiano Dedo, Gallieno, Aureliano. Cicogna, Corvo, Ippocampo a M. Antonio. Ibi» ad Adriano, Antonino Pio, Gallieno. I-epre ad Adriano, Antonino Pio, Faustina iun., Commodo, Treb. Callo, Probo, Caro e Carino. Tigre a Settimio Severo, Caracolla e Geta. 2o8 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA PROSPETTO RIASSUNTIVO DELLE APPARIZIONI DI CIASCUN SOCGETTO DELLA FaUna E DELLA Flora NELLA NUMISMATICA ROMANA FAUNA Aquila Ariete Asino Bove Bove a faccia umana Camello Cane Capra-Capro . . . Capricorno .... Cavallo Centauro .... Cerbero Cervo Cicala Cicogna Cinghiale .... Civétta Coccodrillo .... Coleottero .... Colomba Conchiglia bivalve Conchiglia elicoidale. Coniglio Cornacchia .... Corvo Delfino Drago Elefante Farfalla Fenice Gabbiano .... Gallo Gazzella Giovenca .... Granchio .... Grifone Ibis Idra Ippocampo .... Ippopotamo. . . . Leone Lepre Lupa Minotauro .... Mosca 38 7 82 16 6 3 13 2 — 3 2 II II 9 8 I IO 113 3 90 6 6 I 3 8 5 16 3 IO 4 9 2 4 I — 3 4 I — I — — 3 I — 5 5 9 20 — 5 II 34 2 — I 3 16 3 I IO — 4 2 — . 3 5 — 3 — 4 4 2 78 4 44 — IO 6 24 — I I — 120 23 3 19 2 5 20 19 II 203 9 5 22 I 6 18 13 6 I 7 I I 3 I IO 29 5 45 2 16 I 6 II 4 2 3 3 4 6 4 122 IO 30 I I cs 1 ® 3 u a. a. ce £ Mula-Mulo . Orso . . . . Pantera . . . Pantera alata, Pavone . . . Pegaso . . . Pesce . . Polipo . . . Pollo . . . . Porco . . . Rana . . . . Rinoceronte. • Rombo . . . Satiro . . . Scarabeo . . Scorpione . Scrofa . . . Serpente . ■ Sfinge . . . Sirena . . . Sorcio . . . Struzzo . . Testuggine . ■ Tigre. . . . Toro . . . . Toro alato. Tritone . . . Uccello . . . Vitello . . . FLORA Alloro Cipresso Edera Fico . Frumento Giunco Loto . Palma Papavero Pino . Quercia Rosa . Ulivo . l/ite . Vegetali diversi 1 12 — 3 2 9 — I 6 27 5 I 1 I I I 7 3 I — I I 4 I 2 2 17 4 60 I 6 2 I - I 2 I I Q IO 22 — I 4 7 I 3 a 4 132 142 — I 7 7 I — 29 66 15 6 32 12! aa I 16 4 67 7 2! 24 126 13 3 II 1 27 II 2 I 2 IO I I I 1 I 6 6 77 7 2 I I 3 4 32 I II 4 6 274 I 14 I 95 15 6 153 ? 38 I 71 31 '47 LA MONETAZIONE DI AUGUSTO PARTE QUARTA. ZECCHE DELLA BITINIA. Poche classificazioni cronologiche hanno subito tanti spostamenti quanto quella delle monete che sto per descrivere, carattei izzate dalle epigrafi CAESAR DIVI F ed IMP CAESAR ; monete le quali debbono ora subire anche un necessario spostamento geografico. Il Cohen (i> nella sua descrizione delle monete di Augusto, che comprende anche quelle emesse sotto la Repubblica, attribuisce loro la data 719 35. 726/28 a. C. Babelon (^) invece le considera come prettamente repubblicane, assegnando la loro origine agli anni 715 40 a. C. per la prima serie e 126 28 per la seconda. Cabrici incidentalmente (3) ne ac- cenna facendone una emissione della zecca romana dal 71836 al 726/28. Finalmente Grueber (4) asse- gnandole anch'egli a Roma attribuisce ad esse la data 36-27 a. C. Ma i lettori hanno già appreso, nelle trattazioni precedenti, i motivi che si oppongono a tale asse- gnazione. Infatti la maniera artistica alla quale si in- formano le monete suddette, prettamente greca, di- ti) Monnaies Imperiales, seconda edizione, Augusto. (2) République Roniaine, volume secondo, lulia. (3) La Numismatica iti Augusto in Studi e Materiali di Archeologia e di Numismatica, II, 1902. (4) Op. cit., voi. II, pag. 8-17. 2fÓ LODOVICO LAFFRANCHl mostra la insostenibilità delle ipotesi affacciate dal Grueber per trovare una spiegazione alla mancanza dei nomi tresvirali, mancanza assolutamente inespli- cabile su monete che, se coniate a Roma sarebbero state precedute da quelle coi nomi dei tresviri Vo- conius e Sempronms, nonché seguite da quelle coi nomi di Aquillins, Diirmius e Petronius, e credo an- che di aver sufficentemente lumeggiati i motivi po- litici che giustificano il mancato funzionamento della zecca di Roma durante questo periodo. Però a chi fosse lento nel percepire la diff'erente abilità artistica alla quale sono improntati i prodotti delle due monetazioni, potrei additare un confronto dei più persuasivi, quello tra la Venere rappresen- tata sull'aureo emesso a Roma da Vibius Varus (tav. VII, n. i) durante la monetazione repubblicana che precede quella di Augusto, rappresentazione ca- ratteristica per la sua goffaggine, che è poi quella di tutti i tipi monetali coniati a Roma anteriormente a Tiberio, e la Venere di proporzioni scultorie e d'arte veramente greca quale noi vediamo sulle mo- nete con CAESAR DIVI F (Tav. VII, n. 2). Anche gli altri tipi religiosi quali Diana, Apollo e Nettuno, comunissimi sulle monete locali dell'Asia e della Grecia, appaiono semplicemente delle copie adattate al nuovo compito di esprimere simbolica- mente le vittorie di Naulocos e di Azio, e persino il tipo della Vittoria Aziaca non è se non la modifica- zione della Vittoria di Samotracia che vediamo sulle monete di Demetrio Poliorcete. È però grande sfortuna che non siano perve- nuti dall'Oriente dei ripostigli intatti delle monete in questione, giacche il loro studio avrebbe maggior- mente suff'ragata la mia tesi, quantunque la sola cri- tica d'arte basti per affermare la loro origine greco- asiatica. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 211 » È alle zecche della provincia di Bitinia che io assegno l' intero gruppo levato alla zecca di Roma, ove rappresentava una indebita intrusione, e ad in- durmi a tale assegnazione, ebbero forza le monete municipali a leggenda greca di Nicomedia e di Nicea emesse quando, in data incerta, la reggenza di detta provincia era affidata al proconsole Turio Fiacco : alla quale reggenza si può ora assegnare con cer- tezza la data 28-27 a. C. ^ — Testa nuda di Augusto a sinistra, dietro in leggenda verticale NIKAIEflN. (Tav. VII, n. 43). ^ — Eni ;i ANTinATOY il OflPIOY 9AAKK0Y verticalmente m leggenda formata da tre linee. La Vittoria an- dante a destra tenendo la corona e la palma, nel campo monogramma vario. MB., mill. 27, Babelon (i), Nicea, n. 13, 14, 15. ly — Testa nuda di Augusto a destra, dietro in leggenda verticale NIKOMEAEinW. (Tav. VII, n. 41). I^ — Leggenda come la precedente in quattro linee ver- ticali. La Pace a sinistra tenendo colla destra il caduceo e colla sinistra un ramo d'ulivo abbassato, nel campo monogramma vario, all'esergo EIPHNH. MB., mill. 27, Bab., Nicomedia, n. io. Che il conio del n. 41 sia l'opera del medesimo artista che eseguì quello del denaro n. 37, ed altret- tanto si debba dire dei nn. 43 e 39, mi sembra in- {I ) Babelon, Waddington e Reinach, Recueil generale des Monnaies d'Asie Mineure, fase. III. LODOVICO LAFFRANCHl dubitabile per l' impressionante identità di maniera colla quale sono trattate le effigi, specialmente per quanto riguarda la capigliatura ; e, dato il legame epigrafico e stilistico esistente fra tutte le monete imperatorie che sto per descrivere, rimane provata l'esattezza della loro assegnazione alla Bitinia. Non deve però recar meraviglia la emissione di monete imperatorie dei metalli nobili in questa pro- vincia poiché, come dimostrerò in ulteriori pubbli- cazioni, essa fu anche più tardi la sede di una zecca non solo per le monete imperatorie ma anche per le senatorie (sesterzi, dupondi, ed assi con SC) si- milmente alla Provincia d'Asia. L' intera monetazione imperatoria della Bitinia emessa sotto Augusto appartiene ad almeno due zecche : Nicomedia capoluogo della provincia e Nicea che ne era la zecca pili importante per la moneta- zione municipale a leggenda greca; ma sarebbe af- fatto empirico il voler segnare una separazione fra i prodotti di esse, attribuendo alla prima le monete colla testa di Augusto rivolta a destra, ed alla se- conda quelle colla medesima testa rivolta a sinistra; soluzione la quale d'altra parte avrebbe il torto di lasciar insoluto il problema delle monete senza ef- fige imperiale. Tornando al tema della cronologia, il Grueber a mio avviso pecca di esagerazione attribuendo alla monetazione di cui si tratta una durata di nove anni, (36-27 a. C.) giacche il quantitativo degli esemplari piuttosto scarso in confronto di quello delle emis- sioni avvenute più tardi in Ispagna, non ci permette di protrarre oltre ai tre anni questa durata. Il Grue- ber credette di dover stabilire al 36 a. C. l'inizio della serie con CAESAR DIVI F perchè volle scor- gere in essa una connessione tipologica cogli avve- nimenti di quest'almo, e principalmente colla scon- LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 21 3 I fitta di Sesto Pompeo a Naulocos, ma se noi osser- viamo attentamente le monete suddette, è facile in- travvedere che il concetto tipologico chiaramente espresso da esse è la pacificazione definitiva (vedi n. 9-12 della descrizione) ottenuta per merito di una grande vittoria di Ottaviano (n. i-8) quale quella di Azio nel 31 a. C. ; la sconfitta di Sesto Pompeo era di troppo lieve importanza per produrre gli effetti suddetti ai quali alludono le monete. Una prova sicura per motivare con sufficente esattezza le date d'inizio e fine delle serie monetali in questione sembra a prima vista mancare, pur es- sendo ormai certo che la loro coniazione fu poste- riore alla battaglia d'Azio : in effetto però abbiamo due monete che ci offrono la })rova desiderata poi- ché ricordano il consolato VI ed il VII che Otta- viano assunse nel 28 e nel 27 a. C. La prima di queste monete reca il noto tipo del coccodrillo unito alla epigrafe AEGYPTO CAPTA che ricorda la conquista dell'Egitto e venne dal Grueber '') separata dalle altre, attribuendo ad essa sola la sua vera origine orientale anziché romana. Con ragione però il Cabrici ^2) osservò che queste monete non potevano scindersi dalle altre che re- cano la medesima parentela artistica, e devono perciò seguire la loro sorte; ebbe però il torto di assegnare le une e le altre alla zecca di Roma basandosi su malfondate supposizioni. La moneta colla eccezionale epigrafe CAESAR COS VI e quella emessa l'anno dopo con CAESAR COS VII CIVIBVS SERVATEIS hanno il medesimo ruolo di quelle già osservate nelle zecche di Colonia Pa- trizia con COS XI TR FOT VI e di Roma con TR P VII (1) Op. cit., voi. II, pag. 536. (2) Un denaro di Augusto col toro campano, nota a pag. 6. 214 LODOVICO LAFFRANCHI e Vili; esse, pur appartenendo ad emissioni ordinarie, hanno delle epigrafi straordinarie con date che si riferiscono ai loro tipi di eccezionale significato. È assai verosimile che i sopraintendenti alle zecche datando queste monete intendessero datare l' intera emissione alla quale appartenevano. È perciò logico assegnare alle monete impera- torie della Bitinia la data 29-28 a. C. per la serie con CAESAR DIVI F e COS VI, e quella 28-27 a. C. per la serie con IMP CAESAR e COS VII. Quest'ultima contro l'opinione del Grueber si protrasse certamente anche dopo il conferimento del titolo di « Augustus » che figura per eccezione al ro- vescio dell'aureo datato, giacche vedemmo, trattando della zecca di Roma, che questa qualifica non in- cominciò a far parte della titolatura ufficiale se non dal 20 a. C. in occasione dei decennalia di Azio ed anche dopo quest'epoca abbiamo a Roma ed a Co- lonia Patrizia delle monete colla sempfice qualifica IMP CAESARl. D'altra parte anche l'Oriente stesso, in una moneta che descriverò più tardi e che il Grueber medesimo gli ha già attribuito, mostra di aver tra- scurato il titolo di « Augustus M su monete che, ricor- dando il VII consolato, debbono esser state emesse dopo il conferimento di questo titolo. Volendo poi trovare una spiegazione al fatto di tipi che, ancora quando era cessato l'eco delle vittorie di Naulocos e d'Azio, alludono ad esse, si è costretti ad ammettere che il compito di queste monete d'ar- gento era precisamente quello di ricordare i meriti che ad Ottaviano procurarono l' alta qualifica di « Augustus » inscritta solamente sull'aureo. LA MONETAZIONE DI AtJGUSTO 2l5 Venendo finalmente alla parte descrittiva, ho pensato di classificare il materiale numismatico delle due serie, in sottogruppi secondo l'analogia dei tipi allo scopo di meglio sintetizzarne il significato ti- pologico. Prima Emissione — (28-29 a. C). A) Tipi riferentisi alla vittoria d'Azio. ^ — La Vittoria a destra sopra una prora, tiene la palma e protende la corona. (Modificazione del tipo della Vittoria di Samotracia). (Tav. VII, n. i6). i. 9* — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Quadriga ornata di bassorilievi andante a destra in cui Ottaviano che tiene le redini, protende un ramo d'ulivo. Ar., Cohen, n. 75. (Tav. VII. n. 17). Questa moneta, tanto nel diritto che nel rovescio venne restituita da Vespasiano (i) il quale copiò il tipo della Vittoria su prora a destra, anche sui medii bronzi suoi e dei figli colle leggende Victoria Na- valis e Victoria August. ^ — Testa nuda di Ottaviano a destra od a sinistra. (Tav. VII, n. 3, 7). 2. 5* — CAESAR • DIVI • F nel campo orizzontalmente. La Vittoria a sinistra sopra un globo protende la corona e tiene la palma. Ar., Cohen, n. 64, 65. (Tav. VII, n. io). (i) Ved, Un Centenario numismatico nelFantichità in Rivista Ital. di Numismatica, anno 191 1, 2i6 Lodovico LAFfRANdril ^ — Come il precedente. 3. j^ — Come il precedente, ma la Vittoria a destra. Ar., Coh., n. 66. Tipo restituito da Vespasiano. ^ — Come al n. 2. 4. ^ — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Vittoria in quadriga veloce a destra tenendo le redini e protendendo la palma. Oro, Coh., n. 63. (Tav. VII, n. 4). /©' — Come al n. 2. 5. 9' — Come il prec, ma la quadriga a sin. Oro, Coh., n. 68. /©" — Come al n. 2. 6. H) — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Quadriga lenta a de- stra ornata di bassorilievi e sormontata da una piccola quadriga veloce. Oro, Coh., n. 77. (Tav. VII, n. 6). Questo tipo e la variante successiva vennero più tardi, come ve- demmo, copiati dalla zecca di Colonia Patrizia. ^ — Come al n. i. 7. I^ — Come il prec, ma la quadriga a sin. Oro, Coh., n. 76. ^ — Busto alato della Vittoria a destra. (Tav. VII, n. 11). 8. ;^ — CAESAR DIVI • F nel campo, Nettuno a sinistra, col piede destro posato su di un globo, tiene V acrostolium e si appoggia al tridente. Ar., Coh., n. 60. (Tav. VII, n. 12). Tipo restituito da Vespasiano e modifìcato da Adriano. LA liONETAZIONE HI AUGUSTO ùì"^ B) Tipi allusivi alla pacificazione generale ED AL CONSEGUENTE RIFIORIMENTO ECONOMICO. ^ — Testa diademata della Pace a destra. 9. R) — CAESAR DIVI • F orizzontalmente nel campo, Ot- taviano in abito militare, andante di corsa a si- nistra protendendo la destra in atto di pacifi- catore e tenendo colla sin. l'asta trasversale. Ar,. Coh., n, 70 71. (Tav. VII, n. 15). T^ — Testa diademata della Pace a destra, dietro un cornucopia, davanti un ramo d'ulivo. (Tav. VII, n. 13). 10. R' - Medesima legg^., Ottavio, in abito militare, an- dante a destra tenendo lo scettro sulla spalla sin. e levando la des. in atto di pacificatore. Ar., Coh., n. 72. (Tav. VII, n. 14). Tipo ciipiato da Traiano per un'aureo emesso verso il 108 ti. C. in occasione dei suoi decennalia e da Adriano per un altro del 128 pure in occasione dei decennalia. ^ — Testa nuda di Ottaviano a des. od a sin. 11. P — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Ottaviano a cavallo, galoppando a sin. protendendo la des. in atto di pacificatore. Oro, e oh., n. 73. (Tav. VII, n. 5). 'B' — Come il prec. 12. R) — CAESAR DIVI • F in legg. esterna da des. a sin., la Pace a sin. tenendo colla des. il ramo d'uliva e colla sin. il cornucopia. Ar., Coli., n. 69. (Tav. Vii, n. 8). Il Grueber (i) separò questa moneta dalle precedenti, da lui asse- gnate a Roma, attribuendo solo essa all'Oriente, perchè non tenne conto delia identità d'arte e di paleografia che le accomuna. (1) Voi. II, pag. 535. 28 2l8 LODOVICO LAfFRANCril B' — Come al n. tt. 13- ^ — CAESAR DIVI • F orizzontalmente nel campo, Mer- curio (i) seduto a des. su di una roccia tenendo la lira, ha il petaso dietro le spalle. Ar., Coh., n. 6i. (Tnv. VII, n. 9). C) Tipo ali.usivo ai. culto famigliare della gente Giulia. & — Come al n. 11. 14.^ — Legg-, come il prec, Venere vincitrice a des. ap- poggiata ad una colonnetta tenendo la galea e l'asta, dietro di essa un clipeo. Ar., Coli., 11. 62, 63. (Tav. VII, n. 2). Tipo restituito da Vespasiano, da Tito e da Traiano che lo acco- munò alla effigie di Giulio Cesare. D) Tipo allusivo alla conquista dell'Egitto. T>' — CAESAR COS VI • Testa di Ottaviano a des. od a sin., dietro il lituo. (Tav. VII, n. 30). 15. R) — AEGYPTO orizzontalmente in alto. CAPTA allV- sergo, Coccodrillo andante a des. colle fauci spalancate. Ar., Coh., n. 2, 3. (Tav. VII, n. 29). L'aureo ed ti denaro colla variante del coccodrillo a fauci chiuse ver- ranno descritti piti avanti nella Parte V. Seconda Emissione - (28-27 a. C). A) Tipi allusivi alle vittorie di Navlocos e d'Azio. i^' — Vittoria su prora come al n. i. (Tav. VII, n. 16). (i) Identificazione di Grueber, op. cit., voi. II, pag. 11. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 21 9 16. I^ — IMP • CAESAR all'esergo. Quadriga come a! n, i. Ar., Coh., n. 115. (Tav. VII, n. 18). Moneta che diflferisce dal n. i solo per l'epigrafe ed è altrettanto comune quanto l'altra è rarissima. i^' — Testa galeata (ii Marte a destra, sotto IMP. (Tav. VII, n. 25). 17. R) — CAESAR scritto sull'orlo di un clipeo coll'umbo ornato di un astro, dietro spuntano due laste incrociate. Ar., Coli., n. 44. (Tav. VII, n. 26). i >' — Busto della Diana di Sicilia a d. con arco e faretra. (Tav. VII, n. 19). 18. I^ — IMP CAESAR sul fregio di un tabernacolo tetrasiilo, col timpano ornato della triquetra; entro si scorge un trofeo navale. Oro, Coh., n. 121. (Tav. VII, n. 20). i^ — Testa di Ottaviano a des. od. a sin. (Tav. VII, n. 31, 39). 19. i^ — Trofeo navale. Ar., Coh., nn. 119, 420. (Tav. VII, n. 40). Il tipo rappresenta un particolare del tipo precedente. B) Tipi allusivi alle onoranze rese ad Ottaviano. f^' — Come al n. 19. 20. I^ — IMP CAESAR • sul fregio di un arco trionfale or- nato di aquile militari e sormontato da una quadriga che porta Ottaviano. Ar., Coh., n. 123. (Tav. VII, n. 32). H' — Como al n. 19. 21. l> — IMP CAESAR nel campo. Erma di Priapo posato su di un lulmine, ha là testa laureata ed i tratti di Ottaviano. Ar., Coh., n. 114. (Tav. Vili, n. 33). 220 LODOVICO LAIFKANCHI B' — Particolare del tipo di ^ suddetto, cioè busto di Ottaviano in forma di erma a des. con testa laureata dietro il fulmine. (Tav. VII, n. 21). 22. I^ — Legg. come il prec, Ottaviano Niceforo seduto a sin. in sedia curule tenendo la vittoriola. Coli., II. 116. (Tav. VII, n. 22). rB' — Testa laureata di Ottaviano a destra. (Tav. VII, 11. 27). 23. FI) — 1-egg. come il prec, Colonna rostrata ed ornata di due ancore, sulla quale è la statua di Otta- viano in attitudine eroica tenendo il parazonio ed appoggiandosi all'asta. Ar., Culi., n. 124. (Tav. VII, 11. 28). È difficile stabilire se questo tipo ha un carattere puramente alle- gorico, oppure se riproduce un vero e proprio monumento. Esso venne restituito da Vespasiano e da Tito, ed il Milani (i) basandosi esclusi- vamente sulle costoro monete, nelle quali la statua di Ottaviano porta la corona radiata, credette di vedervi il colosso di Nerone. Q Tipi allusivi alla fondazione delle colonie latine IN Oriente {Apafnea, Parium, Sinope, Antiochia Pisidia, ecc.). ^ — Testa laureata di Apollo a destra. (Tav. VII, n. 23). 24. )^ — IMP CÀESAR all'esergo. Sacerdote velato che tiene il flagello e guida l'aratro tirato da due buoi a d. Ar., Coh., n. 117. (Tav. VII, n. 24). D) Tipo allusivo ad un monumento locale [Basilica di Ntceà). ^ — Testa nuda di Ottaviano a destra. (Tav. VII, n. 31, 37). 25. yp — Una delle facciate della Basilica di Nicea, a due piani con avamportico, fregio su cui lii legge IMP CÀESAR, e timpano ornato da un bassori- (i) Di alcuni ripostigli di monete romane, pag. 51. LA MONETAZIONK DI AUGUSTO 221 lievo che rappresenta una figura seduta e sor- montato al vertice da una Vittoria di fronte sopra un globo porgendo la corona e tenendo il vessillo, ed ai due lati da figure con asta e parazonio (?) rivolte entrambe verso la Vittoria. Coh., n. 122. (Tav. VII, n. 34). II tipo è quasi identico a quello che si vede sui GB greci colla ef- fige di Messalina (i) coniati verso il 46 d. C. a Nicea che riproducono una delle facciate della Basilica di questa città (Tav. VII, n. 42). Il caso di edifici a due piani nell'architettura numismatica è troppo raro perchè si possa accusare di temerità questa interpretazione, quantunque sul GB in questione il timpano non sia decorato da statue ma da sem- plici acroteri, essendo abbastanza comune l'esempio di monumenti che ricompaiono più tardi modificati sulle monete. L'altra facciata della Basilica, che differisce da questa, perchè il coronamento ne è costituito da un arco fiancheggiato da antefissi, non è rappresentato che sui bronzi di Claudio e Messalina (2) appartenenti alla medesima emissione, e altrettanto si dica di un terzo tip>o con due ordini di colonne senza coronamento che a mio avviso rappresenta il fianco dalla Basilica stessa. /& — Come al n. 25. (Tav. VII, n. 37). 26. I^ — IMP CAESÀR nel campo, Vittoria di fronte sopra un globo, colla des. porge la corona e colla sin. tiene lo stendardo. Coh.. n. 113. (Tav. VII, n. 38). Particolare della 'Statua sul timpano della Basilica; questo tipo, venne più tardi riprodotto sui quinari aurei di Colonia Patrìzia che ho già descritto. (i) Vedi Babslon, op. cit., Nicea e tavola relativa. (2) Un significante esempio dei progressi fatti dai professionisti della falsificazione è dato da un preteso GB di Messalina a questo tipo che figurava alcuni anni fa su un catalogo dell' Hirsch di Monaco. Si tratta di un GB di Faustina jun. col diritto rifatto nella leggenda e nella ef- fige alla quale venne cambiata l'acconciatura dei capelli ; in quanto al rovescio, l'antico tipo fatto scomparire interamente era sostituito da quello della lacciata con arco ed antefissi, il tutto meravigliosamente imitato anche nelle peculiarità paleografiche. La mistificazione era però tradita dalla effigie che conservava intatto il profilo di Faustina jun., e da un errore epigrafico costituito dall'etnico NEIKAEAN '"vece di nEIKAIEON. LODOVICO L AFFRANCHI E) Tipo allusivo al conferimento del titolo DI « AVGVSTVS ». 1> — CAESAR COS VII CIVIBVS SERVATEIS Testa nuda a destra. (Tav. VII, n. 35). 27. ]ji — AVGVSTVS in alto, Aquila di fronte guardante a sin., tiene fra gii artigli la corona di quercia e seminasconde colle ali due rami d'alloro, nel campo al basso S C. Oro, Coh., n. 30. (Tav. VII, n. 36). Questo tipo venne più tardi copiato dalle monete alessandrine di Aureliano emesse nel 273. Milano, Marzo 1^16. L. Laffranchi. à LE MONETE CONIATE IN CATANIA IN MEMORIA DEI « PII FRATRES » Gli scrittori non sono tutti concordi nel deter- minare l'epoca di quella famosa eruzione dell* Etna, che diede occasione di essere grandemente celebrata la gloriosa azione dei fratelli pii catanesi, non es- sendovi che poche e magre notizie delle antichis- sime eruzioni prima dell'era volgare, sebbene da alcuni monumenti e dalle numerose lave apparisce chiaramente che dal vulcano ne scoppiarono delle poderose in tempi preistorici. Alcuni hanno reputato per favoloso che le lave del vulcano abbiano potuto incenerire tutti quei cit- tadini, che, abbandonata la città di Catania, se ne fuggivano portando seco le loro ricchezze ed abbiano lasciati illesi i due fratelli, che si erano prefissi di salvare i loro genitori, incapaci a potere fuggire innanzi l' igneo torrente, ricordando che questo fatto fin dai tempi di Alessandro il Macedone era consi- derato per favoloso, come espressamente riferisce Licurgo nella orazione contro Leocrate e poi basan- dosi che non esistono nelle vicinanze di Catania delle vestigie di quelle lave preistoriche e che le fabbriche greche della città non mostrano affatto delle tracce di una distruzione operata da quella lava. Aristotele P.s, in De muncio^ 6 e in Mirab., 154, descrive questa eruzione accaduta dopo quella 2:^4 Salvatore mironè che avvenne all'epoca di Fetonte, senza determinarne l'epoca, accenna ai due fratelli catanesi senza nomi- narli e fa intervenire il soccorso divino per tale sal- vamento. Strobeo, in Serm., 198, dice di avere ricavato dalle storie di Eliano che il fatto accadde nell'Olim- piade LXXXI, errando però i nomi dei due eroi catanesi. Strabene, nella Geograf., VI, 2-3, non precisa alcuna epoca, pur facendo menzione del fatto. Pausania, X, 28-4, pur raccontando l'avveni- mento, non li chiama a nome. Solino, 5-T5, rammenta questo fatto ed aggiunge che i catanesi H chiamavano Anapia ed Anfìnomo, mentre i siracusani, che gliene contrastavano la gloria, h chiamavano Emanzio e Critone. Molti scrittori moderni invece sostengono che nel secolo V prima dell'era volgare, secondo un racconto popolare, vi sarebbe stata una di quelle poderose e terribili eruzioni dell' Etna, che avevano atterrito i primi naviganti greci, ma che non reca- vano piti spavento agli arditi calcidesi, che, dopo avere per lungo tempo costeggiato il mare Jonio, si erano stabiliti in diversi punti della costa orien- tale della Sicilia, fondandovi delle opulente città, fra le quali Catania. Durante questa eruzione, un torrente di lava (qualcuno afferma che sarebbe stato emesso da Mon- pilieri e qualcheduno da Monte vergine) minacciava la città di Catania ed i suoi dintorni, tanto che tutti gli abitanti premurosamente cercarono di mettere in salvo tutte le loro ricchezze ed i loro tesori, mentre i due fratelli Anapia ed Anfinomo, non cu- ranti dell' imminente pericolo e disprezzando di sal- vare i loro averi, si caricavano di un più venerato peso, sudantes venerando pendere, portando sulle spalle Le Monete coNiAtE in CAtANiA, ecc. aa^ l'uno il padre e l'altro la madre, incapaci di potersi salvare stante la loro età decrepita. 1 due fratelli, non potendo camminare speditamente a cagione di quel peso, furono dalla lava quasi circondati e sta- vano per essere inghiottiti dal fiume di luoco, quando la Natura, dopo aver loro mostrato il grande peri- colo corso, rispettava quella gloriosa azione. Ed in- fatti il torrente di lava si ripartiva e lasciava loro libero il passo onde potersi salvare insieme ai loro cari genitori. Non sarebbe qui il luogo di discutere se fos- sero nel vero gli uni o gli altri scrittori e se il fatto fosse accaduto o pur no, avendo noi solamente in- tenzione di occuparci fugacemente delle monete co- niate in Catania in memoria degli sj«fi««:;, ma pur tuttavia necessariamente dobbiamo analizzare questo avvenimento, che ha rivestito in quella città una grande importanza. Racconta Tucidide, nella Storia, 111-116, che dacché i greci si posero ad abitare la Sicilia fino al tempo in cui viveva, non si contano che tre eruzioni dell' Etna. La prima — della quale egli non riferisce l'epoca — si crede probabilmente sia avvenuta ai tempi di Pitagora. La seconda trovasi registrata nei famosi marmi arundulliani dell' isola di Paros ed ac- cadde l'anno secondo dell'Olimpiade LXXV sotto l'Arcontato di Santippo, che corrisponde al 479 a. C. La terza accadde ai tempi di questo grande storico precisamente nell'anno sesto della guerra del Pelo- ponneso, coincidendo con l'anno secondo dell'Olim- piade LXXXVIII, cioè 426 prima dell'era volgare. Gli accennati scrittori antichi, ai quali si devono aggiungere Seneca, De bene/.. III. 37-2; Valerio Mas- simo, De factorum et dictorum, V, 4 ; Marziale, VII, 24-5 ; Ausonio, Ordo urb. nob., 16 e carni. X Ds claris civitatibtis; Luciano, Aetna, 626; gli onori pre- 29 226 SALVATORE MIRONF: stati fin dall'epoca di Pausania ; i poemi di Severo, Aetna, e di Silio, XIV, 197 ; le statue per cui Clau- diano compose un carme ; la iscrizione dell'epoca di Zosimo, che ancora si conserva nel museo dei padri cassinensi; le dotte osservazioni di Cluverio, Car- rera. Amico, Somma ed altri confermano che quel- l'avvenimento in Catania avvenne. Vero si è che fra i siracusani ed i catanesi vi fu una forte disputa nell'antichità intorno alla patria dei due fratelli pii. tanto che i primi li chiamavano Emanzio e Critone e pretendevano che i due fratelli fossero loro con- cittadini. Ma questa pretesa cade quando si pensi che la cittadinanza siracusana, la quale serbava memo- ria nelle sue monete del forte Leucaspi, che lottò contro Ercole di Ligdamo, vincitore dei Fancrazia- nisti nei giuochi istmici e di altri eroi dell'evo an- tico, non avrebbe lasciato di ricordare un si grande avvenimento nei marmi e nelle monete della patria. L'avvenimento quindi è dovuto succedere con cer- tezza, se non nella città, nei dintorni, a monte verso r Etna, per il motivo che le fabbriche greche non hanno alcuna vestigia di tale lava preistorica e so- lamente l'epoca dell'eruzione è incerta. Difatti dalla narrazione di Aristotele, che rincula tale gloriosa azione ad un'epoca più remota dell'Olimpiade 81 e tale che tocca l'età favolosa, e dalla storia di Tuci- dide, che afferma di esservi state tre eruzioni dallo stabilimento dei greci in Sicilia, si può supporre che l'eruzione detta dei fratelli pii (di cui vi è una carta topografica compilata dall' ing. Sciuto-Patti, Ca- tania 1875) fosse accaduta ai tempi precedenti la nostra storia e prima che Catania sia stata abitata dalla colonia calcidese di Evarco nell'anno 729 a. C. L'avvenimento da quell'anno in poi sarebbe stato con certezza storica segnato; vero si è che i detti 1 LE MONETE CONIATE IN CATANIA, ECC. 227 fratelli hanno nomi greci e può darsi il caso che i nomi siano stati modificati nella lingua greca. Analizzando poi il racconto del miracoloso sal- vamento dei due fratelli insieme ai loro genitori si possono fare tre congetture : i.^ o che il torrente di lava incontrando delle accidentalità nel terreno si sia fermato per alcuni giorni quasi dimostrando di volere estinguere la sua attività distruttrice e che all'improvviso più a monte un braccio di lava secondario si sia staccato da quello principale, come è avvenuto in varie eruzioni, ed abbia minacciato la città da una direzione, da cui i cittadini si credevano sicuri, incutendo mag- giore spavento per la repentina irruzione; 2.^ o che il torrente di lava, che pareva quasi estinto, si sia momentaneamente risvegliato e sia corso con una certa velocità, data la natura del terreno ; 3.^ od in ultimo le bocche eruttanti lava siano state vicinissime alla località in cui si svolse l'azione. Nei primi due casi è da escludersi completa- mente che l'igneo torrente abbia potuto inseguire i cittadini fuggitivi, perchè in linea generale un braccio di lava, lontano vari chilometri dalle bocche d'eru- zione ed in un terreno non troppo scosceso, procede sempre leggermente avanzando pochi chilometri per ora e dà il tempo necessario agli abitanti di poter sgombrare con le loro masserizie, mentre nel terzo caso la lava, quasi liquida avanza con una certa velocità pericolosa per coloro che sono vicini, perchè i lapilli e le ceneri infuocate non permettono di ve- dere ad una piccola distanza. Quindi è da conchiu- dere che il fatto è stato grandemente esagerato at- traverso il racconto popolare tramandato ai posteri. 228 SALVATORE MIRONK * * * Grande dovette essere la devozione della citta- dinanza catanese per tale glorioso fatto ed in premio di tale pietà filiale i due fratelli Anapia ed Anfinomo ebbero erette delle statue, splendidamente descritte da Claudiano nel carme De piis fratribus et de statuis quae sunt apud Catinam, il luogo del loro sontuoso sepolcro fu chiamato campo dei fratelli pii (sOffefifejv x^po?) o campo della pietà, dove fu trovata un'iscrizione così tradotta dal greco in latino, Piorum inclyta urbs beatum virum in sublime posuit, ecc. ecc., e che se- condo C. Gemellaro corrisponde alla località presso Catania detta Pampiu parola corrotta di Campus Piorum, e la loro immagine venne scolpita in alcune monete coniate nella città di Catania. Le zecche siciliane, ultima quella di Siracusa, nell'anno 212 a. C, nei primi tempi della conquista dei romani o furono chiuse o furono ridotte a co- niare monete di rame, avendo Roma tolto alle città della Sicilia il diritto di coniare monete di metalli nobili, cioè oro e monete d'argento di grosso taglio. Catania, che era scomparsa dalla storia dopo il suo soggettamento alla città di Siracusa per opera di Dionisio il Vecchio, sotto la dominazione dei romani aveva la sua zecca e fra tutte le città siciliane con- tinuò ad averla fino all'epoca bizantina; questo latto potrebbe essere messo in relazione con l'altro che appunto questa città seguitò più a lungo ad avere monete proprie. Nel tedioso periodo della dominazione romana la numismatica siciliana è rappresentata da una ricca serie di monete di bronzo, in cui lo stile si fa sempre più basso e scadente e certamente i tipi più inte- ressanti della città e di tutta V isola sono le monete LE MONETE CONIATE IN CATANIA, ECC. 229 coniate in Catania per onorare la memoria dei due fratelli Anapia ed Anfinomo. Le monete di bronzo sono cinque e sono le seguenti : 1. & — Testa di Bacco a destra, coronata di pampini, so- pra AAZIO e dietro un monogramma della forma di un quadrilatero, di cui il lato sinistro è ri- piegato verso il centro, formando quasi due rettangoli ; poggiato sul lato superiore vi è un piccolo cerchio. R) — KATAN Anfinomo ed Anapia che adducono a salva- mento i loro genitori. Bromo, gr. 8,15. 2. Simile al precedente. Bronzo, gr. 5,86. 3. Altro simile KATANAIflN. Bronzo, gr. 3,68. 4- ^ — KATANAIflN uno dei fratelli che conduce a salva- mento uno dei genitori. 9' — Lo stesso tipo. Bronzo, gr. 3,96. 5. Simile al precedente, ma di minore modulo. Bronzo, gr. 1,96. Il Paruta sostiene che il capo del giovane sia coronato di frondi di quercia - simbolo della libertà — perchè coloro che liberavano in battaglia un citta- dino erano coronati di quercia. Soggiunge poi che la parola AAIIO è oscura e che se vi fosse scolpito lAllO mostrerebbe che la moneta fu consacrata a Fasio, figliuolo di Giove, marito od amico di Cerere secondo Diodoro Siculo. Infine il Paruta sostiene 230 SALVATORE MIRONE che Lasio sia stato qualche celebre catanese devoto ai fratelli pii dopo il glorioso avvenimento. Invece molti autori sostengono che AAIIO con tutta certezza doveva essere un nome locale di Dionisio ed il si- gnificato della parola : chiomato, folto di pelo, pe- loso, è bene appropriato al dio, che aveva la pelosa pelle di un cerbiatto per caratteristico vestito. Questi tipi di monete ci riferiscono quanto vivo sia stato sin dalla più remota antichità il culto in onore di Bacco a Catania e nei dintorni, ove la col- tivazione della vite era molto diffusa ed ove si pro- duceva un vino prelibato. Quell'appellativo di chio- mato, di peloso, ci rivela l' indole ed il carattere della popolazione dell'antica città, che scherzevol- mente affibbia un sopranome alla suddetta divinità e lo fa trascrivere in alcune monete. Le cinque monete non sono rimarchevoli sotto il rapporto dell'arte, ma pur tuttavia posseggono il notevole pregio di rappresentare in questo periodo della decadenza dell'arte numismatica greca la rea- zione contro il monopolio di accentramento che eser- citava Roma nelle provincie conquistate e di rialzare, sebbene sotto dominazione straniera, per poco le sorti della lunga ed artistica serie delle monete greco-sicule. Nel periodo deirassoggettamento ai ro- mani si era perduto il carattere proprio delle sin- gole città greche, mentre le dette monete ci confer- mano che la civiltà greco-sicula non era stata per nulla sopraffatta dalla cultura romana e che anzi le due civiltà romana e greca si combattevano in Si- cilia senza che nessuna delle due fosse riuscita ad acquistare un' importanza speciale, senza che Tuna avesse avuta superiorità sull'altra. Il pregio speciale di tali tipi di monete si è che mentre il simbolo di molte monete greche era de- stinato a richiamare un avvenimento, una vittoria, Le monete coniate: in CAtANlA, ECC. à3t un trionfo, che interessavano un'intiera popolazione, una città, il simbolo di queste cinque monete, che rappresenta la pietà filiale, richiamava un avveni- mento, che si riferiva ad una sola famiglia, che ri- cordava semplicemente un'azione eroica di due cit- tadini, ma che giustificava il pubblico culto profes- sato nella città di Catania in memoria degli £•j^efi£^. Infine bisogna conchiudere che tali tipi di mo- nete, sebbene come sopra si è detto, non contengano i notevoli pregi d'arte del periodo classico della nu- mismatica greca, pur tuttavia gli incisori della zecca catanese, quantunque già privi del genio creatore che segna le grandi epoche, serbano in parte le tra- dizioni del bello in tali monete e forniscono delle utili lezioni ai vincitori, rialzando con la confazione di poche monete l'arte siciliana dell'incisione. Un simile tipo di moneta s'incontra nel denaro d'argento fatto coniare in Catania da Sesto Pompeo, durante il periodo nel quale il figlio di Pompeo il Grande governava 1* isola (42-36 a. C). Ecco la descrizione del denaro : /B* — Testa nuda di Pompeo Magno a dritta ; dietro un vaso da sacrifizio e dinanzi il liuto. MAG • PIVS (IMP ITER). ^ — Anapia ed Anfinomo che salvano i loro genitori. In mezzo Nettuno a sinistra, con il piede sopra la prora di una nave e con l'acrostolio nella de- stra. PR>EF • I CLAS • ET • OR/E ! NR • T • EX • S • C • Argento. Denarìiis, gr. 1,1137. La zecca siciliana, una fra le principali della Sicilia, ebbe la concessione di poter coniare questo 23^ Salvatore MiRoNf. tipo di moneta, quasi come un'eccezione, perchè la fabbricazione provinciale ed urbana di monete d'ar- gento non era più permessa nelle provincie siciliane pochi anni prima dell'era volgare. Mentre si agitava la guerra civile in Sicilia, 36 anni a. C, racconta Appiano che vi fu nell'Etna una ferocissima eruzione. La lava dovette essere vomitata dall'alto cratere del vulcano per potere es- sere veduta dai soldati romani accampati vicino il colle Miconico, che è posto alla parte sinistra di Milazzo e si estende verso il Peloro; da quel luogo non poteva certamente vedersi scorrere la materia rovente se non fosse eruttata dal cratere principale dell'Etna od al più dall'estrema parte della sua ul- tima regione, poiché da quel luogo si scorge l'ultimo dorso con il cratere principale del vulcano. Quindi vi sono delle buone ragioni per ritenere che Sesto Pompeo, avendo assistito a quell'eruzione dell'Etna, perchè allora si trovava in Sicilia ed ispi- randosi al gruppo delle statue dei fratelli Anapia ed Anfinomo, che esisteva ancora in Catania e che è stato descritto egregiamente da Claudiano nel suo immortale carme, abbia ordinato di fare coniare nella zecca di Catania tale tipo di moneta d'argento, nel cui rovescio vi sono rappresentati i due fratelli pii, che salvano i loro genitori e nel mezzo Nettuno, che invece del suo tridente, simbolo della sua regale di- gnità, porta l'acrostolio nella destra e tiene il piede destro poggiato sopra una prora di nave. Geniale è stata l' idea del grande generale ro- mano, quando si pensi che il denaro d'argento ^ venne coniato in ricorrenza di un altro avveni- mento terrestre dell'Etna, per il quale i due fra- telli catanesi avevano potuto esplicare la loro azione eroica ed hanno avuta quella rinomanza nell'antichità e quindi la fabbricazione di tale de- LK MONFTÉ coniate in CAtANIA, ECC. 2^3 naro riveste il carattere di una medaglia comme- morativa. Esaminando l' incisione di tale denaro, si osserva una notevole difì'erenza rispetto alle monete romane, che erano allora in circolazione ; vi è una visibile perfezione nella fabbricazione e poi vi si ammira molta semplicità di stile congiunta ad una certa grazia ed eleganza d'esecuzione, difficile a trovarsi in un periodo di decadimento della numismatica. Il rovescio di tale denaro riproduce il gruppo delle statue dei due fratelli e pare che l'incisore si sia ispirato ad esso : il vecchio padre, con il braccio alzato, mostra l'immane eruzione e la madre sta in atto d'invocare gli dei. Un animoso orrore si scorge nei due giovani ; l'uno alzava la destra contento di aver portato a salvamento il padre e l'altro usa tutte le precauzioni dovendo portare la madre, appartenente al sesso più debole. Riproduzione che si osserva anche nelle cinque monete di bronzo. Concludendo, questi tipi di monete confermano ancora una volta che fra i greci della Sicilia non era del tutto spenta l'inclinazione a vestire ogni cosa di elettissime forme e che, sebbene sotto domi- nazione straniera, i greco-siculi seguitavano a consi- derare la moneta non solamente come strumento ai commerci, ma anche come affermazione dell' arte greca dell' incisione, non ancora scomparsa, del sen- timento verso la patria asservita. /?. Università di Torino. Dott. Salvatore Mironf. 30 ^34 Salvatore miroNf! BIBLIOGRAFIA. Fra i numerosi autori che si sono occupati nell'antichità e nell'epoca moderna del glorioso fatto dei fratelli pii di Catania e delle monete coniate in memoria di essi, si citano solamente alcuni moderni, tralasciando di cennare gli antichi e molti moderni, considerata la modestia del lavoro. Hill, Coins of Ancient Sicily, Westminster, 1903. HoLM, Geschichte Siciliens in Altertum. Leipzig, 1898. Freeman, The History of Sicily. Barklay V. Head, Historia Numorum, A Manual of g^reek numismatics. Oxford, 191 1. CoRDARo Clarenzo, Ossevvaziofii sopra la storia di Catania. Catania, 1833. Recupero, Storia naturale e generate dell'Etna. Catania, 1815. Gregorio, Opere scelte. Palermo, 1857. Alessi, Storia critica di Sicilia. Catania, 1835. Catalogo generale dei musei d'antichità. Roma, 1881. Torremuzza (di), Opuscoli di numismatica siciliana. Paruta, La Sicilia descritta con medaglie e ristampata con aggiunte da Leonardo Agostinl Lione, 1697. Cohen, Description des monnaies frappées sous l'empire ro- main jusqu'à la chùte de /' empire d' Occident. Paris, 1880-1892. I MEDAGLIONI DI Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia Torna inutile ripetere qui le notizie, già ben note, sulla magnificenza di Galeazzo Maria Sforza nella serie copiosa delle sue monete e medaglie. Ba- sterebbe, a documentarne l'alta importanza artistica, una scorsa alle belle tavole prodotte nelle opere monumentali dei fratelli Gnecchi e di S. M. il Re^'). li Biondelli, solo per dare una pallida idea dello straordinario loro valore metallico, accennò al ren- diconto dei maestri di zecca del 1471, pubblicato nel 1565 dal compianto Muoni ^2) per la coniazione di sei medaglie d'oro, tre colla effigie del duca stesso e tre con quella della duchessa Bona, sua moglie, le quali sole importarono la spesa di ducati 63 488 e 7 16, equivalenti a circa 762,000 lire italiane <3). Per il primo e fin dal 1844 il Mulazzani, altro benemerito della numismatica milanese, aveva ac- cennato alla esistenza di quattro di siffatte medaglie nel tesoro ducale (^\ riferendosi ad un diploma di Ga- (i) Le Monete Ut Ali/ano. Milano, 1883 e Corpus Nwnmoruni Itati- corum, voi. V (Milano). Roma, 1914- (2) La zecca di Aliiano nel sec. XV in Rivista della Numismatica an- tica e moderna, fase. IV. Asti, 1865. (3) Biondelli. La secca e te monete di Milano. Milano, 1869, pag. 135; Ricordo della zecca di Milano in Arch. Stor. Lombardo, fase. III. 1878, pag. 456 e nella Prefazione all'opera citata dei fratelli Gnecchi, pag. lv. (4) aitila secca di Milano dal secolo XIII fino ai giorni nostri \n Ri- vista Europea, 1844 e ripr. dai fratelli Gnecchi in Tre opuscoli di nutni- :intntica milanese del conte Giovanni Mnlaazani ristampati. Milano, 1889, pag. 24. 236 EMILIO MOTTA leazzo Maria Sforza, stesso, già posseduto dal pro- fessore Aldini, datato da Pavia il 4 marzo 1476. in cui si approvavano i conti, e se ne dava intiera li- berazione a Gabriele Paleari per la gestione della tesoreria tenuta dopo la morte del tesoriere generale Antonio Anguissola di Piacenza, dal 23 agosto 1473 al 19 ottobre 1474. Quelle medaglie erano così descritte: « quatuor medaliae aureae magni ponderis, valoris ducatorum circiter decem milia prò qualibet, quarum duae no- strani, et duae ili.*""' consortis nostrae effigiem sculp- tam habebant » ; del valore o peso, stimato dal Mu- lazzani medesimo di almeno 4000 odierni zecchini per cadauna <^K Ben più tardi il Caffi e lo scrivente ^^^ aggiunge- vano documenti a provare che dieci furono i meda- glioni d'oro battuti dal duca di Milano, cinque con la sua effigie, cinque con quella della duchessa. Il Muntz e l'Armand ne accoglievano le notizie nei loro scritti, calcolandone il peso a circa 35 chili di (1) 11 Mulazzaiii si diftonde nella interpretazione dei diecimila du- cati attribuiti ad ognuna delie quattro medaglie, che erano del valore e peso ognuna di diecimila veri e pesanti ducati d'oro ossia zecchini. Volendo comporre di quella massa prodigiosa d'oro un calcolo più mo- derato possibilmente e che nello stesso tempo illeso mantenesse il con- cetto delle grandi dovizie sforzesche, egli tramutò i ducati reali d'oro in ducati immaginari composti di soldi 32 d'argento che dalla fine del secolo XIV, regnando il primo duca Gian Galeazzo Visconti, correvano quale moneta di conto, frammisti ai veri, in Milano e vi ebbero corso fino al Governo Spagnuolo. Considerati pertanto i diecimila ducati al valore di soldi 3*, si hanno lire 16,000 di quell'epoca per valore di ogni medaglia. Valendo poi il ducato effettivo d'oro lire 4 e soldi 2, ne segue che lire 16,000 erano l'equivalente in quel tempo a poco meno di quat- tromila veri e pesanti ducati d'oro, come sopra riferito. (2) Cakki, Anlica arte lombarda. Oreficeria in Arch. Star. Lombardo, 1880, pag. 590 ; MoiTA, Nuovi documenti ad illustrazione della cecca dt Milano nel secolo XV in Gazsdla Numismatica dell'Ambrosoli, a. IV, n. 5, 1884. I MEDAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 237 metallo ed iscrivendo fra i medaglisti i nomi di Za- netto Bugato e di Maffeo da Givate (^^. Ora è finalmente il momento di ripresentare, come molti anni sono promettevano ^^\ questo mate- riale archivistico, completandolo con qualche altro documento sopravvenuto, anche ad illustrazione so- bria degli artefici di quei medaglioni. Sulla fede dei documenti, editi od inediti, dell'Archivio di Stato di Milano <3) confermeremo che le medaglie in numero di IO, e del valore superiore ai 10,000 ducati fu- rono diffatti coniate sul finire del 1470 e nei primi mesi del successivo 1471. Artefici quel Zanetto Bu- gato pittore, valentissimo sopra tutti nel fare di ri- tratto e perciò appunto scelto da Galeazzo Maria fino dal T467 a delineare le fattezze di Bona che era allora sua fidanzata U); Maffeo da Ctvate, fra i più rinomati orafi del '400 <5) e Fraìicesco Rossi da Man- tova, bombardiere ben noto al servizio ducale ^^\ (i) Muntz, L'arie italiana nel '400. Milano, 1894, pag. 177; Armano, Les médaitleurs, seconda ediz., t. 3, pag. io e sgg. Paris, 1887. (2) Cfr. i nostri Documenti Visconteo-Sforzeschi per la storta della secca di Milano in questa Rivista, 1896 ai nn. a68 e 270 dei regesti. (3) Si avverte che i documenti prodotti stanno nelle sezioni : Car- teggio Sforzesco, Potenze Sovrane (A-Z, medaglie e gioielli), Autografi (Artisti diversi, medaglie). (4) Morto nel 1476 (Boll. Star, della Svizzera Italiana, 1884, pag. 79). La bibliografia intorno al Bugati è ricca. Ci limitiamo a citare i più recenti del Malaguzzi in suoi Pittori Lombardi del Quattrocento ed in Rassegna d'Arte, dicembre 1911. (5) La famiglia dei da Givate, al pari di quella dei Crivelli, è tutta una famiglia d'orefici valentissimi. Il nome Maffeo vi si ripete da padre in figlio, e due di tal nome piìi degli altri si distinsero come orafi e zecchieri ; il secondo Maffeo operò nelle zecche di Desana e di Saluzzo nel primo quarto de! secolo XVL Rimandiamo ad altra occasione di ragionare meglio dei due Maffeo da Givate, del resto già abbondante- mente ricordati dal Caffi, dal Beltrami, dal Promis, dal Muntz, dal Ma- genta, dal Ceruti, dal Roggiero e forse ultimo dal Biscaro (Archivio Stor. Lombardo, I, 1914, pag. 86). (6) figura come bombardiere già nei 1460. Nel 1471 getto una ben riuscita spingarda e fallì il getto di un'altra bombarda. Assentatosi dal 238 ' EMILIO MOTTA Ecco il primo documento, un ordine ducale del 12 novembre 1470 al tesoriere Antonio Anguissola : Dhx Mediolani eie. Antonio. Volimo che havuta questa faci fare duy stampi grandi de forma corno sonno le medaglie de marmore sonno lì in la camera nostra, di quali luno stampisca la testa no- stra al naturale cum queste lettere in cerco : Galeaz Maria Sfortia Viceeomes Dux Mediolani quintus, et l'altro stampo stampisca la testa dela 111.""^ nostra consorte pur al naturale con queste littere: Bona Viceeomes Ducissa Mediolani quinta; et forniti dicti stampi, faray stampire de luno et de laltro in piombo una forma quale ne mandaray. Dat. Viglevani die xij novembris 1470. ClCHUb. Al quale primo ordine ne seguiva l'indomani un secondo più chiaro. Dux Mediolani etc. Antonio. Per una altra nostra te havemo scritto come tu dovessi far fare uno stampo de medaya alla forma de una de quelle de marmerò che sono in castello nela nostra camera. Ma acciò che tu sij meglio chiaro dela intentione nostra te dicemo cosi che tu debij fare fare una massa de piombo, tonda de la grandeza del cerchio mazore che è de- signato in lo incluso foglio et che sij de quella grosseza che seria ad farne una de peso de x." ducati d'oro, et facta che la sia subito ne la manderà^- qua. Ma in ciò non gli perdere tempo alcuno perchè poy te avisaremo de quanto haveray ad fare. Dat. Viglevani die xiij novembris 1470. ClCHUb. servizio Sforzesco vi è richiamato nel 1473. Nel dicembre 1478 e nel 1480-81 lo vediamo occupato ai castelli di Bellinzona. Di casato era: Rossi e tale si rivela dall' istromento di vendita di Mesocco a Gian Gia- como Trivulzio del 20 dicembre 1480. Mori ai 19 marzo 1492 (cfr. Motta, Morti in Milano in Ardi. Sior. Lombardo, fase. II, 1895, pag. 264. I MEbAGLIONI Ì>1 G. M. SFORZA E DI hONA DI SAVoia 23^ Ai 3 dicembre nuova missiva del duca al suo tesoriere ; e da essa si intende che la lorma portata dal pittore Zanetto era piaciuta allo Sforza, e che delle medaglie se ne dovevano coniare io del va- lore di 10,000 ducati, coll'effigie del duca su di un canto e della duchessa sull'altro. Le medaglie, come dal documento precedente, dovevano aver la forma e la grandezza delle medaglie in marmo che si tro- vavano nel castello a Milano (^*. Dux Mediolani etc. Antonio. L'altro dì te scrissemo corno deliberavamo far fare dece medaglie de valore di decemilia ducati luna, et così per possere meglio vedere la forma te dicessemo ne fesse butare una de piombo, di quella grandeza et grosseza dovevano essere quelle de oro, cum il stampo di la nostra testa da uno canto et da l'altro quella dela nostra 111.'"* Con- sorte. La qual forma portata per messer Zaneto habiamo vista et piazene la grandeza et forma dessa. Pure aciò che alla nostra venuta lì a Milano possiamo vedere butare diete medaglie dece de pexo di x™ ducati luna utsupra, volemo metti in ordine lo oro et le altre cose necessarie in modo che non gli manchi altro, salvo dargli il stampo. Dat. Vigle- vani die iij.° decembris 1470. Jacobus. Galeaz subscripsi, cum corniola. Dell'ultimo di dicembre è un'altra lettera du- cale. La medaglia d'oro importava 15,000 anziché 10,000 scudi e lo Sforza impartiva i necessari ordini (i) Le dimensioni esatte di questi medaglioni non ci sono note. Si può tuttavia farsene un' idea, ricordando, come giustamente osserva l'Armand, che le teste erano di grandezza naturale ed uguali ai meda- glioni in marmo, tuttora nel Museo del Castello e nella collezione G. Dreyfus a Parigi. Quindi un diametro di circa 60 centimetri ed uno spessore non inferiore ai 6 o 7 millimetri, per raggiungere il peso di 10,000 ducati. ù^ò f.UtUÒ MOttA airAnguissola pello sborso di quella somma. Gio- vanni Antonio Pirovano e Giacomo Alfieri assistes- sero al getto dell'oro. L'opera fosse eseguita dal bombardiere Francesco da Mantova, dal pittore Za- netto Rugati e dall'orefice Maffeo da Civaie, ricordati precedentemente. Dux Mediolani eie. Antonio. Perchè havemo deliberato comò tu sai di far butare una medaglia doro cum la nostra testa da mestro Francesco da Mantoa nostro bombarderò, da mestro Zaneto depinctore et da mestro Mafeo da Giva (Givate) aurifice, al compimento de la qua! medaglia, secundo il parere de dicto mesero Mafeo anderà ducati quindeximilia, semo contenti et volemo daghi a Johanne Antonio da Piroano tuo cancellerò dicti ducati xv™, videlicet ducati dodexe milia doro in oro larghi et ducati tremilia venetiani in tanto oro : qua! Johanne Antonio starà presente a veder butare dieta medaglia una cum Jacobo Alfero corno habiamo ordinato. Intendendo sopra li ducati vcc™ avanzano nell'anno m.° ecce." Ixxj. Dat. in castro Porte Jovis Mediolani die ultimo decembris 1470. Jacobus. Galeaz subscripsi. Ai 15 gennaio 147 1, troviamo che due medaglie erano già state battute, e che il duca in quel giorno insisteva perchè fossero portate ad esecuzione le altre otto, come dalla seguente sua missiva da Monza: Modoetie die xv Januarij 147 1. Antonio Anguissole. Antonio. Havendo nuy per ogni modo deliberato comò tu say de far fare dece medaglie doro videlicet cinque da la nostra testa et altre cinque da la testa de la nostra III."'* con- sorte et cum quello reverso habiamo ordinato cum mestro Zaneto et mestro Francisco da Mantova, de precio et valore de decemmilla ducati luna, in modo che siano in suma du- I 1 MEDAGLIONr DI r.. M. SFORZA F DI RONA DI SAVOIA 24 1 cati centomillia cum quelle doe che sono butate : le quale aciò siano simile ale altre le faray rebucare. Volemo adun- cha che usi ogni diligentia te sia possibile, che diete meda- glie siano butate et facte per mestro Mafeo da Givate, me- stro Zaneto et mestro Francesco da Manloa, secondo la forma de la commissione ha havuta da nu^- diete mestro Zaneto. Siche faray desfare tutti quilli ducati te sarano ne- cessari] per satisfare ad questa nostra mente. Jacobus. Galeaz subscripsi cum corniola. Dei 3 marzo successivo è il conto dettagliato di quelle medaglie, reso già noto dal compianto nu- mismatico e storiografo Damiano Muoni, ma che qui è duopo riportare di bel nuovo: Die iij martij 1471 portati per mano de Job de la Croxe. Conto de sexe medalie fabricate con la efigia del nostro Illustrissimo Sig."^* et de la nostra Illustrissima Madonna du- chesa comò appare qui de soto videlicet. Primo j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa marca 168 onze 5 denari 12 vale ducati 11302 7i« i lietn j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa m.* 148 onze 5 den. 12 vale due. 9962 ; Item j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa m.' 155 onze 4 den. 12 vale due. 10422 % ; Item j Medalia con la effigia dela nostra J. duchesa pexa m." 165 onze i den. 6 vale due, 11065 Vj ; Item j Medalia con la effigia de la nostra j. Duchesa pexa m.^ 153 onze 4 den. 12 vale due. 10388 Vi ; Item j Medalia con la Effigie dela nostra J. duchesa pexa m.* 155 onze 7 den. 7 vale due. 10447 ^/^. Le suprascripte medalie 6 pexeno in summa m.* 947 onze 4 denari 18, valeno ducati 63488 '/,«. I documenti sono interrotti per alcuni mesi. Ma le medaglie, furono battute; non v'ha dubbio. Ce lo 242 " EMILIO MOttÀ confermano gli ordini 27 e 28 giugno 1471 da Mi- rabello al tesoriere Anguissola ed al conte Giovanni Attendolo, castellano di Pavia di farne pulire e pre- parare al giusto peso due, intendendo lo Sforza por- tarle seco a pompa nella sua gita a Mantova (^>. Scriveva all'Attendolo la duchessa Bona di Sa- voia : Mirabelli xxvij Jiinij 1471. Corniti Johanni de Attendolis. Dilectissime noster. Perchè deliberanno in questa nostra andata in Mantuana portare con no}- duy de quelle nostre metaglie sonno in la camera del Thesoro de quello nostro Castello in vostre mane, semo contenti et volenio dagati a Jop da la Croce raxonato et mandatario de Antonio Anguis- sola, nostro generale Thesaurero, doy de diete mettaglie per portare ad esso Antonio acciò che le possa fare netezare, polire et adiustare secondo gli è stato comesso et diete me- taglie volemo siano una della testa del nostro 111.™° consorte et l'altra della nostra testa. Dat. Mirabelli die xxvij Junij 1471. Jacobus. Subscript. : Bona duchesa de Mediolani, cum corniola. Il duca, avute le due medaglie le rimetteva, a mezzo del ricordato Job della Croce, all'Anguissola, come dalla seguente: Dux Mediolani etc. Antonio. Per Job de la Cruce te mandiamo due meda- daglie de la testa nostra et de la nostra 111.*"" Consorte aciò che tu le facij nettezare et adiustare al peso imodo che siano aconzo a laudata nostra in Mantuana, quale sarà prestissima. Siche non ghe perderai una bora del tempo perchè siano (i) UOrfeo del Poliziano venne per la prima volta rappresentato alla corte di Mantova, appunto nel luglio del 1471, nell'occasione delle feste datevi per l'accoglienza del duca di Milano. I iMEUAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 243 finite più presto sia possibile. Et più volemo che mandi qui in questo nostro castello imano del Conte Joanne nostro Ca- stellano tanti denari in oro quanti sarano le diete due me- daglie adiustate che siano, per non mancare al numero che tu say corno te scriveremo più copiosamente per un altra nostra secondo li ordini. Dat. Mirabelli die xxviij Junij 147 1. Jacobus. Nuova missiva ducale del giorno susseguente, da Pavia, sempre al tesoriere suo : Antonio Anguesole. Antonio. Credemo a questa hora per Job dalla Croce habij recevute le due medaglie quale te mandiamo aciò che tu le facij netezare, polire et adiustare per portare cum noy in Mantuana el più presto sia possibile, et perchè non vo- lemo mancare al numero che tu say et in questo nostro ca- stello de Pavia, semo contenti remandi altrettanti denarj qui in oro quanto erano o vero serano de peso diete medaglie justate che siano et alla tornata nostra de Mantuana te or- dineremo quello se deve fare de diete metaglie. Dat. Papié die xxviiij.*» Junij 1471. Sig. Jacobus. Subseript. Galeaz, cum corniola. Dei 3 settembre, sempre del medesimo anno, è l'ordine dello Sforza da Pavia all'AnguissoIa di man- dargli, consegnandole al castellano conte Attendolo, due di quelle medaglie, avvisandolo « quanti denari se ritrovarano in capsa a chalende de februaro pro- ximo che seguirà satisfacendo alle spese tute metute in lista in l'anno presente 1471 habiando sborzato sì più denari che non sonno in assignatione del pre- sente anno ». Il carteggio ducale riguardo i medaglioni non riprende che due anni dopo. Maffeo da Givate e compagni erano davvero in aspettativa di essere 44 KMILIO MOTTA ricompensati « de la manifactura de le due medaglie d'oro novamente facte per loro mane », Dimanda- vano ducati 50 per cadauna. Il tesoriere e segre- tario Gabriele Paleari, cui spettava accertare l'opera e pagarla non osava proporre una perizia del fatto lavoro opera che « ali nostri tempi non è facta la simile » per tema che i periti lo valutassero a ^omma maggiore e riuscì a farli « restare contenti di ducati 25 per ciaschuna ». Ma ecco la lettera del Paleari tal quale al duca di Milano : 111.""* Signore mio. Como sa V. S. essendo quella qui alli giorni passati Magistro Maffeo da Chivà orefice gli do- mandò lo facesse satisfare luy et li compagni de la mani- factura de le dece medaglie doro novamente facte per loro mane. Et quella gli respose me trovasse mi. Esso magistro Maffeo con li altri compagni per le predicte parole più volte me hanno richiesto el pagamento, et jo ho voluto intendere que volevano per la dieta mercede et loro me hanno do- mandato ducati cinquanta per cadauna, poy son venuti a xl et poy a trenta, ofTerendosse loro de farle estimare et stare a quello che fussero estimate. Io vedendo questa essere opera che ali nostri tempi non è facta la simile, non lo vo- luto lassare estimare perchè seriano estimate più che forse loro domandino, li ho tirati et facti restare contenti de du- cati vinticinque per ciaschuna desse medaglie. Dilchè me parso avisarne V. Ex.*^'* pregandola me facia rescrivere se] la vele chio paghi esse medaglie al pretio suprascripto de ducati XXV per caduna. Poy anchora se la vole chio paghi esso Magistro Maffeo et Mag.'° Zaneto pictore del tempo hanno perduto circa el laborare desse medaglie el paga- mento di qualli, computato certo carbone et altre spese gli son andate, montarà circa ducati quaranta. Me recomando a V. Celsitudine. Ex arce porte Jovis Mediolani die xv octo- bris 1473. Ejusdem IH."'* dominationis fidelissimus servitor Gabriel Palearius. 1 MEDAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 245 Cinque giorni dopo il duca autorizzava il paga- mento, rispondendo colla seguente : Papié XX octobris 1474. Gabrieli Paleario. Gabrieli. Tu ne scrive bavere reducte Mag/° Mafeo da Cbivà orefice et compagni ad essere contenti per la mani- factura dele dece medaglie novamente facte ad computo de ducati XXV l'una, benché essi ne domandasseno prima ducati cinquanta, et che dubiti facendola estimare, saria forse esti- mata più deli ducati xxv. Pertanto siamo contenti faci questo tale pagamento, comò te pare che habiamo ad usarne me- glio : similmente satisfaray ad esso Mag/** Mafeo, et Mag/** Zaneto per lo tempo consumato circa e! laborare desse me- daglie, et per le spese, corno te parerà che habiano meri- tato, fin ala somma de li quaranta ducati, segondo tu scrive. Quali tu retegnaray poy sopra qualche exatione. Jacobus. Galeaz subscripsi, cum corniola. Altri documenti ci mancano a provare se real- mente il completo pagamento venne eseguito od an- cora tirato per le lunghe, cosa non rara nell'ammi- nistrazione sforzesca. E pur troppo quei preziosi tesori dell'arte no- stra scomparvero. Nel 1492 gli ambasciatori ve- neti, capitati a Milano, li ammirarono ancora nel tesoro ducale, almeno è a credere che fossero tra quelle « XII medaglie tutte doro massizo, cum le effigie deli signori preteriti, dele qual alcune valeno X milla ducati, alcune XII et alcune XV mille, cosa stupenda » (^>. Sappiamo pure la fine di uno dei medaglioni U) SiMONsFELD, Itinerario di Germania delfanno 1492. Venezia (Mi- scellanea VenetaX 1903, pag. 54. 246 EMILIO MOTTA coircffigie di Bona, grazie all' illustrazione curatane dall'Avignone <'). Quello straordinario pezzo d'oro massiccio, del peso di libbre 113, oncie i e denari 12, venne con- segnato ai 6 novembre 1495 dai figli del qd."' Ben- dinelli Sauli alla zecca di Genova dove non avrà tardato a squagliarsi nei crogiuoli! Non v'ha dubbio trattarsi d'uno dei nostri, nell'atto notarile di con- segna (not. Lorenzo Costa) ^^^ essendo chiaramente identificato : Medaglia una auri in qua ab una parte sculpta est imago capitis et ab humeris supra unius mulieris et circum circa litere legibiles que leguntur ut infra : BONA • VICECOMES • DVCISSA • MEDIOLANI • QVINTA • EJVS • VXOR, ab alia parie diete medagie scuke i.uiii ai bores tres palmeiorum cum zi- liis quatuor : in capite arboris ex dictis tribus existentis in medio litere que leguntur ut infra : BONA • et in capite alia- rum duarum arborum alie litere que leguntur etiam ut infra: VICE COMES : et in medio dictarum arborum alie litere que etiam leguntur ut infra DVCISA MLI QVINTA : et in fine : OPVS ZANETI PICT • et ad pedes arborum predictorum litere que cuam leguntur ut infra MIT • ZAIT • (s). I Sauli l'ebbero dalla disgraziata Bona di Sa- voia in pegno od in vendita ?... ^4). Quel medaglione, secondo il calcolo istituito dal- (1) Di un medaglione di Bona di Savoia in Aiti della Società Ligure di Storia Patria, voi. Vili, 1868, pag. 731 e segg. (2) Il documento venne pubblicato d'in su l'Archivio notarile di Ge- nova dall'Alizeri nelle sue Notizie dei professori del disegno, 1, 382, ma numismaticamente divulgato dall'Avignone. (3) Lodovico da Foligno orefice e medaglista ferrarese fece una medaglia di Bona di Savoia, mandata in regalo a Lorenzo il Magnifico (Cfr. Rossi U. in Gazzetta numismatica di Como, a. VI, 1886, nn. 9-11). (4) La duchessa Bona, maltrattata da Lodovico il Moro, abbando- nava appunto nel 1495 la Lombardia, passando in Francia (Cfr. Rosmini, St. di Milano, IV, 186 e sgg.). I MFftAGf.IONl ni G. M. SFORZA E DI RONA DI SAVOIA 24^ l'Avignone, si rileverebbe essere il minore fra le sei medaglie notate nel conto del T471 pubblicato dal Muoni ed ivi indicata per la quinta **). Si sa che Galeazzo Maria Sforza fece anche battere dei rarissimi pezzi da io ducati : monete o meglio medaglie aft'atto eccezionali e quasi sempre apprestate, come giustamente osservò il Biondelli, cogli stessi coni del doppio ducato, differendone solo nel peso proporzionato al rispettivo valore <^>. Non si sapeva però, a debole nostro parere, che quel duca ne avesse fatto approntare nel marzo 1472 cinquanta, del valore complessivo di 500 ducati, da mettersi in due cassettine d'oro, poggiate sul dorso di un cammello d'oro, guidato a mano da un mo- retto, pure d'oro, un vero gioiello dell'oreficeria lom- barda e d'altrettanta spesa dei ducati ordinati. La prova sta nel seguente documento : Dux Mediolani etc. Antonio, Te mandiamo qui alligata una medaglia de la nostra testa, quale né dicto pexare ducati dece ad ciò ne faci fare cinquanta daltre del pexo di questa, zoè che pexino dece ducati luna, pur su questo medesimo stampo : quale cinquanta vegnarano ad valere in tutto ducati cinquecento. Appresso volemo ne faci fare uno Camello d'oro con un Moro pur d'oro. Zercharay li megliori magistri habij Millano (i) Il MoRBio, Opere storico-numismaiiche. Bologna, 1870, pag. 69, menziona una moneta d'oro del peso di 12 zecchini nel Museo Mulaz- zani, ora venduto e disperso. Altro pezzo insigne ammiravasi nel Museo Palagi, che da Milano passò a Torino e da ultimo a Bologna. (2) Ci sembra utile far rilevare che dei testoni di Galeazzo Maria e Bona Sforza ne disegnò le effigie Ambrogio figlio di Maffeo da Gi- vate, nel 1470 (Cfr. Motta in Gazzetta Numismatica, a. VI, n. i. 1884). 24^ KM ILIO Moti' A per tale artificio, et ordinarali che Facino el Camello con due casse su el dosso, l'una da un canto, l'altra da l'altro, pur d'oro, quale habiano le soe serrature et chiavete. Vo- lemò chel Moro meni el Camello ad mane con una cadenella d'oro et habia le diete chiavete alla centura. In diete cassete volemo mettere li suprascripti ducati l, quali devi far fare zoè vinticinque da l'uno canto et xxv da l'altro. Siche ordi- naray la soa grandeza ala proportione dela tenuta deli xxv ducati. La spesa del Camello et moro et cassete volemo sij de ducati cinquecento in modo che li ducati l et tutte queste cose vegnino ad costarne ducati mille in tutto. Ma prove- deray omnino che habiano queste cose expedite el sabato sancto, facendo mettere el smaldo al camello et moro se- gondo parerà conveniente alli magistri. Et quisti mille ducati te li faremo rendere questo mese de mazo proximo de li denari d'una compositione havemo con quilli de la Somalia. Ma sborsaray ti de presenti li mille ducati adciò possiamo bavere l'opera al termine soprascripto del sabbato sancto, raosta ogni exceptione. Havendo bona advertentia chel Ca- mello, Cassete et Moro siano facti ala soa proportione se- gondo richederà la spesa de li dicti ducati. Non volemo chel Camello passi cinque o sey digiti pollici de alteza. Ex Vi- glevano xvij martij 1472. Jacobus. Galeaz subscripsi, cum corniola. Al lavoro fu tosto dato principio e se ne con- servò il conto particolareggiato che qui facciamo seguire, a chiusa di questa nostra qualsiasi memoria : Nota. Uno camillio con dove capsete fuxe e medalie 50 in diete capsete da ducati 10 luna con uno morato, tute dete cose doro, sono costade le dete cose in summa libre 3986 soldi 19 denari 3. Va detracto per spexa de manifatura dele diete opere e colo de l'oro in summa lib. 830 soldi 9 den. 3. Et sic resta de neto libre 3 [56 soldi io, è fu principiato a fabricar deta opera adì 18 de martio 1472. Emilio Motta. CONTRAFFAZIONE INEDITA DEL TALLERO OLANDESE Per molto tempo fui riluttante a pubblicare la presente moneta, non potendo riuscire a decifrare a quale zecca essa appartenesse; mi rivolsi quindi per consiglio ad un valente numismatico, vero specialista in materia di contraffazioni italiane. Dopo accurato esame e numerosi confronti con altre monete di tipo estero contraffatte e che dalle impronte e nelle leg- gende non rivelano la loro emissione, il suddetto numismatico diede un' ingegnosa spiegazione della moneta stessa, che porto senz'altro a conoscenza dei lettori della Rivista, convinto che non sia tanto fa- cile di trovare altra soluzione migliore. Ecco la descrizione dell' interessante tallero : Nel campo del diritto la nota figura del guer- riero a mezzo busto, con mantello svolazzante, ri- volto a sinistra e sormontante lo stemma nel quale è raffigurato il leone nascente dalle onde marine, 32 •2^0 CONTRAFF. INÈDItA DEL TALLFRO OLANDESE - E. ÒOSCO corrispondente allo stemma di Zelanda. Attorno la leggenda: Y MO Y NO ARG * ORDIN * N3L Y sotto lo stemma la data 1 — 01. Nel campo del rovescio il leone del Brabante con la leggenda : (rosa) Y OON- FIDE Y S Y DON MOVETVRA I Y. La leggenda del diritto andrebbe così comple- tata : fAOnefa fiOva kR&ni/ca ORDÌtin/a tiEL-^(i-i)ì (op- pure 17-01). Quella del rovescio non è che una strana contraffazione del solito motto: CONFIDENS • DOMINO • NON • MOVETVR • comune ai talleri genuini della Confederazione Belgica; le ultime lettere della medesima leggenda fornirebbero la chiave della so- luzione, potendosi interpretare come un monogramma di AN • I o ANT • I ossia Antonio I. Dato lo stile della moneta ed anche la circo- stanza che il tallero olandese (Leeuwendaalder) venne pure contraffatto dalle più fiorenti città commerciali italiane tra cui Genova e Monaco, sul finire del se- colo XVII, detto monogramma apparterrebbe ad Antonio I Grimaldi, principe di Monaco (1701-1721) mentre l'altro tallero già conosciuto del 1668, col leone dal cuore fusato e la leggenda: PLACET • ET • POLLERE • VIDETVR, venne coniato in Monaco dal suo predecessore principe Lodovico I Grimaldi (1662- 170T). Sarei pertanto grato in particolar modo al cor- tese lettore che volesse favorirmi qualche ulteriore informazione al riguardo, atta a chiarire meglio la questione. Torino, ij marzo 1916. Ing. Emilio Bosco. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI La Zecca di Tripoli d'Occidente nell'opera di M.' Valen- tine (I). L'opera del Valentine ha, dopo la conquista libica, un certo interesse anche per noi italiani essendo un capitolo di essa dedicato alla zecca di Tripoli d'Occidente sotto il do- minio degli Ottomani. Poiché, per altro, la descrizione e l'as- segnazione delle monete di rame descritte nel capitolo stesso non sono immuni da errori e la serie di esse, quantunque rilevata dalla collezione del British Museum, dall'opera del Neumann (2), dalla collezione del Fonrobert e da quella del sig. Daniel F. Howorth, non comprende che 45 tipi con 64 varietà, mentre nella collezione fatta sul luogo dallo scri- vente se ne contano fino ad ora, nel solo rame, oltre cento, con un numero di varietà di circa cinquecento, ho cre- duto non del tutto inutile, nell'attesa di documenti e notizie che possano gettare della luce nella oscura materia della monetazione ottomana in Africa, di assoggettare ad un esame critico i risultati ai quali è pervenuto il sig. Valentine, allo scopo di correggere le inesattezze dell'opera che, per il col- lezionista di monete appartenenti alla nostra nuova colonia. (i) Valentine W. H., Modem Copper Coins 0/ the Muhantmadan States. London, Spink & Son, 1911. Un volume di pag. 203, litografato con carte geografiche e riproduzioni in tavole di tutte le monete descritte. (2) Beschreibtmg der bekanntesien Kupferinunzen. 252 BIBLIOGRAFIA rappresenta il solo punto di appoggio che attualmente esista (i). Tripoli d'Occidente [Tarabulus gharb) o^^ ij'^^S^ cadde, com'è noto sotto la dominazione turca nel 1551 {958 dell' E.), quando l'ammiraglio Sinan Pascià la tolse, dopo averla assediata, ai Cavalieri di Malta ai quali la città era stata concessa da Carlo V. Regnava in quell'anno il sultano Suleiman I ben Selim, il Magnifico, al quale successe Selim II nel 1556. Né il primo né il secondo di questi due sultani, come neppure i loro successori fino ad Ahmed I che salì al trono nel 1603, avreb- bero coniato moneta a Tripoli d'Occidente. Infatti la serie delle monete della zecca tripolina s'inizia con una monetina di Ahmed I che porta nel diritto la scritta : Sultan Ahmed khan e nel rovescio un esagramma o sigillo di Salomone, figura che si trova comunemente nelle monete ottomane d'Africa ed è composta di due triangoli intrecciati. Se delle quattro monete che l'A. assegna a questo sul- tano, la prima, che non porta indicazione della zecca, e la quarta, che è stata coniata sicuramente a Tripoli {Tarabulus, ^^i}j\> com'è scritto nella monetazione più antica), possono attribuirsi ad Ahmed I, la seconda (n. 298, voi. 5, Cat. British Museum) e la terza (n. 297, idem) appartengono sicuramente ad Ahmed III che salì al trono nel 1703 (n. 1115 dell' E.), e cioè un secolo dopo. Infatti l'esemplare descrtitto al n. 2 che è stato assegnato ad Ahmed I perchè nel diritto si legge il nome di tale sultano, porta nel rovescio, in un segmento di cerchio (il solo visibile dei tre che son tracciati negli esemplari completi di questo tipo) un segno particolare al quale non s'è data alcuna importanza. Esso è, invece, una cifra della data e precisamente un 4 della forma più usata in quell'epoca, come si rileva dalle monete di Muham- mad IV, e la data che appare chiarissima in parecchi esem- plari della collezione dello scrivente, è l'anno 1134 in cui regnava appunto Ahmed III. Anzi, per essere più precisi, (i) Qualclic rara moneta tripolina trovasi descritta anche nella lidia opera di Ahmed Ziya (deputato turco), stampata a Costantinopoli nel 1910, in turco ed nrabo. BIBLIOGRAFIA 253 la moneta appartiene, come vedremo, all'epoca dei Cara- manli, giacché a quel tempo il principe Ahmed Caramanli si era da ii anni insediato come Pascià a Tripoli battendo moneta al nome del sultano, come fecero tutti i suoi succes- sori. A confortare la nostra asserzione, se ve ne fosse il bisogno, si potrebbe aggiungere che il sistema di segnare la data in tre segmenti di cerchio tracciati intorno ai lati di un triangolo è caratteristica della monetazione ottomana del- l'epoca e pili precisamente del primo periodo della moneta- zione dei Caramanli in Tripoli, come risulta dall'esemplare descritto dall'A. al n, 27, coniato col nome del sultano Abdul Hamid, figliuolo di Ahmed III. E si potrebbe notare inoltre che il contorno della moneta in discussione non è formato pa puntini come le monete dei predecessori di Ahmed III, ma da virgolette oblique come quello delle monete di Ahmed III e dei suoi successori. Non vediamo poi la ragione per la quale la moneta n, 3 è stata assegnata ad Ahmed I e non ad Ahmed III quando essa non è che una varietà dei nn. 19 e 20 assegnati giu- stamente ad Ahmed III. La data i[i5 che si legge in molti esemplari da noi raccolti toglie ogni dubbio essendo tale data quella dell'assunzione al trono di quest'ultimo sultano. Passando ai nn. 5, 6, 7 e 8 che sono assegnati al suc- cessore di Ahmed I e cioè al fratello Mustafa I che regnò un anno nel 161 7 ed un anno nel 1621 (anni 1026 e 1031 dell' E.), è opinione dello scrivente che questo sultano non abbia coniato affatto monete in Tripoli e tale opinione è con- fortata dal fatto che lo stesso A. non ha potuto attribuirgli con sicurezza alcuna moneta neanche nei capitoli che ri- guardano la Turchia, l'Egitto e la Tunisia. Le quattro mo- nete sopraindicate, meno la settima forse, possono esser quindi di Mustafà II (1106-1115 dell'E.) del quale l'A. non ha trovato alcuna moneta coniata a Tripoli. Anzi la sesta (n. 325 B. M.) è sicuramente di quest'ultimo sultano, perchè 1 numerosi esemplari di questo tipo posseduti dallo scrivente portano qualcuno tutte e quattro e taluno le tre ultime cifre (sistema in uso) della data di coniazione sul ba della parola gliarb. E tale data, chiarissima, ora è il 108, ora il no. Que- st'ultimo è, probabilmente l'anno segnato sull'esemplare n. 6 254 BIBLIOGRAFIA in discussione sul quale i due i si leggono chiaramente e stanno ad ogni modo ad escludere che si tratti di una mo- neta di Miistafà I. A Mustafà II vanno poi assegnati, secondo lo scrivente, gli esemplari descritti ai nn. 23 e 24 ed attri- buiti dall'A. a Mustafà III (117J-1187 dell'E.) e ciò per varie ragioni. Le due monete, infatti, non sono, a ben guardarle, che delle varietà del n. 6 (assegnato a Mustafà I, ma appar- tenente a Mustafà II come s'è detto). La prima, inoltre, porta delle cifre (che sulla seconda non si leggono per cattiva conservazione dell'esemplare) sempre sul ba della parola gharb, le quali se possono sembrare HA (118) sono invece molto probabilmente II • A (1108), giacché anche sugli esem* plari identici posseduti dallo scrivente, lo zero (•) è qualche volta appena visibile, pur esistendo senza dubbio. In ogni caso, per essere di Mustafà III, le tre cifre segnate non do- vrebbero essere le tre ultime della data e dovrebbe almeno esservi un punto finale (1180) di cui non v'è traccia. È da notare poi che in questa moneta la parola Tarabulks è scritta con la uau (9) dopo il lam, come nelle monete di Mustafà II ed in quelle dei precedenti sultani, mentre nelle altre due assegnate giustamente a Mustafà III (nn. 25 e 26) ed in quelle dello scrivente che portano chiara la data d» coniazione (1171) ed appartengono pertanto sicuramente a Mustafà III, il nome della città è scritto senza la semivocale uau, come si co- minciò a praticare da Ahmed III in poi. Per esse vale poi l'osservazione fatta precedentemente sul contorno composto da puntini mentre quello degli esemplari ai nn. 25 e 26 è composto da virgolette come in tutti gli altri tipi riconosciuti come sicuramente appartenenti a Mustafà III. La moneta descritta al n. 7, che abbiamo più sopra ec- cettuata, non è, a nostro modo di vedere, né di Mustafà I né di Mustafà II, sibbene di Mustafà III per lo speciale ro- vescio (sigillo di Salomone con lettere nell'interno) che si trova con frequenza nelle monete di quest'ultimo sultano. Con Othman II ben Ahmed (1027-1031 dell'E.) che suc- cesse a Mustafà 1 e del quale l'A. non ci dà alcuna moneta, comincia, diremmo quasi in modo sicuro se non fosse per la moneta descritta al n. 4 che porta T indica/ione della zecca e viene attribuita ad Ahmed 1 senza che vi siano ra- BlBl.lOGRAFlA 255 gioni decisive in contrario, la monetazione dei sultani otto- mani a Tripoli d'Occidente, perchè in quanto alle altre mo- nete precedentemente descritte dall'A. e da noi prese in esame, o si tratta come abbiamo visto, di monete che non portano indicazione di zecca, o, se questa indicazione por- tano, sono da assegnarsi ad altri sultani posteriori, con la sola riserva di cui sopra. Le monete di Othman II portano r indicazione della città e sono datate quasi tutte del 1029 ; esse non sono molto comuni. Le assegnazioni a Murad IV (1032-1049 dell' E.), Ibrahim I (1049-58), Muhammad IV (1058-99) e Suleiman li (1099-1102), le monete del quale sono abbastanza rare, possono rite- nersi esatte. Di Ahmed II (1102-1106 dell' E.) l'A. non registra al- cuna moneta coniala a Tripoli. Noi pensiamo che ad esso possa assegnarsi la moneta, di cui al n. 4, attribuita ad Ahmed I (e in questo caso l'afifermazione fatta più sopra non sqfFrirebbe eccezione) ed un'altra moneta che porta pure il nome di quel sultano, ma di tipo diverso, le quali per il fatto che portano l' indicazione della città dovrebbero, a no- stro avviso, riferirsi ad un'epoca posteriore a quella di Othman II. L'ipotesi non è azzardata perchè il tipo di queste due monete (rovescio con stelle ad otto punte) è evidente- mente più vicino a quello delle monete del fratello di Ahmed II, Muhammad IV, che a quello delle monete di altri sultani immediatamente precedenti o successivi ad Ahmed I (v. mo- neta di Muhammad IV descritta al n. 13 ; 386 B. M.). Segue Mustafa II, del quale abbiamo discorso a propo- sito delle monete assegnate erroneamente a Mustafà I. A lui tien dietro Ahmed III (1115-1143) al quale vanno attribuiti oltre i nn. 19 e 20 le due monete ai nn. 2 e 3 sulle quali ci siamo intrattenuti. Del sultano Mahmud I succeduto ad Ahmed III non si conoscono monete coniate a Tripoli d'Occidente, sebbene egli abbia regnato dal 1143 al 1168 dell' E. L'unica moneta attribuitagli dall'A. è, senza alcun dubbio, di Mahmud II, pos- sedendo lo scrivente degli esemplari identici con la data 1223 (anno in cui salì al trono Mahmud II) che manca, per cattiva 256 niBUOGRAFlA conservazione dell'esemplare in quella descritta dall'A. al n. 21 (n. 558 B. M.). Lo stesso forse non può dirsi del successore di Mahmud I, Othnian III (1168-1171), esistendo un esemplare, descritto dall'A. al n. 22, il quale porterebbe la data 1168 e non po- trebbe attribuirsi pertanto che a questo sultano. Dal 1123 (a. d. 171 1) in poi, per altro, e cioè da quando il capo della cavalleria, Ahmed Caramanli, si fece procla- mare, dopo una strage di capi a lui ostili, signore di Tri- poli, facendosi riconoscere come pascià della regione dal sultano Ahmed III, mediante l'invio di molti e ricchi doni, più che della monetazione di questo o di quel sultano ot- tomano a Tripoli d'Occidente, sarebbe più proprio parlare della monetazione di questo o di quel principe della famiglia dei Caramanli, i quali avendo fatto ereditaria nella famiglia la carica di pascià, erano gli autori diretti della monetazione pur mantenendo in essa le formule tradizionali ed il nome del sultano regnante. Essendone stato coniato un gr^ nu- mero (come si desume dalla varietà e quantità degli esem- plari) col nome di Ahmed III, può essere avvenuto che, no- nostante l'assunzione di altri sultani, i successori del principe Ahmed Caramanli, e cioè i figliuoli Muhammad e Ali, con- tinuassero a servirsi di quella moneta, coniata in buona parte dal loro genitore, fino all'anno in cui salì al trono il successore di Othman III e cioè Mustafà III (a. 1171), anno e sultano che appaiono in un nuovo tipo. A Mustafà III vanno assegnati gli esemplari descritti ai nn. 25 e 26. Di Abdul Hamid (1187-1203) l'A. non ci dà che una sola moneta molto comune (n. 27); se ne conoscono però altri tipi sebbene scarsi, fatti coniare tutti dal principe Ali Caramanli. Anche la monetazione col nome di Selim III (1203-1227) non è molto abbondante né variata e l'A. non ce ne da alcun esemplare. Essa corrisponde ad un periodo di torbidi: occu- pazione di Tripoli da parte di Ali Aghà o Borghul Gurgi, intendente generale della marina di Algeri (1207-1209) e primi anni di lotta di lusuf pascià Caramanli per spodestare il fra- tello Ahmed (121 1). Dagli esemplari da noi posseduti non risulta che siano state coniate monete da Ali Aghà, giacché BIBLIOGRAFIA ^5^ nessuno porta la data dal 1207 al 1209. Né si può obbiet- tare che da Abdul Hamid in poi si sia segnato sulle monete il solo anno di assunzione al trono del sultano, aggiungendo al rovescio l'anno del regno nel quale la moneta fu coniata, perchè se tale proposizione è vera per le monete coniate da Mahmud II e cioè dal 1223 in poi, esistono argomenti per negarle il valore di verità assoluta per i due sultani pre- cedenti, Abdul Hamid I e Selim III. Il Codrington che fa una tale affermazione, non aveva forse, secondo noi, tutti gli elementi per emettere un giudizio definitivo. Ed infatti, per le monete di Abdul Hamid, l'anno che si legge sia nel- l'esemplare descritto dall'A. sia in altri, e specialmente in parecchie monete d'argento, è il 1188 che non è quello di assunzione al trono, e quando (come in alcune monete d'oro) l'anno segnato è il 1187, non si nota mai al rovescio l'anno di regno in cui la moneta fu coniata (2). Lo stesso è a dirsi per le monete di Selim III, perchè se molti esemplari di rame portano la data 1203 che è quella dell'assunzione al trono, uno ne possediamo con la data del 1210, e, se si os- serva la monetazione di argento, della quale ora non ci oc- cupiamo, accanto alle monete che portano la sola data 1203, senza altre indicazioni al rovescio, se ne trovano parecchie con la data 1210 (3). Durante il regno di Selim III e precisamente nel 1209 (11 giugno 1795) viene eletto Pascià di Tripoli l'ultimo e più popolare principe della famiglia Caramanli, lusuf Pascià, il quale, riconciliatosi col fratello Ahmed, era riuscito a scac- ciare da Tripoli Ali Aghà. II fratello Ahmed che era stato (i) Codrington O., A ntanual of tnusulman numisma/ics. London, 1904. Published by the Royal Asiatic Society, pag. 211. (2) Col nome di questo sultano furono coniati a Tunisi tre tipi di monete di rame con le date 1188, 1195 ^ ^^96, descritte dal Valentine. (3) Ad Algeri furono coniate monete di rame col nome di Selim III e la data 1213. Ved. il Valentine. Per altro sotto questo sultano, ma non prima, il sistema di segnare la data nel modo indicato dal Co- drington è stato qualche volta usato come si rileva da una moneta d'oro, posseduta dallo scrivente, che porta sul diritto la data 1203 e sul rovescio l'anno 15 di regno e da alcune monete descritte da Ahmed ZiYA, op. cit. 33 25^ BlBLIOGftAriA eletto bey prima di lui e dopo meno di un anno soltanto gli lasciò il potere rifugiandosi a Malta, non pare abbia co- niate monete dovendosi attribuire a lusuf Pascià quelle d'ar- gento e di rame coniate col nome di Selim III nel 1210. Dal 1210 al 1252 (anno in cui l' inviato della Turchia, Negeb pascià, si impossessò, mediante uno stratagemma del pretendente Ali, figlio del vecchio lusuf Pascià) il popola- rissimo principe fece coniare una quantità di monete straor- dinaria anche per il rame. L'A. ce ne descrive molti tipi, dal n. 28 al 64, ma molti altri ne esistono non descritti, I primi coniati dopo il 1223 col nome di Mahmud II portano soltanto la data di assunzione al irono ; dall'anno 17.° di regno cominciano a comparire sulle monete entrambe le date, che, sommate tra di loro, danno l'epoca precisa del conio. Gli anni 20, 21 e 25 sono i più ricchi di tipi e varietà. Durante l'assedio di Tripoli ad opera dei rivoltosi della Menscia, che durò tre anni (1247-1250) furono coniate le mo- nete che portano l'indicazione degli anni 25 e 26 di regno del sultano. E noi riteniamo che con le monete dell'anno 26 si chiuda la variata monetazione dei Caramanli, giacché le ultime monete coniate a Tripoli, le quali portano l'indicazione dell'anno 28, sono, per ragioni che esporremo in seguito, da attribuirsi alla restaurata dominazione ottomana. La monetazione del periodo che va dal 1123 al 1250 presenta, specialmente negli ultimi anni e per quanto riguarda i metalli nobili, delle caratteristiche degne di nota perchè ri- specchiano in modo sorprendente le vicende politiche ed economiche della regione. Tutti i principi della famiglia Ca- ramanli fino al 1830 in cui fu notificata a lusuf pascià l'abo- lizione definitiva della pirateria, attesero principalmente al- l'organizzazione ed allo sviluppo di quella caccia alle navi mercantili cristiane che costituiva la fonte precipua delle loro entrate. E quando le nazioni civili imposero ad essi con frequenti dimostrazioni navali la cessazione della pirateria essi si trovarono economicamente a mal partito. Dovettero, pertanto, ricorrere, oltre che ai balzelli, a degli espedienti e così ridussero la quantità dell'argento nella lega delle mo- nete e negli ultimi tempi variarono il tipo due o tre volte BIBLIOGRAFIA 259 all'anno (ii volte in quattro anni, dice una cronaca ebraica) (i), dichiarando fuori corso quelle precedentemente coniate. Fu certo una di quelle monete che di argento hanno appena la decima parte, coniata verso il 1247, che il fruttivendolo luda Arbib, sapendo che sarebbe stata da lì a poche settimane dichiarata fuori corso e sostituita da un altro tipo, si rifiutò di ricevere, esponendosi così all' ira di lusuf Pascià Cara- manli che lo fece ungere di miele e legare vicino alla Sina- goga perchè fosse assalito dalle mosche (21, Per sopperire alla deficienza dell'argento furono venduti anche i cannoni e le tasse divennero così gravose da determinare la rivolta dei cittadini della Menscia e l'abdicazione di lusuf Pascià a favore del figlio Ali. Questi avvenimenti affrettarono l' in- tervento della Turchia che doveva, come si è detto, por fine alla dominazione dei Caramanli. La monetazione di rame fu anch'essa arbitraria, mutevole e disordinata con caratteri propri, indipendente da quella del sultano pur ricordando in qualche ornamento i tipi che contemporaneamente venivano coniati in Turchia. Le vicende della monetazione di questo periodo, per altro, sono quasi del tutto ignorate e solo con l'esame di documenti ufficiali e privati e di collezioni, per quanto è possibile complete, potranno ottenersi gli elementi necessari per l'illustrazione della materia. Ci rimane, per completare questi appunti sulla moneta- zione tripolina, di accennare alle ragioni per le quali abbiamo affermato più sopra che la monetazione dei Caramanli si deve ritenere cessata coH'anno 26 del regno di Mahmud II e cioè coiranno 1248 (a. d. 1832) e che la comune monetina di cinque para, che porta ancora, ultima della serie delle monete coniate a Tripoli, la leggenda dhuriba fi Tarabiilus gharb, fu coniata dai nuovi pascià turchi, Negeb pascià o Mohammed Rais che sostituì il primo nello stesso a. 1835. Tali ragioni sono varie e decisive. È da notarsi, innanzi (i) Memorie del rabbino Abram Cai/un conservate e completate dal rabbino Morderai Cohen, delle quali ci ha dato un sunto lo Slousch nella Revue du monde musulman, voi. VI, settembre, ottobre e no- vembre 1908. (2) Slousch, op. cit. 26o BIBLIOGRAFIA tutto, che la moneta si distingue per regolarità, se non uni- formità, di conio, di dimensione e di peso precisamente come le precedenti sono caratterizzate da una rozzezza di disegno e dalla massima irregolarità nel peso e nelle dimensioni. Essa, poi, prima del genere, porta sul lato della tughra la pa- rola nuhàs, ^J'\^ rame, quasi come un avvertimento che non era inopportuno in un'epoca in cui monete dall'apparenza di puro rame erano state messe in circolazione dal principe come monete di argento per una minima parte che di questo metallo contenevano. Infine essa fu coniata nell'a. 28 del regno di Mahmud II e quindi, dato che questi salì al trono il 1223, nell'anno 1251 dell' E. Ma quest'anno cominciò il 29 aprile 1835 e noi sappiamo che ai 26 maggio di quel- l'anno Tripoli ricadde sotto la piena dominazione ottomana (0; le monete coniate a Tripoli dal nuovo pascià non potevano portare, pertanto, che l'indicazione dell'anno 28 del regno di Mahmud IL II pascià turco pensò soltanto nel primo anno di continuale a coniare monete sul luogo mantenendo in vita la zecca della città ; monete con data posteriore non se ne conoscono, per cui è lecito supporre che, negli anni suc- cessivi, la zecca fu abolita, provvedendosi alle esigenze eco- nomiche del paese con moneta coniata nella madre patria e precisamente a Costantinopoli. Guido Cimino. Ferrare (mons. Salvatore). Le monete di Gaeta, con ap- pendice su le Medaglie. Napoli, Melfi e Joele, 1915, in-8, pagg. 135 con figure. Questo lavoro postumo, perchè l'A., dopo avervi consa- crate le più affettuose e diligenti cure e averlo anche inti- tolato con una elevatissima lettera al sig. conte Nicolò Pa- padopoli Aldobrandini, Presidente della Società Italiana di Numismatica, non potè vederne compiuta la stampa e com- (1) Fékauu, Annates Tripolitaines in Reviie Africainc, n. 159, a. 1883. Algeri. BIBLIOGRAFIA 261 piacersi della lieta accoglienza fattagli da tutti gli studiosi, è preceduto da un breve cenno in cui il prof. D. Salvatore Leccese, nipote dell'A. ed erede di Lui anche nell'affetto alle memorie del paese natale, ne tratteggia amorosamente la bella figura di cittadino, di sacerdote e di studioso. Dopo una diffusa bibliografia e un quadro cronologico degli ipati, consoli, duchi, principi, re e imperatori che go- vernarono Gaeta dal IX al XIII secolo, sono riassunte nel primo capitolo le notizie tratte dal Codex Diplomaticus Caje- tanus edito negli anni 1887-1891, intorno alle monete usate in quei tempi nel Ducato Gaetano, utile complemento a quanto si sapeva da altri documenti già esaminati dal punto di vista numismatico. Qui troviamo anche sobriamente accennata l'origine di Gaeta che da semplice porto o scalo marittimo di Formia divenne, per la sua posizione strategica, un centro commerciale, politico e religioso, mentre Formia andava ra- pidamente decadendo, tanto che nel secolo IX la sede della diocesi era già passata dalla vecchia alla nuova città. Essa si mantenne dipendente dall'Impero Bizantino anche quando il resto dell'Italia era soggetto ai Longobardi, e siccome il vincolo di dipendenza era assai debole e mite, così si trovò quasi automaticamente a reggersi da sé, come Napoli e Amalfi. L'ultimo imperatore bizantino di cui venga ricordato il nome nella intestazione e datazione degli atti pubblici è Costantino Porfirogenito nel 934, Come città marinara, Gaeta ha una storia non meno gloriosa delle sorelle Napoli e Amalfi; soltanto essa è meno nota perchè i documenti ne vennero posti in luce da poco tempo. Può dividersi in due epoche: quella della dinastia che il F. chiama indigena (866-1032) e quella della autonomia con dipendenza da principi longo- bardi e normanni (1032-1 140). In ambedue questi periodi si hanno monete che rispecchiano in certa maniera questo slato di indipendenza relativa, la quale cessò del tutto quando Federico II tolse a Gaeta, per punirla, anche la facoltà di bat- tere moneta. Enumerate e illustrate con opportune riproduzioni per identificarle, le monete d'oro e d'argento e anche quelle ideali e di conto ricordate nei documenti, soggiunge che per il minuto commercio si faceva uso di moneta di rame con 202 BIBLIOGRAFIA prevalenza dei foUari bizantini, che però i Gaetani dovettero ben presto sentire le difficoltà derivanti dall'usare una mo- neta di origine più o meno lontana e la necessità di averne una propria per i bisogni locali, e così giunsero a coniare follari e mezzi follari nella seconda metà del secolo X. Per- chè a Marino II (978-984) attribuisce il F. le prime rozze monete che finora si ritenevano di Marino I. Questi infatti non ebbe mai il titolo di Consul et Dux che si trova costan- temente su di esse, ma soltanto quello di ipato; inoltre non resse mai da solo lo stato ma, prima in compagnia del padre Costantino, poi del figlio Docibile. Dello stesso Ma- rino II col figlio Giovanni III, soli di questo nome che si trovarono a reggere insieme il ducato (979-984), descrive due monete, una delle quali, già edita dal Camera, appare di dubbia autenticità. La barbara monetazione della dinastia indigena continua e si chiude con Giovanni IV (991-1012), presentando nel complesso una serie assai brutta e con poche variazioni di tipo. Queste però sono tali da far pensare a una possibile diversità di valore o anche di attribuzione, senza di che non si riesce a spiegare come Marino II, in un periodo di governo non troppo lungo, abbia recato tre cambiamenti abbastanza notevoli al tipo del follaro, quali risultano rispettivamente dai disegni 16 a 20, 21, 22 e 23. La moneta certa di Marino e Giovanni, di arte e fattura migliori assai di tutte le altre, apparisce come un felice in- termezzo in tutta questa brutta produzione. A queste prime monete indigene seguono quelle dei principi e duchi normanni, Riccardo I (1063-1078), II (1105- II II) e III (1121-1140), che si distinguono per il rispettivo numerale collocato o al diritto o al rovescio. La contromarca D • V • che si trova in parecchie di queste monete viene spie- gata per Dwa: \lilelmus, Guglielmo di Blosseville o Basse- ville, che tenne il ducato di Gaeta tra il primo e il secondo Riccardo. E siccome tale contrassegno si trova anche su alcuni follari del secondo, così il F. cerca di spiegarne la presenza col fatto che il Blosseville si atteggiò a preten- dente anche durante il principato di questo, sulle cui monete avrà pertanto voluto imprimere lo stesso segno di sovranità che aveva impresso su quelle del predecessore. Notevole il BIBLIOGRAFIA 263 documento dal quale risulta come il comune di Gaeta non consenti a Riccardo III di porre l'effigie sulle monete. Il F. poi non accetta, sebbene storicamente verosimile, l'at- tribuzione a Gaeta di un follaro di Roberto di Capua fatta dal Sambon, perchè dubita fortemente sia derivata dalla in- certa lettura di un esemplare mal conservato. Vengono poi le monete dei re normanni. Di Ruggero (1135-1154) èvvi la curiosa moneta già pubblicata dal conte Papadopoli, nella cui figurazione l'A. ravvisa una sella a ricordo di un fatto menzionato dalle storie: ad essa aggiunge anche un pezzo di Gisulfo I e Paldolfo Capodiferro che porta reimpresse le stesse lettere che si trovano su quella. Di Guglielmo I (1154-1166) e di Guglielmo II (1166-1189) sono descritte dodici varietà, e sei di Tancredi (1189-1194). Ai normanni tennero dietro nel dominio di Gaeta gli svevi, e al tempo di Enrico VI e Costanza (i 191 -i 198), mercè diligenti confronti, assegna il F. la moneta anonima, tanto fantasticamente interpretata dal Camera: manca essa del nome del sovrano pur conservando l'effigie o maestà impe- nale, e con la leggenda moneta civttatis Cajetae accenna a una più stretta pertinenza della monetazione alla città. Prima ancora di essa però erano stati emessi e posti in circolazione follari senza il nome e senza l'effigie del principe e quindi per autorità del comune. Portano la stessa figurazione del castello che si trova su quelli dei re normanni e il nome di Sant'Erasmo, ad eccezione di una, della quale però manca il disegno per constatare se ha fondamento il dubbio espresso che possa effettivamente non appartenere a Gaeta. II F. le chiama civiche e le ritiene contemporanee delle altre dei re normanni, emesse in lungo periodo di tempo come viene di- mostrato dalle molte varianti e dalle notevoli diversità dello stile. Terminata la descrizione delle monete sinora note della zecca di Gaeta, passa a parlare di un denaro di Gregorio IX che non si conosce e non si sa per conseguenza se sia stato emesso, ma di cui si ha notizia da una bolla del 21 giugno 1229, con la quale veniva concessa al Comune la facoltà di batterlo. Poi degli Alfonsini d'oro che pare siano stati co- niati a Gaeta da Guido de Antono dal 1441 al 1448 per AI- 264 BIBLIOGRAFIA fonso I di Aragona, e finalmente dei tornesi falsi, pure bat- tuti a Gaeta sotto Ferdinando I di Aragona da Giovanni da Ponte. Veramente, piuttosto che falsi, nella quale deno- minazione pare inclusa X idea dell'opera di delinquenti vol- gari in frode alla legittima autorità; bisognerebbe chiamarli calanti o ridotti di peso e inferiori d'intrinseco, perchè così furono ordinati onde trarne guadagno maggiore. Parla da ultimo delle monete o prove di monete di Pio IX. Questa parte poteva essere omessa senza togliere nulla al lavoro, o tutto al più se ne poteva dare una breve notizia in nota o in appendice, perchè quei pezzi, come quelli simili della Repubblica Romana del 1849, non hanno alcun carattere ufficiale e sono prodotti poco felici di una privata specula- zione, come venne anche recentemente confermato dal Se- rafini, 6 quindi non meritano l'onore di entrare in un libro scientifico. L'appendice in cui vengono descritte le medaglie atti- nenti a Gaeta è singolarmente interessante per quanti, e oggi non sono pochi, si occupano delle memorie del nostro Risorgimento, perchè quasi tutte le medaglie appartengono a tale periodo, a cominciare da quelle di Ferdinando IV per la difesa del 1806, per finire a quella coniata nel 1890 in onore del generale Enrico Cosenz nato a Gaeta. G. Castellani. Mardelay (Ch. Le). Contribution a l'étude de la numisma- tique vénittenne (estratto della Reuue Numismatique, 1913- 1915). Parigi, Rollin & Feuardent, 1915, pag. 191 e tav. 7 illustrative. Un contributo, se non veramente notevole, senza dubbio interessante per gli specialisti della numismatica veneziana ha dato con questa pubblicazione il numismatico Ch. Le Har- delay, che soggiornò molto tempo in Venezia, e che ha una bella collezione di monete veneziane, nella quale uno scudo rarissimo di Francesco Corner, ch'egli vi illustra al n. 258 e a tav. XII del suo lavoro. La rarità di tale scudo dipende BIBLIOGRAFIA ^65 non da novità di tipo, ma dalla brevità del dogato di Fran- cesco Corner, che durò in carica dal 17 maggio al 5 giugno 1656, cioè una ventina di giorni. Nella introduzione al lavoro TA. confessa che il Museo Correr e il conte sen, Nicolò Papadopoli hanno pezzi e molti ch'egli pur troppo non ha nella sua collezione, ma che, con tutto ciò, non trovò inutile, anche per far meglio conoscere la monetazione veneziana, di notare le varianti della sua collezione privata alle serie del Correr e del Pa- padoli. Del Corpus Nutnmorum lialicorum non fa motto, o non ne ebbe finora sentore, egli, che pur cita nel suo rias- sunto bibliografico il Lazari, lo Schweitzer, l'Orlandini, il Padovan. L'opera scientifica ultima non è il voi. VII di S. M. il Re, che continuerà e finirà la serie della zecca di Venezia neirVIII volume, ma il libro del Papadopoli, che s'arresta col II volume al doge Marino Grimani, nel 1605, come vi si arresta il VII volume del Corpus Nunttnorum. Di carattere divulgativo, ma molto utile è la divisione nei vari periodi della monetazione veneziana in principio, e l'elenco cronologico completo dei dogi in fine, con molta minuzia di date; utile pure, specialmente ai numismatici ita- liani, è il vocabolario delle sigle dei Massari, o zecchieri ve- neziani, che si estende da pag. 148 a pag. 188, in ordine alfabetico. Per quanto una gran parte delle varianti dello Hardelay risultino dalla nuova ricchissima serie del Corpus N. /. di S. M. il Re, anche perchè vi è notato quanto il Papadopoli già fece conoscere dal confronto con le principali collezioni italiane di serie numismatica veneziana, è sempre utile il confronto con le descrizioni monetarie dello Hardelay, spe- cialmente dal doge Grimani al doge Francesco Molin, cioè pel periodo 1605-1655, che non è ancora fatto conoscere per le stampe, né per mezzo dell'opera magistrale del sen. Pa- padopoli, il cui III volume non è ancora pubblicato, né per mezzo del voi. Vili del Corpus N. /. che sarà il II della illustrazione della monetazione veneziana. S. Ricci. 34 266 BlfeLIOGRAFlA Anson (L.). Numismata Graeca. Nello scorso maggio usciva l'ultima puntata del gran- dioso lavoro di L. Anson, Greek Coin-Types classi fied for immediate identification, cioè il Testo della VI parte. La pubblicazione era incominciata nel 1910 e uscirono dapprima sei puntate contenenti le tavole illustrative delle sei parti in cui l'opera era divisa. Seguirono le puntate di Testo, la I e la II nel 1911, la III e la IV nel 1912, la V nel 1913. ed ora chiude la serie l'ultima, la VI, la quale con- tiene : Scienze ed Arti e Miscellanea. VARIETÀ Il primo documento numismatico della guerra Europea. — Da un profugo italiano del Belgio abbiamo potuto avere un pezzo da io Centesimi, coniato dai tede- schi per la circolazione delle provincie belghe occupate. La moneta è di zinco e porta al diritto la leggenda circolare BELGIQUE • BELGIE • 1915 e nel centro 10 Cekt. Al rovescio sta nel campo il Leone rampante e all' ingiro un semplice ornato sostituisce il motto belga L'UNION FAIT LA FORCE. Esiste simile anche il pezzo da 5 centesimi. La Medaglia della Croce Rossa Italiana ai feriti per la Patria. — Ai feriti uscenti dagli ospedali militari e della Croce Rossa, quale ricordo patriottico e artistico, è di- stribuita una medaglia, brevettata, fatta coniare per iniziativa della Croce Rossa medesima. La medaglia rappresenta la Vittoria alata che guida i soldati d'Italia, col motto : Al FIGLI D' ITALIA FERITI PER LA PATRIA. Sul rovescio sta l'episodio della infermiera, che prodiga al soldato ferito le cure più pre- murose, quale vediamo spiccare anche sulla medaglia com- memorativa di guerra già illustrata nella Rivista; in basso lo stemma della croce rossa su fondo bianco in ismalto. La medaglia rilasciata ai feriti è però apribile a libro, in modo che nell' interno sono disposti ripiegati due piccoli attestati in pergamena naturale, sui quali viene segnato il 268 VARIETÀ nome del ferito, il periodo di degenza all'ospedale e varie indicazioni, autenticate dalla firma del medico direttore. Tale medaglia nelle serie numismatiche e medaglistiche dovrà essere posta con quei cimeli del Risorgimento in forma di scudi d'argento a scatola, apribile a vite, nel cui interno vi erano ritratti dei patrioti, scene delle guerre o motti contro l'Austria, e che àncora adesso formano una appen- dice interessantissima alla serie delle medaglie e delle mo- nete del Risorgimento Italiano. Rinvenimento di un tesoretto monetale a S. Co- stanzo presso Fano. — Notizie recenti del prof. Dall'Osso, direttore del Museo Archeologico di Ancona e soprainten- dente per i musei e scavi delle Marche e degli Abruzzi, ac- certano che è stato assicurato al Museo di Ancona, dopo lunghe e faticose indagini, un tesoretto monetale, rinvenuto presso Fano, a San Costanzo. Trattasi di circa 25,000 pezzi, che erano depositati entro un grande recipiente di terracotta grezza e mal cotta, di cui si è riusciti a raccogliere qualche frammento. Le monete paiono grossi anconitani anteriori a quelli col ^■. Quiriacus del secolo XIII, ma finora è stato difficile assegnare loro un'epoca precisa. Sono di lega bas- sissima d'argento, con cui il rame è mescolato nelle propor- zioni del 60 "/«• Portano sul diritto al centro un A, entro un cerchio di puntini, oppure una specie di anello ; intorno vi è la leggenda DE ANCONA in caratteri gotici ; sul rovescio vi sono pure impressioni, ma non ancora decifrate. Siccome gli scrittori patri anconitani avevano asserito l'esistenza di una coniazione anteriore a quella del sec. XIII, ma non si conoscevano esemplari, o almeno nessuno era finora giunto sino a noi, il ritrovamento attuale sarebbe im- portante ; quantunque finora sembri abbastanza strano che in Ancona non si abbia mai visto questo tipo di moneta, e che invece a San Costanzo, presso Fano, proprio quasi all'estremo lembo della provincia, se ne sia trovato un gruzzolo così im- ponente. Una parte del ripostiglio è stata intanto inviata alla Di- rezione del Gabinetto Numismatico di Brera, che sta stu- diando r importante ritrovamento. S. Ricci. VARIETÀ 269 Opere premiate. — U Académie des inscriptions et helles letires ha conferito il premio Duchalais al sig. Adolfo Dieudonné per il secondo volume del suo Manuel de Numi- smatique. Recensioni di opere numismatictie. — Al IV volume del Corpus Nummorum Italicortim ha consacrato una erudita nota bibliografica il venerando prof. Angelo Mazzi nel Bol- lettino della Civica Biblioteca di Bergamo da lui diretto (n. I, 1915). Nel medesimo, più recentemente, egli ha pure recensito, non senza diversi appunti critici, l'opera di P. Fal- coni : Le monete piacentine (n. I, 1916). Anche l'illustre Babelon, nel Journal des savants (otto- bre 1915), ebbe a ricordare, e non è la prima volta, il Corpus di S. M. il Re nostro. Altra recensione critica dell'egr. nostro collaboratore cav. G. Castellani intorno all'opera : La Moneta del Marti- nori è apparsa nel fase. 2." della Rivista storica italiana di Torino. Carteggio tra il Marini e lo Zanetti. — Nell'attesa che altri ne dica con maggiore dottrina, segnaliamo il testé uscito fascicolo 29. *» degli Studi e testi pubblicati dalla Bi- blioteca Vaticana. Esso contiene, a cura di Enrico Carusi, il primo saggio delle Lettere inedite di Gaetano Marini, X in- . signe prefetto delle collezioni vaticane a' tempi napoleonici e precedenti. Sono lettere dirette a Guid'Antonio Zanetti, il numismatico bolognese ben noto, ed offrono interessanti no- tizie ad illustrazione dell'opera paziente del raccoglitore ed editore delle monete delle zecche d'Italia. Manoscritti numismatici in Ambrosiana. — Sarebbe assai utile per i nostri studi avere un catalogo dei mano- scritti d'argomento numismatico conservati nelle varie biblio- teche d'Italia. Quello per le biblioteche milanesi non do- vrebbe riuscire difficile. Intanto noi, per uno spoglio fram- mentario degli schedari dell'Ambrosiana, segnaliamo qui taluni manoscritti di questo prezioso Fondo, indicandovi 270 VARIETÀ anche le rispettive segnature. Ad altri il dare il lavoro com- pleto, istituendolo sull'esame diretto dei codici. Bellati Francesco. Tavole delle monete d'oro usate in Mi- lano nei contratti dall'anno 1252, ecc. O. 244 sup. (i). Davanzati Bernardo. Discorso delle monete. R. g4 sup. n. 2g. Medaglie greche (alcune) descritte. /. 204 Inj. n. ij. Trombelli Gio. Crisostomo. Catalogo di medaglie da lui possedute. D. S. Ili 14. Vasco Tomaso. Opuscolo sopra le monete. — Saggio poli- tico sulle monete. E. S. Vili s e 8. Velsero. Opinione sul rovescio di una medaglia dell'impe- ratore Nerone. /. 2J0 inf. n. /. Videmarius Ioannes. De numismatibus antiquis magne, medie et infime forme. N. 80 Sup. Zecca. Relazione degli officiali della zecca di Milano (2). B. S. Vili 8. I conii dei ducati sforzeschi donati al Museo del Castello di Milano. — Togliamo dal Bollettino municipale mensile di Milano, n. 3, 1916, che ai musei d'arte del Ca- stello pervenne in dono dalla sig."* prof. Sandra Piumati, di Torino, il conio antico che serviva a coniare i ducati d'oro di Galeazzo M. Sforza (v. Gnecchi, Monete di Milano, p. 76, n. 6). È di ferro, colla superficie acciaiata ; lo stemma sfor- zesco, sormontato dal cimiero, è fiancheggiato dall'emblema dei tizzoni ardenti, reggenti i secchielli d'acqua, e dalle ini- ziali G Z • M • : nel contorno, la leggenda + P P • ANGLE • Q • CO AC lANVE • D • (i) Per i copiosi inss. del Bellati alla Braidense cfr. Ghikon, Biblio- grafia Lombarda, Catalogo, ecc. Milano, Archivio stor. Lombardo, i88.|, pag. 12 e segg. dell'estratto. (2) Pei mss. ambrosiani della zecca di Venezia cfr. Ceruti, Appunti di bibliografia slorica veneta contenuta nei mss. dell'Ambrosiana. Venezia, Arch. Veneto^ 1877, P^S- 82 dell'estratto. VARIETÀ 271 Notiamo, giacché l'occasione ci è offerta, che nel 1575 i conii delle medaglie sforzesche già erano emigrati dalla zecca di Milano e passati in mano di particolari. Prospero Visconti, che pel duca Guglielmo di Baviera raccoglieva in Milano ogni genere di preziosità artistiche, nel suo interes- sante carteggio edito anni sono dal Simonsfeld (i), vi accenna espressamente. Egli scriveva diffatti al duca ai 23 novem- ^^^ ^575" * Bene ho trovato un galant'huomo, il quale hora si trova havere appresso di sé alcuni conii, che hanno impresse alcune imagini di duchi e duchesse di Milano, li quali longamente sono stati conservati da i maestri di cecca et hora sono pervenuti in mano sua. Con questi si battevano medaglie non da spendere communemente, ma tali che li duchi donavano a suoi famigliari. Di questi ne mando otto impronti a V. E. acciò che Ella possa vedere come gli piacene. Questo tale ne batterà quante ne pia- " ceranno a V. E. et di che peso Ella vorrà, et anchora di qua! bontà d'oro. Però egli ne domanda uno scudo l'uno di manifattura d'ogni quantità o qualità che elleno possano essere, et forsi si accontenterà per manco „. Pesca dell'oro nel Po nel '400. — Con istromento del 9 gennaio 1466, notaio Benino Cairati (Arch. notarile di Milano), Antonio del mag.*^** milite Sceva da Corte (2) abi- tante a Milano, nella parrocchia di S. Giorgio in Palazzo, investiva Antonio Garoni e Lorenzo Cane, abitanti nel luogo di Brano (?), contado di Pavia, dell'onoranza, diritto e facoltà di pescare o pischari faciendi aiirum in utraque ripa del fiume Po dal riale Cayri, comitatus Papié usqiie ad portuni Dossorum, dalla Pasqua del futuro anno 1467 in avanti per anni nove, ed indi a piacere delle parti. Canone di libbre io di candele di cera da consegnarsi ogni anno alla Madonna di settembre. (i) Simonsfeld, Mailànder Briefe sur bayerischen und allgenteinen Geschichte, I, 359 (Abbhgn. der k. bayer. Akad. der Wissenschaften), 1903, Mvìnchen. (2) Il documento è assai guasto per umidità e consunto a tal punto che non se cava il casato, che però noi, data la paternità di Sceva cre- diamo potere accertare per da Corte. Sceva da Corte oratore sforzesco a Roma, dove morì nel 1459, è personaggio ben noto della seconda metà del Quattrocento. 272 VARIETÀ Per Domenico Sestini. — Superfluo ricordare chi fosse Domenico Sestini. Rammentiamo invece che in una raccolta di Iscrizioni italiane pubblicata da Ferdinando Mal- vica in Palermo nel 1830, al n. 51 ve n'ha una che lo ricorda: A ONORE DI DOMENICO SESTINI DEI NUMISMATICI VIVENTI PRINCIPE SALUTATO GL' ITALIANI AL VALENTE SCRITTORE PLAUSO PORGONO. Francesco Raibolini, detto il Francia, incisore e medaglista. — Aldo Foratti n^W Archiginnasio di Bologna, Bullettino della Biblioteca Comunale di quella città, diretto da Albano Sorbelli, nel fase. 3.° del maggio-giugno 1914, in alcune sue Noie su Francesco Francia, con una tavola illu- strativa, s' indugia a parlare del Raibolini medaglista, va- gliando la notizia del Vasari, che lo disse " nel fare coni per medaglie ne' tempi suoi singolarissimo „, con quello che resta di lui. E accertata l'opera della moneta attribuitagli di Giovanni II Bentivoglio, del 1494; è combattuta invece l'opi- nione che del Francia siano le monete che il datario del fiero pontefice Giulio II gettò alla folla per comperarne l'applauso, perchè fatte a Roma, quando il Raibolini non era capo della zecca bolognese. Delle medaglie il Foratti discute fra le varie attribuzioni quella del cardinale Alidosi, già rara e costosa al tempo del Vasari, e ne rileva la superiorità nella viva e nervosa ese- cuzione tutta caratteristica del Francia, in confronto della medaglia contemporanea eseguita da qualche suo discepolo per Bernardo Rossi, vescovo di Treviso, che non ha né espressione del ritratto, né naturalezza del rovescio allego- rico. E conferma la sua ipotesi con la citazione della me- daglia d' Ulisse Masotti, col berretto dottorale, certo migliore di quella di Tommaso Ruggieri, che dev'essere opera di un altro discepolo del Francia. S. Ricci. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA Seduta del Consiglio 21 Maggio 1916. (Estratto dai Verbali). La Seduta è aperta alle ore 14 nella Sede Sociale al Convento delle Grazie. I. — È letto e approvato il Verbale della Seduta pre- cedente. II. — Presentati dai Sigg. S. Ricci e C. S. Johnson, sono ammessi fra i Soci Effettivi i Signori : Cav. Alberto Hirschler e Roberto Cramer. III. — Si approva la composizione del II fascicolo della Rivista. IV. — Il Segretario presenta il Bilancio Consuntivo 1915, da sottoporre all'Assemblea Generale dei Soci, e che si chiude colle seguenti risultanze : Rimanenze attive ed entrate. . . . L. 14,811,60 Spese „ 5,080,— Avanzo al 31 dicembre 1915 L. 9,731,60 E approvato all'unanimità. V. — Si autorizza la spesa per la rilegatura di una parte dei libri sociali, incominciando dalla Rivista Italiana di Numismatica. VI. — È pure approvata la Relazione all'Assemblea sull'andamento morale della Società durante l'anno 1915. 274 ^TTl DELLA SOCIETÀ NltMISMATlCA ITALIANA VII. — Il Segretario presenta infine la nota dei doni pervenuti alla Società nell'ultimo semestre : Sua Maestà il Re d' Italia. Corpus Nuntmorum Italicorutn. Primo tentativo di un Catalogo Ge- nerale delle Monete medioevali e moderne coniate in Italia o da Ita- liani in altri paesi. Volume VII; Veneto ^Venezia). Parte I. Dalle ori- gini n Marino Griniani. Roma, 1915, in-4, pagg. 584 e XX tavole. Cagiati Cav. Avv. Memmo. Lf sue pubblicazioni : Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vit- torio Emanuele li. Napoli, 1916, Fascicolo Vili, fig. Supplemento all'opera : Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc. Napoli, anno V, fascicoli 1-2 e 3-4. Le Monete del Re Manfredi nel Reame delle Due Sicilie. Roma, 1915 {Estraito). Dell'Erba Prof. L. La sua pubblicazione : Monete inedite o corrette dei Re Normanni di Sicilia in unione dei loro figli ed osservazioni sui valori monetali. Napoli, 1915 {Estratto). Qiorcelli Dott. Cav. Giuseppe. La sua pubblicazione : Tipografi di Alessandria e di Valenza del secolo XV e Tipografi Monferrini dei secoli XV e XVI che stamparono in Venezia. Alessan- dria, 1915 (Estratto). Qnecchi Comm. Francesco. O Archeologo Portugues. Annata 1915. 50 Opuscoli e Cataloghi. Johnson Stefano Carlo. La Medaglia in bronzo della Redenzione italica (Vedi Rivista Ital. ni Numismatica, fase. I, 1916, pag. 151). Le flardelay Ch. La sua pubblicazione : Contribution à l'étude de la Numismatique Vénitìenne. Paris, 1915, in-8 (Estratto). Museo Civico di Padova. La sua pubblicazione : A ricordo ed onore di Andrea Gloria. Padova, 1915. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALL\NA 275 Ricci Prof. Dott. Serafino. Le sue pubblicazioni : Milano nella storia della niunetazione : Il V volume del Corpus Nummorum Italicorum. Milano, Crespi, 1914. Il Corpus Nummorum Italicorum di S. M. il Re d'Italia. Il V vo- lume illustrante la zecca di Milano: L'opera del Re Vittorio Eman. III. — I lavori precedenti sulla zecca di Milano. — Le collezioni consultate pel Corpus. — Il metodo d'illustrazione seguito nel Corpus. — Serie cronologica della zecca di Milano. — Osservazioni critiche al voi. V del Corpus (Estratto). Lo splendore della serie monetale milanese. — L'alto significato del V volume del Corpus. Dal Numismatic Chronicle. Il Belgio nella storia della s\m monetazione. Dal numero unico // Belgio, Milano, Aliprandi, 1915. Leonardo, Raffaello e Michelangelo, con illustrazioni, Milano, Fede- razione Biblioteche popolari, 1915. L'estetica nella scuola inedia, Milano, Antonini, I914. Numismatica costantiniana, Milano, Arte cristiana, 1914. Arte greca e storia romana nelle nuove colonie italiane, Milano, Per- severanza, 1915. Rizzoli Dott. Cav. Luigi juniore. La sua pubblicazione : Rizzoli Luigi seniore (fu Giuseppe) Necrologio. Milano, 1916 (Estr.). Alle ore 14 V*» esaurito l'Ordine del Giorno, la seduta è levata. Assemblea Generale dei Soci 2t Maggio 1916. {Estratto dai Verbali). I Soci sono convocati per le ore 15 alla Sede Sociale al Convento delle Grazie. Sono presenti i due Vice-Presidenti, i membri milanesi del Consiglio e buon numero di Soci. Letto ed approvato il Verbale dell'Assemblea prece- dente, il Vice-Presidente, comm. Francesco Gnecchi, legge la seguente Relazione sull'andamento morale e materiale della Società durante il 1915- I Soci defunti. " Non possiamo iniziare questa nostra Assemblea senza ricordare i parecchi Soci e Collaboratori che ci vennero 276 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA a mancare in questi ultimi mesi. Di tutti abbiamo dato la necrologia nella Rivista; ma qui crediamo nostro dovere mandar loro un reverente saluto di stima, di amicizia e di omaggio per l'opera da loro prestata all' incremento e al progresso dei nostri studii. " Sia onore alla memoria di Luigi Correrà, di Luigi Rizzoli seniore, di Flavio Valerani e di Pompeo Monti. La " Rivista „. " Da un anno anche il nostro Paese è travolto nel tur- bine spaventoso che insanguina l'Europa e che preoccupa le menti nell'incertezza dei destini che incombono a tutte le nazioni. Il pensiero rimane distolto dagli studi in genere, ed è troppo naturale che anche i nostri, come tutti gli altri, ne abbiano risentito. Ne sono prova le pochissime adunanze che tenne il Consiglio della Società, la manchevo- lezza ed irregolarità della nostra Rivista. La Direzione fece del suo meglio perchè le cose camminassero il meno male possibile, ma le più serie preoccupazioni da un lato, l'as- senza dei collaboratori ed anche le difficoltà materiali di esecuzione dall'altra, vi lasciarono l'impronta dell'anno di guerra, come del resto la lasciarono, e anche peggio, in parecchie altre riviste consorelle. " Siccome però fortunatamente a tutto si fa l'abitudine e a tutto r ingegno umano, stimolato dal bisogno, trova riparo, possiamo assicurare che le cose cammineranno me- glio nell'anno ora iniziato, per quanto il flagello continui, né se ne veda prossima la fine. Gli altri Periodici Italiani. " Venendo a dire delle altre pubblicazioni periodiche ita- liane, il Supplemento all'opera Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele 11 cessò colla fine dell'anno le sue pubblicazioni; ma solo per risorgere sotto nuova veste, col titolo di Bollettino del Cir- colo Napoletano. È ciò che doveva naturalmente succedere, e noi diamo con tutto il cuore il benvenuto al confratello del Mezzogiorno, e mandiamo un caldo saluto e un cordiale ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 277 augurio al suo valente e infaticabile direttore e, diremo an- che, restauratore della numismatica nell'Italia Meridionale. * La Rassegna di Roma cessò provvisoriamente le sue pubblicazioni, essendo stato richiamato al servizio militare il suo direttore. " L' Istituto Italiano di Numismatica di Roma pubblicò un secondo volume e il Circolo Numismatico Milanese con- tinuò regolarmente, durante l'anno, il suo Bollettino. Pubblicazioni Numismatiche. * Lo stato di guerra doveva pure esercitare la sua in- fluenza anche sulle pubblicazioni private. Malgrado ciò, ab- biamo ancora a registrare alcuni lavori di lena, in testa ai quali il Volume VII del Corpus Nummorum Italicorum, de- dicato alla prima parte delle Monete di Venezia e che pre- cede il VI. * Abbiamo ancora la continuazione della bell'opera del Cagiati sulle Monete del Reame delle Due Sicilie, il I vo- lume del poderoso lavoro di Giovanni Carboneri sulla Cir- colazione monetaria nei diversi Stati e il gran dizionario La Moneta di Edoardo Martinori. Degli ultimi tre lavori la Rivista ha dato già i resoconti, mentre il nostro Presidente conte Papadopoli si riserva di dare quello sul Volume VII del Corpus, quando sarà uscito anche l'VIII, col quale sarà completata la descrizione delle Monete di Venezia. La riunione delle Collezioni pubbliche di Milano. Come fu accennato nella Rivista, la riunione delle due Collezioni Numismatiche Milanesi, quella di Brera e quella Municipale al Castello Sforzesco sotto un'unica direzione, è ora virtualmente compiuta, il compromesso essendo stato sanzionato anche dall'approvazione del nostro Consiglio Co- munale. Ora non ci resta che far voti che la cosa sia al più presto tradotta in atto, per quanto le circostanze del mo- mento non ci permettano di sperare troppo in una sollecita soluzione. 278 atti della società numismatica italiana Bilancio. " Venendo alla parte finanziaria, ecco il Bilancio Consun- tivo della Società pel 1915 : Rimanenze attive del 1914. Fondo di cassa L. 5415 — Entrate ordinarie dell'anno 1915. Quote di Soci e di Abbonati alla Rivista L. 3927 75 Interessi sul fondo di cassa in conto corr. '> 388 85 L. 4316 60 Entrate straordinarie. Da S. M. il Re d' Italia, quarto acconto sugli utili derivati dalla vendita del suo Corpus Nummorum L. 4000 — Ancora da S. M. il Re d' Italia per elar- gizione del premio biennale Duchalais decretato dall' Istituto di Francia al suo Corpus Nummorum " 1080 — L. 5080 — L. 14811 60 Spese del 1915. Stampa della Rivista e accessori . . . . L 4177 75 Fotoincisioni, eliotipie e collaborazione . " 755 — Spese di Segreteria e postali " 147 25 L. 5c8o - Rimanenze attive al 1915. Fondo di Cassa in conto corrente " 9731 60 L. 148 II 60 Dimostrazione. Attività in principio di esercizio . . . . L. 5415 — Attività in fine di esercizio L. 973' 60 Aumento di patrimonio L. 4316 60 Entrate dell'anno 1915 . L. 9396 60 Spese " 5"8o — Avanzo L. 4316 60 // Segretario Amministratore: Angelo Maria Cornelio. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 279 " All'annata un po' meschina e sensibilmente ridotta della nostra Rivista corrisponde naturalmente una eccedenza di spesa assai minore di quella sopportata negli scorsi anni, ossia un disavanzo di sole L. 763,40, in luogo di quello di L. 1840, verificatosi nel Bilancio del 1914. La piccola perdita accennata, poi, fu abbondantemente compensata dalle generose somme di L. 4000 e di L. 1080 pervenuteci dal nostro Augusto Presidente, la prima quale acconto sulla vendita della Sua opera. Corpus Nummorutn Italicorum, la seconda quale premio toccato a S. M. nello scorso anno per il Concorso Duchalais. " Il piccolo Patrimonio Sociale è dunque aumentato di L. 4,316,60 e, fra qualche anno possiamo sperare di non dover più intaccare il nostro capitale per colmare i disavanzi, ma di poter vivere colle nostre rendite. Per arrivare più presto possibile allo scopo, occorrerebbe che il numero dei nostri Soci ed Abbonati fosse sensibilmente aumentato. Il Consiglio si raccomanda perciò caldamente a tutti, perchè vogliano esercitare una proficua propaganda „. La Relazione del Vice-Presidente e il Bilancio sono approvati. La discussione e le conversazioni si svolsero ampiamente sulla Relazione e principalmente circa la prossima riunione delle collezioni pubbliche al Castello Sforzesco, Parecchi fra i Soci presero la parola circa il collocamento delle monete e l'argomento venne svolto, ma non esaurito, rimandandolo ad altra eventuale seduta, nella quale si deciderà se qualche proposta concreta potrà essere presentata a momento op- portuno. L'Ordine del Giorno portava per ultimo argomento la nomina di tre Membri del Consiglio, quando uno dei Soci presenti avendo fatto osservare che negli scorsi anni era involontariamente avvenuta qualche irregolarità nelle nomine, l'Assemblea, ad evitare ogni possibile equivoco in avvenire, trova opportuno di procedere ex-novo alla completa elezione del Consiglio. 28o ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA Tutti i Soci in carica accolgono la proposta, offrendo le loro dimissioni, e procedutosi alle nuove elezioni, jl Consiglio rimane a voti unanimi così composto : Cagiati Avv. Cav. Memmo. CuNiETTi-CuNiETTi Barone Cav. Alberto. Gnecchi Cav. Uff. Ercole. Gnecchi Comm. Francesco. Johnson Stefano Carlo. Laffranchi Lodovico. Motta Ing. Emilio. Papadopoli Conte Comm. Nicolò Senatore del Regno. Ricci Dott. Serafino Conservatorore del Gab. di Brera. Pietro Tribolati Segretario. Passando" poi alla nomina delle cariche sociali, sono eletti a pieni voti : Papadopoli Conte Nicolò Presidente. Gnecchi Ercole e Francesco Vice-Presidenti. Alle ore lóVs» esaurito l'Ordine del Giorno, l'Adu- nanza è sciolta. Finito di stampare il 20 giugno 1916. R0MANENGHI Angelo Francesco, Gerente responsabile. •«#*•« *««**«>«*«♦«••***« I FASCICOLO III. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO PARTE QUINTA. ZECCHE DELLA PROVINCIA D'ASIA. La Provincia d'Asia costituita in maggior parte dal territorio dell'antico regno degli Eumenidi. ere- ditato dal Popolo Romano, era come quella di Bitinia una Provincia Senatoria, la nomina del cui procon- sole, residente in Efeso, spettava al Senato anziché all'Imperatore. Questa provincia assai più vasta della sua confinante, riuniva varie regioni : Ionia, Misia, Lidia, Caria, Frigia, Panfilia e Licia, aventi caratte- ristiche proprie ; perciò anche le sue monete si dif- ferenziano maggiormente fra zecca e zecca ; presen- tano, sarei per dire, maggior autonomia stilistica che non quelle delle zecche di Bitinia. Esse monete vanno anzitutto divise in tre gruppi rappresentanti altret- tante zecche delle quali volta a volta spiegherò le caratteristiche. I. — EFESO. Taluni numismatici additarono Pergamo come grande zecca dell'Asia, rivale di quella di Efeso, perchè i notissimi cistofori che sto per descrivere recano il tempio dedicato al culto di Roma ed Au- gusto che è riprodotto anche dalle monete locali a leggenda greca col nome di questa città ; ma se si accettasse questa attribuzione bisognerebbe asse- gnare ad essa anche i cistofori al medesimo tipo a84 LODOVICO laffranchi emessi più tardi sotto Claudio, Domiziano, Nerva, Traiano ed Adriano. Il che è illogico, non solo pel motivo che Pergamo non più capitale degli Eumenidi era ridotta nella condizione di città secondaria, su- bordinata ad Efeso capoluogo della provincia, ma anche perchè una ragione decisiva fa traboccare la bilancia dalla parte di quest'ultima città, ed è quella di cui sotto Claudio abbiamo contemporaneamente ci- stofori col 9* al tipo del tempio di Pergamo e cisto- fori col ^ al tipo della Diana d' Efeso accomunati dalla assoluta identità dei diritti, e questo dimostra che uscirono da un'unica zecca la quale per le ra- gioni suesposte non può essere che quella di Efeso. E non deve destar meraviglia che le monete di Efeso rechino un tipo architettonico riferentesi ad un monumento esistente in altra città, poiché il tempio in questione non venne eretto ad iniziativa della sola Pergamo, ma bensì per quella di tutte le città della provincia, come indica l'epigrafe Com{mune) Asiae ; d'altra parte anche più tardi, cioè sotto Adriano, Efeso emise cistofori coi tipi locali di Pergamo, Mi- lasa, Labranda, Mileto, Tralles, lerapolis, ecc., ecc. Questa constatazione è anzi di grande importanza perchè trae di conseguenza la certezza che anche la zecca di Efeso, come quella di Antiochia e di altre città importanti, emetteva le monete di bronzo a leg- genda greca delle piccole città finitime sulle quali è facile constatare l'unicità dei diritti: il che dimostra l'opera di una sola zecca. Alla zecca di Efeso che negH ultimi anni del regime repubblicano, emetteva monete autonome di bronzo coi tipi locali allusivi al culto di Diana e ci- stofori coi nomi dei proconsoli, io assegnerei tutti i denari legionari di M. Antonio, nonché i cistofori colla sua testa unita a quella di Ottavia (tav. Vili, n. 1-4) ed il famoso aureo colle medesime teste LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 285 (tav. Vili, n. 6-7) appartenente al Museo di Berlino e rinvenuto a Castagneto, in cui io trovo sostan- ziali differenze stilistiche le quali lo separano dagli altri aurei colle medesime teste che più avanti nella parte VI vedremo appartenere alla zecca di Antio- chia. Sarei invece perplesso se assegnare ad Efeso piuttosto che a Corinto la monetazione di bronzo emessa dai Prefetti della flotta di M. Antonio, La monetazione imjieratoria di Ottaviano non ancora « Augusto » si inizia ad Efeso con una emis- sione straordinaria avvenuta nel 726 28 a. C. per ricordare la liberazione dell'Asia, ed il titolo confe- ritogli di Vindice della Libertà. B' — IMP CAESAR DIVI F COS VI • LIBERTATIS PR • VINDEX • Testa laureata a destra. (Tav. Vili, n. 5). 1. 9 — L^ Pace a sinistra tenendo colla destra il caduceo. nel campo, a sin. PAX, a des. la cista mistica dalla quale si svolge un serpe ; il tutto entro corona di lauro, Ar., Cisto/oro o Triplo denaro, gr. 10,5, Coh., n. 318. (Tav. Vili, n, 8). La corona d'alloro non appare che eccezionalmente sulle effigi di Augusto prima del 744/10 a. C, ed in questi casi il motivo è dato da meriti speci liei che si intendono onorare, come Azio e la conquista d' Egitto. Non è che dal io a. C, che la corona di lauro diventa con- venzionale, specialmente nelle provincie. ^ — CAESAR IMP VII Testa nuda a destra. . (Tav. Vili, n. 29). 2. 9 — ASIA RECEPTA Vittoria a sm. tenendo la palma e 286 LODOVICO LAFrRANCHI protendendo la corona, sopra una cista posta fra due serpenti (i). Ar., Quinario o frazione di Cisto/oro, Coh., n. 14. (Tav. Vili, 11. 30). * * Il secondo periodo della monetazione imperatoria di Efeso comprende, oltre ai notissimi cistofori, anche quei denari ed aurei la cui identità stilistica con essi venne facilmente constatata anche dal Cabrici ^2) e dal Grueber <3). Però il motivo di queste coniazioni straordinarie limitate a pochi esemplari non può es- sere stato, come suppone il Cabrici, il fatto della presenza di Augusto in Asia, dal 22 al 19 a. C, poiché anche a Roma si fecero delle emissioni pa- rallele a questa, anzi nella capitale sembrano inco- minciate qualche tempo prima, come già vedemmo. Il vero motivo si intravvede anche per Efeso, nella commemorazione dei decennalia di Azio, asso- ciata alle onoranze ad Augusto per la sottomissione dell'Armenia e pel ricupero dei segni militari, colla conseguente nona acclamazione imperatoria. La monetazione che sto per descrivere si inizia perciò nel 734/20 a. C. con aurei e denari emessi in pochi esemplari e termina colla emissione dei ci- stofori alla fine del 735/19 a. C; in essa si ritrova, in maggior parte, la maniera artistica che vedemmo espressa dalle monete delle zecche di Bitinia, segno convincente che, cessata la monetazione straordinaria di detta provincia, parte degh incisori vennero man- dati ad Efeso. (i) Tipo restituito da Vespasiano. (2) Op. cit. (3) Op. cit., voi. II. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 287 Il diritto degli aurei e denari, unico per tutto il periodo, è il seguente : ^ — AVGVSTVS (O all'esergo : testa nuda a des. (Tav. vili, n. 9, I5)- A) Tipi allusivi alla sottomissione dell'Armenia (21/20 a. C). 3. I^ — ARMENIA in alto, CAPTA al basso. Vittoria a des. che afferra un toro (simbolo di popoli barbari) per le corna e lo atterra ponendogli un ginoc- chio sulla schiena (2). Oro, Coh., n. 8. (Tav. Vili, n. io). 4. 9 — Id. legg. Tiara a des., due faretre ad arco a sin. Ar., Coh., n. 11, 12. (Tav. Vili, n. 11). 5. P — ARMENIA in alto, RECEPTA al basso. Tipo come il precedente. Ar., Londra, Coh., n. 13. (Tav. Vili, n. la). 6. p — CAESAR DIV • F II ARMEN CAPTA ! IMP Villi 0) Ar- meno di fronte appoggiandosi colla des. all'asta e colla sin. all'arco. Ar., Coh., n. 56-59. (Tav. Vili, n, 14). Tipo identico, salvo l'asta e l'arco, a quello già descritto, assai più raro, che appartiene alla zecca di Roma. 1-^ — CAESAR DIV F i ARMEN RECEP i IMP Villi Tipo come il prec. Ar., Berlino, Coh., n. sa (Tav. Vili, n. 13)1 (1) Grueber ed altri autori, ritennero che taluni esemplari mancas- sero di questa epigrafe ; evidentemente si tratta di esemplari dai quali essa era scomparso pel fatto di trovarsi presso l'orlo del tondino e quindi facile a consumarsi. (2) Un tipo pressapoco identico si vede sui dupondi con SO emessi pure a Efeso sotto Vespasiano. (3) Solitamente si legge IMP Vili o IMP VII, perche le ultime aste rimangono fuori del tondmo, per difetto nella coniazione. 288 LODOVICO LAFFRANCHI B) Tipi allusivi al ricupero dei segni militari (19 a. C). 8. I^ — SIGNIS in alto, RECEPTIS all'esergo. Capricorno a sinistra. Oro, Coh., n. 263. (Tav. Vili, n. 17). 9. I^ — SIGNIS PARTICIS RECEPTIS circolare. Tipo id. Oro, Coh., n. 256. (Tav. Vili, n. 18). 10. 1^ — SIGNIS PARTICIS RECEPTIS in tre linee nel campo. Ar., Coh., n. 257. (Tav. Vili, n. 16). 11. ^ — Anepigrafe. Sfinge accovacciata a des. Oro, Coh., n. 333. (Tav. Vili, n. 19). 12. ^ — Tipo id. a sin. Oro, Coh., n. 334. (Tav. Vili, n. 20). La Sfinge, secondo Svetonio, era rappresentata sul sigillo di Augusto. C) Tipi dei cistofori (19 a. C). /©* — Unico. Testa nuda di Augusto a destra, sotto in legg. esterna IMP • IX • TR • PO • V • Coh., n. 298. (Tav. Vili, n. 21). 13. ^ — COM • ASIÀE nel campo. Tempio exastilo, su sca lea, con timpano sormontato da acroterio ed antefissi ; sul fregio della trabeazione si legge ROM • ET • AVGVST • Ar., Cisto/oro, Coh., n. 86. (Tav. Vili, n. 22). 14. 1^ — MART • VLTO • nel campo. Tempio rotondo su scalea, con cupola sormontata al vertice da un oggetto indistinto, ed all' intorno da acroterii ; ha quattro colonne visibili e mostra nell'interna un'insegna militare. Ar., Cisto/oro, Coh., n. 2oa. (Tav. VHI, n. 23). È la riproduzione — forse poco verista — del tempietto rotondo di Marte Ultore sul Campidoglio che abbiamo già visto sulle monete di Spagna. Un tipo esattamente copiato da questo si osserva sui bronzi di Augusto a leggenda greca della zecca di Alessandria. fr LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 289 15. Ffi — S • P • R SIGNIS ' RECEPTIS in tre linee sotto la volta di un arco fiancheggiato da due aquile e sormontato dalla quadriga di Augusto; sul fregio della trabeazione si ripete la medesima leggenda del diritto, cioè IMP • IX • TR • POT • V • Ar,, Cisto/oro, Coh., n. 298. (Tav. Vili, n. 24). È il medesimo tipo precedentemente descritto a parte IV, n. 20. In ambedue i casi si tratta dell'arco onorario di Augusto a Roma (i) prima che gli fossero aggiunti i propilei laterali che vedemmo sulle monete di Colonia Patrizia (n. 6) e di Roma (L. Vinicius). L'identico arco rappresentato sul cistoforo è copiato, salvo la fat- tura più banale e grossolana, dai bronzi alessandrini contemporanei a quelli già citati col tempio di Marte Ultore, e ciò mi permette di affer- mare che la data di questi bronzi, sinora incerta, deve assegnarsi agli anni 19-18 a. C. L'emissione dei tetradrammi che sto per descri- vere avvenne certamente nel 737/17 a. C. in occa- sione dei Vota Suscepta Vicennalia di Augusto. Essi, contrariamente all'asserzione del Cabrici, sono d'arte peggiorata, in confronto ai precedenti, come tutti potranno constatare dai confronti. Però nessun elemento per stabilire con certezza questa data sembrerebbe esistere, pel fatto che i PB greci di Efeso, utili pei confronti stihstici, non furono emessi che più tardi verso il 12 a. C, ma un ausilio ci porgono i cistofori al medesimo tipo, e quindi contemporanei, coniati ad Antiochia, i quali, pei motivi che spiegherò più tardi, appartengono al 17 a. C. Il diritto, unico dei cistofori in questione, è : 1^ — Testa nuda a des., sotto IMP • CAESÀR • (Tav. vili, n. 25). (i) Quando pubblicai le Parti I e III non mi era nota la più recente ed attendibile spiegazione del tipo architettonico suddetto. 290 LODOVICO LAFFRANCHI 16. ^' — AVG-VSTVS in alto : l'altare di Diana ornato di bas- sorilievi rappresentanti due cervi, e di festoni. Ar., Cistoforo^ Coh., n. 33. (Tav. Vili, n. 26). 17. I^ — Id. legg. : nel campo sei spighe in fascio entro cerchio di perline. Ar., Cisto/oro, Coh., n. 32. (Tav. Vili, n. 27). 18. ^ — Id. legg.: sopra capricorno a des, guardante a sin. e portante un cornucopia, il tutto entro una corona di lauro. Ar., Cisto/oro, Coh., n. 16. (Tav. Vili, n. 28). IL — FRIGIA (Apamea?). Le poche varianti dell'unico tipo monetale che pei noti motivi io attribuisco ad una zecca non si- curamente identificabile della Frigia o della Caria fanno parte di quel gruppo che il Cabrici ('), basan- dosi esclusivamente su delle supposizioni storico- tipologiche, attribuisce all'Acaja o più precisamente alla città di Atene, convalidando il suo asserto me- diante r identificazione del tipo della vacca, rappre- sentato con arte straordinaria sulle monete in que- stione, colla vacca di bronzo, capolavoro del famoso scultore Mirone. Ma tenendosi presente il tipo della vacca sulle monete di Cizico, Apollonia, ecc. ecc., che prece- dono Mirone, è facile comprendere come esso nel nostro caso simboleggia invece la prosperità rag giunta dall'Asia per merito della politica di Augusto; significazione suffragata anche dal fatto la emissione delle costui monete con detto tipo avvenne in occa- (i) Op. cit. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 29 1 sione dei decennalia d'Augusto la cui celebrazione ebbe un carattere laudativo per la politica suddetta. Altro dei motivi sostenuti dal Cabrici è quello già più volte invocato : la presenza dell' imperatore nella città ove avrebbe dovuto funzionare la presunta zecca. Ma il caso di Atene è precisamente quello che maggiormente scalza questo fondamento sul quale esso basava le sue identificazioni toponomastiche. Infatti Atene era l'unica città dell'Impero che go- desse piena ed assoluta autonomia al punto da co- stituire uno stato quasi indipendente ; ne è prova il fatto che mai Atene emise monete a leggenda greca coir effige dell'imperatore, nemmeno per Adriano l'imperatore più filelleno che vi si trattenne due volte nel 126 e nel 134 per parecchi mesi largheg- giando di benefizi verso di essa. Atene coniò, è vero, monete anche durante l'impero, specialmente nel li secolo, ma queste sono monete autonome aventi al diritto la testa di Pallade. E però evidente l'errore del Cabrici nel non aver osservato le grandi differenze stilistiche e pa- leografiche esistenti fra gli esemplari da lui attribuiti all'unica zecca di Atene, giacché essi rivelano il prodotto di tre zecche anziché di una sola. Infatti dal lato paleografico, il Cabrici constatando l'esi- stenza del Q ritorto su taluni esemplari al tipo della vacca e la mancanza di esso sugli altri non credette di dover dedurre da ciò il lavoro di due zecche di- stinte e si limita ad osservare che questa forma di G era o non era usata indifferentemente dalle zecche d'Oriente, quantunque manchi affatto in Occidente, opinione erronea quest'ultima, poiché il Q ritorto si osserva anche sulle monete emesse ad Emerita da P. Carisio, delle quali ho già trattato nella Parte I. Per quanto riguarda l'arte e lo stile, egli appog- giandosi allo Head si limita a suffragare la sua tesi aga Lodovico laffranchi colla conclusione che monete di arte finissima come queste non potrebbero esser opera che di artisti dell'Acaja. Asserzione che avrebbe valore se l'Acaja fosse stata in qualche epoca la sede della miglior arte monetale, ma ciò non è, poiché tutti sanno che le più artistiche monete greche provengono dalla Sicilia, e per quanto riguarda il periodo che più ci interessa, cioè il primo secolo a. C, le monete di Acaja rimangono ad un livello più basso di quello delle monete dinastiche ed autonome d'Asia Minore. Anche il Grueber, non rimanendo persuaso delle motivazioni del Cabrici, restituì le suddette monete all'Asia Minore in genere ; rimane però ancora a specificarsi la localizzazione delle zecche. Come ho detto, nel gruppo dal Cabrici assegnato ad Atene se ne distinguono tre; descriverò ora le monete che io assegno ad una zecca incerta della Frigia (Apa- mea?) o della Caria e che furono emesse verso il 737/17 a. C. in occasione dei decennalia di Augusto, Esse, come ha già osservato il Cohen, sono di arte superba. & — CAESÀR Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 3). 