RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
E SCIENZE AFFINI
RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
E SCIENZE AFFINI
PUBBUCATA PER CURA DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
, E DIRETTA DA
FRANCESCO ed ERCOLE GNECCHl
ANNO XXIX - 1916 - VOL. XXIX
MILANO
Casa Editrice L. F. Cogliati
Corso P. Romana, N. 17
I916.
PROPRIETÀ LETTERARIA
SOCIETÀ iNUMlSMATICA ITALIANA
Presidente Onorario
S. M. VITTORIO EMANUELE III
Re d' Italia
Presidente
Conte Comm. NICOLÒ PAPADOPOLl
Senatore del Regno.
Vice -Presidenti
GNECCHl Comm. Francesco — GNECCHl Cav. Uff. Ercole
Consiglieri
CAGIATI Avv. Cav. Memmo.
CUNIETTI CUNIETTI Barone Cav. Alberto.
JOHNSON Stefano Carlo.
LAFFRANCHl Lodovico.
MO ITA ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana.
RICCI Dott. Serafino, Conservatore nel R. Gabinetto Numismatico di
Brera in Milano.
Angelo Maria Cornelio, Segretario.
CONSIGLIO DI REDAZIONE DELLA RIVISTA PEL 1916.
Gnecchi Francesco e Gnecchi Ercole, Direttori
Laffrancmi Lodovico — Motta Emilio — Papadopoli C. Nicolò
Ricci Serafino.
FASCICOLO L
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
CXI e CXII.
LA FAUNA E LA FLORA
NEI
TIPI MONETALI.
Molte piccole cognizioni, ciascuna delle quali,
isolatamente, non presenta che uno scarso interesse,
acquistano valore quando, riunite in un tutto, possano
essere considerate nel loro complesso.
La storia non è che il risultato della ordinata
riunione e della conseguente concatenazione di fatti,
che, per se stessi non avrebbero che piccolissima
importanza. La numismatica è un ramo della storia
e non divenne una scienza, se non quando si pensò
a coordinare le diverse monete in serie regolari
ed organiche. Per arrivare a questo risultato, fu
necessario studiare uno ad uno i diversi elementi
che costituiscono la moneta. È sempre necessario
incominciare dall'analisi per arrivare alla sintesi.
La scienza numismatica non è semplice, e molti
sono gli elementi che vi concorrono: il legale, il
ponderale, l'economico, l'artistico, il tipologico, i
quali camminano bensì paralleli ; ma hanno ciascuno
una vita a se e si mantengono ben distinti l'uno
dall'altro. Devono quindi essere studiati ciascuno se-
12 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
paratamente. Lasciando tutti gli altri in disparte, non
è che del tipologico che qui intendiamo occuparci ;
anzi di un solo ramo di questo, perchè esso pure è già
complesso, abbracciando parecchie categorie di figu-
razioni, di persone, di oggetti, di idee. Nessuna di
tali categorie va trascurata da chi vuol penetrare
nello spirito della monetazione romana, perchè nulla
vi fu introdotto a caso e tutto vi trova la sua ra-
gione, tutto ha un significato.... ciò che certamente
non si potrebbe dire delle monetazioni moderne.
Air inizio degli studii numismatici, la prima at-
tenzione fu rivolta alle effigi dei principi, come quelle
che offrivano il massimo interesse. Si passò poi alle
figurazioni dei rovesci e, in prima linea, vennero gli
dei, i semidei, gh eroi, le personificazioni allegoriche,
gli avvenimenti storici o leggendarii.
Se questi elementi furono, qual più qual meno,
fatti oggetto di osservazione e di studio, ve ne sono
altri che furono dimenticati e, fra questi, noto i due
regni della natura, l'animale — escluso l'uomo s'in-
tende — e il vegetale.
Abbiamo bensì qualche lavoro particolareggiato
sull'uno o sull'altro soggetto del primo, meno ab-
biamo sul secondo ; ma uno complessivo sulla Fauna
e sulla Flora non mi consta sia stato fatto da al-
cuno. Io stesso, che all'argomento ho dedicato qual-
che studio (i), mi accorgo di non avere neppure ac-
cennato alla parte che ora sto per esporre.
Eppure il simboHsmo animale e floreale segue
e pervade, al pari degli altri menzionati, tutta la
numismatica romana e la sua persistenza e il suo
interesse — non lo prevedevo iniziando questo la-
(l) Vedi in Rivista Hai. di Numism., 1905. Le Personificazioni alle-
goriche stille monete imperiali. Ibidem, 1906. Gli Dei ^ i Semidei e gli Eroi
e 1907, Hoepli, Milano. Tipi monetarii di Roma imperiale.
NEI TIPI MONETALI ROMANI I3
voro ; ma me ne sono persuaso strada facendo —
non sono minori di quelli dei fatti umani o delle rie-
vocazioni degli dei. Io non saprei citare un soggetto
umano o divino che abbia avuto una più lunga per-
sistenza di due umili soggetti della Fauna e della
Flora, il Cavallo e l'Alloro; ne trovo quale dio, od
eroe della favola possa riuscire moralmente o religio-
samente interessante quanto lo sono, sotto il rapporto
politico ed economico, l'Aquila e la Spiga di grano.
La testa del Cavallo apparve sulle monete prima
di quelle di Giove. L'Alloro coronò il capo delle
prime divinità stampate sulle monete, simbolo di
gloria e di vittoria. Gli dei sono tutti morti da molto
tempo nella numismatica e in tutto il resto.... ma il
Cavallo vive ancora e di qual vita ! L'Alloro, dopo
venticinque secoli, conserva ancora tutta la sua fre-
schezza e tutto il suo significato.
L'Aquila sorge col nascere di Roma ; domina
tutti i momenti importanti della storia romana; guida
le legioni alla conquista del mondo, segue e rappre-
senta tutte le vittorie. Non raccoglie le sue ali spie-
gate alla gloria, se non quando s'affievolisce il po-
tere di Roma, segnando il decadimento dell' impero.
La Spiga, il simbolo dell'alimentazione, segue senza
interruzione l'andamento economico del mondo ro-
mano, accenna e commemora i buoni rifornimenti
dello stato e, quasi in segno di rimprovero a chi
reggeva la cosa pubblica, scompare nei tempi della
miseria. Così le belve segnano i tempi dei circensi,
l'Alloro, la Palma e la Quercia le glorie dei prin-
cipi, le vittorie delle Legioni e la felicità del popolo.
Dare una breve monografia di ciascun soggetto
della Fauna e della Flora, rilevarne nei limiti del
possibile l'origine, il significato e l'influenza, e se-
gnare finalmente in un prospetto sinottico l'entrata,
lo sviluppo e la scomparsa di ciascuno, attraverso
14 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
la monetazione repubblicana e la imperiale, in ordine
cronologico, ecco lo scopo che mi sono prefisso.
Seguendo il quale, non solo mi parve talvolta
opportuno accennare all'origine e alla parte che
molti soggetti avevano avuto in monetazioni ante-
riori e specialmente nella greca; ma mi lasciai an-
che trascinare ad aggiungere qualche accenno in-
torno a taluni, che, dopo il transito nella romana,
ebbero ancora tanta vitalità, da persistere nella me-
dioevale e di arrivare anche alla moderna.
Mi parve che un poco di contorno contribuisca
a dar valore alla figura principale del quadro.
L'argomento, per essere trattato a fondo, richie-
derebbe proporzioni ben maggiori di quelle che for-
zatamente mi sono imposto, scrivendo un Appunto
per la nostra Rivista. Il mio piccolo studio, non
pretende quindi di esaurire l'argomento ; le note
storiche o mitologiche non sono che embrionah, le
citazioni di monete limitate al puro necessario, sono
ben lontane dall'essere complete, e le ho omesse,
quando la leggenda vi supplisce (^).
Ad ogni modo, sarà sufficiente a dare un' idea
dell' importanza e dell' interesse dei due nuovi ele-
menti della Tipologia romana e potrà preparare ad
altri la via per un lavoro più completo.
Milano, novembre iprj-marso jgió.
Fr. Gnecchi.
(i) Le citazioni si riferiscono al Cohen {Description hisiorique des
monnaies frappées sous l'empire romain. Paris, 2." ed., 1880-1892) per le
monete imperiali, ai miei Medaglioni romani (Milano, Hoepli, 1911) per
quanto li riguardano, al Corpus Nummorum Italicorutn (Roma dal 1910
in corsp di pubblicazione) per alcune delle poche monete medioevali.
Quanto alle monete della repubblica, essendo tanto facile rintracciarle
quando si conosca il nome del magistrato che le ha coniate, invece di
citare il Babelon, ho preferito dare il nome del nìagistrato coll'anno
della coniazione ; parendomi interessante anche il seguito cronologico.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 15
PARTE I.
LA FAUNA.
(Tav. 1, li, III e IV).
La Fauna ha il vanto dell'assoluta priorità sui tipi che
vennero stampati sulle monete; gli animali ebbero l'onore di
fornire i primissimi elementi alla tipologia monetaria. Le pri-
missime monete della Lidia, ove si crede che la moneta
abbia avuta la sua origine, non portavano alcun tipo; ma
la semplice impressione di un ponzone quadrato da un lato
e alcune striature irregolari dall'altro. Quando si trovò ne-
cessario, per conferir loro autorità e garanzia, di imprimervi
un tipo, vi si stampò una testa di toro, di leone o d'altro
animale. Non fu che più tardi, che gli uomini e gli dei vi
presero la loro parte.
Pare che i magistrati monetari e gli artisti primitivi non
avessero trovato di meglio che gli animali, per esprimere i
loro concetti e per simboleggiare le allusioni alle località,
alle attitudini, alle glorie e alle aspirazioni di un popolo.
Per essi il Cavallo esprimeva il concetto di un popolo
guerriero, l'Aquila e il Leone accennavano all'idea di forza e
di predominio ; il Delfino, la Conchiglia, il Granchio erano
simboli di un paese marinaro.
Queste le primitive indicazioni dirette degli animali per
sé stessi. Vennero poi le indicazioni riflesse.
Molti animali già antichissimamente erano stati accapar-
rati da diverse divinità ; ne rimasero il simbolo e servirono
a rappresentare la divinità stessa cui erano legati. Così Mi-
l6 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
nerva veniva rappresentata dal suo simbolo, la Civetta, Giove
dall'Aquila, Bacco dalla Pantera.
E v'ebbero pure le rappresentazioni geografiche; il Coc-
codrillo divenne simbolo dell' Egitto, il Toro dell'Armenia.
Seguendo l'esempio della Grecia, le prime monetazioni
italiche si basarono sulla Fauna e la grande prevalenza di
questa perdura anche nella monetazione Romano Campana.
Durante la repubblica e l'impero, i tipi animali andarono
gradatamente diradando, mano mano che nella monetazione
si introducevano nuovi tipi religiosi, politici, sociali, portati
dal progredire della civiltà.
I tipi nuovi, cui bisognava far posto, divenivano sempre
più numerosi, cosicché la Fauna non vi potè conservare a
lungo la parte preponderante, che aveva conservata nella
greca, ove alcuni tipi, come la Civetta ad Atene, il Lepre
a Messina perdurarono per secoli : ma pure il numero delle
monete romane è così grande, che un largo posto rimase
sempre anche alla Fauna.
* *
Non tutti i Tipi d'animali hanno il medesimo interesse e
la medesima importanza, non tutti la medesima durata e non
tutti vanno considerati sotto il medesimo punto di vista.