19.. P — AVGVSTVS in alto. Vacca andante a sin. colla testa abbassata. Or., Coh., n. a6. (Tav. IX, n. 4). 20. l^ — Id. legg. Vacca stante a des. Ar., Coh., n. 28. Esemplare subcratn ma di ottimo siile nella mia collezione. B' — Id. legg. Busto col petto nudo a sin. testa laur. (Tav. IX, n. i). LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 393 21. I^ — Id. legg. Vacca andante a des. Oro, Londra, Coh., n. 27. (Tav. IX, n. 2). La corona di lauro si vede eccezionalmente in occazione dei De- ceHHulia come a Roma. II tipo della vacca, nelle due varianti, venne restituito da Vespa- siano, e si ritrova nella Licia colla differenza della testa alzata. Dovrei ora motivare la mia interpretazione to- ponomastica di queste monete, ma esemplari locali a leggenda greca contemporanei ad esse, necessari pei confronti stilistici non ne esistono. Non è se non dal 742/12 a. C. che, a quanto sem- bra, le città della provincia d'Asia iniziarono la co- niazione dei PB greci di Augusto col titolo CEBACTOC forse in occasione della sua assunzione al Pontificato Massimo; ma queste, emesse perciò assai più tardi delle imperatorie d'oro e d'argento, risentono della decadenza manifestatasi in questo periodo per l'esodo dei migliori artisti diretti in Ispagna, a Roma ed a Lione. In esse non si ravvisa, di conseguenza, che la degenerazione della maniera primitiva la quale tuttavia è ancora identificabile dal modo con cui è trattata l'effige di Augusto specialmente per le pecu- liarità della capigliatura e pei muscoli della faccia espressi con grande verismo. Basta per convincersene, osservare i bronzi di Apamea (Tav. IX, n. 5), Hipaepa (Tav. IX, n. 6) nonché in seconda linea quelli di Hierapolis, Apol- lonia Salbace, Eucarpia, Cibira, ecc., ecc., e questa rassomiglianza di essi colle monete imperatorie mi autorizza ad attribuire queste ultime ad una delle suddette zecche della Frigia o della Caria. Una riprova che la zecca non deve cercarsi al- l' infuori di queste città, è d'altra parte il fatto che la Licia, regione finitima ad esse, copiò, come ve- dremo più avanti, il medesimo tipo sulle sue monete. 294 LODOVICO LAFFRANCHI III. — LICIA (Mira?). La Licia, piccola regione che dai declivi meri- dionali del Tauro si protende come larga penisola nel Mediterraneo, apparteneva geograficamente alla provincia d'Asia ma politicamente si reggeva come una Confederazione di città {Koinon) che riconosceva solo l'alta supremazia dell'imperatore; è sotto Claudio che, secondo Svetonio, venne aggregata alla pro- vincia d'Asia. È merito della sua monetazione se possiamo contemplare uno dei rarissimi casi in cui la Metro- logia può recare qualche ausilio positivo alla Storia invece di ridursi a palestra per dibattiti in base di semplici supposizioni, ieri affermate ed oggi smentite. Il caso suddetto è rappresentato dai GB a leg- genda greca col tipo della lira — veri e propri se- sterzi — i quali sono una eccezione nella Metrologia numismatica di questa epoca e non hanno altro pre- cedente che nei GB di Rodi coniati verso il 43 a. C. ed in quelli dei prefetti di M. Antonio. Il fatto che la Licia è l'unica regione dell'Asia che può vantare monete locali coll'effige di Augusto di tale grandezza (tav. IX, n. 27) toglie ogni dubbio all'attribuzione a questa regione dei noti GB o se- sterzi latini con CA: attribuzione alla quale, indipen- dentemente da questo dato metrologico, si arriva anche per l'analogia stilistica, analogia che trae di conseguenza Tassegnazione alla Licia anche degli aurei e dei denari i quali, assieme a quelli già de- scritti secondo il Cabrici ^^), dovevano appartenere airAcaja. Il Cabrici nel suo lavoro non tenne però conto (1) Op. cit. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 295 dei GB ed MB con C A, altrimenti avrebbe dovuto assegnarli all'Acaja assieme agli aurei ed ai denari che sono stilisticamente identici ad essi, e questa esclusione reca meraviglia, giacche in sostegno alla sua tesi gli sarebbe stato facile T interpretare CA per Commune Acajae, interpretazione che epigraficamente vale altrettanto quanto l'altra Commune Asiae. Il Grueber però insistette nel ravvicinare queste mo- nete, dimostrando che tutte (bronzo, oro ed argento) dovevano uscire da una medesima zecca dell'Asia. Concludendo, le monete imperatorie emesse in una zecca incerta (Mira ?) della Licia sotto il rap- porto cronologico e tipologico si dividono in due gruppi : quello degli anni 28-27 a. C. e quello degli anni 18-17, con dieci anni di intervallo, il che rende evidente il loro carattere di monetazione occasionale motivata da avvenimenti straordinari, e spiega anche le lievi differenze nei tratti fisionomici di Augusto sulle monete dei due periodi. A) Tipo allusivo alla conquista dell'Egitto {726/28 — 727/27 a. C). B' - CAESAR DIVI • F COS • VI • Testa nuda a destra, sotto un piccolo capricorno. (Tav. IX, n. 7). 22. Ri — AEGYPTO in alio, CAPTA al basso. Coccodrillo a destra colie fauci chiuse. Ar., Coh., 11. 4. (Tav. IX, n. 8). ^ — CAESAR • DIVI • F • COS • VII Testa come la prec. (Tav. IX, n. 9). 23. ^ — AEGIPT CAPTA Come il prec. Oro, Coh., n. i. (Tav IX, n. io). 296 LODOVICO LAFFRANCHI B) Tipi allusivi alla celebrazione dei " Decennalia „ (736/18—737/17 a, C). B' — IMP CÀiSÀR Testa nuda a destra. 24. ^ — AVGVSTVS in due linee, entro un cerchio circon- dato da una corona votiva di lauro. GB. o Sesterzio, Coh. (i), n. 795. B' — CAESAR o CAISAR Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 25). 25. ^ — AVG-VSTVS talvolta in due linee, entro corona di lauro. MB., Asse? Coh., n. 34-35. (Tav. IX, n. 26). B' — AVG-VSTVS Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 28). 26. ^ — e • A [Certamina Actiaca ?) entro un cerchio cir- condato da una corona di lauro. GB., Coh., n. 790-91. (Tav. IX, n. 09). B' — CAESAR o CAISAR Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 30). 27. '^ — Come il prec. PB., Coh., n. 792. (Tav. IX, n. 31). 28. I^ — Come il prec. MB. Londra. ,j^ — AVG-VSTVS Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 23). (i) II Cohen, come tutti i numismatici del tempo passato, considerò queste monete come coloniali, assegnandoli a Cesarea Panias in Pale- stina, salvo i nn. 34 e 35 della sua descrizione. LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 5897 29. ^ — C • A entro un cerchio circondato da una corona lauro-rostrale. MB., Dupondio, Coh., n. 796. (Tav. IX, n. 24). ^ — Come il prec. (Tav. IX, n. ii). 30. ^ — Corona lauro-rostrale. Ar., Coh., n. 335. (Tav. IX, n. 13). 31. ^ — lOVI OLY(M) nel campo. Tempio exastilo con tim- pano ed acroterii. Ar., Coh., n. 132. (Tav. IX, n. 12). 32. I^ — Vittoria con corona e palma a sin. su prora. Ar., Coh., n. 328. (Tav. IX, n. 14, 15). Tipo restituito da Vespasiano. ^ — CAESAR Testa nuda a des. (Tav. IX, n. 16, 17). 33. 91 — AVGVSTVS in alto. Vacca a destra colla tesU alzata. Ar., Coh., n. aS. (Tav. IX, n, 18). 1& — IMP • CAESAR sotto la testa nuda a des. (Tav. IX, n. 19). 34- I^ - AVGVSTVS L'altare di Diana come n. 16. Cistoforo. (Tav. IX, n. aa). 35. I^ — Id. Sei spighe come n. 17. Cistoforo (Tav. IX, n. ao). 36. R) — Id. Capricorno come n. 18. Cistoforo. (Tav. IX, n. 21). Questi tre cistoforì sono identici a quelli emessi ad Efeso e non si distinguono da essi che per la maniera colla quale sono trattate le effigi. 298 LODOVICO LAFFRANCHI La Licia emise nuovamente denari d'argento colla effige di Augusto verso il 12-10 a. C, ma questi sono a leggenda greca ed esprimono quella grande decadenza artistica alla quale già accennai precedentemente. La maniera d'arte dei denari latini si ritrova invece specialmente per quanto riguarda il modo di rappresentare la capigliatura di Augusto, sui denari di Lugdunum che abbiamo già descritto (^). evidentemente parte della maestranza che aveva la- vorato in Licia venne nel 15 a C. adibita da Au- gusto alla nuova zecca delle Gallie. Milano, Giugno igi6. L. Laffranchi. (i) Vedi Parte li i numeri l e 2 della tavola. LA MONETAZIONE ALIFANA '" a Memmo Cagiati affettuosamente. Come di tutte le città antiche, le origini di Alife sono avvolte nella leggenda. Questa ci narra che Ercole, duce degli Arcadi, l'avrebbe fondata dopo aver vinto Caco nei pressi del Volturno, o che, già esistente, Ercole non fece che impadronirsene '^i ; narra pure che Alife sarebbe stata fondata da un compagno di Diomede al ritorno della guerra tro- iana <3). Alcuni autorevoli scrittori però le conferi- scono un'origine osca, altri un'origine sabellica (4), che è poi la più probabile e la più accettata. E as- sodato inoltre che Alife abbia subito la dominazione greca o quella dei Lacedemoni Tarentini, ai quali lo storico alifano Gianfrancesco Trutta <5) ne attribuisce invece la fondazione. Comunque, Alife è una delle città più antiche del Sannio Pentro. È situata sul versante occidentale dell'Appen- nino Sannitico in prossimità del Volturno e di Pie- dimonte. Essa ha una storia di grande importanza. Però « fin dalla sua origine e dopo l' invenzione « della moneta, non ha giammai usato monete pro- « prie, ma sibbene quelle dei Greci e di altri po- (i) Riprodotto dalla Rivista storica del Sannio, n. 2, 1915. (2) Cfr. Solino, Polust. e. 3. (3) Cfr. Solino, op. cit (4) Cfr. Straboxe, V. Ili, io. (5) Cfr. Giani- KANCKSco TRirriA, Dissertazioni istoriche delle antichità altfane. Napoli, 1776. 300 RAFFAELLO MARROCCO « poli confederati C^) » tanto che « le due picciole « monete d'argento e una di bronzo, assai logora, u che trovansi nel Real Museo di Napoli coli' iscri- « zione AAAlBANflN, le quali per quel B in luogo di « con cui avrebbonsi dovuto scrivere , e perchè « hanno impresse le figure de' pesci (delfini), che « par che non convengano a città che marittima « non sia, è cosa molto dubbia se agli Alifani ap- « partengano... f^) ». Ma, se anche di Alife, questa « in sua origine dovea chiamarsi AAAIBA, che poi u mutossi in AAAIOA, col cambiarsele un solo ele- « mento ; tanto più che di altra città la quale por- « tasse il nome di AAAIBA, non si ha veruna con- « tezza ; ed i pesci, che si vedono in esse medaglie, « poteano dinotare que' del Volturno o del Torano^^\ u che abbonda di pregiosissime trutte (4) » {trote). Stando adunque alle affermazioni del nostro Trutta, come quegli che più dettagliatamente ci ha dato una storia alifana, tratta in massima parte dagli avanzi d'arte e di antichità locaH, Alife non go- drebbe il vanto di avere avuta una propria mone- tazione. Questa versione e l'altra sull'etimologia del nome di Alife, sono state accettate da tutti gli stu- diosi delle antichità alifane, posteriori al Trutta, i quali, invero, non hanno mai contraddetto il nostro autore in questi suoi gravissimi errori, forse in omag- gio alla di lui grande autorità storico-archeologica. La mancanza, poi, di non accurate ricerche su di una possibile monetazione alifana e la non esatta conoscenza della geografia antica da parte del Trutta e dei suoi copiatori, hanno finito per perpetuare quegH errori. Eppure Alliba è esistita nella Cam (1) GlANFRANCESCO TrUTTA, op. CÌl. (2) GlANKRANCKSCO TrUTIA, op. CÌl. (3) Il Tarano è il fiume clic nasce a Piedinionte e attraversa Alile. (4) GlANFRANCESCO TrUTTA, op. cit. LA MONETAZIONE ALIFANA 30I pania : venne fondata da una colonia greca nei din- torni di Cuma, cosa che il nostro Trutta confessa di non sapere quando dice « che di altra città por- a tante il nome di Alliba non si ha veruna con- « tezza ». Cosicché le monete con la leggenda AAAiBANfiN, accennate da Trutta, s'appartengono ad Alliba. Giusta l'opinione dell'Avellino ('), il nome di Al- liba deriverebbe dai monti Ollibanus, che si elevano da Pozzuoli a Cuma. il Millingen (2) dice che questa città, quantunque sconosciuta nella storia, sarebbe da ricercarsi proprio nei pressi di Cuma. Il Riccio (3), il Friedlander (4>, il Sambon (5) ed il Garrucci '^) ade- riscono all'opinione del Millingen, ormai accettata. Il Garrucci spiega la sua adesione dal fatto che i simboli rappresentati sulle monete allibane sono ap- propriati ad una città marittima, come osservò giu- stamente anche il Trutta ; ma il Dressel , a sua volta, osserva con numerosi confronti, che non sem- pre i simboH marittimi indicano una città in vici- nanza del mare. Le monete allibane portano gene- ralmente il Mostro Scilla, i delfini, le conchiglie, le anitre ed altri uccelli marini, e chiaramente dinotano — a parte l'opinione del Dressel - di appartenere ad una città marittima. Anzi il Millingen dice qualche cosa dippiìi a conforto della sua opinione, e cioè che le conchiglie sulle monete allibane rappresentano le famose ostriche del Lucrino, ed i mostri le varie (i) Cfr. Avellino, Stippt. ad Hai. nuntism., pag. I2. (2) Cfr. I. Millingen, Anciens coitts, pag. 768. (3) Cfr. G. Riccio, Reperi, ossia descrizione e tassa delle monete di città antiche. Napoli, 1852. {4) Cfr. I. Friedlander, Die Oskischen Munsen, pag. 25 l- 26. (5) Cfr. L. Sambon, Mon. de la presq' ile Italiquc, (6) Cfr. R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, Roma, 1885. (7) Cfr. H. Dressel, Hist. und philol Aufsàtzen zu Ehren, pag. 251 e seguenti. 302 RAFFAELLO MARROCCO forme assunte dai compagni di Ulisse, giusta l'Odis- sea, del quale poema erano studiosissimi i Cumani ^^K * * * Poc'anzi dicevamo che lo storico alifano Gian- francesco Trutta cadde in due gravissimi errori, scambiando Alliba per Alife e negando a questa la particolare monetazione. La congettura truttana sul- l'etimologia del nome di Alife è destituita di fonda- mento, poiché contro di essa sorge concorde l'autorità d'insigni scrittori, che dimostrano l'esistenza di Alliba nell'antica Campania e propriamente nei dintorni di Cuma. Sulla base di nostre indagini non ci resta che dimostrare come AUfe, contrariamente alle asserzioni del Trutta, abbia realmente avuta la propria mone- tazione. Non poteva essere altrimenti se si consideri la sua importanza nella storia. Tralasciando di ri- ferire sul diritto che avevano alcuni popoli di batter moneta, cosa del resto assai nota, la esistenza stessa delle monete alifane è la prova evidente della nostra affermazione, come gli esemplari da noi rintracciati ne sono il documento. Essi sono pochi, invero, ma il Millingen (^) ci segnala la esistenza di centinaia di oboli alifani, che, sfortunatamente, non si sa dove furono rinvenuti né dove vennero conservati. La moneta qui rappresentata è un didramnia alifano. (i) Questo giudizio del Millingen e riportato dal Riccio nell'op. cu (a) Cfr. I. MtLLiNGEN, op. cit. LA MONETAZIONE ALIFANA 303 ^ — Testa di Pallade a destra con elmo attico, o casco laureato, ornato di civetta. ^ — Toro androprosopo gradiente a sin,; base a doppia linea ; al disopra V iscrizione AHQHA. Due esemplari di questa moneta <'^ si trovano nel Museo Nazionale di Napoli — dove li rinve- nimmo — al quale pervennero dalla collezione San- tangelo ; uno di essi è foderato, l'altro pesa gr. 6,8? ed è di buona conservazione. Sono riportati sotto i numeri 410-41 1 del Catalogo Fiorelli. Altri simili esemplari trovansi nel Museo del Vaticano t^) e nel Gabinetto di Berlino (3). Ecco ancora un'altra moneta di Alife. Argento, mezzo obolo. & — Testa di leone a bocca aperta a destra. Bi) — Iscrizione RLJISW dentro grande zeta. Questo esemplare, di cui oggi si sono smarrite le tracce, è passato dalla collezione Tuzzi di Napoli a quella di Braun di Roma e poi all'altra del Duca (1) Il didramma in oggetto è riportato anche dal Riccio nell'op. cit. (2) Il didramma alifano non si trova più nel Medagliere del Vati- cano, come me ne assicura il Direttore Camillo Serafini il quale pur trovandolo citato dal Garrucci come esistente invece nel Museo Bor- giano ha ragione di credere d'essersi disperso. (3) L'esemplare di Berlino è foderato; vi pevenne da Piedimonte d' Alife. 304 RAFFAELLO MARROCCO di Luynes ^^l È noto perchè pubblicato dal Frie- dlander (2) ed anche dal Riccio (3). Il didramma di sopra illustrato è, per la sua tecnica, di artisti alifani o del Sannio. Ha una grande analogia con i didrammi di Hyria. Del resto in quasi tutte le monete di questa città si nota sovente la testa di Pallade ed il toro androprosopo, come in molte di quelle campane e sannitiche U). Ma perchè abbiano a cessare gli equivoci sulle monete allibane attribuite ad Alife — nella quale erronea attribuzione sono caduti numerosi nummo- grafi — diremo che quegli equivoci presero mag- gior consistenza da uno abbaglio del Dressel, quando questi presenziò gli scavi eseguiti nella necropoli di Alife(5), tra il 1880 e il 1884. Negli scavi si rinvennero, oltre quelle di Fistelia e di Napoli, delle monete con la leggenda AAAIBANflN. Questo rinvenimento dette motivo al Dressel ^^) di ritenerle per alifane ; solo perchè ripetutamente ritrovate in quegli scavi. Ma il Dressel, che pure doveva conoscere i di- drammi alifani conservati nel Museo Nazionale di Na))oli, non fece nessuna osservazione sulla forma delle lettere componenti le leggende di quelle mo- nete, come, ad esempio, l'A (A) senza la piccola linea orizzontale e 1' ► (L) del tutto arcaica, le quali molto raramente si riscontrano nelle leggende delle mo- nete alHbane, come la doppia AA (LL) nelle leggende di quest'ultime non si è mai riscontrata in quelle (i) A. Sambon, Mon. Samnites-Campaniens. (2) Cfr. I. Friedlander, negli Annali nuniism. del Fiorelli. (3) Cfr. G. Riccio, op. cit. (4) Cfr. F. Gnecchi, Monete romane. Milano, 1907. (5) La necropoli di Alife è sottostante ad un podere denominato Conca d'oro, già appartenente ai sig. G. G. Egg, ora di proprietà dei sig. Merolla Alfonso. (6) Cfr. H. Dressel, negli Annali delPlst. di corrispondenza archeo- logica. Roma, 1884. LA MONETAZIONE ALIFANA 3O5 dei didrammi alifani. Egli, poi, che non poteva igno- rare il mezzo obolo di sopra indicato, se avesse fatto delle osservazioni paleografiche sulla forma delle let- tere N (A) ed 8 (F) osco-sabelliche, non sarebbe ca- duto nell'errore attribuendo ad Alife le monete di Alliba Anzi, poiché è accertato che tanto le une come le altre sono dello stesso periodo, cioè dal 360 al 330 avanti l'È. V., come ben dimostra il Sambon ^^), e poiché le prime s'appartengono ad Alife, riesce strano come questa coniasse in uno stesso momento delle monete ora col toro a faccia umana ed ora con dei simboli marittimi, non adatti alla sua condizione di città interna. Il rinvenimento delle monete allibane in Alife, va invece spiegato nel senso, ed è la spiegazione logica, che la stessa Alife, sensibilissima al lusso ellenico, come del resto hanno dimostrato i suoi scavi, era in rapporti com- merciali con i Greci della Campania. Le monete al- libane adunque rinvenute in Alife, rappresentano una prova di questo commercio con le città marittime della Campania ed in special modo con Alliba, con Cuma e con Napoli, allora fiorentissime. Intanto, a titolo di curiosità, diamo un'altra mo- neta, che A. Sambon '"> attribuisce pure ad Alife. Argento, mezzo obolo. & — Ostrica. 9^ — lEAAA leggenda inversa, intorno al segno |. Questa moneta si conserva nel Gabinetto di Berlino. La iscrizione letta nel suo rovescio è stata interpretata per Allei/a, e di conseguenza attribuita ad Alife. Vi sono tutti i dubbi che sia alifana, prin- cipalmente, ripetiamo, per la figura dell'ostrica nel (i) Cfr. A. Sambon, op. cit. (2) Cfr. A. Sambon, op. cit. 39 3o6 RAFFAELLO MARROCCO SUO diritto, che non può essere stata adottata per simbolo da Alife, e per la iscrizione stessa, che è o erronea, se si vuole assolutamente attribuire ad Alife, oppure un'abbreviazione di Alliba. Può darsi anche che appartenga a qualche città marittima della Campania, ora sconosciuta. In conclusione le monete di Alife hanno per noi una grande importanza sia perchè finora ignorate da noi stessi, sia per la loro rarità e valore. Esse gittano un fascio di luce nuova sulla vita e sulla storia di questa millenaria città, alla quale proprio dal suo principale e distinto illustratore, Gianfran- cesco Trutta, è stato negato uno dei principali ele- menti della sua importanza politica, della sua potenza e dei suoi antichi splendori. La monetazione alifana ha per noi conterranei un interesse particolarmente suggestivo e ci desta, nel contempo, un sentimento di fierezza tale da non poterci esimere dal manife- starlo. E poiché essa offre un vasto campo di studi, specie sulla remota civiltà di Alife, dalla quale tras- sero origine non pochi paesi di queste ubertose con- trade, già del Sannio Pentro, facciamo l'augurio che altre possibili ricerche ed altre utili discussioni siano d'ora innanzi intraprese. Piedimonte d' Alife. Raffaello Marrocco. ORIGINE DI ALIFE SimBolismo delle sue fradlzionl e della sua moneta ^'^ Quando il colono greco fin dairVlII secolo a. C, attratto dall'azzurro del nostro cielo e del nostro mare, dalla fertilità del nostro suolo, e dalla limpi- dezza e salubrità delle nostre acque venne a stabi- lirsi qui, nella Magna Grecia e nella Sicilia, e il sangue greco in un amplesso d'amore s'unì al san- gue italiano, generò il popolo italo-greco, che a sua volta diede alla luce uomini di genio e opere d'arte, che, per tutti i rispetti, giunsero ad emulare tutta la grandezza della patria di origine. Alife è senza dubbio di origine greca. Antiche tradizioni e monumenti cospicui lo attestano in modo non dubbio. Le tradizioni che testimoniano della sua origine sono due: l'una dice che Alife fu fondata dall'eroe greco Ercole, che si stabilì qui, dopo averne scac- ciato Caco, il famoso ladrone dell'Aventino ; l'altra che fu fondata da un compagno dell'eroe greco Dio- mede dopo che „.. il superbo Ilion fu combusto. Il mito di Ercole, che scaccia Caco, simboleggia un concetto geologico degli antichi Greci, abitatori di Alife ; la leggenda del compagno di Diomede è dovuta alla tendenza degli Italioti di attribuirsi a capostipite un eroe della guerra greco-troiana. La mitologia non è. come si può credere a prima vista, un libro di favole, ma è un libro di (i) Riprod. daW Arc/iivio Storico del Satinio Aiifano, voi. I, n. i. 308 LUIGI POSTERARO scienza. La mitologia è per gli antichi quello che pei moderni è la chimica. Scienza delle trasforma- zioni o delle metamorfosi è la mitologia, come scienza delle trasformazioni o delle metamorfosi è la chimica moderna. E, come questa, per caratterizzare i di- versi corpi, che, reagendo, si trasformano, si serve di simboli speciali, così di simboli speciali si serve la mitologia, rappresentando i corpi, che reagendo, si trasformano, sotto forma di uomo o di animale. Quando, ad esempio, il chimico moderno vuol dare una prova di quello che 20 secoli fa cantava il di- vino poeta e sommo naturalista Lucrezio Caro : Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma, egli non fa altro che preparare l'acqua facendo rea gire due corpi gassosi, invisibili perchè incolori: l'ossigeno e l' idrogeno. Che questi corpi esistano è provato dalle loro proprietà, perchè l'ossigeno è un corpo comburente, cioè capace di alimentare la combustione, e invece l' idrogeno è combustibile, cioè capace di bruciare. Dunque egli non crea, ma ottiene l'acqua facendo reagire quei due corpi gas- sosi, che, unendosi, si trasformano in essa, che è liquida ed ha proprietà chimiche e fisiche diverse dai suoi componenti. Similmente se il chimico vuol provare che nulla si distrugge, presenta una candela accesa e di essa raccogliendo i prodotti della com- bustione con un tubo contenente pomice solforica, dimostra che la candela, bruciando, non si distrugge, ma si trasforma in due altri corpi invisibili : l'ani- dride carbonica, e il vapore acquoso. Questo che dice il chimico moderno, in tempo remotissimo lo diceva anche la mitologia. Cito ad esempio il mito di Atteone. Atteone, il famoso cacciatore, armato di arco e di faretra, un giorno, accompagnato dai suoi cani, andava cacciando, quando scorse la vergine Diana, la Dea dei boschi e della caccia, che si ba- ORIGINE DI ALIFE 309 gnava in una fonte cristallina. Salito sur un olivo fronzuto, si mette a spiare e rimane estasiato a con- templare le belle forme e le caste grazie della ver- sine Dea e Fama ardentemente. Una naiade, senti- nella importuna, avverte Diana dello sguardo impu- dico dell'innamorato temerario. La Dea. oft'esa nel suo casto pudore, scompare, nascondendosi fra le onde, e, spruzzando acqua sull'innamorato impru- dente, per punirlo, lo condanna a essere trasformato in cervo. Il povero Atteone, vittima del suo ardente amore, perde tutte le forme umane: le sue membra si trasformano in quattro piedi, sulla pelle crescono i peli, la bocca si allunga in un muso di animale e sulla testa spuntano le corna ramose. Nulla conserva della sua forma primiera, giacche non è riconosciuto ne dalla madre, che affannosamente lo cerca, ne da' suoi cani che gli saltano addosso e lo sbranano. Atteone, viene dalla parola greca i/tTaiov^ che significa sponda, ed è simbolo della terra, dagli an- tichi naturalisti creduta corpo semplice. Diana cac- ciatrice, la Dea dei boschi e della notte, rappresenta il principio freddo, che, condensando il vapore dif- fuso nell'aria, lo fa cadere sotto forma di pioggia sulla terra, simboleggiata da Atteone. E la pioggia, unendosi agli elementi della terra, si trasforma in erbe e piante, simboleggiate dai peli, che crescono sulla pelle di Atteone, e dalle corna ramose che spuntano sulla sua fronte. L'amore di Atteone per le belle forme di Diana ci svela quell'altra legge della natura per cui condizione necessaria perchè due corpi reagiscano, è una certa attrazione che de- vono avere l'uno per l'altro, la quale legge i chi- mici moderni chiamano affinità. Il fatto poi che At- teone, trasformato in cervo, non è conosciuto ne dalla madre, ne dai cani, ci svela quell'altra legge di chimica, di cui ho innanzi parlato, per cui due 3IO LUIGI POSTERARO corpi, quando reagiscono, si trasformano in un terzo corpo, che ha proprietà chimiche e fisiche diverse da' suoi componenti. E così, quando il chimico vuol dimostrare che il calore non si perde ma si trasforma, adduce l'esem- pio del calore della caldaia della macchina ferro- viaria, che si trasforma in moto, comunicandolo alle ruote della locomotiva. Oppure adduce quest'altro esempio più caratteristico. Egli presenta un corpo solido, incoloro, levigato, freddissimo : il ghiaccio. Se noi esponiamo egli dice, questo corpo solido al- l'azione dei raggi solari, si trasforma in un corpo hquido, in acqua, e se all'azione dei raggi solari facciamo rimanere ancora quest'acqua, essa si tra- sforma in un corpo aeriforme, in vapore acquoso. Qual'è la causa di queste trasformazioni ? Il calore solare, trasformandosi in energia molecolare, mette in moto le molecole del ghiaccio, che, acquistando un moto rotatorio centrifugo, si dilatano, si distac- cano l'una dall'altra e acquistano un aspetto fluido, scorrevole, formando l'acqua. Continuando l'influenza diretta dell'energia solare, le molecole dell'acqua, nel loro movimento rotatorio centrifugo, si distaccano ancora l'una dall'altra, occupano maggiore spazio, diventano più leggiere dell'aria e s'innalzano nell'at- mosfera sotto forma di corpo gassoso o aeriforme. Ebbene gh antichi greci simboleggiavano l'energia solare con Ercole; e i lavori di lui non sono altro che gli effetti dell'energia solare sulla terra. Ercole, questo forte eroe greco, che ancor fan- ciullo strozza i serpenti, mandatigli dalla crudele Giunone, che dappertutto persegue e uccide mostri dannosissimi, come l' idra di Lerno, il leone della valle Nemèa, il toro di Creta, il cinghiale di Ari- manto, il gigante Anteo, il ladro Caco, che sosti- tuisce financo Atlante nel sostegno del mondo, che ORIGINE DI ALIFE 3II sfida il sole, tirandogli una freccia del suo arco, che il suo seme fecondo sparge dappertutto, unendosi alle vergini fanciulle e diventando il capostipite, l'oikista, di tante città della Sicilia e della Magna Grecia, è una delle concezioni più belle, più mera- vigliose, più grandi del genio greco. Ercole fanciullo, che strozza i serpenti, simboleggia il sole che appena apparso radioso sull'orizzonte dirada, fa scomparire la malaria, simboleggiata dai serpenti, nello stesso modo come Ercole che uccide Tidra di Lerno dalle molteplici teste, simboleggia l'energia solare che, met tendo in moto le molecole dell'acqua mortifera della palude di Lerno, le fece elevare nell'aria, prosciu- gando e disinfettando la palude, che coi miasmi pe- stiferi seminava la strage tra le popolazioni circo- stanti. Ercole che uccide il toro di Creta simboleggia Tenergia solare che, mettendo in moto le molecole dell'acqua del fiume di Creta, rappresentato sotto forma di toro, ne dilata lo stato di aggregazione e le trasforma in vapore, giacche presso i naturalisti antichi e moderni la parola uccidere è lo stesso che trasformare, e la parola morire significa trasformarsi . Un bel giorno Ercole parte per un lungo viaggio alla conquista delle vacche, pascolate dal pastore Gerione, verso l'estremità della terra. Lungo il viag- gio, in Libia, incontra il gigante Anteo, figlio di Po- sidone e di Gea. Per riportarne vittoria Teroe deve stringerlo fra le braccia poderose e sollevarlo da terra, perchè ogni qualvolta il gigante la tocca coi piedi, acquista nuovo e maggior vigore. Compiuta quest'impresa continua il viaggio e giunge agli Iper- borei, ove il sole, essendo molto vicino alla terra, lo soffoca coi raggi cocenti. L'eroe in un momento di sdegno punta il suo arco contro il Dio solare e gli tira una saetta. Allora, il sole, che la poesia greca rappresenta sotto forma di un bel giovine 312 LUIGI POSTERARO biondo, i cui capelli scendono inanellati sul collo, per premiare l'ardire del forte eroe, gli regala la sua bella conca d'oro, sulla quale Ercole viaggia attra- verso le azzurre onde marine. Quindi incontra il pa- store Gerione, gli toglie le vacche e le conduce a Roma. Ma quivi un famoso ladrone di nome Caco, abitante in una spelonca dell'Aventino, giocando di astuzia, arriva a sottrargli alcune vacche e per de- viarne dalle tracce l'eroe, le introduce nella spelonca, tirandole per la coda, affinchè le tracce significassero che le vacche erano di là uscite e non entrate. Ma, poiché i disegni del ladro non sempre riescono, le vacche, chiuse nella spelonca, rispondendo al mug- ghio delle compagne che erano fuori, avvertono l'eroe della loro presenza nel nascondigho. Ercole penetra nella spelonca, afferra tra le braccia il ladro impudente e l'uccide, facendogli uscire fuori dalle orbite gli occhi, iniettati di sangue, e vomitare fumo e fuoco dalla bocca. Anche qui i lavori di Ercole rappresentano gli effetti dell'energia solare sulla terra. Il mito di Anteo dà ragione del deserto libico. Il gi- gante Anteo (àvxaTo;), re di Libia, figlio di Posidone (acqua del mare) e di Gea (terra) simboleggia la ve- getazione, che appunto è il prodotto dell'unione del- l'acqua, evaporata dal mare e poi condensata in pioggia, con gli elementi della terra. E il mito ci dice che nel deserto libico la vegetazione (Anteo) fu dall'energia solare (Ercole) prima cresciuta e solle- vata sulla madre terra, da cui riceveva forza e nu- trimento, e poi inaridita e distrutta. E cosi la saetta da Ercole tirata contro il sole simboleggia i raggi so- lari, che, battendo sulla superficie levigata del mare tornano in alto, per la nota legge di fisica, la legge della riflessione, e acquistano sulle acque la forma d'una sinuosa conca di oro, quella regalata dal sole all'eroe in premio del suo ardimento. Le vacche pa- ORIGINE DI ALIFE 3I3 scolate da Gerione sono simbolo delle nuvole, che, spinte dal vento di terra, simboleggiato dal pastore Gerione, vanno verso l'estremità della terra e lì re- sterebbero se Venergia solare non le riconducesse nuovamente indietro. La scienza vulcanologica, os- servando che tutti i vulcani sono in vicinanza del mare, ci dice che le eruzioni vulcaniche avvengono per l'infiltrazione dell'acqua marina nell'interno del vulcano. Evaporata l'acqua per l'azione del fuoco, il vapore acquista una grande forza di tensione e di espansione, dando luogo a tutti i fenomeni vulcanici. 11 mito di Caco ci fa conoscere che, secondo l'opinione dei Greci, fossero proprio le nuvole a essere attratte dal vuoto del vulcano. E la proprietà che ha il vuoto di attrarre le nuvole o il vapore, è simboleggiata da Caco, dal greco *a>'-ó«, cattivo, che è perciò qualifi- cato come ladro. Inoltre il mito stesso ci dice che Caco è figlio di Vulcano. E, come nel fumare un sigaro il fumo è attratto dal vuoto della bocca, per le parte di dietro, mentre la testa del fumo serpeggia in avanti, così i mitologi greci dicevano che le vac- che di Ercole, cioè le nuvole, erano state tratte nella spelonca, cioè nel vuoto del vulcano, tirate per la coda, ed Ercole, cioè Venergia solare, le aveva fatte uscire, causando l'eruzione. Da ciò dunque mi pare si possa concludere che la tradizione di Ercole, che fondò Alife, dopo averne scacciato Caco, non dà una notizia storica, ma un concetto geologico di dinami- smo terrestre, e accenna al carattere vulcanico pri- mitivo della regione di cui anche oggi si hanno segni manifesti nei tenimenti di Aliano, di Pratella e di Telese, e dice che, dopo cessata l'attività vul- canica, l'energia solare fece sorgere la vita animale e vegetale nella regione stessa. E, se concetti scien- tifici puramente greci qui si trovano per tradizioni ininterrotte, ciò significa che il grande popolo greco 40 314 LUIGI POSTERARO vi prese stanza, diffondendovi la luce della propria scienza. Né a ciò contrasta l'affermazione di alcuni scrittori greci antichi, come il geografo Strabone, che ad Alife attribuisce un'origine Osca o Sabellica, giacche questo per noi significa che i Greci, venuti qui, a quelli si sovrapposero, dando alla città una impronta propria, e possono perciò ben dirsene i veri fondatori. E l'affermazione dello storico Solino che ne dà il merito a un compagno dell'eroe greco Diomede, dopo il ritorno dalla guerra di Troia, non fa che confermare il mio asserto, giacché come in- nanzi ho detto, essa ci svela una tendenza, comune agli antichi italo-greci, di far risalire le proprie ori- gini a un eroe, reduce dalla guerra greco-troiana, sia esso Enea, come a Roma, sia esso Antenore, come a Venezia, sia esso un compagno di Diomede, come ad Alife. E passando ora dalle tradizioni ai monumenti, ne ricordo soltanto due: Il i.° è la bellissima epi- grafe, con amorosa cura conservata, che ricorda le Terme, dette di Ercole, perchè i greci attribuivano il fenomeno delle salutari acque termali ad Ercole, cioè SiìVenergia solare. Il 2." è la moneta greca, affi- data alle mie cure nel gabinetto numismatico del Museo di Napoli, già magistralmente descritta dal- l' Ispettore pei Monumenti, Raffaello Marrocco, e del cui simbolismo devo ancora parlare. La monetazione greca è uno dei prodotti più belli, più ielici del genio greco. Fin dai primi tempi in cui entrai nel campo della Numismatica mi accorsi che la greca monetazione, a differenza della romana, della medioevale e della moderna, che ci danno con- cetti storici, illustra a preferenza concetti scientifico- ORIGINE DI ALIFE 315 naturalistici, servendosi dei suoi simboli. K non ostante riconoscessi la mia mente impari all'impresa, pure con l'amore che di tutto trionfa, mi son fatto iniziatore e apostolo di una scienza nuova, della scienza del simbolismo. E con l'aiuto dell'ermeneu- tica o dell' interpretazione dei simboli sono arrivato a spiegare il significato di una quantità di monete, ancora credute enigmi insolubili. Una moneta, ad esempio, più studiata, e che, come dice il famoso numismatico Eckhel, ha fatto consumare molto olio e molto inchiostro, è la moneta di Caulonia. Essa ha un bel giovine coi capelli scendenti inanellati sul collo. Questi stringe con la mano destra alzata una frasca, con la quale percuote un mostricciatolo dai piedi alati, che corre sul suo braccio sinistro, proteso in avanti e si volge a guardarlo spaventato. Dietro le spalle del giovine guizza un delfino, che sale, e avanti al petto un delfino, che discende. In- nanzi ai piedi è un bel cervo che si volge indietro amorevolmente a guardarlo. Sul significato di questa moneta ho pututo sorridere del sorriso del trionfa- tore. Il giovine che frusta il mostricciattolo è Apollo, cioè il sole, che di primavera fa scomparire la tem- pesta e i rigori dell' inverno, rappresentato dal mo- stro alato, e, riscaldando l'acqua del mare, la fa sa- lire sotto forma di vapore, rappresentato dal delfino che sale, e poi la fa cadere sotto forma di pioggia, simboleggiata dal delfino che scende, sulla terra sim- boleggiata dal cervo, che si volge a guardare amo- revolmente il suo eterno animatore. E il significato di questa moneta non è altro che un inno alla lus- sureggiante vegetazione di Caulonia ricca di acqua e di sole, e un' illustrazione esatta e precisa del nome di Caulonia, che viene dalla radice greca >'-«'j (latino caukscere, vegetarci perchè il sole, provocando 1' e- terno giro dell'acqua del mare, fa nascere e crescere 3l6 LUIGI POSTERARO la vegetazione. E significato puramente simbolico va dato alla moneta di Alife (^). Disgraziatamente di essa abbiamo soltanto tre esemplari; due nel mio Gabinetto e una nel Museo di Berlino e sono ine- stimabili, perchè rarissimi. Nulla di certo posso dirvi sulla data della moneta, perchè ora non V ho sotto- mano, ma per quel poco che ricordo mi pare di poter dire che appartenga al IV secolo a. C. Ha nel di- ritto una bella testa di Pallade o Minerva con elmo attico, dalla bella cresta, adorno di una civetta e d'una ghirlanda d'olivo. Voi sapete che Minerva è il simbolo della scienza e copre la sua testa di un elmo guerresco appunto perchè Minerva era anche la Dea della guerra. E Minerva è Dea della guerra, perchè questa non è solo fatta dal guerriero di pro- fessione, ma anche e sopratutto dallo scienziato. E quando leggiamo in Omero che Minerva, entrata in lotta con Marte, lo vince, ciò significa che la scienza dà il migliore e più sicuro contributo alla vittoria finale. Noi oggi vediamo che la guerra non solo è sostenuta dal guerriero, propriamente detto, ma anche e sopratutto dallo scenziato che nel suo gabinetto prepara il fulmicotone o la dinamite per la distru- zione delle forze avversarie, o applica il telefono, o il telegrafo senza fih.o altri efficacissimi trovati della scienza. Anzi dirò di più. Io non condivido l'opinione di coloro i quali credono che la guerra sia un'arte, ma io affermo sia per se stessa una scienza, perchè lo stratega usa metodi scientifici propri e profìtta di tutti i trovati delle altre scienze. L'elmo di Minerva è, come ho detto, adorno del ramoscello di olivo, che fu dalla candida colomba portato a Noè dopo il diluvio, come simbolo di pace, e vuol significare che (i) Cfr. Raffaello M arrocco, La Monetazione Alifana in Rivista Storica del Sannio, n. 2, I915. ORIGINE DI ALIFE 317 la scienza prepara la pace, si occupa sopratutto delle arti della pace e in essa lavora. La civetta è anche attributo della grande Dea perchè coi suoi grandi occhi abituati e fatti per discernere nelle tenebre, simboleggia la facoltà che ha la scienza di vedere là dove altri non vedono e la scienza storica arriva anche a leggere nelle tenebre del passato. E, ve- nendo al rovescio della moneta, noi vediamo un bel toro, gradiente verso sinistra e a volto umano o, come con parola greca si dice, un toro androprosopo. Che cosa simboleggia questo toro ? Il fiume di Pie- dimonte, che bagna Alife, col nome tanto suggestivo di Torano (da toro) tante volte lo ha detto, scen- dendo con la voce risonante nella valle. Il toro è simbolo di questo fiume. Sofocle nella tragedia « Le Trachinie » così fa dire alla bella Deianira : Il fiume Acheloo, innamoratosi di me, mi chiedeva a mio padre, ora sotto forma umana, ora sotto forma di dragone, ora sotto forma di toro, quando sorse un potente e forte rivale, che mi amava a par di lui: Ercole. Questi scendendo in lizza contro l'innamorato fiume, che gli venne incontro sotto forma di toro, lo vinse e gli tolse dalla fronte un corno, che poi fu detto il corno delFab- bondanza. Ora la bella Deianira è la nuvola indotta a condensarsi e a trasformarsi in acqua dal fiume Acheloo, che corrisponde al moderno Aspropotamo, il maggior fiume della Grecia, bagnante la Dolopia sui confini dell'Acarnania e dell' Etolia ; la bella Deianira, ripeto, è la nuvola indotta a condensarsi dal fiume, elemento freddo, mentre Ercole, che sim- boleggia l'energia solare, fa tu^to il contrario, e non solo costringe la nuvola ad innalzarsi, mettendone in moto le molecole, ma facendo lo stesso con Tacqua del fiume, la costringe a passare dallo stato liquido allo aeriforme e ad elevarsi nell'aria per poi farla ricadere nuovamente sulla terra e trasformarla, in 3l8 LUIGI POSTER ARO unione a questa, in erbe, fiori e frutta, di cui è colmo il corno dell* abbondanza. Ma accanto alla notizia sto- rica della rappresentazione del fiume sotto forma di toro, fornitaci da Sofocle, posso addurre una ragione psicologica. Secondo me i greci rappresentavano il fiume in tale forma per due ragioni : i.° per la so- miglianza che la sua voce ha col mugghio del toro, e Omero dice che il fiume Xanto, lottando con Achille, mugghiava come toro, e a quella del toro rassomiglia la voce sonante della limpida sorgente del fiume Torano ; 2.° perchè il fiume, correndo nella valle, si scava con impeto il letto, come il toro si sbarazza degli ostacoli, cozzando con le corna. E perchè gli antichi greci elevavano a onori di- vini il fiume, riproducendolo sulla moneta, al posto dove i popoH autonomi rappresentano la testa del loro Dio, e i popoli soggetti la testa del loro ti- ranno ? Perchè gli antichi romani avevano tanto ri- spetto e venerazione per l'acqua, che ogni qualvolta bisognava costruire, ad esempio, un ponte, un sa- cerdote, detto per questo Pontefice, compieva una cerimonia solenne quasi per chiedere il permesso al fiume di gettare il ponte ? Anche questa volta ne troviamo la ragione nell'ermeneutica del simbolismo della mitologia e nella scienza naturalistica del tempo. Presso Omero l'Oceano è padre universale di tutte le cose, non esclusi gli uomini e gli Dei, come ne è madre universale, sua moglie, Teti, la dea del mare: 'iiicéavov, S^swv ylveciv xaì (xnTÉpa Trj3-6v. Presso lo stesso Omero molti eroi della guerra greco-troiana sono figli dei fiumi, e, morendo, finiscono nei fiumi, come Enea, che andò a finire sulle sponde del fiume Nu- micio. La ragione di questo nascere dall'acqua e morire trasformandosi in acqua ce la dice la scienza naturalistica antica. Il filosofo naturalista Talete, vis- suto nel VII secolo a. C, afferma che tutto ciò che ORIGINE DI ALIFE 3I9 esiste nel mondo deriva dall'acqua. Secondo lui l'acqua è l'unico corpo semplice, formato da parti- celle minutissime, dette atomi, dalla cui diversa di- sposizione e dal cui diverso atteggiamento derivano tutti gli altri corpi, e in cui questi dopo la morte si trasformano. La geniale teoria taletiana ha un vivo riscontro con la teoria atomica moderna. Gli atomisti moderni parlano di quarantotto e più corpi semplici. Essi però impropriamente son detti semplici, ma bi- sognerebbe chiamarli indecomposti. Quando nuovi mezzi fisici e chimici saranno scoperti, arriveremo a decomporli tutti fino a devenire a un solo corpo semplice, che è padre universale di tutte le cose. Il Prout ophia che questo corpo sia l'idrogeno, perchè ha il peso specifico minore di tutti gli altri. Secondo me l'ultima parola non è stata ancor detta; ma l'opi- nione del Prout mette in evidenza la geniale teoria di Talete, che credeva unico corpo semplice, padre universale di tutte le cose, l'acqua, la cui molecola contiene appunto due atomi d'idrogeno e uno d'os- sigeno. E questo ci spiega perchè la teoria natura- listica taletiana acquistasse tanto favore da diffon- dersi ben presto per tutta la Grecia, la Sicilia e la Magna Grecia fino ad arrivare alla grande Roma. E cos'i si ricava dalla monetazione greca che la fondatrice di Cuma è la dea delle acque di Cuma, la ninfa Cuma, e la parola greca JtOfAot, significa onda; la fondatrice di Napoli è la ninfa Partenope, cioè l'acqua vergine; quella di Velia, città della Lucania, è la ninfa Velia, cioè l'acqua cristallina; il fondatore di Taranto è Falanto, il figlio di Nettuno, dio del mare ; la fondatrice d' Imera in Sicilia è la ninfa Imera. cioè l'acqua feconda; quella di Siracusa la ninfa Aretusa, cioè l'acqua irrigua; e la parola Roma viene dalla radice greca ?^^ che significa scorrere; e Romolo e Remo sono figli della Vestale Rhea Sylvia, 320 LUIGI POSTERARO cioè deWacqua materia prima, corpo primordiale, per- chè Rhea viene da ps'J, scorrere e Sylvia dalla parola "j^T, che significa materia; e Romolo e Remo sono allattati dalla lupa, che è simbolo del ruscello; eia parola Alife viene, secondo me, dalla radice greca «^'?, che significa giovare, corroborare e si riferisce all'acqua giovevole, salubre, che alimenta e corrobora l'organismo, e feconda i campi. Se dunque all'acqua tanta importanza attribui- vano gli antichi, ben comprendiamo la ragione per cui i Greci batterono sulla moneta alifana la figura del toro, rappresentante il fiume Torano, e attribuen- dogli l'intelligenza, gli diedero il volto umano Inoltre con un rigoroso calcolo scientifico son venuto nella conclusione, nella credenza e nella persuasione che in Alife abbia avuto corso anche un'altra moneta greca, avente al diritto una bella testa di ninfa, rap- presentante la ninfa Alife, e al rovescio il solito toro a volto umano. Concludendo, mi pare di aver sufficientemente dimostrato con l'ermeneutica del simbolismo delle tradizioni e della moneta di Alife che il grande po- polo greco ha avuto qui stabile dimora, avendovi lasciato tracce indelebili della sua scienza naturali- stica e geologica. Il significato del simbolismo di Ercole che scaccia Caco accenna alla natura vulcanica di questo territorio, e quello della moneta al fiume, che, col suo nome Torano, lo ha tante volte ripetuto e lo ripeterà finché avrà vita, scendendo nella valle con voce risonante Luigi Posteraro. IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA IN UN DIDRAMMA DI SUESSA AURUNCA Suessa, in greco sùe^ca e 2oùea«ia, situata tra il Liri ed il Volturno, cominciò a chiamarsi aurunca od auruncorum, quando accolse nelle sue mura gli aurunci salvatisi fuggendo da Aurunca, che venne distrutta dalle soldatesche di Teano, città di origine osca e capoluogo dei Sidicini. Nell'anno 414 di Roma, 340 a. C, i romani s'im- padronirono di Suessa Aurunca dopo avere sconfitta la lega latina nella battaglia campale combattuta presso Trifano (tra Minturne. Suessa e Sinuessa) e nell'anno 441 di Roma, 313 a. C, vi stabilirono una colonia (Tit. Liv., Vili, 2; IX, 28; XXVII, 9; XIX, 15; Plin., Ili, IX, 2; Veli. Patere, I, 14). Questa città nel breve periodo 280-268 a. C, probabilmente dopo la famosa guerra contro Pirro, coniava, fra le altre monete, una serie di didrammi d'argento, nel cui diritto vi si trova una testa lau- reata di Apollo con una ricca capigliatura e nel ro- vescio vi è la figura di un giovane cavaliere, che conduce un secondo cavallo: nell'esergo poi vi è la leggenda SVESANO, la quale altro non è che l'abbre- viazione del genitivo plurale SVESANOM invece di SVESANORVM. La testa della divinità è evidentemente copiata 41 322 SALVATORE MIKONE dai tipi della città di Crotone e molto rassomigliante ad un tipo di monete siciliane cioè alla moneta di elettro di Siracusa coniata al tempo di Dione (357- 353). L'adozione del tipo viene giustificata dal fatto che i suessani tenevano in grandissimo onore il culto di Apollo : culto che era diffuso in tutte le colonie greche dell' Italia Meridionale e della Sicilia. TI giovane cavaliere rappresenta un desultor, come chiamavasi in lingua latina, o un KEAETHS come denominavasi in greco. Questi cavalieri desultores, cavalcando, conducevano seco un altro cavallo e montavano dall'uno all'altro con grande prestezza ed agilità e durante i giuochi davano spettacolo al po- polo della loro prodezza. La figura di questa serie di monete d'argento rappresenta uno di questi ca- valieri desultori, vincitore nei giuochi, il quale ha avuto per premio un ramo di palma. Il tipo del ro- vescio di tali coni è una lontana reminiscenza della bella moneta di Taranto, descritta dall' Evans in Horsmen of Tarentum, Numism. Chron., 1889, tav. Ili, n. 7. Queste monete d'argento di Suessa sono iden- tiche fra di loro per lo stile ed il tipo sia nel diritto che nel rovescio e solamente sono dissimili per il simbolo aggiunto nel campo dietro la testa di Apollo. Questo simbolo varia in tutti i didrammi dello stesso tipo. Fra questi didrammi vi è il seguente : ^ — Testa di Apollo con ricca capigliatura a des., nel campo a sinistra dietro la testa, la triquetra. IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA, ECC. 323 P — Un cavaliere desultor, con il corpo riudo, porta in testa il pilos, conduce un secondo cavallo a sin. e tiene nella mano sinistra un ramo di palma or- nato di un nastro (lemniskos), nell'esergo : SVE- SANO. Museo di Berlino, gr. 6,83 ; Museo Britannico, gr, 6,82; Carelli, A^«- ntoruin velerum lloliae qiios ipse coUegit et ordine geographiro disposiùt descriplio. Napoli, j8i2, tav LXIV, 7, gr. 7,23; Mionnet. pag. 124, n. 251 ; Sanibon A., Les monnnies nitttqiies de l'Italie. Paris, 1903, voi. I, pag. 347, n. 853. tav. V. Il tipo, in cui si basa questa moneta d'argento, è il sistema greco focese, il quale in origine aveva i suoi didrammi del peso di gr. 7,64, mentre poi aveva diminuito il peso di dette monete. Questo didramma è un graziosro lavoro ed in- dica una certa accuratezza di esecuzione ; inoltre di- mostra che l'arte dell'incisione non ha perduto per nulla quell'impronta speciale presso le popolazioni elleniche dell'Italia Meridionale. La testa di Apollo con quei capelli leggermente ondulati è modellata in una maniera moltu decorativa ; la fisonomia della divinità esprime la dolcezza e la calma. Ben propor- zionati i due cavalli, i quali, essendo stati ammae- strati dal cavaliere desultore per i giuochi nell'ippo- dromo, camminano in unica e leggiadra movenza ed alzano simultaneamente le gambe sinistre. Dietro alla testa della divinità, proprio all'altezza del collo, vi è incisa una piccola trinacria. Ora quale significato può avere questo simbolo, popolarmente chiamato triquetra ma più correttamente triskeles, in una moneta appartenente ad una città non sici- liana ? Nell'antichità i simboh, che hanno fornito materie di studio e d'induzione ai numismatici, che se ne sono occupati, non venivano mai aggiunti alle monete senza un determinato scopo e sempre rac- chiudevano l'allusione ad un fatto speciale. SAI.VATORK MIRONE Si potrebbe giustificare l'aggiunzione di questo simbolo per distinguere la moneta dalle altre ; ma questa giustificazione cade quando si pensa che le diciannove monete con il tipo: diritto testa di Apollo e rov. un cavaliere desultore : sono tutti didrammi e quindi non regge alcuna ragione per segnarli in modo speciale affinchè la popolazione non potesse cadere in errore riguardo al valore dei coni. Nei tempi antichi, in verità, non erano rari i casi di ag- giungere un semplice abbellimento, che serviva a distinguere una serie da un'altra oppure di creare dei tipi differenti di monete per non generare con- fusione e contestazioni nello scambio quando la dil- ferenza del valore e del peso era minima, come ad esempio nei piccoli pezzi delle litre e degli oboli in Sicilia. Si potrebbe supporre che i simboli aggiunti siano stati incisi come segno del magistrato respon- sabile dell'emissione di ogni didramma, come a Na- poli ed in altre città dell'Italia Meridionale, dove verso il 350 a. C. si cominciano a mettere nelle mo- nete i nomi dei magistrati addetti alla monetazione o dei simboli, sotto i quali si nascondevano i nomi di detti magistrati. Ma bisogna anche scartare quest'opinione, fa- cendo notare che in Napoli ed in altre città italiote la monetazione ebbe una lunga durata, mentre Suessa Aurunca coniava questa serie di monete d'argento fra il 280-268 a C. Quindi in un periodo cosi breve di dodici aimi è inconcepibile che nella città siano mutati ben diciannove magistrati addetti alla mone- tazione. Non essendovi tradizioni letterarie per potere risolvere il significato del simbolo della triquetra in questo didramma, occorre ricorrere alla storia per cercare di avere una spiegazione. IL SIMBOLO DELLA TRIQUÈTRA, ECC. 325 Il Paruta {La Sicilia descritta con medaglie. Lione, 1697, pag. 75) con fine intuito aveva notato questo simbolo nel conio suessano e scriveva : « Si rende assai difficile e molto più d'investigare la ragione per la quale in una medaglia di Suessa Aurunca si veda scolpito il simbolo della trinacria, non essendo credibile che il dominio dei siciliani si fosse esteso avanti nell' Italia oltre che le storie antiche non ne fanno menzione alcuna, sarà più verosimile di dire che la figura equestre rappresenti qualche eroe sues- sano vittorioso nell'ippodromo, al quale alcuno della sua famiglia per essere stato eletto magistrato in Si- cilia avesse fatto battere tale medaglia in memoria della sua origine prima ». Dopo il Paruta, molti il- lustri nummografi non hanno cercato di risolvere il significato di tale simbolo, anzi qualcheduno come il Garrucci {Le monete d'Italia antica. Roma, 1885, ta- vola LXXXV, 32 e 34) non ha fatto menzione del didramma con il simbolo della triquetra. Nella storia della numismatica si trovano molte monete di città non siciliane, come ad esempio Der- rones, Eubea. Gierapetra, Neandria, ecc., con il detto simbolo, il quale in questi casi non ha alcun richiamo alla triangolare isola. In monete di Phlius vi si ri- scontra il triskeles : il Six I. P. {Monnaies grecques in Numism. ChronicU. London, 1888, pag. 97) opina che il triskeles deve alludere alla conformazione geo- grafica della città. Nelle monete federali della Licia vi è anche tale simbolo, che certe volte prende la forma di tetraskeles e di diskeles. Secondo l'opi- nione del Moller, accettata dall' Head, là triquetra in questi coni rappresenta l'emblema solare, simboliz- zante il movimento rotatorio, ed allude anche al culto di Apollo, il dio della luce e divinità nazio- nale licia. In monete di Siracusa, anche in varie dei tempi 326 SALVATORE MIRONE di Agatocle, si vede inciso tale emblema, che allude alla supremazia politica della potente città su tutta risola. In monete di laetia e di Palermo si trovano anche tali simboH, come pure in monete coniate dai romani. Difatti Lucio Cornelio Lentulo e Caio Clau- dio Marcello, consoli nell'anno 49 a. C, coniarono in Siciha un denaro, in cui si vede incisa la testa di Gorgona in mezzo della triquetra (Hill, Coins 0/ Ancient Sicily, tav. XV, 4). Pubblio Cornelio Len- tulo Macellino, dopo essere entrato nella famiglia dei Corneh, faceva coniare un denaro, nel cui di- ritto vi è la leggenda Marcellinus e la testa di Mar- cello, dietro della quale sta una triquetra e nel ro- vescio la leggenda : MARCELLVS COS QVINQ con la fi- gura delle spoglie opime di Videmaro, re dei Galli (Sallet A., Die antiken Miìnzen. Berlin, 1909, pa- gina 76-77). Nelle monete siciliane il simbolo del triskeles era giustificatissimo perchè alludeva alla supremazia di Siracusa su tutta l' isola oppure al fatto che detti coni appartenevano a città siciliane, come pure in quelle fatte coniare dai romani, che erano padroni dell'isola. Si aggiunge poi che il denaro di Marcel- lino riveste il carattere di una commemorazione in onore di Marco Marcello ed allude ai due fatti im- portanti della vita militare di questo console romano cioè: i"", quando nel 222 a. C. Marcello vinse gli In- subri vicino la fortezza romana di Clastidium (attuale Casteggio) e trafisse con il proprio brando il re dei Galli, Videmaro; 2", quando nell'anno 212 prima del- l'era volgare espugnava la città di Siracusa, difesa dal genio di Archimede, e quindi rendeva romana tutta l'isola. Ora nel caso del didramma di Suessa Aurunca non si può sostenere alcuna ragione sopra esposta, perchè la città apparteneva già ai romani mentre in IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA, ECC. 327 quel periodo la Sicilia era indipendente. Bisogna quindi cercare altrove la ragione, per cui si trova incisa la trinacria in detto didramma. Fin da quando era avvenuto lo stabilimento delle colonie greche nell'Italia Meridionale e nella Sicilia, le relazioni commerciali fra le città greche della Campania e dell' isola erano state veramente fre- quenti ed improntate sempre al concetto di un reci- proco aiuto. Dalla fine del secolo quarto, quando Sira- cusa era nuovamente pervenuta ad un alto grado di potenza sotto il governo di Agatocle, le relazioni commerciali fra questa città e le città italiote erano divenute veramente più strette e seguitarono ad in- tensificarsi quando queste ultime erano sotto la do- minazione romana e da quando, appena finita la guerra contro Pirro, avvenne quell'avvicinamento politico di Roma con Siracusa. Difatti le monete di Capua e di Napoli, che hanno una certa rassomiglianza con i tipi siciliani, e che certamente furono imitati per agevolare lo scambio, indicano un commercio attivo di queste città con la Sicilia. Prendendo argomento da quest'ultima buona ra- gione vi sono delle buone ragioni per ritenere che il simbolo della triquetra o trinacria nel didramma suessano alluda : i° alle strette relazioni commer- ciali di Suessa Aurunca con le città siciliane per mezzo delle varie città marittime ad essa vicine ; 2.'' ad un debito di riconoscenza verso la potente città sicula, che fin dal secolo quinto aveva aiutato e sostenuto le città elicne della Campania contro le invasioni e le aggressioni di gente barbara da parte di terra e contro le piraterie dei popoli dell'Italia Settentrionale. Del resto quest'affermazione non è oziosa quando 328 SALVATORE MIRONE si pensa che Suessa Aurunca, coniava questo di- dramma come colonia autonoma in materia monetaria perchè cessava di coniare le sue monete quando nel 268 a. C. Roma adottava un solo tipo per l'ar- gento per tutta l' Italia. R. Università di Torino. Dott. Salvatore Mirone LE MONETE CONIATE IN SICILIA PER I MERCENARI TIRRENI L'illustre numismatico palermitano Castelli, prin- cipe di Torremuzza, fu il primo a far conoscere, più di un secolo fa, le allora inedite monete di bronzo coniate in Sicilia per i mercenari tirreni, pubblicando prima alla rubrica Tyracinensium {Siciliae nummi ve- teres. P^m., 1781, tav. LXXXI, 17) una moneta con la leggenda TYPA e poi nel secondo supplemento della sua grandiosa opera [AucL II, tav. VII, 14 e 15) riportando due altri simili tipi di minor modulo con la leggenda TYPPH in uno e con l'iscrizione TYPP nell'altro tipo, il Torremuzza fa anche notare che tali monete erano state riconiate sopra coni di bronzo di Siracusa, nel cui diritto vi era la testa di Pallade e nel rovescio vi erano i delfini attorno ad una stella di mare. Trascorso più di un mezzo secolo, il celebre nummografo siciliano Giuseppe Romano, prendendo occasione della pubblicazione di Giulio Friedlaender {Nakone und die Mùnzen der Sicilischen Kampaner. Berliner Blatter fur Munz-Siegel und Wappenkunde, Band 1) si occupa diffusamente nella sua bellissima monografia, Nacona ed i Campani in Sicilia in An- nali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica, 1864, pag. 55-67 con tavola d'aggiun. C, della mo- netazione dei mercenari campani in Sicilia e tratta anche dei coni appartenenti ai tirreni. 33° SALVATORE MIRONE Questo egregio filosofo, con quella grande eru- dizione in numismatica che tanto lo distinse, dopo una serie di ottime e di ben ponderate argomenta- zioni, va alla conclusione che le monete con le leg- gende TYPPH e TYPP furono coniate nella città di Terme dai mercenari venuti in Sicilia nella famosa guerra contro Siracusa, dei quali Tucidide (VII, 53, 54) e Diodoro Siculo (XIII, 44) fanno menzione. Facendo pure notare che in detti bronzi si vedono chiara- mente le vestigie delle primitive monete a traverso la nuova impronta sovraposta, sostiene che questi mercenari invece di preparare con la fusione il me- tallo preferivano servirsi delle stesse monete coniate in Siracusa o per difetto di ordegni speciaH in pro- posito o pure per l'odio, che essi nutrivano contro i siracusani. L' Head {Historia numorum. Oxford, 191 1, pa- gina 190) e r Holm {Geschichte der Sicilischen Miinz- wesens. Leipzig, 1898, n. 344) sono indecisi di asse- gnare tali monete a Terme o ad Aetna, sebbene prima 1' Head {Coinage of Syracuse, pag. 39, tav. VII, 6) incHnava per Tultima città. 11 Poole nel suo Ca- lalo gm of greek coins in the British Museum-Skily. London, 1876, pag. 238, descrive le monete dei tir- reni senza assegnarle ad alcuna città, facendo però rilevare che furono riconiate su monete di Siracusa. L'Hill {Coins of Ancient Sicily. Westminster, 1903, pag. 184) occupandosi delle monete dei mercenari campani fa cenno della moneta coniata dai tirreni e fa notare che il tipo si adatta benissimo ad un di- staccamento di mercenari bellicosi, quali effettiva- mente erano i tirreni. Non essendo convinti dell'assegnazione di tali coni a Terme o ad Aetna, cercheremo di dimostrare che la coniazione è dovuta avvenire in altro luogo. Diodoro Siculo (XIV, 2, 3, 5, 6, 8, 9, 15, 58 e LE MONETE CONIATE IN SICIUA PER I MERCENARI TIRRENI 33I XVI, 4 e 82) senza fare alcuna menzione dei tirreni, tratta lungamente dei mercenari campani in Sicilia e racconta che essi furono assoldati dagli ateniesi nella guerra contro Siracusa, che, dopo la disastrosa spedizione ateniese in Sicilia, congedati dagli ateniesi, furono per vario tempo al soldo dei cartaginesi e comparirono assieme ai Sicuh nell'eccidio di Imera, che militarono poi come mercenari alle dipendenze di Dionisio il Vecchio e che in ultimo presero di- mora in Catania, in Nacona, in Entella, in Galaria, in Aetna, da dove furono cacciati da Timoleone nell'anno 339 a. C. Tucidide (VII, 53 e 54) fa invece menzione dei tirreni, chiamandoli oi rupcevoi e racconta che vennero in Sicilia come ausiliari degli ateniesi nella guerra contro Siracusa. Analizzanilo bene la narrazione tu- cididea, si comprende chiaramente che i campani erano ben diversi dai tirreni: ditatti i primi (Diodoro, XIII, 42, 2) furono assoldati nella Campania propria- mente detta per mezzo delle città calcidiche di quella regione, specialmente per mezzo di Napoli e vennero in Sicilia nella qualità di mercenari, mentre i tirreni vennero nella quahtà degli alleati degli ateniesi, per- chè varie città etrusche (Tucidide, VI, 88 e 103) memori dell'antica inimicizia contro i siracusani in- viarono in soccorso degli ateniesi tre navi, sperando con la disfatta della città sicula di potere riavere nel mare Tirreno quel prestigio perduto in seguito alle decisive battaglie navali del 474 e del 453 a. C. Certamente questi ausiliari, che Diodoro racconta di essere arrivati troppo tardi, finita la guerra con la tremenda disfatta ateniese per mare e presso il fiume Assinaro, dovettero ritornare alla loro patria cioè in Etruria e se la storia non fa menzione di tale ritorno sicuramente si deve a Diodoro Siculo, il quale non ha fatto una netta distinzione tra cam- 332 SALVATORE MIRONE pani e tirreni. Quindi a priori si deve escludere in modo assoluto che tali monete siano state coniate per questi tirreni venuti in Sicilia durante la guerra contro Siracusa. Contro poi le argomentazioni messe avanti dal Romano militano molte ragioni : i.** che le monete di bronzo di Siracusa, su cui furono riconiate quelle dei tirreni, sono posteriori all'anno 404 a. C, anno in cui i mercenari campani non sono più al soldo dei cartaginesi e passano alle dipendenze di Dionisio il Vecchio ; 2.° che mercenari nemici di Siracusa non potevano giammai procurarsi un si grande nu- mero di monete siracusane per riconiarle ; 3.° che i campani riconiarono le monete descritte dal Poole, pag. 237, n. 2 e 3 su la stessa litra siracusana, che serviva anche per la riconiazione delle monete dei tirreni. Contro la supposizione di alcuni numismatici che la coniazione sia avvenuta in Aetna, città posta nelle falde dell'Etna, milita una forte ragione cioè che i tirreni, popolo dedito alle ardite imprese mari- nare, non potevano giammai adattarsi ad istituire un colonato in un sito lontano dal mare vari chilometri e sulle falde etnee, dove avrebbero dovuto cambiare completamente le loro attitudini. Prendendo argomento da quanto sopra si è detto, bisogna ricordare che Dionisio il Vecchio, pervenuto al potere della potente città dorica, dopo avere de- bellate le città calcidiche della Sicilia e dopo le for- tunate guerre con i cartaginesi, seguì con tanto suc- cesso quella politica d'espansione marittima nel mare Adriatico e nel mare Tirreno, basando la sua potenza su mercenari dediti alle imprese marinare. Difatti fra i mercenari di questo principe vi erano rappre- sentati tutti i popoli dell'Europa Occidentale: iberi, celti, liguri, tirreni ed in maggior numero campani. LE MONETE CONIATE IN SICIUA PER I MERCENARI TIRRENI 333 In questo periodo i tirreni compariscono non come ausiliari ma come mercenari dei siracusani. Ora non essendovi tradizione di uno stabilimento (nel vero senso della parola) di tirreni in Sicilia vi è da supporre che le monete con le leggende TYPPH e TYPP siano state fatte riconiare da Dionisio per la paga ai mercenari tirreni, che con le loro navi ren- devano sicuro r impero del tiranno siracusano ed operavano nelle ardite imprese nell'Italia Setten- trionale. Io credo che tali monete abbiano il carattere delle cosidette monete militari. Del resto nella storia della numismatica greca vi è il primo esempio di una moneta militare cioè quella fatta coniare dallo spartano Tibrone quando comandava le truppe gre- che ed aveva l'incarico di combattere il satrapo Tissaferne nell'Asia Minore nell'anno 400 a. C. in seguito alla ritirata dei diecimila. Detta moneta, chia- mata eipp<òveiov vò(U(ju.(x venne coniata ad Efeso secondo il Babelon {Tratte cies monnaies grecques et romaines. Paris, 1901, voi. I, pag. 474-478) ed a Lampsaco secondo il Lenormant F. {La monnaie dans Fanti- quité. Paris, 1878-1879, voi. I, pag. 258-259) quando l'esercito era riunito per marciare contro il nemico. Questa moneta serviva per la paga dei soldati del- l'esercito comandato da Tibrone. Ora non c'è da farsi meraviglia se Dionisio, che aveva l' interesse di fare notare ai tirreni un diverso trattamento degli altri mercenari, abbia fatto rico- niare sulla litra siracusana questa moneta per pagare le ciurme tirrene, che necessariamente hanno dovuto avere in qualche città marittima della Sicilia un punto d'appoggio per tentare e preparare le loro meravi- gliose imprese marinare. La leggenda TYPPH e TYPP poi conferma che i tir- reni tenevano ad essere distinti dagli altri mercenari 334 SALVATORE MIRONE italici alle dipendenze di Dionisio e che essi neces- sariamente dovevano formare una corporazione a parte, venendo a smentire in tal modo le opinioni del Romano (op. cit., pag. 60) e del Millingen {An- cient Coins of greek cities and kings. London, 1831, P^g- 35) che i tirreni siano stati gli stessi dei cam- pani in Sicilia. Le monete non presentano nulla dal punto di vista artistico e si adattano bene ad una popolazione non ancora giunta ad un alto grado di civiltà. La coniazione di queste monete deve essere av- venuta verso il 390-380 a. C. : decennio in cui Dio- nisio esplicava quella meravigliosa politica di pene- trazione ellenica fin nelle coste dell' Italia Setten- trionale. R. Università di Torino. Doti. Salvatore Mirone. LA ZRCCA DI BENEVENTO 2.° Periodo (774-900) — Monetazione principesca (Continuazione ved. fate. JII-IV, 1915; Imac. I, 1916). Il ducato di Benevento, che Arichi, giustamente fidando sulle forze degli ampliati suoi dominii e negli animi dei suoi valorosi longobardi, aveva mutato nel 774 in Principato autonomo, fu chiamato, dagli scrittori greci, Longohardia minore (a distinguerla dalla maggiore, che comprendeva le provincie set- tentrionali), da alcuni scrittori latini dei bassi secoli più semplicemente Italia Cistyherina. Nei suoi confini vastissimi il Principato bene- ventano comprendeva, sulla costa occidentale del Mar Tirreno, le provincie di Campania e di Lucania col Bruzio ; sulla costa orientale del Mare Adriatico, il Piceno, il Sannio e l'Apulia con la Calabria ; tra le più importanti città, Taranto, Bari, Cassano. Lu- cerà, Cosenza, Pesto, Montella, Salerno, Avellino, Siponto, si che, toltone le città marittime soggette ai greci, erano sottoposte al dominio di Benevento tutte le ubertose contrade dell' Italia meridionale, le quali, con la riforma amministrativa di Arichi. erano state ripartite in contadi e castaldati, origine della feudalità baronale nel nostro paese W. (i) Il Sarnelu, in : Memorie cronologiche dei Vescovi ed Arcivescovi della Santa Chiesa di Benevento, Napoli 1691, dà l'elenco delle 34 contee appartenenti al Principato di Benevento, che il Giustiniani riporta poi esattamente nel suo : Dizionario geografico-ragionato del Regno di Na- poli. Napoli ijgj, nel modo seguente : Acerensa, Ali/e, Albi, Aquino, Baiano, Chicli, Caiasso, Calvi, Capua, Celano, Consa, Carinola, Fondt, Isemia, tarino. Lesina, Marsi, Mignano, Molise, Morone, Penna, Pieirab- bondattte, Poniecorvo, Presensano, Sangro, Santagata, Sesto, Sora, Te- lese, Traieito, Termoli, Tiano, Valve e Vena/ro. 3)6 MEMMO CAGIATI Agli imperatori d'Oriente obbedivano intanto il ducato di Gaeta, Gallipoli, Otranto, alcune altre città nell'estremo Bruzio (amministrate da un Patrizio, ov- vero Straticò) ed il Ducato di Napoli, a cui erano soggette, per concessione dell'imperatore Maurizio, le isole d'Ischia, Procida e Nisita, a cui in prosieguo furono annesse : Cuma, Stabia, Sorrento ed Amalfi, ducato che, a forma di provincia, fu volgarmente detto : Ducatus Campaniae. Benevento in quell'epoca era la città più splen- dida dell' Italia meridionale ; Arichi l'aveva fatta sa- lire a tale alto grado di floridezza e di indipendenza politica, che a ragione Paolo Diacono, l'autore della Historia Longobardarum, il quale ebbe alla corte di Arichi lo stesso ufficio che Alcuino teneva in quella di Carlo Magno, chiamò Benevento: « opulentissima a preferenza di quante altre città erano in queste nostre provincie » (^^ a ragione l'Anonimo Salerni- tano (2) vantò del Sacrum Palatium la molteplicità, la varietà degli uffici (3), la magnificenza, la nobiltà di quella corte splendidissima, in cui la colta prin- cipessa Adalperga attirava intorno a sé il fiore degli uomini d'ingegno, 1 migliori cultori delle scienze e delle arti. Tutte le epoche di transizione risentono sempre assai lungamente dei vecchi sistemi e preparano ai nuovi gradatamente; potremmo quindi dire che dal (i) Paulus Diac, cap. XX, lib. II, " ... ipsa harum provinciarutn caput ditissima Beneventus „. (2) Chronic. Cap. XII e XIII. (3) Il Borgia, in: Memorie istoriche della pontificia città di Benevento dal sec. Vili al sec. XVIII, Roma 1763, al Cap. IX del voi. I, con la scorta del Du Canoe spiega in nota alcuni uffici della corte beneventana, tra i quali: quello di Comes Palaliis, Comes Stabulis, Protospntarius, Mar- bais, Castaldius, Topoterius^ Portarius, Thesaurarius, Referendarius, Actio- naritis, Vestararius^ Vicedominus, Pincerna, Basilicus, Candidatus, Stra- tigus, ecc. la' zecca di BENEVENTO 337 giorno memorando in cui Leone III diede l'ultimo colpo agli imperatori greci, ponendo solennemente la corona d'Italia sul capo di Carlo Magno, come nelle fogge dell'arte e nel gusto dell'architettura, il sistema monetario ebbe a subire in Italia, special- mente nel Principato di Benevento, le grandi ritorme che allontanandolo sempre più dalla forma bizan- tina glie ne facevano assumere una propria, che servì a dare le norme per l'avvenire. Negli ultimi tempi merovingi l'argento era en- trato a poco a poco nella circolazione monetaria fran- cese; le numerose emissioni di tremissi d'oro erano andate man mano scemando, per far posto ai de- nari^ la cui coniazione tra i Franchi prendeva uno sviluppo incessantemente più grande. Siccome però i rapporti erano sempre variati e sottoposti alle on- dulazioni del mercato metallico, enorme confusione questi denari apportarono nel commercio, continui malintesi, numerose frodi. Pipino il Breve aveva stabilito, nel 755, al Con- cilio di Verneuille il taglio di quelle monete a ven- tidue soldi per libbra e sembra che, nei suoi primi anni di regno, Carlo Magno avesse conservato lo stesso taglio alle sue, il cui tipo ebbe la rudezza pipiniana, e che in seguito il taglio della specie fosse stabilito a venti soldi per libbra ; certo è che il peso aumentò, il diametro si fece più largo e si vide com- parire sui denari di Carlo Magno il di lui mono- gramma, il tempio cristiano ed il profilo imperiale. Venuto in Italia il gran conquistatore istituì nelle principali città, che caddero in suo potere, zecche monetarie, nelle quali si cominciò a coniare sul si- stema carolingio da artisti indigeni, che cercarono di uniformare i nuovi tipi a quelli locali; ma con geniale veduta il Re dei Franchi si era prefisso il concetto di avere in tutti i suoi dominii un unico 43 338 MEMMO CAGIATl peso ed una sola moneta <0, e, quando concedette ai Beneventani come successore nel Principato il figliuolo di Arichi, tenuto in ostaggio, che fu Gri- moaldo ili, permise a questi di battere moneta pur- ché fregiata del proprio suo nome (^\ Fu così ini- ziata nella monetazione di Benevento la serie di quei denari d'argento, che procede sino al cadere del se- colo, denari (in sul principio coniati col monogramma di Carlo Magno e poco appresso in nome ed auto- rità dei successivi principi di Benevento) che ebbero il valore di una sesta parte della tremissi d'oro, quindi della diciottesima del soldo d'oro, come ci fa noto il chiarissimo A. Sambon, pubblicando un do- cumento del tempo (3). Dando uno sguardo generale alla gloriosa e mo- vimentata storia del Principato di Benevento noi lo troviamo delineato nettamente in due periodi; quello che abbraccia l'epoca del Principato indipendente (774-900) e l'altro del Principato sotto la dominazione Capuana (900-1077). Nel primo periodo la zecca di Benevento coniò soldi e tremissi d'oro per Arichi II ; soldi, tremissi e denari d'argento per Grimoaldo III; denari per Grimoaldo IV ; soldi, tremissi e denari per Sicone e Sicardo; soldi e denari per Radelchi; forse anche monete per Radelgario, non ancora venute fuori a nostra conoscenza; denari al tempo di Adelchi col nome di questo principe, altri a nome di Ludovico ed Adelchi, altri di Ludovico ed Angilberga, altri (1) Capobianchi V., Pesi proporsionnh desunti da documenti, nella libra romana, merovingia e di Carlo Magno in: Rivista hai. di Nutn., anno 1892, fase. I. (2) Erchkmperti, Historia lang. in Peregrinio Pratilli, toni. II, 1750, pag. 84. " Nummosque sui nominis caracteribus superscribi semper itt- beret „. (3) A. Sambon, Recueil des monnaies de l'Italie meridionale depuis le VII siede iusq'au XIX, Béitévent, in: Le Musée, Revue d'art, Paris, 1909. LA ZECCA DI BENEVENTO 339 ancora di Giovanni Vili ed Adelchi; per Gaiderio una moneta di cattiva lega, l'unica che si conosce; poi un denaro che sembra appartenere al primo periodo di Radelchi II, un altro, campione ben triste della moneta longobarda, coniato per Aione, durante il periodo delle incessanti guerre, da questi combattute ed infine un denaro coniato probabilmente sotto la reggenza del vescovo Pietro nel 897. Nel secondo periodo vediamo Benevento, ridotta a provincia, in dominio di Atenolfo conte di Capua, che da feudatario soggetto ne era divenuto l'asso- luto Signore, di poi, ancora sotto la dominazione dei longobardi capuani, da soli od associati, Landolfo, Atenolfo III, Landolfo II, Pandolfo Capo di ferro, Landolfo III, Landolfo IV, Alzara, vedova di Pan- dolfo I, Landinolfo, Pandolfo II, Landolfo V, Pan- dolfo III, Landolfo VI. Con la morte di quest'ultimo principe longobardo, che aveva tenuto Benevento anche dopo la conquista che Roberto Guiscardo aveva fatta di Salerno, troviamo mancata nel 1077 la successione, estinta l'antica signoria longobarda e la città di Benevento tenuta per la prima volta dal Pontefice Gregorio VII, da questi e dai suoi succes- sori governata per mezzo di Rettori, in gran parte Cardinali della Santa Chiesa. In questo secondo periodo Benevento, nello stato di servilismo, non ebbe più zecca; troviamo soltanto alcune monete di argento che probabilmente vi furono coniate tra il 900 e il 910, aventi per tutta iscrizione il nome della Santa Vergine, somiglianti a quelle battute nella zecca di Capua a nome di Atenolfo e di suo figlio Landolfo, a quelle di Landolfo II e di Pandolfo Capo di ferro. Continueremo ad esporre l' interessante nume- rario della monetazione beneventana, per quanto ci è nota, dando ora di ogni principe qualche raggua- 34*J MEMMO CAGIATI glio storico, come per lo innanzi abbiamo creduto utile di fare per ogni duca nelKesporre le singole monete. * * Arichi II PRINCIPE (774-788). Nel 774 fu sotto- messa da Carlo Magno la gente del Friuli e di Spo- leto, ma non così la longobarda del beneventano del cui stato Arichi, sfidando il monarca vittorioso, tenne salda l'autonomia, mentre con nuove e savie leggi ne andava trasformando l'amministrazione e l'organizzazione politica. Il primo principe indipendente del beneventano, l'unico successore nazionale di sua gente, si era rive- stito di tutte le insegne dell'autorità sovrana e del diritto di dar leggi ai presenti, come il legittimo erede dei due ultimi re longobardi, di cui era genero e cognato. Arichi fu una delle personalità più illustri della sua epoca, fu l'emulo di Giustiniano, come legislatore e fondatore di edifici e templi grandiosi e di lui l'Anonimo Salernitano scrisse: Magnus erat Princeps Arechis, lux nostraque salus (^). Al cadere del 786 e nei primi mesi del 787 Arichi si trovava su i campi nolani in asprissima lotta contro Stefano, duca di Napoli, quando Carlo Magno, cedendo alle istanze del Pontefice Adriano I, si decise ad invadere con grande esercito il ribelle Principato e si inoltrò fino a Capua. Arichi dovè in fretta conchiudere pace col suo avversario, duca di Napoli, poi pensò a riattare ed innalzare le mura salernitane, dentro le quali si ri- trasse, perchè nel peggior caso il mare gh fosse stato di scampo, e, riflettendo alle sproporzioni delle (X) Chronic. Gap. XXVI. LA ZECCA DI BENEVENTO 341 forze, consigliato dai maggiorenti dello Stato e dai più cospicui prelati, preferì proporre accordi di pace al re dei Franchi, il quale d'altra parte non cre- dette opportuno tentare oltre l'avventura contro quelle terre che sfuggivano così facilmente a qualunque do- minazione che non fosse stata locale. Nel 788 la pace con Carlo Magno era conchiusa, ma Arichi meditava come sciogliersi ancora dalla dipendenza dei re d' Italia ed ingaggiava trattative con Costantino, imperatore d'Oriente (che lo avrebbe assecondato, non essendo in ottimi rapporti con Carlo Magno) quando la morte lo colse poco dopo quella avvenuta del suo primo figliuolo Romualdo. Le monete di Arichi, principe, menzionate nei contratti salernitani della seconda metà del IX se- colo: Tremissi de principe de moneta Domini Arechis, conservano, sebbene variate nella leggenda, lo stesso tipo delle monete precedenti d'Arichi duca, i conii dovettero però essere perfezionati, perchè la mone- tazione è uniforme, anche nei più particolari detta- gli, i soldi e le tremissi che si conoscono non pre- sentano tra loro alcuna variante. (Tipo A). Soldo d'oro. y — DNSVI — + — CTORIA Busto di prospetto, tenendo nella destra mano \\ globo crucigero. ^ - VICTIR > •:• PRINPI — C • ONO • B Croce, su quattro gradini, a sin. A {Arechis) {vedi fig.). R. A' Coli. Cagiati. 342 MEMMO CaGIATI (Tipo B). I. Tremisse. ^ — DNSVI — + - CTORIA Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero ^ - VITIRV •:• PRINPI - C • ONO B Croce, su di un gra- duio, nel campo a sinistra A (vedi fig.). R. K Coli. Cagiati. • 4t Grimoaldo III (788-806). Se Carlo Magno avesse ascoltate le incessanti istigazioni del Pontefice Adria- no I, alla morte d'Arichi avrebbe forse potuto in- traprendere con maggior fortuna la conquista del Principato beneventano, ma egli aveva interesse di impedire per il momento una possibile lega tra T im- peratore d'Oriente e i longobardi di Benevento, quindi credette più opportuno d'ingraziarsi questo popolo, consentendo a riconoscere come successore d'Arichi il figliuolo Grimoaldo, che era rimasto fino allora presso di se in ostaggio. Grimoaldo III sah sul trono paterno accettando le condizioni che gli erano state dettate dal re dei Franchi, si dichiarò a lui soggetto, si impegnò a pagargli un annuo tributo, a prendere il titolo di duca, ad unire nei diplomi e sulle monete al suo nome quello di Carlo Magno, però, seguendo la po- litica del suo genitore, tendente ad un'alleanza con l'imperatore d'Oriente, sposò la nipote di questi ed il più presto che potè tentò di sciogliersi dalla sotto- missione che gli era stata imposta. Per dodici anni LA ZECCA DI BENEVENTO 343 animosamente Grimoaldo III tenne fronte agli eser- citi franchi, cercò in ogni modo di mantenere indipen- dente il suo Stato, ma la morte gli aveva tolto Tunico figlio che egh ebbe, ed alla morte sua, nel 807, cessò di fatto il diritto di successione ereditaria nel Principato ed il trono fu usurpato da un dignitario di Corte, da un Grimoaldo, che fu Grimoaldo IV. " Pertulit adversas Francorum saepe phalangas, " Salvavit patriam sed, Benevente, luani " Sed quid piura leram ? Gallorum fortia regna " Nec valere hiijus subdere colla sibi ,. Questa l'epigrafe che fu scritta sul magnifico tumulo di Grimoaldo III, nella chiesa di S. Sofia in Benevento, a rammentare cume fosse stato compianto dal popolo beneventano il suo secondo valoroso principe. Le monete di Grimoaldo III ci lasciano scorgere chiaramente i tre momenti di diversa fortuna del regno. In una prima emissione di soldi e tremissi, che dobbiamo supporre molto ristretta, perchè po- chissimi sono gli esemplari venuti a noi, si trova l'adempimento da parte di Grimoaldo delle condi- zioni accettate per ottenere il trono. Non princeps, ma dux egli si intitola in queste monete d'antico tipo, sulle quali, nel verso, si trova aggiunto il nome di Carlo Magno. Un secondo tipo di soldi e tremissi, di più basso titolo, somiglianti al nuovo tipo emesso dal principe Arichi, nonché una prima emissione di denari d'argento di tipo carolingio, portano sempre il nome di Carlo Magno ; ma a quello di Grimoaldo è soppresso il titolo di dux. In una terza emissione i soldi e le tremissi (di titolo ancora più scarso perchè l'oro era divenuto sempre più raro) e i de- nari d'argento, non hanno più associato, al nome di Grimoaldo, che ha preso il titolo di princeps, quello di Carlo Magno, perchè lo Stato beneventano era 344 MEMMO CAGIATI ritornato nella sua autonomia, Grimoaldo III ne era il secondo principe. (Tipo A). I. Soldo d'oro. ,©' — GRIM — + — VAL DX {dux) Busto di prospetto, te- nendo nella destra mano il globo crucigero. H - • DOMS •:• CAR • RX [rex) - VIC A Croce, su quattro gradini, affiancata dalle lettere G — R {Grimoaldus) {vedi fig.)- R. ^ Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. 2. Idem. \y — GRIM — + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. B3 — • DOMS •:• CVAR Rk'irex) — VIC • Croce, su quattro gradini, affiancata dalle lettere G — R [vedi fig.). R. K Wroth, British Museum, pag. 171, n. 5, pi. XXIII, n. 3. 3. idem. D' — GRIM — + — VALD Simile al precedente. P — • DOMS •:• CAR RX • - VICA Simile al preced. R. K Wroth, British Museum, pag. 171, n. 4, pi. XXIII. n. 2. LA ZECCA DI BENF.VENTO 345 4. Idem. ty — GRIM - + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il g^lobo crucigero. ^ — • DOMS •:• CAR • RX • - VIC A Croce , su quattro gradini, a destra la sigla GR (Grimoaldiis) (vedi A. Sambon, Le Musée, pag. 15. R. X i^^k 5. Idem. ty — GRIM — + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. ^ - VICTORV : PRINCIP - C • ONO • a Croce, su di . un globo sostenuto da tre gradini, affiancata dalle lettere G — R (vedi fig.) R. N. Coli. Cagiati. 6. Idem. ^ - GRIM — + - VALD Simile al preced. ^ ~ VICTORV :• PRINCIP - C A ONO A 8 Simile al pre- cedente. K. .V Wroth, Brìtish Museum, pag:. 172, n. it. pi. XXI li, u. 8. 7. Idem. ^ — GRIM — + — VALD Simile al precedente. R" — VICTORV •:• PRINCE — C ONO 8 Simile al preced. R. n: Wroth, British Museum, pag. 172, n. io, pi. XXIII, n. 7. 346 MEMMO CAGIATI 8. Idem. ÌB' — GRIM -+ — VALD Simile al preredente. 1^ — VICTORIA •:• PRINCP C-ONO-9 Simile al preced. R. IV Coli, del Museo di Napoli. C;itnl. Fiorelli, 59. 9. Idem. B' — GRIM + VALD Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. ^ — VICTORIA •:• PRINCI ChONOa Cro B Croce, su di un piccolo globo sostenuto da un gradino, affiancata dalle lettere G- — R. R. ^ Coli. Cagiati. 8. Idem. Altro esemplare simile al precedente, con vallante di conio. R. A^ Wroth, British Museum, pag. 173, n. 15, pi. XXIII, n. ii. 9. Idem. Altro esemplare, simile al preced., con VITIRV •:• PRINPI. R. PI Catalogo della coli, Miller, n. 2064. IO. Idem. ^ - DN AMANO — + — ••• P F A V [Dominus noster A- mand. .. Pius Felix Augustus) Busto paludato. I^ — VITORV •*• PRINCIP Croce su di un gradmo, affian- cata dalle lettere Qr — R {vedi fig.). R. N D. Promis, Monete di zecche italiane inedite o corrette. Torino, 1867, pag. 14, :a\-. 1, n. 7. (Tipo C). vH^^ 1. Dcndio. ^ — Nel campo, in monogramma, CARVLVS REX. LA ZECCA DI BENEVENTO 349 P — Nel campo, in monogramma. G-RIMOALD {vedi /ig.\ R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 15. ^ (^ ) K' 2. Idem. -B — Nel campo, in monogramma, CAROLVS REX. R) — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD-, a sinistra una piccola croce, sopra V \vedt Ag.). R. ^ A. Sambon, Le Musée, pag. 15. 3. Idem. & — Nel campo, in monogramma, CAROLVS REX. ^ — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD-. sopra pie- piccola croce [vedi fig.). R. M Fr. Fusco. Tav. Ili, n. 5. 4. Idem. & — Nel campo, in monogramma. GRIMOALD- a sinistra una croce, sopra V. I^ — • BENE BENTV Croce, su tre gradini, acco- stata dalle lettere A — CO {vedi /ig.). R. M Coli. Cagiati. 350 MEMMO CAGIATI 5. Idem. B' — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD • a sinistra una croce, sopra V. p — + BENE . — • — • BENTV • Croce, su tre gradini, ac- costata dalle lettere A - Ca) {diametro ristretto) {vedi fig.). R- ^ Fr. Fusco. Tav. Ili, n. 11. 6. Idem. ^' — Nel campo, in monogramma, G-RIMOALD • a destra un ostensorio. ^ — • BENE BENTV Croce su tre gradini, affian- cata dalle lettere A — CO {vedi fig). R. B. Wroth, British Museum, pag. 173, n. 17, pi. XXIII, n. 12. Grimoaldo IV (806-817). Grimoaldo, figlio di Ermenrico, soprannominato Stolesaiz <0, parecchie prove di valore aveva date nelle guerre contro i Franchi , aveva saputo accattivarsi l'animo del (i) Non si conosce bene il significato del titolo Stohsais, apparso in docuiìienti degli anni 752, 757, 762 (Trova, IV, 443, 632 ; V, 171), ma sembra che sìa la stessa che Thesaurarius ; alcuni vogliono sia invece il Vicedomimts o il Majordomits della Corte di Pavia, il Du Cange, dice Siolizaz uguale Magistratus. LA ZECCA DI BENKVENTO 351 SUO Principe e salire ad alti uffici presso la corte : nella elezione, che dopo due mesi d'anarchia pro- clamava il terzo principe di Benevento, fu il più for- tunato tra gli ambiziosi cortigiani e tra gli insolenti feudatari, divenuti sempre più potenti ed audaci, che si erano disputata l'usurpazione del trono. Di Grimoaldo IV il cronista beneventano Er- chemperto (*> ci descrive il carattere dolce, pacifico, amabile e magnanimo, mentre il cronista salerni- tano (^) ci descrive quel principe, orgoglioso, avaro, cattivo, provocatore, ingiusto e tiranno. Erchemperto ci dice ^3), che, ad evitare le noie che i Franchi avrebbero potuto dare al suo regno, Grimoaldo IV avesse con essi pattuito una stabile pace, dichiaran- dosi tributario dei re d'Italia; altri testi ci assicu- rano che si fosse invece rifiutato a pagare qualsiasi tributo, per cui i Franchi invadevano nel 8io Bene- vento. Restano quindi ancora incerte le relazioni di Benevento con i Franchi all'epoca di Grimoaldo IV', ma è accertato: essere stata Salerno a questi ostile per le gelose lotte che si erano iniziate tra le principali città del beneventano, che, per la trama ordita da Dauferio, Grimoaldo dovesse ad un caso favorevole il non essere precipitato dal ponte di Vietri, che Dauferio, ricercato come reo, si fosse rifugiato prima in Nocera poi a Napoli presso il duca Teodoro e che, giusta- mente adirato di ciò, Grimoaldo portasse guerra ai napoletani Da alcuni storici (4) poi si vuole: che lo sdegno di Grimoaldo fosse placato dalla sottomis- sione e da un'offerta di danaro dei vinti, che ebbero la pace, e che Dauferio venisse perdonato dal ge- neroso principe. (i) Erciiemperti, Historia Longobardarunt, Gap. 7 e 8, 237. (2) Chron. Salem. Cap. 38 e 39, pag. 489, 490. (3) Erchemperti, Historia Long., Cap. 7. (4) Mons. Daniello M. Zigarelli, Storta àt Bentv. Napoii 1860, p. 49. 352 MEMMO CAGIATI Se Grimoaldo uscì illeso dalla insidia tesagli da Dauferio, rimase però vittima della congiura contro di lui ordita da Sicone, un longobardo del Friuli, creato conte di Acerenza ; i congiurati trucidarono il principe che regnò dieci anni intitolandosi nelle monete: Filius Ermenrichi, devoto dell'Arcangelo Mi- chele protettore dei longobardi. Neir8T7 il trono passò all'ambizioso Sicone. (Tipo A). 1. Denaro. ^ — • ORIMOALD FILIVS ERMENRIH Nel campo spiga di grano tra due steli ricurvi terminanti in tre glo- betti. ^ — • ARCHANGELVS MICHAEL Croce accostata da quat- tro losanghe {vedi fig.). R- ^ A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 17. 2. Idem. B^ — • G-RIMOALD FILIVS ERMENRHI Simile al precedente. ^ - • ARCHANGELVS MICHAEL Simile al prec. R. M Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. 3. Idem. & — • GRIMOALD FILIVS ERMENRIH Nel campo una spiga di grano Ira due foglie. ^ - ARCHANGELVS MICHAEL Croce accantonata da quattro losanghe {veclt fig.). R. ^ Coli. Cagiati. LA ZECCA DI BENEVENTO 353 4. Idem. Altro esemplare simile al preced., con G-RINOALD. R. ^^ Wroth, British, Museum, pag. 174, n. i, pi. XXIII, n. 14. 5. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, ma variante di conio. R. M Wroth, British Miiseum, pag. 175, n. 2, pi. XXIII, n. 15, 6. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, con altra variante di conio. R. M Wroth, British Museum, pag. 175, n. 4, pi. XXIII, n. 16. 7. Idem. Altro esemplare, simile al prec, con ERMENRh. R. M Coli, del prof, dell' Erba di Napoli. 8. Idem. .'Vitro esemplare, simile ai prec, con ERMENRIHI R. ^^ Catalogo della coli. Colonna, n. 18. • • SicoNE (817-832). Impadronitosi del trono il nuovo principe dapprima pensò a consolidarlo, de- primendo le turbolenze dei castaidi che alla signoria beneventana avevano aspirato, poi, ad assicurarne la successione, associò al potere e dichiarò erede il figliuolo Sicardo, al quale aveva dato in isposa Adelgisa, figlia di Dauferio. Le discordie tra i carolingi furono opportune a rendere lo Stato beneventano da quelli indipendente (Ludovico il Buono si era accontentato, succedendo nel regno italico, della promessa del solito tributo che non fu mai pagato) e lasciarono libero Sicone di spendere tutte le sue forze per travagliare con 45 354 MEMMO CAGIATI aspre guerre i napoletani, che, vinti, si lasciarono 'togliere le reliquie del Vescovo e Martire S. Gen- naro, alle quali Sicone innalzò in Benevento un ma- gnifico tempio, arricchendolo di grandi donativi, e furono assoggettati per la prima volta al tributo {collatam) verso il principato. Frattanto avvenivano i primi sbarchi di Sara- ceni, che arrecarono ai greci e ai longobardi rivolu- zioni e rovine, e il ducato di NapoH ne fu infestato, Capua fu distrutta e gli abitanti di quel contado po- tettero scampare agli eccidi rifugiandosi sul monte Tuffino, dove Sicone consigliò a Landolfo di edifi- care un forte castello che fu poi Sicopoli. Sicone morì nel 833 dopo 16 anni di governo energico e savio, nei quali riformò la moneta bene- ventana, dando una più accurata fattura ai soldi d'oro su cui volle impressa la figura dell'Arcangelo Michele, ed una grande emissione di denari d'argento che ci prova il rapido sviluppo del commercio lo- cale in quel tempo. 1 beneventani eressero a Sicone un tumulo di- nanzi alla cattedrale e Sicardo successe come quinto principe di Benevento. ' (Tipo A). I. Soldo (foro. & — SICOP - + - RINCES Busto di prospetto, nel campo a destra un piccolo triangolo. ^ — ARCHANGELVS - ONO - MIHAEL Figura dell'Ar- cangelo Michele di prospetto, tenendo nella destra LA ZECCA DI BENEVENTO 355 mano il pastorale, nella sinistra una croce, sotto piccolo triangolo {vedi /ìg.). R. A" Wroth, British Museuin, pag. 176, n. 2, pi. XXIV, n. 2. 2. Idem. ^ — SICOP — + — RINCES Simile al precedente. ^ — ARHAN&ELV — ONO — MIHAEL Simile al prece- dente. R. A^ Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. 3. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente la leggenda del retro ARHANGELV — CONOB — MICHAEL R. A' G. Satnbon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 433. 4. Idem. i^ — SICO — + — PRINCES Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. I^ — ARCHANGELVS — CONO — MICHAEL Figura dell'Ar- cangelo Michele di prospetto, tenendo nella de- stra mano il pastorale, nella sinistra una croce {vedi fig). R. EL. Wroth, Uiiiish Museum, pag. 176, pi. XXIV, n. i. (Tipo B). I . Tremisse. ^ — SICO - + - PRINCES Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. 356 MEMMO CAGIAll I^ - • ARCHANG-ELV •:• S MICHAEL Croce su di un gradino accostata dalle lettere S — C iStco) avente al di- sotto due puntini (vedi fig.). R. N Coli. Cagiati. 2. Idem. ^ — SICO — + — PRINCE Simile al precedente. ^ — ARCHANG-ELV •:• S MICHAEL Simile al prec. R. /¥ G. Sambon, Repertunu Gen. delle Monete^ in nota al n. 434. 3. Idem. ^' — SICOP — + ~ RINCEES Simile al precedente. t^ — ARANGELVS - ONO - MIHAEL Simile al prec. R. N Fr. Fuscc. I av. VI, n. 6. 4. Idem. ^ — SICO — + — PRINCE Busto di prospetto, tenendo nella destra il g-lobo crugigero. 1^ — • ARCHANGELV •:• S MICHAEL Croce, su di un gradino, accostata dalle lettere 8 — C {vedi fig.). R. A^ Coli. Cagiati. 5. Idem, B' — SICO — + PRINCE Simile al precedente. 1^ — ARCHANGEL •:• VS MICHAEL Simile al prec. R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 18. 6. Idem. B' — SICO — + PRINCES Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero. LA ZECCA DI BENEVENTO 357 ^ — ARCHANGELVS • MICHAEL Croce, su di un gradino, affiancata dalle lettere — 8 {vedi fig.) R. EL Wroth, British Museum, pag. 177, n. 6, pi. XXIV, n. 4. 1. Denaro. B' — . PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome di Sico in monogramma cruciforme. ^ — • A • RCANGELVS MICHAEL Croce, su tre gradini, terminante in alto con tre globetti, accostata da due globetti {vedi fig.). R. M Wroth, British Museum, pag. 177, n. 7, pi. XXIV, n. 5. 2. Idem. Altro esemplare simile al precedente, con ARCHANGELVS. R. M Coli. Cagiati. 3. Idem. & — ■ PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. ^ - • ANCNANGELVS MICNACL • {sic) Simile al prec. R. M Wroth, British Museum, pi. XXIV, n. 6. 4. Idem. B' — . PRINCES BENEBENTI Simile al precedente, ma il monogramma è rivoltato. ^ — ■ ARCHANGELVS MICNACL {sic) Simile al prec. R M A. Sambon, Le Musée, pag. 19. 5. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, con la croce avente la parte superiore terminante in un solo globetto. R. M Fr. Fusco. Tav. IV, n. 9. 358 MtMMO C AGI ATI 6. Idem. B' — • PRINCES BENEBEHTI iste). Simile al precedente. P — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, con la croce accostata a d. da un triangoletto. R. JR Coli. Cagiati. 7. Idem. ^ — •:• PRINCE BENEBENTI Simile al precedente. I^ — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, con la croce accostata a s. da un triangoletto, la parte superiore di essa non termina con globetti R. JR Coli. Cagiati. 8. Idem. /B' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. P — • ARCNANGELIS MICNACL {sic). Simile al precedente, ma la croce è accostata da due punti, la cui parte superiore termina con tre globetti. R. M Coli. Cagiati. 9. Idem. B' — + PRINCE BENEBEHTI {sic). Simile al precedente. 1^ — ARCHANGELVS .•. MIHCAEL {sic). Simile al prece- dente, ma la croce non è accostata da alcun segno. R. M Coli. Cagiati. IO. Idem. B — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sica in monogramma cruciforme, accostato da quattro punti nei quattro spazi. 91 - • A • RCHAN&ELVS MIHAEL Croce, su tre gradini, sormontata da un punto ed accostata da due pic- coli triangoli {vedi fig.). R. -^ Coli. Cagiati. LA ZECCA DI BENEVENTO 359 11. Idem. B' — + PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. H — • ARCHANGELVS MIHAEL Simile al precedente, la croce è accostata da due globetti. R. M Wroth, British Museum, pag. 177, n. io, pi. XXIV, n. 7. 12. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente la croce sor- montata da tre globetti. R. M Coli. Cagiati. 13. Idem. ià — PRINCES BINIBENTI {sic) Simile al precedente, un globetto è nel secondo spazio del monogramma cruciforme. 9 - ARCHANGELVS MICHAEL • Simile al precedente, la croce non è sormontata da globetto, a destra un punto. R. M Wroth, British Miiseum, pag. 177, n. 12, pi. XXIV, n. 8. 14. Idem. ^ — ' PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. B — • ARCHANGELVS MIHAEL Simile al prec. R. M Coli, del prof, dell' Erba di Napoli. 15. Idem. ^' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente, ma nel rombo centrale del monogramma vi è un globetto. 9 - ARCHANGELVS MIHAEL Simile ai precedente, la croce è affiancata da due globetti. R. ìK Coli, del prof, dell' Erba di Napoli 16. Idem. ©' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. ^ — • ARCHANIELVS iste) MIHAEL Simile al precedente, la croce è sormontata da un globetto ed è acco- stata da due globetti. R. M Coli, del prof, dell" Erba di Napoli. 360 MEMMO CAGIATI 17. Idem. B' — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sico in monogramma cruciforme. ^ — • A • RCNANGELVS (sic) MICHAEL Croce, su tre gra- dini, affiancata da due palmette {vedi fig.). R. M Coli. Cagiati. 18. Idem. -B' — A + PRINCES BENEBE • N : T : I Nel campo il nome Sico in monogramma cruciforme, un astro è nel terzo spazio. R) — ARCHAN&ELVS MICHAEL Croce, su tre gradini, ac- costata a s. da piccolo pugnale {vedi fig.). R. M Coli. Cagiati. 19. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, ma la croce è ac- costata da due globetti. R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 19. 20. Idem. 3^ — A + PRIHCES BENEBENTI Simile al precedente, ma l'astro è nel quarto spazio. ^ — ARCHANGELVS MICHAELA Simile al precedente, la croce è accostata da un globetto a sin. R. M Wroth, British Museum, pag. 178, n. 13, pi. XXIV n. 9. 21. Idem. B' — '•¥ PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. ^ — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, la croce però non è accostata da alcun segno. R. M, Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. LA ZECCA DI BENEVENTO 36 1 22. Idem. f ^ ~ A + PRIHCES BENEBENTI Simile al precedente. 91 - • ARCHANG-ELVS MICHAEL Simile al precedente. R. JR Wroth, British Museuni, pag. 178, n. 15. 23. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, nel retro la croce è accostata da due globetti. R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 19. 24. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, ma variante di conio. R. M Coli. Cagiati. 25. Idem. f^ — PRIHCES BENEBEHMIT [sic) Simile al precedente. 9 -- A • ARCHANG-FLVS MICHAEL Simile al prec. R. M Wroth, British Museuiu, pag. 178, n. 16. (Tipo D). I. Mezzo d'ttaro (?) l'). ly — Nel campo il nome Stco in monogramma cruciforme. I^ — Nel campo croce su tre gradini (vedi fig.). R. M Foresio, tav. I, n. 8. SicARDo (832-839). Con Sicardo si accentua nel Principato beneventano la parabola di decadenza, seb- bene la debolezza in cui si trovava V impero bizan- tino, sotto il governo di Theofilo, e le discordie che (1) A. Sambon (Le Musée, voi. VI, pag. 19) a proposito di questa moneta dice : Ou pourrait penser que ce soit un denier rogne, mais le ntonogramme et la croix soni plus petits que sur les deniers. 362 MEMMO CAGIATI dilaniavano i carolingi, al tempo di Lotario impera- tore e re d'Italia, avrebbero potuto esser fonte di fortuna ai vasti progetti di conquista che Sicardo sognava con l'ingordigia e l'irrequietezza del suo carattere battagliero. La smodata ambizione dei castaidi, le misere condizioni commerciali dello Stato, l'opposizione co- stante del popolo a qualsiasi riforma, e più che altro la crudeltà spietata di Sicardo, le scelleraggini di sua moglie Adelgisa, le turpitudini dei favoriti di Corte, tra cui primo Roffrido, ministro, consigliere e compagno d'orgie del principe, furono causa di desolazione che portò per effetto naturale l'anarchia e la rivolta, la distruzione completa dell' unità dello Stato. Le bande saracene saccheggiavano ed incen- diavano le città di cui potevano impadronirsi, ne torturavano ed uccidevano i cittadini e Sicardo a sua volta guerreggiava contro il ducato napoletano, spogliando chiese e monasteri, impadronendosi di reliquie che trasportava a Benevento, imprigionando parenti e nobili che potessero dare ombra al suo potere, facendo saccheggiare case, confiscare beni, condannare a morte cittadini e nemici, con quell'ar- sura di rapina e di prepotenza che si spense soltanto dopo sei anni di un simile governo con la morte del tiranno, ucciso dai beneventani oltraggiati. I. Soldo d'oro. ^ — SIC - + (Tipo A). ARDV • Busto di prospetto, tenendo con LA ZECCA DI BENEVENTO 563 la destra mano il globo crucigero. nel campo a destra piccolo triangolo. H' -^ + PRINCI CONOa VICTORV Croce, su tre gra- dini, affiancata dalle lettere S I [Sicardus) sotto le quali sono due piccoli triangoli {vedi fig.). R. EL. Coli. Cagiati. 2. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg- genda del retro VIC TOR R. EL. Coli. Cagiati. 3. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg- genda del retro VITOR. R. EL. Catalogo della coli. Gnecchi, n. 371. 4. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg- genda del retro PRINCIP. R. EL. Coli. Cagiati. 5. Falsificazione o prova di conio ? (0, ^^ SIC + ARDV Busto di prospetto, avendo nella (i) Abbiamo diversi esemplari di questo pezzo in bronzo e ne co- nosciamo parecchi, simili tra loro, che si trovano in altre collezioni, i quali tutti non hanno alcuna traccia di doratura, per cui potessimo sta- bilire trattarsi di falsificazioni dell'epoca. Sono allora semplici prove di conio, o appartengono ad altra serie di monete coniate in bronzo, con lo stesso conio con cui si emettevano i soldi d'oro caduti in basso titolo? Ecco un altro problema che gli studiosi dovrebbero proporsi di risolvere. 364 MEMMO CAGIATI destra mano il globo crucigero, nel campo a de- stra piccolo triangolo. 1^ — + PRINCI - CONOa - VICTORV Croce, su tre gra- dini, fiancheggiata dalle lettere S — I, sotto alle quali due piccoli triangoli {vedi /i^.). R. >e Coli. Cagiatì. (Tipo B). 1 . Tr emiss e. & — SIC — + — ARDV Busto di prospetto, tenendo nella destra mano il globo crucigero, nel campo a de- stra piccolo triangolo. ^ — V PRINCI - CONOa - VICTOA Croce, su di un gradino, affiancata dalle lettere S — I [Sicardus) avente al di sotto due puntini {vedi fig.). R. EL. Coli. Cagiati. 2. Idem. \y — SIC + — ARDV • Simile al precedente. I^ — PRINCI — CONOa - VICTORV •:• Simile al prece- dente. R. EL. Wroth, British Museuni, pag. 179, n. 5, pi. XXIV, u. la. 3. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, con C A ONO A a. R. EL. Wroth, British Museum, pag. 179, n. 6. 4. Idem. B^ — SIC — + - ARDV • Simile al precedente. ^ — PRINCE •:• CONO — VICTOR • Simile al prec. R. EL. A. Sambon, Lo Miiséc, pag. ao. LA ZECCA DI BENEVENTO 365 5. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, con PRH^CI. R- EL. Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. 6. Idem. ,©' — SIC — + — ARDV Simile al precedente. ^ — + PRINCI — CONOB — VICTOR A Simile al prece- dente. R. EL. Coli. Cagìati. 7. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, con CAONOAS. R. EL Coli. Cagìati. 1. Denaro. -©' — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sicardo in monogramma cruciforme. ^ - ■ k- RCHANOELVS MIHAEL Croce, su tre gradini, af- fiancata da un triangolo a destra, da un punto a sinistra {vedi fig.). R. M Coli. Cagìati. 2. Idem. B' — + PRINCE BENEBENTI Simile al predente. 9 — • ARCHANGELV MIHAEL Simile al precedente. R. M Coli, del prof, dell' Erba di Napoli. 3. Idem. ^ - • PRINCE BENEBENTI Simile al precedente. ^ — ARCHANGELV niCHVEL Simile al precedente, nel campo a sinistra un globetto. R. M. Wroth, Bi iiish Museum, pag. i8o. 366 MEMMO CAGIATI 4. Idem. B' - + .PRINCE BENEBENTI Simile al precedente. l>' — ARHANGEL {sic) MIHAEL Simile al precedente, la croce nel retro è accostata da un triangolo a si- nistra e da un globetto a destra. R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 21. 5. Idem. B' — PRINCES BENEBENTI Simile al precedente. P — ARCHANGELV MIHAEL Simile al precedente. R. M A. Sambon, Le Musée. 6. Idem. ^ — + PRINCE BENEBENT Simile al precedente. ^ — • ARCHAN&ELV HIHAEL Simile al precedente. R. M Coli. Cagiati. 7. Idem. B' — + PRINCE DENEDENTI (sic). Simile al precedente. 91 - • A • RCHAN&ELV niHAE Simile al preced. R. JJ^ Coli. Cagiati. 8. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente nel centro del monogramma un punto. R. M Coli. Cagiati. 9. Idem. Altro esemplare, simile al precedente, avente nel retro la leggenda • A • RCHANGELY HIHAEL R. M Coli. Cagiati. {Continuazione e fine nel prossimo fascicolo). Memmo Cagiati. NUMMI SCYPHATI Secondo il Professore VV. Wroth, autore del Catalogne of the Imperiai byzantine coins in the British Musenm. tutte le soluzioni che sono state avanzate sullo scopo per cui ven- nero introdotte le monete cosidette scifate o scodellate, non soddisfano, perchè, come egli dice, in generale quelle solu- zioni tendono a stabilire che la detta forma venne adottata per conformarsi a certe convenienze inerenti alla tecnica, mentre il chiaro professore è di parere che quella forma fu adottata affinchè si potessero distinguere le monete di peso forte da quelle di peso debole, che erano emesse contem- poraneamente. lo pure sono dell'opuuone che la forma non dipese da convenienze tecniche ; al contrario, la nuova tecnica dovette essere la conseguenza della nuova forma che si decise di dare alle monete : però, per diverse ragioni, non posso asso- ciarmi alla soluzione suggerita dal prof Wroth, i." perchè la forma scodellata venne mantenuta ancora quando, a par- tire dal regno di Alessio I {1081 a. C. circa), fu discontinuato il sistema dei due pesi ; 2° perchè, come a tutti è noto, già sotto i primi imperatori bisantini furono emesse delle mo- nete di rame di due differenti pesi, mentre sopra i rove- sci figurano gli stessi indici (XXXX o M ecc.); dunque, come allora era possibile distinguere le monete d'un peso da quelle d'un altro, non si vede che cosa impedisse di di- stinguerle anche nelle epoche posteriori ; per ultimo, perchè quando erano emessi gli aurei di due differenti pesi, i mo- duli differivano ancora immensamente fra di loro. Così, ad esempio, tra gli aurei di Costantino IX, ve ne sono dei piatti che il prof. Wroth distingue chiamandoli thick fabric, il di cui peso medio è di gr. 4,02 con un diametro di 16 a 368 G. DATTARI r8 min., mentre nelle monete concave del peso medio di gr. 4,34 che il prof. Wroth distingue chiamandole spread fahric, il loro diametro varia tra 24 e 27 mill. Tanto io credo basti per rinunziare alla soluzione suggerita dal prof. Wroth, poiché è veramente il caso di dire che ancora i ciechi erano in grado di distinguere le monete di peso forte da quelle di peso debole ('). Come cercherò ora di provare, io penso che la forma scodellata che venne data alle monete ebbe per scopo di facilitare la loro presa. Dall'esame delle emissioni monetarie dell'epoca bisantina, appare che la forma scodellata da prima venne adottata sporadicamente e, mano mano che andava generalizzandosi, lo spessore dei tipi tendeva ad appiattirsi, mentre il modulo si andava sempre più allargando. Quale sia stato lo scopo per cui venne ridotto lo spes- sore dei tipi e quello delle leggende è difficile precisare; però bisogna convenire che con quelle innovazioni fu dimi- nuita l'opera degli incisori dei coni e, siccome un solo colpo di martello doveva bastare per imprimere sui tondini quei tipi appena schizzati e di nessun rilievo, venne ridotta la lavorazione ed i coni dovevano durare un tempo maggiore. Quale sia poi la ragione per cui i moduli delle monete d'oro e d' argento furono aumentati così smisuratamente, questo è quanto non mi è possibile di spiegare. Comunque sia, risulta che il primo aureo bisantino del peso normale di gr. 4,36 e di un diametro di 20 mill., dopo che venne in- trodotta la forma scodellata, fu mantenuto dello stesso peso; mentre il suo modulo fu portato a 30 mill. di diametro, ma in realtà è maggiore, poiché se quelle monete, invece di essere concave fossero piatte, il loro diametro aumenterebbe ancora di i o 2 mill. (l) I distintivi di thick fabrtc e di spread fabric, che ha usato il prof. Wroth, a loro soli bastano per convincere che non era possibile (come non lo è oggi) di confondere le monete di un gruppo con quelle dell'altro. NUMMI SCYPHATI 369 Le monete così trattate, cioè, grandi, piatte e finissime, si presentavano come delle minutissime placche che non solo sarebbero state soggette a deformarsi ; ma, quello che è peggio, avrebbero costituito una seria difficoltà per pren- derle da sopra una superficie piana. Sta nel fatto che, esaminando attentamente la maniera che si usa per prendere una moneta da sopra una super- ficie piana, in generale si nota che noi ci serviamo del pol- lice, dell' indicf o del medio; il priniu serve di contrasto per impedire chi la nniuela si sposti quando le alti e due dita cercano di s<^litvarla. Questa manovra è tanto più facile quanto più spessi sono i tipi impressi sulle faccie, come lo sono sulle monete antiche, o quanto più alti sono i bordi, come in generale simo quelli delle nostre monete moderne, mentre le bisantine che ora ci occupano, mancanti di spes- sore e quasi senza altezza di bordo, se fossero state piatte, quando il dito medio o l'indice tentavano di alzarle, queste sarebbero andate a conficcarsi tra il pollice e la superficie piana e la presa sarebbe stata quasi impossibile o per lo meno difficilissima. Fu dunque necessario trovare un rimedio che facili- tasse la presa delle monete m maniera comida. Questo ri- medio dapprima consistette nel dare una dolce curvatura ai bordi delle monete ; ma con l'andare del temqo, la tecnica fu lieveniente alterata e con quella venne accentuata la forma scodellata. La metamorfosi della forma (cioè da concava a scodel- lata) io credo deve essere attribuita all'esperienza che a mano a mano offriva la lavorazione e dalla quale si cercò di ritrarre tutti i vantaggi che potevano essere ricavati dalla nuova tecnica. Così, se le monete fossero state semplice- mente con il bordo ripiegato, allora, dato l'infimo spessf^re che \'enne adottato tanto pei tipi come per le leggende, questi, in breve spazio di tempo sarebbero scomparsi ; men- tre, con la forma scodellata venne totalmente evitato lo stro- picciamento (che è la causa maggiore dell'usura), come pure venne diminuita immensammte ia superficie di contatto, sia che le monete riposassero sopra una superficie piana, sia che fossero riunite assieme in un sacco o altro. Tutto ciò 47 370 G. DATTARl mi sembra provato da un esame accurato delle monete stesse, le quali sono fresche e quasi prive d'usura, ed è giusto in vista di ridurre al minimo l'usura dei tipi e delle leggende (ambedue i rappresentanti per eccellenza dell'autenticità delle monete) che si gli uni che gli altri fossero riuniti nella parte più profonda, cioè là dove il contatto tra una moneta e l'altra era minore, mentre fu lasciato un grande campo del tutto liscio, dove il contatto dei pezzi era maggiore e dove le monete erano manipolate. Con questi brevi cenni non ho la pretesa d'avere esau- rito tutto ciò che offrano da dire le monete scodellate, ma lo scopo precipuo di questo studio era quello di risolvere il problema della forma scodellata. Se ho raggiunto lo scopo, questo è quanto gradirei sentire con molto interesse. Cairo, i8 Giugno igi6. G. Dattari. Lettere di Guido Antonio Zanetti ad Annibale degli Abbati Olivieri Giordani di Pesieiro (Continnuione e fine, ▼. fase. Ili, 1913, fase. II, III-IV, 1914, fìisc I, II, IH-IV, 1915). 171. {CLIV - 313). Gradisco sommamente il coraggio e gli stimoli, che si degna farmi ad oggetto di proseguir oltre nel divisato lavoro. Ma permetta che sinceramente le dica che insensibilmente m' inoltro in un laberinto da cui difficilmente spero liberarmi. Troppe cose mi si affacciano oscure, complicate ed equivo- che, che mi trattengono l'avanzarmi. Sono ancor io dello stesso sentimento dei molti eruditi anno a lei ratificato che quei pezzi di metallo rettangoli o quadrati sieno vere mo- nete, ma vorrei pure nella antichità riscontrare di ciò qual- che origme. Un qualche barlume sembrami di rinvenire nei Plinti d'oro mentovati da Erodoto prima assai di Eusebio nel libro V della sua preparazione Evangelica riferito dallo Sper- lingio de Nummis non ctisis p. 199(1). Furono questi certi la- tercoli del sudetto metallo mandati da Creso in dono ad Apolline Delfico, per averne Oracoli favorevoli, e resto me- ravigliato, come lo Sperlingio avvalori ciò che dice sopra detti Plinti con la sola autorità d' Eusebio, quando Erodoto autore assai più antico con maggior chiarezza ne parla. Nello stesso Sperlingio alla pag. 163 si parla di lamine d'ar- gento riposte da un liberto di Trimalcione mentovate da Petronio nel suo Satirico, e spiegate dai Scogliasti per ric- chezze. Ora dico io v*è mai dubbio che nei primi plinti di Creso potessimo scoprire l'origine delle nostre monete ret- tangole, alle quali poi col tratto di tempo fossero apposti i segni che le caratterizzavano per monete, e che poi anche nei secoli posteriori se ne fosse ritenuto l'uso serbando l'oro e l'argento non segnato in masse di questa forma. Si degni Ella consultare nello Sperlingio i due passi sopracitati e di (i) QrxHONis Sperlingu, Dissertaiw de Xtimtnis non Citsis tam ve- tertim quam recentiorunt. Amstelaedami, Halman, MDCC, in-4. 372 G. CASTELLANI scrivermi se niuno peso abbiano le mie riflessioni sopì a questo argomento. Gli autori che io allegai nell'ultima mia non dicono pre- cisamente che l'arte del conio cominciasse prima in Sicilia, che in Grecia o in altra parte, bensì affermano che le Arti della Scultura e Pittura in Sicilia più presto che in Grecia fiorissero e salissero al colmo in tempo che la Grecia anche povera e impegnata nelle gu'^rre non avea aggio {sic) di coltivarle. Quanto alla moneta di Todi in conio, questa il sig. Pas- seri (i) la riduce allo spazio di tempo intermedio dall'anno 536 al 563 di Roma, ma in questo tempo sicuramente Todi era soggetta ai Romani, poiché l'ultima guerra dei Romani cogli Umbri nella quale erano cuinpre>i i Tuderti accadde, al dir di Livio, l'anno 444 o incirca di Roma, e in seguito di questa rimasero gli Umbri debellati in seguito di amotinamento contro i Romani. Todi fu m appresso fatta Colonia con r istessa legge con cui fu dedotta Colonia Firenze, lo dice Frontino espressamente Colonia fida Tuder ea lege qua et Ager Florentinus ; è stravagante l'epiteto di Fida, forse unico nelle Colonie. In una antica iscrizione sono nominati Vicanei Vici Martis Tudert. Ma forse questi saranno altra cosa differente dalla Coionia. Con tutto suo comodo gradirò assaissimo di cominciare a\ere qualche disegno delle sue Mo- nete di Pesaro e rettangole munite delle doitissime riflessioni ad oggetto di radunar la materia, e metterla a luogo. il nostro Sig. Co: Fantuzzi mi ha consegnalo il suo se- condo Tomo degli Scrittori Bolognesi per Lei. A prima oc- casione solkci'.a non mancherò di spedirglielo. Nelle ore di suo ocio favorisca di andar pensando (2) mi presti il suo aiuto e lumi gentilmente esibitomi, mentre pregandola a confermarmi la sua pregiatissima grazia, con profondo ri- spetto mi dichiaro Bologna, 8 Febbraio 1782 (3). (1) Parali pomena, ecc., pag. 216. (2) Il foglio è lacera t(j. (3) In questa lettera e nella successiva l'anno 1782 appare scritto evidentemente per errore, perche l'argomento delle monete antichissime d'ititlia fu impreso a trattare soltanto nei primi giorni del 1783. Ho cre- duto quindi cambiare il collocamento che esse hanno noi codice dove sono i)oste fra quelle scritte nel 1782. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 373 172. (CLVI — 318). I a sua gentilissima lettera dei 15 corrente mi ha pie- namente persuaso intorno il metodo da tenere nello stendere i primi articoli della nota dissertazione; vedendo benissimo che ove mancano autorità non si può passar oltre che per via di congetture, e che queste talvolta rimangono affatto insussistenti col mezzo della scoperta di nuovi monumenti che del tutto le distruggono. Lo Sperlingio al Gap. 32 della sua dissertazione de Numniis non aisis ove parla delle monete di Dario e di Creso pag. 199 tratta dei Plinti d'oro mandati da Creso in dono ad A polline Delfico, e cita l'indicato passo di Eusebio, a questo io aggiunsi il luogo di Erodoto che Ella reca per esteso nella siia lettera. E siccome lo Sperlmgio pretende che questi denarii stessero nei Tempi (loco pecuniae) e prin- cipalmente questi Plinti d'oro, così io mosso dall'autorità del medesimo credendo di ritrovare qualche analogia fra i me- desimi, e le Monete rettangole, mi son fatto coraggio d' in- terpellare il veneratissimo suo sentimento intorno a ciò, tanto più che lo stesso Sperlmgio soggiunge, sono le sue stesse parole " Siquidem tunc nummis cusis, ut re nova, et parum " adhuc cognita res ipsis non agebatur, quod aut recepti nondum essent, aut ita Diis offene moris esset antiqui. Extra Graeciam enim nummos cusos vix id temporis no- rant, nec Croesei stateres aurei tanta copia celebres eva- serant. Nuilum enim est dubium, quin nummos aureos mi- " sisset, si tunc in Lydia Crorsus nummos tales ex moneta sua submittere potuisset, quod quia factum non reperimus, Croesi nummos quos rudere coepit, aut nondum cusos. aut si cusi tuerunt, nondum ea conditione usos, ut coram Diis exponi possent ; aut missos etiam stateras Groeseos, sed paucos nec tanto numero, ut connumerari potuerint seorsim .,. Chi vieta che dai denari dei Tempi si pensasse a formarne moneta della stessa figura ? Quanto al passo di Petronio egli è al Cap. 57 dell'edi- zione di Amsterdam 1743 in 4° alla pag 373. Un Colliberto di Trimalcione millantatore fra le altre cose che dice, Glc- hiilas emi. lamellulas paravi: queste laminette e dal contesto. 374 G- CASTELLANI e dai spositori dell'Autore sono spiegate per piccole masse di metallo prezioso. Lo attesta Orazio lib. 2. od. 2. Nullus argento color est avaris Abditae terris inimice lamnae Crispe Sallusti, nisi temperato Splendeat usu (i). Seneca dt^ Benefic. lib. 7, cap. [o Nunc volo tuas opes recognoscere laminas utyiusque materiae , ad quas cupi- ditas nostra caligai e qui certo intende oro ed argento. L'istesso Seneca de vita beata cap. 21 : illud saeculum in quo censorium crimen erat paucae argenti lamellae, ed Ovi- dio a questo proposito : Et levis argenti lamina crimen erat. Queste due ultime autorità mi fanno gran forza a credere che gli erari privati degli antichi consistessero nelPammas- sare il maggior numero che potevano di queste lamineile di metallo precioso, dalle quali poscia ne derivasse l'uso della moneta anche di rame della medesima figura contras- segnata in appresso con qualche simbolo d'autorità pubblica. Quanto però a questa opinion mia io la sottometto piena- mente al saggio suo criterio, ed alla pratica ch'Ella ha in- finitamente maggiore di me intorno a queste n^aterie. Io ho attentamente osservate cinque delle note monetucce di Todi qui in Bologna presso un amico mio esistenti, ed in verità con tutto il rispetto ed ingenuità non posso concorrere nel di lei sentimento che sieno fuse, quando a prima vista com- pariscono sicuramente di conio; né mi fa gran forza il ve- dere in una delle sue il taglio ove fu staccata la moneta dal canale, che serviva al metallo, per scorrere, giacché 10 tengo opinion ferma, che tali monete prima fossero gettate in forme per abbozzarne il rilievo, il quale in appresso ve- nisse dal conio precisamente rilevato, e finito. (1) Nelle più recenti edizioni critiche questi versi di Orazio si leg- gono così : Nullus argento color t»\. avaris Abdito terris, inimice lamnae Crispe Sallusti, nisi temperato Splendeat usu. In ambedue le lezioni però la voce Inmnn sta per ricchezza e de- naro in genere. LETTERE DF GUIDO ANTONIO ZANETTI 375 Perdoni la mia troppo lunga seccatura, mi risponda a suo agio, e mi creda quale con sincero ossequio e profonda stima mi protesto Bologna, 22 Febbraio 1782. 173. fCLXXIII - 355). Gratissiiiio mi è stato il disegno della lastra nummaria trasmessami. Questo monumento comprova ad evidenza la preesistenza della forma alia moneta coniata, delia quale pree- sistenza se non avessimo che la testimonianza di Trebellio Pollione questa al nostro caso basta. Quest'autore nella vita di Vittorina dice : Cusi sunt eius nummi aerei, argentei et aurei quorum hodie FORMA extat apud Treviros. Noti di grazia la parola cusi, e il testo dell'autore il quale suppone elle al tempo che scrivea non si trovassero forse agevol- mente le monete di Vittorina, ma bensì le forme, colle quali furono prima gettate, mdi battute le di lui monete (i). Di più altre forme di monete esistono tuttavia riportale dal Ficoroni segnatamente, e dal Co : di Caylus, quindi devesi con ogni maggior probabilità inferire che prima di battere le monete queste fondessero entro le dette forme per dargli un qualche coniorno superficie ed abbozzo, indi marcarle esaltamente, e con finitezza mediante il conio (a). Il disegno trasmessomi comprova ciò ad evidenza; qui abbiamo il getto di tre esem- plari del volgarissimo asse della famiglia Calpurnia della (1) Lo Z. ha dato alla p>arola forma usata da Trebellio Pollione il significato di forma da fondere mentre essa piii propriamente va presa nel senso di tipo. Così il Salmasio nel commento a questo passo. Altri vorrebbe che forma significasse la moneia stessa, come tu usata da Lampridio nella vita di Alessandro Severo. Qualunque sia la più atten- dibile di tali opinioni, è certo che i commentatori escludono il signifi- cato dato dallo Z. Cfr.: Historiae Augustae Scriptores VI. Lugduni Batav. Oft". Hackiana, MDCLXXl, in-i6, tomo II, pagg. 337-338. (2) De Ficoro.xi, Piombi Antichi. Roma, 1740, in- 4, pag. 167, figg. 4 e 6 dell'ultima tavola ; De Caylus, Recueil d' Antiquités, ecc. Paris, 1761- 1767, in-4, t. I, pag. 286; IV, 330. Una forma da fondere monete è pure riprodotta dal Reposati, 1, pag. 25, rinvenuta a tre miglia da Gubbio, posseduta dall' A. e passata poi al Museo di S. Salvatore di Bologna, diversa pertanto dalla lastra nummaria di cui si parla nella lettera. 376 G. casti: LL ANI quale cercando qui in Bologna presso un amico mio le mo- nete, ne ho ritrovati sei tutti similissimi ai tipi rappresentati nei disegni, e tutte in verità sembrano sì al possessor suo, che a me di vero verissimo conio ; né mancano in essi i vi- sibilissimi indizi dei taglio che comprovano sempre più la precedente fusione. Aggiugnerò in altro ordinano qualche riflessione toccante il tempo in cui cominciò nella Zecca Ro- mana a farsi uso del conio, e dal peso forse del presente Asse, ch'io credo dell'ultima diminuzione, potrà fermarsi un'epoca forse non ancor bene stabilita. Sono .sempre pieno di obbligazioni, col piìi profondo rispetto, ed ossequiosa stima Bologna, 26 Febb. 1783. 174. (CLXXIV — 356). È giusta la sua riflessione intorno al sentimento dello Sperlingio che quei Plinti stassero loco pecuntae, quando pensa ella che invece d'oro e d'argento dovessero offerirsi ai Dei nei Tempi cose più preciose ; tuttavolta l'analogia nella forma di quelli di metallo rispettabile con le nostre monete rettangole mi lusinga, e le lamellole di Petronio unite alle mentovate da Orazio e da Seneca mi piegarebbero a credere che a que' rimotissimi tempi avessero tratta l'ori- gine somministrandogliela le monete rettangole quantunque assai rozze e di figura incomoda. Aggiungo che nel suo Luco sacro ha pur ella trovate monete ma di metallo igno- bile corrispondente allo stato dei donatori, onde non sem- bra straordinario che un Signor grande com'era Dario man- dasse moneta preciosa in quella sì strana forma per obbli- garsi quel Dio, o sì vero quei Sacerdoti, a pronunciare oracoli a lui favorevoli. Quanto all'Asse della famiglia Calpurnia siccome egli è di mezz'oncia, così giusta il parere del Sig. Passeri (i) si co- minciò a coniare dopo la legge Papiria dell'anno 563 di Roma siccome tutti gli altri. Anzi egli asserisce d'avere os- servati che tutti i più pesanti, cioè più antichi manifestissime (i) Op. cit, pag. aii. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 377 flaturam ostendunt; (2) e soggiunge che non era agevol cosa il potere coniare agevolmente moneta di maggior peso. Ho più volte osservati gli ordigni da coniar moneta nella medaglia della gente Carisia, e quanto a me non trovo veruna difficoltà che in monete di tal mole, come l'asse della Famiglia Calpurnia, se ne potesse far uso ; per altro il Bou- teroue nel suo dottissimo Trattato sopra la moneta porta intorno a ciò il seguente passo in idioma italiano tolto o da qualche relazione, od opera stampata in questa lingua, della quale io non ho veruna cognizione: " Certe figure di stucco antiche poste nelle grotte delle rovine di Baia appresso Poz- zuolo, dove erano rappresentati i Monetari et le Machine suddette, che mostravano di avere pietre grossissime su- spense in aria, come se avessero da scendere dal tetto per dare maggior botta sul conio ,,. Io non ho mancato di cer- care tutte le relazioni antiche e moderne delle antichità di Baia e Pozzuolo, né mi sono mai incontrato in questo passo che mi sembra però assai notabile <3). Quanto mai sarebbe utile al mio lavoro la dissertazione del dottissimo Sig. Passeri da Lei menzionata alla pag. 26 della sua lettera al sig,: Bartelemi {sic) De Nomtnibus Urbium et locorum Italicorum, se questa non fosse molto lunga, io la pregarci a farmene fare a mie spese un'esatta copia, giacche non può a meno che non vi sia molta erudizione intorno ai tipi delle antiche monete Italiche illiterate, potendo Ella dun- que farmi questo piacere io lo riceverei per un singoiar favore. Ho consegnato al nostro Sig. Borghesi, che dal suo ri- torno di Roma per la via di Toscana si è qui da me trat- tenuto per otto giorni, un involto contenente l'ultimo Tomo dell'Opera del P. Ab. Trombelli da esso per tale effetto consegnatomi. Egli si trova un po' attualmente incomodato oltre r incomodo dell'età di 87 anni. (2) Op. cit., pag. 159. (3) Non mi è stato possibile consultare questo trattato del quale non ho nemmeno trovato indicazioni bibliografiche corrispondenti al ti- tolo enunciato dallo Z., e così non ho potuto fare ricerche intomo al brano riportato. 5* 37^ ^" CASTELLANI Avrà inttsa la nuova -della motte del Monetografo Bel- lini accaduta alla fine del prossimo passato mese. Si abbia Ella diligente riguardo della sua preciosa salute, mi onori di qualche veneratissimo suo comando, e con profondissimo rispetto mi dichiaro Bologna, ig Marzo ijSj. 175. (CLXXV - 359). Spiacemi assaissimo che la dissertazione del Sig. Pas- seri de Nomimbus Urbium sia stata soltanto ideata e non estesa ; poteva la medesima recar gran lumi a chi si fosse proposto quel che io penso ; converrà aver pacienza ed al- lungare l'opera per aver tempo da procacciarsi que' maggiori lumi che da essa potevano ricavarsi, ed impiegare maggior opera e fatica sui libri. Nella sua lettera al Sig. Ab. Barthelemy, pag. 45 pro- pone una sua bellissima congettura intorno ad una moneta recata dall' Arrigoni Num. Antiq. tab. 18 n. 6j, che cioè le lettere in essa scolpite forse con qualche alterazione potes- sero, veduta la moneta, interpretarsi non RAEV ma bensì RAVE ed in conseguenza attribuirsi la moneta a Ravenna ; ma come poi concigliare l'altra parte della stessa moneta nella quale vedesi un K ed un A, ed in conseguenza ritro- vasi la medesima attribuita sì dal Passeri, che dal Guarnacci ai Camerti. Osservo di più che la stessa moneta viene re- plicata dal medesimo Arrigoni Tom. Ili num. antiquis. tav. 5. 2. 8. collo stesso stessissimo tipo con annotazione dello stesso peso, ma con varietà nelle lettere. Abbia ella la bontà di fare sopra ciò le sue osservazioni, e poi in appresso a suo comodo comunicarmele; come pure la prego ad impron- tarmi i disegni delle nuove antiche monete di Pesaro da lei acquistate ad oggetto di potere arricchire questa mia ope- retta di monumenti nuovi per supplire almeno con questi ai molti difetti che in essa s' incontreranno. E qui memore sempre delle mie molte obbligazioni passo a rassegnarmi con profondissima stima Bologna, a Aprile 178J, LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 379 176. (CLXXVI - 360). Rispondo all'ultima pregiatissima sua rendendole distinte grazie delle belle notizie inviatemi intorno alla dissertazione del Sig. Passeri de Nomimbu? Vrbiunt, ed intorno la mo- neta già riportata dall'Arrigoni, e da lei sospettata di Ra- venna, indi con sodi fondamenti e giusta critica attribuita ad Arpe, Città delle Puglie. Io non manciù rò certamente di secondare le di Lei lodevoli premure e dovendo parlare di quella moneta non mancherò di far palese al pubblico il suo sentimento intorno ad essa. Ultimamente ho ricevuto dal Sig. Pelli direttore della Galleria del Granduca di Toscana due disegni d'antichissime monete quadrangole. In una ritrovasi da una parte scolpito un elefante, dall'altra un cignale. Riputandosi questa moneta genuina e veramente antica, del che io non me ne posso al presente assicurare, colla testimonianza di Plinio si verrebbe in cognizione che essa non è anteriore all'anno 472 di Roma in cui per la prima volta furono veduti in Italia gli Elefanti ai tempi della guerra col Re Pirro, e furono chiamate queste bestie Boves Lucas perchè veduti nella Lucania secondo ciò che ancora scrive Varrone nel Libro V. Ciò posto io la di- scorro cosi. Sarebbe ella mai questa moneta quadrangola d'Arpe, città della Puglia, Provincia confinante colla Lucania, li abitatori della quale volendo batter moneta detta pecunia con i tipi primigeni! vi scolpissero da un lato il Bove Lu- cano come prototipo ed antesignano dei più grandi quadru- pedi allora noti e dall'altra parte il Cignale, ossia Porco, animale indigeno del paese ? Queste sono forse mie azzar- date congetture che intorno a questa Medaglia io sottometto all'illuminato suo criterio. Nell'altra che vien dopo trovasi impresso da una parte un Caduceo dall'altra un Tridente. Sì l'uno che l'altro si rappresenta legato da certe fettuccie i capi delle quali svolazzano pel campo della moneta in una foggia un po' tioppo ardita e lontana dalla semplicità dei tempi nei quali dovrebb'esser fusa la moneta. Tai tipi non sono punto estranei alle monete antichissime d'Italia, e molte ne ho vedute rappresentanti nel rovescio or l'uno, or l'altro, ma non mai assit-me uniti. In questa o vien denotata la re- 380 G, CASTELLANI ligione particolare della Città addetta a Nettuno ed a Mer- curio, o se pure la situazione marittima della medebima (i). Questo è ciò (che) vo meco scandagliando intorno i suddetti monumenti. A maggior mia quiete io ho risoluto di acchiu- derli a questa acciò possa Ella sott'occhio esaminarli con attenzione e farvi sopra quelle riflessioni che più le sembre- ranno opportune, pregandola a rimandarmeli con suo co- modo accompagnate dalle medesime anche riguardo a ciò ch'Ella ne crederà intorno l'antichità e legittimità degli stessi. E qui supplicandola a non dimenticarsi del disegno della Moneta Pesarese accompagnato dalle sue riflessioni pregan- dola a perdonarmi i molti incomodi che le reco passo a rassegnarmi Bologna, 16 Aprile 178J. 177. (CLXXVII — 361). Io sono pienamente del veneratissimo suo sentimento intorno l'antichità delle note due monete rettangole della Galleria di Toscana. Ma insorge qui una nuova briga per rapporto alle medesime. Nel tempo che le avevo scritto delle medesime, poco prima comunicai i disegni ad un mio amico del Paese, questi si prese cura di scriverne al dotto Sig. Ab. Luigi Lanzi uno de Custodi di quella Real Galleria, che ultimamente ne ha inserita una descrizione nel T. 47 del Giornale Pisano. Rispetto alle dette due Monete eccole la precisa risposta del medesimo. " Rapporto ai due grandi Assi, posso assicurarla che non vi è monumento più sincero di essi, e sono i più conservati che abbia mai veduto in tal genere rarissimo come Ella sa. Mons. Borgia ne acquistò da (i) Non mi pare superfluo notare come anche in questo difficile ar- gomento delle monete primitive lo Z. sia assistito dal suo finissimo in- tuito. Era allora opinione prevalente che i pezzi quadrangolari fossero antichissimi e anteriori ^W'aes grave circolare. Con una semplice ma giusta osservazione sulla disposizione artisticamente movimentata delle fettuccie (lermtisclii) lo Z. si mette in aperto contrasto con tale opinione, precorrendo quasi i più moderni sludi dai quali resta assodato come quei pezzi appartengano ad epoca molto meno remola e debbano con- siderarsi multipli dell'asse già ridotto di peso. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 381 Bayers circa a tre; uno pur colI'EIefante fu già dello Stoch (vorrà dire dello Stosch) ed ora è Inghilterra. Questo di Galleria fu da me trovato fra moltissime Statuette di bronzo in casa d'un vecchio, che lo avea dimenticato per molti anni non conoscendone il pregio „. Il Sig. Ab. Lanzi per quanto mi avvisa il detto amico è nomo assai pratico dell'antico, e la sua testimonianza merita molto riguardo. Ne' suoi viaggi fatti in Bologna é stato a vedere la mia raccolta di monete, ed io lo ho riconosciuto assai versato nell'antichità, onde non mi sembra da trascurarsi affatto il suo giudizio. Ricorro pertanto di nuovo a Lei per regola e consiglio dopo questi ulteriori lumi non trovando cosa prudente il pubblicarli come sospetti in vista del possessore, ed al contrario trascurandoli del tutto sembra cosa inopportuna attesa la singolarità e no- vità dei monumenti (i). Attendo con impazienza il disegno della nuova moneta Pesarese corredato delle sue dotte riflessioni, che tai quali ella mi avanzerà saranno da me pubblicate. In altro ordinario ho bisogno del suo saggio consiglio riguardo alle monete dei Duchi d'Urbino, giacche ora sto formando l'appendice con cui si terminerà il Tomo terzo. E con la solita stima me le protesto d'essere Bologna, j Maggio ijSj. 178. (CLXXVIII - 362). Appena ricevuta la veneratissima sua assieme col di- segno dell'antica Moneta Pe.sarese mi sono portato da un mio amico che tiene tutta l'opera del Peilerin ed ògli mo- strato il disegno. Egli immediatamente m'assicurò essere in quell'Autore la Medaglia riportata ; osservatane però esat- ti) Luigi Adriano Milani nel suo importante studio su VAes rude, sigihUiim e grave rinvenuto alla Bruna presso Spoleto (Rivista J/n/iana dt .Viimisinrjfira. anno IV, 1891, pagg. 27-116), annovera tra gli esem- plari esistenti del pezzo rettangolare col Caduceo e il Tridente (pag. 36) anche quello ilei Museo di Firenze di cui Egli era Direttore, mentre parlando dell'altro con l'Elefante e la Scrofa (pag. 80) cita soltanto l'esemplare già (iiiadagni liei Museo Britannico, soggiungendo: "Un altro esemplare Stosch s' ignora dove si conservi ; altri esemplari si giudicano falsi „. Cosi, almeno per quest'ultimo, non appariscono del tatto infondali i sospetti sorli nell'O. sull'autenticità dei due pezzi. 382 G. CASTELLANI tamente la figura si è trovato che nella sua il Cerbero cam- mina da destra a sinistra, laddove nella Pelleriniana va tutto all'opposto. In essa la testa giovanile e muliebre è in faccia essa pure, ed è ornata d'un elmo, quando nella sua forse non troppo ben conservata l'ornamento apparisce differente. Viene egregiamente supplita la leggenda della sua Moneta nella quale non ap[)arisce che la sola iniziale con queste AYP le quali pienaniente giustificano la leggenda rimanendo per- duto soltanto il I per ingiuria del tempo. Questa moneta è pubblicata dal sig- Pellerin (0 nel Tomo I delle sue Medaglie di Città e Popoli alla Tav. IX, n. 40 ; ed alla pagina 59 così ne parla : " La prima Medaglia di questa Tavola è di Pisaurum Città dell'Umbria che sussiste ancora al giorno d'oggi sotto il nome di Pesaro. Golzio ne ha pubblicata una di questa città, che come questa rappresenia il singoiar tipo del Cerbero, ma colla testa d'Ercole dall'altra parte. 11 Sig. Ab. Olivieri in una lettera stampata ch'egli ha indirizzata al Sig. Ab. Barihelemy fa menzione delle Medaglie Greche di Pesaro, che Egli asserisce sommamente rare „. E questo è quanto l'Autore Francese dice di questa Moneta. Perchè Ella rimanga pitnamente soddisfatta intorno quest'argomento io le unisco un abbozzo fatto con la maggior esattezza pos- sibile della Moneta con pregarla a stendermene con la so- lita sua dottrina la spiegazione facendo anche memoria della moneta del Pellerin, e di quelle delle quali ma portate le stampe nella sua lettera sopra le Monete italiche, ed in ri- stretto formarmi tutto l'articolo su l'antica moneta Pesarese che io a Dio piacendo pubblicherò entro la mia Disserta- zione, tal quale Ella lo scriverà ed in suo nome. Passando alle monete moderne, vengo assicurato da un Amico di aver veduto in Roma un Paolo di Guidobaldo II con la Rovere coronata, e le lettere Gtii. Uhaldus Urbini Dux; e dall'altra parte due figure con le parole S. VBALDVS S. ANTONIVS PROJECT. Non portando detta moneta il nome della Zecca, conviene tuttavolta crt-dere che sia di Pesaro (i) Recueil de Médailhs de. Pfìiples et de Villes qui n'ont pomi encore été puhliées un qui sotti pcu connues, tome premier. Paris, H. L. Guerin erò non venne data la riproduzione della moneta della quale non si hanno altre notizie. (2) Ffrlitti venivano chiamate a Bologna le tessere, cfr. Z. Ili, 433. Il quattrino con S. Antonio e l'anno 1578 si trova fra le incerte, ivi, 460, tav. XXIV, n. 34. (3) Per la moneta con S. Martino e la scopetta vedi lettera n. 63 e relativa nota. 384 G. CASTEILANI Raccolta delle sue Medaglie pag. 2 tav. I num. 2, e di cui le accludo lo schizzo, ed al numero 3 riprodusse in rame la prima pubblicata da Lei nel Tomo 2 dell'Accademia di Cor- tona (i). Nella nota alla detta Medaglia parla a lungo sopra essa e riferisce i sentimenti del Marchese Maffei, del Pas- seri, e suo, che gli fu anni sono communicato per esteso dal nostro Sig. Biancani come lo stesso mi assicura; però abbia la bontà di farne fra le sue carte la ricerca non essendo di piccol mole, e da essersi agevolmente smarrito, quando poi noi rinvenisse prontamente ne sarà di nuovo servita. Allo schizzo della moneta Sannitica di Pellerin stimo a proposito l'aggiungerne un a'tro pubblicato dallo stesso nel suo terzo supplemento alla suddetta raccolta pag. 78 tav. 3 numero 2 (2). Siccome egli è affine sì di tipo, che d'argomento alle mo- nete Sannitiche pubblicate nella sua prima dissertazione sopra esse N. Ili e IV così stimo a proposito che l'ab- bia sott' occhio per sua regola. Sopra questa moneta fa egli le seguenti osservazioni. Vi scorge la X nota del denaro Romano, che comunemente si trova sopra le monete Consolari, ch'essa loro rassomiglia per la forma per la ma- teria e per il peso, quantunque ne sia diversa la fabbrica che è molto rozza, inoltre non è credibile che la sia stata battuta in Roma, giacché questa Città a quei giorni non ha giammai battuta moneta colla leggenda Italia. Crede egli pertanto di poter assicurare ch'essa sia stala battuta dai Po- poli che sotto il comun nome à! Italici si ribellarono contro i Romani nell'anno 668 di Roma e si unirono insieme per far loro guerra che fu chiamata guerra sociale (sin ora non dice nulla di nuovo giacché questo è l' istesso sentimento deirAvercampio(3> nelle Medaglie incerte del Morelli pag. 458). Soggiugne che questi ribelli s'adunarono all'esempio della Capitale nella ciità Corfinium capo dei Peligni in una specie (i) Stcond Suppléinent aux Six Volumes de Recueils, etc. Paris, De- lalour, MDCCLXVI, in-4. (2) Troisième Supfììiment, etc. Paris, Delatour, MDCCl XVII, in-4. (3) T/iesnurus Moreìlinniis, swe .... Numistnala conquisila . . . a celeberrimo Andrka Mokellio, eie. iiluslravit Sigebertus Haveroampus, Arastelaedami, J. Wetstenium et G. Smith, MDCCN XXIV, in-lol., tomi a. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI ^5 di Consiglio, o Senato composto dei deputati di tutte le Città confederate ; e che ivi otto capi dei principali popoli giurassero d'osservare esattamente i trattati d'alleanza in una singoiar maniera, rappresentata nelle monete da Lei recate al n. 3 e 4 della sua prima dissertazione sopra due Monete Sannitiche, e dal Morelli nella prima tavola delle incerte let. e e d. Queste Monete crede egli che abbiano moltissima analogia con la sua ora per la prima volta pubblicata non solo per la loro fabbrica, ma ancora per la testa di donna che vi è rappresentata con la leggenda ITALIA. La differenza riguarda soltanto il rovescio in cui gli ribelli han fatto scol- pire l'immagine e il nome dell'Italia in quella guisa che i Romani mettevano assai spesso la figura di Roma e il suo nome sopra le monete d'argento. Se i medesimi ribelli vi hanno fatto mettere la X ciò fu per indicarne il valore poi- ché essendo accostumati prima della loro congiura a non servirsi d'altra moneta che della Romana vollero proseguire con detto uso. Riguardo alla lettera C che si trova sul ro- vescio crede egli che la moneta sia stata battuta nella Città di Corfinium la quale vi avrà espresso il suo nome con la lettera C che ne è l'iniziale. Questo è quanto osserva il Pel- lerin sopra l'ultima moneta dello schizzo. Se a Lei occorre- ranno altre notizie sì intorno a questa, che alla prima San- nitica si degni accennarlo che ne .sarà subito servita. Non ho mancato di fare ulteriori ricerche presso il Sig. Pelli Di- rettore della Real Galleria di Firenze intorno alle due Mo- nete rettangole delle quali a Lei comunicai i disegni. Mi ri- sponde egli che in casa del Sig. Marchese Guadagni vi sono alcuni di questi pezzi, ma che i suddetti non appartennero mai a detto Signore il quale tiene sepolta la sua Galleria assai pregevole, e che intorno a questi pezzi o Etruschi o non Etruschi non pare certamente che vi sia dubbio di fal- sità. Intanto anderò seriamente pensando se convenga o no farne uso nella meditata dissertazione. Bramerei ch'Ella m'illuminasse intorno all'Aquila che i Sig. Sforza pongono nella loro arma. Il pezzo di disserta- zione di Mons. Compagnoni su la Zecca Maceratese non avrà luogo m questo tomo che forse è troppo cresciuto di mole. Bensì si pubblicherà nel seguente premettendola alla 40 386 G. CASTELLANI dissertazione del Sig. Ab. Tondini sopra le Monete di quella Città. In quest'oggi ho ricevuto un piego a Lei diretto pro- veniente dal P. Affò, non mancherò di stare in pratica di sollecita e sicura occasione per prontamente rimetterglielo. M'onori de' pregiatissimi suoi comandi e mi creda quale con profondissima stima mi glorio d'essere Bologna, 31 Maggio 178J. 180. (CLXXX — 369). Molto mi ha consolato la pregiatissima sua 18 corr, in sentire che sia alquanto sollevato dai suoi incomodi, e gli desidero, che sempre più si rimetta in salute. Ho differito a scrivergli perchè avevo destinato di farle in persona i miei ossequi in questo medesimo mese ; ma la gita che ho fatto a Parma col Sig. Ab. Marini e P. Affò, ed i miei interessi, me lo anno impedito, spero però che non succederà così nel venturo anno. La sua illustrazione delle tre Monete Pesaresi è già stampata nel terzo Tomo, come le dissi; ma siccome l'ho inserita in una generale Appendice di tutti tre i Tomi, così non potrei farne tirare a parte alcun esemplare. In prova di ciò le accludo una Tavola del detto Tomo dove sono state intagliate, ma però mal stampata. Su il primo del venturo al più tardi, spero di trasmetterle il Tomo medesimo unita- mente alla sua Monetuccia, giacché non resta più a stam- parsi che un foglio. La tardanza del medesimo è stato pure un motivo di scrivergli, perchè speravo che da una setti- mana all'altra fosse terminato. 11 P. Atfò prima di partire lasciò in mie mani un pacchetto per lei, che dovrà ricevere fra poco per averlo spedito al Sig. Borghesi acciò glielo faccia avere. Il P. Ab. Trombelli si è rimesso quasi del tutto dai suoi ultimi incomodi, perchè sta lavorando sopra un Codice della loro Libraria. Il Sig. Biancani esso pure sta bene, e ieri l'altro mi richiese nuove di Lei, che le porterò in cam- pagna il venturo sabato dove egli si trova ancora in villeg- giatura. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 3B7 Col desiderio de' pregiatissimi suoi comandi me le pro- testo d'essere Bologna, 22 Ottobre 178}. 181. (CLXXXI — 371). Giorni sono inviai al Sig. Battaglini di Rimini il terzo tomo della mia Raccolta, che finalmente e uscito in luce, acciocché glielo rimetta a mio nome. In esso troverà attac- cato ai cartone, dentro una cartuccina la sua monetuccia, che mi favorì per levarne il disegno, quale troverà intagliala nell'Appendice con altra consimile di diverso conio. Sopra di essa e di alcune altie monete Pesaresi ho creduto bene di aggiugnervi alcune riflessioni, per venire in chiaro del suo valore, eh' io sottometto ai suo saggio giudizio. Così pure al 'a sua spiegazione del sigillo d'Orvieto vi troverà al- cune note per maggior illustrazione della materia, secondo il mio debole giudizio, e ciò ho fatto per proseguire il me- todo intrapreso e non mai per altro fine. Ma non vorrei aver passato i limiti del mio rispetto che nutro per la sua degna Persona, eh' 10 venero e stimo assaissimo. Se mai ciò fosse avvenuto, gliene chiedo scusa, e pronto sono ad emendare ciò che non camminasse a dovere. Scusi se prima d'ora non le ho scritto p>erchè le mie incombenze non lo anno per- messo ne' giorni scorsi, com'era mio dovere, e perciò lo faccio ora con augurarle un felicissimo principio d'anno con una lunga serie di essi, colmi di tutte quelle felicità che può desiderare. In attenzione de' suoi riscontri unitamente a qualche suo comando passo al solito a protestarmi Bologna, 27 Dicembre l'jSj. 182. (CLXXXII - 374). Rispondo al compitissimo suo foglio dei 3 corr. con rin- graziarla vivamente delle cortesi sue espressioni verso di me fatte. Io spero che nel rileggere che farà tanto le note, che le aggiunte alle Monete Pesaresi fatte, non troverà cose che le dovessero dispiacere. Tuttavolta se s' incontrasse in 388 G. CASTELLANI qualche cosa che non camminasse a dovere pronto sono a correggermi a qualunque suo cenno. Preghi il Signore per il nostro P. Ab. Trombelli per esser quest'oggi alle ore 17 passato all'altro mondo con in- finito dispiacere di tutti. Ieri l'altro non aveva nulla essendo andato fuori di casa a celebrar Messa, e ieri l'ascoltò nella sua Chiesa. Essendogli sopraggiunto il catarro questa mat- tina discorrendo è cessato di vivere. Questa Città e la sua Religione anno perduto un gran Uomo, ed io ho perduto un gran Padrone ed Amico quale voleva che tutte le feste fossi da lui per avermi fatto Padrone del suo Museo e Libreria. Mi dispiace di doverle recar una tale notizia, perchè sono persuaso che le dispiacerà ; ma bisogna rassegnarsi al voler supremo. Desidero sentire buone nuove di sua salute unita- mente a qualche suo comando, mentre pieno di stima me le protesto d'essere Bologna, 7 del 1784. 183. (CLXXXIII - 375). Le rendo infinite grazie per la bontà che ha avuto di compatire quanto ho notato riguardo alle monete Pesaresi. Sentirò volentieri il pe.so e la qualità dell'argento della Mo- neta Pesarese ed Anconitana per farvi nuovo esame, ma non dubito d'essermi ingannato (i). Riguardo al sigillo d'Orvieto abbia la bontà di osservare quanto novamente ho esaminato alla pag. 484 per vedere se ho colto nella spiegazione, per- chè appunto di quanto ella mi scrive lo anno asserito gli Eftemeridisti nel dare l'estratto della sua illustrazione. Io spero d'esser riuscito nell'acquisto del superbo Medaglione di Costanzo Sforza da Lei illustrato, perchè ultimamente mi vien scritto da Modena, che mi sarà spedito per esser morto il possessore, che ne richiedeva sei zecchini, ed essendo passato in mano d'un mio amico questo me lo ha ceduto (i) Si tratta della moneta descritta dall'O., tav. I. n. 1, che Io Z. giudicò con piena ragione opera di un falsario trovando consenziente in tale giudizio lo stesso O., cfr. Ili, pag. 484. LETTERE DI GUIDO ANTOMIO ZANETTI 389 per tre zecchini. Il prezzo veramente è ancora assai gravoso, ma la bellezza sua, la conservazione mi ha fatto fare Io sproprio. Sotto il ponte vi si veggono le rondini nel nido e nella Torre le luserte andar dentro i buchi tanto è fino il lavoro, cose tutte che non si veggono nel getto a lei spe- dito dal Bellini. E con piena stima me le protesto d'essere Bologna, 16 del 1784. 184. (CLXXXIV — 376). La ringrazio vivamente dell'approvazione data per la spiegazione del Sigillo d'Orvieto, perchè n'ero inquieto. La nota moneta d'Ancona e Pesaro non occorre che la faccia saggiare perchè andcrebbe a perdersi squagliandosi. La faccia solo ritoccare nel paragone in confronto di altra mo- neta consimile col nome di Sforzi perchè certamente sarà d' inferior lega. Se poi la lega fosse eguale non lo sarà nel peso. Di simili monete battute dai monetar] falsi ne abbiamo più esempi nelle monete Consolari ed Imperiali. La prego ad aversi riguardo nella presente critica sta- gione. Io grazia Dio sto benissimo, ma non è cosi di mia moglie, poiché trovasi negli estremi lo che mi dà un sommo rammarico, come può figurarsi per essere stata un'ottima compagnia, e che aveva ella tutta la cura della famiglia, e perciò mi lasciava luogo di poter attendere ai geniali studi. Non si sa per l'avvenire se sarà così per il peso che dovrò caricarmi, e specialmente per l'educazione di cinque figli, che mi lascia. Comunque sia convien rassegnarsi al volere supremo. E qui ansioso di sentire buone sue nuove me le pro- testo d'essere con tutto l'ossequio Bologna, ji del 1784. 185. (CLXXXV - 377). In risposta al suo foglio 7 corrente le notifico con mio sommo dispiacere la perdita della mia Consorte seguita il giorno della Purificazione della B. V. lo non so che ripetere 39© G. CASTELLANI ai voleri supremi, che così ha disposto, e perciò convien rassegnarsi, e sperare che succederà quel provvedimento che si richiede alle mie circostanze, giacché sono in possesso della Provvidenza Divina per avermi beneficato soprabbon- dantemente, ed in cose che non mi sarebbe mai passato per mente di pensarvi. Anche il giorno stesso della morte fecemi il Signore passare la giornata discretamente, perchè essendo passato a pranzo da un Amico mi fece vedere varie mo- nete, e me ne cedette varie, che mi mancavano, fra le quali due dei Manfredi di Faenza, una delle quali inedita, della qual Zecca niuna aveva nella mia Raccolta di tredicimila Monete Italiane per essere rarissime. Se vaglio a servirla mi comandi, mentre mi professo d'essere Bologna^ ii Febbraio 1784. 186. (CLXXXVI - 378). Dall'Emo Sig. Cardinal Arcivescovo ho ricevuto il pac- chetto con le sei copie della giunta fatta alla sua Opera delle Antichità Cristiane (i) che pubblicò tre anni sono per di- spensarle ai soggetti indicatimi, le quali saranno quanto prima distribuite, giacché sono stato nelle scorse due feste in campagna dal Sig. Biancani mio suocero. Per la copia a me destinata vivamente la ringrazio, e molto più per la me- moria che tiene di un suo debole servitore. Mi rallegro nello stesso tempo del singolare acquisto fatto di detti vetri, e gli desidero che ne faccia acquisto di altri per poterli illustrare, come pure gli auguro salute e tempo acciò pubblicare le altre Opere che tiene presso di sé Ms. Forse le avrà fatto qualche specie l'aver io detto poc'anzi essere il Sig. Biancani mio suocero e pure è così. Già le scrissi sino nello scorso Febbraio la perdita fatta della mia Consorte. In tale occasione avendomi il Sig. Biancani per tratto di sua Amicizia rifugiato per alcuni giorni in quella critica occasione, volle in seguito anche cedermi una delle (i) Di alcune altre Antichità Cristiane conservate in Pesar u nel Museo Olivieri. Pesaro, Gavelli, 1784, in-4. LETIERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 39I sue tre figlie per la necessità che avevo di riprender moglie, stante le circostanze della mia famig-lia. e così d'amici siamo divenuti parenti. Io poi sono contentissimo per essere una giovine timorata di Dio ed adorna di quelle qualità che si richieggono a una buona moglie, che in questi tempi sono assai rare. Non gliel'ò prima partecipato com'era mio do- vere, perchè speravo di poterglielo rappresentare a bocca, pel desiderio che aveva di venirla a riverire in persona, lo che non son fuor di speranza di farlo quest'altro mese in occasione di fare un giretto per la Romagna. li tanto le rin- novo le mie obbligazioni, e me le protesto con lutto l'os- sequio d'essere Bologna, 22 Settembre 1784. 187. (CLXXXVII - 384). Essendomi stato consegnato sul fine della Settimana scorsa un Pacchetto contenente vari esemplari delle Orazioni funebri di alcuni soggetti della Casa Malatesta che hanno signoreggiato in Pesaro ('), ne ho fatto prontamente la dispensa ai soggetti indicati nella medesima, quali mi hanno incari- cato di vivamente ringraziarla e promesso di dargliene ri- scontro. Per le copie che si è voluto degnare aggiungerle per me, delle quali ne ho fatto buon uso. Le rendo le più vive grazie, e nello stesso tempo rallegrarmi per la illustra- zione con la quale la ha accompagnata, che mette in chiaro il dominio della medesima Famiglia nella lor città, colla quale sempre più risulta la protonda erudizione nelle cose Patrie. Desidero che altri monumenti rinvenga per sempre più illustrare la storia della "medesima e pronto a servirla dove mi conosce abile, colla maggior stima e rispetto me le protesto d'essere Bologna, 12 del ijSj. 188. (CLXXXVIIl - 385). In risposta al pregiatissimo suo foglio dei i8 corr. le dico di non aver mancato di fare le necessarie diligenze per (I) Orazioni in morie di alcuni Signori di Pesaro della Casa Mai»- testa. Pesaro, Gavelli, 1784, in-4. 392 G. CASTELLANI rinvenire l'indicato Padre Servita acciò ritirare dal medesimo l'involto pei P. Affò, ma non mi è riuscito per anche di ri- trovarlo. Mi anno bensì risposto che doveva passare per Bologna, ma che ha preso altra strada. Se ciò è vero si prenderà il medesimo premura di farlo recapitare a Parma da Verona. Per sua regola non sapendo che a Lui volesse spedire copie della sua stampa, gliene mandai io una di quelle che mi favorì. Tuttavolta se mi verrà alle mani il detto involto non mancherò di prontamente servirla. Lodo infinitamente in sentire che pensi a stampare qual- che altra cosa relativa ad Alessandro Sforza, e desidero che il Signore le conceda tempo e salute per potere proseguire a pubblicare le molte altre notizie raccolte per sempre più illustrare la storia Patria, giacché niuno lo può fare meglio di Lei. Se non fosse troppo ardire sarei a supplicare di una grazia, ed è di farmi gettare in rame un esemplare di ognuno degli Assi bislunghi che possiede, pronto a soccombere a qualunque spesa che vi occorrerà. Quello che mi premerebbe si è che riuscissero di egual peso degli originali. Sono già in possesso delle sue grazie, così spero che non mi negherà questa grazia. Lo stesso lo prego per le Medaglie antiche Pesaresi. Mentre con tutta la stima me le protesto d'essere Bologna, 26 del 178J. 189. (CLXXXIX — 386). Fino ad ora non ho veduto l'involto consegnato a quel P. Servita, e ne meno lo spero per ora di ricuperarlo, per- chè dovrebb'essere ormai a Verona. Forse di colà lo farà passare a Parma. Posto ch'è propenso a favorirmi della copia in getto de' suoi particolari assi Etruschi li faccia pur gettare in rame, perchè a me basta d'averne una copia esatta de' medesimi. Riguardo al peso se possono riuscire come gli originali avrei piacere, quando no ò pensalo ad un ripiego. Potrebbe dire al gettatore che procuiasse di farli venire un poco più grossi calcando gli originali nell'arena, perché così può com- pensare a detto peso levando poi colla lima quel di più che LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 3Q3 potessero riuscire. Intanto le avanzo i miei più distinti rin- graziamenti per simile favore che mi è carissimo. E pronto a qualunque suo comando, me le protesto d'essere Bologna, j Febbraio Ij8j. 190. (CXC - 387). Ieri consegnai ad un mio amico un involto a Lei diretto' con due copie dei Trattato delle Monete Trevigiane, una delle quali per lei, e l'altra per pregarle! a spedirla al Sig. Canco Catalani di Fermo. Detta copia per Lei gliela spedisco per ordine del degnissimo Autore Sig. Can. Avogaro di Trivigi dai quale avrà riscontro. Il Libro come vedrà è fatto con sommo studio e critica, e perciò mi dispiace, e son pen- tito di avervi apposte alcune note che sono andato facendo nel mentre che si stampava, con tutto che l'Autore le abbia compatite (0. II fatto si è che in esse troverà pubblicati tre singolari monumenti esistenti in questo Instituto, cioè due pesi dei soldi d'oro del tempo d'Onorio, da' quali si rileva qual fosse il peso della Libbra Romana ; ed il peso del Marco stabilito da Carlo Magno fin ora inedito. Non le do- vrebbe pure dispiacere le monete Longobarde a me note che ivi ho pubblicate, e che attribuisco a Pavia perchè poco o nulla si sapeva del loro sistema Monetario, e delle loro monete. Se mai nel leggerla trovasse qualche sbaglio, e che avesse qualche moneta da me non veduta, la supplico co- municarmela per poterla unire all'Appendice che verrà nel fine del Tomo, e nello stesso tempo darmi il suo saggio giudizio, pronto essendo a correggere ciò che non cammi- nasse a dovere. Essendomi capitata una piccola stampa qui ultimamente intagliata da un disegno di Simone Da Pesaro, mi sono preso la libertà d'unirla alli sudetti due Libri, ma desiderarei di poter trovare qualche cosa di migliore riguardo alla sua Patria per poterle dimostrare il mio desiderio di servirla. Con tutto suo comodo La supplico dei Getti degli Assi, di (i) 11 Trattato si trova nel t. IV dello Z., pagg. 1-201. Le note ap- postevi sono veramente di grande importanza. 50 394 G- CASTELLANI cui la pregai, e che cortesemente mi diede speranza di fa- vorirmi. Scusi del disturbo e mi comandi liberamente dove posso servirla, mentre con la solita stima e rispetto me le protesto d'essere Bologna, 21 Maggio ijSj. 191. (CXCI — 392). Intendo dall'ultima sua aver ricevuto il Trattato delle Monete di Trivigi, e d'aver spedito al Sig. Canco Catalani la sua copia con altre stampe per cui le rendo vive grazie. Nella dedica del sudetto Trattato avrà veduto la Medaglia che ho fatto fare al defunto P. Ab. Trombelli per eternare dal canto mio la sua memoria, giacché nulla vi anno fatto finora i loro Padri, Se mai desiderasse d'averne una copia per collocarla nel suo studio, ben volontieri la servirò a qua- lunque suo cenno. Avverta però che non è di conio, ma di getto, perchè le mie forze non si estendono tant'oltre per poter subire la spesa dell'incisione, benché l'avessi deside- rato per dimostrare le obbligazioni che le dovevo. Così potrò servirla anche di quella del nostro Emo Sig. Card. Arcive- scovo che collocai nella dedica del terzo Tomo. Di sommo rammarico mi è poi stata l'altra parte della sua Lettera nella quale mi dice di trovarsi oppresso dal male. Desidero che il Signore faccia che la villeggiatura le giovi, e possi rimettersi in salute, come bramo di vero cuore. Abbiasi tutto il riguardo possioile, lasciando il Tavolino acciò l'aria di campagna le possa giovare. In attenzione di riscontro unitamente a qualche suo co- mando passo al solito a dichiararmi Bologna, 6 Luglio l'jSj. 192. (CXCII - 393)- Di sommo piacere mi é stato il pregiatissimo, e stima- tissimo suo foglio dei 5 corr. per aver inteso nuove della sua Persona perchè stavo in somma agitazione, e Io stesso era anche il mio Suocero Signor Biancani. Ella si abbia tutto il riguardo possibile, perchè la salute preme piij di LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 395 tutte le altre cose. Per quello di cui la pregai si prenda tutto il comodo, e qualunque volta potrà verrà sempre in tempo. Se vaglio a servirla mi comandi liberamente, mentre con tutto l'ossequio me le protesto d'essere Bologna, 9 Novembre I^&s. 193. (CXCIII - 394). Dall'Emo Sig. Cardinale Arcivescovo mi fu passato l'altro ieri l'involto con fé cinque copie delle sue Memorie di Ales- sandro Sforza (i), le quali secondo il prescrittomi nel pregia- tissimo suo foglio dei 26 dello scorso Novembre ho fatto avere ai soggetti rispettivi, a riserva di quella del P. Affò che per anche non mi è capitata occasione, ma forse l'avrò lunedì venturo. Per la copia che si è degnata di assegnarmi le rendo le più dovute grazie, e mi rallegro infinitamente per le belle notizie che in essa vi sono illustrate per averle prima lette tutte con mio sommo piacere. Queste certamente invoglieranno la Repubblica Letteraria a vedere le altre dei Signori che seguitano della Casa Sforza ; per lo che gli de- sidero dal Signore sanità e vita per poterle pubblicare, figu- randomi che ne abbia già raccolto i materiali necessari. Dal sig. Co : Fantuzzi mi è stato passato per lei il Quarto tomo della sua Opera degli Scrittori Bolognesi acciocché alla prima occasione gliele trasmetti, del che ne vado in traccia. Sempre disposto a servirla con tutto l'ossequio me le protesto d'essere Bologna, 4 Dicembre ijSj. 194. (CXCIV - 395). Avendomi alcune settimane fa il sig. Co : Fantuzzi con- segnato il suo Quarto Tomo degli Scrittori Bolognesi acciò glielo spedisca, non essendoiii' capitata occasione favorevole, che nel principio della corrente settimana di uno di questi Mercanti che è partito per la fiera di Recanati al medesimo r ho consegnato, così spero che se non lo ha avuto lo avrà (i) Memorie dt Alessandro Sforza Signore di Pesaro. Ivi, Gavelli, 1785, in-4. 396 G. CASTELLANI quanto prima. Ella è questa per me una occasione per ras- segnarle la mia servitù, e per pregarla delle sue grazie, al- lorché avrà comodo per i noti getti. E col desiderio di sen tire buone nuove della sua Persona, passo con tutto l'osse- quio a protestarmi . Bologna, 11 del lySó. 195. (CXCV - 396). In seguito del pregiatissimo suo foglio degli 11 corr. non ho mancato di stare in ricerca del P. Maestro Bastoni per ricuperare i due indicatomi involti per Modena e Parma. Infatti lunedì mi riuscì di acquistarli, e spero al più tardi che sabato venturo saranno in Modena. Mi dispiace al sommo il sentire che non stia bene. Si abbia tutto il riguardo pos- sibile, e speri nel Signore che lo assisterà. Le mie orazioni poco possono giovare, tuttavolta non mancherò di porgere suppliche al Sig. Iddio acciò possa rimettersi in salute, e le dia pacienza nelle sue avversità. Mi continui la sua buona grazia e mi creda quale con tutto l'ossequio mi protesto d'essere Bologna, 2S Febbraio ij86. 196. (CXCVI - 402). Avendo ricevuto nell'ordinario scorso un foglio di Ap- pendice all'ukima sua Opera pubblicata (i), e figurandomi pro- veniente dalla solita sua gentilezza, gliene avanzo i miei più vivi ringraziamenti, e mi rallegro nello stesso tempo del bel documento scoperto. Le rinnovo le mie premure per le copie degli Assi rettangoli, premendomi assai di averli. So che le sarò inopportuno, ma so altresì quanto sia grande la sua bontà, scusandomi, a motivo del genio che ho in simili cose. Se mai le fo^^se più comodo di spedirmi per occasione si cura gli originali, ne farei fare qui le copie, e glieli riman- (i) Appendice alle Memorie di Alessandro Sforsa i6ignor di Pesaro Wi, G avelli, 1786, in-4. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 397 derei a posta corrente. E col desiderio di sentire buone nuove della sua salute passo a rassegnarmi quale me le protesto d'essere con tutto l'ossequio Bologna, j Aprile ijSó. 197. (CXCVII - 403). In risposta al pregiatissimo suo foglio degli ii corr. le rendo vivissime grazie per il singolare favore compartitomi di farmi fare le copie dei suoi Assi rettangoli, e di spedir- meli alla prima occasione. Sarà subito servito delle due Me- daglie da me fatte fare all' Emo Giovanetti ed al defonto P. Abb. Trombelii. ed alla prima occasione gliele trasmet- terò. Esse però sono di getto, perchè non avendo le mie forze potuto soccombere a farle fare di conio non ho potuto fare di più. Con esse troverà l'altra di conio che feci fare al- l'Emo Boncompagni, che porrà in serie con le altre, e se potessi servirla di qualche altra basta che me ne dia un cenno che ben volontieri lo farò per dimostrarle la stima, e le obbligazioni che le professo. Non manco di pregare il Si- gnore per le maggiori sue prosperità, ma temo che abbiano poco effetto, perchè non vagliono nulla. Mi continui la sua grazia e mi creda quale me le protesto d'essere Bologna, ij Aprile ij86. PS. Se mai le fosse riuscito di ritrovare qualche notizia sopra la sua Zecca, mi farebbe sommo favore a comunicar- mela per poterla inserire nell'Appendice al quarto Tomo, che presto coraincierò a stampare. Le Medaglie le perver- ranno da Savignano dove sono state spedite a Pasquale Amati. 198. (CXCVIII — 404). Mi dispiace assaissimo il sentire che per favorirmi della copia delle Monete Rettangole sieno iiiiaste offese le loro palme, per lo che non so indovinare la maniera con cui l'artefice abbia ciò praticato. Ho avuta occasione anche l'altro ieri di far fare una copia di due Piombati col Monogramma di Cristo, e la patina non ha patito nulla, giacché altro non 39^ G. CASTELLANI se gli fa che collocarli fra rai:ena per lasciarvi l'impressione. Subito che avrò avuta la scattola non mancherò di dargliene riscontro, e intanto le rendo vive grazie per simile favore. Come pure le sono infinitamente tenuto per l'involto delle sue carte attinenti alla sua Zecca, le quali osservate che rabbia, non mancherò di rispedirgliele. Per corredare il fragmento della dissertazione di Mons. Compagnoni sulla Zecca Maceratese avevo pensato di pre- metterlo all'intera dissertazione che aspetto dal Sig. Ab. Ton- dini, per così un^ire tutto insieme con i tipi delle Monete. Ma giacché desidera che sia pubblicato sarà servita fra poco. Non avendo essa alcun frontispizio la prego dirmi come mi devo regolare. Se credesse bene di scrivermi una Lettera che mi dasse contezza di tutto, la premetterei alla medesima, e perciò se trova un poco di tempo per stenderla mi farà sommo piacere giacché Ella n'è di tutto informato. Stia di buon animo e si faccia coraggio, e speri nel Signore che l'assisterà. Per me non mancherò di porgere preghiere al- l'Altissimo, ma le mie orazioni poco giovano, tuttavolta lo farò volentieri, perchè troppo le professo obbligazioni delle quali non mi scorderò mai. E col più profondo ossequio mi protesto Bologna, 22 Aprile 1786. 199. (CIC — 405). Serve questa mia per accusarle la ricevuta della scat- tola, e dell'involto trasmessomi, e ringraziarla infinitamente per tal favore sì per gli uni che per le altre. Rimane solo che mi dica qual sia il mio debito per poterla soddisfare, non essendo giusto eh' Ella vi abbia da rimettere. I Cavi degli Assi per essere in piombo sono andati tutti a male per il moto del viaggio, lo che non sarebbe succeduto se l'ar- tefice gli avesse gettati in metallo oltre che sarebbero riu- sciti più eguali agli originali di quello sono venuti, ma vi vuole pazienza e tenerli così. Osservate cht^ abbia le Carte, e preso copia di quelle che possono servire per l'appendice, sarà mia cura di ritornargliele acciò le possa riporre a suo luogo. Mi figuro che abbia ricevuto le Medaglie che le in- LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 399 dicai con altra mia. In attenzione di nuove di sua salute uni- tamente a qualche suo comando, mentre me le protesto d'essere Bologna, 29 Aprile ij86. 200. (CC — 410). Compiegato nel compitissimo suo foglio dei 29 dello scorso Aprile ho ricevuto la Lettera sua da premettere al principio della Dissertazione delle Monete di Macerata del fu Mons. Compagnoni, la quale va egregiamente, e perciò gliene rendo vive grazie (^). Solo pecca di troppe lodi riguardo alla mia persona, ch'io non merito; ma ciò riconosco effetto della sua, bontà, e gentilezza, per cui me le protesto, e pro- fesserò mille obbligazioni. Giacché così vuole la lascierò cor- rere alla stampa e subito che sarà composta non mancherò di dargliene avviso come mio dovere. E col desiderio di sentire buone nuove di sua salute, unitamente a qualche suo comando, con tutto l'ossequio me le protesto d'essere Bologna, j Alaggio 17S6. 201. (CCI — 411). Dal pregiatissimo suo foglio dei 9 corr. sento che abbia ricevuto il pacchetto con le tre Medaglie trasmessogli, e mi consolo che le abbia compatite, specialmente quella di conio che feci qui pure formare. Per sua regola questa pure è anche rara, perchè dopo coniatone poco numero, regalai al Sig. Cardinale anche il conio, e chi l'ebbe in custodia lo la- sciò andar a male. Per due motivi non gli ho indicato, né gì' indicare il costò di dette Medaglie. 11 primo perché Ella non ha voluto indicarmi la spesa fatta per le copie delle sue monete rettangole. La seconda perchè le avevo fra le mie duplicate, e così non ho speso nulla, perciò Ella le riponga pure nella sua serie senza pensar altro. Anzi se queste non bastano per compensar la spesa fatta per me, abbia la bontà d'indicarmela che compenserò con altre Medaglie di suo genio. E col desiderio de' suoi comandi, con tutta la stima me le protesto d'essere Bologna, ij Maggio ij86. (i) Vedila in Z., t. IV, pag. 483. 400 G. CASTELLANI 202. (CCII 412). La porzione della dissertazione della Zecca di Macerata non è per anche stampata, ma succederà fra poco a motivo che lo stampatore, secondo il suo solito, vi ha frapposto altro lavoro. Subito che sarà terminata non mancherò di in- viargliene una copia. Di essa ho pensato di farne tirare a parte se non poche copie per essere imperfetta. Tuttavolta se ne desiderasse più di quattro o sei copie me lo scrivi che prontamente la servirò. Mi riesce nuovo che l'Ab. Ton- dini non pensi più a terminare la dissertazione perchè ulti- mamente mi scrisse, che aspettava i disegni per terminarla, avendo già raccolto tutti i documenti, ed io glieli ho pro- messi con la suddetta stampa. Fa benissimo a portarsi in campagna perchè l'aria aperta della sua doviziosa villeggiatura non gli può fare che bene, e glielo desidero di vero cuore. Avendo veduto che non ho più luogo di porre nell'ap- pendice l'articolo delle aggiunte per esser molte, e perchè il Tomo si è inoltrato assai, così non ho potuto ancora ter- minare i suoi documenti favoritimi su la Zecca Pesarese ; ma sbrigato dell'Indice, e rimesso da un incomodo d'occhi sofferto per due settimane vedrò di farne lo spoglio totale, per poterglieli rimandare. Intanto posso assicurarlo che non c'è dubbio che si smarriscono. Se vaglio mi comandi, mentre con tutta la stima me le protesto d'essere Bologna, 21 Giugno ijSó. 203. (CCIII — 413). Essendosi incominciata la stampa della porzio'ne della dissertazione di Macerata, ed essendo mancante di fronti- spizio gliene ho fatto uno del quale non son contento, così glielo trascrivo acciò lo corregga, pregandola di pronta ri- sposta per poter proseguire : Notìzie della Zecca di Macerata di Monsignor Pompeo Compagnoni già Vescovo di Osimo dirette al chiarissimo Cavaliere Sig. Annibale degli Abati Olivieri Giordani. Alle dette notizie unirò un interessantissimo documento LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 4OI ultimamente comunicatomi, che mostra esser stata la Zecca in detta Città fino nel 1338, che molto dovrebbe piacere ai Maceratesi e a quello che farà la dissertazione, e con essa terminerò il Tomo. Mi dia nello stesso tempo notizie di sua salute, che desidero buone, e riverendola distintamente anche da parte del P. Affò che qui si trova, me le protesto con tutto l'ossequio d'essere Bologna, 27 Agosto ijS6. 204. (CCIV - 418). Non rilevando dal compitissimo suo foglio dei 29 dello scorso Agosto alcuna difficoltà all' indicatogli frontispizio della Zecca di Macerata farò che cammini così, e sperò che quest'altra settimana sarà terminata la composizione, e così in brieve di potergliela spedire stampata. Ciò veduto da* Signori Maceratesi spero più facile ottenerne il compimento. Essendo presentemente tutto intento a terminar l'Indice per poter dar fuori il quarto Tomo, non ho potuto per anche terminar la copia dei documenti relativi alla Zecca Pesarese da Lei favoritimi. Ma terminato l'indice sudetto, che poco pili mi resta, sarà la prima cosa ch'io farò per poterglieli rimandare, perciò la supplico ad avere anche un poco di sofferenza, assicurandola, che non v'è dubbio che si smar- riscono e che terminati avrò tutta la premura di rispedirglieli. Quando si sarà rimesso in Città mi sarà cara la copia della lettera dell'ultimo Duca riguardante la Zecca loro, che mi accenna aver scoperta. Il P. Affò è passato a Firenze, ma deve ritornare quanto prima, e allora gli faiò i suoi complimenti. Mentre con la solita stima me le protesto d'essere Bologna^ 2 Settembre ij86. 205. (CCV — 419). In risposta al pregiatissimo suo foglio degli 11 corr. la prego aversi riguardo e non porsi alcuna premura per rin- venire quella Lettera indicatami, giacché verrà a proposito quando s' incontrerà accidentalmente in essa. Gli altri Reca- si 402 G. CASTELLANI pili gli ho in parte copiati, così terminati che saranno non mancherò di rimettergli con la maggior sollecitudine. La porzione della dissertazione su la Zecca Maceratese sono vari giorni che la tengo pronta, ma non mi è riuscito di ritrovar occasione. Tardando qualche giorno gliela man- derò col quarto tomo che dovrà uscire fra poco, non rima- nendo a stamparsi che un foglio- In altro ordinario le spedirò la notizia che mi ricerca, non essendo stato possibile poter aver tempo di rinvenirla per oggi. Al Sig. Biancani ho fatto i suoi cordiali saluti, che ha graditi moltissimo e m'incarica di ringraziarla, e fargli i suoi complimenti. Si trova da più mesi con un grave rafifred- dore, ma lo lascia però applicare alla formazione dell'Indice di una serie di Medaglie d'oro, greche e latine in N.° di 208, ch'io ho ceduto all'Instituto nella scorsa settimana per at- tendere solamente alle Monete d'Italia. Le avrei potute ven- dere altrove con mio vantaggio, ma ho voluto preferire l'In- stituto, anche per averle comode al bisogno. E con la do- vuta stima, me le protesto d'essere Bologna, ij Novembre iy86. PS. Due copie della Dissertazione di Macerata in un pacchetto le sarà recapitato quanto prima essendo partito questa mattina. 206. (CCVI — 421). In risposta alla gentilissima sua dei 12 corr. mi do l'onore di dirle, che subito sarà arrivato il Sig. Card. Ranuzzi non mancherò di far ricerca del sig. Canco Mancinforte per con- segnarle il quarto tomo della mia Raccolta, ed unitamente alla maggior parte de' documenti favoritimi su la Zecca Pe- sarese, giacché non mi è stato possibile poterli terminar tutti di trascriverli ; ma spero in brieve di farlo al più tardi nelle prossime feste. Stia sicuro che non v'è dubbio che si smarriscano, e che procurerò di rimetterglieli colla maggior sollecitudine, acciò li possa unire agli altri e riporli in luogo sicuro. Intanto le avanzo i miei più vivi ringraziamenti per simile favore, per cui sarà mio dovere di rendergli giustizia, LETTERE DI GUIDO ANTON» ZANETTI 4O3 come ho procurato di fare anche nella prefazione del sud- detto quarto Tomo per tanti favori ricevuti. Mi figuro che avrà osservato il bel documento che ho aggiunto alla dis- sertazione di Mons. Compagnoni, il quale certamente era ignoto ai Signori Maceratesi. Approssimandosi la solennità del S. Natale, gli auguro da! Signore tutte quelle felicità che può desiderare, mentre con tutto l'ossequio me le protesto d'essere Bologna, 16 Dicembre ij86. 207. (CCVII — 420). Erano alcuni giorni da che ricevei il gentilissimo suo foglio da che avevo terminato di fare le copie dei documenti favoritimi, ma un piccolo incomodo che mi ha obbligato guardar la Camera per due Settimane mi ha ritenuto di procurare qualche occasione per ritornarglieli. Lunedì spero di andar fuori di Casa, epperciò non mancherò di star in ricerca per rispedirglieli, ma intanto le avanzo li miei più vivi ringraziamenti. Purtroppo ho fatto delle riflessioni in- torno al nuovo regolamento, perché non hanno servito che ad amarigarmi l'animo per vedere che non anno servito a nulla, con tutto che palese fosse il danno che si andava in- contro, e che pur troppo si esperimenti a danno sì del Prin- cipe che de' Sudditi. Ella è una materia che sempre si ma- neggia da chi non l' intende, e perciò sempre si attiene al peggio. Così conviene aver pacienza e prenderlo per un ca- stigo supremo. Desidero di proseguire a sentire buone nuove di sua salute, ed intanto si continui ad aversi riguardo, e a mantenermi nella sua buona grazia, comandandomi dove va- glio, mentre col solito rispetto me le protesto d'essere Bologna, io Marzo ijSj. 208. (CCVIII - 426). In seguito di quanto mi avvisò consegnai a Persona a me nota 1* involto dei documenti favoritimi su la Zecca Pe- sarese per trasmetterli ad Imola, così spero che a quest'ora gli avrà ricevuti. Ad essi mi presi la libertà di unirvi un 404 G. CASTELLANI tomo per il Sig. Can. Catalani di Fermo per pregarla a far- glielo recapitare sperando che ci farà ad entrambi questo favore. Intanto le rinnovo le mie più vive obbligazioni per le notizie comunicatemi che mi sono state carissime, le quali subito che potrò ordinare, ed inserire in uno dei Tomi della mia Raccolta, non mancherò di rendergliene quella giustizia che merita. Si abbia tutto il riguardo possibile per conser- varsi, e mi comandi liberamente, mentre pieno di stima me le protesto d'essere Bologna^ 18 Aprile lySj. 209. (CCIX — 427). Dalla pregiatissima sua 21 Corr. sento con piacere che abbia ricevuto le Carte relative alla sua Zecca che le rimisi, e che di nuovo la ringrazio. Come pmre le sono tenuto per r incomodo avuto di fare avere al Sig. Canonico Catalani il suo tomo. I fogli scritti di sua mano sono le osservazioni da lei fatte a mia requisizione sopra il Tomo I che mi servirono poi per l'Appendice del Tomo III se non erro. Continui ad aversi riguardo, speri nel Signore e poi non dubiti. Non mancherò di pregare il Signore per Lei, ma le mie preghiere gioveranno poco. Mi continui la sua grazia, e padronanza, mentre con la solita stima me le protesto d'essere Bologna, 25 Aprile ijSj. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 405 CORREZIONI E AGGIUNTE Prefazione, ies/o: Dalle cognizioni... — Uggì: Delle cognizioni... , note: Giovanmi — l^ggi- Giovanni. „ testo e note: Ai biografi dell'O. si aggiunga: Mamiani della Rovere conte Giuseppe in Biografia degli Italiani illu- stri, ecc., pubblicata per cura di E. Tipaldo. Venezia, 1837, in-8, voi. IV, 405-414, il quale dà una accurata bi- bliografia delle opere edite e inedite dell'O. e un elenco di quelli che parlarono di lui. In questa biografia e nel- l'elogio del Marignoni. l'epigrafe sepolcrale dettata dal Morcelli è riferita, come nel testo della Prefazione, con la parola prosperitate invece di posterifati, che si trova ef- fettivamente scolpita sul marmo, come ho potuto control- lare di persona e come il senso esige. Lettera n. 48, testo : corresse — ^'gsi •' corregge. „ n. 48, testo : no prezentemente — l^ggi •' non presentemente. „ n. 69, nota : Bendictum — leggi: Benedictum. „ n. 102, testo: Madaglie — l^ggi • Medaglie. „ n. 113, noia : ne -ne — l^ggi ' ne. , n. 124, note : La notizia data dal Sanquintino al Borghesi e da questo allo Schiassi non risulta esatta. Avevo già accennato alla contraddizione esistente fra le diecimila e piii monete di cui era composta la Collezione Zanetti e la piccola rac- colta esistente nella Biblioteca Ambrosiana, Una lettera cortese del Prefetto di questa, Sac. L Gramatica, mi assi- cura che non havvi memoria del passaggio totale o parziale del Museo Zanetti a quella istituzione. Forse la voce potè aver origine dalla notizia pervenuta al Sanquintino del deposito fatto nel 1832 della Raccolta Castiglioni destinata al Municipio di Milano nel cui Museo oggi si trova. Il comm. aw. Vittorio AUocatelli, amoroso e diligente raccoglitore di libri e notizie numismatiche, mi comunica con somma gentilezza le indicazioni di una rara stampa esistente presso di lui, dalla quale risulta che la Collezione Zanetti fu posta in vendita. Si tratta di un opuscolo in-8 piccolo di 16 pagine, non numerate le due prime, la quarta e l'ultima: questa, la seconda e la quarta sono bianche. La prima porta 406 G. CASTELLANI per titolo : Catalogo | di Varie Monete | d'Italia — Bologna \ lygj. La terza contiene questa notizia : " Il Signor Guido " Zanetti celebre nostro Monetografo dopo avere pubblicati " colle stampe di Lelio dalla Volpe cinque applauditissimi " volumi di una nuova raccolta di Monete d'Italia in se- " guito dell'illustre opera dell' Argelati, sorpreso da morte, " ha lasciato una serie numerosa di varie Monete uscite in " vari tempi da moltissime Zecche Italiane. Questa raccolta " è sommamente pregevole, e attissima ad illustrare la " Storia de' tempi bassi, e delle più cospicue Famiglie che " si sono distinte in questi secoli. Essa viene esibita a' Si- " gnori dilettanti di un tal genere di studi a prezzo discreto, " come pure una ragguardevole raccolta di Storie d'Italia. " Chi ne volesse fare acquisto può dirigersi all'ornatissimo " nostro Concittadino Signor Domenico Venturoli amore- " vole Custode della predetta Raccolta „. Nelle restanti pagine, numerate da 5 a 15, sono segnate le varie Zecche, la qualità e il numero delle Monete e la somtna totale. Questa ascende a 8548 pezzi, non sono quindi più le dieci- mila della lettera n. 124, né le tredicimila della lettera n. 185. Le monete d'oro sono : 9 di Benevento, loi di Bologna, 4 di Camerino, 3 di Correggio, 8 di Ferrara, 50 di Firenze, 19 di Genova, 11 di l-ucca, 8 di Mantova, 22 di Milano, io di Modena, 14 di Parma, 4 di Pavia, 130 di Roma, 6 dì Savoia, 6 di Savona, 26 di Sicilia, io di Siena, 5 di Urbino, 15 di Venezia, in tutto 461. Di Bologna oltre le loi d'oro, ne aveva 375 di argento e 418 di rame e lega, ossia più delle 800 menzionate nella lettera n. 67. Ho creduto bene riferire queste notizie nella speranza che possano invogliare altri a fare ulteriori ricerche sulla sorte toccata alla preziosa raccolta la quale non è total- mente da escludersi possa essere per la maggior parte finita nel crogiolo, secondo la voce corrente a Bologna ri- ferita dal Borghesi, data sopra tutto l'epoca oltre ogni dire sfavorevole alla conservazione di rilevanti quantità d'oro e d'argento monetato. Lettera n. 135, nota : Campagnoni — i^SS* '• Compagnoni. LETTERE DI GUiTX) ANTONIO ZANETTI 407 Indiee Repertorio dei nomi e delle eose più notabili La lettera P rimanda alla Prefazione, la « . alle note. Va alle Corre- zioni o Aggiunte, il numero arabico a quello d'ordine delle' Lettere. Sono omessi i nomi Olivieri e Zanetti. Accademia. Etnisca di Cortona, P e «, 179 — Pesarese, 55, 108 «: Medaglia, 32 e « — di Roma, 69. Adriano card. Castelli o Ca«;tel lense, 65 e n, 68. Affò p. Ireneo. 135, 136, 137, 138, 143, 143, 166, 179, 180, 188, 193, 203, 204. Aldrovandi Ulisse, 8. Medaglia, ii'i. Alidosio card. Francesco, 113. Allocatelli Vittorio, a. Amaduzzi Gio. Cristoforo, 131 n. Amati Pasquale, 197. Ancona, 67, 135 n. Monete, 107, 183 e n, 184. An«elucci di Macerata, 100. Antonioli Michele, P «, 158, 159, 165. Anzia gente, moneta col cognome Restio, P. Archivio, del Collegio di Spagna in Bologna, 39, 70 - di Fano, 135 n — di Foligno, 43 — di Gubbio, 3 — di Or\'ieto^ 147, 151, 153, 157 — Senese, 144 n — Vaticano di Roma, 48 //, 147 e «. Argklati Filippo, a n, 5, 9, io, II «, 15. 29 n, 32, 34, 37, 39, 44, 70, 89, a. Armano Alfredo, 25 », 113 n, 124 n. Armandi corriere, 156. Arpi, moneta antica, 176. Arrigoni Onorio, P n, 175, l^6. Ateneo Pesarese, P, 144 «, 151 n. AVERCAMPIO O HaVERCAMPUS Sigi- sberto, 179. A\'iGNOrfE Gaetano, 113 n. AvoGARO Rambaldo degli Azzom, 190. Babelon Emesto, 168 w. Baiocchi e mezzi, 27, 58, 124 n. Balbi Scipione, 168. Bandi card. Gian Carlo, P. 159. Barthélemy Gian Giacomo, P e « (passim), 168, 169, 174, 175, 178. Baruffaldi Girolamo, no. Bastoni P. Maestro, 195. Battaguni conte Francesco. 181. Bayers, 177. Bellati Francesco, P n. Bellini Vincenzo, P «, i, 2 «, 3, 7, 13, 27, 29 e «, 30, 32, 37, 39, 45, 67, 72 e n, 80, 151, 174, 183. Lettere all'Olivieri, 148 n. Belluzzi Teresa in Olivieri, 16 «. Belvederi Petronio, 38. Benevento, monete di, 41, 61, 69 e «r 77, 135. «■ Bentivoglio Giovanni II, 116. Mo- neta, 113. BiANCAM, V. Tozzi- Bianconi. 4o8 G. CASTELLANI Bianchi Alessandro, 71. Bianconi Giambattista, 17, 170. Biblioteca : Albani di Roma, 147, 151 ; Ambrosiana di Milano, P e «, a; Braidense di Milano, P e « (passim)) del Collegio di Spagna a Bologna, 38 ; Comunale di Bo- logna, P n ; Corvisieri, 135 n ; Garampi, 73 « ; Hercolani di Bo- logna, 108 n ; dell' Istituto di Bo- logna, 55, 84, 108, 123, 135, 148; Marciana di Venezia, P n ; Oli- veriana di Pesaro. P e « (pas- sim)', di Rimini, 73 «; di S. Sal- vatore di Bologna. 14 w, 180. 182; Vaticana di Roma, 73 n. Bigi Quirino, P n. BiONDELLi Bernardino, P e «. Boari 49 e n, 50, 51, 52 n, 53. BoccAFERRi o BoccADiFERRo Gran Priore, 13. 39, 56, 70. 84, 89. 90. 91, 100, 104, 105, 135. Bologna, tutte le lettere sono da- tate da; 19, 42, 50, 51, 57, 58, 70» 72, 73. 107. 131, 142, 158 «, 172, 173. 177, 188. a. Monete, l. 16. 67 e n, 96, gg e n, a. Museo Civico, 102 «, 113 n. Zecca 117. V. Archivio, Biblioteca, Monete, Raccolta. BoNAMiNi Domenico, 55. BoNCOMPAGNi card. Ignazio, 117. Me- daglia, 197, 201. Borghesi Bartolomeo, 124 n, a. Rac- colta, 109 «, a. Borghesi Pietro, 44, 174, 180. Borgia Cesare detto il duca Fa- leniino, P, 79. Borgia card. Stefano, 41, 42 e n, 61. 67, 69 e «, 76, 77, 78, 158 e n, 177. Bourguet Luigi, P. BouTERoufi Claudio, 174. Bovio senatore Bolognese, 87. Bozzolo, monete, 135, 143. Brisighella, 135 n. Buoi casa Marchionale de', 135, 139, 140- Buonarroti Filippo, 169, 170. Cabrospino, 113, 116. Caccianemici Tommaso o Tomma- sino, 131, 132, 133. Califfino Ugone, 153, 154. Calpurnia gente, asse, 173, 174. Cambiasi famiglia genovese, 140 e«. Camerino, monete, 98, a. Cantarini Simone, 190. Caprara P. Abbate, 123. Capua, monete antiche, P, 12 «. Carisia gente, denaro, 174. Carli-Rubbi Gian Rinaldo, il, 49, 52, 56, 57, 58, 186. Carlo Magno, 107, 190. Carradori conte Giuseppe, 45. Carta Francesco, P n. Castiglione delle Stiviere, monete, 135- Catalani Michele, P, loi, 120, 121, 122, 123, 124, 125, 127. 135. 154. 158, 166, 190, 191, 208, 209. Caucich R. a., 61 n. Caylus Anna Claudio Filippo de Tubiéres, conte di, 173. Celli Luigi, 48 n. Cesena, 125. V. Ripostigli. — Cese- nati, 89, 90. Ciani Giorgio, 129 «. Cicogkara Leopoldo, 113 n. Cinagli Angelo, 158 n. Cingoli, 87, 162. Clemente Vii, 151. . * Clemente XIV, 16 e n. Colli notaio bolognese, 103. CoLUCCi Giuseppe, P e «^ 135 ». Compagnoni Floriani Pietro Paolo, 75, 80; sue lettere all'Olivieri, 76 n. Compagnoni Pompeo, P, 67, 71 n, 73 ^ "» 74, 97, 'oo, loi "» 120, 135 e «, 136, 167, 179, 198, 200, 203^ ao6. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 409 Corfiniam, 179. CoRNARo Flaminio, medaglia, 32 u. Correggio, 141, 158, 159. 165. Monete. P n, a. Zecca, 159. Cortona, 41, V. Accademia. \ CoTANELLo padre da (nome burle- ' SCO di G. B. Passeri), P. Dalla Volpe Lelio, 19, 6a «, ioDATi Domenico, P «. DioNisi Gian Giacomo. 128, 129, 140 1 )iPLOVATAZio Tommaso, 38, 48, 55- Ducalo, di Carlini. 16 n ; ducale di Urbino, 46 ; romano. 46. Ducato d'oro, di Leone X. 79 e «, 83; doppio di Pio II, 69 «, 76, 83; quadruplo di Paolo li, 83 ti. DUTENS Luigi, 170. EcKEL Giuseppe, P e «. Effemeridi e Effemeridisti di Roma, P» 76. 77i 78 n, 89. 94 e «. 158 ;;, 183. Enzola Gian Francesco, 109. 148. 149 e n. Erodoto. i68. 171, 172. Eusebio s.. 171. Ezzelino. 129, 140. Fabriano, monete, 41. Faenza, 135 n. Monete, P, 41, 69. 107, 113, 1x8, 119. 122, 185. Fano, 135 n, 146. V. Archivio. — Fanese. 79. Kantuzzi conte Giovanni, P e n, 38, 70. 119, 124 e n, 125. 135, 138. 142. 143. I49. 171. 193. 194. Fattorini Gaspare. 19, 58, 69. Ferlini curiale bolognese, 105. Fermo, loi e n. Monete, 121. 123, 123, 124, 127, 135, 154. Zecca, 120, 123, 124, 166. Ferrara, 27. 19 e «, 51, 53, 58, 136. 137. 158, 159 Monete, 7, 154, a. Museo dell' Università. P «. Ferri Girolamo, 65 e n, 69. 70, 73 n. Ferri notaio bolognese, 93 FicORONi Francesco. 173 e n. F1DONE re D'Argo, 168 e n. Fioravanti Benedetto, 79. Fiorino, 16 m, 48 e m ; d'oro, 40, 65, 69, 70, 107. Firenze, 70, ia8. 131, 171, 204. Mo- nete, a. Foligno, monete, 41, 43, 44, 61, 69, 76, 79 e «, 80. 83 e n, 119. 144, 151. Zecca. 74, 75. V. Archivio. Forlì, monete, 107, 119. 123. Forme da fondere monete, 173 e n. FoRRER L., 32 n. Fossoabrone. 31. 168 n. Franchi Agostino, 32 u. Frati Luigi, P «. FrlgBaao. 131. Frontino, 17I Galassi P. Priore, 85. 87, 88. Garampi card. Giuseppe, P, 16, 18. 37. 38, 65, 66, 68, 69, 70. 71. 72. 73 e «. 82 e «. 83. 85. 86. 87. 88. 100, 113, 115. 117, 118, 124. 129. 136, 153. 154, 157, 158, 159, 165; sue lettere all'Olivieri, 16 n, 73 n. V. Biblioteca. Garrucci P. Raffaele, P n. Ga velli tipografo pesarese. 62 n. Gentili Lucantonio. 55. Ghirardacci Clierubino, 131. 133. GiANANTONi protomedico in Ur- bino, 75. Giordani Gaetano, 108 m. 113 «. — Luigi, 45- Giovanetti card. Andrea. 136, 141, 150, 151, 157, 186, 193; medaglia, 191, 197. M 4io G. CASTELLANI GiULio 11. 22 e ;/. ti6. 151; meda- glia, 113 en, 116; monete, i. 144 e n, 145, 146. GiusKPPK il imperatore. 86 e n, 88. Gnecchi Ercole. 107 n ; sua Rac- colta. 2 w ; e Francesco. 124 n, 164 ;;. Gonzaga. Elisabetta, 44: medaglia. 25 e « ; 26 e ;/ ; — Luigi detto Rodomonte. 142; — Vespasiano, I42. V. Monete. GoRi Anton Francesco. P e «, 55, 169. Gradara, P «, 84 e it, 97. Gradenigo Giacomo, 76, 80, 81; — Jacopo vesc. di Ceneda, 25. 76. Gramatica L. a. Grassi dottore, 8, 17. Qrossi ; Ferentini, 165 ; di Loze- sano (?). 165; di Giovanni Sforza, 103. Guadagni marchese di Firenze, 177 ;;, 179 e n. Guarnacci Mario. 169. 175. GuARNiERi Ottoni conte Aurelio. loi e n. Guastalla, monete. 131, 135. 136, 143. Gubbio, I, 85. 173 n. Moneta an- tica. P e «, 14. Monete, i. 3. io, 28, 44, 46, 64, 65, 76, 77. 78 «, 85, 89. Pianta della città, 58. V. Archivio, Piccoli, Quattrini. Guicciardini Francesco, 14. Iesi, 135 n. Imola, 17, 39. V. Ripostigli. Intagliatovi in rame, 58. V. Panfxlj. KuNz Carlo, 63 n. Lamine d'argento, 171, 172, 174. Lampridio, 173 n. Lanzi Luigi, P e «, 177. Lastra nummana, 173. Lazzarini Giovanni Andrea, P e n, 16 «, 108 e ti. Lazzarini di Macerata, 127. Legnago, 25 m. Leone X, 164 ;/.; Monete, 1,32, 79, 83, 104. Leonori marchese, 126, 127. Libra; d'argento, 117 — d'oro, 80 — romana, 190. Lira; bolognese. 99 « — mezza di Pesaro, 41 n. Lisini Alessandro, 144 //. LoRENziNi. 91, 92, 93. 94, 100, 102. 105. Loreto, 16, 17 n, 68, 69, 138, 139. Lucca, 49; monete, a. LucHTo o LucK Gio. Giacomo. 47. Luppi Costantino, P e « Luzio Alessandro, 25 «. Macerata, 126, 135 n; Moncu-, 4 , 44, 66, 67, 71 e «, 80, 99, lao, 135, 136. Zecca, 42, 66, 71 e v, 80, 99, 100, loi, 167, 179, 198. 200, 202, 203, 204, 205, 206. Machirelli conte Vincenzo, 141 Maffei Scipione, P «, 55, 179. M ÀGiSTRi o De Magistris Si n ione, 49. Malaguzzi- Valeri Francesco, 67 ». Malatesta di Pesaro. 46, 55, 162, 187 e n. Monete, 13, 19, 29 n, 32, 128 — Battista, V. Montefeltro. — Pandolfo, I9. Malatesta di Rimini, monete, 19 — Carlo, monete, 4. — Sigi- smondo, monete, 4. Malta, monete antiche, P. Malvezzi monsignore, 65, 66. Mamiani della Rovere Giuseppe, a. Mancinforte canonico, 206. Mancini Luigi, X64 n. Manenti cronista di Orvieto, 147. Manfredi Astorgio li, monete, i «, 4. Manni Domenico Maria, 32, 37 e «. Mantova, 25 w, 49. 166. Monete, a. Zecca, 155. Marca. 27 ; zecca, 66, 67 e w. Marc/te di sterlini, 157. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZAXETII 411 Marchi H. Pielro, P n. Marco di Carlo Magno, 190. Marcolini Camillo, 48 «. Marcolini card. Marcantonio, 129 «• Marignoni Fortunato, P e «. Marini Gaetano, 4 «, idi m, 127, 143 n, 147 e H, 156 >i, 180. Mariotti Annibale, loi « Martin monsignore, -o. Martino IV, 151. Martino V, 112 e n. Martinori Eiio.irdo, 73 n, 144 >/. Martorelxi Giacomo, 169. Mattjh cc'iì. Alessand: \ 158. Mazzoni Carlo, 138, 139, 140. Mazzuchelli Giovai. n Mhm , no. Medaglie, P, 7, 8. 47, 97, 102, ilo — della Casa Riaria, 1 19 — Pe- sarcs", disegni e incisiuii', 18, 21, 24, 25, 42, 59, 60, 62 e «, 64. 66. V. Accaiiemut Ffsarese, AlUro vandi, Boncotnpagni, Cornaro, Giovannetti, Giulio H, Gonzaga Elisabetta, Montefeltro, Ordelaffi, Pesaro, Pio VI, Ouerini, della Ro- vere, .Senigallia, Sforza Alessan dro, Camilla, Costanzo I, Faustina, Giovanni, Tozzi- Biancani, Tram- belli. Medaglisti, V. Enzoia , Franchi, Romano. Medici, Arnia. 131 — Lorenzo duca di Urbino, 22, 24 e «, 25 ; mo- nete, 22, 25. Melchiokki Domenico, 40, 52, 57. Mkngozzi Giovanni. P, 41,43,69/», 74, 75. 76. 79 e n, 80, 83 e n, 86, 88, 101, 127. Messerano, ni :itta, 151 e «, Metaureose provincia, io n. Milani Luigi Adrian'-, 176 n. Milano, monete, a. V. Biblioteca. Misure di Pesaro, 47 e « Modena, 70, 106, 109, 118, 129. 130, 143, 148, 151 e n, 160, 183. 105. Modenesi, 131. Monete, 131, a. Moneta: origine, 168 e « — da X grossi, 46 — da 18 sedicine, 131 e « — de' Fiorentini, 79 — Man- tovana pessima, 58 — paparina, 73 « — Pavese, 113 Monete : corso, 7 — peso, ivi — pic- cole varietà, 12 e m — regola- mento, 25, 207 - sregolamento, 117 — studio. 124 — valore, 7, II, 27. Monete a. tiche: fuse e conult, 171, 172 — gravi, P — quadrilatere, P, 171. 172. 174, 176 e «. 177 e «. 188, 189, 196. 197, 198, 199 — della Repubblica Romana, V. Anzia, Lalpurnia, Ca risia. — V. Arpi, Capita., Gubbio, Multa, Pesaro, Ravenna, Rimini, Sannio, Todi, Volterra. .Monete medioevali : Fiorentine, 37, 70 — di Genova, a — dei Gon- zaga, 166 — d'Italia, a — Lon- gobarde, 190 — Pontificie, 16, 73 **, 85» "8, 158 — di Savoia, rt — di Savona, a — di Sicilia, a — di Siena, a — Trivigiane, 190. — V. Ancona., Benevento, Bolo- gna, Bozzolo, Camerino, Casti- glione delle Stiviere, Correggio, Fabriano, Faenza, Fermo, Fer- rara, Firenze, Foligno, Forlì, Gua- stalla, Gubbio. Lucca, Mncrmta. Mantova, Messerano, Milano, Mo- dena, Novellara, Parma, Pali i- montu di S. Pietro, Pavia, Pesaro, Pompoiiesco, Ravenna, Roma, Sabbioneta, Senigallia, Treviso, Urbino, Venezia, Verona. — V. anche : Bentivoglio, Giulio li. Leone X. Mnlatesta di Pesaro e di Rimili', Manfredi, Medici, Mon- tefeltro, Pio VI, della Rovere. Sforza. .Monete: denominazioni. Augustali, 107 — Bianco. 151 — Bisanzi o Disanti, 107 — Bolognini, 99 « — 412 G. CASTELLANI Costantinati, 107 — Bucatone, 2 — Ferlino, 178 e « — Michelati, 107 — Piastra, 131 n — Roma- nati, 107 — Soldino, 45, 46 — Soldo, 107, 190 — Stateri, 172 — Tallero, 2 — Zecchini, 58, 158. — V. Baiocchi, Denaro, Ducato, Fiorino, Grosso, Lira, Paolo, Pic- coli, Quattrini, Scudo, Sesini. Monete: Raccolte e Raccoglitori di monete e medaglie. Conte Avo- gadro di Biella, 131 n — Casti- glioni Ottavio, a — Granduca di Toscana, 2 n, 12, 128, 129, 176, ^77» 179 — Lanna Adalberto, 109 n — Museo di S. Salvatore di Bologna, 173 n — Museo del- l'Università di Bologna, 102 n — Museo Britannico, 177 n — Mu- seo Municipale di Milano, a — (Jlivicri, 103 n, 166 n — Sartoni Federico di Rimini, 83 « — Va- ticano, 144 n — Zanetti G. A., 42, 77, 85, 124 e «, 185, a. — V. Ateneo Pesarese, Bologna Museo, Borghesi Bartolomeo, Gnecchi Er- cole , Fapadopoli , Savorgnan , Ta 3 zi- Biancani. Monete, Santi sulle : Antonio, 178 — Crescentinn, 3 — Decenzio, P, 162 e n, 163 — Feliciano, 79 n — Giacomo e Giovanni, i, 2, 48 — Giovanni Evangelista, 48 — Girolamo, 128 — Martino, 636 n, 178 e « — Mercuriale, 107 — Mi- chele Arcangelo, 2 e n — Paolo, 127, 128 — Terenzio, 29 n, 31 — Ubaldo, 178. Monete, tipi : Aquila, 169, 178 — Caduceo, 176, 177 11 — Cerbero, P, 170 «, 178, 179 — Cignale, 176 — Elefante, 176, 177 n — Ercole, 178 — Fulmine, 28, 29, 30, 31 — Italia, 179 — Presepio, 2, 104 — Quercia o cerqua, 28, 30, 31 - Roma, 179 — Rovere, 178 — Scopetta, 178 — Scrofa, 177 n — Sileno, 169 — Tridente, 176, 177 n — Vaso, 48 e n, 178. Monogramma di Cristo, 198. MoNTEFANi avvocato, 55, 57, 59, J42. VIONTEFELTRO, famiglia di, I, IO — Antonio,' moneta, 2 e «, 3, 4, 112 e n, — Battista, 161 e n — Guido Antonio, moneta, 2 e «, 112 e n 116 — Guido Ubaldo I, 3, 4; medaglia, 61 e n, 164 n ; moneta. 47 — Oddo Antonio, 2, V. Gonzaga Elisabetta. Monti Gaetano, 129, 132, 133, 135, 136, 140, 142. MoRCELLi Stefano, P, a. MoRHLLi Andrea, 179. Muratori Achille, 92, 93. Muratori Lodovico Antonio, 7, 24, 25, 29, 30, 32, 37, 107, 115, 144. Muratori Pier Luigi, 93, 94, 102. Nabuccodonosorre fra (pseudonimo dell'Olivieri), P e «. Novellara, monete, 135. Novelle letterarie di Firenze, P, 65, 69 w. Novilara, 118 e n. Odorici Gaspare Luigi, idi ». Olio, privativa dell', 52, 53. Orazio, 172 e n, 174. Ordelaffi Francesco, medaglia, 149. Oretti Marcello, 108 e «, ili, 112. Orvieto: cronaca, 144; sigillo della zecca, P, 144 e «, 145, 148, 149, 150, 151 e n, 152, 154, 155, 156, 158 e n, 181, 183, 184; zecca, 146, 147. Ì50. ^5h 153. 155. 157. 158, 163. V. Archivio, Denaro. Osimo, 66, 71 «, 74, 76 «, 108, 203. Ovidio, 172. Oxford, 168 e n. Padova, 86 n. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 413 Pagniot Gian Francesco, 79, 82. Panfilj Pio, 58 «. Pantanelli Sebastiano, P. Paolo, 13, 37, 57, 58. 59, 67, 68, 13', 151- Papadopoli Nicolò, raccolta di mo- nete, 41 n, 197 «, 162 «. Parma, 119 e «. i2'\ 130, 143. 160. 180, 188, 189, 195; duca di, 159; monete, 131. a. Passeri Ciacca Francesco Save- rio, 79. Passeri Gio Battista, P e « (pas- sim), 16 «, 103, 128, 134 e n, I41. 166 e ». 169, 171. 174. 175. 176. 179. Patrimonio di S. Pietro, monete e zecca, 155, 157, 158. Pavia, monete, 190, a. Peu-erin Giuseppe. 78, 178, 179. Pelli Gaetano, 129. 176, 179. Perini Quintilio, 129 «. Perugia, zecca, idi e n. Peruzzi Agostino, 135 n. Pesaro, P (passim), io /;, 22 n, 31, 48 e n, 54, 55, 57, 71, 93, 107, no. III. 113. 114. 116, 117, 125, 164. Battistero, 108. Contado, 123 n. — Figline o figuline, 143 e n. Fortezza o Ròcca. 25. 41 n. Meda- glie, P, 14.18,21,24. 44. Monete antiche, P, 14, 29, 34, 170 e n, 171, 175' ^76 177» '78> 179,188. Monete, P, I. 2, 5, 6, 7, 8, 9, IO, 14, 15, 29, 30, 32, 44, 4.S, 55, 65, 80, 83, loi, loj, 127, 128. 129, 131, 132, 134, 136, 139, 164. 180, 181, 182. 183 e n, 184, 197. Piauia della città, P, 2 «, 21, 22, 33, 6a. Ponte, 109. Porto, P. 62 it, IDI, 102, 103. Zecca antica, 14 ; medio- evale e moderna, P, 12 e n, 13, 48, 55, 103 u. 132. 162. 164 n, ig-], 198, 202, 204. 205, 206, 208, 209. — X. Accademia, Ateneo, Biblio- teca, Lira, Misure, Monete, Pic- coli, Raccolte di. Quattrini, Scudo d'oro. Soldino. Petronio, 171, 172, 174. Piccoli; di Foligno, 80 ; di Gubbio, 3; di Pesaro. 162, 164. Pio vi. 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95. 158, 161 « ; Medaglie. 89, 90, 158 e «, 159 ; Monete, 158 e «, 159 ; Quattrini, 124 n. Pisa, 49. Plinio, 176. Plinti d'oro, 171, 173, 173. PoLiDORi Carcarasi Lìvìo, P, 153 e «, 155. 156, 158, 163; sua let- tera all'Olivieri, 153 n. Pomponesco, monete, 135. Pobrena Corriere, 148. Predieri Giandomenico, 75, 83. PRoms Vincenzo, 164 «. Quattrini, 13, 19 e n, 27, 28, 29, 30. 31, 46, 48 e «, 58, 77, 79 e «, 81 , 117, 124 «, 144 f n, 145, 146, 163. 178 ; politi, 103 e n. Querini card. Angelo Maria, P, 55, Medaglia, 33 n. Raccolta (Zalogeriana, P (passim), 55. Raffaelli Filippo, 67 n. Ranuzzi cardinale, ao6. Ravenna; moneta antica, 175. 176, monete, 107 ; Soc. Letteraria, 55, Recanati, 194. Renier Rodolfo, 25 n. Renzim Salvatore, P n. Reposati Rinaldo, P e «, i e n, 2, 3, 4 **, 5, 6, 7, 9 e n, io e «, 12, 13, H e n, 15, 16, i7, 18, 19, 21, 23, 25, 26, 31, 33, 34, 36, 42, 44, 46, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 55. 56, I 57. 58. 61 e n, 62. 63, 66, 71, 731 I 84, 85, 89, 122, 173 n. Rl\kio Ottaviano, 107. RÌBlni, 73 n, 119; moneta antica, P, 84 n. V. Biblioteca. 414 G. CASTELLANI Ripostigli di monete a Cesena, Imola e S. Lorenzo in Campo, P. Rocchi Francesco, 124 «. Roma, 83, 8J, 94, 116, 118, 143, 147. 179; monete, 67, 70, a ; zecca, 58, 173. V. Accademiiìy Archivio, Bi- blioteca. Romagna, 73 /?, 186. Romano Gian Cnsloluru, 25 n. Rovere, Famiglia della, i, io — Fc derico Giuseppe Ubaldo, 30, 31, 79 — Francesco Maria I, P, i. 14, 22 e //, 23, 25 «, 28 e «, 31, 46, 113, 114, 115. 116; Medaglia, 47 ; moneta, 48, I04 - France- sco Maria li, 13 e «, 14, 28 e n, 29, 31; monete, 13, 14, 28, ,0, 48, 104 e «, 178 — Guido Ubai do li, 48 e n, 164 1/; Medaglia, P, 2 //, 61 e « ; iiìunele. 14, 29 e M, 30, 48, 63, 178 - Livia, 14. Rubini Gio. Giacomo, 55. Sabbioneta, monete, 135, 143. Sadarghi Giuseppe, 154. Salvioni Gio. Battista, 99 n. Samhieri Gio. Battista, 72. Saiiiiio, monete antiche, P, 55, 79 Sanquintino Giulio Corderò di, 124 n, a. Santoni Milziade, 67 n. Sartoni co. Federieo, 84. V. Ma nete, Raccolte. Sassatklli conte, 16 n. Savignano, 44, 164, 197. Savioli senatore Bolognese, 131, 132, 136, 139, 140, 142. Savorgnano P. Urbano, 102 e // ; Raccolta di monete, 103, 104. Scaligeri di Verona, 140. ScAKSELLi cavaliere, 95. ScHiASSi Giuseppe Maffeo, 124 h, n. Scilla Saverio, 79. ScnwEiizEK Fcdciico, 144 «. Srutto; d'argento, 48,- d'oro, P, 2 M, 13 e «, 14, 23, 53; ducale di Urbino, 46, 48; romano, 46, 48, 58. Secreti Causidico, 93. Seneca, 172, 174. Senigallia, 31, 135 n, 161 ; Meda- glia, 61 e n, 164 n; monete, 164 tt; Zecca, I, 164 n. Serafini Camillo, 144 «, 158 «. Sesini, 58, 117; mezzi, 31. Sforza : 107, 193 ; aquila nello stemma, 179, 193; monete, 184 — Alessandro, 188, 193, 196 n; medaglia, P ; monete, 32, 148 — Camilla, medaglia, 25 ; ino nete, 32, 37, 79, 162 — Caterina, moneta, 107 e n — Costanzo I, medaglie, F, 20, 21, 24, 25, 4I e H, 109 e «, no, III, 112,- 129, 148, 150, 151 e rt, 152, 183; mo netf, 29, 32, 76, 79, 80, 81, 128, 149, 164 — Costanzo li, 39; luo- neie, 128, i2g«, 132, 136, I62 — Faustina, medaglia, 124 e // — Galeazzo, 39, 162 — Giovanni, 116; mcdagli. , 24; munete, 4, 32, 41 «, 103, 128, 136, 149, 162. V. Gròssi. Sigilli, 102. — V. Orvieto. Sorbelli Albano, P n. Sperlingio Ottone, 168, 169, 171, 172, 174. Spoleto, '77"; zecca. 101 e «. Spon Giacomo, P «. Stato Pontificio, circolazione e si- sterna monetario, P, 27 e «, 58 e «, 124 e II, 2> 7. Stosch Filippo, 177, 179 «. Targioni-Tozzetti Giovanni, 37, 40. 79 Tàzzi-Biancani Giacomo, 5, 7 v //. 33. 39, 70, 73. 77. 78. 84, 89, io i, 103, 112, 123. I2S. 134, 135. i4;-5. 145 e «, 146, 154, 179. 180, 186, 192, 205; Medaglia, 7 h; Rac- colta di monete, 121. LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 415 Terenzio s., 103 e >/, 178. Terremoto, 134. TiPAUK) Emilio, a. TiRABoscHi Girolamo. 70, 106. iii, 118. Todi, moneta fintica, P e «. 169, 170, 171, 172. Tondini Gio. Battista, 135. 136. 164 e n, 167, 179, 198. 202. Sun let- tera all'Olivieri, 135 n. Tonini Carlo, 73 n. Torino, 131. Trebellio PoLLiONE, 173 e n. Trento, 97, loi. Zecca, 97 Treviso, monete, 190, 191. Trombelli P. Cristoforo, 14. 21, 31, 32, 3.3. 61, 65, 66, 70, 73, 77, 83, 84, 101, 107, 108, 135, 146, 151, 152, 174 180, 182. Medaglia, 191, 197. UOOLINI Filippo. 48 «. Urbano IV, 144 Urbino, 4 «, 25 «. 31, 48 n. 75, 144; Ducato, 140 n; Duchi, 122, 168; Stato, I, 9, IO, 48; Comi e Duchi, monete, P. i, 2, 4, 44, 45, 46, 76, 81, 139, 140. 177, 178, a; mono- gramma su moneta, i, 2, 3, 4 e //, 112 «j fi. — Zecc.n, 12 //. 22. 48, 112, 116, 136. Vaccaj Giulio, P «, 151 n. Varano Alfonso, 148 //. Varrone Terenzio. 176. Venezia, 56, 86 w; Monete, n; Zec- ca, 145. — V. Biblioteca. Venturoli Domenico, a. Venuti Ridolfino, P n. Vergi Giambattista, 140. Vermigligli Giambattista, n>i n. Vernazza Giuseppe, 131 ». Verona, monete, 128, 129 «, 140 . n, 188, 189; Zecca, 129 e n. Vettori Pietro, 70. Vienna, 129, 158. 159. Viterbo, 146. VrrERBo Ettore. P n. Volterra, moneta grave, P e «. WiNCKELMANN Gio. Gioacchino, 170. Zaccaria P. Francesco Antonio, 49. Zacconi P. Agostino, 29. Zanetti, dott. Giuseppe, 4 — Pel- legrino, 68 — Padre Servita, 97, 98, 114, 115. ia6. Zara, 81. Zauu Giacomo, i ». Zecca, anche sicla, 157 — V. Bo- logna, Correggio, Fermo, Foligno. Macernln, Mantova^ Marca, Or- vieto, Patrimonio di S. Pietro, Perugia, Pesaro, Roma, Senigal- lia, Spoleto, Trento, Urbino, l^e- nesia. Verona. Zecche: antichissime, 166; d'Italia, 70 e «, 132, a; pontificie, 116, 117. Zblada card. Francesco Saverio. 44 e n, 89, 90, 91, 92, 93, 95. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI Bollettino del Circolo Napoletano. Serie I. n. i. Napoli, lu- glio, 1916. Il primo fascicolo di questo periodico, di cui nel numero precedente della Rivista annunciavamo la prossima pubbli- cazione, ha faito teste la sua comparsa nel mondo numi- smatico. Questo primo saggio, ci affrettiamo a dirlo, è quale si poteva attenderlo dagli egregi numismatici ghe hanno dato vita a quel sodalizio, sotto la guida e la direzione di quell'intrepido e infaticabile condottiero che è il cav. Memmo Cagiati che, giova ripeterlo, fu l'anima del risorgimento nu- mismatico delle Provincie meridionali; la vera .favilla che ri- destò la sacra fiamma di tali studi in quelle terre, ove l'in- gegno naturale abbonda forse più che in qualunque altra d'Italia e non ha bisogno che d'essere destata. Il nuovo Bollettino del Circolo Napoletano, col suo primo numero, ha già preso il suo posto in prima linea fra tutte le pubblicazioni congeneri. Schiva dalle frasi rimbombanti e dalle facili, grandiose promesse, la Direzione si limita a poche e modeste parole di proemio, ed ecco quale è il compito ch'essa intende di assumersi : * aprire un solco e seminar un bene, riassumere cioè, illustrare, e porre in luce, specie con svariata rassegna di documenti, la monetazione antica, medioevale e moderna delle regioni meridionali d' Italia ,. Seguono quindi quattro interessanti lavori di numisma- tica e uno di medaglistica, e sono i seguenti : Aggiunte e rettifiche alle monete normanne battute nel regno delle Due Sicilie. In questa prima parte del suo importante lavoro il eh- prof. Luigi dell' Erba tratta delle monete coniate, spe- sa 41 B BIBLIOGRAFIA cialmente a Salerno, dai duchi normanni. Dopo di avere in breve sintesi accennato ai vari autori che si occuparono dell'argomento, dal Fusco e dallo Spinelli, all'Engel, al Fo- resio ed ai Sambon, padre e figlio, il eh. A. rettifica alcuni errori di attribuzione e non poche inesattezze incorse nelle loro opere, e aggiunge alcune monete inedite o varianti, occupandosi di preferenza di quelle che presentano speciali segni di zecca. È un lavoro utilissimo per gli studiosi di questa monetazione, che è una delle più incerte e difficili per i dubbi che tuttora sussistono circa la classificazione di molte fra quelle monete. Spigolature d' Archivio. — Sulle monete di bronzo o rame di Filippo IV. — Sulla data 1818 delle monete napoletane. Il cav. B. Cosentini tratta qui due questioni riguar- danti la coniazione di monete napoletane. La prima accenna alle varie opinioni circa le monete di rame di Filippo IV, se cioè quelle monete furono coniate a martello o a mezzo di macchine o per fusione. Con documenti d'archivio il eh. A. arriva alla conclusione che per quelle monete furono impie- gati, secondo le occasioni, i tre sistemi. L'altra questione riflette la data 1818 sulle monete di Ferdinando I Borbone. L'A. prova, con un documento, che dal 1818 fino all'aprile 1822 la zecca di Napoli continuò a coniare le monete d'oro e d'argento di Ferdinando I col mil- lesimo 1818, dal quale anno datava l'emanazione della legge monetaria del Regno. In aggiunta a questa notizia l'A. fa osservare che durante il periodo borbonico la zecca di Na- poli usava sovente fare la riconiazione di monete dei sovrani passati e anche di monete estere, e dà il disegno di una piastra di Ferdinando I, riconiata su di un pezzo da lire dieci venete. Le monete dette Giustine di Ferdinando 1 e Ferdinando li d* Aragona. È un interessante studio dell'egregio Carlo Prota sulle monete dette Giustine dalla leggenda del rovescio : IVSTITIA E(5/) FORTITVDO MEA. La coniazione di quelle monete fu iniziata da Ferdinando I d'Aragona nel 1459, ed ebbe ter- mine sotto Ferdinando II nel 1496, nella quale epoca esse furono abolite e ritirate, perchè il loro valore era superiore al pregio del metallo. Il lavoro è corredato da documenti. RIBLIOGRATIA 4I9 Le monete o medaglie italiane di ostentazione ed una prova inedita per Vasto. L'Autore, il cav. L. Gioppi, riunisce in questo lavoro tutte le monete fatte coniare in altre officine, specialmente estere, da alcuni Signori e Pi incipi italiani, per mera ambizione e per ostentazione di potere. Esse abbracciano l'epoca dal 1704 al 1794. come se si trattasse di moda, aggiunge l'A., e rappresentano i feudi di Belgiojoso, Belmonte, Castiglione dei Pepoli, Orciano, Porcta, Retegno, San Giorgio, Soragna, Ventimiglta e Vasto. Riguardo alla zecca di Castiglione dei Pepoli, l'A. af- ferma che manca qualsiasi indicazione numismatica o sfra- gistica. Qui Egli fu tratto in inganno da una duplicità di nomi. I numismatici conoscono da tempo le monete dei conti Pepoli. Esse furono pubblicate da V. Promis nel 1881, ma sotto il vecchio nome di Castiglioue dei Gatti (0, che così si chiamò quel feudo fino a circa trent'anni fa, e sotto questa denominazione, a cominciare dalle Tavole Sinottiche del Promis, figura quasi sempre nelle liste delle zecche ita- liane, compresa quella pubblicata nel 1906 in questa Ri- vista (2), Anche nel Catalogo della collezione E, Gnecchi del 1902, vediamo figurare (3) sotto il nome di Castiglione dei Gatti uno scudo d'oro di Ercole e Cornelio Pepoli. Quanto ai tre pezzi d'argento coniati da Tomaso Obizzo per il suo feudo di Orciano, oltreché essere postumi, perchè battuti quando egli non possedeva più quel feudo, e per il loro tipo e per il genere del rovescio, anziché monete, si devono ritenere medaglie. Quei pezzi non furono coniati nella zecca di Vienna, come la maggior parte delle monete di ostentazione, ma in quella di Firenze, ed é conosciuto anche il nome dell'incisore. In seguito alle monete del marchese del Vasto, l'A. pubblica due inedite prove, una in metallo bianco, l'altra m (i) Promis Vincenzo, Sulle monete di Castiglione dei Gatti. Torino, 1881, in-8. (2) E. Gnecchi, Appunti di Numismatica Italiana. XX. Le zecche ita- liane medioevali e moderne {Rivista ilal. di nutn., X906, pagg. «39-242). (3) I.» Parte, pag. 50, lav. VI, n. 974. 