Altra è l' importanza della Lupa coi Gemelli, il simbolo più
tipico di Roma, altra quella di una Tigre o di un Orso che
lottano nel circo. Alcuni tipi non sono che occasionali e non
vi fanno che una o due apparizioni, mentre altri vi perdu-
rano per lunghissime epoche. Gli animali poi, come molte
altre figurazioni, vi stanno in diversi modi e, a seconda dei
modi, assumono maggiore o minore importanza.
Talora vi sono rappresentati veramente come Tipo, nel
significato allegorico loro attribuito. Questi sono i casi in cui
la rappresentazione di un animale assume la sua massima
espressione. Ma talvolta l'animale non occupa che un posto
secondario, come l'Aquila ai piedi di Giove, il Cane o il
NEI TIPI MONETALI ROMANI I*^
Cervo accanto a Diana, il Pavone accanto a Giunone. E
sempre il significato simbolico che si vuol rendere; ma l'ani-
male non è più che il complemento della rappresentazione
di una divinità. Talvolta ancora l'animale rappresenta il dio
o l'eroe che lo ha vinto o abbattuto, come il Cinghiale eri-
manteo è posto talora a rappresentare Ercole. Domina solo
come tipo, ma la leggenda ne spiega il significato HERCVLI
CONS AVG {Gallieno). Altra volta un animale simbolico è
posto ad affermare la qualità del personaggio rappresentato,
come il piccolo Delfino dietro la testa di Pompeo, indica la
sua qualità di PRAEFECTVS CLASSIS ET ORAE MARITTIMAE.
Durante la Repubblica, molti animali furono assunti, per
somiglianza di nome, quali emblemi di famiglia e furono
stampati sulle monete, quando dalla famiglia uscì un magi-
strato monetario. Quei monetari erano amanti dei rebus e
dei giuochi di parole, Voconio Vitulo scelse come suo stemma
e stampò sulle monete un Vitello, L. Torio Balbo aveva
scelto un Toro. Di parecchie di tali espressioni simboliche
ci venne dato di ritracciare il significato — e non era diffi-
cile — all'epoca in cui i monetari, accanto al simbolo, met-
tevano il loro nome, come nei due casi citati. Ma nei tempi
più remoti, quando il bronzo e anche l'argento repubblicano
era anepigrafo, abbiamo molti simboli, che certamente deb-
bono aver avuto un significato, ma che ci rimangono affatto
misteriosi e assai probabilmente rimarranno tali per sempre.
Per esaurire l' argomento , bisogna accennare anche
alla numerosissima schiera d'animali — o di parti d'animali
perchè in questa categoria sono talvolta rappresentati anche
la sola testa o un altro membro — che, insieme ad altri
oggetti, a numeri, a lettere alfabetiche formano, durante la
repubblica, la serie che generalmente si dice dei piccoli sim-
boli, ma che io più volentieri direi dei piccoli segni varianti,
perchè veramente non vogliono simboleggiar nulla ; non sono
che il risultato di una bizzarria e non servirono ad altro
che a soddisfare il gusto di varietà e di vanità di alcuni
magistrati monetari, fra cui primeggiano i Calpurnii, e se-
3
[3
FR. GNECCHI
LA FAUNA E LA FLORA
guono L. Pletorio, C. Mario Capitone, L. Papio, D. Silano
e parecchi altri.
Questi piccoli segni varianti, non avendo significato in-
dividuale, non hanno interesse nel nostro argomento e sono
quindi esclusi dalla nostra descrizione.
Gli animali rappresentati nelle monete non sono tutti
animali reali. Alla Fauna naturale venne ad aggiungersi la
fantastica, comprendente gli esseri immaginari come Cer-
bero dalle tre teste, l'Idra dalle sette teste, oppure quelli
in cui vennero riunite parti di diversi individui, quelli cioè
che furono composti con una parte dell'uomo e il resto di
un altro animale. Così il Centauro metà uomo e metà cavallo,
la Sirena metà donna e metà pesce.
Per semplificazione e perchè tutti i singoli soggetti vanno
presi nel loro significato simbolico, ho tenuto un ordine al-
fabetico unico, nel quale ho riunito la Fauna reale e la fan-
tastica, formando così un totale di 74 voci, ossia :
Aquila
Ariete (Pecora
Agnello)
Asino
Bove
Bove a faccia
umana
Camello
Cane
Capro-Capra
Capricorno
Cavallo
Centauro
Cerbero
Cervo
Cicala
Cicogna
Cinghiale
Civetta
Coccodrillo
Coleottero
Colomba
Conchiglia
bivalve
Conchiglia
elicoidale
Coniglio
Cornacchia
Corvo
Delfino
Drago
Elefante
Farfalla
Fenice
Gabbiano
Gallo
Gazzella
Giovenca
Giraffa
Granchio
Grifone
Rana
Ibis
Rinoceronte
Idra
Rombo
Ippocampo
Ippopotamo
Leone
Lepre
Satiro
Scarabeo
Scorpione
Scrofa
Lupa
Minotauro
Serpente
Sfinge
Mulo-Mula
Sirena
Orso
Sorcio
Pantera
Struzzo
Pantera alata
Testuggine
Pavone
Tigre
Pegaso
Pesce
Toro
Toro alato
Polipo
Pollo
Tritone
Uccello.
Porco
Vitello
NEI TIPI MONETALI ROMANI I9
ELENCO DEGLI ANIMALI E TIPI RELATIVI
AQUILA.
Ab Jove initium. L'Aquila ci si presenta prima nella
serie. La regina dei cielo, che, come il più ardito e il più
forte dei volatili, venne destinata a rappresentare il Sommo
Giove — A nido devota Tonanti — era naturale che, quale
simbolo di dominio, fosse anche scelta a rappresentare il po-
polo dominatore. E così fu. Essa venne adottata fino dai
primissimi tempi e non abbandonò mai più la monetazione
romana repubblicana e imperiale fino alla decadenza, soste-
nendovi una parte assai più elevata di quella, pure impor-
tante, che le era stata assegnata nella numismatica greca.
In questa non rappresentava che l'egemonia talvolta mo-
mentanea d'una città o d'un popolo ; nella romana rappre-
senta oltre venti secoli di incontestata egemonia mondiale.
Essa fa la sua prima apparizione nell'aes grave italico, e
precisamente nell'asse di Riete in Sabinia, nel quale ci offre
l'unico esempio di un'Aquila marina, poggiata su di un
pesce simboleggiante il lago che esisteva presso quella città,
rinomato per un'isola natante.
Non essendovi luogo per l'Aquila nella serie dell'asse
hbrale, la sola serie dove, come è noto, non figurano che
teste di divinità al diritto e la prora al rovescio, essa
ci appare per la prima volta in Roma, poggiata sul fulmine,
nel pezzo quadrilatero avente al rovescio il Pegaso con
r iscrizione ROMANORVM e contemporaneamente nei pri-
missimi aurei romani coniati nella Campania. La troviamo
poi, come Tipo, quasi sempre poggiata sul fulmine, nei de-
narii di L. Aurelio Cotta, 90 a. C, Cn. Cornelio Lentulo, 84
a. C, Pomponio Rufo 71 a. C, Pletorio Cestiano 69 a. C.
Q. Cassio Longino, 60 a. C, M. Cordio Rufo, M. Terenzio
Varrone, 49 a. C. e Petillio Capitolino, 43 a. C.
Una testa d'Aquila forma spesso l'ornamento del casco
della dea Roma in molti denarii repubblicani e nel decapondio.
20 FR, GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Stabilito r impero, l'Aquila è raramente poggiata sul
fulmine ; essa non designa più il dominio agognato, ma il
dominio raggiunto. Augusto la rappresenta ora sul globo,
ora su di una corona d'alloro ; in seguito la vediamo anche
su di uno scettro o su di un'ara o al cuspide di un tempio.
L'Aquila, quale Tipo, dopo Augusto, compare ancora
sulle monete di Vespasiano (Cohen, 120 a 122), di Tito
(Coh., 59, 61), di Domiziano (Coh., 319, 358, 359), di Trajano
(Coh., 96, 541), di Adriano (Coh., 427-29, 504-5, 1 166-7), di
Antonino Pio (Coh., 179, 180, 346).
Dall'epoca di Trajano l'Aquila viene dedicata in modo
speciale alle monete di Consacrazione. Incomincia con Mar-
ciana (Coh., 3 a 9), Matidia (Coh., i a 6), Sabina (Coh., 27-
34) e Faustina madre (Coh., 182-5), finché il Pavone venne
a sostituirla per le Auguste e prosegue con gli Augusti,
Antonino Pio (Coh., 153-63), M. Aurelio (Coh., 78 a 94), Vero
(Coh., 55-57), Commodo (Coh., 61), Pertinace (Coh., 6 a io).
Severo (Coh., 81-86), Caracalla (Coh., 32-33), Salonino (Coh.,
2-5, 7-11), Vittorino (Coh., 22-27), Tetrico padre (Coh., 29),
Claudio Gotico (Coh., 41-46), Caro (Coh., 1422), Nigri-
niano (Coh., 2-3), Costanzo Cloro (Coh., 26, 26), Galeno
Massimiano (Coh., 14-20), Romolo (Coh., 1-12), sempre con
le leggende CONSECRATIO o AETERNA MEMORIA. In via ge-
nerale, per le Consacrazioni delle Auguste, l'Aquila poggia
sullo scettro; per quelle degli Augusti, il più sovente, sul
globo; ma alle volte è spiegata al volo, trasportando in cielo
l'imperatore o l'imperatrice.
La troviamo inoltre come simbolo, quasi sempre ai piedi
di Giove, e sovente con una corona nel rostro, nelle nume-
rosissime rappresentazioni del massimo dio romano, durante
i primi quattro secoli dell'era nostra.
Spesso la vediamo come termine glorioso dello scettro
imperiale e, all' epoca della tetrarchia, una testa d'Aquila
fregia sovente il collo o il petto dell'Augusto, il quale tiene
pure talvolta una testa d'Aquila fra le mani, o stringe l'elsa
di una spada, il cui pomo è formato da una testa d'Aquila.
In seguito essa culmina la volta dei tempii dedicati alla
memoria degli Augusti, AETERNAE MEMORIAE.
All'epoca costantiniana l'Aquila porta lo stesso Giove
NEI TIPI MONETALI ROMANI 21
nelle vie dei cieli; vedasi Licinio padre (Coh., 96 a loi), Co-
stantino Magno (Coh., 293).
Quale il più vero e più spiccato simbolo della potenza
romana, la troviamo su innumerevoli monete rappresentanti
quelle insegne gloriose che dovevano impiantarsi in tutto il
mondo, apportatrici prima di guerra, poi di civiltà.
In quale onore fosse tenuta in Roma l'Aquila imperiale,
insegna del supremo potere militare, ci riesce chiaro nel de-
nari© d'Augusto (Coh-, 248) in cui domina, coronata da un
trofeo, fra due insegne ; in altri aurei o denarii, in cui è af-
fidata a Marte SIGNIS RECEPTIS (Coh., 258) o è collocata
nel Tempio di Marte vendicatore MARTI VLTORI (Coh., 189);
oppure fra due insegne (Coh., 248) o imbrandita da Marte
nel centro dello stesso tempio (Coh., 193 e segg.); o in altri
ancora, nei quali le è dedicata una quadriga trionfale S P Q R
(Coh., 273 e segg.); infine in altri, nei quali il carro che la
porta è collocato nel tempio di Marte (Coh., 278 e segg.).