4aO BIBLIOGRAFIA Ottone. Quei due pezzi, identici nel tipo e nelle dimensioni, secondo l'A., sarebbero prove dello zecchino o del quarto di scudo. Regine e Principesse di Napoli nella medaglistica. In quest'ultitno lavoro, che chiude la serie degli articoli del Bollettino, il eh. A., sig. E. Ricciardi, riunisce una col- lana di IO medaglie coniate in onore di altrettante Regine e Principesse di Napoli, che comprendono l'epoca dal 1768 al 1861. Di ognuna di esse l'A. dà il disegno, la diligente descrizione del diritto e del rovescio, più un piccolo cenno storico. Agli studi di numismatica il Bollettino fa seguire nume- rose Note Bibliografiche e un Notiziario. La Direzione della Rivista Numismatica^ congratulandosi sinceramente col Bollettino del Circolo Napoletano per il modo veramente splendido col quale esso ha iniziato le sue pubblicazioni, dà il benvenuto all'egregio confratello e gli augura di cuore tutta la prosperità che si merita. La Direzione. Carusi (Enrico). Lettere inedite di Gaetano Marini. i.° Let- tere a Guid* Antonio Zanetti. Roma, 19 16. Questo volumetto fa parte di una serie di pubblicazioni che, sotto la denominazione generale di Studi e Testi, ven- gono fatte per cura della Biblioteca Vaticana, allo scopo di far conoscere operette, documenti e .autografi inediti da essa posseduti. Il volume, compilato dall'egr. Enrico Carusi, scrittore della Biblioteca Vaticana, contiene 60 lettere di Gaetano Ma- rini, l'erudito bibliotecario della Vaticana a Guid'Antonio Zanetti. Queste lettere hanno uno speciale interesse per i numismatici, abbracciando gli anni dal 1777 al 1790, ossia l'epoca in cui lo Zanetti attendeva alla pubblicazione della sua grandiosa opera sulle zecche italiane (i). Lo Zanetti, infervorato nel suo lavoro, ad ogni momento (i) Nuova Raccolta delle inonetr e zecche d'Itali;!. Bologna, IT]S' 1789; cinque volunii in-4 con tavole. BIBLIOGRAFIA 49i{ tempestava il suo amico Marini per aver nuove notizie sulle varie zecche che stava studiando. Il Marini, coi tesori pos- seduti dalla Vaticana, poteva quasi sempre accontentare l'amico, e cosi vediamo che successivamente gli manda libri, documenti, contratti di zecca, tariffe monetarie, bolle ponti- ficie sulle zecche di Foligno, Fermo, Benevento, Macerata, Rimini, Recanati, Aqtiileia, Viterbo, Fano, Massa Lombarda, Castro, Peugia, Parma, ecc., ecc., e ne riceve in contrac- cambio vino, rosolio e salati. Lo Zanetti, del resto, si ri- cordò sempre dei favori ottenuti dall'amico bibliotecario, e in vari punti della sua opera ne ha fatto un doveroso cenno. Colle ultime lettere il Marini manda all'amico dei docu- menti sulle zecche di Messerano e di Montanaro. Di queste zecche non vi è traccia nell'opera dello Zanetti. Se ne tro- verà probabilmente fra i numerosi suoi manoscritti che da tanto tempo giacciano inediti e dimenticati e che forse presto vedranno la luce. Nella lettera n. 46 si fa parola della Zecca di Parma, pubblicata dall'Affò, e inclusa nel V volume dell'opera dello Zanetti. Vediamo da questo cenno che lo Zanetti non si era limitato a pubblicare il lavoro dell'Affò, ma vi aveva effica- cemente collaborato. Un altro interesse ci offre la lettura di queste lettere nei numerosi cenni biografici e bibliografici di pressoché tutti gli scrittori di numismatica di quell'epoca. Ci passano sovente in rassegna i nomi dell'abate /. Affò, del conte Bat- taglini, del card. Zelada, del card. N. Antonelli, del cardi- nale Garampi, di mons. Borgia, del conte Avogadro, di Vincenzo Bellini, dell'ab. Oderico, dell'ab. Zaccaria, di Giorgio Zoega, di Jacopo Taggi-Biancani, ecc., ecc., con giudizi sulle loro opere, sul loro valore. Scorrendo queste lettere vediamo poi quanto fosse al- lora diffusa la passione per le raccolte, e quanto fossero ri- cercati i libri di numismatica e specialmente le nuove pub- blicazioni. Ad ogni pie sospinto si parla di spedizioni, di proposte, di scambi di tali opere. Tutto questo complesso, insomma, di chiacchere. fra i due amici ci dipingono al vivo, come in uno specchio, il movimento numismatico di quell'epoca, specialmente* per 4^2 BIBLIOGRAFIA quanto riguarda le monete di zecche italiane, che allora co- minciavano ad essere seriamente studiale, mentre gli scrit- tori del secolo antecedente si erano quasi esclusivamente occupati di numismatica classica. Un plauso sincero va tributato alla direzione della Bi- blioteca Vaticana per la pubblicazione di questi interessanti carteggi inediti e noi facciamo voti che molte altre Biblio- teche ne seguano l'esempio. E. G. Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe. Rivista quadrimestrale. — Maddaloni, 1916, anno I, n. i. Questa nuova " Rivista scientifica „, pubblicata sotto gli auspici dell'Associazione Storica di Piedimonte d'Alife, deve la sua origine all'iniziativa del prof. cav. Raffaello Marrocco locale ispettore onorario di monumenti e scavi, il quale seppe trasfondere ne' suoi conterranei il proprio amore delle anti- chità patrie, aprendo così una nuova fonte di studi storici, archeologici e numismatici. Sono appunto questi ultimi che ci offrono^ l'opportunità o, meglio, ci impongono il dovere, di annunciare ai nostri lettori il nuovo periodico, al quale auguriamo una lunga vita prospera e feconda. Ma non è solamente l'eventualità di qualche argomento numismatico che ci fa segnalare la nuova pubblicazione. In esso la Numismatica assume un interesse affatto speciale, una interpretazione nuova e si mette in posizione di scoprire nuovi orizzonti. L'Associazione storica di Piedimonte d'Alife, inaugurando nello scorso gennaio la sua costituzione, affidava all'illustre prof. dott. Posteraro, addetto al Gabinetto Numismatico del Museo di Napoli e che in quell'epoca si trovava sotto le armi in Piedimonte, al comando di una compagnia del 40." Fanteria, l'incarico di una conferenza per la solenne occasione. Quella conferenza che ha per argomento, Origini cT Ali fé, Simbolismo delle sue tradizioni e della sua moneta, venne difatti tenuta il giorno 9 gennaio scorso ed è riprodotta in BIBLIOGRAFIA 423 testa al primo numero deWArchivio stesso. E in essa, l'au- tore espone un programma. Prendendo come punto di par- tenza le poche monete d'Alife, l'autore si presenta quale araldo di una nuova interpretazione scientifica della mitologia in genere e delle numerosissime espressioni di questa nella lunga serie di monete coniate nella Magna Grecia e in Sicilia. La nuova scuola vorrebbe interpretare la Mitologia in modo scientifico, vedervi cioè qualche cosa di simile oppure un sostituto alla chimica moderna, per la scienza delle me- tamorfosi e delle trasformazioni e per la spiegazit)ne poetica delio svolgimento dei fenomeni naturali. Il nuovo punto di vista può riuscire più o meno accetto agli studiosi ; ma in ogni caso è degno di considerazione e certo provocherà delle discussioni. Gli è per questo che, non potendo essere rinchiuso nell'angusto spazio di una re- censione — nella quale mancherebbe poi il contradditorio — la Direzione della Rivista ha creduto opportuno, previa per- missione degli autori, di pubblicare in questo numero (i) la Prolusione del Posteraro e, insieme a questa, altro articolo del Marrocco sulla " Monetazione Alifana „ apparso lo scorso anno nel 2,° numero della Rivista del Sannto. Questa può essere l'inaugurazione di una sene di pubblicazioni mitolo- gico-numisniatiche, le quali faranno più largamente conoscere le nuove teorie, aprendo così il campo ad una eventuale di- scussione fra gli studiosi della numismatica greca. Era giusto che dall'Italia Meridionale, l'antica madre della più splendida sene di monete , dovesse venire il soffio di vita, che dopo tanti secoli, le rianimasse. È quella la patria naturale della nuova scuola, che si assume l' in- carico di rivendicare all'Italia lo studio e l'interpretazione delle nostre ricchezze artistico-numismatiche, sotto una luce più vera, più calda e più viva di quanto non abbia fatto finora la cultura straniera, che quasi se n'era appropriato il monopolio. La Direzione. (i) Vedi pag. 299 a pag. 320. 4^4 BIBLIOGRAFIA Herrera (Adolfo). Et Duro. Madrid, 1914, Imprenta y Fo- totipia de J. Lacoste, due volumi in-4.° di pagg. 523 e 53 tavole. Il titolo è completato dalle parole: " estudio de los reales " de a ocho espaiìoles y de làs nionedas de igual o apro- u ximado valor labradas en los dominios de la corona de tf Espana „ con le quali viene chiarito il significato dei nome Duro e determinati i limiti del lavoro. Nei due volumi che lo compongono si contiene infatti la descrizione, accompa- gnata da opportune riproduzioni raccolte nelle tavole, delle grandi monete d'argento dei monarchi spagnoli, la cui serie comincia con Carlo V per finire con Amedeo di Savoja, il principe italiano che combinazioni politiche posero per breve tempo sul trono dei Re Cattolici, La intera serie è divisa in dieci gruppi corrispondenti alle monetazioni della Spagna propriamente detta e a quelle dei vari domini ad essa sog- getti, gruppi naturalmente suddivisi a seconda delle varie località che furono sede di zecca. Il lavoro è condotto con diligenza somma, e la riunione in un solo corpo di ben 2432 pezzi di grande modulo, molti de' quali di alto interesse ar- tistico, riesce assai piacevole ed istruttiva. Le monete battute a Milano, a Napoli, nella Sicilia e nella Sardegna costituiscono quattro di questi gruppi e rap- presentano per noi italiani la parte più interessante dell'opera, perchè vi troviamo riuniti e disposti in ordine cronologico tutti quei maestosi pezzi d'argento che coi vari nomi di scudi, ducatoni, piastre, reali e filippi e relativi multipli, furono emessi durante la dominazione spagnola in quelle quattro regioni ed ebbero largo corso anche nel rimanente d' Italia. L'A., pur mostrandosi assai edotto della non piccola bi- bliografia delle monetazioni spagnole in Italia, non è sempre d'accordo con i nostri scrittori nella distribuzione dei singoli pezzi nei vari gruppi, mentre non si è nemmeno occupato, forse per la difficoltà che presentava la cosa, di ricercarne le zecche. Siccome poi non ci dà alcun indizio dei criteri seguiti in queste assegnazioni, così mi faccio lecito di ac- cennare qui ad alcune di tali divergenze e anche a qualche omissione, perchè il rilevarle non solo non toglie nulla al merito o alla importanza del lavoro, ma può dar motivo ad BIBLIOGRAFIA 425 aprire sui punti controversi una discussione utile a dissipare i dubbi che possono restare nell'animo dei lettori. Nel gruppo delle monete della Sicilia sono comprese coi numeri 1257 e 1238 due varietà dello scudo di Carlo V che da un lato ha lo stemma inquartato in petto dell'aquila bicipite e dall'altro la croce fiorata con quattro corone al- l'estremità delle braccia ; di questo scudo non si conoscono esemplari e solo se ne ha notizia da vecchie tariffe ; però un mezzo scudo simile fu collocato sotto la zecca di Napoli nel catalogo di vendita della raccolta S^ mhon, e alla stessa zecca tanto l'intero che le frazioni furono attribuite senza alcuna titubanza, in base a documenti, da Arturo Sambon nello studio ** Les Monnaies de Charles V dans l'Italie Me- ridionale „ [Annuaire de la Société Frattfaise de Numisma- tique, XVI) e, dopo di lui, dal Cagiati. In questo stesso gruppo (n. 1259) si trova il famoso scudo ossidionale del quale viene riprodotto sulle tavole quel primo esemplare mal conservato pubblicato dal Fusco, che diede luogo alla erronea lettura di SENATOR in luogo di SCVTO ■ R -, dalla quale derivò, nonostante la data, una pre sunta attribuzion': all'assedio di Roma. La lettura del Fusco esercitò una specie di suggestione sui possessori e gli scrit- tori successivi che continuarono ad assegnare la moneta alla zecca di Roma, suggestione alla quale non sfuggì nemmeno il nostro A., che dopo averlo ricordato come battuto a Roma nella prefazione, finì poi per collocarlo nel gruppo siciliano. Ora però dopo la esuriente dimostrazione data dal Sambon nello studio su ricordato, non può restar dubbio alcuno che lo scudo stesso e la relativa metà siano stati coniati nella zecca di Napoli mentre questa città era stretta d'assedio dai francesi nel 1528. Un altro scudo di Carlo V non è al suo posto in questo gruppo e cioè quello descritto col n. 1260 che porta al rovescio l'aquila sul globo e la leggenda SVVM CVIQVE che i fratelli Gnecchi e più recentemente il " Corpus Nummorum Italicorum „ assegnano alla zecca di Milano. Dei successori di Carlo V poi vi troviamo lo scudo di Filippo III con l'aquila e la leggenda QVOD • VIS (n. 1268) che il catalogo Sambon e il Cagiati ritengono uscito dalla zecca di Napoli. M 426 BIBLIOGRAFIA Dal gruppo di Napoli per contro dovrebbe togliersi il ducato d'argento di Filippo III descritto col n. 1285, che il catalogo Sambon descrive sotto la zecca di Messina, mentre il Cagiati lo esclude dai prodoti i dell'officina n&politana, della quale invece non vi è descritto il ducato di Carlo II col tosone (Cagiati n. 4). Finalmente nella serie milanese si cerca invano il duca- tene di Filippo II con Atlante, descritto dai Gnecchi al n. 29 e dal " Corpus Nummorum „ al n. 279. Alla descrizione delle singole monete l'A. antepone una nota illustrativa con accenni alla rarità e, per alcune anche alla quantità lavorata nelle varie emissioni. Da queste note mi piace trarre quelle relative ai pezzi da cinque pesetas di Amedeo I, perchè hanno uno speciale interesse anche per i raccoglitori italiani. Di essi dunque furono emessi n. 21586200 così distribuiti : 1871 5936978 1873 2870046 1872 7704184 1874 5074992. Il più curioso però è che tutti portano ben visibile la sola data del 1871, mentre la vera epoca della emissione risulta da numeri microscopici posti nelle due stelle che si trovano nel diritto in basso ai lati della testa del Sovrano. In fine del libro v*è una rassegna biografica degli inci- sori che lavorarono i coni delle monete e delle medaglie dei Re di Spagna, tra i quali figurano i nomi dei nostri artisti migliori. G. Majer. Cagiati (Memmo). Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d' Angiò a Vittorio Emanuele II (fase. IX, parte III). Le zecche siciliane. Napoli, 1916. Il eh. Autore, completata coll'ottavo fascicolo della sua opera poderosa l' illustrazione della zecca di Napoli, e di quelle delle sue città minori, inizia in questo nono fascicolo la serie delle zecche siciliane, descrivendo le monete di Mes- sina, da Carlo I d'Angiò (1266-1282) a Ferdinando II d'Ara- gona (1479-15 16). Il sistema seguito dall'Autore in questa terza parte del suo lavoro è identico a quello da lui adottato per le altre due. Ad ogni sovrano è premesso un importante BIBLIOGRAFIA 427 cenno storico, che ne illustra i fatti più salienti; segue poi la descrizione delle sue monete, illustrate, ad ogni nuovo tipo, da bellissimi disegni. Il lavoro è poi preceduto da una copiosa bibliografia. Ben a ragione l'egr. Autore, ne' suoi cenni preliminari, si lagna dell'abbandono e della noncuranza in cui furono sempre lasciati i ciraelii medioevali e moderni della Si- cilia, che quindi, in gran parte sono scomparsi. Lo stesso deve dire delle monete, che ben pochi si curarono di rac- cogliere e studiare, talché * nei Cataloghi delle più ricche " collezioni di monete di zecche italiane vendute a pubblico " incanto, nelle collezioni Fusco e Sambon, nel genere tra " quelle di maggiore importanza, noi troviamo molto scàr- " samente rappresentate le zecche di Sicilia „. L'Autore deplora inoltre l'impossibilità di esaminare le monete di questa serie nei nostri gabinetti numismatici, i quali, per la massima parte si trovano in gran disordine, in completo abbandono e sprovvisti di Cataloghi. L'Autore ha tutte le ragioni, e noi ci uniamo di cuore a Lui nel lamen- tare questo grave inconveniente, che rende tanto difficile agli studiosi il mezzo di poter usufruire di tanti tesori rac- chiusi o, diremo meglio, sepolti nei nostri Musei. Appunto per questo gli studiosi devono essere ben grati all'egr. Autore, il quale, in mezzo a tante difficoltà, si è sob- barcato al penoso lavoro di compilare questa illustrazione di monete assai poco conosciute. La sua opera è certo il miglior incitamento per far rinascere l'amore e lo studio di questa importantissima serie di monete italiane. E. G. Dieudonné (A.). Manuel de Niimismatique fran^aise par A. Blanchet et A. Dieudonné. Tomo H, per cura di A. D. — Parigi, Augusti Picard, 1916, pag. x-468 e tavole illustrative I-IX. Questo secondo volume del Manuale di numismatica francese più completo e più utile agli studi nostri, che sia uscito per le stampe in Francia in questi ultimi anni, è in- dispensabile e degno compimento del primo volume di nu- mismatica francese, curato dai Blanchet, di cui si é parlalo 428 BIBLIOGRAFIA a SUO tempo, e illustra le monete regali francesi da Ugo Capete alla Rivoluzione. E stato curato e redatto fino alla sua più possibile perfezione dall'illustre numismaiico Dieu- donné, già favorevolmente noto anche al pubblico dei numi- smatici italiani per altri lavori scientifici, conservatore ag- giunto alla sezione numismatica della biblioteca nazionale, e onorato del premio di numismatica medioevale. Bisogna davvero congratularsi con l'autore se, non ostante le preoccupazioni dirette e incessanti della guerra nazionale in Francia, e vincendo le difficoltà d'ogni sorta create dalle condizioni del periodo presente al lavoro tipo- grafico ed editoriale, questo volume, con lodevole perseve- ranza e coraggio, fu condotto a termine e pubblicato entro l'anno 1915. Ma non si deve, del resto, credere che tale lavoro sia di fatto così estraneo agli avvenimenti storici e politici, come a prima vista potrebbe parere un lavoro di numismatica francese ! Giustamente l'autore nella prefazione esclama ; A la fagon doul nous comprenons la numismatique fran- gaise, les annales de notre pays, le passe de la France y sout intimement liés ; or jamais l'histoire n'a eté si vivante qu'en ce temps-ci. Puis, quelle meilleure application de l'esprit critique que ce genre de recherches ! Le libre examen est pernicieux dans les domaines qui touchent de près à l'action, où l'esprit de foi et d'obeissance sont de rigueur ; sur le terrain de l'érudition, au contraire, il est fécond et prépare le progrès scientifique de demain „. Del resto, per la numismatica francese medioevale, che emana dall'autorità costituita, il testo numismatico stesso, che si fonda sul documento, è per sé testimonio sicuro e impor- tante, e da questo lato esercita la critica sana, non quella soggettiva dell'artista, e come esprime un altro illustre sto- rico francese : " le texte empèchc les écarts de l' imagina- " tion, guide l'esprit, donne à l'argumentation une base iné- " branlable „• Noi pertanto ci congratuliamo sinceramente con l'autore se coraggiosamente colmò in questo periodo una vera e propria lacuna nella bibliografia numismatica medioevale e moderna, poiché ritrattò tutto l'argomento con la visione di- BIBLIOGRAFIA 429 retta dei monumenti e con l' illustrazione del maggior nu- mero di monete, e questo era doppiamente necessario per le monete regali di Francia, e in genere per tutte le monete francesi dal Medio Evo alla Rivoluzione. Queste erano finora poco conosciute e apprezzale, appunto perchè mancava una guida sicura e completa che le illustrasse e ne facesse com- prendere r importanza, non ostante il minor valore artistico e la minore varietà, ch'esse possano avere a differenza delle monete greche e romane, o di quelle della Rinascenza italiana. Il volume del Dieudonné è molto opportunamente diviso in tre libri, di cui il primo contiene i dati generali e le de- finizioni tecnico monetarie, il secondo la parte storica della moneta francese, il terzo la loro descrizione. Il primo libro è a sua volta suddiviso in sette capitoli, che trattano i seguenti temi: Capitolo i.° Organizzazione monetaria; 2.° Fabbrica- zione delle monete; 3." Materia di cui sono fatte le monete e formazione delle leghe monetarie; 4-** Della coniazione delle monete; 5.** — Pezzi moneti/ormi; 6° Valore economico della moneta e cause delle sue oscillazioni ; 7.** / nomi delle monete francesi e le loro variazioni. Il secordo libro analizz \ nel primo capitolo la storia po- litica e amministrativa della monetazione francese, nei sci periodi principali del suo sviluppo, da Ugo Capeto fino alla decadenza della monarchia con Luigi XV e XVI e l'avvento della Rivoluzione, cioè dall'anno 987 al 1793. Ne è una specie di illustrazione dal lato finanziario ed economico della mo- neta il difficile e importante capitolo secondo, che esamina i vari sistemi monetari, le restaurazioni successive fino alle * réformations „ del periodo di Luigi XIV e di Laco. Il terzo capitolo è più interessante dal punto di vista estetico, e tratta della storia artistica della moneta francese, dai tipi carolingi e urbani del tempo dei denari parigini e dei tornesi. attraverso la evoluzione dei grossi e degli scudi d'oro, fino al testone con i ritratti del tempo di Germain Pilon '1513-1610). Succede lo studio esauriente della riforma da Nicolas Briot a Vann e all'uso del bilanciere, con la storia dell'opera dei Roeitiers, di Duvivier, di Agostino Duprè. Segue uno studio comparativo dello sviluppo della epigrafia numismatica francese. 43° BIBLIOGRAFIA Forma la terza parte del volume, e ne assorbe la mela del contenuto, il libro IH, da pag. 200 a pag. 393, cui se- guono, come appendici, l'elenco delle officine monetarie, quello degli zecchieri, o maestri di zecca e loro assistenti fino a Enrico II e sotto il periodo della Lega, l'indice bi- bliografico e r indice analitico. La parte descrittiva del libro III, che riesce quella più direttamente utile non tanto agli storici, agli economisti e ai critici d'arte, quanto ai numismatici collezionisti, è molto chiara e molto accurata, e cerca di togliere, sia con la saggia di- stribuzione, sia con la facile e precisa esposizione, le difficoltà non poche dei primi periodi della monetazione francese, spe- cialmente da Ugo Capeto a Luigi VII (987-1180), da Filippo Augusto (i 180- 1223) ai due Luigi VIII e IX (1223-1266), fino alla introduzione del grosso {gros) dal 1266 al 1270, e dopo, da Filippo il Bello a Carlo Vili (1285-1483). Per ogni prin- cipe, il Dieudonné Ha il prospetto dei pesi e dei valori delle monete, secondo le vane emissioni, fa seguire un riassunto bibliografico, utilissimo per ulteriori ricerche, e poi divide la illustrazione secondo i metalli {monnaies d'or, d'argent, de billon, de cuivre, monnaies noires, o di lega infima, in con- fronto con la mannaie bianche^ di vera lega argentea). Importante e utile fu l'aggiunta al cap. XXXI del libro III, e cioè all'antipenultimo, della illustrazione di tutte le monete coniate dai re di Francia in Italia, in Spagna e nelle colonie. Una parola meritano anche le nove nitide tavole, che seguono cronologicamente lo sviluppo storico e artistico della moneta francese, e sono distribuite come segue: tav. I, da San Luigi a Giovanni il Buono; II, da Carlo VI a Lui gì XI ; III, da Luigi XIII a Francesco I, a E?irico II ; IV, da Carlo IX a Enrico //'; V, da Litigi XIII a Luigi XIV; VI, Luigi XV e XVI; VII, Monete del Delfinato. di Pro- venza^ di Borgogna ; Vili, Monete di Navarra, Fiandra, Strasburgo, monete coloniali e false dell'epoca ; IX, monete coniate in Italia e in Ispagna. La Rivista augura il buon successo che merita all'opera .del numismatico Dieudonné e dell'editore Picard. S. Ricci. BIBLIOGRAFIA 43 1 Newell (Edward T.). The cinted Alexander coirtage of Sidon and Ake. Volume II delle Yale Orientai Series. — New Haven, Yale University Press (London : Hum- phrey MilforH ; Oxford: University Press), 1916. Volume di pag. 72 e IO tavole, di cui le prime quattro illustrano le monete di Sidone, la 5.^ monete di Sidone e di Ake, le ultime cinque esclusivamente le monete di Ake. Lo studio del giovane numismatico Newell, che visitò anche il nostro Museo Numismatico di Brera in Milano e ne trasse incoraggiamenti e studi di confronto nell'ampia colle- zione macedonica, è un bel saggio di numismatica greca comparata, contando i confronti coi risultati delle sue ricer- che in diciassette collezioni pubbliche e in dieci private. Si può dire che le monete macedoniche di tutto il mondo an- tico e nuovo sono state messe a contributo dal valoroso e dotto studioso americano. Fra i contributi italiani notansi le collezioni pubbliche del R. Museo di Antichità di Torino e del Museo Nazionale di Napoli, e la collezione privata di un valente numismatico italiano, del cav. Giovanni Dattari, che è al Cairo; non è citato il Medagliere Nazionale di Brera per un incidente do- loroso dovuto al caso, non alla volontà di alcuno. Il Newell lasciò a Brera la nota dei calchi, che dovevan essere tratti dalle monete ch'egli aveva studiato presso il R. Gabinetto Numismatico, e poi scomparve, e non si fece più vivo a Milano, né in persona, né per lettera. La nota, confusa non si sa in che modo con la corrispondenza della Direzione, o entrata in qualche periodico, non si trovò più, e a nulla val- sero le richieste ripetute del Direttore, perché non si potè più riavere, forse per i continui viaggi e spostamenti di re- capito del Newell. Unica speranza mi rimane a compenso dell* involontario danno, ch'egli poi, confrontando fra loro tutti i calchi ricevuti, non trovasse quelli attesi come pro- venienti dal Medagliere di Milano di tale importanza, da dover essere riprodotti sulle tavole, come ne fanno fede anche le altre collezioni pubbliche italiane, che, citate nell'elenco di consultazione, non lo sono nell'elenco delle monete ripro- dotte sulle tavole. Poiché mi parrebbe impossibile che il Newell stesso, nel suo interesse, non mi avesse dovuto ri 432 BIBLIOGRAFIA mandare la nota dei calchi da fare e qualche sollecitatoria, se davvero avesse notato che tale mancanza fosse stata di danno scientifico al suo lavoro. Il quale è riuscito importante ed esauriente per le due officine della monetazione di Alessandro Magno a Sidone e ad Ake, di cui il Newell ha rilevalo sette serie monetali per Sidone, distribuite in ordine cronologico come segue : Serie I, 333-330 a. C. ; II, ottobre 331-ottobre 327 a. C; III, ottobre 327-1.* parte dell'anno 323 a. C. ; IV, metà del 323- I.* parte del 320 a. C. ; V, metà 320-ottobre 317 a. C. ; VI, fine 317-ottobre 309 a. C; VII, ottobre 309-ottobre 305 a. C. Per l'officina monetaria di Ake, il Newell trova pure sette serie monetali con qualche variante di periodo crono- logico in confronto con la serie di Sidone, come segue : Serie I, 332-330 a. C. ; II, 329-328 a. C. ; III, 327 a. C. circa; IV, 326-321 a. C. ; V, 321-317 a. C; VI, 317-307 a. C. ; VII, 307-304 a. C. Le osservazioni che il Newel fa seguire a questa distin- zione di serie, tanto per l'ofTicma di Sidone, quanto per quella di Ake, sono molto acute, e mostrano il risultato di studi profondi su tutta la monetazione del grande Macedone, con lo sfondo storico dei fatti, tolto dalle due opere più impor- tanti della storia di quel periodo, quella del Droysen {Ge- schichte des Hellentsmus) nella sua 2.^ edizione, e quella del Niese {Geschichie der griechischen und makedonischen Staaten); cosicché tutta la datificazione, per così dire, della immensa monetazione macedonica risulta dallo studio del Newell rin- novata e precisata, per quanto è possibile e il materiale nu- mismatico rimastoci lo con'cede. Da questo lavoro appare ancor più chiaramente — se pur ce ne fosse bisogno — il nesso intimo che vi è tra la storia e la monetazione dei sin- goli popoli antichi. S. Ricci. Finitd di stampare il 5 ottobre 1916. RoMANENGHi Angelo FRANCESCO, Gerente responsabile '«•«««••««♦«••««««♦••♦i •*•»••*••»«««••*«•«»«»• FASCICOLO IV. TOPOGRAFIA E NUMISMATICA CM IBLA GALEOTIS La ricerca del sito di Ibla Galeotis ha subito varie vicende e se ora, latti sul luogo degli scavi, la posizione topografica di essa è in qualche modo tra le più note della Sicilia, è ancora incerta la sua primitiva storia. Tucidide (VI, 62. 5) fa menzione di v;ì>.x r. leXexTi;, come città sicula; Diodoro (XI. 88) la chiama città libera ed indipendente; Pausania (V, 33, 6) intorno alle Ible sicule scrive : ^Jo ^è hdav èv i:'.y.sXìy. ^ròXei; ai "^T^Dat (f, uiv\ rtozìzii ZTsvAkfttty, tt,v ^è ('òr— sp ye Asd (t.v) sxàXovv v^'.?[ov«, cjrovci Ss XX'. /.xz' :y.t in tx òvòj/-aTa èv tt, xaravaia, 6z T. tx£v esnjAo; à{ xxx^, r. ^s x<òu.t, te xxravauov _ e Stefano Bi- zantino alla voce rxXwòTa», chiama i cittadini di Ibla Lo Storico della guerra del Peloponneso (HI, 103) dà maggiori indicazioni sul sito di Ibla e rac- conta che Tesercito ateniese nella guerra contro Si- racusa, ritornando da Centuripe a Catana, bruciava le messi degli inessei e degli iblensi. La narrazione tucididea indica chiaramente che Ibla Galeotis do- veva essere situata tra Aetna-Inessa e Catana. Gli autori moderni non sono tutti concordi nel 436 SALVATORE MIRONE determinare il sito della città : V Hunter, deviando dal retto sentiero, crede di trovarla nell'odierno Belpasso; il Carrera la situa presso Paterno nella contrada chiamata Acqua Rossa o Acqua di Ferro; il Fazello è in dubbio sul sito di questa città; il Cluverio, il La Scine ed il Baudrand la riconoscono nel sito dove poi fu edificato l'odierno Paterno e dell'opinione di questi ultimi sono il Parthey, lo Schubring ed i moderni cartografi. L'Alessi {Storta critica della Sicilia, Catania. 1835, voi. I, parte II. pag. 322) fissa il sito di Ibla Galeotis dove fu rin- venuta Tara votiva sacra a Venere Vincitrice Iblense. Il Freeman [History of Sicily, Oxford, 1891, voi. I, pag. 159) scrive che il grande castello costruito a Paterno dal conte Ruggero indica il posto della dea patrona Ibla. L' Holm {Storia della Sicilia, Torino, 1896, voi. 1, pag. 153) è dell'opinione che il posto di Ibla sia stato nel luogo del castello dell'odierno Paterno, fondato sopra una ripida roccia presso il Simeto nell'anno 1073, durante l'assedio di Catania. Invece il Pais ed altri scrittori sostengono che il /twfAYi TE )caTava'.tóv di Pausania sia Tibia Etnea spe- cialmente per l'iscrizione sepolcrale C, I, L, X, 71 dove si fa menzione di una bambina, nata ad Ibla e seppellita a Catania. Ibla, seguendo il Pais, non solo doveva essere un vicus di Catania, ma anche non molto distante da essa. Il Savasta {Notizie sto- riche di Paterno, Catania, 1905, pag. io e seguenti) sostiene con vari argomenti che Paterno sostituisce l'antica Aetna, non come un paese che viene a sor- gere sulle rovine di un altro, ma per solo cambia- mento del nome. Tali argomenti sono poco convin- centi perchè generalmente si sa che Ibla si è con- servata come paese e forse come casale di Catania fino alla fondazione del borgo e della città di Pa- terno nel secolo undicesimo. TOMOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS 437 Gli abbondanti avanzi archeologici trovati presso l'Acropoli vulcanica di Paterno dimostrano che è esatta la narrazione tucididea e che ivi è fiorita una antica città sicula e greca {Rivista di storia antica, V, 55). L'Ibla Galeotis dovette indubbiamente esi- stere a Paterno e precisamente, secondo l'Orsi {No- tizie scavi, 1909, pag. 85), la primitiva città doveva raccogliersi attorno alla grande rupe isolata, su cui si erge il torrione che vuoisi normanno ; tale rupe costituiva una formidabile acropoli naturale, ed in- fatti nelle nere e frastagliate rocce che la cingono a mezzogiorno, veggonsi ancora campate in aria celle sicule a forno. L' incertezza regna sulla fondazione della cittii, che sfugge ad ogni ricerca e si perde nel buio di un'epoca preistorica, circa la quale i più autorevoli scrittori antichi della Sicilia non danno esatte e complete notizie. Stefano Bizantino racconta che la città venne chiamata Ibla. perchè Iblone re dei siculi, la edificò con una colonia di megaresi. Pietro Carrera, fondan- dosi su una lettera di un certo Diodoro, scrittore antichissimo e distinto dall'omonimo storico (?), opina che Ibla venne fondata dai Catanesi e che poi fu disfatta, ma ignora il tempo di tale avvenimento. Come ben nota l'illustre storico siciliano, l'Alessi, (op. cit , voi. I, parte IL pag. 322) la città di Ibla è indubbiamente di origine sicana o sicula e la sua fondazione confina con le epoche favolose e quando i greci vi si stabilirono dovettero riunirsi agli antichi abitanti o cacciarli. Un altro punto oscuro, che dovrebbe essere chiarito, è la quistione del nome, perchè la etimo- logia di esso manca di una spiegazione conclusiva. Assodato che il nome di Ibla non e una località caria e che la parola usata da Menodoto Samio 43^ SALVATORE MIRONE presso Ateneo XV invece di £^? 'vfiXav dovrebbe es- sere si; rXkx'jxkxy ed essendo una leggenda la fonda- zione da parte del re Iblone, si può ritenere che il nome della Dea e della città sia una traduzione greca di una parola del linguaggio dei sicani o dei siculi. Non conoscendosi la lingua di questi due po- poli non si può lare con tutta certezza alcuna affer- mazione, ma si intuisce chiaramente che la voce grecizzata ìfiXai abbia una stretta attinenza all'appel- lativo dell'acqua minerale della sorgente Maimonide. perchè i siculi ebbero una tendenza a divinizzare le tonti ed i fiumi, dando il relativo nome. Ibla dovette essere una città sui generis, per- chè come narra Pausania (V, 23, 6), vi era un tempio della divinità iblea, molto riverito dai sice- lioti ; ma la città era deserta (forse nel significato di un piccolo casale) all'epoca dello storico, che scrisse le sue opere in parte sotto i regni di Adriano ed Antonino e che le finiva sotto Marco Aurelio dopo il 174. Attorno al tempio vi era una numerosa corporazione di sacerdoti, che erano famosi nell' in- terpretare i sogni ed i presagi. Ora il tardo ingresso di Ibla nella storia della monetazione fa supporre che in origine e dopo vari secoli dallo stabilimento dei greci in Sicilia essa non sia assurta al grado di una vera e propria città ma che sia stata solamente un santuario della Dea Ibla, solitario nella campagna etnea, avendo come popolazione una numerosa co- munità ieratica attorno al tempio della divinità, né più ne meno come nell'epoca cristiana, specialmente nel medio evo, hanno acquistato grande importanza dei santuari con conventi in aperte campagne e lon- tani da centri rurali ed urbani. A questa jìopolazionc permanente e sedentaria si deve aggiungere quella fluttuante dei fedeli, che viene per adorare la Dea e che riparte dopo avuto il responso della divinità TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI lEI.A GAI.EOTIS 439 per mezzo dei sacerdoti indovini. Non si potrebbe del resto giustificare in altro modo la tarda moneta- zione di Ibla, quando si pensa che anche piccole città della Sicilia, autonome o no. fin dal periodo arcaico o fin dal periodo di transizione hanno avuta la loro zecca ed anche una ricca monetazione. Non può recare meraviglia quest'opinione quando si sa che il vicino Adrano, fondato da Dionisio il Vecchio, fino all'anno 400 a. C. non era altro che un famoso santuario solitario nella campagna etnea e quindi Ibla gradatamente, senza intervento di alcun oichista, per la sua grande nomea ha veduto aumentare la sua popolazione ed è assurta ad una vera città senza accorgersi. Pausania (V, 23, 6) ta poi sapere che in tale santuario era venerata la Dea Ibla, il di cui culto è considerato dallo storico siracusano Filisto come in- digeno e che all'epoca di Dionisio era già ellenizzato, e, descrivendo le famose statue di Olimpia, narra che vicino al cocchio del tiranno Cerone vi era la statua di Giove, dono degli iblei. Non deve considerarsi come casuale la statua votiva degli iblei in Ohmpia accanto al cocchio del potente principe siracusano, ma come un vero atto politico, perchè Cerone, volendo se- guire una politica di penetrazione nelle regioni etnee, come lo dimostra il tentativo d' innalzare un tempio a Demetra in queste contrade e non condotto alla fine per la sua morte (Diodoro, XI, 26, 7), aveva tutto r interesse di procacciarsi la simpatia delle po- polazioni sicule, presso le quali il culto della Dea Ibla era in grandissimo onore. Il culto ha incomin ciato certamente a ellenizzarsi per opera di questo principe e l'originario appellativo di Cereatis, tra- sformandosi in seguito in Celeotis. ricorda in certo qual modo il nome del tiranno siracusano e della sua patria Cela. Non va dimenticato poi che chi magni- 44° SALVATORE MIRONE ficava il santuario d' Ibla, lo storico Filisto, era un cittadino siracusano e, quel che è più, un insigne uomo politico. Tutti gli scrittori sono concordi nel determinare il carattere indigeno della Dea Ibla. L' iscrizione tro- vata a Paterno a Venere Vincitrice Iblense (Castelli, Iscriz. di Catana, Panormo, 1769, pag. io; Momm- sen, C. I, X, 70T3) conferma che la Dea nel periodo ellenico e successivamente in quello romano era iden- tificata con Venere od Afrodite e quindi rappresen- tava il concetto della generazione della terra. Il suo appellativo Gereatis, non essendo una corruzione dell'altro Galeotis, fa pensare che in origine si sia riferito alla dea, perchè la parola yspsaT'.? si potrebbe mettere etimologicamente in relazione con quella antica ysppa o yèppai usata dai siculi per significare xà àvXpeia /.xi yuvat/tsia aìSoìia e per dinotare il concetto della fecondità e della generazione. Del resto la stessa parola ysppa esiste nel culto di Afrodite (Esi- chio-ad V Kaibel, Cam. graec. frag., 1899, I, pag. 122). Senza dubbio ci troviamo di fronte al culto di quelle divinità telluriche che furono tanto comuni in Sicilia a causa delle manifestazioni vulcaniche ed in questo caso la Dea, presiedendo ai fenomeni natu- rali del luogo, dettava i suoi responsi comunicando con le regioni di sotterra (Freeman, op. cit., voi. 1, pag. 159; Ciaceri, Miti e culti della storia antica di Sicilia, Catania, 191 t, pag. 15; Rapisarda N., Sul sito di due antiche città Inessa-Aetna ed Ibla Galeotis, Catania, 1913 pag. 15). Era naturale che questo culto sia nato ed abbia acquistato una grande im- portanza presso i siculi quando si sa che le prime manifestazioni del sentimento religioso di questo po- polo si siano riferite più o meno direttamente alle vicende della vegetazione ed ai fenomeni tellurici. La religione dei siculi, pur non avendo una teologia TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS 44I sodamente stabilita, ammetteva una certa importanza a taluni fenomeni nei quali pareva manifestarsi una potenza soprannaturale, specialmente alle misteriose forze sotterranee, le quali danno segno della loro esistenza nelle sorgenti di acque calde o minerali. Vicino l'odierno Paterno vi è un terreno vul- canico fangoso, denominato Salinella, che in qualche modo ha una certa rassomiglianza con gli ebullientes crateres dei Palici e vicino vi è la sorgente del- l'acqua minerale detta Maimonide. la quale con le sue ben note qualità doveva necessariamente formare oggetto di un superstizioso culto, (vedi Recupero, Storia naturale e generale dell* Etna, Catania, 1815, voi. I, i)ag. 214-220; Ferrara, Storia generale della Sicilia, Palermo, 1837, voi. IX, pag. 85-86, ed i la- vori del Silvestri, Costanzo, Aradas, Lassaulx e Grumbel, citati nella biografia storico scientifica del Crino in Atti Accademia Gioenica, Catania. 1907). Il santuario della Dea doveva indubbiamente sorgere vicino ai luoghi di queste manifestazioni na- turali affinchè la corporazione degli indovini potesse interpretare i sogni della gente ivi accorsa consul- tando la divinità per mezzo della fonte e del vul- cano. Questi indovini erano famosi neirantichità ; Esichio, sulla fede di Fanodemo, scrive: Taxeoì fAàvrw? o'JTO'. xarx tt.v 2',xò\ìav w/.T.Tav' yuà yèvo; ti, w? (prici avò«5TjfJL0? x.ai 'Pivrwv TapavTÌvo;. Cicerone {De Div., I, 20, 30) riferendosi allo storico Filisto (framm. 47) ed Eliano (XII, 46) nar- rano il sogno della madre di Dionisio il Vecchio. Avendo questa sognato durante la sua gravidanza che avrebbe dato alla luce un piccolo satiro, con- sultò quegli indovini, interpretes portentorum, dice Cicerone, qui Galeotae tum in Sicilia nominabantur. i quali predissero che suo figlio sarebbe stato assai celebre fra i greci e costantemente felice. Lo stesso 56 442 SALVATORE MIRONK Filisto racconta un'altra predizione dei Galeoti a Dio- nisio (Cicerone, De Div., I, 32 ; Plinio, Ist. nat., Vili, 64; Eliano, Ilor/ar, 'I<7Topìa^ XII, 46). Samuele Bocarto forma l'etimologia della voce Galeote, facendola derivare da Gala, nome fenicio con significato profetico ed il Gaetano {Histor. sicnì. cap. II, n. 2) opina che gli indovinamenti dei Ga- leoti siano stati fatti per arte magica. L'opinione del Gaetano non è errata perchè forse questi sacerdoti per dare i loro responsi dovevano ricorrere all'ipno- tismo ed al sonnambulismo, che all'epoca dello scrit- tore erano considerati come un'arte diabolica o magica. Invece il sacerdozio dei Galeoti si ricollega ma- nifestamente con la Grecia e sta in relazione con l'antico culto di Apollo Cario, il quale, secondo la leggenda, ebbe da Temisto, figliuola di Zabio re degli Iperborei, due figli: Telmisso e Galeote. Sem- bra risultare da un passo di Stefano Bizantino, forse alterato dall'abbreviatore, che i due fratelli erano an- dati a consultare l'oracolo di Dodona ed il Dio diede loro una risposta quasi simile a quella che ricevet- tero Lacio ed Antifemo, fondatore di Gela, vai quanto dire che esso li mandò uno all'Occidente e l'altro ad Oriente. Telmisso fondò in Caria una città con un tem- pio di Apollo Telmisseo, Galeote venne in Sicilia. I galeoi o galeotai erano dei pesci, i cosidetti pesci spada (Strab., I, 24; Plin., XXXII, 12) e forse da questo nome si può arguire che gli indovini iblei presero tale appellativo quasi a significare che se- condo la leggenda essi erano venuti dal mare per stabilirsi nel famoso santuario ibleo. TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS «^43 « • Quando nell'anno 210 a. C. Marco Valerio Le- vino dava assetto alla Sicilia, che fu la prima pro- vincia romana, Ibla Galeotis fu messa nel novero delle civitates decumanae f^Cicer., Verr., Ili, 102). Sotto la dominazione romana questa città ebbe la sua zecca e coniava una ristretta serie di monete autonome molto somiglianti fra loro per il tipo; ben s'intende la monetazione è limitata al solo bronzo come nelle altre città siciliane. Il Ciaceri (op. cit. e Megara Iblea ed Ibla Ga- leotis in Studi storici per P antichità class., Pisa, 1909, pag. 179) vorrebbe sostenere che le monete con la leggenda YBAAI MEFAAA!, attribuite da tutti i nummo- grafi ad Ibla Gereatis. devono essere assegnate a Megara Iblea dove sarebbero passati ■ il culto della Dea Ibla e la leggenda del re Iblone. A questo culto devesi principalmente se Megara prese anche il nome di Iblea, giusta l'indicazione data da Pausania (V, 23, 6) e da Stefano Bizantino alla voce "TfiXai. Contro questa opinione del Ciaceri bisogna fare notare che Megara, distrutta da Gelone, il quale trasportò in Siracusa gli abitanti più ricchi e vendette come schiavi i più poveri (Erodoto, VII, 156, 3; Tucidide, VI, 4, 2; Polieno, I, 27, 3), decadde in un modo spettacoloso tanto che all'epoca della guerra ateniese contro Siracusa era una povera città, un punto stra- tegico dei siracusani, un ) ed indub- biamente ha dovuto descrivere la posizione di questa città nel libro decimo della sua storia, del quale è pervenuto sino ai tempi odierni il solo titolo. Invece l'agirese Diodoro Siculo (XXIV-VI, reliquiae) dà maggiori indicazioni sul sito di Longone, chiamato anche Itahco od Itaho, narrando che era situato nella campagna Catanese (ek ^è tÒv Aòyywva xaTàvifK; (ppoùptov ì)7C'?ipye, xa>iO'j[/.£vov 'iTaXtov. "Owsp 7:oXe[7.7i TTeStfe) Tcepi tòv AoyYxvòv xaXo'j{/.£vov TcOTajAOv^ g Se- guendo l'opinione del Parthey, concordemente so- stengono che la città di Lòngane o Longone doveva essere situata sull'omonimo fiume nel territorio di Milazzo. Ma l'opinione di questi scrittori non è as- solutamente sostenibile quando si sa che lo storico Diodoro Siculo ha fatto sapere che nel territorio ca- tanese vi era un castello chiamato Aòyywv^ il quale deve indubbiamente identificarsi con la città di AoyyàvT menzionata da Filisto. Vero si è che molti nomi di città trassero origine dai rispettivi fiumi e che que- sta appropriazione fu molto frequente nell'Italia e nella Sicilia, ma non si deve dimenticare anche che molti fiumi bagnavano delle città senza avere lo stesso nome, come il Crisa di Assaro, l'Ippari di Ca- marina, l'Amenano di Catania, l'Assino di Nasso, ecc. Infine l'opinione dell' Holm, dell' Head e dell'Hill è campata in aria perchè facendo un'esatta pondera- 453 SALVATORE MIRONE zione del passo della storia, su cui essi si basano, risulta chiaramente che Polibio fa menzione non di una città ma del fiume Aoyyàvo?^ con il quale poi si deve correggere il >oìTavov TCOTajxòv di Diodoro, ram- mentato nei resti del libro XXII, in cui, come in altri punti della storia, vi sono molti errori di scrittura. Polibio è storico molto assennato, critico acuto e prudente, osservatore attento e conoscitore delle condizioni politiche del mondo greco e romano e dopo Tucidide è lo storico più serio dei greci. Egli visitò quasi tutte le regioni dell' impero romano per raccogliere sugli stessi luoghi cognizioni e materiale per la grande opera storica, che meditava, e con tutta certezza avrebbe fatto cenno della città di Lòn- gane posta nel territorio di Milazzo e non del fiume, massimamente che si trattava di descrivere la bat- taglia avvenuta, poco tempo prima della sua nascita, fra i Siracusani comandati da Cerone II ed i Mamer- tini, che furono sconfitti. Del resto il nome di Lon- gana viene dato ora a quella punta di terra nelle vicinanze di Milazzo ove sbocca il piccolo fiume di Castro e ricorda il fiume menzionato dal detto Po- libio (I, 9) e da Diodoro (XXII). Alle due citazioni di Filisto e di Diodoro, di- sgraziatamente frammentarie, si aggiunge che Lieo- fronte di Calcide, poeta dell'epoca alessandrina, men- ziona la Dea Longatis (520, ^<^'- TptyèwyiTo? ^«à pcwpfxìa AoyyàTi? '0|;.oXfe)ì?) e narra che anche vi era il famoso tempio della Vergine Longatis (1032, xXbvòv tSpw.a TrapQèvov AoyyàTtSo;). Licofrone avrà, con tutta certezza, avuta notizia di tale culto da Timeo da Tauromenio, che nelle sue storie andate perdute non si limitava a narrare gli avvenimenti politici e militari, ma en- trava ancora nei particolari degli usi, dei costumi, delle opinioni filosofiche e della religione. LE MONETE OI LÒNGANE O LONGONE 453 Pietro Carrera (Mem. di Cat., libro II) uno dei primi storiografi di Catania, fa l'importantissimo ri- lievo che l'antico castello di Longone venne poi no- minato Lògnina. Giovanni Massa {La Sicilia in pro- spettiva, parte seconda, Palermo, 1709, pag. 320) oc- cupandosi della Torre di Lògnina di Catania sostiene giustamente che Lògnina sia una parola corrotta e derivata da Ongia, oppure Ognia, Dea in molta stima presso le antiche popolazioni di quelle contrade. Il Ferrara {Le credenze religiose degli antichi siciliani sino air introduziotte del cristiaìtestmo, ecc., Catania. 1844) ed il Coco-Grasso {Della vita e delle opere di F. Fer- rara, Palermo. 1850, pag. 62, nota i) sostengono che il tempio della Dea Ongia doveva sorgere fra 'Ognina ed Aci, mentre il Cordaro Clarenza {Osservazioni sopra la Storia di Catania cavate dalla storia generale di Sicilia, Catania. 1833. voi. I. pag. 82-83) rileva che il tempio della Dea Ognia ha dato un simile nome alla contrada detta oggi 'Ognina. Recentemente il Ciaceri {La Alessandra di Li- cofrone, Catania, note e comm. 520 e 1032, pag. 209 e 290 ; Culti e Miti della storia antica di Sicilia, Ca- tania, 191 1, pag. 157), condividendo le opinioni del Carrera e del Massa, sostiene giustamente che tanto la città AoyvwvT., ricordata da Filisto, che il castello Aòyyojv menzionato da Diodoro Siculo, non sia altro che la borgata detta oggi Ognina ed anche Lògnina, posta a brevissima distanza di Catania verso est e che nel detto castello doveva sorgere il santuario dedicato alla Dea Longatis, la quale altro non è che Pallade. Il culto della Dea Atena era molto diffuso nelle colonie greche dell'antica Sicilia ed i santuari, secondo le consuetudini di allora, venivano eretti in prossimità dei porti accessibili alle havi affinchè i marinai sia al partire che al ritorno potessero con maggiore facilità recarvisi e sacrificare alla Dea. 454 SALVATORE MIRONE È antichissima e costante la fama che nella ri- viera orientale di Catania vi era un porto spazioso e sicuro, chiamato porto delizioso perchè prima del- l' invasione della lava quella riviera era ricca di- al- beri e di ombrosi olivi. Difatti lo storico arabo Edrisi (Abu-Abd- Allah -Mohamed) autore del Nozhat-el- Mosctak, ecc., designa il porto di Lògnina con lo stesso nome e Malaterra racconta che il conte Rug- gero con la sua flotta sostava una notte in detto porto (Amari Michele, Storia dei Musulmani di Si- cilia, Firenze, 1868, voi. Ili, parte I, pag. 166). Il Casagrandi {La Pistrice sui pnmi tetradrammi di Catana, ecc., Catania, 1914, pag. 29 e 30, nota 1, estratto ddàV Archivio Storico per la Sicilia Orientale, anno XI, fase. 1), sebbene in maniera molto inciden- tale, si occupa della htra d'argento di Lòngane e dà delle esatte informazioni sul sito di questo castello. Egli giustamente fa notare che il porto naturale del- l'antica Catana, che ha veduto impegnarsi nel suo seno strepitose battaglie navali, come quella fra i Siracusani e i Cartaginesi nell'anno 405 a. C, ove questi si impegnarono con non meno di 500 navi da battaglia (Diodoro, XIV, 50), non può essere ri- scontrato neir insignificante Porto Saraceno alle foci dell'Amenano e tanto meno a Murgantia distante 46 chilometri !, ma dovrà ricercarsi in quell' insena- tura, che si racchiude fra il promontorio del Gaìto a sud, e quello capace ad est, insenatura che fu in- vasa dalle lave dette del Ròtolo, ma che in parte tuttora rimane visibile con tratto di spiaggia in due punti, al Gaìto, e massime a S. Giovanni li Cuti. Le lave, che hanno invasa tale insenatura, appartengono all'eruzione che ebbe luogo nelle vicinanze del co- mune di S. Maria li Plachi, chiamato ora Gravina di Catania, il 6 agosto 1381 e che devastò il cosi- detto Oliveto di Catania (Simone di Lentini, Chro- LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 455 nica, voi. 2, pag. 511; Amico, Catana illustrata, Ca- tania, 1746, libro 6, cap. 2, tomo 2, pag. 244; Re- cupero, Storia naturale e generale delF Etna, Catania, 1815, voi. 2, pag. 84). Il porto dell'antica Catana greca e romana do- veva essere quello di Longone come sbocco natu- rale ed unico delle ricche risorse agricole del bosco etneo, mentre quello di Murgantia (ora la rada di Agnone) doveva essere lo sbocco dell'immensa pro- duzione granaria, quando la Piana di Catania era il granaio di Roma. La si desume anche dal fatto che i catanesi, dopo l'eruzione del 1381, furono costretti ad ampliare il porto saraceno, che a dire del Grossi {Cat. Decadi. Chor. V.^ pag. 167) exiguam praebet navibus stationem. Difatti Simone de Puteo, vescovo di Catania, nell'anno 1387 ingrandiva il detto porto saraceno (Amico, op. cit., libro VI, cap. VII, pag. 245). Condividendo l'opinione del Casagrandi, il castello di Longone ed il santuario della Dea Longatis do- vevano sorgere sulla collina circolare soprastante, percorsa ora dalla strada provinciale dalla Guardia al Ròtolo. Longone dovette avere una certa importanza per il sicuro ed ampio porto, per la vicinanza di Catana e per il santuario della Dea Atena, il di cui appellativo di Longatis i)rova pure che doveva es- sere ben noto ai naviganti. Il porto sotto la signoria del dinomenide Cerone indubbiamente ha incomin- ciato il suo incremento e durante gli ultimi anni della guerra peloponnesiaca come un punto sicuro di approdo e di rifornimento per la flotta degli Ate- niesi e degli alleati, ha dovuto assorgere ad una grande importanza militare e commerciale ed il ca- stello con tutta certezza ha dovuto seguire le sorti di Catana, asservita da Dionisio il Vecchio, perdendo la sua autonomia. Difatti chi ben nota la termino- 45^ SALVATORI! MIRONE logia dei due illustri storici siciliani, che hanno fatto menzione di Longone, noterà che Filisto, nato il 430 e morto il 356 a. C. e quindi vissuto ai tempi dei due Dionisi, chiama Longone ^ò>.i? ; segno evi- dente che all'epoca dello storico siracusano il ca- stello contava una numerosa popolazione ed era in floride condizioni, mentre Diodoro Siculo, contem- poraneo di Giulio Cesare e di Augusto, lo chiama semplicemente ?poùpiov, indizio sicuro che verso l'era volgare esso aveva perduto la primitiva importanza e si riduceva a poche abitazioni. Filisto, che certa- mente aveva visitato Longone, usa il vocabolo 7rò>.t; per dinotare che esso ai suoi tempi era veramente una città. La zecca di Lòngane o Longone coniava la seguente litra d'argento : • # 1. ^ — AOrrANAION (leggenda retrograda) Testa giovanile di Ercole a destra con pelle di leone. C. p. I^ — Testa giovanile a sinistra del Dio del fiume Leu- catea con corti corni. Head, p. 151; Poole, p. 96, n. i, gr. 0,712; Holm, n. 345; Hill, p. 92. Gabinetto Numismatico. Biblioteca Nazionale di Parigi, gr. 0,65. Il tipo del diritto di questa piccola moneta al- lude al culto in onore di Ercole molto difi'uso presso le popolazioni greche dell'antica Sicilia, mentre quello del rovescio si riferisce ad un Dio fluviale. In un paese eminentemente agricolo come l' isola, in cui le condizioni climatiche fanno iipprezzare grande- mente i benefici dell'acqua, non è da farsi meravi- glia se vi fosse sede di un culto dove scorreva un fiume, che dalla fantasia popolare religiosamente ve- niva personificato. I greci, che vennero a stabilirsi nella Sicilia, aggiunsero ai loro patri culti anche LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 457 questi propri degli indigeni e la loro religione dette un grande sviluppo alle divinità fluviali; quindi, se- condo queste credenze, il piccolo fiume Leucatea, che scorreva verso Lòngane, venne divinizzato. Que- sto limpido fiume, come viene da alcuni asserito, ben diverso dell'Amenano, che immettendosi nella cosidetta Gurna di Nicito scorreva ad ovest della collina di S. Sofia sopra Cibali, scorreva ad est di detta collina e si scaricava nel bacino del porto di Longone, come lo confermano ora le acque del Fa- sano e della Licatia e quelle che sotto la lava rag- giungono il mare nel lungo tratto dell'attuale sta- zione ferroviaria di Catania al seno di S. Giovanni li Cuti. Nelle vicinanze delle bocche dell'eruzione del- l'anno 1381 vi è un canale nominato volgarmente cafòli, il quale imita al naturale un letto di fiume abbandonato, tanto che l'Amico (op. cit., tomo I, pag. 45) giustamente sostiene che sia stato l'alveo di quel fiume che sboccava sotto la Licatia. Tale opinione è fondatissima perchè chi osserva quei luo- ghi si convince subito che quel canale doveva es- sere il corso naturale del fiume Leucatea. Difatti la lava, che si avanza secondo la legge dei liquidi, ha dovuto avanzare celeramente verso il mare e di- struggere il porto dell'antica Catana. Sebbene in questa litra d'argento vi sia la leg- genda con la scrittura retrograda, che potrebbe fis- sare la data della coniazione nei primi anni del pe- riodo di transizione, in cui non sono rare le monete con simile scrittura, il tipo della testa del Dio flu' viale invita invece a credere che la litra sia stata coniata molto più tardi, cioè quando le divinità flu- viali non vengono più raffigurate come mostri o tori androcefali, ma trasformati in giovincelli di belle fattezze, ad esempio nelle monete di Catana e di Gela. 68 45^ SALVATORE MIRONE È stato chiaramente dimostrato che le dramme dèlia zecca catanese incise da Eveneto, che portano sul diritto la testa giovanile del Dio del fiume Ame- nano, siano state coniate prima dell'asservimento di Catana al tiranno Dionisio il Vecchio (Sallet. Die antiken Miinzen, Berlin, 1909, pag. 17 e Zeitschrift far Numismatik, I-II e Gardner, The types of greek coins, Cambridge, 1883, pag. 129), anzi l'Holm (op. cit., pag. 98); l'Head, pag. 177; l'Hill, pag. 76 ed il Casagrandi (op. cit., pag. 23) giustamente opinano che siano state cociate prima del disastro ateniese ossia durante i tre anni 415-413 dell'assedio di Si- racusa. Siccome vi è molta attinenza fra il tipo di questa piccola moneta di Lòngane ed il tipo adot- tato nelle dramme catanesi da Eveneto, da Choirion e da Eracleida e siccome la piccola zecca di Lòn- gane ha indubbiamente subito l' influenza dei tipi della vicina zecca catanese, vi sono tutte le buone ragioni per ritenere che la litra d'argento sia stata coniata durante questo triennio 415-413 o pochi anni dopo cioè durante gli anni 412-404: t.° perchè nelle dramme catanesi le divinità fluviali sotto l'aspetto giovanile compariscono indubbiamente nel periodo assegnato dai sopracitati autori ; 2.° perchè Lòngane durante la guerra ateniese con il suo naturale porto ha dovuto acquistare una grande importanza per il movimento delle navi e delle truppe degli ateniesi e degli alleati ; 3." perchè Lòngane ha dovuto perdere la sua autonomia e quindi ha cessato anche la sua monetazione quando la vicina Catana fu conquistata dai Siracusani nel 404 a. C. Si potrebbe obbiettare che nella leggenda : AOrrANAION non si fa uso della lettera lunga omega, ma non bisogna dimenticare che non- si hanno no- tizie certe quando sono state introdotte le lettere lunghe in Sicilia e che fra le dramme di Catania, LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 459 riportate dal Poole a pag. 47, vi è quella a n. 41 con la lettera omicron: segno evidente che prima del 400 a. C. non era generalizzato l'uso delle let- tere lunghe età ed omega nella scrittura. La moneta dal punto di vista artistico è di un elevato stile, di quella graziosa arte allora nel mas- simo fiore presso le popolazioni greche della Sicilia. La testa del Dio fluviale ha molto rassomiglianza per lo stile con quelle di Amenano delle dramme catanesi e certamente l'autore, se pur non è uno dei grandi artefici del periodo aureo, ha subito l' in- fluenza dei grandi incisori suoi contemporanei ed ha saputo dare alle figure del conio l'impronta della sua specialità per il vigore dell'esecuzione e la bel- lezza dell'espressione. Forse la coniazione di Lòn- gane in questo suo periodo di prosperità non si è limitata a questa sola litra d'argento, ma ha dovuto abbracciare una ristretta serie di monete andate per- dute per l'esiguo numero coniato. Lòngane nel' periodo della decadenza dell'arte coniava le seguenti due monete di bronzo : 2. ^ — Testa imberbe diademata, a destra. C. p. 5» — Cornucopia AOf Mionnet, n. 253; Gabinetto Num. Bibl. Nazionale di Parigi, gr. 4.20. 3. B* — Stesso quasi simile. I^ — Cornucopia AOf Mionnet, n. 254 ; Gabinetto Num. Bibl. Nazionale di Parigi, gr. 2.82. 460 SALVATORE MIRONE È strano che i più autorevoli nummografi, tranne il Mionnet, non hanno fatto menzione di queste due monete, mentre la leggenda accorciata secondo gli usi introdotti sotto la dominazione romana non la- scia alcun dubbio che si devono assegnare a Lòn- gane. Le monete indicano poi che nel periodo della decadenza il castello di Lòngane seguitava ad essere autonomo, data la sua vicinanza all'importante porto del bosco etneo. 11 tipo della cornucopia dimostra che il territorio doveva essere abbondante di pro- duzioni agricole che, date le relazioni intense com- merciali fra r isola e l' Egitto, i bei pezzi tolemaici con la cornucopia non sono forse estranei alla scelta del tipo ; il quale si diffonde rapidamente in Italia ed in SiciHa. Il tipo del diritto dei due bronzi fa dubitare che sotto la dominazione romana non sia del tutto scomparso presso le popolazioni di quel territorio il culto in onore della divinità del fiume Leucatea, perchè le teste, sebbene in acconciature ben diverse secondo la moda di quel periodo, sem- brano riferirsi a questo Dio fluviale. I conj dal punto di vista artistico non presen- tano nulla di notevole e somigliano molto alle con- temporanee monete di bronzo sicehote. Je sens le devoir de remercier M/ Dieudonné, conservateur adjoint du Cabinet Num. de la Bibliothèque de Paris de m^avoir envoyè les moulages des monnaies et m'avoir fourni des informations sur leur poids. Torino, R. Università. Dott. Salvatore Mirone. IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA V'è, nell'uomo, un senso istintivo di ripiegamento. L'innovazione è solo nella volontà. L'umanità non è sfuggita interamente ai ceppi, in cui l'avvinsero e le prime credenze e le istituzioni prime. La fede primordiale, la rudimentale civiltà lasciarono, nella umana coscienza, una traccia, che né i secoli futuri, ne le future generazioni progredienti varranno a can- cellare. Questa verità etica, più che in enunciati filo- sofici, è nel concetto di Montesquieu : « I primi uomini fecero le istituzioni, queste, in seguito, fecero gli uomini ». Le idee nuove non furono mai perfet- tamente tali, e l'adattamento alle riforme seguì sotto l'influenza di principi preesistenti. L'evoluzione stessa non è che un richiamo al passato; non si evolve ciò che non è. Così, nel graduale trasformismo di concetti fondamentali, non si estinsero le prime fonti^ cui attinse l'umanità bambina. L'idea di Dio, p. es., della Creazione, del caos iniziale, ove ben si consi- deri, non si formava che attraverso sentimenti e con- cetti punto nuovi, ripetuti, derivati, dedotti da ele- menti speculativi remotissimi. È facile così passare dalla Trimurti indiana, o dalla Triade egizia, ai Tre Dei superiori dei Greci e.... alla Trinità Cristiana ; ovvero, dal miracolo del Pramantha, al prodigio 462 NICOLA BORRELLI Prometeo, al sacro fuoco di Vesta, alle fiamme eterne e purificatrici, che attendono i moderni peccatori della Chiesa. Non dovette dunque esser molto diffi- cile allo Schlegel spiegare il mito della Vergine Ma- dre, risalendo alla Tkn-jou, la Celeste Nutrice, degli antichi Chinesi. La digressione, che mi accompagna nel modesto campo prefissomi, basta a far rilevare come su re- motissime orme l'umanità tracciasse il suo cammino ascendente ; e, come nei miti, nelle credenze, nei dommi, così ancora nel simbolismo jeratico o demotico o — per dirlo con parole più povere — religioso o civile, si riscontra il progressivo adattamento al- l'innovazione. Si provi, p. es., a concepire, materian- dola, l'idea della sovranità e del dominio, senza ri- correre all'immagine della corona, dello scettro o del soglio; il simbolo, se pur si rinvenga, riuscirà oscuro ed incerto ; o s' imprechi, con furore di po- polo, contro il principe tiranno, ingiusto o crudele... i sudditi non riusciranno a distruggere i simboli della sovranità e del dominio ; abbia pur sormontata la testa di un Diocleziano, il feroce persecutore dei Cristiani, la corona radiata, il nimbo... questo sor- monterà la testa del Redentore, della Vergine, dei Santi ; abbia pure indossato il manto di porpora un Nerone, un Caracalla, un Giuliano II — l'apostata — rivestirà quel manto la figura del Nazareno.... Ecco dunque dei simboli prettamente pagani, passati, per tacita convenzione, nei domini d'opposta fede. Non è certo il campo numismatico, nel quale occorre eh' io resti, il più fecondo per l'esame del simbolismo pagano entrato — diciamo così — nel- l'orbita dell'arte cristiana. Il più ricco materiale, per un tale studio, è dato — ognun lo sa — dalle Cata- combe ; i più stridenti anacronismi ivi si rinvengono nella simbolica cristiana. Per un certo eclettismo, IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 463 cui non sfugge il neofita, si confusero colà, colle concezioni e visioni nuove, i più remoti elementi d'arte pagana. Sia che quei primi artisti cristiani non sapessero staccarsi dai tipi adottati, per tanti secoli, dai maggiori, sia che, la mente ancora invo- luta nelle rimembranze gentilesche, essi non ardis- sero abbandonare completamente quanto formava l'eredità di antichissime civiltà; sia ancora per quella tara atavica, per cui l'uomo, specie se semplice o debole o esaltato, sfugge all'analisi dell' incertezza, delle imperfezioni, degli errori, su cui mossero i suoi predecessori, indotto piuttosto, dall' influenza di ca- ratteri ereditari, ad esprimere concetti e credenze, col mezzo più noto ed accessibile, per tutto ciò, di- cevo, il più strano accozzo di tipi pagani e cristiani si riscontra in quegli umili tempi, preparati dall'eroi- smo dei fossori, ai neofiti cristiani. S'alternano così, in quelle pitture parietarie, idoli e martiri, animali favolosi della mitologia e cristiani oranti, immagini del Buon Pastore e scene del Vecchio Testamento ; e poi fregi e motivi decorativi prettamente pagani : corone, festoni, geni, ecc. l'eclettismo, dunque, di neofiti e di gnostici. Il tipo stesso del Buon Pastore non è che la diretta derivazione dell' Hermes erio- foro dei Greci. Per quanto dunque, come abbiamo detto, non sia il campo numismatico il più adatto e rispondente alla comparazione — diciamo così — del simbolismo pagano con quello cristiano, pure, la moneta, che si impronta al nuovo carattere religioso, non va, ancor essa, immune da quell'adattamento dei tipi antichi ai concetti e sentimenti nuovi. Dei quali, ancora in- decisi ed incerti, è evidente esponente un piccolo bronzo di Costanzo II, nel cui rovescio vedesi l'Im- peratore che, ritto su di una nave, regge colla si- nistra il labaro col monogramma di Cristo e colla 464 NICOLA BORRELLI destra la fenice, l'uccello che rinasceva dalle pro- prie ceneri, epperò, ora, simbolo di rigenerazione ; mentre, a lato dell'Imperatore, seduta al timone, sta la Vittoria alata, con fra le mani il sacro attributo di Nettuno: il tridente. Il concetto è dunque reso : ma attraverso un simbolismo del tutto pagano. Del resto, eccettuati pochi esempì, i tipi della prima arte cristiana si con- tinuano in una sempre crescente decadenza ed uni- formità. Povera ed avvilita l'arte monetaria, come quella in genere, si svolge attraverso pochi ed umili tipi, divenuti tradizionali e direi quasi dommatici. Ove l'arte fosse stata, pur nel trionfo della fede, meno schiava e tenebrosa, più franca, più larga, più espansiva, esempì più numerosi avrebbero confortato la nostra modesta esegesi tipica; ma quell'arte, chiusa ancora nei veli della superstizione e del mi- stero, nulla esigeva, poco chiedeva, pochissimo era chiamata ad esprimere, oltre l'esaltamento della nuova fede abbracciata. Pure, in quell'oscurantismo intel- lettuale, nel misterioso ed arcano raccoglimento, che andava trasformando l'umanità ; all'alito di quella immateriahtà, cui attingevano i nuovi principi, for- mavasi il sostrato della nuova arte, grandiosa e sublime, che dovea poi guidare, attraverso gli ori e le ieratiche figurazioni dei Bizantini, alle eteree vi- sioni del Beato Angelico, alle dolci e vitali imma- gini dell' Urbinate, alle forti, sovrumane concezioni di Michelangelo. E la divagazione ci conduca ormai al simbolismo pagano, che s'insinua ed afferma nell'arte cristiana, e però ancor sulla moneta, che s'impronta al nuovo carattere religioso. Non v'è lettore, io credo, che, nel volger la mente ai simboli cristiani, non fermi subito il suo pensiero sul maggior simbolo della fede: la Croce... IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 465 l . l'emblema del divin martirio, lo strumento della Pas- sione... Ebbene, la Croce, che seppe lo strazio della grande Anima Nazarena ed il pianto in cui si sciol- sero le dolcissime creature — le Marie — suadenti con l'opera pietosa, al sacrificio supremo, la Croce, dicevo, è ancor essa, un antico simbolo pagano. Se- gno ieratico di vita presso gli Egizi, la T geroglifica, che è la croce ansata nelle mani di Fta, è ancora, tra gli Ebrei, il simbolo di rinnovata esistenza, se- gnata sulla fronte dei ravveduti di Gerusalemme. Ma poiché all' « Osanna » seguì, risuonando per la valle d'Israele, il grido a Crucifigel » l'infame stru- mento del martirio, il « lignuni crucis », issato sul Golgotha per la redenzione dei popoli, divenne il simbolo supremo della Fede, il segno in cui ogni battaglia è vinta: « In hoc signo vinces ». Così, mutato nel concetto e nell'espressione, Tan- ticu simbolo pagano, la Croce, entra nella religione e nell'arte cristiana. Adottata per la prima volta sulla moneta da Giustiniano II, « servus Christi », lo è in seguito dagli imperatori bizantini, dalla maggior parte dei principi del medioevo e dalle città libere, e an- cora frequentemente, da stati e sovrani moderni, tra cui. principalmente, dai re di Napoli e di Spagna. Nella foggia più varia, non v'è, si può dire, zecca d'Italia che non abbia adottato, in qualche esemplare almeno, il gran segno cristiano: dall'egizia alla greca, dalla latina a quella di S. Andrea, dalla patente a quella di Gerusalemme, la Croce è il tipo più dif- fuso sulla moneta bizantina, medioevale e moderna ; essa appare, attraverso la monetazione, ornata, an- sata, fiorita, fiammata, pomata. E compaiono, sulle monete degli imperatori di Oriente, i tipi del Redentore, della Vergine e dei Santi; ma la pagana Vittoria è appena scomparsa, per ricomparire ancora su qualche moneta pontificia 59 466 NICOLA BORRELLI (Adriano IV, Leone X). La Vittoria costituì il tipo più usato nella monetazione del morente Impero Ro- mano e del fiorente Cristianesimo: Gioviano, Onorio, Valentiniano III, gì' imperatori araldi della Fede, eb- bero sulle loro monete la Vittoria; Onorio vi appare da essa incoronato, mentre sostiene il labaro cri- stiano; in una medaglia di Galla Placidia, la dea alata, regge invece della corona, la Croce. Non più, certo, allusiva ora alle conquiste delle legioni e alle vittorie degli eroi, ma a ben altri trionfi, da conse- guirsi « in più belle prove ». E la Vittoria cedeva agli Angeli le ali, come a lei le avean cedute i Genii, ed a quelli, forse, V Iside Crusotera. Così delle corone, che frequentemente, sulle monete, rinchiudon la croce: non più il simbolo della Vittoria, conseguita nel circo o in battaglia, ma quello del premio Juturo... Così il nimbo sulla testa del Sal- vatore, sarà il simbolo di quell'altro regno, che a Gesù conseguiva, per feroce irrisione, uno straccio di porpora, una corona di spine, uno scettro di canna. Altro simbolo pagano, irradiato dalla luce della fede nuova, è il labaro: il vessillo « flamulae rufae », l'antica insegna legionaria. A nuovo carattere im- prontato, recante il monogramma cristiano, sarà ora, il labaro di porpora e gemmato, che precederà gli imperatori cristiani. Al trionfo guiderà ora l'anima redenta, come già le formidabili legioni alla conquista ed al sangue. Derivazione di quel panteismo che integrò il culto della Roma repubblicana e dell'impero, e che rinvenne il suo motteggiatore in Caio Lucilio (Patrio suolo aurunco, onore a te!) son poi le personifica- zioni allegoriche, che appaiono fin sulle monete pon- tificie o di principi cattolici medioevali e moderni, improntate a carattere religioso: la Giustizia (Sisto V), l'Abbondanza (Innocenzo XII), la Carità (Clemente XI), IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 467 la Sicurezza (Ferdinando IV), la Maternità (Ferdi- nando IV e M. Carolina). E così le frequentissime personificazioni di città. Non è il caso d' includere in questi tipi di derivazione pagana, quelli d* indole assolutamente gentilesca, costituenti le impronte dei nummi di Costantino, quali, per es., Pallade, Marte, il Sole, ecc. Essi ricorrevano in un periodo di tran- sizione, in cui rimperatore, che per opportunità più che per sentimento, intendeva costruire la sua po- tenza sulle basi della nuova religione, da questa non attingeva che attraverso gli adattamenti della propria coscienza ed il lento e prudente sovvertimento del remotissimo culto pagano. Costituiva dunque quel connubio di tipi e di simboli un graduale avvia- mento alle nuove credenze ed alla politica religione del Gran Costantino, la cui prudenza non seppe di meglio suggerirgli che lasciare Roma ai papi e tra- sportare a Bisanzio la sede dell'Impero. Altri simboli pagani, nella monetazione medio- evale e moderna, suggeriva la storia e la tradizione di città che battevano. Così, per es., la Lupa sulle monete di Adriano IV (zecca di Roma); il Monte Olimpo, Pallade o il Pegaso sulle monete della zecca di Mantova, in ricordo del sommo poeta latino. Altri tipi ricorrono per analogia ed allusione : Saturno, per es., sulla moneta di Ercole II d'Este (zecca di Ferrara) ricorda il PubbHco Erario dell'antica Roma, annesso al Tempio di Saturno (e, non diversamente, quella divinità appariva su molti denari della Repub- blica Romana battuti sotto la giurisdizione di que- stori, di cui uno, il « quaestor urbanus », era pre- posto alla custodia del Pubblico Erario) o la Lupa, come sulle monete di Adriano VI (zecca di Piacenza), il cui tipo veniva adottato per la glorificazione della Città eterna. Ne mancano i tipi, che io chiamerei di osten- 468 NICOLA BORRELLI tazione, e che rispecchiano la vanagloria di principi : vediamo infatti, per la sola rispondenza del nome, la testa di Alessandro Magno sulle monete di Ales- sandro Farnese (zecca di Parma) e il ricordo del gran conquistatore richiama ancora, sulle monete di quel principe, il tipo di Pallade-Minerva, mentre non trascurato è S. Ilario... Per analogia di riti, o per inspirazione a re- moto e saldissimo culto, altri simboli pagani ricor- rono sulle monete cristiane : così l'ara sulla moneta di Adriano VI (zecca di Parma); la fiamma, accom- pagnata dalla leggenda « vestali purior », sulle mo- nete di G. Francesco Pico (zecca di Mirandola). Molti altri tipi, riportati da monete del medio evo e moderne e che risentono di derivazione pa- gana, trovano origine nella fantasiosa ideazione di distintivi e di fregi, di cui s'ornarono principi e feu- datari, capitani di ventura e cavalieri, e che finirono poi per diventare gli emblemi delle città e le armi di nobiltà: ma la ricerca di quei tipi ci trasporte- rebbe oltre i limiti assegnati a brevi osservazioni, suggerite dalla ricorrenza di simboli pagani su mo- nete cristiane: intendendo per tali quelle recanti evi- dente segno cristiano e toccando appena altre, emesse da principi, che improntarono a carattere significa- tamente religioso la loro monetazione. Il leone e Faquila ricorrono frequentemente sulle monete pontificie : il leone di Cibele e l'aquila di Giove simboleggeranno ora gli evangelisti S. Marco e S. Giovanni. Così la belva di Nemea, e che, pei campi di Berccinto, traeva, su carro trionfale, la Gran Madre, alluderà alla Fede forte ed invincibile, come l'aquila di Giove e delle apoteosi sarà il sim- bolo dello spirito, che aleggia alla conquista del Cielo. Sulla moneta di tanti papi e di tanti prin- cipi e Stati ricorrono i due simboli pagani : l'aquila IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 469 delle legioni e l'attributo della feconda Dea di Pes- sinunte. L' allegorico dominio del mondo , passato al Redentore « Rex regnantium » induce gli imperatori e principi cristiani a ricorrere ad altro simbolo pa- gano : il Globo. La sfera nicefora, che appare sulle monete di Diocleziano, Massimiano, Valente, ecc., spesso retta dagli imperatori, divenuta crucifera, si vede nelle mani di Onorio, di Valentiniano III, di Costantino XI, di Antemio, di Giustiniano I, ecc., come sulle monete ancora dei religiosi re di Napoli, Roberto d'Angiò, Alfonso d'Aragona, Carlo II di Austria. L' idea della forza e del fasto non andò poi di- sgiunta dal religioso sentimento cristiano. E ancora qui ritorna il ricordo simbolico pagano dell'eroe e del trionfatore. In ogni tempo, come ancor oggi, nessuna figurazione allegorica del trionfo trovò mag- gior favore dell'eroe cavaliero. I monumenti equestri ne sono l'esponente. Quel concetto di esaltamento e di glorificazione, come sulle monete di Filippo di Macedonia, di Traiano, di Marc'Aurelio, di Decio, di Costanzo Gallo, lasciò ancor traccia su molte mo- nete medioevali, su cui ricorre l' immagine di Santi cavalieri. E qui rammento : S. Antonio (zecca di Lucca e di Piacenza, Ranuccio li Farnese); S. Co- stanzo (zecca di Saluzzo, Ludovico li); S. Maurizio (zecca di Savoia, Carlo II) ; S. Giorgio (zecca di Tas- sarolo. Filippo Spinola; zecca di Tresana, Francesco Malaspina); S. Crescentino (zecca di Urbino, Clemen- te Xlj ; S. Giuliano (zecca di Macerata, Grego- rio XIII), ecc. Infine le chiavi, l'attributo di Giano « Patulcius e Clusius » che presiedeva alle porte del Cielo, passano, per nuovo significato, nelle mani del principe degli Apostoli, S. Pietro, a simboleggiare come Egli, il rac- 470 NICOLA BORRELLI coglitor di proseliti, il fanatizzatore di turbe, apra e chiuda le porte dell'ai di là, alle anime assetate di vivissima luce. Così che molti papi adottarono, sulle loro monete, il tipo delle chiavi decussate ; r ideale attributo dell'Apostolo, che venuto d'Antio- chia a Roma, a gettarvi il seme della nuova fede, faceva sì ch'essa trionfasse di tutte le persecuzioni, di tutti i martiri, di tutte le stragi, con cui s'inveiva contro gli insani, i ribelli, i profanatori, che osavano attentare alla religione eroica dei maggiori, che pen- savano di rovesciare il gran tempio pagano.... Tali i neofiti, nell'idea dei persecutori... Curano (Caserta), Ottobre iijió. Nicola Borre lll LA ZECCA DI BENEVENTO 2.