Molte volte le Aquile romane figurano incidentalmente
sulle monete rappresentanti scene di Allocuzione, di Vittoria,
di Trionfi; talvolta invece sulle monete coniate appositamente
per l'esercito, di cui la serie più ricca è quella delle legioni e
delle coorti di M. Antonio, a cui fa seguito quella di Set-
timio Severo e d'altri imperatori. In queste monete l'Aquila
legionaria è collocata fra due insegne militari.
L'Aquila non cessa dal fare le sue apparizioni, nell'uno
o nell'altro modo, se non quando, accentuata la decadenza,
i simboli avevano perduta la loro significazione e ai tipi
forti e veri, nella monetazione, s'era andato sostituendo, con
la divisione dell'impero, il tipo unico, vano e bugiardo della
Vittoria con la croce sulle monete d'oro, rappresentazione
che equivaleva alla completa mancanza di tipi dell'argento
e del rame.
L'Aquila, che aveva assunto la massima importanza nella
numismatica romana, e che era scomparsa al momento della
decadenza, risorge col risorgere delle libertà italiane e, per
tutto il medioevo, mantiene il suo primato nella nostra serie
monetaria. Su molte monete figura come Tipo, citerò le
zecche di Desana, Messerano, Bozzolo, Castiglione delle Sti-
22 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
viere, Como, Maccagno, Mantova, Milano, Mirandola, Pisa,
Lucca, Messina, ecc., ecc.
Attraverso i secoli essa sempre rimase l'emblema del
potere e, modificandosi, stilizzandosi, a seconda dell'arte pre-
dominante, durò fino ai nostri giorni, in cui ancora spiega
le sue ali negli stemmi e nelle monete di molte nazioni, ora
emblema di giusto e liberale potere, ora di aggressione, di
conquista, di rapacità.
L'Aquila Sabauda, che già rifulse sulle monete di Ame-
deo V {Corpus, I a 29), al principio del 1300, è ancora
ben viva oggidì e, vessillo di libertà e di patria, sta ancora
sorvegliando le Alpi e guidando i nostri bravi soldati alla
rivendicazione dei sacri diritti d' Italia nostra contro
" l'Aquila grifagna
Che, per piti divorar, due becchi porta „.
ARIETE.
PECORA — AGNELLO.
La testa dell'Ariete figura nell'asse dei Vestini e in altri
spezzati delle monetazioni primitive dell'Italia Centrale. Pro-
babilmente si intendeva accennare a una ricchezza agricola
paesana o forse anche rammentare un antico mezzo di scam-
bio, pecus.
L'Ariete, dominante come Tipo nel campo della moneta,
non lo troviamo che nel denario di L. Rustio, 71 a. C,
mentre in altro monetario della stessa famiglia, Q. Rustio,
19 a. C, abbiamo un'ara ornata di due teste d'Ariete, col
che si chiude la sua rappresentazione nelle monete repub-
blicane.
Per quanto l'Ariete sia un animale bellicoso e pugnace,
tanto che venne dato il suo nome a una macchina di guerra,
non credo che questa sia la ragione del suo trovarsi sulle
monete dei Rustii. Probabilmente dobbiamo cercarne una
più umile e più casalinga. Sarebbe per esempio bastato che
la lana avesse già costituita l'antica industria dei Rustii,
perchè, all'entrare di un membro nel collegio monetario,
NEI TIPI MONETALI ROMANI 23
avesse assunto l'Ariete quale emblema di famiglia. Come ab-
biamo già osservato, ciò era perfettamente nell'ordine d'idee
di quei monetarii, e neppure i loro lontani discendenti li
smentiscono. Il fatto si rinnova anche al giorno d'oggi e
potrei citare il caso di fortunato lanajuolo, che, entrato nella
classe della nobiltà, ornò, appunto come riconoscenza e come
simbolo della sua fortuna, il suo nuovo stemma colla testa
di un montone.
Nei tempi imperiali l'Ariete non è riprodotto che su al-
cuni medaglioni d'Adriano (Gn., i6 a 23), di Antonino Pio
(Gn., 29) ; ma semplicemente come vittima condotta al sa-
crificio.
L'Ariete però aveva già ab antiquo il suo posto an-
che nel cielo fra le Costellazioni e ciò gli conferì l'onore di
ornare colle sue spoglie o, per meglio dire, col suo corno
ricurvo il capo del sommo dio romano, quale era venerato
nella Libia, sotto il nome di Giove Ammone, In tale strano
abbigliamento, lo vediamo la prima volta nell'aureo e in
un denari© di Q. Cornuficio, 46 a. C. e in altro di L. Pi-
nario Scarpo, 31 a. C. ; poi, passando all'impero, in un
bel medaglione di Trajano (Gn., 5), in un piccolo bronzo
d'Adriano (Gn. 136), in altro di M. Aurelio (Gn., 108 a no)
e finalmente in un aureo di Settimio Severo, con la leg-
genda lOVI VICTORI.
La Legione I M{mervtna) di Carausio ha per suo em-
blema TAriete e, sotto Vittorino padre, emblema della me-
desima Legione PRIMA MINERVINÀ è una Vittoria seguita
dall'Ariete.
In un piccolo bronzo di Giuliano II abbiamo, un'Aquila
e un Ariete in una corona votiva (Coh., 138), forse come
omaggio di vittoria a due legioni, se ne riteniamo quei due
animali gli emblemi.
Della femmina dell'Ariete, non conosco che un'unica
apparizione in un denario di Vespasiano, nel quale un pa-
store sta mungendo una Pecora, denario che appartiene alla
mia collezione e che pubblicai nel 1899 (^X
Se, per completare la famiglia, dobbiamo comprendervi
(i) Rivista Italiana di Numismatica, pag. 439, n. 31.
24 FR. GNECCrtl — LA PAÙNA E LA FLORA
anche la prole, cioè l'Agnello, esso è rappresentato su di un
raro bronzo d'Augusto (Coh., 250) quale una delle due vittime
destinate al sacrificio, collocate su due basi ai lati del tempio.
Le due vittime, stando a quanto dice Prudenzio, dovevano es-
sere un Agnello e un Vitello, e tali appaiono realmente sugli
esemplari bene conservati. È forse lecito riconoscere l'Agnello
anche nel grazioso animaletto che, ritto in piedi o talora saltel-
lante, offre le sue zampe anteriori all'Autunno nella nota rap-
presentazione delle quattro Stagioni (vedi la voce Lepre),
L'Ariete compare abbondantemente, nella sua spoglia
costituente il toson d'oro, in molte monete coniate in Itaha
da dominazioni straniere e specialmente dalla spagnuola.
Il dolce Agnello si trasformò nell'Agnello mistico o nel-
V Agnus Dei e, come tale, figura su parecchie monete me-
dioevali (Monferrato, Rodi, ecc.) e su molte medaglie sacre,
anche moderne.
ASINO.
Anche 1' umile e paziente somaro ha l'onore di figurare
simbolicamente in alcune monete imperiali e, se non il suo
corpo intero, offre la sua testa, come emblema di una pro-
vincia barbara, ma felice. L'Asino simboleggia la Dacia e la
sua testa rimpiazza l'Aquila romana sulle insegne mihtari
di quella Provincia. - Caput asininum Dacorum arma - nelle
monete degli imperatori Trajano Decio, Gallieno e Aure-
liano. Su alcune di queste monete, che portano la personi-
ficazione della provincia, è scritto semplicemente DACIA» su
altre DACIA FELIX. Se poi questa leggenda, alla metà del
terzo secolo, fosse veritiera non oserei garantire. Al tempo
del primo Trajano, quando avvenne la conquista romana, sia
che la dicessero DACIA CAPTA, oppure DACIA AVGVSTA
PROVINCIA, essa figurava legata, inginocchiata e in lagrime
su di un mucchio d'armi, come una semplice schiava.
L' intera figurazione dell'Asino non compare che in una
tessera mitologica dell'alto impero, ove, con aria stanca, porta
Silene quale cavaliere (Coh., 3).
Il modesto quadrupede non trovò fortuna nella numisma-
tica medioevale e moderna.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 25
BOVE.
Il pio Bove è l'emblema dell'Agricoltura e insieme della
Pietà. Come uno degli animali nostrani più noti, come sim-
bolo del lavoro agricolo e, forse anche, come ricordo del-
l'unità di scambio anteriore alla moneta, esso venne rappre-
sentato quale Tipo nell'asse di Luceria e in uno dei quadri-
lateri primitivi, nel quale è ripetuto in ambo i lati. Una scena
eminentemente agricola ci è presentata da un medaglione di
Commodo (Gn., 98), nel quale stanno di fronte la Terra e
un pastore. La prima tiene delle spighe e s'appoggia a un
cesto d'uva; il secondo ha con sé quali, compagni, due buoi.
Ma quest'esempio è isolato ed è generalmente nell'atteggia-
mento di lavoro che troviamo il Bove, quale simbolo del-
l'Agricoltura. In denarii repubblicani di C. Cassio Longino,
109 a. C. si vedono due Bovi col giogo, e tali sono ripetuti
da Tito (Coh., 67).
Nei denarii di C. Mario Capitone, 84 a. C. il pajo di
Bovi è aggiogato all'aratro ed è guidato da un colono. In
un denario d'Augusto (Coh., 117) e in un rarissimo bronzo
di Trajano (Coh., 539) invece, l'aratro è guidato da un sa-
cerdote ; col che non è più simboleggiata l'Agricoltura, ma
la Pietà.
Più innanzi, sotto Commodo, il guidatore dell'aratro è
Ercole sotto i tratti di Commodo o, se si preferisce. Com-
modo sotto i tratti d'Ercole, e lo scopo del lavoro non è
più quello d'arare i campi, né d'elevare l'Agricoltura a cosa
sacra, bensì di segnare con un solco la delimitazione di una
nuova città. HERCVLI COMMODIANO (Gn., 21-22), HERCVLI
ROMANO CONDITORI (Gn., 23-24), HERCVLI ROMANO AVGV-
STO iGn., 25 a 35). In un medaglione di Faustina madre
(Gn., 19), il Bove è assunto all'onore di tirare il carro por-
tante l'Augusto quale Pontefice massimo e l'Augusta velata
e munita del bastone augurale. Sale poi alla semi-divinità
nei numerosi bronzi di Giuliano II, nei quali rappresenta il
Bove sacro alle divinità d' Egitto, col nome di Api, con i due
astri dei Dioscuri sopra il capo, un'Aquila ai piedi e la leg-
genda SECVRITAS REIPVBLICAE.
Nelle monete di Vittorino lo troviamo come emblema
20 FR. GNECCHl — LA FAUNA E LA FLOftA
della Legione V MACEDONICA. In quelle di Carausio della
Leg. VII CLAVDIA e della Leg. Vili AV&VSTA.
Il Bove non è escluso dalla numismatica medioevale. A
Parma abbiamo un quattrino della Repubblica (1335-46) col
Bove, come Tipo, poi un grosso d'Alessandro Farnese (1586-92).
Alessandro Vili (1689-91) ha un testone con due Bovi ag-
giogati all'aratro.
Tra i progetti della nuova monetazione italiana per la
moneta d'oro, che doveva rappresentare l' Italia agricola, il
Boninsegna aveva presentato un modello con un pajo di
Bovi {Corpus, 19) ; ma venne preferito l'altro del medesimo
artista con 1* Italia aratrice [Corpus, 24 a 29).
BOVE a faccia umana.
Il tipo è greco e le due monete che lo riproducono nella
serie romana non sono che copie di monete greche e pre-
cisamente di Napoli. Il Bove a faccia umana ci si offre a
mezzo corpo in un bronzo della Campania (Bab. 12), a corpo
intero, con una Vittoria che vi sopravvola, in uno dei primi
aurei d'Augusto, coniati dal suo triumviro Durmio, 17 a. C.
Poco o nulla sappiamo di questo monetario e quindi ci riesce
inafferrabile il significato che intese attribuirvi ; né possiamo
escludere che, oriundo di Grecia, si sia accontentato, per
questa, come per parecchie altre sue monete, di ispirarsi
a quei tipi, copiandoli servilmente, senza annettervi un si-
gnificato speciale.
CAMELLO.
Il Camello era la cavalcatura dei re orientali. Non ap-
pare che due volte nei denarii di M. Emilio Scauro, 58 a. C.
e di A. Plauzio, 54 a. C, nei quali sono figurati i vinti
Bacchio re della Giudea e Areta re di Petra, che, inginoc-
chiati accanto ai loro camelli, di cui tengono le redini, fanno
atto di sottomissione.
Durante l' impero, il Camello, è ricordato come emblema
dell'Arabia in due bronzi di Trajano (Coh., 28 e segg., 88
e segg.) e d'Adriano (Coh., 1233-4). Lo vediamo portare in
groppa due persone in una tessera da giuoco dell'alto impero
(Coh., 4).
NEI TIPI MONETALI ROMANI 2^
CANE.
Il Cane va considerato sotto diversi aspetti; come sim-
bolo di fedeltà e di custodia, come simbolo di caccia e come
cavalcatura.
È ne! primo significato che pare sia stato stampato su
alcune monete librali primitive, poi sui piccoli bronzi della
Campania. Fra i monetarii della repubblica, il primo che lo
rappresenta è C. Antistio Labeone, 174 a. C, che lo aveva
adottato come stemma di famiglia. La leggenda narra avere
un Cane, latrando da una finestra, salvato da naufragio un
navigante, antenato degli Antestii. Seguono L. Marcio Fi-
lippo, 112 a. C, L. Cesio, 104 a. C, nel denario del quale,
si vede il Cane accarezzato dagli dei Lari, C. Mamilio Lime-
tano, 84 a. C, sul cui denario è rappresentato il Cane Argo,
che riconosce all'arrivo il suo padrone Ulisse e finalmente
T. Carisio, 48 a. C.
Il Cane fedele, sotto l'aspetto di compagno dell'uomo è
rappresentato in un medaglione d'Adriano (Gn., loi), ripe-
tuto da Antonino Pio (Gn., 85), con Pane, e un Cane isolato
su di un piccolo bronzo d'Adriano (Coh., 1393), pare avere
il medesimo significato.
Di Cani da caccia ve ne sono di due specie, il levriere
e il segugio. Il primo, il Cane tipico di Diana, figura per
la prima volta nel denario di C. Postumio, 64 a. C, corrente
da solo nel rovescio, mentre al diritto sta il busto di Diana.
Questo modo di rappresentazione è unico, mentre ritroviamo
poi il Cane accanto alla dea, quale suo fido compagno, ogni
volta che essa compare nelle monete di Augusto, Adriano,
Antonino Pio, M, Aurelio, Commodo, Gallieno.
Il grosso Mastino o Segugio da caccia lo abbiamo nel
denario di C. Osidio, 213 a. C, in atto di assalire e adden-
tare un Cinghiale ; e forse si deve riconoscere anche nel
grosso Cane in lotta con un milite o un gladiatore sul de-
nario di Cn. Domizio Enobarbo, 119 a. C.
V'ha infine a registrare il Cane sostituito al Cavallo
per la dea Iside, che su di esso compie i suoi viaggi in
traccia delle sparse membra del trucidato marito Osiride.
Il Cane d' Iside ha generalmente l'aspetto ferino del Cane
28 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
lupo, ma a quale razza veramente appartenga è difficile dire,
trattandosi di un Cane immaginario come la sua cavalcatrice.
Di solito è lanciato a gran corsa, col muso rivolto all' in-
dietro. Compare sui medii bronzi imperatore d' Adriano
(Gn., 131), di Faustina seniore (Gn., 37) e di Faustina ju-
niore (Gn., 42 a 44) per non più riapparire che con Giu-
liano II (Coh., 99-101), Giuliano ed Elena (Coh., 6) e Elena
(Coh., 16 a 18).
Il Cane fa pure qualche comparsa nella numismatica
medioevale e moderna. Citerò il Cane al guinzaglio di Fran-
cesco II Gonzaga, duca di Mantova {Corpus, 139 e segg.),
il Cane in attesa, di Vincenzo TI Gonzaga, duca di Mantova
(1626-27), col motto FERIS TANTVM INFENSVS e il Veltro di
Filippo II di Spagna, duca di Milano (1556-1598) con NEMO
IMPVNE LACESCET.
CAPRA-CAPRO.
La Capra e il Capro erano male segnati dagli antichi,
i quali li consideravano animali immondi, puzzolenti, infesti,
apportatori di malattie e di disgrazie, che non si dovevano
toccare e neppure nominare. Ma, se questo è il giudizio che
si faceva nel mondo reale sulla sventurata coppia caprina,
assai diverso era quello che, se ne faceva nell'Olimpo
Il Capro maschio, nella numismatica ci si presenta come
semplice cavalcatura pel pastore Ati, nel denario di Cor-
nelio Cetego, 104 a. C, oppure come vittima da sacrificio
in quello di L. Pomponio Molo, 94 a C.
La Capra femmina rimane pure, nel mondo terreno e
reale, semplice animale simboleggiante l'agricoltura, quando
è munta da un pastore, nei denarii di Vespasiano (Coh., 220)
e Tito (Coh., 103) oppure figura fra gli animali da circo che
dovevano concorrere a solennizzare le feste secolari SAECV-
LARES AVGG dei Fihppi. Ma passiamo al mondo extra reale,
all'Olimpo.
Apollo e Bacco aggiogano al loro carro una Capra in-
sieme ad una Pantera, in un medaglione d'Adriano (Gn., 44),
ripetuto da Antonino Pio (Gn., loi a 104), Mercurio si prende
NEI TIPI MONETALI ROMANI 29
un Capro a compagno, in altro medaglione d'Adriano (Gn.,
122). La stessa Giunone Sospita, a cui si immolavano Capri
come scongiuro contro la malefica loro influenza, sceglie ap-
punto questi animali a proprio simbolo. Non solo fa tra-
scinare il suo carro da una pariglia di Capri, nel denario di
Renio, 154 a. C, ma si orna il capo di una pelle caprina,
come appare nei denarii di L. Roselo, io8 a. C, L. Torio,
94 a. C, L. Papio, 79 a. C L. Procilio, 79 a. C. e Q.
Cornuficio, 46 a. C. e si intitola Caprotina. Né qui fini-
sce l'ascensione della Capra femmina, alla quale, per una di
quelle contraddizioni che sono proprie di tutte le mitologie,
sono riservati ben più alti onori. Essa assume una posi-
zione eccelsa, anzi semi-divina, quando rappresenta la Capra
Amaltea, la nutrice di Giove in Arcadia.
Tali ce la mostrano già alcuni denarii di Manlio Fontejo,
88 a. C, medaglioni di Antonino Pio (Gn., 6o-6i), aurei,
antoniniani e bronzi di Gallieno e di Salonino nei quali
Giove fanciullo cavalca la Capra Amaltea, con la leggenda
lOVI CRESCENTI o lOVI EXORIENTI o anche in denarii di
Tito (Coh., 171), di Domiziano (Coh., 589), in cui la Capra
non porta Giove, ma è circondata da una corona d'alloro,
intorno a cui corre la leggenda PRINCEPS IVVENTVTIS, quasi
augurio al Cesare di una educazione pari a quella di Giove.
La Capra Amaltea è talvolta nell'atteggiamento di nu-
trire il massimo dio in un bronzo d'Adriano (Coh., 426) e
in un antoniniano di Gallieno dalla leggenda PIETAS SAECVLI.
La pili insigne rappresentazione però di tale funzione è quella
che ci viene offerta dal grande medaglione di Gallieno e
Salonina, di cui un esemplare in argento esisteva già da
tempo nell'Imp. Gabinetto di Vienna, e un secondo in oro
veniva dall' Egitto nel 1896 ad arricchire il Gabinetto di
Parigi. La strana leggenda PIETAS FALERI , rimasta per
lungo tempo enigmatica, vennp spiegata in occasione del-
l'acquisto dell'esemplare d'oro, dal Babelon, il quale la rian-
noda all'origine della gens Valeria, di cui Gallieno era o si
vantava discendente (i). All'ombra di un albero Giove fan-
(i) V. Revue Nuntismatique, 1896. Médaillon d'or de Gallien et Sa-
lottine.
3© FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
ciullo sta succhiando il latte della sua nutrice, mentre un
altro fanciullo tien sollevata la gamba destra posteriore
della Capra. Davanti a questa sta un'Aquila, che ad essa si
rivolge e, all'esergo, un fulmine, come constatazione della
divinità della scena. La Capra Amaltea è pure rappresen-
tata senza Giove fanciullo in altri antoniniani di Gallieno
che portano però la leggenda lOVI COtiS{ervafort) KW(y{usit)
ad indicare a quale Capra si intenda alludere.
CAPRICORNO.
Il Capricorno, mostro immaginario, caprone con coda di
pesqe, simbolo della felicità, che si estende alla terra e al
mare, segna la Costellazione sotto cui nacque Augusto, il
quale lo impresse come oroscopo in parecchie delle sue
prime monete in oro e in argento. In alcune di queste,
sopra al Capricorno, brilla un astro, per allusione all' in-
fluenza celeste, oppure il Capricorno tiene un timone, un
cornucopia o il globo, alludendo alla direzione e all'esten-
sione dell' impero, alla giusta e ben guidata egemonia mon-
diale.
Si può dire che Augusto sia il solo che abbia adottato
come Tipo il Capricorno. Anteriormente non lo si trova che
quale simbolo, dietro la testa di Venere nel bronzo di Q.
Oppio, 46-45 a. C. Tiberio mette due Capricorni nel sesterzo
coniato in onore d'Augusto, rappresentante la corona civica
a lui decretata dal Senato e dal popolo Romano (DIVO AV-
GVSTO S P Q R) certo ispirandosi ai sentimenti del grande
imperatore (Coh., 302 d'Augusto). E poi il Capricorno non
viene ripetuto come Tipo che da Vespasiano, Tito e Domi-
ziano in quella emissione commemorativa del centenario della
Vittoria d'Azio, nella quale vennero rievocati molti tipi di
Augusto, che ormai andavano scomparendo dalla circola-
zione (i), emissione che avremo parecchie occasioni di citare
anche in seguito. Dopo di che, non lo troviamo piìi se non
come emblema legionario nelle monete di Gallieno e di
Carausio.
(i) V. L. Laffranchi, Un Centenario numismatico nell'Auiichttà in
Rivista It. di Numismatica, 191 1.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 3I
In quelle di Gallieno vediamo segnate col Capricorno
la Leg. I ADIVTRIX. la XIIII GEMINA, la IIXX PRIMIGENIA
e la XX, XXI, XXII e XXX VLPIA.
Nelle monete di Carausio è segnata (come in Gallieno)
la XIIII GEMINA.
CAVALLO.
Nessun animale ricorre così frequentemente come il Ca-
vallo ; ma la sua presenza non è che raramente Tipo o em-
blema. Il pili delle volte non è che accessorio necessario
della rappresentazione.
Il Cavallo venne in origine considerato simbolo guer-
riero. Tale ci appare la sua testa rozzamente, ma energica-
mente modellata nel triente della serie grave del Lazio; tale
il Cavallo in moto nell'asse della serie di Lucerà.
La testa o la protome e l' intera figura del Cavallo, li-
bero o con cavaliere, ricompajono sulle monete d'argento e
di bronzo della Campania con le leggende ROMA o ROMANO»
Poi, entrando nella serie di Roma, abbiamo come Tipo il Ca-
vallo fermo, sellato e bardato di Quinto Azio Labieno, 40
a. C. e il cavallo lanciato a gran corsa, talvolta libero e
senza freno, tal altra montato, nei numerosissimi denarii di
L. Calpurnio Risone, 89 a C, C. Marcio Censorino, 84 a. C,
M. Calpurnio Pisone, 69 a. C, C. Calpurnio Pisone e C. Po-
stumio, 64 a. C, e, possiamo anche aggiungervi, i Cavalli dei
Dioscuri. Castore e Polluce ci si presentano quasi sempre
galoppanti di conserva, talora appiedati presso i loro de-
strieri o in atto di abbeverarli al fonte, cosicché questi in-
divisibili compagni si possono considerare come una loro
parte integrante. La serie non è breve e comprende le fa-
miglie: Aelia, Antestia, Acilia, Aurelia, Autronia, Baebia,
Caecilia, Calpurnia, Coelia, Cupiennia, Decia, Domitia, Fa-
bia, Horatia, Itia, lulia, lunia, Lucretia, Lutatia, Maenia, Mar-
cia, Matiena, Memmia, Minucia, Plautia, Postumia, Quinctia,
Sempronia, Terentia.
In seguito, nello sterminato numero delle monete repub-
blicane, il Cavallo, nelle sue firequentissime e, diciamo pure,
nobili e gloriose apparizioni, non è più che un animale da
tiro o da sella.
32 FR. GNECCHr — LA FAUNA E LA FLORA
Abbiamo cosi : La Biga di Giove (Acilia, Fabia), di Giu-
none (lulia, Mettia, Procilia), d'Apollo (Opeimia), di Venere
(Crepusia, lulia, Marcia, Memmia), di Marte (Poblicia), di
Diana (Cornelia, Decimia, Furia, luventia, Spurilia, Valeria),
della Libertà (Cassia, Egnatia), della Vittoria (Afrania, Annia,
Atilia, Caecilia, Calidia, Carisia, Cipia, Claudia, Clodia, Coelia,
Cornelia, Domitia, Flaminia, Fulvia, lulia, lunia, Juventia,
Lollia, Lucilia, Maiania, Marcia, Mettia, Mussidia, Pinaria,
Rutilia, Saufeia, Servilia, Tarquitia, Titinia, Tituria, Valeria),
della Pietà (Caecilia), di Pompeo (Pompeia), del re gallo (Co-
sconia), d'altri guerrieri (Aurelia, Farsuleia, Hostilia).
La Triga della Vittoria (Mallia, Naevia).
La Quadriga di Giove (Anonime, Acilia, Antestia, Au-
fidia, Aurelia, Cornelia, Curtia, Domitia, Garcilia, Mmucia,
Ogulnia, Papiria, Plautia, Sentia, Trebania, Vargunteia, Ver-
gilia), di Minerva (Licinia, Titia, Vibia), di Marte (Aburia,
Fonteia, Gallia, Postumia), d'Apollo (Baebia), di Saturno (Ap-
puleia), della Libertà (Porcia), della Vittoria (Annia, Antonia,
Considia, Fabia, Fannia, Maenia, Marcia, Numitoria, Opimia,
Rubria, Tullia), di Mario (Fundania).
Durante l'impero, l'apparizione del Cavallo è tanto estesa
e tanto frequente, che stimo opportuno dare la nota dei
pochi imperatori, nelle cui monete il Cavallo non ricorre mai.
Eccone la lista, incominciando da Augusto, dalla quale si ri-
leva come, da principio non si tratti che di alcuni personaggi,
i quali, quantunque giunti alle maggiori onorificenze, fino a
quella di battere moneta al proprio nome, non portarono però
corona e che del resto non ebbero che una coniazione assai
limitata. Nel seguito poi, non è questione che di qualche regno
di brevissima durata, talvolta di mesi o di giorni, come av-
venne di parecchi tiranni usurpatori. Non hanno dunque il
Cavallo nelle loro monete : M. Agrippa, Britannico, Clodio
Macro, Ottone, Vitellio, Annio Vero, D. Giuliano, Pescennio,
Albino, Diadumeniano, i due Gordiani Aft-icani, Balbino, Pu-
pieno, Pacaziano, Giotapiano, Emiliano, Macriano, Quieto,
Regaliano, Leliano, Mario, Quintillo, Vaballato, Giuliano tir.",
Dom. Domiziano, Costanzo Cloro, Romolo, Licinio figlio.
Valente tir.°, Martiniano, Delmazio, Anniballiano, Vetranione,
Costanzo Gallo, Giuliano li, Graziano.
Kei tipi monetali romani 33
Naturalmente il Cavallo non figura che eccezionalmente
sulle monete coniate al nome delle Auguste. Due sole di
queste possiedono Cavalli, per così dire, al proprio servizio.
Faustina madre in un medaglione (Gn., 21-22) sta per mon-
tare nella propria biga, e in un altro (Gn., 23-24) è traspor-
tata in cielo in una biga. Il medesimo fatto riproduce un
bronzo di Paolina (Coh., 2) e questi rimangono i soli esempii
del Cavallo adibito alla Consacrazione.
Giulia Domna ha alcune monete col rovescio della biga
di Diana, le due Faustine e Giulia Mesa qualche moneta di
Consacrazione col rogo, in cima al quale si vede una qua-
driga.
Nelle monete imperiali il Cavallo non appare mai come
Tipo, se non vogliamo mettere in questa categoria, come
abbiamo fatto per la repubblica, il Cavallo della Mauretiana
nei bronzi d'Adriano (Coh., 952 e segg.), quello di Roma sul
grande medaglione di Commodo (Gn. 96) e quelli dei Dio-
scuri nei medaglioni di Antonino Pio (Gn., 95), di M. Au-
relio (Gn., 39), di M. Aurelio e L. Vero (Gn., 5) e di Com-
modo (Gn., 177), nelle monete di Geta (Coh., 11 a 17), in un
aureo di Tacito (Coh., 30) e nei numerosi bronzi di Mas-
senzio colle leggende AETERNITAS AVG N.
E vi possiamo forse aggiungere, come atteggiamento
speciale, il Cavallo domato da Ercole, HERCVLI THRACIO,
nell'aureo e nell'antoniniano di Postumo. In tutti gli altri
casi — e sono numerosissimi — il Cavallo non ha che un
posto onorifico, quale accessorio necessario della scena rap-
presentata.
E qui giova notare come il passaggio dalla repubblica
all' impero segni un mutamento radicale nella qualità dei
personaggi che eravamo soliti vedere occupare i carri trion-
fali e specialmente le quadrighe. Ne scendono le divinità,
lasciando il posto all'imperatore.
Ben raramente — e di preferenza sui medaglioni —
troviamo ancora qualche divinità in quadriga. Giove in me-
daglioni di Antonino Pio (Gn., 12 e 49-50), di M. Aurelio
(Gn., Il) e di Sett. Severo (Gn., i).
Il Sole in medaglioni di Elio (Gn., 2-3), Antonino Pio
(Gn., 67), Faustina juniore (Gn., 23), Commodo (Gn., 3-4),
34 l-R- GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Aureliano (Gn., 2-3), Tacito (Gn., 8), Probo (Gn., 38 a 41).
E di Probo abbiamo ancora parecchi antoniniani (Coh., 640
a 698).
La Vittoria in monete d'Antonino Pio (Coh., 1079 a 1085),
M. Aurelio (Coh., 581-2), o in medaglioni (Gn., 57-58), in
in monete di Commodo (Coh., 510) o medaglioni (Gn., 37,
144 e 145) e nel medaglione di Valeriano (Gn., 5).
Oppure in biga. Diana in monete di Giulia Donna (Coh.,
104 a 109) e la Vittoria in un aureo d'Augusto (Coh., 67) o
in medaglioni d'Adriano (Gn., 14-15), d'Antonino Pio (Gn., 36)
e di Gallieno (Gn., 32).
Vi sono poi alcune quadrighe riservate a rappresenta-
zioni simboliche. In alcune di quelle d'Augusto, la quadriga
porta una piccola quadriga (Coh., 76 e segg.), un'aquila e
una piccola quadriga (Coh., 271 e segg.), il calathus (Coh.,
357 e 429) (i), una palma (Coh,, 456), oppure è presentata
vuota (Coh., 483) (se pure non è ancora il calathus, che vi
si rappresenta), come è vuoto il carro di Tiberio (Coh.,
64 e segg.). Due Vittorie e una piccola quadriga portano
quelli di Claudio (Coh., 31) e di Vespasiano (Coh., 147).
Una quadriga d'Eliogabalo porta la pietra conica (Coh.,
265 e segg.) e, chi crede agli aurei di Uranio Antonino, vi
trova la ripetizione di questa cerimonia.
All' infuori di queste eccezioni, la biga è pochissimo
usata ; ma nella quadriga e, più raramente, nella sestiga e
nel carro a otto cavalli, non vediamo che l' imperatore e la
sua famiglia, oppure l'imperatore e la Vittoria che l'accom-
pagna o l'incorona.
Sono tutte quadrighe imperiali quelle d'Augusto (Coh.,
82, 115, 231-34, 298, 544), di Tiberio (Coh., 45), di Ger-
manico (Coh., 6), di Claudio (Coh., 15), di Vespasiano (Coh.,
475-78), di Tito (Coh., 226-33), di Domiziano (Coh., 93, 138,
154-55, 161-62, 476-77), di Irajano (Gn., 3), di Antonino
Pio (Coh., 319-20), di M. Aurelio (Coh., 581-82), di Vero
(Gn., 17-19), di Commodo (Gn., 87 a 89, 103 a ro6 ; Coh.,
510), di Caracalla (Gn., 4; Coh., 418), di Geta (Coh., 121-
(I) Vedi alla voce: Vegetali in genere.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 35
122), di Macrino (Coh., 88, 104 a 107), d' Eliogabalo (Gn., 2 ;
Coh., 16, 17), di Alessandro (Gn., 12 a 15, 18, 19, 21, 22;
Coh., 225-26, 294 95, 330, 376-77' 458- 478, 480), di Filippo
padre (Gn., 8, 9, 15), di Filippo figlio (Gn., 2 a 5), dei due
Filippi (Gn., 4), di Gallo e Volusiano (Gn., 7), di Gallieno
(Gn., 9, 31), di Probo (Gn., 14), di Numeriano (Gn., 11),
di Costantino Magno (Gn., 67). Così pure sono imperiali le
sestighe di Sett. Severo (Coh.. 104), di Gallo e Volusiano
(Gn., 6), di Probo (Gn., 12, 13), di Massenzio (Coh., 60, 61),
di Costanzo II (Gn., 2, 4) e di Valente (Gn., i) nei loro
grandi medaglioni d'oro, di Onorio I nel suo medaglione
d'argento (Gn., i) e imperiale è il carro trionfale a otto Ca-
valli nel medio bronzo di Settimio Severo (Coh., 53).
Il Cavallo durante l' impero assume una maggiore inti-
mità col suo padrone, essendo specialmente destinato a por-
tarlo in sella. L' imperatore ben sovente ci si presenta a ca-
vallo, e lo vediamo in diversi atteggiamenti.
Solo, semplicemente in moto, con la destra alzata, da
pacificatore, ADVENTVS AVG, FELIX ADVENTVS. EQVIS RO-
MANVS.
Solo o accompagnato dal Cesare e dai Cesari pure ca-
valcanti, oppure da militi a cavallo o a piedi, in corsa, DE-
CVRSIO. ADVENTVS AVG.
In partenza per la guerra, spesso preceduto dalla Vit-
toria e seguito dai vessilliferi, PROFECTIO, EXPEDITIO.
Di ritorno vincitore a Roma, dopo una spedizione, op-
pure in atto d'arrivo trionfante in altra città, solitamente pre-
ceduto dalla Vittoria e seguito da militi, con le leggende :
ADVENTVS AVG. FELIX ADVENTVS, ADVENTVI FELICISSIMO.
oppure con VICTORIA AVG- e nei bassi tempi GLORIA RO
MANORVM. GLORIA REIPVBLICAE e, con Giustiniano, SALVS
ET GLORIA REIPVBLICAE.
In lotta col nemico, nei medaglioni di L. Vero (Gn., 4,
6, 39) ARMENIA, m quello di Massimino (Gn., 4) VICTORIA
GERMANICA, di Galeno Massimiano (Gn., 7) VICTORIA PER-
SICA e in molti altri medaglioni e bronzi dalla Tetrarchia
m avanti con le leggende: VIRTVS u VIRTVTI AVGG. VICTORI
o DEBELLATORI HOSTIVM o GENTIVM BARBARARVM.
Fmalmente in caccia, in atto di trafiggere con la lancia
t/
36 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
un leone, un cinghiale o altra belva, in medaglioni anepi-
grafi o con la leggenda VIRTVTI AVGVSTI, di Adriano (Gn.,
67 a 69, 96, 97), di M. Aurelio (Gn., 89, 90), di Commodo
(Gn., 152), o in bronzi di quest'ultimo (Coh., 972-3).
Eccettuati i casi di trionfo, l'imperatore usa sempre il
suo Cavallo come cavalcatura. Tale lo vediamo nelle sue ar-
ringhe e riviste all'esercito, specialmente in Adriano EXER-
CITVS BRITANNiCVS, CAPPADOCICVS, ecc. (Coh., 553 e segg.)
mentre nelle allocuzioni ADLOCVTIO si mostra a piedi e il
Cavallo si vede frequentemente sporgere fra i militi.
Gli archi sono spesso coronati da monumenti equestri
o da carri trionfali.
Di quadrighe sono quasi sempre culminati i roghi e fre-
quenti sono pure le riproduzioni di monumenti equestri prin-
cipalmente nei primi secoli.
Nei tempi della Tetrarchia il busto del Cavallo appare
anche nel diritto di medaglioni e monete, accanto all'effigie
imperiale, tenuto pel freno dall' imperatore.
Gli scudi e le corazze degli imperatori sono spesso
adorne di basso rilievi rappresentanti scene guerriere in cui
il Cavallo ha la sua parte.
Tale è nella numismatica romana il Cursus honorum del
nobile quadrupede, il quale, per essere, tanto in pace che in
guerra, l'animale che ha maggiori contatti con l'uomo, per
esserne cioè il piìi vicino e fido compagno, ebbe e conservò
la sua sempre intensa e gloriosa rappresentazione nelle serie
monetarie attraverso i secoli fino ai nostri giorni.
Nella serie medioevale non solo servì di cavalcatura a
centinaja di principi e sovrani; ma venne ancora molte volte
rappresentato quale Tipo, libero o bardato, fermo o corrente,
allegro o recalcitrante. Basteranno alcune citazioni, come il
testone di Pier Luca Fieschi (1528-48) per Messerano {Cor-
pus, 3), il cavallotto di E. Filiberto di Savoja (1558) {Corpus,
5-21) e quelli di Vespasiano Gonzaga principe di Sabbioneta
(1574-7) con la leggenda FORTES CREANTVR FORTIBVS {Cor-
pus, 34 a 40), il IO soldi di Ferdinando Carlo Gonzaga Ne-
vers, duca di Mantova, nel 1702, con la leggenda QVI LEGES
IVRAQVE SERVAI {Corpus, 46), il cavallotto di Camillo e Fa-
NEI TIPI MONETALI ROMANI 37
brizio (158097) per Correggio, quello di Alessandro Pico
(1612-37) per Mirandola, il da 6 soldi di Alfonso II Gonzaga
(1650-88) per Novellara; infine i numerosi cavalli di parecchie
zecche napolitane, Aquila, Napoli, Amatrice. ecc.. ove il no-
bile animale è presentato col bisticcio EQVITAS REGNI.
Il Cavallo mantenne così la sua presenza nelle monete
per ben 25 secoli e, dopo esser stato l'occasione di capo-
lavori d' incisione nell'antica Sicilia e nella Magna Grecia,
come nella Roma repubblicana e imperiale e nel medio evo,
mette il suo suggello anche nella nostra numismatica con-
temporanea. Il bravo Calandra, ispirandosi a Eveneto, con
la quadriga d* Italia, ci diede forse la più bella moneta d'ar-
gento che attualmente circoli nel mondo.
CENTAURO.
L'essere favoloso metà uomo (o raramente donna) e
metà cavallo, si dice originario della Tessaglia. E probabil-
mente si formò tale leggenda dall'essere quel popolo assai
dedito all'arte di domare i cavalli e all'equitazione. I cava-
lieri tessagliesi combattevano spesso coi tori, e da ciò il
nome di Centauri.
Troviamo il primo Centauro combattente con Ercole nel
triente della Campania ; solo, in un piccolo bronzo di Au-
fidio Rustico (136 d. C). Nel denario di M. Aurelio Cotta,
154 a. C, Ercole vincitore è in biga, tirato da due Centauri.
Durante l' impero lo ritroviamo nei medesimi tre atteg-
giamenti. Il Centauro solo, in piccoli bronzi di Gallieno (Coh.,
72 a 74), su alcuni del padre Tetrico, sotto l'invocazione
d'Apollo, APOLLINI CONS AVG ; in altro del figlio Tetrico
sotto l'invocazione di Febo SOLI CONSER e in altro di Giu-
liano II (Coh., 137) quale espressione votiva. Combattente
con Ercole in un medaglione di M. Aurelio (Gn., 69), in
un aureo (Coh., 598) e in un piccolo bronzo (Coh., 706) di
Massimiano Erculeo. Un medaglione di Antonino Pio (Gn.,
94) ci presenta la lotta dei Centauri con Teseo. In altri
due medaglioni di M. Aurelio abbiamo il carro di Venere
(Gn., 73, 74) tirato da due Centauri, uno maschio e l'altro
femmina e quello di Ercole (Gn., 31) tirato da quattro Cen-
38 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
tauri rappresentanti le quattro Stagioni con la leggenda TEM-
PORVM FELICITAS.
Nelle monete di Gallieno e di Carausio il Centauro, ora
con un globo, ora con la clava, ora con l'uno e l'altra, figura
come emblema delia Leg. II PARTHICA. In quelle di Carausio
talvolta tiene uno scettro ed è pure emblema dì una Le-
gione IIII, I.... (?).
Nel medio evo vediamo una volta risorgere il Centauro,
in atto di lanciare una freccia, nel ducatone di Carlo Ema-
nuele I, duca di Savoia (1588) con la leggenda OPPORTVNE.
CERBERO.
Cerbero è il Cane infernale dalle tre teste, simbolo di
Plutone. Poco ha a che fare Plutone colla numimastica ro-
mana e scarse apparizioni vi fa anche il suo seguace. Non
lo troviamo difatti che su di un medaglione di M. Aurelio
(Gn., 72) nel quale seguirebbe (se pure è veramente Cerbero
che si volle rappresentare) il bestiario che precede il carro
fantastico di M. Aurelio e Faustina; poi, ai piedi di Plutone,
in un aureo (Coh., 240) e in pochi bronzi (Coh., 352 e 387)
di Caracalla o, trascinato da Ercole, che lo aveva vinto e
incatenato, in un piccolo bronzo di Postumo (Coh., 122) ed
in altro di Massimiano Erculeo (Coh., 259).
CERVO.
Il Cervo è simbolo della caccia; è quindi naturale che
si trovi generalmente all'accompagnamento di Diana, e che
gli si debba attribuire il medesimo significato anche quando
lo troviamo solo.
Diana è in biga di Cervi sui denari! di C. Allio Baia,
90 a. C, e su quelli di L. Axio, 69 a. C, a meno- che in
questi ultimi si tratti non precisamente di Cervi, ma di Axi, i
quali del resto non ne sono che una varietà. Il Cervo stante
da solo, oppure accanto a Diana (DIANA EPHESIA, FELIX,
VICTRIX) compare replicatamente dal quinario di Anzio Re-
stio 49 a. C. e dal denario di Ostilio Saserna 49-46 a. C,
alle monete e medaglioni nei varii metalli di Augusto,
NEI TIPI MONETALI ROMANI 39
Adriano, Antonino Pio, Faustina jun., Filippo Padre, Gallieno,
Macriano, Postumo, Claudio II, Carausio. E qui giova no-
tare come il Cervo figuri sempre quasi il compagno e l'amico
di Diana piuttosto che l'agognata vittima. Forse era il ri-
cordo o il rimorso per la sorella d'Apollo, d'aver tramutato
in Cervo il timido Atteone, che la rendeva benevola verso
quell'animale.
Abbiamo però anche il Cervo assalito e addentato da
un Leone in un denario di M. Durmio, 20 a. C, e il Cervo
abbattuto da Ercole, in un antoniniano di Postumo HERCVLI
ÀRCÀDIO e in parecchie monete di Massimiano Erculeo e di
Diocleziano con la leggenda VIRTVS AVGG o VIRTVTI AVGG.
Una Cerva fu la nutrice di Telefo, come la Lupa dei
gemelli romani e, in tale sua funzione, la troviamo ripro-
dotta in un bel medaglione di Antonino Pio (Gn., 92).
Nel Medio evo abbiamo la Cerva col motto BIDER CRAF
in un quattrino anonimo attribuito a Francesco II Gonzaga
{Corpus, 25 e segg.), il Cervo accovacciato che tiene lo scudo,
in parecchie monete di Casale coniate dai Paleoioghi mar-
chesi di Monferrato, Guglielmo II (1494-1518), (Corpus, i a
5, 25, 63 a 66), G. Giorgio (1530-33) (Corpus, 6-13) e da
Carlo V {1533-36) (Corpus, 8-9); la Cerva corrente alla fon-
tana in monete di Ferdinando Gonzaga (1623-26) [Corpus,
25» 37 e segg.).
CICALA.
Appare su alcuni bronzi italici primitivi (Umbria) a pro-
babile indicazione dell'estate e della maturanza delle messi.
CICOGNA.
Simbolo della Pietà, la Cicogna figura al dritto di un
denario di Q. Metello Pio, 79 a. C, davanti alla testa della
Pietà, e, accanto alla figura di questa, in aurei e denarii di
M. Antonio dalla leggenda PIETAS.
La troviamo ancora in Adriano colla rappresentazione
d'Antiochia e in Gallieno quale emblena della Legione III
ITALICA.
40 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
CINGHIALE.
Il Cinghiale è talvolta indicato semplicemente come fiera
da caccia e combattente, ma il più delle volte allude al Cin-
ghiale Erimanteo abbattuto da Ercole. É già impresso nei
bronzi primitivi del Lazio e dell'Apulia, libero, stante o cor-
rente; ci appare poi in un denario di M. Voltejo, 88 a. C,
e in un piccolo bronzo anepigrafo di Trajano (Coh., 341), e
in altro di Gallieno con la leggenda: HERCVLI CONS AV.
Nel denario di M. Durmio, 20 a. C, è trafitto da un dardo,
in quello di C. Osidio, 43 a. C, colpito da un dardo e as-
salito da un mastino. In medaglioni di Adriano (Gn., 67 a 69)
e di Marco Aurelio (Gn., 89 e 90), trafitto dalla lancia del-
l'imperatore, che gli muove incontro a cavallo; mentre in
un denario di L. Livinejo Regolo, 43-42 a. C, è accovac-
ciato ferito, dopo il combattimento con un gladiatore.
In un aureo di Probo HERCVLI HERIMANTHIO e in due
di Massimiano Erculeo VIRTVTI AVGG, Ercole si porta sulle
spalle le spoglie del vinto Cinghiale Erimanteo.
11 Cinghiale è l'emblema della Leg. I ITALICA sotto
Gallieno, della Leg. XX VALERIA VICTRIX sotto Vittorino,
della Leg. XXV. V. sotto Carausio.
CIVETTA.
Della Civetta, simbolo di Minerva, rarissima è la rappre-
sentazione durante la repubblica. Non ci appare che in un
sesterzio di C. Anzio Restio, 49 a. C, poggiata su di uno
scudo, e, accanto alla Concordia, in un aureo di Lepido
(Grueber, voi. i, pag. 342).
Più frequente ci appare durante l' impero, dapprima
come Tipo in qualche P B di Nerone (Coh., 183), e di Trajano
(Coh., 342), e in qualche altro piccolo bronzo anonimo dei
tempi di Domiziano; oppure, insieme all'Aquila e al Pa-
vone, su bronzi e medaglioni di Adriano (Gn., 50 e 64), e di
Antonino Pio (Gn., 28, 127, 140 e 152), in rappresentazione
simbolica delle tre maggiori divinità Giove, Giunone e Mi-
nerva; poi in medaglioni d'Adriano (Gn., 130), su di una
rupe, di M. Aurelio (Gn., 45-46), sull'ulivo, di Commodo (Gn.,
47), su di una colonna, sempre accanto a Minerva, oppure
NEI TIPI MONETALI ROMANI
sullo scudo della dea, in un medaglione di M. Aurelio (Gn.,
67 a 105), e in aureo e bronzi di Geta (Coh., 108 a ni).
Infine su di un piccolo bronzo del padre Licinio (Coh.,
142), in altro di Costantino Magno (Coh., 485-86), e in un
aureo dello stesso (Coh., 453), sempre nel medesimo signi-
ficato d'allusione a Minerva, espresso dalle parole SAPIENTIA
PRINCIPIS o SAPIENTIA PRINCIPIS PROVIDENTISSIMI.
Nei tempi più recenti la Civetta, come uccello della
notte, non conservò che il significato della notte eterna e
non la si vede più che sui monumenti fìjnerarii.
COCCODRILLO.
Il Coccodrillo nelle monete non ha che un significato
geografico, essendo unicamente destinato a rappresentare
l'Afi-ica e specialmente l' Egitto. Ci appare la prima volta
sul bronzo di M. Canidio Crasso, 57, a. C, presumibil-
mente coniato durante il suo soggiorno in Egitto, ove co-
mandava le truppe di M. Antonio. In aurei e denari d'Au-
gusto il Coccodrillo indica precisamente la conquista dell'E-
gitto AE&YPTO CAPTA.
E lo ritroviamo di nuovo in Adriano, accanto al Nilo
NILVS ; in Antonino Pio, accanto ad Alessandria e in Cara-
calla con Iside (Coh., 319), o coll'Africa (Coh., 334).
COLEOTTERO.
Non si trova che su di un'antica semi-oncia dell'Italia
Centrale.
COLOMBA.
Come Tipo, la Colomba non fa che rare apparizioni
sulle monete. La prima su un piccolo bronzo anonimo con
S C probabilmente del tempo di Domiziano. La seconda su
alcuni aurei di Faustina iuniore, ove è messa a rappresen-
tare la Concordia. La Colomba è sola nel campo e la leg-
genda dice: CONCORDIA. La Colomba è l'uccello favorito di
Venere e la troviamo appunto al seguito di questa, in un
medaglione della stessa Faustina juniore (Gn., 12, 40) e in
altro di Commodo (Gn., 67), poi in un aureo di Crispina (Coh.,
4Ì i^K. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
38). Due colombe ornano la sedia curule della Cestia-Nor-
bana (in ossequio a Venere?), due Colombe stanno sul fron-
tone del tempio (di Venere?) in un medio bronzo di Elioga-
balo (Gn., 6).
E con questo si chiude la breve serie.
La Colomba, più che nell'antica, appare nella monetazione
medioevale. La troviamo nei grossi di Galeazzo Maria e
Massimiliano Maria Sforza per Milano col motto A' BON
DROIT; ma assai più abbondantemente ritorna con un signi-
ficato mistico nelle diverse monete in cui è rappresentata
l'Annunciazione, e più ancora in quelle papali delle sedi
vacanti, ove è rappresentata in un'aureola di raggi, sempre a
significazione dello spirito divino, che illumina la mente
umana
" Veni Creator Spiritus „.
E rimase pure, pel medesimo periodo ed ancora rimane
presentemente, quale simbolo di carità, nelle tessere degli
ospedali o degli istituti di beneficenza.
CONCHIGLIA BIVALVE.
Il Pecten è impresso su parecchi bronzi primitivi pesanti
del Lazio, della Campania e dell'Umbria, e talvolta un lato
presenta la parte convessa e l'altro la parte concava. Evi-
dentemente si riferisce al mare.
Da quell'epoca remota la Conchiglia scompare durante
tutta l'epoca romana e non la ritrovo che sullo scudo d'oro
di G. Giacomo Trivulzio per Mesocco {Corpus, io).
CONCHIGLIA ELICOIDALE.
Nel triente d'Atri è rappresentata una testa femminile
(divinità marina?) uscente da una conchiglia elicoidale.
CONIGLIO.
Il Coniglio è originario della Spagna e credo che a
questa sua qualità unicamente debba l'onore d'essere stato
scelto come emblema di quel paese. Al piccolo e timido
NEI TIPI MONETALI ROMANI 43
rosicchiante, non sono riconosciute alte doti morali da noi
moderni e difficilmente avrebbero potuto riconoscergliene
anche gli antichi, per accordargli l'onore di rappresentare
una nazione forte e vigorosa. Comunque sia, noi non pos-
siamo che riconoscere quanto ci dichiara tutta una serie di
monete d'Adriano. Qui giova notare che il Coniglio non è
mai rappresentato né sulle antiche monete autonome della
Spagna, né su quelle di Galba, che si riferiscono a quella
Provincia, con le leggende: HISPANIA. HISPANIA CLVNIA o
VLPIA, GALLIA-HISPANIA.
Nessuna traccia infine è dato trovare di esso avanti l'e-
poca d'Adriano. Dal che risulta che l'emblema non era molto
antico, e che è precisamente ad Adriano che il ConigUo è
debitore della sua celebrità numismastica. Possiamo anzi
determinare la data di tale avvenimento. Il grande impera-
tore, che vanta la serie più vasta di monete, fece tre con-
secutive emissioni riguardanti le provincie dell'impero. La
prima, commemorativa de' suoi viaggi, con le leggende
ADVENTVI AFRICAE... HISPANIAE. ecc., ebbe luogo l'anno 135.
La seconda, commemorativa dei miglioramenti introdotti
nelle provincie, con le leggende RESTITVTORI AFRICAE ..
HISPANIAE, ecc., avvenne il 136, e la terza, a memoria ed
onore delle provincie stesse nell'anno 137, con le semplici
indicazioni AFRICA-.. HISPANIA. ecc.
Ora, nella prima di queste (Coh., 37, 42), il Coniglio non
figura ancora, nella seconda (Coh., 821 a 842), appare in
tutte le 22 varietà, senza eccezione e nella terza (Coh., 1258,
1273), persiste nella maggior parte, quantunque qualche
volta eccezionalmenie manchi. Da ciò risulta che l'emblema
fu adottato da Adriano nell'anno 136. Il Coniglio si vede
anche in un altro bronzo nello stesso Adriano (Coh., 1068),
nel quale Minerva sta presso all'ulivo della Betica. C'è chi
credette vederlo in un aureo di Gallieno (Coh., 833), accanto
a Serapide; ma non se ne scorge il nesso ed è quindi per-
messo dubitarne. Meglio a proposito lo ritroviamo, rappre-
sentante la Spagna, nell'aureo rarissimo di Lehano, il quale,
quanto pare fu l'unico seguace d'Adriano.
Inutile dire che il Coniglio non ebbe miglior fortuna in
seguito, nel medioevo e nell'epoca moderna.
44 FR' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
CORNACCHIA.
È dubbio se la Cornacchia abbia diritto di figurare nella
nostra serie.
L'uccello che si vede, come simbolo, sui bronzi di L.
Antistio Gragulo, si vorrebbe una Cornacchia da Eckhel, un
Corvo dal Borghesi. Il primo spiega la sua interpretazione
colla somiglianza del nome Gragulus con Graculus, il se-
condo vorrebbe trovare la stessa allusione al nome di Gra-
gulus nel gracchiare del corvo. Data la grande tendenza dei
Triumviri monetarii per i giuochetti di parole o per i rebus,
ambedue le spiegazioni potrebbero essere ammesse. Io pro-
penderei però per la prima, come più analoga ad altre si-
mih, e perciò ho accettata la Cornacchia, senza però esclu-
dere che essa si potesse trovare nella contingenza di cedere
il posto al Corvo, ritirandosi dalla serie.
CORVO.
La prima apparizione del Corvo, e anche la più chiara
e più completa, come Tipo, è sul sestante campano, nel
quale occupa tutto il campo della moneta, tenendo nel becco
una foglia o un fiore.
Durante la Repubblica, olire il posto che gli contesta
la Cornacchia, non lo vediamo che sulla spalla di Giunione
Sospita in tutti i denarii della Cornuficia, certamente in si-
gnificato augurale, significato che si conferma in seguito,
quando, col lituo e col prefericolo, ci appare nei denarii e
quinarii di M. Emilio Lepido e Marc' Antonio (Coh., 2 a 6), poi
su aurei o denarii di Vitellio (Coh., no a 116), e di Domi-
ziano (Coh., 552), ove sta appoggiato sul tripode; in un P B
di Domiziano (Coh.. 529), ove sta su di un ramo d'alloro
sacro ad Apollo, e finalmente in un medaglione di M. Au-
relio (Gn., 34) ove lo si vede sull'Albero d'alloro, presso il
quale sta Apollo. Probabilmente si troverà in altri meda-
glioni simili; ma non è sempre facile rintracciarlo, perchè
si richiederebbe una conservazione perfetta... il che avviene
assai di raro.
Perchè presso i Romani il Corvo fosse uccello di buon
NEI TIPI MONETALI ROMANI 45
augurio non so. Probabilmente non era a loro conoscenza
la leggenda, per quanto antica, del Corvo lanciato dall'arca
di Noè e non più ritornato!
DELFINO.
L'emblena di Nettuno è il simbolo della potenza marit-
tima. Ha un numero infinito di rappresentazioni nella numi-
smatica greca, dalla quale passò nella romana, incominciando
dall'aes signatura italico, sul triente che porta al lato opposto
il fulmine. Durante la Repubblica, lo troviamo in di un raro
bronzo di M. Antonio al nome di Sosio, 39, 38 a. C, con
un tridente, al rovescio della testa di Nettuno; mentre nel
denario di M. Terenzio Varrone, 49 a. C, al rovescio della
testa di Giove terminale, sta coll'Aquila e con uno scettro
ad indicare la potenza di terra e di mare.
Solitamente però il dolce Delfino è cavalcato da Cupido
e tale ci appare nei numerosi denarii di L, Lucrezio Trione,
74 a. C, e di M. Cordio Rufo, 49 a. C. Riappare poi, sem-
pre col medesimo gentile cavaliere, in un rarissimo denario
d'Augusto (Coh., 269) e più tardi in un medaglione di Fau-
stina juniore (Gn., 6). Con Vitellio (Coh., no, 116), il Del-
fino è collocato su di un tripode in compagnia del Corvo,
con Tito (Coh., 320, 323), e con Domiziano (Coh., 551-52, 593),
è solo, sopra o sotto il tripode, o attorciliato a un'ancora,
e con questo finiscono le sue apparizioni come Tipo.
Con Augusto, Agrippa, Caligola, Vespasiano, Adriano,
M. Aurelio, Caracalla, Gallieno, Postumo, Carausio, Aure-
liano, Diocleziano, Massimiano Erculeo e Costantino Magno
il Delfino è il simbolo di Nettuno ; il quale, munito del Del-
fino e del tridente, costituisce l'emblema della Legione XI
CLAVDIA sotto Gallieno e della Leg. XXI VLPIA sotto
Carausio. Nei diversi medaglioni di Gordiano Pio colla leg-
genda TRAIECTVS e la trireme, alcune teste di Delfino si ve-
dono sporgere dalle onde.
DRAGO.
Il Gigante anguipede, il Tritone, il Tifone, il Serpente
a testa umana e il Drago, sono esseri immaginarli e fan-
46 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
tastici, di forme non bene definite, che, nelle loro svariate rap-
presentazioni, vengono quasi a confondersi in un comune si-
gnificato, alludendo tutti a un nemico dell'umanità, a un es-
sere fornito di enorme forza materiale; ma che alla fine deve
cedere alla forza morale dell'uomo. Neil' imbarazzo di tante
incerte denominazioni e forme variate, io non ho saputo far
di meglio che dividere tali mostri in due gruppi, intitolan-
doli Drago e Tritone. E la distinzione tra l'uno, e l'altro,
più che nella forma, la vedo nel significato. Il primo accenna
piuttosto a forza morale e riesce sempre soccombente, mentre
il secondo, basato preferibilmente e, quasi esclusivamente,
sulla forza fisica, talvolta esce anche vincitore della lotta.
Fermandoci ora al primo, esso compare più tardi del
secondo nella numismatica romana e non vi fa che una appa-
rizione, sotto forma di Serpente a testa umana — a meno
che questo non si voglia calcolare che come una derivazione
del denario di G. Cesare, in cui l'Elefante schiaccia il Ser-
pente — . Ciò avviene verso la metà del quinto secolo con
Valentiniano III in Occidente e con Marciano in Oriente, nei
loro soldi d'oro e continua poi in quelli dei successori, Pe-
tronio Massimo, Maggioriano e Libio Severo.
Nel rovescio di questi aurei, con la leggenda VICTORIA
AV&G, è rappresentato l' imperatore munito della croce e
del globo niceforo, in atto di calpestare un Serpente a testa
umana. L' intenzione era certamente quella di rappresen-
tare un forte e pericoloso nemico debellato. Ma quale ?
L' insigne conservatore del Gabinetto di Parigi, sig. Ernesto
Babelon, pubblicò a proposito di queste monete nella Revtte
Numismatique del 1914, un articolo antico e moderno, nu-
mismatico e politico, nel quale dimostra come il Drago sotto
forma di Serpente a testa umana non abbia come altri simili
mostri un significato vago ; ma invece alluda precisamente
e ben chiaramente a una persona determinata, ossia a quel
barbaro troppo celebre, a quel disastro, che dalle selvagge
foreste nordiche era piombato sull' impero romano, a quel-
1' " Attila flagellum Dei „ che finalmente, dopo tante stragi
e tante rovine, era stato vinto e sgominato.
La forza barbara aveva alle fine dovuto cedere agli
avanzi della civiltà romana.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 47
L'argomento si prestava a confronti di tempi e di con-
pizioni politiche e morali, a ravvicinamenti palpitanti d'at-
tualità e l'autore seppe scegliere il momento opportuno per
la sua pubblicazione.
Pure variando e mutando le forme esterne, in questo
identico significato delle monete romane di Valentiniano e
successori, il Drago attraversò i secoli e giunse fino a noi,
talvolta come soggetto cavalleresco e guerriero ; ma più
spesso, anzi quasi sempre, come concetto religioso.
Si dipinge da secoli e si dipinge anche oggidì la Ver-
gine Immacolata in atto di calpestare un mostro rappresen-
tante il genio del male, e numerosissime sono le monete, nelle
quali la Vergine o un Santo — e fra questi con predilezione
San Giorgio, talora a piedi ma il più sovente a cavallo —
trafigge con la lancia il Drago, ora in una, ora in altra delle
sue svariate forme. Posso citare di volo le zecche di Genova,
Ferrara, Mantova, Casale, Mesocco, Retegno e terminerò
ricordando, come la più splendida riproduzione di tale con-
cetto, quel piccolo capolavoro del nostro Pistrucci, che co-
stituisce il rovescio della sterlina e d'altre monete dell'im-
pero britannico.
Nel medio evo il Drago servì a varii stemmi gentilizii
in senso dirò fantastico e si possono citare ad esempio al-
cune monete della zecca milanese, coniate da Giovanni e
Lunchino e da Bernabò Visconti, che portano il Drago alato
quasi in concorrenza alla Biscia. Naturalmente sia la Biscia
come il Drago non erano che il risultato d'una leggenda ri-
ferentesi alle imprese di qualche antenato della famiglia ;
ma, anche assente il vincitore, la Biscia uccisa, o il Drago
catturato, qualunque fosse la forma più o meno bizzarra che
assumevano, rappresentavano sempre il genio del male sog-
giogato da quello del bene, la forza bruta vinta dall'in-
telligenza.
Vedasi anche la voce Tritone, sotto la quale ho riuniti
tutti gli altri mostri sopra nominati, che pure, potendo pre-
starsi a qualche differenza di interpretazione, hanno sempre
molta analogia con quello, cui si è riservato il nome di
Drago.
48 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
ELEFANTE.
L'Elefante entrò a far parte della Fauna nella numisma-
tica romana quale animale di guerra ; vi rimase poi assai
lungamente sia come tale, sia come animale di parata, rap-
presentante della Maestà, della Munificenza e anche — per
la sua longevità — dell'Eternità.
Fece la sua prima comparsa in Italia colle truppe car-
taginesi e i Romani ne fecero la conoscenza alla battaglia
d'Ascoli, 279 a. C. Fu in memoria di questa vittoria che
essi riprodussero l'Elefante in un pezzo quadrilatero fuso
poco dopo quella battaglia.
Nel medesimo significato la riprodussero i Metelli nei
loro denarii, C. Cecilio Metello Caprario, nel 134 a. C, che
vi rappresentò Giove in quadriga d'Elefanti, Q. Cecilio Me-
tello Pio nel 79 a. C. e Q. Cecilio Metello Pio Scipione nel
46-48 a. C, che vi riprodussero pure l'Elefante, sempre al-
ludendo alla Vittoria di Panormo, riportata nel 251 a. C. dal
loro antenato L. Cecilio Metello, sull'esercito Cartaginese, il
quale aveva nuovamente portati gli elefanti alla battaglia.
Siccome si pretendeva che la parola in lingua punica signi-
ficasse Cesare, l'Elefante venne assunto come proprio em-
blema dal Dittatore, che lo stampò in un comunissimo suo de-
nario dalla leggenda CAESAR, rappresentandovi l' Elefante,
che col piede schiaccia un Serpente ; col che dicono abbia
voluto celebrare la vittoria su re Giuba. Potrebbe darsi,
come si è accennato alla voce Drago, che questo denario di
Giulio Cesare fosse stato il prototipo, da cui derivò, con
medesimo significato, il soldo d'oro di Valentiniano III.
Una imitazione in bronzo, barbara perchè coniata in
Gallia, fece di questo denario il magistrato monetario A.
Irzio, 58 a. C, legato e amico di Giulio Cesare.
Dall'epoca d'Augusto, l' Elefante non abbandona com-
pletamente il suo tipo guerriero, ma è preferibilmente adi-
bito alle comparse gloriose nelle bighe e nelle quadrighe
imperiali. Coi nomi dei Triumviri Aquillio Floro, L. Petronio
Turpiliano e M. Durmio, Augusto conia tre denarii con la
sua biga, tirata da elefanti.
NEI TIPI MONETALI ROMAN! 49
Come Tipo di guerra e di munificenza insieme troviamo
r Elefante solo, o montato da un guardiano, libero, bardato
e talora anche corazzato, nelle monete di Tito (Coh., 300-3),
Domiziano (Coh., 590-1), Antonino Pio (Coh., 564-5), Commodo
(Coh., 377-8), Severo (Coh., 348-52), Caracalla (Coh., 208-10,
230 i), Eliogabalo (Coh., ii8j, Massimiano Erculeo (Coh., 13
a 22), Galeno Massimiano (Coh., 9).
Ma la Munificenza o, forse meglio, la Maestosità del mas-
simo pachidermo, l'abbiamo nei carri trionfali portanti gli
Augusti e le Auguste.
La biga nelle monete d'Augusto (Coh., 229-30, 354, 427,
479-81), Tito (Coh.h., 397), Giulia di Tito (Coh., 19), Nerva
(Coh., 150), Marciana (Coh., 12-13), Faustina seniore (Coh.,
53, 201 a 204), Faustina juniore (Coh., 11). La quadriga,
in quelle di Nerone ed Agrippina (Coh., 3 e 4), Vespasiano
(Coh., 205), M. Aurelio (Coh., 95), Lucio Vero (Coh., 53-4),
Pertinace (Gn., i) e fin qui sono tutte quadrighe destinate
alla cerimonia solennissima della Consacrazione, accompa-
gnate quindi dalle leggende: CONSECRATIO, AETERNITAS
o AETERNITATI oppure EX SENATVS CONSVLTO-
Pochissime sono le quadrighe d'Elefanti adibite ad altre
circostanze. Un medaglione d'oro di Diocleziano e Massimiano
coi semplici loro nomi (Gn. i e 2), un bronzo di Massenzio FEL
PROCESS CONS ili AVG N (Coh., 59) e un altro medaglione d'oro
di Costanzo II (Gn., i) con AETERNA GLORIA SENAT P Q R.
Le più alte e onorifiche mansioni affidate all'Elefante non
lo esonerarono dal presentarsi talvolta come semplice fiera
da circo. Tale ce lo mostra l'anfiteatro di Gordiano, com-
battente con un Toro e, sotto il medesimo aspetto, lo si può
considerare nelle monete secolari dei Filippi.
Geograficamente 1' Elefante fornì l'emblema alla Perso-
nificazione dell'Africa, la quale si orna delle sue spoglie, allo
stesso modo che Commodo