° Periodo (774-900) - Monetazione principesca (Continnaxione e fine; ved. fase. (II-IV, 191S; 'mc. I, III, 1916). Una vera anarchia, dopo la morte di Sicardo, regnò per due mesi nel principato beneventano, alla cui signoria si sottrasse Amalfi per tema di essere oppressa dall'ignoto successore al trono, si ribellò Landolfo, il bellicoso castaido di Capua, quando Ra- delclìi ebbe ad impadronirsi del disputato potere. Dandosi a Siconolfo, il prigioniero di Taranto, Salerno innalzò il vessillo della ribellione ''> e la lotta che seguì stremò le forze del principato beneventano, già sconvolto tra rivoluzioni e disordini, già esposto ad essere invaso da ogni Iato. 1 due avversari, cia- scuno con propria Corte nella sua Capitale, si inti- tolarono entrambi nei diplomi e nelle monete Prin- cipi e cominciarono tra i diversi principi, non esclusi i napoletani che ne profittarono, le dissenzioni che dovevano essere causa dei fre- quenti ritorni dei francesi e dei saraceni, nonché dei mali a cui le nostre terre soggiacquero ancora. Lu- dovico II ebbe quindi agio di sostituire alla sua su- premazia puramente nominale la militare occupazione del principato di Benevento e più vigorosa divenne Tautorità degli Imperatori d'Occidente, che da tribu- tari dello Stato beneventano dovevano divenirne presto feudatari. Così ancora cominciarono a divi- dersi i principati in contadi, i contadi in altri con- tadi, ed a formarsi quei feudi che si videro in pro- gresso di tempo sempre più numerosi e cagione di frequenti guerre civili. Il giovane Radelgario successe a suo padre Ra- delchi, ma dopo due anni moriva <4) lasciando erede del trono il fratello Adelchi che, a restaurare la po- litica di Arichi, cercò ogni modo per stimolare il sentimento nazionale longobardo; i generosi suoi sforzi non potettero però trattenere lo Stato preci- pitante verso la sua infelice fine, mentre, a detri- mento di esso, Salerno e Capua si acquistavano pro- gressivamente maggiore preponderanza. Vittima di una congiura, ordita dagli stessi suoi congiunti, ca- deva Adelchi trucidato da un sicario ed invece del figliuolo Radelchi, gli succedeva il nipote Gaiderio, col quale si congratulava pubblicamente Giovan- ni Vili ^5) ; il principato beneventano, agognato dai Franchi di Spoleto, dal Pontefice, dai bizantini, dive- niva la mira di tutte le ambizioni, la preda disputata (3) Schifa M., Storia del Principato longobardo di Salerno in: Arch. Stor. Napol., anno 1887, f. I. (4) Pellegrini, Hist. Pr. Lang., ecc. (5) Erchemperto, c. 40, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 250, 254. — Cron. Salem., e. 123, 134, 125, 534. 60 474 MEMMO CAGIATI fra emiri saraceni, duchi napoletani, stratigoti greci, nunzi papali e nobili romani. A Gaiderio, preso a tradimento da Landone di Capua e consegnato prigioniero ai Franchi, successe Radelchi II, il figlio primogenito di Adelchi, reinte- grato nel suo diritto di successione; deposto tre anni dopo, il potere passava ad Aione II fratello di Adelchi. Alla morte di Aione succedeva il di lui figliuolo Orso, bambino di dieci anni appena, al quale i greci facilmente tolsero il dominio. Data in reggenza dall'imperatore Leone a Sim- batico, che l'aveva conquistata, poscia al governatore Giorgio Patrizio, Benevento fu governata dai greci ; venne Guido a scacciare Giorgio Patrizio, ma il prin- cipato si trasformò in un nuovo impero della Casa di Spoleto ; tornò ancora al potere il detronizzato Radelchi II, ma due anni dopo Atenolfo investi Be- nevento e si impadronì di Radelchi. Dopo la lunga agonia rapida era giunta la fine miseranda del prin- cipato beneventano che, ridotto in provincia, formò parte del contado di Capua, fu assoggettata a quel feudo che un tempo gli era stato dipendente. Questo r ultimo periodo del principato bene- ventano, di cui per ciascun principe v^erremo qui appresso esponendo le monete. • * Radelchi, (839-851) che Erchemperto ci dice te- soriere del Regno 0), che invece la Cronaca di S. Ben. Cassin. chiama rotarius palatii, ossia cameriere di Corte (2), nella contesa contro Adelchi, figliuolo del cancelliere RoffVido, seppe vincere le aderenze della (i) Erchemperto, c, 14, 240. — Diplomi Sicardi. (a) Cron. di S. Ben. Cassin. e. 5. — M. G. H. SS. RR. LL. et Ital., 471. LA ZECCA DI BENEVENTO 475 caduta dinastia e quella di Landolfo di Capua, seppe far precipitare dall'alto del Sacro Palazzo il vinto rivale. Radelchi ebbe il torto di non occuparsi d'altro, nei primi momenti del suo principato, che di repres- sioni e vendette, per conseguenza fu costretto a de- dicare tutto il resto della sua vita all'aspra lotta con- tro Sicoiiolfo, l'eletto di Salerno. Questi, negli estremi istanti della sua esistenza, rimpianse forse di non es- sere riuscito ad espugnare Benevento quando aveva potuto cingerne d'assedio le mura, il che avrebbe risparmiata la guerra civile che inferì per tanto tempo ancora; Radelchi però dovè portare nella tomba, pochi mesi dopo, il rimorso di essere stato l'autore della divisione del gran principato beneventano. Vittime entrambi delle orde saracene che chiamarono in loro soccorso, i valorosi avversari restano nella storia come due belle figure del tempo, a cui il destino incombente sulla fortuna delle nazioni commise il triste mandato di rovinare il dominio da Zottone istituito. Le monete di Radelchi, e così quelle di Sico- nolfo, ebbero lo stesso tipo delle monete coniate dai precedenti principi di Benevento; si potrebbero anzi immaginare le une e le altre prodotto della stessa zecca beneventana, se le cronache non assicurassero le prime battute in Benevento e la storia non ci di- cesse che in Salerno soltanto Siconolfo ebbe il suo dominio, e prima e dopo della divisione tra i due principati. Principe splendido, più che liberale e generoso, padre di numerosa prole, Radelchi venne a morte neir 851 ed ebbe a successore il suo primogenito Radelgario. 476 MEMMO CAGIATl (Tipo A). V I. Soldo d'oro. B' — RAD — + — ELCHIS Busto di prospetto tenendo nella destra il globo crucigero. I^ — ARCHANG-E:- MICHAEL- Croce, su tre gradini, affian- cata dalle lettere R — A Radelchis {vedi fig). R. EL. Coli, del prof. dell'Erba di Napoli. (Tipo B). ì M. I I. Denaro. & — • PRINCE BENEBENTI Nel campo, in monogramma, Radelchis. R) — ARHANG-EL • MICHAEL Croce, su tre gradini, accostata da un globetto e da un triangolo {vedi fig.). R. ^ A. iSaniboii, Le Musée, pag. 22. iedIi 2. Idem. ^ — ARCHANGE MICHAEL : Nel campo, in monogramma, Radelchis. R) — + RADELINSE PRINCES • Croce, su tre gradini, af- fiancata da due puntmi {vedi fig). R. M Culi. Cagiati. 3. Idem. — Simile al preced. con RADELCHIS- La crocee affiancata da un globetto ed un triangolo. A. Sambon, Le Musée, pag. 22. La zecca DJ BENEVENTO 477 4. Idem. B' — • RADELCHIS PRINCEPS Nel campo tridente, avente nel centro una spig^a di grano. ^ — • ARCHANGE MICHAEL Croce rincrociata da quattro losanghe {vedi fig.). R. M Wroth, British Museum, pag. 182, n. 3, pi. XXV, n. 3. 5. Idem. /B' — RADELCIHS PRINCEPS Simile al precedente. 1? — ARCHANG-E niCHAEL Simile al precedente, la spiga termma con tre puntini. R, M Wroth, British Museum, pag, 182, n. 2, pi. XXV, n. 2. * Radelgario (851-853). Poche notizie ci dà la storia di questo VII° principe di Benevento, che regnò appena due anni. Giovane ventenne, valoroso ed astuto, educato alla scuola delle armi e degli intrighi politici, quando la guerra sedea sovrana nel prin- cipato, Radelgario fu tra coloro che per aiuto ri- corsero a Ludovico II, perchè 1*852 i saraceni, sta- biliti in Bari, dilagando nella Puglia e nella Cala- bria, si avanzavano insino a Salerno e Benevento. Le abbattute forze dei due principati non sareb- bero bastate a reprimere quest'altra invasione e, ad ottenere il soccorso del re francese, fu necessità offrirgli giuramento di obbedienza e quella suddi- tanza^') che lo stesso Carlo Magno e Pipino, figliuolo (i) Erchemperto, n. 20 ' */ shtus inquiunt, fidelissimi famuli tìlius, "cosiiluatque nos suòesse cuilibet ultimo suorum „. 473 MEMMO CAGIATI di lui, non potettero conseguire da Arichi e da Gri- moaldo. Ludovico venne in Italia, portò le sue armi verso Bari, sicché i saraceni furono costretti a ri- tirarsi, però accortosi della infedeltà dei capuani, che si erano sottratti a prestare il loro contributo di guerra, e della dappocaggine del governo che si teneva in Salerno a nome dell'infante Sicone, sde- gnato, aspramente trattò i primi, pose Salerno nelle mani' di Ademario, valoroso capitano franco, e con- dusse con se il fanciullo Sicone nel tornarsene in Lombardia (^). Così i principi longobardi comincia- rono a sentire il giogo gravoso della altrui domi- nazione, mentre nel dicembre 853 Radelgario moriva ed il principato beneventano passava in potere del di lui fratello Adelchi. Di Radelgario non conosciamo monete ed è assai probabile che egli non ne abbia coniata alcuna nel breve tempo di suo dominio. * * Adelchi (853-878). Troppi ostacoli si oppone- vano alla realizzazione dei generosi disegni di Adelchi che, per sentimento patriottico, ribelle all'autorità franca, entusiasta ammiratore e seguace della poli- tica di Arichi, si proponeva, salendo al trono, di ri- pristinare in tutta la sua passata gloria la nazionalità beneventana. Le incessanti rivalità tra i principi longobardi, apportatrici di discordie interne, le de- vastatrici invasioni dei saraceni, che non avevano sgombrate le nostre contrade, la rinascente potenza dei greci, per Adelchi temibile quanto i successi di (i) Ignot. Cassin, n. 13. — Anonym. Salernitani ineiiit apud Ca- /niilum Pelle^rinum. LA ZKCCA DI BENEVENTO 479 Ludovico II, resero vano ogni sforzo del generoso principe, rovinarono a poco a poco l'unità, la forza, la gloria del principato. L'imperatore si prestò ancora nell'Sóó a com- battere gli arabi, ma per imporre sempre più le sue pretese nell'Italia meridionale, il suo diritto autori- tario su i longobardi. Capua disfatta, Salerno minac- ciata, dovettero subire la sovranità dei Franchi, Adelchi dovè far buon viso ad avversa fortuna ed associare al potere Ludovico. I saraceni furono sconfìtti dalle forze imperiali, Bari fu restituita al principato beneventano e Ludo- vico delle sue vittorie trasse il maggior profìtto tor nando in Benevento più che da padrone da con quistatore e signore assoluto. Sergio di Napoli, Guai ferio di Salerno, Marino di Amalfi (^), preoccupati dei progressi di Ludovico, minacciati anch'essi nei loro domini, si accordarono con Adelchi, che già pensava a scuotere 1* indegno giogo, e la rivolta scoppiò il 13 agosto 871 '2); quella notte le inorgo- glite soldatesche franche, che avevano provocato l'odio dei cittadini, furono dai rivoltosi messe in fuga ; Ludovico ed Angilberga sua moglie sorpresi trova rono immediato scampo in una torre fortificata del Palazzo, in cui per tre giorni resistettero agli asse- dianti, ma dovettero arrendersi prigionieri ed ebbero salva la vita per intercessione del vescovo Alone fratello di Adelchi. La nuova della prigionia di Ludovico svegliò il coraggio dei Saraceni che, di nuovo bottino ane- lanti, traversarono la Calabria andando alla volta (i) G. Diacono, c. 65, 435. — Vi/a Athanasii Episc. ntap., e. Vili. — Erchemperto, c. 33, 34, 347. (2) Di Meo, IV, 243, 245 (anticipa di un anno la ribellione beneven- tana, ma le sue ragioni non sono salde e niuno le ha accettate. Vedi ScHiPA, Storia del Princ. long., pag. 123). 480 MEMMO CAGIATI di Salerno. Innanzi all' imminente pericolo, per con- siglio del Pontefice Adriano II, Adelchi dovè rimet- tere in libertà Ludovico <'), il quale giurò solenne- mente di non portare mai più le sue armi contro Benevento, di rinunziare a qualsiasi vendetta contro i principi longobardi. Le mire di Giovanni Vili, succeduto in quel tempo ad Adriano II, calcolavano però sul braccio di Ludovico II; ad armarlo davano occasione i saraceni che minacciavano Salerno, a spingerlo alla lotta contro Benevento sarebbero ba- stati i pieni poteri pontifici che avrebbero prosciolto a tempo l' imperatore dai giuramenti fatti. Neir 873 Ludovico tornò difatti con forte eser- cito nella Campania ed i saraceni atterriti furono disfatti sulle rive del Volturno e, messi in fuga, ri- cacciati e confinati in Taranto; poi le armi di Lu- dovico si volsero pur troppo contro Benevento e ne invasero le provincie che sarebbero state distrutte, se la mano di Giovanni Vili, che pronta attendeva gli eventi, non si fosse alzata protettrice in favore di Adelchi, cercando frattanto di mettere sotto la sovranità pontificia gli Stati longobardi. Ludovico nell' 874 tornò in Francia e vi morì l'anno appresso; l'accordo tra il Pontefice ed Adelchi non potè essere che di breve durata ; Benevento strinse alleanza con i bizantini, a cui pagò il tributo che un tempo esigevano i carolingi, ed i saraceni tornarono ad invadere le ammiserite provincie e a depradarle per rifarsi delle perdite subite. Bari, troppo lontana dalla Capitale, ad evitare nuove stragi e rapine, cercò aiuto ai greci (2) che la difesero prima e se ne impadronirono poi, nonostante gli amiche- voli rapporti con Benevento, e nel maggio 878, dopo (1) Grbgorovius, 111, 207. — Di Meo, IV, 241. (2) Erchemperto, 11. 38. — Lupo Frotospata nei a. 875. LA ZECCA ni BENEVENTO 481 25 anni di regno, Adelchi cadeva trucidato ; una congiura ordita dagli stessi nipoti del disgraziato principe ne aveva decretata l'uccisione. Non si conoscono monete d'oro di Adelchi e nei contratti del tempo non se ne trova menzione ; si hanno invece denari, che riscontrano le quattro epoche della loro emissione con le relative vicende del regno di Adelchi, di cui ci occuperemo a clas- sificare per ordine cronologico. 1." Epoca {a nome di Adelchi) 853-867. (Tipo A) rM-^ I . Denaro. fy — Nel campo + ADEL' i • ; PRIN. ii — ARHANGEMIHAE Croce rincrociata da quattro lo- fi. M sanghe {vedi fig.). A. Sambon. Le Musée, nag. 25. (Tipo B.). 2. Idem. >>'*— •:• ADELHIS - • - PRINCE Croce su tre gradini. 1; — A • RHAHGELVMICHAEL Croce, la. cui asta verticale è ornata a ciascuna estremità da sette globetii e sulla quale è innestata la lettera M (iniziale del Santo protettore) {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 25. et 482 MEMMO CAGIATI (Tipo C). 3. Idem. B' — + SANCTA MARIA Nel centro, disposlt in croce, le lettere P | ADL I R {Adelchis Frinceps). R) — + ARHANGELVniH Croce [vedi fig.\ A. Sambon, Le Musée, pag. 26. M (Tipo D). 4. Idem. i^^ — + ADELCHIS IBPNI Nel centro, in monogramma di- sposto m croce, Sanerà Maria. Hj — • ARHANG-ELVS MIH Croce su tre gradini {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 26. (Tipo E). 5. Idem. ^ — + ADELGISI PRINCE Croce greca accostata dalle lettere A — CO. fi) — + ARHANGELVSniHA Nel centro, in monogramma crucilornìe, Sancta Maria {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 26. LA ZECCA Di BENEVENTO 6. Idem. y — + ADELGISI PRINC Simile al precedente. I^ — ARHANGELVS MIH Simile al precedente. A. Sainbun, Le Musée. pag. 26. 483 k. .fi (Tipo F.). 7. Idem. B' — ADELCHIS PRIN Tempietto carolingio. ^ — + SCAM — •— ARIA Croce su tre gradini accostata a d. da due globetti {vedi fig.). R. M Coli. Cagiati. (Tipo G). 8. Idem. J>' — Nel campo monogramma del nome Adelchis sor- montato da V, a destra un ostensorio, a sinistra croce a lunga asta. ^ — • BENE — • — BENTV Croce, su tre gradini, accostata dalle lettere M - H {vedi fig.). R. M Coli, del prof. dell'Erba (ii Napol'. 9. Idem. Simile al precedente con BENE — BENETV Coli. Cagiati. R. M 484 MEMMO CAGIATI 2." Epoca {a nome di Ludovico e Adelchi) 867-870. (Tipo A). ran I. Denaro. & — + LVDOVVICVS IMPE Spiga, a due steli ricurvati e terminanti in tre globetti, accostata dalle lettere A — R {Arcaftgelus). T^ — + ADELHIS PRINCE8 Croce a lunga asta, superior- mente rincrociata, accostata dalle lettere M — H [Micael] {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 27, (Tipo B). ZMIÌ 2. Idem. & — Nel campo, in quattro linee I | LVDO | VVICV \ " P '' {Liidovicus Imperalor). 9( — + ARHANGEMIHAEL Nel centro, in tre linee, P | ADEL ] R {Adelchis Princeps) {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 27. 3." Epoca {a nome di Ludovico, o di Ludovico ed An- gilberga) 870-871. (Tipo A). 30 r. Denaro. i^ — + LVD0VVICV3 IMPE Croce rincrociata. LA ZECCA DI BENEVENTO 48; t^ — + BENEBENTV CIBI Tempietto carolingio {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, uag. 27. 2. Idem. Simile al precedente nel retro BENEBENTV CIB. Fr. Fusco. Tav. VII, n. 2. (Tipo B). 3. Idem. I>^ — + ilTl LVDO i ! VVICV I P:- [Ludovicus Imperator) in quattro linee nel campo. li — + XP3TIANARELI(yl Croce, a lunga asta, accostata dalle lettere Cu — A • {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. a?. (Tipo C). 4. Idem. ^y — + HLVDOVICVco tMP R Croce in un cerchio di perline. \^ — Nel campo, m tre linee. BENE ' BEN I TVM {vedi fig.). Fr. Fusco. Tav. VII, n. 3. (Tipo D). 5. Idem. ^ — + DOMLVDVVVICVS Nel centro IMP sormontato da un globetto. 486 MEMMO CAGIATI I^ — + DMA • ANGILBERGA Nel centro IMP • sormontato da un globetto, sotto altro globetto {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 28. 6. Idem. ,tì' _ + DOM • LVDVVICVS Nel centro INP fra quattro globetti. P - DA {Domina) ANG-ILBERG-A Nel centro INP fra quat- tro globetti. R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 28. (Tipo E). l'^n 7. Idem. ^ — + LVDOVICVS INP Cróce su tre gradini, a sinistra un globetto. ^ — Nel campo, in quattro linee, + • | ANGIL | BERGA | INP {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 28. (Tipo F). 8. Idem. ^ — + LVDOVVIGVS INP Croce su tre gradini. ;pi _ + ANGILBERG-A NP Nel centro piccola croce rin- crociata {vedi /ig.). R. ^ Coli. Cagiati. 9. Idem. Simile al precedente con LVDOVVICVS A. Sambon, Le Musée, pag. 28. R. M LA ZECCA ni BENEVENTO 487 (Tipo G). IO. Idem. TY — + LVDOVVICVS IMRE Nel centro, m un monogramma criiiij'irnic. .-Uii^'i/sltis. F^ — + ANGILBERGA inP Nel «-entro, in due linee, AGV STA (veéii fig.). R. M Culi. L'agiati. ir. Idem. Simile al precedente con ANGILBERGA IMPE R. M A. Sambon. Le Musée, pag. 28. 12. Idem. Simije al precedente con LVDVVIGVS INP A. Sambon, Le Musée, pag. 28. R. M 13. Idem. Simile al precedente con un astro a destra del mono- granìma tra le lettere V — S. R. M Coli, de! prof, dell' Erba di Napoli. 4.' Epoca {a nome di Adelchi e Giovanni Vili) 871 (Tipo A). I. Denaro. '& — •¥ ADELGI • PRN Nel centro, in monogramma cruci- forme, lOHA \^ — Nel campo, tra due rosette una .superiore l'altra in- feriore, SCAMP (Sancln Maria) {vedi fig.). R. A\ A. Sambon, Le Musée. pag. 29. 488 MEMMO CAGIATI » * « Gaiderio (878-881). Accecato dal desiderio di regnare Gaiderio. figlio di Radelgario, a capo di una congiura votò alla morte Adelchi suo zio e gli successe in luogo di Radelchi, a cui sarebbe spet- tata l'eredità del trono come figliuolo primogenito dell'ucciso principe. Guidato soltanto dalla più sfrenata ambizione, rinnegando puranco ogni sentimento di nazionalità per conservare il dominio, Gaiderio nello stesso tempo lusingava le brame di Giovanni Vili, nego- ziava con i bizantini contro il Papa, a seconda delle opportunità stringeva e tradiva amicizie ed alleanze. Gli portò sventura spezzare quelle che lo tenevano legato a Landone di Capua, perchè a trarne ven- detta Landone unì il suo al partito dello spodestato Radelchi e potè a tradimento aver nelle mani l'usur- patore e consegnarlo prigioniero ai Franchi di Spoleto. A Gaiderio riuscì poi di evadere e di rifugiarsi a Bari ; si recò a Costantinopoli a chiedere prote- zione agi* imperatori Basilio, Leone ed Alessandro ed ottenne col titolo di Protospata il governo di Oria, di dove per tutta la vita non lasciò di mole- stare il principato beneventano <^). L'unica moneta che si conosca di Gaiderio è la seguente, di cattiva lega e d'arte molto scadente. I. Denaro. ^ — Nel campo, in monogramma cruciforme, GAIDERI PRIN. (1) Ekchempek 10. 11. 39, 48. LA ZECCA DI BENEVENTO 489 9 — Nel campo, in monogramma cruciforme, S MARIA {vedi frg'). ^- ^ A. Sambon, Le Musée, pag. 30. Radelchi li (8^1-884). Mentre i saraceni imper- versando nel Mezzogiorno d' Italia sempre più met- tevano dappertutto lo scompiglio e la desolazione e il Pontefice Giovanni Vili fulminava con i suoi ter- ribili anatemi i principi che, impossibilitati a difen- dersi, erano stati costretti a far lega con gli inva- sori ('), scomunicava e malediceva specialmente At- tanasio di Napoli, che gli si era levato contro '2) j mentre Carlo il Calvo accorreva in soccorso al mi nacciato Stato pontificio, preceduto da Carlomanno che con poderose schiere scendeva in Italia e ve- niva dal Papa incoronato imperatore; mentre insor- geva la guerra tra napoletani ed amalfitani da un canto, capuani e benev^entani dall'altro, Radelchi II regnò in Benevento nulla affatto tranquilla, anzi nel più completo disordine. Nell'agosto 884 Radelchi dovè lasciare il go- verno tenuto per tre anni circa e prendere la via dell'esilio, scacciato dai suoi sudditi malcontenti e ri- voltosi che vollero in suo luogo Aione, fratello di lui ^3). Del breve periodo di quel regno abbiamo la seguente moneta : Cr) Erchbmperto, n. 38, 39. (2) Epistola 41, Jov. vili. — Epistola 22 (scomunica gli Amalfitani). (3) Erchemperto, n. 48, 49. ffi 490 MEMMO CAGIATI 1 . Danaro. EV ~ Nel campo, in monogramma cruciforme, RADELSH PRIN. ^ - + SCA MARIA Nt^l centro, in njonogramma cruci- turnie, MIH('''^/ Archangelus) {vedi ftg-). K. M A. S.iiiihmi, Le Miisée, pag. 30. * * * AiONE li (884-890). Audace e valoroso, ambizioso ed attivo, Aione II tentò di risollevare le sorti del principato, risvegliando nei longobardi quel senti mento d'orgoglio nazionale che li avesse resi soli- dali e forti contro ogni tentativo d'invasione nemica. Alla testa dei principi che lo seguirono attaccò i greci spinti contro Benevento dalle mene del ven- dicativo Gaiderio, si impadronì di Bari nell' 888 ed alleati a se i saraceni potè insieme ad essi scon- figgere le truppe imperiali speditegli contro da Leone VI. Abbandonato poi da quei principi che per intrighi e per gelosie gli divennero contrari, im- poverito di forze, dovè restituire Bari e tornarsene affranto e sconfortato in Benevento, dove poco tempo dopo morì lasciando alla mercè dei cortigiani l'erede suo figliuolo Orso, un bambino di dieci anni su cui il trono doveva precipitare. Di Aione II non abbiamo che il seguente denaro di scarso peso, dal Sambon giustamente chiamato un triste campione della monetazione longobarda emesso in quel periodo di guerre incessanti. I. Denaro. Jà" — Nel campo, in monogramma cruciforme accostata da quattro globetti : AIO PRI. LA ZECCA DI BENEVENTO 49I 9 — Croce, su tre gradini, accostata dalle lettere A — CO {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Miisée, pag. 31. Orso (890-891). La morte del princij)e Aione procurava una maggiore opportunità a Leone, l'in- novatore deir impero d'Oriente, di tentare la con- quista della Longobardia minore e Gaiderio non ri- stava dal consigliarla. Il 13 luglio 891 un poderoso esercito condotto da Simbatico accerchiava le mura di Benevento ed il 18 ottobre la città era presa ; Siponto e molte altre terre erano intanto già cadute in potere dei bizantini. Che ne avvenne di Orso si ignora U), come si ignora se fossero state coniate monete in quei pochi mesi che il governo fu tenuto in nome dello sven- turato fanciullo. Dominazione greca (891-895). Sullo scorcio del IX secolo quelle terre, che la potenza dei forti e valorosi normanni, debellatrice dei saraceni, dei greci, dei longobardi, doveva riunire poi in un solo regno, erano divise in tanti piccoli Stati <*;, n principato di Salerno era governato da Guaimario, che gì' imperatori d'Oriente, Leone ed Alessandro, avevano assicurato in quel dominio e Capua obbe- diva ad Atenolfo che aveva discacciati i suoi fratelli (i) Catalogus Regnum Long, et Ducum Benev. — M. G. H. SS. RR. LL. et Ital., 494. — Cron. Salem., e. 143, 144, 542, 543. — Antiales Be' ttevenlani, an. 892, p. 174. — Lupus Prolospata, an. 891, p. 53. — Leone Marsic, l. I, e. 49, 615. — Cod. Dipi. Cav., doc. CUI, I, 131. — Di Meo, V. 50. (2) GiANNONE P., Historia civile del Regno di Napoli, voi. II, lib. VII. 492 MEMMO CAGIATI Landolfo e Landone ; buona parte delle Puglie e della Calabria era passata sotto la dominazione dei greci che mandavano patrizi e strateghi a governare le varie città sottomesse ; Gaeta col suo piccolo du- cato parimenti ai greci si appartenne, mentre il du- cato di Napoli era rimasto autonomo ed indipendente ma in confini molto ristretti, giacche distaccato da Amalfi era sottoposto al governo di un duca che riconosceva la sovranità dell' Impero greco. La città di Benevento, trecentotrent'anni dopo da che i lon- gobardi l'avevano tolta ai bizantini, ricadeva sotto l'antico dominio ed i greci vi esercitavano un go- verno così duro e tirannico che i cronisti del tempo ce li descrivono quali dominatori più perfidi dei sara- ceni, più crudeli delle bestie feroci. Ristretto ed impicciolito, a beneficio di Salerno e di Capua, il principato beneventano sotto i greci fu dapprima governato per un anno circa da Sim- batico, che ne aveva conquistata la Capitale, poscia per altri tre anni da Giorgio, patrizio imperiale, in- viato come governatore da Leone VI. Di questo pe- riodo non si hanno monete beneventane perchè quella dal Borgia attribuita a Giorgio Patrizio noi credemmo classificare tra quelle del duca Gregorio. * Guido di Spoleto (895-897). Chiamato da suo cognato Guaimario riuscì a Guido, figliuolo di Gui- do Il di Spoleto <') (non già, come alcuni storici vo- gliono, quel Guido che per il favore di Stefano V fu vincitore nell'acerba lotta con Berengario, indi l'acclamato imperatore d' Italia) di sorprendere ed espellere nell'agosto 895 la guarnigione greca che custodiva la città dei longobardi e fu così che i (l) ErCHEMPERXO, 11. 79. LA ZECCA DI BENEVENTO 493 greci perderono Benevento, mentre i beneventani, che per sottrarsi al duro giogo dei bizantini avevano con gioia accolte le schiere liberatrici di Guido di Spoleto, dovettero subire per due anni il dominio di questo prin- cipe straniero ('> che non battè moneta in Benevento. * » Interregno (897). Distratto da altre imprese e costretto a ritornare a Spoleto, Guido deliberò di cedere il principato di Benevento a Guaimario e lasciò frattanto nell'SQy la città sotto la reggenza del vescovo Pietro '^). Frementi e concordi nel rifiutarsi a sottoporre la città, avversa a dominare, in servitù del principe di Salerno, i beneventani, acclamando il vescovo Pietro, chiedevano l'autonomia del principato; quando poi ebbero la nuova che Guaimario già si incamminava alla volta di Benevento per prenderne possesso, ad ostacolargli la strada incaricarono Adalferio, castaido d'Avellino, nipote del nobile beneventano Roffrido. Si vuole che questi fattosi incontro a Guaimario gli offrisse ospitalità e profittasse poi nella notte deireb- brezza in cui il principe convitando era caduto per fargli cavare gli occhi dai suoi sgherri e che Guai- mario fosse costretto a tornarsene con i suoi a Sa- lerno a dolersi della mala ventura <3). Di questa dove- vano poi profittare nel 901 i salernitani, stanchi del malgoverno e della perfidia del cieco loro signore, per deporlo dal trono, innalzando in sua vece il figlio di lui, che fu Guaimario II '4). (1) Anon. Sa/ern., e. 151 e seg. (2) A. Sajìbon, Recueil des monnaies^ ecc. in : Le Musée, op. cit., pag. 32. (3) Anon. Sa/ern., e. 152. (4) Leges Bajoariorum, t. II. " non invalidum Ducem suo et regno * ab filio dejici, sed Ducem viribus animi corporisque constantem, atque " non caecum, vel non surdum, vetabant ,. 4-94 MEMMO CAGIATI Il chiarissimo Arturo Sambon attribuisce al breve periodo d' interregno con Pietro Vescovo la seguente moneta, di cui possediamo un esemplare perfetta- mente uguale anche per peso, a quella che si con- serva nel R. Museo di Torino, la quale sembra battuta a nome della città che era devota della Vergine Maria. I. Denaro. B — + BENEBENTV Nel campo croce latina accostata dalle lettere A — Cu. ^ — + SCA MARIA Nel campo croce a sei aste {vedi CoU. Cagiati. * * • Radelchi II REINTEGRATO (897-900). Il 31 marzo 897, dopo dodici anni di esilio, Radelchi II era resti- tuito da sua madre, l'imperatrice Ageltrude, al prin- cipato che Alone gli aveva tolto ^^), ma, semplice e dappoco, neanche in questo secondo periodo di regno egh seppe accattivarsi l'animo dei suoi sudditi, ai quali divenne presto odioso, specie per le crudeltà che egli lasciava commettere in suo nome dal feroce Verualdo suo favorito ministro. Crebbero i disordini in Benevento nelle mani di una aristocrazia sediziosa e d'un popolo corrotto, molti cittadini abbandonarono la loro patria. Capua li accolse, Capua che Atenolfo portava alla mag- giore grandezza, sicché delle sollevazioni contro Ra- delchi, della intelligenza che correva tra i congiu- (i) Chron. i>aleru., e. 148, 545. — Atinales betteven/tint, all'a. 898, 174. — Cod. Dipi. CaiK, doc. CX, I, 138. — Di Meo, V, 84. LA ZECCA DI BENEVENTO 495 rati rimasti in città e quelli che in Capua si erano rifugiati, trasse profitto Atenolfo, che con i suoi ar- mati una notte sorprese Benevento, prese d'assalto il Palazzo, in cui Radelchi tranquillo dormiva, e si impadronì dell'avversario, mentre nobili e popolo, malcontenti ed esiliati, lo salutavano festosamente come principe di Benevento"). Il Sanibon <2) ci dice che fu probabilmente sotto la dominazione di Atenolfo di Capua che si conia- rono in Benevento, ultime monete, queste d'argento che qui appresso riportiamo, aventi per tutta iscri- zione il nome della Santa Vergine, simigliante alle monete che si battevano a Capua in quel periodo col nome di Atenolfo e di suo figlio Landolfo, simi glianti anche a quelle che furono battute da Lan- dolfo li e del Pandolfo I Testa di ferro. (Tipo A). i. Mezzo denaro {^). i* — Nel campo SCA sotto tre globetti. 1> — Nel campo MAR soito tre globetti {vedi /ig.). R. M A. Snmbnp, Le Musée, pag. 32. (Tipo B). 2. Idem, B' — Nel campo in due linee SAN | TA. 1^ — Nel campo in due linee MA ■ I RIA {vedi fig.). R. M A. Sambon, Le Musée, pag. 32. (l) Chron. Solerti., e. 152. 153, 154, 547. 548. (a) A. Sambon, Recueii des monnates, ecc. in: Lt Musie, op. cit., p. 32. 4g6 MEMMO CAGIATI Trasferita che fu la sede del principato in Ca- pua, alla potenza di Benevento seguì la potenza di Capua (^) ; Atenolfo da castaido aveva saputo fab- bricarne la fortuna ed esserne principe saggio, valo- roso e liberale; la costante successione dei principi longobardi, che ebbero il princi])ato di Benevento riunito al contado di Capua (2), andò sino al 16 giu- gno 1072 giorno in cui, con la morte di Arrigo in Sicilia, si estinse. Da circa tre secoli Arichi dormiva nella tomba e da più tempo si era spezzata la lancia di Autaii, quella lancia con cui si vuole fosse percossa la co- lonna miliaria sulla riva di Reggio indicata a limite del dominio longobardo. All'antica ed insuperata gloria di questo dominio presto rispose l'eco di una nuova civiltà che si ripercosse di monte in monte in guisa fatidica ; a pie del Volturno fu stretta la inspe- rata federazione dei principi normanni e si combat- terono le lotte che diedero al Mezzogiorno d'Italia quella autonomia ed egemonia che portarono ai primi germi di un regno italico. Posilipo, Novembre 1916. Memmo Cagiati. (1) O. Rinaldo, Memorie istorie he della fedelissima città di Capua, toni. II, e. I. (a) Principes beneventanorum et cnpuanorum (Pellegrino Par., V), APPUNTI DI NUMISMATICA ITALIANA XXII. NUOVO ELENCO DELLE ZECCHE ITALIANE MEDIOEVALI E MODERNE. Quando, nel 1906, pubblicai in questa Ri'Asta^^^ r Elenco delle Zecche italiane accertate, probabili* ed apocrife, secondo le ultime ricerche, aggiungevo^ che quella serie avrebbe certamente subtto « non; poche variazioni ed aggiunte col progredire degli studi e delle scoperte ». Ora, infatti, dopo dieci anni da quell'epoca, le aggiunte, le modificazioni e gli spostamenti, richiesti dai nuovi studi hanno modificato sensibilmente quel- l'Elenco, tantoché non mi sembra opera inutile pre- sentarne ora ai Lettori uno nuovo, che sia» per quanto mi è possibile, l'ultima parola degli studiosi sull'argomento. Ora sono in corso delle pubblicazioni, q^ali il (I) E. Gnecchi, Appunti di Numismatica Italiana: XX. Le zecche- italiane medioevali e moderne {Rn>ista italiana di numismatica, igité, fase. II, pag. 229-238). 49^ E. GNECCHI Corpus Nummonim ^^), le Monete del Reame delle Due Sicilie^^\ e altre, specialmente di autori napoletani, che porteranno certamente nuove modificazioni e ag- giunte a questo Elenco. Ebbene, se ne farà un terzo, un quarto, e si continuerà, da chi lo potrà, a tener dietro ai nuovi trovati della scienza. Si sa bene che questi lavori sono sempre perfettibili, sempre natu- ralmente soggetti a modificazioni, ma l' importante è di poter dare oggi il risultato esatto e completo delle ricerche fatte fin qui sull'argomento. Ho creduto compilare tre Elenchi di Zecche italiane, distinti nel modo seguente : I. — Zecche accertate e generalmente ammesse, ossia quelle, di cui si conoscono monete effettive, e quelle poche di cui fu con documenti accertato in modo indiscutibile l'esistenza, quantunque gli studiosi non siano ancora riusciti a distinguere con sicurezza le monete in esse prodotte. Inutile il dire che, desi- derando fare un Elenco sicuro delle vere Zecche ita- liane, mi sono studiato di vagliarle col massimo ri- gore, e farne una attenta selezione , lasciandone da parte un certo numero, che pure taluni vorreb- bero comprese fra quelle accertate. In questo Elenco (i) Corpus Nummorum Italicorum. Primo Tentativo di un Catalogo Generale delle monete medioevali e moderne coniate in Italia o da ita- liani in altri paesi. — Di quest'opera poderosa del nostro Augusto So- vrano sono usciti, dal 1910 ad oggi, sei volumi. Essi comprendono: la Savoia; il Piemonte colla Sardegna e le zecche d'oltremonti di Casa Savoia; la Liguria e la Corsica; le zecche minori della Lombardia; Milano; la prima parte della zecca di Venezia, dalle origini a Marino Grimani. (a) Cagiati Memmo, Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo 1 d'Angiò a Vittorio Emanuele li. Napoli, 1911-1916 (con disegni nel testo). Di quest'opera sono usciti finora n. 9 fascicoli. I primi cinque illustrano la zecca di Napoli ; il sesto, il settimo e l'ottavo, le Zecche minori del Reame di Napoli, e il nono, la prima parte della Zecca di Messina. LE ZKCCHE ITALIANE 499 però i Lettori troveranno cinque nomi di zecche (e precisamente quelle di Antignate, Cantù, Covo, Sovana e Valenza) contradistinte da un asterisco (*). Sono zecche che non ho osato levare dall' Elenco, perchè sembrano ormai accettate dalla generalità, ma che, a mio parere, condiviso anche da altri, non avrebbero ancora tutti i titoli richiesti per ap- partenere con sicurezza a quella prima categoria, ed esigerebbero nuovi studi, nuove ricerche per esservi comprese di pieno diritto. All'avvenire l'ap- pello definitivo sulla bontà della loro causa. IL — Zecche probabili. Di questa categoria fanno parte : a) I nomi di città o terre, che ottennero pri- vilegi o diritti di zecca, ma delle quali finora non apparve alcuna moneta che possa essere loro con certezza attribuita. b) I nomi di luoghi, a cui fu da qualche au- tore assegnata una data moneta, sulla quale però occorrono nuovi studi perchè tale attribuzione sia generalmente e definitivamente approvata. III. — Città terre, alle quali erroneamente si attribuì una zecca. Il sistema migliore e più razionale sarebbe stato quello di distribuire gli Elenchi secondo le varie re- gioni, come vediamo ora praticato nel Corpus Num- morum, e in tutte le opere più recenti. Ma io ho creduto opportuno di ripetere questi Elenchi in or- dine alfabetico, perchè tutti, e specialmente i princi- pianti, possano confrontarli colle Tavole sinottiche del Promis ^^), col Saggio di bibliografia dei Fratelli Gnec- (i) Vincenzo Promis, Tavole sinottiche delle monete battute in Italia o da italiani alPestero, dal sec. VI a tutto l'anno 1868. Torino, 1869. in-4. 500 E. GNECCHI chi ^^^ e coir ultimo Elenco, già accennato, del 1906, tutti lavori conapilati in ordine alfabetico, e rendersi conto, a colpo d'occhio, delle modificazioni e delle aggiunte che mano mano vi si sono susseguite. A un certo numero di zecche accertate ma meno conosciute o di recente scoperte, a tutte le zecche probabili, e a tutte quelle erronee ho aggiunto la relativa indicazione bibliografica, scegliendo di pre- ferenza le pubblicazioni più recenti, le quali na- turalmente riassumono le opere precedenti, le com- pletano, ne confutano gli errori, presentano insomma il risultato dei vari studi fatti intorno ad esse. Cosi ognuno potrà con facilità conoscere le ragioni che hanno consigliato di collocare una data zecca in una categoria piuttosto che nell'altra. Un vivo ringraziamento debbo qui tributare ai vari amici che mi aiutarono con qualche suggeri- mento nella compilazione di questi Elenchi, e uno specialissimo all'egregio e carissimo amico e collega, fl cav. Memmo Cagiati, il quale ebbe la bontà di rivedere da cima a fondo il piccolo lavoro, miglio- randolo con numerose correzioni ed aggiunte, spe- cialmente per quanto riguarda le zecche dell'Italia Meridionale, nelle quali Egli è maestro. Sarò sempre grato a tutti coloro che vorranno farmi conoscere il loro parere sul piccolo lavoro, e accennarmi le inesattezze, in cui fossi per avventura incorso. Ne farei tesoro per un'altra eventuale com- pflazionje. (i) Francesco ed Ercole Gnecchi, Saggio di BiblÌQgrq/ia . numisma- tica delle zecche italiane medioevali e moderne. Milano, 1889, in-8. LE ZECCHE ITALIANE 50I I. Zecche Italiana. ÀCQUABELLÀ. Promis Domenico, Monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841 ; vo- lumi II, in-4. Rabut Francois, Denier de l'évcché de S.' Jean de Maurienne frappé à Aigiiebelle au XI siede {Mém. et Documents de la Sociéti d'hisloire et et archeologie. Chambery, 1859, in-8, tomo 3.»). Corpus Ntimmorum Italicorum. Primo tentativo di un Catalogo ge- nerale, ecc. Voi. II, pag. 429, tav. XLI, 19. ACQUI. I ALBA. Maggiora- tergano £., Sopra due nuove zecche (Alba e Pontestura in Piemonte), inedite. Asti, 1873. Corpus, voi. II, pag. 3 e 4, tav. I, 8. ALBERA. Promis D., Monete inedile del Piemonte. Tonno, 1866, pag. 30, 31, tav. III. Corpus, voi. II, pag. 4, tav. I, 9 e io. ALESSANDRIA. 1 AMABILIS (Abbazia di Casa- ALOHERO. I mabilej. Samòon A., Follis de l'abbaye de Saint Maxime. Recueil des mon- naies de l' Italie Meridionale depuis le VIII siècle jusqu'au XJX [Le Musée, Reviie if Art, Paris, 1909). Sambou G., Repertorio Generale delle monete coniate in Italia o da Italiani all'estero dal sec. V al XX nuovamente classificate e de- scritte. Parigi, I912. AMALFI. AMATRICE. ANCONA. * ANTIGNATE. Muotti Dom., Officina monetaria di Giovanni II Bentìvoglio nei ca- stelli di Antignate e Covo (ducato di Milano) {Periodico di numism. e sfragistica. Firenze, 1869, voi. II). Corpus, voi. IV, pag. 1-9, tav. I, 1-13. 502 E. GNECCHI ANTIOCHIA. AREZZO. ANTIVARI. ARQUATA. AOSTA. ASCOLI. AQUILA. ASTI. AQUILEJA. ATRI. V. Lazari, Zecche e monete degli Abruzzi. Venezia, 1858. Idem., Monete inedite degli Abruzzi {Rivista della Numism. antica e moderna, pubblicata dall'Olivieri, voi. 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Cagiati M., La zecca di Benevento {Rivista Ital. di Numismatica, fase, II, IH, IV, 1915 ed in corso di pubblicazione). BERGAMO. I BIELLA. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., I909, fase. II, pag. 231-232). BOLOGNA. I BORGO DI BRESSA. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909. pag. ao8-9ii). LE ZECCHE ITALIANE 503 BORGOTARO. Pigorini Luigi, Memorie storico-numismatiche di Borgotaro, Bardi e Compiano. Parma, 1863. Catalogo Coli. E. Gnecchi, I parte, pag. 32, num. 609, tav. IV. BOSA. Spano Gio., Sopra due monete sarde della zecca di Bosa (Periodico di num. e sfrag., anno V, pag. i-li, tav. I, i e a). Corpus, voi. II, pag. 4.^437, tav. XLI, 22. BOZZOLO BRESCELLO BRESCIA. BRINDISI. BUSCA. CAFFA. CAGLIARI. CAMERINO. CAMPI. CAMPOBASSO. CANDIA. » CANTU'. Gavazzi Giuseppe, A proposito delle monete di Giancarlo Visconti {Riv. il. di num., 1888, fase. II, pag. 225-228). Ambrosoìi Solone, La zecca di Cantù e un codice della Trivulziana {Riv. il. di num., 1904, fase. IV, pag. 475-478, fig.). Corpus, voi. IV, pag. 88, tav. Vili, 15. CAPUA. Cagiati M., Il " cavallo „ per Capua (Riv. it. di num., 1914, Caso, lll- IV, pag. 411-418, fig.). Idem, Le monete dei Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. VII, 1915, pag. 1 17-123, fig. CARMAGNOLA. CARPENTRASSO. CASALE. CASTELDURANTE. CASTELLEONE. CASTELSARDO. Spano Giov., Memoria sopra una moneta finora unica di Nicolò Boria. Cagliari, 1868. Corpus, voi. II, pag. 477, tav. XLIV, 17. CASTEL SEPRIO. Jeckltn Fritz, Il rinvenimento di monete longobarde e carolingie presso Ilanz, nel Cantone dei Grigioni. Cividale del Friuli, 1907, pag. 14- 16, tav. I, 15-21. Corpus, voi. IV, pag. 89-90, tav. VITI, 17 e 18. CASTIGLIONE DEI PEPOLI (già dei gatti). Promis V., Sulle monete di Castiglione dei Gatti. Torino, 1881, fig. 5Q4 £• GNECCHI CASTIGLIONE DEL LAGO. Tonini F. P., La crazia e il quattrino di Ferdinando De Medici, principe di Castiglione del Lago {Periodico di num. e sfrag., Firenze, anno I, pag. 17-22, tav. II, 1-4). CASTIGLIONE DELLE STIV.RE CATANIA. CASTRO. Rossi Umberto, Le monete di Catania {Gazzetta numistn. di Como, anno II, n. 3, pag. io e 11; n. 4, pag. 13 e 24). Sambon A., Le monnayage d'Artale d'Alagon à Catane (1377). {Revue Numismatique, anno 1913). Sambon G , Repertorio, ecc. CATANZARO. Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. VII, pag. 125-129, fìg. CATTARO. I CEVA. CEFALONIA. | CHAMBERY. Promis D.y Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909, pag. 201-206, fig.). CHIARENZA. | CHIUSI. CHIETI. I Bellini Vincenzo, De monetis Italiae, etc, tomo li pag. 93, i; t. Ili, tav. IX, I. Pizzetti, Zecca di Chiusi ed antichità toscane. Siena, 1798. Catalogo Coli. Gnecchi, I parte, pag. 53; tav. VI. CHIVASSO. I CISTERNA. Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 20-23, tav. Ili, 32; tav. IV, 33 e 34. Corpus, voi. II, pag. 213-214, tav. XVIII, i4-i6, CIVITADUCALE. Lazari Vincenzo, Zecche e monete degli Abruzzi. Venezia, 1858, pag- 36-37. tav. IV. Cagiati M., Le monete, ecc., fase. VII, pag. 143-140. CIVITAVECCHIA. COCCONATO (V. PASSERANO), COMPIANO. CORFU'. COMO. I CORNAVIN. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909, pa- gina 2a4-aa6, fìg.). LE ZECCHE ITALIANE 5^5 CORREG&IO. I CORTEMIGLIA. CORTE. ! CORTONA. Bellini Vincenzo, De monetis Italiae medii aevi. etc. Tomo II, pa- gina 36, n. I. Catalogo Coli. E. Gnecchi, I parte, pag. 59, n. 1121. NB. Riguardo al Tremisse attribuito a Cortona, vedasi Kuns C, Il Museo Bottacin, ecc. {Periodico di num. e sfrag. di Firenze, voi. Il, pag. 77, in nota e voi. Ili, pag. 26 e 27). * COVO (vedi antignate). | CREMA. Kunz C, Miscellanea numismatica italiana. I. Della zecca di Crema. Venezia, 1867, tav. annessa n. i, 2 e 3. CREMONA. I CUNEO. CREVACUORE. | DAMALA. Schlumberger E., Numismatique de FOrient latin. Paris, 1878, in-4, avec Supplenient, 1882 (con tav.). DEGO. Giorcelli Giuseppe, Una zecca piemontese medioevale sconosciuta {Bollettino ital. di num. e di arte della medaglia, Milano, 1905, fase. Il, pag. 19-22). Ricci Serafino, La nuova zecca di Dego (Ponzone) {Boll. il. di nu- mismatica, ecc., 1905, fase. II, pag. 22-24). Corptis, voi. III, pag. 1-3, tav. I, n. 1-4. DESANA. ; DOGLIANI. Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 28-32, tav. IV, 37. Grillo Guglielmo, Ripostiglio di monete medioevali. Monete inedite di Milano, Dego. Una nuova zecca sconosciuta {Boll. it. di num., ecc., 1909, pag. 11-12, fig.). Corpus, voi. II, pag. 275, tav. XXV, 14. DOMODOSSOLA. Vernaaaa de Freney, Monete del vescovo di Novara, conte d'Ossola, 1790, in-8. Coire Pietro, Monete novaresi, 1882, tav. I, 9. Corpus, voi. II, pag. 275-276, tav. XXV, 15 e XLVII, io. DONNAZ. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista ital. di num., 1909, pag. 219-220, fìg. «4 5o6 E. GNECCHl FERRARA. FIRENZE. FOGLIA VECCHIA. FORLÌ'. FABRIANO. FAENZA. FAMAGOSTA. FANO. FERMO. Burriél Antonio, Vita di Caterina Sforza Riario, contessa il' lincia e signora di Forlì. Bologna, 1795, voi. 3, in-4, con tav. Gnecchi Ercole, Appunti di num. italiana. Un quattrino di Caterina Riario Sforza, signora di Forlì {Riv. ii. di num., 1905, pag. 493-498, fig.). FORTE URBANO. Promis D., Monete di zecche italiane inedite o corrette. Torino, 1867, tav. II, 29. FOSDINOVO. I GARFAGNANA. FOSSOMBRONE. FRINCO. FULIGNO. GAETA. Promis D GAZZOLDO GENOVA. j GEX. Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di num., 1909, pag. 231). IGLESIAS (v. VILLA DI chiesa). GORIZIA. GUARDIAGRALE. GUASTALLA. GUBBIO. INCISA. ISERNIA. Sambon A., Monete napoletane inedite, ecc., {Riv. Hai. di Num., anno 1901. Idem, I tornesi falsi di Ferdinando] d'Aragona coniati a Napoli, ecc., in " Supplemento „ del Cagiati, anno HI, n. 5, 6 e 7. Cagiati M., Le mon. del Reame delle Due Sicilie, fase. VII, p. 179-181. NB. Dai documenti pubblicati dal Sambon risulta accertata la coniazione di tornesi in questa zecca ; solo tìnora non fu dato agli stu- diosi di distinguere questi tornesi da quelli ufficialmente coniati al tem/xì di Ferdinando I nelle diverse zecche del Reame. IVREA. LANCIANO. Sambon Arturo, Di alcune monete inedite di Alfonso I e Ferdi- nando I, re di Napoli, e di due officine monetarie del Nafioletano sinora sconosciute. Zecca di Lanciano {Riv, il. di num., anno V, 1892, p. 350-353. Cagiati M., Le mon, del Reame delle Due Sicilie, fase. VII, p. 183-186. NB. Anche su questa zecca l'Autore produce alcuni documenti pub- LE ZECCHE ITALIANE 507 blicati dal Pansa che ne provano ad esuberanza l'esistenza, quantunque non si conoscano ancora monete effettive in essa prodotte, e si conclude che " possiamo ritenere fra le accertate la zecca di Lanciano, a cui " speriamo si possano presto attribuire quelle monete di sua fabbri- " cazione, le quali, cosa strana ed inesplicabile, non è stato possibile * finora agli studiosi di distinguere ,. LECCE. Frola Carlo, Sulla zecca di Lecce (Supplemento all'opera: Le mo- nete del Reame delle Due Sicilie, ecc., anno III, 1913, pag. 37 e 38). Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili» pag. 187-196, lìg. LECCO. LEPANTO. LESINA. LIVORNO. LOANO. LODI. LUCCA. MACCAGNO. MACERATA. MALTA. MANFREDONIA. MANOPPELLO Lazari V., Zecche e monete degli Abruzzi, ecc. Cagiali M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 20I-204, fig. MANTOVA MASSA DI LUNI&IANA. MASSA DI MAREMMA. MASSA LOMBARDA. MATELICA. MERANO. MESOCCO MESSERANO. MESSINA. METELINO. MILANO. MILETO. MIRANDOLA. MODENA MONACO. MONCALIERI. Promis D.f Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. [Riv. il. di num., 1909, p. 224). MONCALVO. I MONLUELLO. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista Hai. di num., 1909, pag. 226-227, fig.). MONTALCINO. MONTALTO. MONTANARO. MONTEFIASCONE. Martinori Edoar.^ Della moneta paparina del Palrimonio di S. Pietro in Tuscia e delle zecche di Viterbo e Montefiascone {Riv. il. di num., 1909, pag. 379-438. fig- ; 1910, pag. 37-72, fig.). 5o8 E. GNECCHI MONZA. MURATO. MUSSO. NAPOLI. NASSO. NICOSIA. NIZZA NOVARA. NOVELLARA. NYON. Marini R. A., Zecca e zecchieri, ecc. (Rivishi i/al. di num., 1909, pag. 226-227, fig.). OREZZA. Corpus, voi. Ili, pag. 601-602, tav. XXIX, I0-12, PARMA. PASSERANO. PAVIA. PERA. PIACENZA. PIETRA SAVINA. ORTONA. ORVIETO. PADOVA. PALERMO. PALMANOVA. Schlurnberger E., Num. de l'Orient latin. PERGOLA. PERUGIA. PESARO. Ambrosoli S., Di alcune nuove zecche italiane (Atti del Congr. Int. di Roma, 1904, pag. 184). San Rome Mario, Una moneta inedita di Pietra Gavina. Milano, 1915 {Riv. It. di Num., 1915, fase. III-IV, pag. 377-380). PIETRACASTELLO. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. II. di Num., 1909, p. 221. PINEROLO. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista It. di Num., 1909. pag. 222, fig.). Idem, La zecca di Pinerolo e dei principi di Savoia- Acaia (Rivista it. di num., 1910, pag. 73-118, fig.). PIOMBINO. POMPONESCO. PISA. PONTE D'AIN. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista ital. di num., 1909, pag. 215-217, fig). LE ZECCHE ITALIANE 50g PONTE DELLA SORGA. Martinori Edoardo, La zecca papale di Ponte della Sorga. Contado Venesino (Riv. it. di num., 1907, pag. 215-247). RONZONE (vedi dego). Morel-Fatio Am., Cortemiglia e Ponzone. Monnaies inédites {Revue belge de num., serie IV, tomo III, con tavola). Ambrosoli S., Il ripostiglio di Lurate-Abbate {Riv. il. di ntuu., a. I, 1888, pag. 18-22, tav. II, n. I e 2). PORCIA. Atnbrosolt S., Lo zecchino di Porcia (Rivista ila/, di num., 1897, pag. 159-169. fig). RAGUSA. RAVENNA. RECANATI. REGGIO EMILIA. RETEGNO. RIMINI. i ROVEGNO. Olivieri A.. Monete, medaglie e sigilli dei principi Doria, ecc. Ge- nova, 1858. Corpus, voi. II, pag. 389, tav. XLV, 20. RODI. ROMA- RONCIGLIONE. RONCO. SALERNO. SAN GENISIO. ROVEREDO. ROVIGO. SABBIONE! A. Promis D.y Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista Ital. di Num., 1909, pag. 220-221, fig.). SAN GIORGIO. SAN MAURIZIO D'AGAUNO. SAN MARINO. Promis D., Monete del Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di Num., 1909, pag. 200-201, fig.). SAN SEVERINO. | SAN SEVERO Ruggero Giuseppe, Un lorncse di San Severo {Riv. II. di Num., 1903. pag. 434-430, fig.). Cagiali M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc. Fase Vili, pag. 229-234, fig. 5IO E. GNECCHI SAN SINFORIANO D'OZON. Proinis D, Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di Num., 1909, pag. 208). SANTA FIORA. Caiicich A. R., Breve cenno di una moneta finora unica dei conti di Santa Fiora (Boli, di num. Hai, Firenze, anno II, pag, 26, tav. Ili, 3. Idem, Di una inedita e finora unica moneta dei conti di Santa Fiora (Boll, di num. il., Firenze, anno II, pag. 39-40). Milanesi E. Di una moneta battuta dai conti Aldobrandeschi di Santa Fiora (Per. di num. e sfrag., voi. I, 1868, pag. 110-120, tav. VI, 11). SANTHIA'. Promis D., Monete dei Reali di Savoia. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di num., 1909, pag. 231-232). SASSARI. SAVOIA. SAVONA. SCIO. SCUTARI. SEBENICO. SEBORGA. SIENA. SINIGAGLIA. SIRACUSA. Samòon, Catalogo della Coli. Sambon. Monete dell'Italia Meridio- nale, pag. 107, n. 1340. SOLFERINO. SORA&NA. SORA. SORRENTO Fusco Salvatore, Tavole di monete del Reame di Napoli e Sicilia presentate nel 1839 all'Accademia Pontaniana (Aiti dell' Acc. Poniaii., voi. Il, pag. 9, tav. I, 8 e 9). Samòon, Cat. delia Coli. Sambon, pag. 44, tav. IV, n, 531. * SOVANA. Lisini Alessandro, Di una nuova zecca dei conti Aldobrandeschi (Riv. it. di num., 1895, pag. 205-208, fig.). SPALATO. SPOLETO. SULMONA. TAGLIACOZZO. TASSAROLO. TERAMO. SUSA. Savtni Francesco, Il Comune Teramano. Roma, 1895, P^g- 24^' Ruggiero Giuseppe, Le monete di Teramo (Riv. H. di num., 1905, fase. IV, pag. 485-487, fig.). Cagiati 71/., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 279-284 fig. LE ZECCHE ITALIANE 5II TERMINI. Promis V., Tavole sinottiche, ecc., pag. 221. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografìa num., ecc., pag. 376-377. TERNI. TINO. TICINO. Srhhtmberger E., Num. de l'Orient latin. TIVOLI. I TOCCO. Cagiali M., Monete del Reame delie Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 28V287, fio;. TORINO. TRESANA. TORRI&LIA. TREVISO. TORTONA. I TRIESTE. TRAU'. ' URBINO. TRENTO. * VALENZA. Ambrosoli S,, Di una nuova zecca Lombardo-Piemontese {Rìt. Uni. di num., 1901, fase. IV, pag. 383-386). VASTO. I VAUD. Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 14-16, tav. Ili, 26-29. Idem, Monete di zecche ital. inedite. Torino, 1868, pag. 7, tav. I, 3. VENEZIA. I VENTIMI&LIA (o gerace). Grassi-Grassi Antonino, Le monete di Ventimiglia (Boll, di num. ed arte della med., 1903, n. 5-6, fig.). Idem, Ancora delle monete di Ventimiglia (Boll., ecc., 1903, n. 9-10, P'ig- 95-99. fig-)- Ambrosoli S., Le monete dei conti di Ventimiglia {Riv. it. di num., 1903, pag. 437-444)- Grassi- Grassi A., Per la zecca di Ventimiglia {Riv. Uni. di num., 1908, fase. MI, pag. 341-342). VERCELLI. I VERGA&NI. Olivieri A., Monete e medaglie degli Spinola, ecc., Genova. 1860, pag. 141142 e il documento XVIII, tav. XIV, 2. Gnecchi Ercole, Uno Scudo di Gian Battista Spintila, principe di Vergagni {Riv. it. di num., 1903, fase. II, pag. 187-189, fig.). Corpus, voi. II, pag. 427-428, tav. XLI, 16-18. VERONA. VICENZA. VILLA DI CHIESA. VITERBO. VITTORIA. VOLTERRA. ZANTE. ZARA. 512 E. GNECCHI Zecca Incerta. VARCE {Varsi, Varzi, Varzo, Barzó). Ruggero Giuseppe^ Annotazioni numismatiche italiane. Zecca in- certa, sec. XIII {Riv. it. di num., 1908, fase. IV, pag. 575-576, fig.)- Grillo Guglielmo, Ripostiglio di monete niedioevali. Monete inedite di Milano, Dego. Una nuova zecca (Boll. il. di num., 1909, fase. I, pag. 12-13, H-)- Corpus, voi. II, pag. 423, tav. XLI, 7. II. Zecche Italiane probabili. ACAJA. Scìilumberger G., Numismatique de l'Orient latin. Paris, 1878, in-4, avec Supplement, 1882 (con tav.). ACRI. Heyd A., Ucber die angeblichen Miinzpràgungen dar Venetianer in Accon, Tyrus und Tripolis (Num. Zeiischriff^ 1879, pag. 237). Schlumberger G., Num. de l'Orient latin. AIX-LES-BAINS. Marini R. 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Gnecchi F. ed E., Saggio di bibliograha nuiiiismaiica delie zecche italiane medioevali e moderne. Milano, 1889, pag. 61. 66 5t4 E. GNECCHl CASTEL VELTRAJO. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr.. ecc.. pag. 63. CASTROeiOVANNI. Sambon G., Repertorio, ecc., pag. 129. — L'A. si giova dell'opyera ancora inedita del dott. A. Sambon e delle osservazioni dell'Amari. CATABIASCO. Gnecchi F. ed E., Saggio di bibliografia num., ecc., pag. 66. CHARLEVILLE (carlopoli). Amhrosoli .S., La zecca franco-italiana di Charleville o Carlopoli {Riv. it. di num., 1903, fase. I, pag. 87-90, iìg.). CITTA' DI CASTELLO. Tonini F. P., Topografia generale delle zecche ital., pag. 72. CIVIDALE (vedi aquileja). Liruti Giangiuseppe, Della moneta propria e forestiera ch'ebbe corso nel ducato del Friuli. Venezia, 1749, in-4, CORINTO. Schiuinberger A., Niuii. de l'Orient latin. CORON. Schlumherger E., Num. de l'Orient latin. EMPOLI. 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Kuns C, lì Museo Bottacin, ecc. {Periodico di num. e s/rag., vo- lume HI, pag. 26). PIZZO. Cagiati M., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 213-215. PONTESTURA. Maggior a- Vergano E., Sopra due nuove zecche (Alba e Pontestura in Piemonte) inedite. Asti, 1873. Brambilla C, La zecca di Pontestura ? {Rivista ttal. di num., 1891, pag. 157-161. fig.) PRATO. Tonini, Topogr. generale delle zecche italiane, pag. 56. Sambon A., Gillax d'inféodation de Robert d'Anjou frappée a Prato en Toscana {Revue Niimismatique, Paris, 1912). REG&IO CALABRIA. Cagiati M., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc. Vili, pag. 217-223. fig. RIFREDI. Franco A., .\ppunti di num. toscana dei sec. XllI-XIV. Firenze, I903. Ruggero Gius., Annot. num. itai. Monete battute in campo dai Ho- rentini e dai Pisani {Riv. it. di nufrt^,- igKrj, pag. 403-406, fig.). 5l8 E. GNECCHI RI&LIONE. Franco A., Appunti di num. toscana, ecc. Firenze, 1903. ROCCA D'ARAZZO. 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Monete battute in campo da P'iorentini e da Pisani (Riv. it. di num., J907. pag. 402-403, fig.). SANTO STEFANO D'AVETO. Olivieri A., Monete, ecc., dei principi Doria, pag. 23-24. SARTENA. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliog. num., ecc. Milano, 1889, p. 344. SASSOLA. l^ermigltoli G. B., Della zecca e delle mon. perugine. Perugia, 1816. Promis V., Tavole sinottiche delle monete, ecc., pag, xvi. LE ZECCHE ITALIANE 519 SIGNÀ. Mossagli £>., Della zecca e delle monete di Lucca nei secoli di mezzo {Monumenti e doc. per sen'ire alla storia di Lucca. Ivi, 1870, to. I, parte II, tav. IX, 3 e 4). SPEDALUZZO. Franco A., Appunti di num, toscana, ecc. Firenze, 1903. TEANO. Fusco Salvatore, Tavole di monete dei Reame di Napoli e Sicilia presentate nel 1839 all'Accademia Pontaniana {Atti dell' Acc. Pont., vo- lume IV. pag. 13, tav. IV, 8). THIERRENS. Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riinsta ital. di num., 1909, p;ig. 217-219). TIBERIADE. Fromis V., Tavole sinottiche, ecc., pag. 221. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografìa num., ecc., pag. 377378. TODI. Caucich A. R., Di un documento della z.rca di Todi (Bull, di num. italiana^ anno II, n. 2, pag. 14 e 15). TORRE DELL'ANNUNZIATA. Calciati M. Monete del Reame dtllc Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 296. NB. Non si può ancora accertare questa zecca sino a quando gli ultimi studi annunziati dal Cagiati non abbiano detta l'ultima parola. TRICERRO. Cora Luigi, .Appunti di num. piemontese. Tricerro {Riv. il. di tium., 1914, pag. 51-56, fig.). TUNISI. Sambon A., Monete d'oro coniate da Carlo I d'Angiò a Tunisi {Ri- vista it. di num.. 1893, fase. Ili, pag. 341-346. fig.), UDINE (vedi aquileja). Liruti C, Della moneta propria e forestiera, ecc. VENNE. Marini R. A. Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909, p. 221). VOLANO (Porto Volano). Sambon G., Repertorio, ecc., pag. 61. n. 374. 520 E. GNF.CCHI III. Città e Terre alle quali erroneamente Sì attribuì una Zecca. ALESSIO. Gnecc/ìi F. ed £"., Saggio di Bibliogr. mini., ecc., pag. 6 e "]. ARBOREA. Idi 111, idem, pag. 15. ARCEVIA. Anselmi Anselmo, Una zecca sconosciuta {Bull, di num. e sfrag- Camerino, 1887, ^ol. Ili, pag. 91-92). Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 15. BASTIA. Promis F., Tavole sinottiche, ecc , pag. xvii. BECCARIA. Brambilla Camillo, Monete di Pavia. Ivi, 1883, pag. 335. Gnecchi F. ed E.., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 26-27. CALDIERO. Idem, idem, pag. 50. CELLAMARE. Idem, idem, pag. 69. CHIERI. Idem, idem, pag. 73. COSENZA Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, fascicolo VII, pag. 147-152, lìg. DEGAGNA. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 100. DULCIGNO. Idem, idem, pag. 106. LE ZECCHE ITALIANE S*^ ELBA. Idem, idem, pag. io6. ESTE. Idem, idem, pag. 107. LAVAGNA (vedi messerano). Idem, idem, pag. 156. LOMBARDORE (vedi montanaro). Promis D., Monete degli Abbati di S Benigno di Fruttuaria. To- rino, 1870, pag. IO, in notn. LORETO Sclìweilser F. Moneta inedita autonoma eli Loreto (Schweitzer, No- tizie peregrine di num. e (farcheol.^ decade VI, pag. 19, tav. I, aK Kunz C, Il Museo Bottacin, ecc. {Fermdico di uttwistu. e sfrag^., voi III, pag. 160. È tempo ormai di far giustizia della zecca di Loieto e ài ra^i^ria defiiiinvamente dal novero delle zecche italiane. La moneta, che do- vrebbe rappresentarla, e che è una volgare falsificazione, fu pubbli- cala dnlln Schweitzer in quelle sue Notizie peres^rine, dove sono rac colti altri cinielii dello stesso genere, e da allora venne riprodotta in tutte le bibliografìe. LUCO. De P0irii 6'., Tesorelto di denari lornesi trovalo in Napoli (Attt della Regia Accademia di Lettere e Belle Arti. Napoli, 1886). Cagiati M.^ Le monete del Re^nie delle Due S.c,l»e, tuscicoii; VII, pag. 197-199. LUGANO (vedi Ticino). Gneccht F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 169-170. LUNL Olivieri A., Della zecca e delle monete battute in Luni nel medio evo {Rivista delia num. aut. e mod. Asti, vii. I, pag. 69-73, t^v. U, §)• MARCiASO. Remedi Angelo, Un otlavetto della manhesa di Ponzaneilo e Mar- ciaso {Bull, di HHm. itai. Firenze, anno II, 1867-68, pag. 4, tav. I, 3. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografìa num., ecc., pag. 184, MARTINENGO. Idem, idem, pag. 184. 522 E. GNECCHI MASEG-RA (vedi Beccaria). Brambilla Camillo, Monete di Pavia. J?'/, 1883, pag. 335. Gnecchi F. ed £".. Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 26-27. MEDOLE. Idem, idem, pag. 190. Schweiizer F.y Notizie peregrine, ecc., decade III, pag. 84. MELFI. Gnecchi F, ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 190. METAURO. Idem, idem, pag. 200-aoT. MOLFETTA. « Idem, idem, pag. 220-221. MONFERRATO (vedi casale). Idem, idem, pag. 226. MONTEFELTRO (vedi Urbino). Idem, idem, pag. 232. MONTE SANTA MARIA. ' Carli G. li , Delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia, ecc. Mantova, 1754, voi. I, pag. 215. Gnecchi F. ed £., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 232. MURANO. Idem, idem, pag. 234-235. NAPOLI DI ROMANIA. .Idem, idem,- pag. 246. ÓRCIANO. Kuns C, 11 Museo Bottacin, ecc. {^Periodico di nuwis. e sfrag., vo- lume III, pag. 35. Gnecchi F. ed £"., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 257. PONZANELLO. Remedi A., Un ottavetto, ecc. (Bull, di nunt. Hai., Firenze^ anno II, pag. 4, tav. I, 3. LE ZECCHE ITALIANE 523 ROCCA CONTRADA (vedi arcevia). Anselmi Anselmo^ Una zecca sconosciuta {Bull, di num. e sfrag.. Camerino, 1887, pag. 91-92. SAN BENIGNO DI FRUTTUARIA (vedi montanaro). Promis D., Monete degli Abati di S. Benigno di Fruttuaria. To' rino. 1870. SAN GALGANO. Tonini, Topogr. delle zecche italiane, pag. 57. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., pag. 336. SAN LERINO (vedi seborga). Rossi Gerolamo, La zecca di Seborga {Gazsetia num. di Como, anno I, n. 4, pag. 17-18). Idem, idem, Il Principato di Seborga e la sua zecca {Gazz. num., anno VI, 11. 4-5, pag. 3B-40). SAVELLO. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 345. SUTRI. Bramlnlia C , Tremisse inedito al nome di Desiderio re dei Lon- gobardi. Pavia, 1888, tìg. Jecklin Fritz, Il rinvenimento di monete longobarde e carolingie presso Ilanz, nel Canton de' Grigioni. dvidale del Friuli, ìgo-], pag. 14 e 15, tìg- TARANTO. Gnecchi F. ed E , Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 374-375. TOLMEZZO (vedi aquileja). Muoni D., Elenco delle zecche d'4talia dal medio evo inaino a noi. Como, 1886, in-8, pag. 61. TORRE DEL GRECO. Cagiati M., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili, pag. 289-396. TORTOLI. Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 384. TRINO. Idem, idem, pag. 393. fc54 E- «NECCHl VALDITARO (vedi bardi e compiano). Gnetchi F. ed E., Saggio di Bibliografia, eccu, pag. 396. VALLETTA (vedi malta). Idem, idetn, pag. 396. VIGEVANO (vedi mesocco). Mazzuchelli Pietro, Intomiazione sopra le zecche e le monete di G. G. Trivulzio, marchese di Vigevano, ecc. (Rosmini, dcW Istoria 'in- torno alle inilitari impresi 'e alla Vita di G. G. TrivìtlSìo, Milano, 1815, in-4, tomo 11, pag. 345-380, con 4 tavole). Gnecv/ii F. ed E., Le monete dei Trivulzio. Milano, 1887, in-4 ('^o" 8 tavole). Riassunto generale. Zecche italiane N. 267 „ ,, piobabili > 87 ^ „ apocrife .... „ 46 E. XjNfeCCHl. UN TORNESE INEDITO DI RENATO D'ANGIÒ Dopo le pubblicazioni del Pansa ">, del Sam- bon <2) e del Cagiati <3) sui tornesi di Renato d'Angiò, per Sulmona, si è ritenuto che gli unici esemplari esistenti fossero soltanto i seguenti : 1. y RENATVS D G • REX Croce in circolo di perline. ì^ — • DE • SVLMONA • 1 Castello sormontato da un giglio. Museo di Brescia (4). 2. J ' — * RENATVS • D • G • R • simile al precedente. I^ — DE • SVLiyiOWA • I simile al precedente. Collezione Saiitboo. Ora, invece, un terzo tipo di tornese sulmonese, pure di Renato d'Angiò, è stato da me scoperto, ed è entrato nella piccola collezione del Museo di Pie- dimonte. Esso è sconosciuto ai numismatici, e manca in tutte le collezioni, non esclusa quella di Sua Maestà il Re. (i) Cfr. G. Pansa. Saggio Ut una bibliografia della zecca medioevale degli Abruzzi in Supplemento all'opera : Le Monek del Reaute delle Due Sicilie a cura di M. Cagiati, anno JII, n. 3-4. (2) Cfr. A. Sambon, Le mone/e di Renalo ifAngio coniale nel Reame di Napoli in Suppl. cit.. anno IV, n. i. (3) Cir. M. Cagiati, Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a anturio Emattntk li, fase. VHI, Napoli, I916. (4) L'esemplare venne scoperto dal sig. dott. Prospero Rizzini, Direttore del Museo di Brescia, come assicura il Pansa. 526 R. MARROCCO — UN TORNEbE INEDITO DI RENATO d'aNGIÒ Eccone l' indicazione : /B' — • RENATVS * • REX simile al precedente. R) — • DE • SVLMONA • I simile al precedente. Come si vede, la leggenda nel diritto del tor- nese da me scoperto, varia da quelle degli altri due oltre pel fatto che la crocetta non precede il nome di Renato — come nell'esemplare del Sambon — ma perchè nella leggenda stessa mancano le lettere D • G • {Dei Gratta), che sono negli esemplari cono- sciuti. Nel rovescio, poi, della moneta conservata a Piedimonte, va notata un'altra variante, che ha anche particolare interesse, e cioè mentre sotto la base del triangolo simboleggiante il Castello vi sono — negli indicati tornesi — tre piccolissimi cerchietti: uno al centro e gli altri due sotto gli angoli opposti, nel nostro tornese, invece, i cerchietti sono soltanto due, posti sotto i rispettivi angoli della base. La scoperta, intanto, di questo nuovo tornese di Renato d'Angiò, per la zecca di Sulmona, ha, se- condo me, non poca importanza storico-scientifica, perchè ritengo che il medesimo sia stato il primo della ristretta serie sulmonese, appunto per la man- canza delle lettere D • G -, innanzi citata, le quali sa- rebbero state aggiunte soltanto nella successiva co- niazione, quando cioè Renato d'Angiò volle — usan- dole — indicare l'origine della sua sovranità per favore divino. Piedimonte d'Alife. Raffaello Marrocco. La Zecca di Trìpoli d^Occidente sotto il dominio dei Caramanli In una recensione dell'opera di M/ Valentine <*), pubblicata nel 2.*' fascicolo di questa Rivista, ab- biamo fatto qualche accenno alla monetazione della Reggenza di Tripoli sotto gli ultimi principi Cara- manli ed alla ripercussione che su di essa ebbero gli avvenimenti storici e le condizioni particolari in cui la Reggenza ebbe a trovarsi negli anni che pre- cedettero la restaurazione ottomana Avendo avuto, in seguito, l'opportunità di raccogliere dà documenti inediti e precisamente dai registri dei rapporti con- solari o di corrispondenza dell'epoca, esistenti nel- l'archivio di questo Castello e da altri scritti, anche inediti, altre notizie dettagliate ed importanti sul- l'argomento, riteniamo opportuno ritornare sulle ca- ratteristiche della monetazione tripolina dei Cara- manli, mantenendoci per ora sulle linee generali e facendo ricorso con una certa frequenza (che spe- riamo non sembrerà eccessiva trattandosi di storia poco nota e particolarmente interessante per noi italiani) alla storia della regione, nel periodo preso in esame. I) \V. H. Valentine, Modern Copper Coins of the Muhammadan Sintfs. London, igii. 528 GUfDO CIMINO Per quanto sia scritto nel « Libro Vecchio » re- datto dai Prefetti Apostolici della Missione France- scana (^) che « l'anno 1709, la sera del 21 ottobre « incominciò la ribellione di Tripoli contro Khalil « Pascià e durò sino ai 30 detto », il periodo dal 1709 al 171 1 non è preso in esame negli annali della Tripolitania del Feraud f^) e nelle memorie del rab- bino Abram Chalfun (3) che sono concordi nell'atte- stare che solo nel 171 1 Ahmed Caramanli, capo della cavalleria ottomana, si fece proclamare Pascià di Tripoli, riuscendo, con molti doni e dopo fiera strage di capi ostili, a farsi riconoscere anche dal sultano Ahmed III U). E poiché l'anno 1711, col quale quindi si deve ritenere iniziata a Tripoli la domina- zione della famiglia dei Caramanli, corrisponde al- l'anno 1123 dell'Egira, possiamo cominciare coiraf- lermare che la monetazione della prima dominazione turca si chiude (in base agli elementi finora posse- duti) e per quanto riguarda il rame, col tipo de- scritto dal Valentine ai nn. 19 e 20 e al n. 3 che, come abbiamo visto nel precedente articolo, è stato erroneamente assegnato ad Ahmed i. Il quale tipo, nel gran numero di varietà possedute dallo scri- vente, porta sempre la data 1115 dell' E. che è la data di assunzione al trono di Ahmed III e deve ri- tenersi anche data di coniazione, non essendo an- cora usato il sistema al quale abbiamo già accen- nato, di segnare cioè l'anno di assunzione al trono (i) Ricopiato dall'originale manoscritto dal P. Costanzo Bergna di Cantù nello scorso anno 1915 e gentilmente concessoci in lettura. (a) Pubblicati nella Revue Afrkaine. e già citali. (3) Citate nel precedente articolo. (4) Si ritiene che la differenza di date non inficii l'attendibilità delle due ultime fonti, giacché la rivolta alla quale accenna il " Libro vec- chio „ seuìbra sia stato un movimento diverso da quello che pose Ahmed Caramanli a capo del Paese. LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 529 sul diritto e l'anno di regno sul rovescio. Il primo tipo posteriore all'anno 1711, da potersi assegnare quindi alla nuova dominazione dei Caramanli è, pel rame, quello da noi già descritto, che porta nei tre segmenti di cerchio tracciati intorno ad un triangolo la data 11 34 corrispondente all'anno 1721. E, per ora, pare sia l'unico tipo fatto coniare nel rame da Ahmed Caramanli. Non si conoscono monete d'ar- gento o d'oro. Ad Ahmed Caramanli che, secondo quanto scrive il Feraud, si tolse la vita il 4 novembre 1745 per aver perduta la vista, successe il figlio Mohammed che rimase al potere circa 10 anni, dal 1745 al 1754 (1157-1168 a. H.), e sotto il quale la pirateria co- miiìciò a prendere quello sviluppo che ebbe a pro- vocare di tanto in tanto l'intervento delle navi euro- pee nella rada di Tripoli. Non si conoscono monete coniate in questo periodo. 11 24 luglio 1754 muore Mohammed Caramanli e gli succede il primogenito Ali, uomo di debole carattere che non riesce ad esercitare alcuna auto- rità per dirimere le beghe e le contese sorte tra i suoi tre figliuoli: Hassen, il bey. Ahmed e lusuf, i quali subiscono invece l'autorità della madre Leila Halluma o Leila Chebira (la signora grande, come popolarmente veniva designata), donna di grande prestigio e fermezza che ci vien fatta conost:ere nella sua vita più intima e nelle sue relazioni con il nu- meroso stuolo di principi e principesse dimoranti nel Castello, da una dama inglese, la cognata del con- sole britannico dell'epoca fO, in uno scritto pieno tli attrattive e di notizie preziose *2). \\ pascialato di Ah (1) Lady Mary Wortlhey, cognata del console Richard Tully. (2) II libro è intitolato : Tripoli au XyUl sifc/e - Sociétécfes éditions Louis Michaud. Paris. «7 S^O GUmo CIMINO fu un periodo di torbidi politici e di discordie inte- stine. Nell'anno 1790, il 20 luglio (1204 dell* E.) lusuf, terzogenito del Pascià, uccide con due colpi di pistola, in presenza della madre, il primogenito e cioè il be}^ Hassen, ed ancora oggi la tradizione ac- cenna a questo delitto che provocò fiere lotte tra il principe ribelle appoggiato da una parte del po- polo e le truppe che ubbidivano al fratello Ahmed, proclamato be}^ ed al vecchio Pascià Ali. La mone- tazione di rame durante i 40 anni che vanno dal- l'assunzione di Ali Caramanli all'anno in cui si rese padrone di Tripoli Ah Borghul, comprende vari tipi con numerose varietà, coniati col nome di sultani diversi e precisamente: Othman III <^" (1168-T171 a. H.; 1754-T757 a. d.) ; Mustafà III (1171-1187 a. H.; 1757-1773 a. d.) ; Abdul Hamid I (1187-1203 a. H.; 1773-1788 a. d.) e Selim III (1203-1222 a. H.; 1788- T807 a. d.). Si conoscono monete di argento (la lega è diventata già molto bassa) coniate in questo pe- riodo col nome di Mustafà III (datate 1173), di Abdul Hamid I (datate 1188) e di Selim III (datate 1203). Un solo tipo di monete d'oro (il mahbub = a 4 lire circa), coniato col nome di Abdul Hamid I e da- tato 1187. Approfittando del disordine regnante nella Reg- genza, il 29 luglio 1793 (1207 deirE.) giunse con una squadra a Tripoli, dichiarandosi inviato dal sul- tano per ristabilire l'ordine ed insediarvisi come Pascià, Ah Aghà o Borghul Gurgi (nello scritto di lad}^ Wortlhey è indicato col nome di Ali ben Zoul), capitano della marineria di Algeri. I Caramanli fug- girono, ma accortisi più tardi della falsità del fir- mano e riconciliatisi tra di loro, assediarono la città (1) Col nome di questo sultano si conosce una sola monetina de- scritta dal Valentine al n. 22. LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 53I per 14 mesi provocando una grave carestia ('). Il 29 agosto 1794 (1209 dell'E.) Ali Aghà vinse i due fratelli Caramanli e questi furono costretti rifugiarsi a Tunisi ove li aveva preceduti il vecchio padre Ali. L'usurpatore regnò a Tripoli « da vero tiranno « crudele '^2) „ fino al 19 gennaio 1795 (1209 dell'E.), fino a quando, cioè, una flotta tunisina sollecitata dal vecchio Pascià ed un esercito forte di 60 mila uomini a disposizione dei due fratelli Caramanli, non lo costrinsero a fuggire di notte « con 50 mila dia- u voli n '3> dopo una strage di ostaggi e di altri cit- tadini. Gli ebrei che erano stati particolarmente an- gariati ne celebrarono la fuga ed istituirono una festa, il 29 Tebat, nell'anniversario. Nell'articolo precedente scrivemmo che non si possedevano elementi per affermare con sicurezza che durante questo periodo straordinario fosse stata coniata moneta da Borghul Gurgi a Tripoli. Nel Libro vecchio della Missione Francescana abbiamo, posteriormente, trovato annotato a questo riguardo: « In questo tempo che il perfido Ali Pascià gover- « nava questa Reggenza che durò dopo la partenza u del legittimo '4) 4 altri mesi e giorni 20, si pose il a cuniare nuova moneta ». Ora esaminando atten- tamente il materiale da noi finora raccolto, sebbene non si trovi alcuna moneta che porti una data com- presa tra il 1207 (29 luglio 1793) e il 1209 (19 gen- naio 1795), periodo di dominazione di Ali Borghul, si nota tra le monete che sono state coniate a Tri- poli col nome di Selim III e con la data 1203, sia di rame che d'argento, che alcune, pur conservando (1) Libro vecchio della Missione Francescana già citato. (2) Memorie di Abram Chalfun già citate. (3) Libro vecchio già citato. (4) Intendi dopo la partenza per Tunisi del bey legittimo Ahmed Caramanli, sconfitto dall'usurpatore. 532 GUIDO CIMINO il tipo delle altre coniate nella stessa data, si distin- guono per la forma della scrittura e per il fatto che il sin 1^1 della parola (^^i^^t (Tarabulus) è scritto nella forma corsiva (scrittura ruq'ah) senza denti. Senza volerlo dare come certo, è lecito supporre che questi esemplari appartengano alla monetazione del tiranno di Tripoli. Ne è di ostacolo la conside- razione che (secondo quanto si fece osservare nel precedente articolo) durante il sultanato di Selim III non era generalizzato l'uso di indicare sempre sulle monete la data di assunzione al trono del sultano, perchè se, come scrivemmo, tale sistema non costi- tuiva allora una regola assoluta, era qualche volta usato. Ora può ben darsi che Ali Borghul lo abbia adottato trascurando di segnare l'anno di regno. Se cosi non fosse, si dovrebbe ammettere, volendo pre- star fede all'annotazione del Libro vecchio, che nes- suna moneta del tiranno ci sia capitata nelle ninni tra il migliaio circa di esemplari esaminati. Un'altra ragione che sembra sia favorevole alla nostra indu- zione è che sulla monetazione d'argento la quale presenta le caratteristiche accennate si trova per la prima volta la formula 4.v.lu m\: (dama mulkah)^^) so- stituita a quella »^vai jc- (azza nasrah) (2) che figura nelle monete d'argento di Ah Caramanli coniate col nome di Abdul Hamid le quali sono quindi quelle immediatamente precedenti nell'ordine cronologico. Tale cambiamento di formula potrebbe essere indice di cambiamento di governo. La stessa formula si ritrova, come vedremo nelle monete d'argento co- (i) Che significa: [L)ioJ faccia duratui») il suo regiK» e corrisponde all'altra frequcnlciiieute usata nella niunetazìone ottomana : kféallada mtilka/i, [Iddio] renda perpetuo il suo regno. (2) Che significa: [UioJ faccia gloriose le sue vittorie. LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 533 niate da lusuf Pascià subito dopo Tespulsione di Ali Borghul, ma soltanto nelle primissime coniate nel- l'anno 12IO (nelle quali per altro il sin riprende la sua antica forma), giacche viene posteriormente abbandonata e sostituita dall'altra più generale : ^\ÌÀJ^ ^\ ^vLU> ^,^*J\ jUUj ^^,jJ\ ^;jlU- (sultàn al barrain wa kha qàn al bahrain al sultàn ibn al sultàn) <0. Il di II giugno 1795, è scritto nel citato libro della Missione Francescana, due ore dopo mezzo- giorno, essendo Sidi Ahmed Caramanli uscito col figlio per la Menscia (campagna), il fratello lusuf fece serrare le porte, s'impadronì del Castello e si fece Pascià. Ahmed Caramanli, temendo di essere ucciso come il fratello Hassan, se ne fuggì riuscendo dopo avventuroso viaggio a rifugiarsi a Malta e poi a Tunisi. Il nuovo Pascià che tenne la Reggenza dal 1795 al 1832 (1210-1248 dell' E.) fu. come si disse, il più popolare principe della famiglia Cara- manli. « Uomo non dico crudele, ma testardo, al- « tiero e superbo che non porta rispetto ne a Con- «< sóli ne a potenze italiane ne europee » è scritto nel libro della Missione Francescana : « violento, « energico, attivo » lo descrivono le Memorie del rabbino Abram Chalfun. Non è questo il luogo di tracciare la storia in- teressante di questo periodo ; possiamo, per altro, affermare, sintetizzando, che mentre nei primi anni il tenore della vita nella Reggenza fu piuttosto ele- vato e nella Corte vi fu anche del fasto essendo cospicue le rendite dovute alla pirateria, ai balzelli ed ai monopoli dei generi di prima necessità (ap- (I) Che significa: Sultano dei due continenti, kha qan dei due mari, sultano figlio di sultano. 534 GUIDO CIMINO palti) che si cedevano dal Principe ai privati mercè il pagamento di forti somme, negli ultimi vent'anni ai torbidi politici ed alla graduale cessazione forzata della pirateria corrispose un impoverimento generale che non risparmiò la Corte, costretta per questo a ricorrere a numerosi prestiti presso le varie potenze europee ed i privati, nonché ad alcuni espedienti tra i quali interessanti per noi quelli relativi alla monetazione. Le prime monete d'argento coniate da lusuf Pascià sono senza dubbio quelle che portano la data I2IO (anno che comincia il i8 luglio 1795). Esse poco si discostano, nel tipo, da quelle che abbiamo visto potersi attribuire ad Ah Borghul e sono di poco superiori a quest'ultime per quantità di metallo nobile. Conservano nel diritto la stessa leggenda che più non si ripete negli anni successivi, e, nel rovescio, ad eccezione della data e della forma della scrittura, nulla presentano di nuovo. Solo il sin della parola Tarabulus riprende, come s'è detto, la forma normale usata in tutte le altre monete dei Caramanli. Una ventina d'anni dopo si comincia già a tro- vare nei documenti ufficiali (mancano quelli di data anteriore) un esplicito accenno alla decadenza della monetazione d'argento e di quella di rame. In una relazione del console del re di Sardegna <'>, del 31 dicembre 1818 si legge : « I generi d' importazione « potrebbero essere di maggiore conseguenza di « quello che sono, ma la moneta locale, senza verun « corso fuori del regno, deve necessariamente sta- rt bihre una specie di equiHbrio tra l'importazione « e l'esportazione ». Il che viene confermato in una lettera del 5 novembre 1819 al Presidente capo del- (i) Registro della corrispondenza col Ministro di Guerra e Marina e col Presidente capo dell'Ammiragliato, dal 2 novembre 1816 al 2 aprile 1830. LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 535 l'Ammiragliato : « questa piazza è ormai rovinata in « materia di commercio a motivo della moneta di « rame senza verun corso fuori di questa Reggenza ». 11 1824 (1239 dell' E.) il bisogno di denaro era ur- gente. Dal registro dei rapporti dello stesso console sardo si rileva come lusuf Pascià sollecitasse dal re di Sardegna un prestito di loo mila colonnati di Spagna. Il console trasmetteva, il 27 aprile di quel- l'anno, la proposta con le seguenti considerazioni : « 11 Pascià ha bisogno di una tal somma per dar " corso all'operazione che si propone di fare onde « stabilire il corso di sua moneta, il di cui valore, « da sei mesi a questa parte, è diminuito della metà, « correndo dapprima il pezzo Collonato [sic] a u Reali ('^'> sei, ossia piastre di questo paese che sono « di Billione [Biglione] e si è al presente elevato « fino a dodici ». 11 console spiega che ciò era de- rivato dalla necessità di provvedersi di cereali al- l'estero, in seguito a che tutto il numerario d'argento e d'oro (compresa la moneta estera di buona lega e cioè colonnati o pezzi duri di Spagna e mahbub turchi) u se n'era sortito », e dalla necessità di prov- vedere ad un nuovo armamento, ma che si aveva speranza di rialzare il corso della moneta locale, mercè un'ubertosa raccolta in vista. In data 30 lu- glio 1826, poi, lo stesso console accenna, in una lettera, alla « alterazione della moneta ». Questo stato di cose si aggrava allorché scoppia la rivolta degli abitanti della Menscia, capitanati dal nipote ex figlio di lusuf Pascià, Sidi Mohammed, fi- gliuolo di Otman che si era rifugiato ed era morto in Egitto. Tale lotta, le cui vicende si possono se- (i) Queste piastre erano dette Real oppure Real sibilia ed equiva- levano a due sibilie (sibilitin). La sibilia (ancor oggi si usa tra gli indi- geni questa voce nei conteggi) valeva 60 centesimi. 536 GUIDO CIMINO guire nei registri esistenti nell'archivio di questo Castello, si inizia nei primi del 1832 (1247 dell' E.) e non ha fine che il 26 maggio 1835 (1251 dell'E.) quando cioè interviene nel conflitto la Porta. Negeb Pascià riesce, mediante il noto stratagemma, ad as- sicurarsi il bey di Tripoli, Ah, terzogenito del Pascià (a favore del quale il vecchio lusuf, in istato di de- menza, aveva abdicato il io agosto 1832 nella spe- ranza di por fine alla lotta) e la dominazione diretta del sultano di Costantinopoli sulla regione viene re- staurata. Durante questi tre anni la carestia piti acuta affligge la popolazione della città la quale è bloccata dalla parte di terra dalle truppe di Sidi Mohammed e, negli ultimi tempi, anche dalla parte del mare, tirando i mortai dei rivoltosi sui bastimenti che la rifornivano. Il 25 febbraio 1832 il console G. Rossoni del Granducato di Toscana scrive <^i) : « La moneta del « paese viene ad essere totalmente screditata, che « neppure 24 ore dopo sortita rimane nel suo va- « lore pubblicato e non fa nuUameno di differenza « sul momento che di 50 a 70 per cento di ribasso. « Il Pascià, trovandosi nella più stretta necessità di « pecunia, con la maggior parte degli arabi rivoltati « contro di lui, senza poterli sottomettere ; indebi- « tato da ogni parte senza risorse di sorta alcuna, « per non volere attendere a coltivare le sue vaste « terre, ed essendo evidente che Egli non può più « attrarre qualche sollievo col mezzo della sua zecca, « come ha avuto da più anni, si è ridotto a ven- « dere sino li suoi pochi cannoni di bronzo, ma « questo non servendole che per il momento, à ri- « chiesto noi Consoli al Castello perchè gli dessimo « un parere come poteva fare per far circolare la (i) Copialettere (18JI-1836) del Consolato del Granducato di Toscana. LA 2ECCA DI TRIPOLI d'oCCi DENTE 53/ u sua cattiva moneta; ed essendo andati e rispostoli u ad una voce che formasse una Banca ove potersi « cambiare la medesima alla stessa valuta da lui « proclamata con altra buona di argento estera, ne « lasciò l'incombenza ai detti Consoli che se vi erano « degli Europei che volessero assumere l' impresa u di detta Hanca gliene facessero il progetto, quale « fu fatto, e che era il più [sic] migliore che mai « si potesse dare, non solo per stabilire il credito u della moneta locale, ma che avrebbe rianimato « nell'istante il commercio in generale in questa « Reggenza di cui ne ha tanto bisogno per solle- « vare il suo popolo che parimenti si ritrova op- « presso nella più estrema miseria; mail Hascià ha « rifiutato detto progetto non tanto per riguardo « della Zecca, che non sarebbe stato più in suo po- « tere di fabbricare moneta, almeno per quel dato « tempo che detto Bascià avrebbe sussistito, ma u perchè non gli rendeva che piccola utilità. Per « altro Egli bisogna che procuri altri mezzi per vi- « vere se non vuole avere una rivoluzione anche in « Città, che poco vi manca. Tale è lo stato in cui u ci troviamo, che Dio ce la mandi buona ». Da queste notizie ben si comprende quale po- tesse essere la qualità delle monete fatte coniare in quegli anni. Abbiamo accennato, nel precedente ar- ticolo, all'episodio dell'ebreo che era stato punito dal Pascià per essersi rifiutato di ricevere la moneta da lui emessa. É interessante conoscerlo per intero come ci viene narrato dallo Slousch che lo ha ricavato dalle memorie del rabbino Abram Chalfun. « Dopo « l'abolizione definitiva della pirateria lusuf Pascià « si trovò a corto di risorse. Fu allora che egli ri- « corse ad un sistema che è ancora caro ai sovrani « marocchini. Fece coniare della moneta di bassa « quaHtà che egli emetteva al corso del prezzo delle 68 53^ GUIDO CIMINO « monete di argento puro. Inoltre appena la nuova « moneta era messa in circolazione, egli si affrettava u a metterla fuori corso, allo scopo di sostituirla « con una nuova moneta di qualità ancora più bassa. « Fu così che dal febbraio 1829 (1244 dell' E.) al ti giugno del 1832 (1248 dell' E.) fu cambiata la qua- « lità della moneta 11 volte. Naturalmente i sudditi « degli Stati stranieri si rifiutavano di accettare la « moneta al prezzo ufficiale, ma i sudditi del Pascià " erano costretti ad accettarla sotto pena di morte. « Un venerdì del mese di luglio 1831 (1247 dell'E.) li un fruttivendolo ebreo, tale Inda Arbib, si rifiutò u di vendere la sua mercanzia, avendo saputo che « un ordine beylicale dichiarava fuori uso le monete « messe in circolazione qualche settimana prima, « fino alla domenica successiva, giorno di emissione il della nuova. Il fruttivendolo fu arrestato, legato « e coperto di miele perchè fosse assalito dalle « mosche. Un suddito inglese Mordkai Angelo lo « slegò e perorò la causa del disgraziato presso « il Pascià ». Un altro fatto, degno di nota e riguardante pure la monetazione d'argento, del quale, per altro, la scarsezza degli esemplari posseduti non permette di dare una spiegazione sicura, è che oltre alle mo- nete le quali sono state dorate evidentemente per desiderio delle donne indigene che le hanno portate al collo (^>, se ne trovano alcune, placcate in oro. le quali per la dimensione, per la scrittura circolare simile a quella delle monete d'oro dell'epoca coniate a Costantinopoli e mai usata nelle monete d'argento, fanno pensare ad una falsificazione di Stato, special- mente perchè esse risultano coniate nell'anno 1243 (i) Accanto ad esse, infatti, si trovano quelle di tipo identico non dorate. LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 539 dell'Egira (1827 a. d.), quando cioè la crisi economica della Reggenza aveva raggiunto quel grado di cui scrive il console sardo a proposito del prestito che il Pascià desiderava contrarre col Regno di Sardegna, e quando lo stesso console accenna (30 luglio 1826), come abbiamo visto, ad una « alterazione » della moneta. Gli esemplari della monetazione aurea di tutta l'epoca del dominio dei Caramanli sono assai rari probabilmente perchè esportati nei tempi fortunosi ai quali abbiamo accennato ed impiegati, posterior- mente, a sostituire la materia prima per la fabbri- cazione locale degli oggetti di ornamento. La lega si mantiene buona (22 carati) sicuramente fino al- l'anno 1218, essendo d'oro fino tanto il mahbub co- niato da Ali Caramanli col nome di Abdul Amid I nel 1187 dell' E. (1773 a. d.) quanto il doppio mahbub coniato col nome di Selim III (portante da un lato la data 1203 di assunzione al trono di detto sultano e dall'altro l'anno di regno [15]) ed il piccolo mahbub (con la sola data 1213) coniati entrambi da lusuf Pascià. Un esemplare coniato da quest'ultimo, molto più tardi, è invece di bassa lega (8 carati circa). Esso porta da un lato la data dell'assunzione al trono di Mahmud II (1223 dell'E.) e dall'altro Tanno di regno che sembra sia il 13", per cui sarebbe stato coniato nell'anno 1236 dell'Egira (1820 a. d.) e cioè quando erano già cominciate a ripercuotersi sulla monetazione le tristi condizioni economiche della Reggenza. La monetazione di rame di lusuf Pascià è va- riata quant'altra mai, e comprende un numero straor- dinario di tipi, varii per peso, disegno e dimensione^**. Si può dire che a distanza di due o tre anni e, verso (i ) Si va dalla monetina di 13 tnni. a quella di 40 ram. di diametro. 540 GUIUO CIMINO gli ultimi tempi, annualmente ed anche più volte in un anno, veniva mutato il tipo delle monete di rame. Non è intendimento nostro di entrare per ora in dettagli anche perchè non si hanno elementi si- curi per quanto riguarda il valore e la denomina- zione di ciascuna specie. Tale ricerca fornirà materia per un futuro articolo. Tripoli, Settembre H)i6. Guido Cimino. FALSIFICAZIONI DI MONETE ITALIANE Dopo una sosta abbastanza lunga i nostri falsari hanno ricominciato le loro imprese. Da un po' di tempo circolano sul mercato numerose falsificazioni di monete italiane. Mi af- fretto pertanto, appena constatato il fatto, a renderne edotti i nostri Lettori, pregandoli caldamente di voler, alla loro volta informarne quelli fra i loro conoscenti, che non vedono, se non raramente, il nostro Periodico, e che potrebbero re- star ingannati dall'abilità di quei messeri. Le monete false ora messe in circolazione sono piuttoste numerose. Finora ne ho vedute più di una ventina, e delle nove più importanti che ho nelle mani, do qui in seguito la descrizione e la riproduzione dal vero. Alcune di queste sono assai ben fatte, e tali da trarre in inganno, non solo i raccoglitori novizi, ma anche i più provetti. Sono tutte di un tipo, e appartengono ad una identica fabbrica. Questa volta i falsari, invece di ricorrere solo ai tipi di monete rare, come quelle che descrivo, hanno pensato sag- giamente di falsificarne molte comuni o di media rarità come, ad esempio, degli Scudi di Vincenzo 1 per Casale, di Fer- dinando Card, per Mantova, Scudi e Doppi Scudi di Parma e Piacenza, ecc., ecc. Essi hanno giustamente calcolato che i raccoglitori novizi acquistano di preferenza le monete di poco costo, e che quelli provetti, all'atto di farne acquisto, non le guardano tanto minutamente, non immaginando che si siano falsificate tali monete. Non si potrà mai abbastanza deplorare e stigmatizzare questa vergogna delle falsificazioni. Oltre il grave danno che queste producono in chi ne è vittima, finiscono col fargli perdere la passione del raccogliere, e io potrei citare il caso 542 ERCOLE GNECCHI di qualche mio amico, che, ingannato parecchie volte ne' suoi acquisti, non volle più saperne, abbandonò le monete e lo studio della numismatica, e si dedicò ad altro. È deplorevole che la Legge assai (iifficilmente possa colpire questi bricconi. Ma, se è diffìcile scovare gli autori di queste falsificazioni, che si nascondono nell'ombra, non è del pari difficile rintracciare quelli che le spargono sul mer- cato. Io ne conosco parecchi, e potrei spiattellarne i nomi ; ma, per ora, mi basta rivelare il peccato, e non mi sento di far noti i peccatori. Ciò potrebbe forse avvenire, qualora essi continuassero imperturbati nel loro criminoso commercio. Ecco ora le nuove monete accennate. AVIGNONE. Clemente Vili (1592-1605). 1. Scudo. i^' " CLEMENS ^ Vili ^ PONT # MAX ^ 1599 ^ Busto del Pontefice a sinistra (sotto il busto numeri e lettere illeggibili). ^ — OCTAVIVS : CARD D AQVAVIVA • LEGA AVENIO (Le parole framezzate da gigli). Stemma Aquaviva. (Tav. X, n. i). FIRENZE. OSSIDIONALE (1530). 2. Mezzo Scudo. .^ — SENATVS • POPOLVS • Q • FLORENTINVS • Stemma col giglio. Al di sopra una Croce. 1^ - lESVS REX • NOSTER • ET DEVS NOSTER Croce con corona di spine. Nel campo N e Stemma. (Tav. X, n. 2). GENOVA. Dogi Biennali (1541-1791). 3. Scudo della Beutdizionc. & — * DVX * ET ^ OVB * REIP * GEN ^ Il Doge a sinistra volto a destra inginocchiato davanti al FALSIFICAZIONI DI MONEIE ITALIANE 543 Redentore benedicente ; dietro il Doge, due per sene. All'esergo 16()1. ^ - + CONRADVS * Il * RO * REX * I * V * Stemma di Genova coronato e fiancheggiato dai draghi. (Tav. X, n. 3). NB. — Questa falsificazione è una delle meglio riuscite, iinitando a pei lezione il tipo rozzo v mal fatto di questo scudo di Genova. MANTOVA. ViNCFNzo I Gonzaga (1587-1612). 4. Quarto dì Scudo. H' — VINCENTIVS • DVX MANTV/E • Busto corazzato del Duca a destra, collo .scettro. Ri — ET • MONTIS FERRATI II Aquila coronata collo stemma in petto. (Tav. X. n. 41. MASSA DI LUNIGIANA. Al.RERlCol CyBO (1559-1623). 5. Scudo. P' ALBERICVS * CIBO * MALASP PRIN * MA * Busto corazzato a destra, lesta nuda. ^ — + SVB * VKIBRA ik ALARVM * TVARVM Aquila bi- cipite coronata collo stemma C^'bo in petto. Al- l'esergo Ki-Ol e sotto: LIBERTAS. (Tav. X. n. 5). NAPOLI. Carlo II e Anna Maria reggente (1674). 6. Tati. f^' — CAROLVS II • D (7 HISPANIAR E • NEAP • E • C • REX Busti accollati a destra di Carlo II fanciullo e della madre. All'esergo : 167-1- e A H. 544 ERCOLE GNECCHl IS> — ET • MARIAN : ElVS • MATER • REGN • GVB : Stemma di Spagna sormontato da corona. Tav. X, n. 6). NB Nel Catalogo della Collezione Sambon, venduta nel 1897, questa moneta era indicata come twicn PISA. Carlo Vili (1494-1495). 7. Bianco. B' - * KAROLVS : REX : PISANORVM : LIB Stemma di Francia coronato, fiancheggiato dalle lettere K L. iji — • PROTEGE GO : PISAS • La Vergine seduta col Bambino. Nel campo a sin., Croce pisana ; a d., una croce con un monogramma indecifrabile. (Tav. X, n. 7). ' RAVENNA. Leone X (1517-1521). 8. Giulio. B' — • LEO • X • PONTIFEX • M • Lo Stemma Medici so- stenuto da due leoni lampanti. P — ECCLESIE • R • • S • RESVRE La Risurrezione. Ai lati gli stemmi della Città e del card. Fieschi. (Tav. X, n. 8). ROMA. Giulio II (1503-15 13). 9. Testone. B' — • ^ • PAX • RO MANA • * • Lo stemma Dt^lla Ro- vere, sormontato dalle chiavi e dal triregno. I^ — • ALMA • ■ ROMA- I Santi Pietro e Paolo in piedi; a sin., sigla dell' incisore. (Tav. X, n. 9). Ercole Gnecchi. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI Ciccotti (E.). Vecchi e nuovt orizzonti della Numismatica e funzione della moneta nel mondo antico. Società editrice libraria, Milano, 1915, in-8, pag. 184. Nel campo degli studi numismatici in Italia mancava an- cora una trattazione, che in una sintesi accurata e chiara presentasse agli studiosi i risultati di quegli studi metrolo- gici, i quali, complessi nella materia e astrusi nella forma, quasi monopolio degli studiosi di oltr'Alpe, costituirono in questi ultimi decenni buona parte della produzione scienti- fica nel campo della numismatica antica. Mancava inoltre un libro che sintetizzasse, illustrandola al lume della storia ci- vile politica ed economica, la complessa, vasta, importantis- sima funzione della moneta dal suo primo apparire presso i popoli del bacino orientale del Mediterraneo per tutto l'evo antico, che nel campo economico illustrasse le tasi precor- rittrici che avevano aperto la via a questa innovazione, la cui importanza è appena oggi possibile di valutare adegua- tamente, e le tasi successive che della moneta avevano co- stituito, per l'enorme movimento della vita e morale ed eco- nomica e politica che da quella avevano avuto il maggior impulso, il mezzo di scambio più evoluto e perfetto quale hanno adottato le età successive fino ai giorni nostri. Questi due argomenti, in due capitoli densi di concetto, da cui si irradia su due campi diversi tanta luce di vita, ha trattato l'A. in un volume d'introduzione al voi. Ili della Biblioteca di Storia Economica, La via percorsa è stala certo lunga ed aspra, nella prima parte, all'A., che di tutta la vasta, complessa e dibattuta 546 BIBLIOGRAFIA questione metrologica presenta un largo riassunto, che ne delimita e individua le varie fasi di evoluzione e di sviluppo presentando le varie teorie nelle loro linee fondamentali. Arida e insidiosa è la questione che ricerca le più an- tiche origini, la genesi e la derivazione dei vari sistemi mo- netari in uso nell'antichità classica. Tale problema sorto tardi nel campo degli studi numismatici, fu posto chiaramente la prima volta nella sua " Doctrina Nummorum veterum „ (vo- lume I, p, XXIV, cap. IX), dall' Eckhel, il quale ne indicava e precisava il metodo positivo, proponendo lo studio diretto del materiale numismatico noto in luogo delle sole testimo- nianze letterarie, ambigue, incerte quando non false, note ai suoi tempi. Per la prima volta poi tale quesito nell'opera del Bo^ckh trovava un'ampia, geniale trattazione, ancor oggi degna di studio, e poi si avviava alla soluzione attraverso ai lavori ed alle ricerche sempre piiì larghe e complesse del Mommsen, del Brandis, dell' Hultsch, del Lehmann-Haupt, dell' Haeberlin, nelle controversie ardite e feconde del Weissbach, del Re- gling, del Willers, del Ridgeway, del Warwich-Wroth, del Tailor, dell'Aurés, del Thureau-Dangin, ecc., ecc. Ho detto che la questione si avviava, alla soluzione ; questa però, a dir il vero, non è ancora stata trovata, né at- traverso e per mezzo dell'indirizzo unitario dato dal Brandis, che riconduceva ai sistemi degli Egizi e dei popoli dell'Asia Minore i pesi e le misure grecoromane, indirizzo il cui as- sertore più profondo e convinto è il Lehmann-Haupt, poi lo Haeberlin, indirizzo dunque che mirava a coordinare ed unificare nelle origini i sistemi metrici ponderali, che pre- vale sempre più e che lo Haeberlin ultimamente applicò a spiegare i più antichi sistemi monetari dell' Italia centrale, né invero attraverso il metodo comparativo ed induttivo inau- gurato dal Ridgeway. Il quale estendeva l'indagine alle ori- gini delle forme metriche e monetarie presso i più svariati popoli anche moderni in istato di barbarie o di arretrata ci- viltà, e coir aiuto dell* induzione ne traeva illazioni di ordine più generale, e dichiarava empirica l'origine dei pesi e delle misure. Il secondo capitolo del lavoro è la parte più attraente BIBLIOGRAFIA 547 e originale, direi geniale. L'A. vi tratta della funzione della moneta nel mondo antico, e di questo argomento unilateral- mente e superficialmente da altri appena toccato, l'A. svi- scera tutto il vasto e complesso contenuto e ne risulta un capitolo di un interesse speciale dal punto di vista sociale, che permette al lettore di farsi un concetto di vita vera vis* suta rispetto a quello che fu lo strumento tipico degli scambi ed uno degli agenti più attivi della civiltà antica, uno degli stadi più perfezionati ed il coronamento di tutto quel deli- cato ed ingegnoso congegno che si realizzava nei sistemi di pesi, di misure, come ottimamente dice TA. stesso. Il quale ci illustra la moneta come il portato di un bisogno crescente e del crescente uso degli scambi], e di una società svilup- pata sino ad avere un potere regolatore più accentrato, come la causa di un progresso più rapido ed intenso nell'economia e nella struttura politico-sociale, come il risultato di una lenta ed annosa evoluzione dell'economia della società, come l'e- nergico propulsore verso forme più avanzate. Ancora tratta l'A. dell'incremento delle forme iniziali dell'impiego frutti- fero della moneta tesaurizzata, del sorgere del mutuo, del concorrere del denaro a creare un diverso stato sociale, la democrazia e poi la schiavitù, del modo di acquisto, di ero- gazione e di investimento del denaro, della funzione e delle conseguenze del suo impiego, della sua maniera di godi- mento, della ripercussione infine del denaro nella vita sociale e morale e sulla compagine economica famigliare. Ne viene infine illustrato un altro lato del quadro complesso, cioè la importanza della moneta nell'antichità, assai maggiore che al presente, per l'inesistenza dei varii surrogati odierni, la lo- calizzazione e lo sfruttamento delle miniere, la qualità e quan- tità dei metalli monetati e in circolazione, il prezzo del de- naro o interesse, il movimento degli affari, il cambio della moneta e l'istituzione della banca, il credito pubblico, infine il costo relativo della vita nei periodi successivi di quelle età. Seppur talora o appena proposti o troppo brevemente trat- tati, tutti questi problemi che riguardano l' immenso e pode- roso movimento della vita antica nell'ambito dell'economia sociale, problemi alcuni dei quali sono ancora per la vita odierna di attualità ed insistentemente studiati, nella chiara 54^ BIBLIOGRAFIA e sintetica trattazione dell'A. emergono per la prima volta in tutto il loro vero valore, assumono aspetti e fisonomia pro- pria illustrando un lato della vita antica dei più interessanti e dei meno studiati e compresi. In questo, come già nei vari altri lavori di storia eco- nomica, quali ad es. " La retribuzione delle funzioni pubbliche " civili nell'antica Atene ; L' interesse del denaro nell'anti- " chità ; L'evoluzione della storiografia e la storia economica * del mondo antico „, emerge quel profondo senso storico, quel chiaro e dritto acume critico, quella vasta dottrina che distinguono tutta la produzione scientifica del chiaro pro- fessore di Storia antica dell'Università di Messina. L. Cesako. Burlington Fine Arts Club : Catalogue of a Colledion of objects of British Heraldic Ari to the End of the Tudor Period. — London, printed for the Burlington fine Arts Club, 1916. Voi. di pag. XX-127, senza illustrazioni. Data la scarsezza di documenti relativi al blasone e al- l'arte araldica in generale, è interessante la consultazione di questo Catalogo, quantuque non esca dal carattere di una pubblicazione d'occasione per esposizione ; poiché fu compi- lato da due competenti, Rev. E. E. Dorling e Mr. Mill Ste- phenson, e perchè l' introduzione di Oswald Barron è un buon saggio intorno all'araldica e alla sfra"^ istica inglese dalle sue origini fino alla fine del periodo dei Tudor. S. Ricci. Galiani (Ferdinanch), Della moneta, a cura di Fausto Nicolitti. Bari, Laterza, 1915, in-8, pp. 383 f" Scrittori d'Italia „, n. 73). Istruzioni per la R. zecca in esecuzione del regolamento approvato conr. d. 6 gennaio 1910, n. 4 (Ministero del tesoro: direzione generale del tesoro). Roma, tip. Unione ed., 1916, in-8, pp. 100. /Va/o {Giuseppe), Problemi monetari e bancari nei secoli XVll e XVIII. Torino, Soc. tip. editr. nazionale, 1916, in-4, pp. xiu-315 [" Docu- * menti finanziari degli Stati della monarchia piemontese „, serie I, voi. 3.»]. BIBLIOGRAFIA 549 Prato {G.), La teoria e la pratica della carta-moneta prima degli assegnati rivoluzionari (Estr. Memorie della R. Accademia delle scienze). Torino, Bocca, 1915, in-4, pp. 42. 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XIII, I916, n. 3 : Carnevali {Tulio G.). Il medagliere Carnevali a Breiio. La lettura, gennaio 1916: Morello {Vincenzo). La guerra tedesca in numismatica. Rendiconti della b. accademia dei lincei, voi. XXV, fase. 1-2, 1916: Pais (Ettore). Sulla romanizzazione della Valle d'Aosta (IV. Le sabbie aurifere della Val d'Aosta e le monete che ne indicano il lavaggio). — Lo stesso. L'aumento dell'oro e l'erario romano durante la Repubblica. I. Perchè i romani limitarono lo sfruttamento delle miniere in Italia. Rivista araldica, giugno-luglio 1916 : Tibertelli de Pisis {L. F.). Gli ex-Iibris di due illustri ferraresi [ex-libris del numismatico Vincenzo Bellini]. — Carrelli {Guido). Monogrammi, sigilli e monete dei Normanni Quarrel, conti di Aversa, principi di Capua, duchi di Gaeta. Rivista coloniale, Roma, n. 9, 1916 : Pollerà {A.). Il tallero di Maria Teresa nella circolazione monetaria della Colonia Eritrea e i problemi che ne derivano. Rivista di storia d'alessandria, fase. LXI-LXIl, 1916: Giorcelli (G.). Il cav. uff. dott. Flavio Valerani [necrologio). — Chiaborelli (C). Monete ritrovate in Acqui ed in Spigno Monferrato. L'Anjou hist Mtiafto, Ber- nardoni, 1847, ^ P^g- 9-12. 55^ VARIETÀ " Le tasse, mercedi ed onorari dovuti ai notai ed agli archivi notarili dell'antico ducato di Milano, per le copie, estratti, ecc., degli atti notarili anteriori al i° novembre 1807, epoca in cui venne attivato il tuttora vigente provvisorio Regolamento sul Notariato 17 giugno i8o6, devono, pel di- sposto dell'articolo 155 di detto Regolamento, misurarsi e calcolarsi colle norme stabilite dalla suddetta Tariffa del Col- legio de' Notari e Causidici di Milano approvata coli' I. R. Rescritto 4 febbraio 1762. E siccome dall'epoca dal 1300 al 1796 negli istrumenti celebrati nel già ducato di Milano, il valore dedotto ne' ri- spettivi contratti trovasi espresso in monete non solo da lungo tempo fuori di corso, ma di cui persino venne gene- ralmente dimenticata la denominazione; e ritenuta d'altronde per gli archivi notarili la necessità di conoscerne la rispet- tiva valutazione in confronto delle monete posteriormente introdotte, onde potere giustamente calcolare l'onorario e le tasse dovute per l'edizione delle copie di quegli istrumenti antichi pei quali è prescritta una tassa proporzionale sulla somma dedotta in contratto ; così credo opportuno di ripor- tare qui alcune notizie, già state raccolte dal conte Giulini, intorno tali monete antiche. Ed innanzi tutto è d'uopo avvertire che alcune di dette monete erano effettive ed altre puramente nominali. Erano monete effettive d'oro .• l'ambrosino, il fiorino, lo scudo e la doppia; da argento e rame: il soldo e sue frazioni, il due-soldi e la lira di Milano. Erano poi monete nominali la lira imperiale e la lira di terzuoli. Ambrosino, moneta d'oro coniata in Milano nel 1315 col- l'effigie di S. Ambrogio, del valore di una lira imperiale e soldi dieci (v. lira imperiale). Fiorino d'oro, corrispondente allo zecchino di Firenze ed al gigliato. Nel 1254 il fiorino d'oro del peso di denari due, grani ventiquattro corrispondeva a soldi venti, ossia ad una lira imperiale e quindi a due lire di terzuoli (v. lira di terzuoli). Da quell'epoca al 1532 il valore di detto fiorino aumentò sino alle lire cinque, soldi quattro imperiali, giusta la dimo- strazione seguente : VARIETÀ 559 // fiorino (Coro equ (valeva ad imperiali Anno Lire Soldi Denari Anno Lire Soldi Denari "54 I — — 1442 3 4 — 1348 I 12 — H5I 3 5 — 1398 I 16 — 1452 3 6 — 1405 2 I — 1453 3 10 — 1406 2 2 — 1458 3 18 — 1409 2 6 — 1459 3 19 — 1411 2 8 6 1460 4 2 — 1412 2 12 — 1462 4 3 — 1427 2 15 — 1487 4 IO — 1428 2 16 — 1490 4 II — 1429 2 18 — 1508 4 13 — 1430 2 19 — 1520 5 — — 1436 3 — — 1532 5 4 — «439 3 3 6 Scudo d'oro. Nel 1538 si sostituì al fiorino d'oro lo scudo d'oro corrispondente a lire cinque e soldi dodici imperiali ; era del peso di denari due, grani diciotto e del titolo di ca- rati ventidue ; cosicché questa moneta era inferiore di due carati al titolo del fiorino, il quale ritenevasi di oro puro, ossia di carati ventiquattro. Il valore di detto scudo aumentò nel 1557 sino alle lire cinque e soldi sedici, e nel 1564 sino alle lire sei imperiali. Doppia. Moneta d'oro coniata in Milano, del peso di de- nari cinque, grani dieci, e del titolo di carati ventidue ; de- nominata doppia perchè equivaleva a due scudi d'oro. Dall'anno 1580 al 1723 il valore della doppia d'oro au- mentò dalle lire dodici e soldi dieci alle lire ventiquattro imperiah, giusta la seguente dimostrazione: La doppia doro del peso di denari j, grani io corrispondeva ad imperiali Denari Anno Lire Soldi Denari Anno Lire Soldi 1597 12 IO — 1658 19 IO 1602 13 4 — 1663 90 — 1608 13 IO ~- 1665 20 IO 1650 16 8 — 1672 22 — 1652 18 — — 1683 23 IO 1657 18 IO — 1723 24 — Il Soldo composto di dodici denari ; venti soldi forma- vano una lira imperiale. il Danaro. Dodici danari formano il soldo. Il Sestino. Sesta parte di un soldo. 56o VARIETÀ Il Quattrino. Quarta parte di un soldo. Il Sesino. Mezzo soldo. Il Due-Soldi. Doppio del soldo. La Lira di Milano, del valore di venti soldi, sostituita nel 1723 alla lira imperiale. Lira imperiale : era composta di venti soldi. Nel 1254 corrispondeva al fiorino d'oro; e da quest'epoca sino al 1723 la lira imperiale in corrispondenza a quella di Milano ebbe a subire le seguenti variazioni : La lira imperiale corrispondeva a milanesi Anno Lire Soldi Denari Anno Lire Soldi Denari 1254 15 8 — 1462 3 H 2 13IS IO 5 4 1487 3 8 5 1348 9 12 5 1490 3 7 8 1398 8 II I 1508 3 6 2 1405 7 8 2 1509 3 5 4 I406 7 6 8 1520 3 -— — 1409 6 13 IO 1532 2 18 5 I4II 6 7 — 1538 2 2 IO 1412 5 18 5 1557 2 r 4 1427 5 12 — 1564 2 — — 1428 5 IO — 1579 18 4 1429 5 6 2 1602 16 4 f43o 5 4 4 1608 '5 6 1436 5 2 8 1650 8 4 1439 4 17 — 1652 6 8 1442 4 16 3 1657 5 I 1451 4 M 6 1658 4 7 1452 4 13 4 1662 4 — 1453 4 8 — 1665 3 4 1458 3 18 II 1672 I 9 1459 3 17 II 1683 5 — 1460 3 15 I 1723 — — Nel 1723 fu sostituita alla lira imperiale la lira effettiva di Milano, per cui da quell'epoca in avanti, tuttoché si rin- venga negli istrumenti rogati da' notai di Milano fatta men- zione di lire imperiali, devonsi queste ritenere per lire mi- lanesi di grida ; dicesi di grida onde escludere il valore che le monete avevano nel corso abusivo. Lira terzuola o di terzuqli. Questa era precisamente la metà della lira imperiale, e conseguentemente per calco- lare il valore della lira de' terzuoli ne' diversi tempi in re- lazione alla lira di Milano, potrà servire di norma la prece,- dente tabella di ragguaglio della lira imperiale, ritenuta l'av- vertenza che questa era il doppio della lira terzuola ^. VARirrA 561 Il Giglio di Firenze in una moneta bizantina. — Nel numero maggio-giugno scorso della Monthly Numistnatic Circular di Londra è descritta (col. 192, n. 38891) una mo- neta di Giovanni Vili Paleologo, nel rovescio della quale, ai lati del Cristo, sono riprodotti due gigli ornamentali come quelli che formano il caratteristico emblema della città di Firenze. La moneta, assai rara per sé stessa, è una variante d'altro simile esemplare donato dal conte di Salis al Museo Britan- nico e descritta al n. 5 di quel Catalogo. Ma l'importanza eccezionale della moneta nelle due va- rietà, consistente in quel Giglio che vi si trova quale sim- bolo, venne rilevata da Ugo Coodacre {Ntim. Circular, luglio- agosto, col. 405), il quale, avvertendo che uno dei principali avvenimenti del regno di Giovanni Vili fu il Concilio delle Chiese riunito a Firenze nel 1439, si dimanda se in quel giglio ornamentale si possa riconoscere il giglio di Firenze, ivi riprodotto a commemorazione di quell'avvenimento. Da parte nostra troviamo la supposizione non solo pro- babile, ma quasi sicura e perciò l'abbiamo qui registrata, pel fatto rarissimo e forse unico di una città italiana ricor- data su una moneta bizantina. Aggiungeremo poi che Gio- vanni Paleologo è già legato per altri vincoli all'arte e alla numismatica italiana, il che rende tanto più naturale il fatto accennato. L'imperatore d'Oriente era venuto in Italia ap- punto nel 1439 pel Concilio di Firenze e in quell'occasione vi aveva conosciuti i nostri artisti, fra i quali Vittore Pisano da Verona, detto il Pisanello, il quale per lui modellò la sua prima medaglia, iniziando col ritratto di Giovanni il Paleo- logo quella splendida serie di medaglie che doveva dare fama imperitura all'artista del quattrocento italiano. Monete dei giuochi olimpici. — In una comunicazione presentata all'Accademia di Iscrizioni e Belle Lettere, Er- nesto Babelon dà notizie di una serie di monete commemo- rative dei giuochi olimpici, nelle quali crede doversi ravvi- sare le iniziali dei nomi d'illustri scultori del secolo V, quali Dedalo, Alcamene, e Policleto. Sarebbe perciò provato che questi insigni maestri non avrebbero disdegnato di dare l'o- 71 562 VARIKTÀ pera loro anche a tal parte più modesta dell' arte, secondo l'usanza che vediamo ripresa nell' età stessa del Rinascimento da alcuni tra gli artisti più celebri. iVledaglìe italiane. — Nel fascicolo di gennaio del Bur- lington Magazine G. F. Hill illustra alcune medaglie italiane del XIV e XV secolo di autori non ben definiti. Ritrovo di monete al Gottardo. — Nel settembre 1916, nelle vicinanze della vecchia strada mulattiera del Gottardo, al disopra del ponte di Sprengi, nelle gole della Schòllenen, alcuni ragazzi trovarono un certo numero di monete d'oro italiane e spagnuole, della fine del secolo 16" e del principio del 17**, quasi di certo andate perdute, da un mercante pas- satovi di quei tempi. Trattasi di monete di Parma, Piacenza, Mantova, Venezia, ecc. {Indicateur (T antiquités suisses, n.° 3, 1916, p. 254). Zecche di Messerano e Crevacuore. — Il conte Mario degli Alberti, di Torino, e il cav. Cesare Poma, di Biella, si propongono di pubblicare tra breve un MS del cardinale Carlo Vittorio Ferrerò della Marmora, del 181 1, su dette zecche, che si conserva nell'Archivio del Palazzo Lamarmora in Biella. Il card. Lamarmora ebbe corrispondenza al riguardo con molti numismatici del tempo suo, quali lo Zanetti, il cav. Giorgio Viani, il cav. Vernazza, l'avv. Tidoni (di Palaja, Pisa) e altri. Si pregano i signori Numismatici che siano a conoscenza di manoscritti e carte lasciati dal Cardinale o dai suUodati Autori — non che quelli che abbiano raccolte di monete di dette zecche o possano fornire sulle stesse qualche nuovo elemento — di voler cortesemente porsi in comunicazione col predetto Cav. Cesare Poma, Piazzo J4, Biella. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA Seduta del Consiglio 19 Novembre 1916. (Estratto dai Verbali). La seduta è tenuta in Via Filodrammatici, 10, alle ore 147,. I. — Proposto da Francesco ed Ercole Gnecchi, viene nominato Socio Corrispondente il Cav. Avv. Guido Cimino, Procuratore del Re a Tripoli. II. — Il Vice-Presidente, Comm. Francesco Gnecchi, legge al Consiglio una lettera dell' Ing. Brusconi, nella quale si invita la Società a lasciar liberi, nel termine più breve, i locali a lei accordati nel Convento delle Grazie, per il pro- seguimento dei lavori di ristauro, in seguito ai quali ver- ranno adibiti a Sede della Commissione per la Conserva- zione dei Monumenti. Tale diffida essendo preveduta nella lettera che accor- dava l'uso provvisorio di quei locali alla nostra Società, a questa non rimane che prenderne atto. Il Consiglio ventilò varie proposte per sostituire i detti locali e trovare alla nostra Società una Sede decorosa, pos sibilmente stabile, ma al momento nulla si potè concretare, e il Consiglio sarà nuovamente convocato, quando potrà es- sere posto in discussione una proposta positiva. 564 ATJI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA III. — Si dà lettura dei seguenti doni pervenuti alia Società : Biblioteca Vaticana. Carusi Enrico — Lettere inedite di Gaetano Marini : I. Lettere a Gui- d'Antonio Zanetti. Roma, 1916. Dieudonné A. La sua pubblicazione : Manuel de numismatique frangaise. — Monnaies royales fran9aise depuis Hngues Capet jusqu'à la Revolu'ion. Paris, 1916, con tav. e fig. nel testo. Qnecctii Cav. Ufi'. Ercole. N. 3 Cataloghi di vendita di monete (con tavole). Laffranchi Lod. Le sue pubblicazioni : Le monete guerresche di un imperatore pacifista. Milano, i9i6(Estr.). L'antro mitriaco di Angera e le monete in esso rinvenute. Milano, 1916 (Estratto). Marrocco Raffaello. La sua pubblicazione : La monetazione Alifana. Benevento, 1915, fig. Posteraro Dott. Luigi. La sua pubblicazione : Origine di Alife. Simbolismo delle sue tradizioni e della sua moneta. Maddaloni, 1916, fig. (Estratto). Ricci Prof. Dott. Serafino. Le sue pubblicazioni : Il R. Gabinetto Numismatico e Medagliere Nazionale di Brera in Milano nella storia delle sue vicende e delle sue collezioni. Milano, Crespi, 1916 (Estratto). Parte I ; Cronistoria del Gabinetio Numismatico di Brera. Rarità c^ arte delle monete veneziane. Milano, " F^a Sera „, 20 mag- gio 1916. Venezia nella storia della sua monetazione. Milano, " Perseveranza „, 'M maggio 1916. Alle ore 16, esaurito l'Ordine del Giorno, la seduta è levata, COLLABORATORI DELLA RIVISTA NELL'ANNO 1916 Memorie e Dissertazioni. BoRRELLi Nicola Bosco Emilio Cagiati Memmo Castellani Giuseppe Cimino Guido Dattari Giovanni Gnecchi Ercole Gnecchi Francesco Laffranchi Lodovico Marrocco Raffaello MiRONE Salvatore Motta Emilio Palmieri Palmiero PosTERARo Luigi Cronaca. Cagiati Memmo Castellani Giuseppe Cesano Lorenzina Cimino Guido Giorcelli Giuseppe Gnecchi Ercole Gnecchi Francesco MaJER GlOVANNINA Motta Emilio Ricci Serafino Rizzoli Luigi ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA E DEGLI ASSOCIATI ALLA RIVISTA PER l'anno I916 SOCI EFFETTIVI (*). 1. 'S. M. IL Rf. 2. S. M. LA Rfgina. 3. 'Arcali Dott. Cav. Francrsco — Cmnona. 4. Cagiati Avv. Cav. Memmo — Napoli. 5. *C;istfllaiii Prof. Giuseppe — Vcvezia. 6. Celati Avv. Luigi Agenore — Roma. 7. 'Ciani Dott. Cav. Giorgio — Trento. 8. Circolo Numismatico Milanese — Milano. 9. Circolo Numismatico Napoletano — Napoli. 10. Cora Luigi — Torino. 11. Cornaggia Gian Luigi (dei Marchesi) — Milano. J2. Cosentini Avv. Cav. Benvenuto — Napoli. 13. Cramer Roberto — Milano. 14. Dattari Comni. Giovanni — Cairo (Kgitto). 15. Kasciotii Barone, Consigliere alla R. Ambasciata — Bucarest. 16. 'Fiorasi Colonnello Cav. Gaetano — Vicenza. {*) I nomi segnati con asterisco sono quelli dei Soci Fondatori. 568 ELENCO DEI MEMBRI DKLI.A SOCIETÀ, ECC. 17. Gavazzi Dott. Carlo di Pio — Milano. 18. Giaj-Levra Avv. Antonio — Torino. 19. *Gnecchi Cav. Uft. Ercole - Milano. 20. *Gnecchi Comm. Francesco — Milano. 21. Grillo Guglielmo — Milano. 22. Hirscli Dott. Jacopo — Monaco di Baviera 23. Hirschler Cav. Alberto — Milano. 24. Jesurum Cav. Aldo — Venezia. 25. Johnson Stefano Carlo — Milano. 26. Laffranchi Lodovico — Milano. 27. Lazara (De) Conte Antonio — Padova. 28. *Marazzani Visconti Terzi Conte Lodovico Piacenza. 29. *Mariotti Sen. Dott. Comni. Giovanni — Parma. 30. Mattoi Edoardo — Milano. 31. Menchetti Nob. Andrea — Ostra. 32. *Motta Ing. Emilio — Milano. 33. *Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò — Venezia. 34. Puschi Prof. Cav. Alberto — Museo Civico di Antichità, Trieste 35. Ricci Prof. Serafino — Milano. 36. Rizzoli Dott. Cav. Luigi — Padova. 37. Ruchat Carlo — Firenze. 38. San Rome Mario — Milano. 39. Savini Cav. Paolo — Milano. 40. Strada Marco — Milano. ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 569 SOCI CORRISPONDENTI. 1. Ancona Martucci Giovanni — Lizzano (Lecce). 2. Balli Cav. Emilio — Locamo. 3. Belimbaii Piero — Firenze. 4. Bordeaux Cav. Paul — Neuilly. 5. Bosco Ing. Emilio Torino 6. Bourgey Etienne — Parigi. 7. Bruscolini Emilio — Castelnuox'o Val di Cecina. 8. Cahn E. Adolfo — Francoforte s. M. 9. Castellani Comm. Raffaele Magg, Gen. nella Riserva — Fano. 10. Cerrato Giacinto — Torino. 11. Cimino Avv. Guido — Tripoli d'Africa. 12. Cuni*rtti-Cuii etti Tt-n. Col. Barone C.«v. Alberto — Roma. 13. D'Alessandro Luigi — Vacri. 14. De' Ciccio Mario — Palermo. 15. Delaune René — Parigi. 16. Dell'Acqua Dott. Cav. Girolamo — Pavia. 17. Derege di Donato Nob. Dott. Paolo — Torino. 18. Egger Arminio L. — Vienna. 19. Fantaguzzi Ing. Cav. Giuseppe — A^lt. 20. Forrer L. — Bromley. 21. Fowler Prof. N. Harold — Cleveland. 22. Galeotti Dott. Arrigo — Livorno. 23. Gazzoletti Dott. Cav. Antonio — Nago. 24. Geigy Dott. Alfredo — Basilea. 25. Giorcelli Dott. Cav. Giuseppe — Casalmonferrato. 26. Haeberlin Dott. E. J. — Francoforte s. M. 27. Hess Adolf Nachfolger — Francoforte s. M. 28. Le Hardelay Charles — Rocqnencourt par le Chesnay. 29. Martinori Ing. Cav. Edoardo — Roma. 30. Massia Rag. Giovanni — Cuneo. 31. Nuvolari Francesco — Castel d'Ario. 32. Paulucci Panciatichi Marchesa M.* — Firenze. 33. Pausa Avv. Cav. Giovanni — Sulmona. 34. Perini Cav. Quintilio — Milano. Ti 57° ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 35. Finto Avv. Gerardo — Venosa. 36. Pozzi Mentore — Torino. 37. Raserò Mario — Asti. 38. Santini Ing. Z- miro — Perugia. 39. Savo Doimo — Spalato. 40. Schiavuzzi Dott. Cav. Bernardo — Fola. 41. Simonetti barone Alberto — S. Chirico Raparo. 42. Società Svizzera di Numismatica — Ginevra. 43. Spink Samuele — Londra. 44. Stettiner Comm. Pietro — Roma. 45. Tribolati Pietro — Milano. 46. Vitalini Conim. Ortensio — Roma. 48. Witte (De) Cav, Alfonso — Bruxelles ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 57 1 BENEMERITI DELLA SOCIETÀ. S. M. IL Re. t Ambrosoli Dott. Cav. Solorif. Cuttica de Cassine Marchesa Maura. Cuzzi Ing. Arturo. Dattari Comm. Giovanni. Gnecchi Antonio. Gnecchi Cav. Uff. Ercole. Gnecchi Comm. Francesco, f Gnecchi Comm. Ing. Giuseppe. Hoepli Cornili. Ulrico. Johnson Comm. Federico, t Luppi Prof. Cav. Costantino. Noseda S.* Erminia vcd. Boiiacossa. f Osnago Enrico. f Padoa Cav. Vittorio. Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò. ASSOCIATI ALLA RIVISTA. Allocatelli Avv. Vittorio — Roma. American Journal of Archaeology — Nuova York. American Journal of Numismatics — Boston. American Numismatic Association (The Numismatist) — Brooklyn (Nuova York) Ancona Martucci Giovanni — Lizzano. Annales de la Société d'Archeologie — Bruxelles. Arcari Dott. Cav. Francesco — Cremona. Archivio Storico Lombardo — Milano. Baglio \'assalIo Cataldo — San Cataldo. Bahrfeldt Luogotenente Generale Max — Rastenburg. Bari — Museo Provinciale. 572 ELENCO DEI MEMBRI 1>ELLA SOCIETÀ, ECC. Barsanti Gino — Cecina. Behrentz Ermanno — Bonn. Bocca Fratelli — Roma. Bocca Fratelli — Torino. Bollettino di Archeologia e Storia — - Spalato. Bologna — Biblioteca Municipale. Bret Edoardo — Nimes. Brockhaus F. A. — Lipsia. Cagliari — Regio Museo di Antichità. Cambridge — Fitz William Museum. Cangiano Avv. Andrea — Benevento, Capobianchi Prof. Cav. Vincenzo — Roma. Carpinoni Michele — Brescia. Cini Avv. Tito — Montevarchi. Como — Biblioteca Comunale. » — Museo Civico. Cuzzi Ing. Arturo — Trieste. D'Alessandro Luigi — Lanciano. Deigton Bell e C. — Cambridge. Detken e Bocholl — Napoli. Domodossola — Collegio Rosmini. Dressel Dott. Enrico — Berlino. Engel Dott. Arturo — Parigi. Firenze — Biblioteca Marucelliana. Fioristella (Barone di) — Acireale. Formenti Giuseppe — Milano. Galleria Canessa — Napoli. Genova — Biblioteca Civica. Gentiloni Silverj Conte Aristide — Tolentino. Guiducci Dott. Antonio — Arezzo. Hiersemann Carlo — Lipsia. Hoepli Dott. Comm. Ulrico — Milano. Julius Hopkins — Baltimora. Journal international d'Archeologie numismaltque — Atene. Lamertin H. ~ Bruxelles. Lione — Biblioteca dell'Università. Loescher e C. — Roma. Lopez- Vii lasante Antonio — Madrid. Lussemburgo — Istituto Granducale. Madrid — Biblioteca Nacional. Maggiora-Vergano Cav. T. — Torino. Magnaguti Rondinini Conte Alessandro — Mantova. ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 573 Magyar Numizmatikai Tàrsiilat — Budapest. Mantova — Biblioteca Comunale. Miani Mario — Milano. Milano — R. Gabinetto Numismatico di Brera. n — Biblioteca Braidense. n — Biblioteca Ambrosiana. Modena — R. Galleria Estense. Molgatini Giacomo — Vanzone. Mondini Magg. Cav. Raflfaello — Palermo. Napoli — R. Museo di Antichità. Niccolini Pietro — Ferrara. Numismatic Chronicle — Londra. Numismatische Zeitschrift — Vienna. Nutt D. — London. Palmieri Nuti Gap. Palmiero — Sovicille (Siena). Panciera di Zoppola conti Camillo e Francesco — Zoppola. Parisi Rosalia — Roma. Parma — R. Museo di Antichità. Paulon Luigi — Craiova di Rumania. Pesaro — Biblioteca Oliveriana. Piacenza — Biblioteca Passerini-Landi. Pisa — Museo Civico. Poma Comm. Cesare — Biella. Quaritch Bernard — London. Rapilly G. — Parigi. Ratto Rodolfo — Milano. Renner Prof. (V. von) — Vienna. Revue fran^aise de Numismatique — Parigi. Riggauer Dott. Prof. Hans — Monaco di Baviera. Rivista di Storia Antica — Padova. Rizzini Dott. Cav. Prospero — Brescia. Roma — R. Accademia dei Lincei. » — Direzione generale delle Antichità e Belle Arti. » — Direzione della R. Zecca. » — Biblioteca della Camera dei Deputati. » — Gabinetto Numismatico Vaticano. » — Museo Nazionale Romano. Rosenberg e Sellier — Torino. San Marco (Conte di) — Palermo. Santamaria P. e P. — Roma. Scacchi Prof. Cav. Eugenio — Napoli. Scarpa Dott, Ettore — Treviso. 574 ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. Scoville Herbert — New-York. Seltman E. J. — Berkhamsted. Sforza Guido — Civita Lavinia. Société d'Archeologie — Bruxelles. Société R. de Nuniismatique — Bruxelles. Strolin Teopisto — Schio. Tonizza P. Giacinto — Beirut. Torino — R. Biblioteca Nazionale. » — R. Museo di Antichità. Trento — Biblioteca Comunale. Varese — Museo Archeologico. Venezia — Ateneo Veneto. » — R. Biblioteca Marciana. » — Museo Civico. Verona — Biblioteca Comunale. Vienna — Gabinetto Num. di Antichità della Casa Imperiale. Volterra — Museo e Biblioteca Guarnacci. Washington — Smithsonian Institution. Zeitschrift fiir Numismatik — Berlino. Zurigo — Biblioteca Civica. INDICE METODI CO DEL l' ANNO I916 NUMISMATICA ANTICA. (Memorif i: Dissertazioni). Appunti di Numismatica Romana. F. Gnecchi: CXI e CXII. La Fauna e la Flora nei Tipi monetali (tav. I-IV) Pag. II Idem, idem [Coniinitaztone e fine) (tnv. V-VI) . . . „ 159 La monetazione di Augusto (tav. VII). L. Luffranchi . „ 209 Idem, idem (tav. VIII-IX) „ 283 Le monete coniate in Catania in memoria dei " Pii Fratres „ S. Mirane , 223 La monetazione Alifana (fig.). R. Marrocco . . . . „ 299 Origine di Alife. Simbolismo delle sue tradizioni e della sua moneta. L. Posteraro , 307 Il simbolismo della tnqueira in un didramma di Suessa Au- runca (fig.). S. Mirane „ 321 I.e monete coniate in Sicilia per i mercenari tirreni S. Mirane. , 329 Nummi schyphati. G. Daitari „ 367 Topografia e Numismatica di Ibla Galeotis (fig.). S. Mirane. , 435 Le monete di Lòngane o Longone (fig.). S. Mirane . , 449 Il simbolismo pagano sulla moneta cristiana. N. Borrelli , 461 (Varietà). Monete dei giuochi olimpici Pag- 561 NUMISMATICA MEDIOEYALE E MODERNA (Memorie e Dissertazioni). La zecca di Benevento (fig.). M. Cagia/i P^' 83 Idem, idem (fig.) .335 Idem idem (fig.), continuazione e fine , 471 576 INDICE METODICO DFXl'aNNO T916 Una imitazione di Moneta Senese (fig.). P. Palmieri Contribuzione al " Corpus Numraorum Italicorum ,, (fig.) P. Palmieri Contraffazione inedita del tallero olandese (fig.)* E. Bosco Lettere di Guido Antonio Zanetti ad Annibale degli Abbati Olivieri Giordani di Pesaro {Contin. e fine). G. Cdslellam Appunti di Numismatica italiana. E. Gnecchi: XXII. Nuovo elenco delle zecche italiane medioevali e moderne Un tornese inedito di Renato d'Angiò. R. Marrocco La zecca di Tripoli d'Occidente sotto il dominio dei Cara manli. G. Cimino ........ Falsificazioni di Monete Italiane (tav. X). E. Gnecchi . Pag, 121 127 « 249 » 371 497 525 527 541 (Varietà). Il primo documento numismatico della guerra Europea. . P(ig. ^(^l Rinvenimento di un tesoretto monetale a S. Costanzo presso Fano. S. Ricci „ 268 I coni dei ducali sforzeschi donati al Museo del Castello di di Milano 270 Per la storia dei ragguagli delle monete di Milano . . „ 557. II Giglio di Firenze in una moneta bizantina . . . . „ 561 Ritrovo di monete al Gottardo . „ 5^2 Zecche di Messerano e Crevacuore ....... ivi MEDAGLIE E SIGILLI. (Memorie e Dissertazioni). I medaglioni di Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia. E. Motta Pag. 235 (Varietà). La medaglia della Redenzione Italica. S. Ricci La medaglia della Croce Rossa Italiana ai feriti per la Patria. Francesco Raibolini, detto il Francia, incisore e medaglista. Medaglie italiane Pag. 150 266 272 562 NECROLOGIE Luigi Correrà {M. Cagiati) Luigi Rizzoli {L. Rizzoli jun.) Flavio Valerani {G. Giorcelli) Pompeo Monti Pag. 129 « 135 . 142 » 144 à INDICE METODICO DELL'aNNO I916 577 BIBLIOGRAFIA. Cagiali {Memnto). Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Aiigiò a Vitt. Einamiele II, (fase. Vili, P^rte II) Le zecche minori del Reame di Napoli (contili.). {E. G.) Pag. 147 Idem, idem (fase. IX, parte III). Le zecche siciliane (£. C). . 426 Donali (Giovanni). Dizionario dei Motti e Leggende delle Moneie italiane (La Direzioue) I48 Corpus Nuntmoriim Itnlicorttm 150 Valentine (W. H ). La zecca di Tripoli d'Occidente (G .Cimino) „ 251 Ferrara {Salvatore). Le monete di Gaeta (G. Castellani). , 260 Le Hardeìay (C). Contribution à l'étnde de la numihniatiquc vénitienne {S. Ricci) 264 Anson (L.). Numismata Graeca 266 " B.. {iettino del Circolo Napoletano „ (La Diresione) . . 417 Carusi (Enrico). Lettere inedite di Gaetano Marini. I. Lettere a Guid'.Aiitonio Zanetii [E. G.) ^ao Archivio Storico del Sannio Alifano ^22 Herrera {Adolfo) El duro (G. Majer) ....... 424 Blanchet {A.) et Dieudonné {A.). Manuel de Numismatiquc fran9aise (S. Ricci) . . „ 427 Newell (Edivard T.). The dated Alexander coiiiage of Sidi-n and .Alce (S. Ricci) ... 431 Ciccotli (L.). Vecchi e nuovi orizzonti della numismatica l funzione della moneta nel mondo antico 545 Burlington Fine Arts Club (S, Ricci) , 548 Pubblicazioni diverse ivi (Periodici di Numismatica). Bollettino di Numismatica e di Arte della Medaglia . Pag. Il supplemento all'opera u Le monete del Reame delle Due Sicilie „ Revue Numismatiquc fran^aise Revue suisse de Numismaiique The Numismatic Chronicle .... Spink & Son's Monthly Numismatic Circular The Numismatist Articoli di Numismatica in Periodici diversi 550 55» ivi 552 ivi ivi 553 554 MISCELLANEA La vendita Ratti e la Collezione sfragistica al Museo Muni- cipale di Milano (La Direzione) ...... Pag. Il commiato dal pubblico del Supplemento ali-opera " Le Mo- nete del Reame delle Due Sicilie „ di Memmo Cagiati (S. Ricci) . „ 153 154 578 INDICE METODICO DKLl'aNNO I916 Unione delle Collezioni Numismatiche di Milano Opere premiate Recensioni di opere numismatiche Carteggio tra il Marini e lo Zanetti . Manoscritti numismatici in Ambrosiana Pesca dell'oro nel Po nel '400 Per Domenico Seslini ..... Collaboratori della Rivista per l'anno 1916 Elenco dei Membri della Società Numismatica Italiana e degli Associati alla Rivista per l'anno 1916 . . . . Pag. 156 „ 269 „ tvi « ivi „ ivi „ 271 » 272 » 565 567 Atti e Memorie della Società Numismatica Italiana. Seduta del Consiglio 21 mag^-io ]gi6 Assemblea generale dei Soci 21 maggio iyi6 Seduta del Consiglio 19 novembre 1916 Pag. 273 - 275 .. 563 Finito di stampare il 5 gennaio 1917. »»««4«««»»« ««»«««»»«< ♦«H»»»«»««»»«»<««»«M » ♦«»»»«»«»»W»»4»»<» »«♦*♦♦•»*♦♦♦**»♦♦*' RoMANENGHi ANGELO FRANCESCO, Gerente responsftbile. TAVOLE. R. I. di N. Anno 1916 LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI Tav. I Aquila 1 a 8, -Ariete 9,10,-Pecora 15,-AgneIIo ll,.Asino 12, - Bove 13 Cane 14,16,18, - apra 17,19,20,22, - apricorao 22,24,25. LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI R. 1. di N. Anno 1916 Tav. II Cavallo 1 a 26. R. I. di N. Anno 1916 LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI Tav. Ili Centauro 1 ,H, - Cervo 2,11, - Cicogna 7, - Cinghiale 4,5,18, - Civetta 12,16,18,21, - Coccodrillo 17, - Colomba 14,28, - Conchiglia 6,10, - Coniglio 8, Corvo 9,1W, - Delfino 20, - R. I. di N. Anno 1916 LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI Tav. IV Leone 1 a 4,6, - Lepre 8, - Lupa 5,7,11,15, - Mula 13, - Pavone 10, - Pegaso 9, - Sfinge 12, -Sirena 14, -Pantera 17, - Scrofa 16, -Serpente 18,2i-Toro 19,20,23,24.- _*:•. o.T \ /:. Il <«. R. I. di N. Anno 1916 LA FLORA NEI TIPI MONETALI ROMANI Tav V Alloro I a 1 1,14, - Edera 13 - Frumento 12,15 a 22,24,25,27 a 29, - Giunco 26, - Palma 23. LA FLORA NEI TIPI MONETALI ROMANI R. i. di N. Anno 1916 ^/ /' f'^ It; Tav. VI .'/j,^ /' ■) ' ., ^ il i» :i , ' 24 > / Giunco 1,1-2 - Palma 2 a 9,1 1,23, - Quercia 13 a 17, - Ulivo 19, - Vite 18,20 - 1916 RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA. Tav. VII Lodovico Laffranchi. - La Monetazione d* Augusto. Parte IV. 1916 RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA. EFESO Tav. Vili. L. Laffranchi; La Monetcìzione d' Augusto. Parte V. 1916 RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA. FRIGIA Tav. IX. L. Laffranchi; La Monetazione d* Augusto. Parte V. RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA. /* Tav. X. O / V -^ : -~ri-- w ^ V "rr r*f^ Wm E. GNECCHI: Falsificazioni di Monete Itali lane CJ Rivista italiana di numisma- 9 tica e scienze affini R6 V.29 PLEASE DO NOT REMOVE CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY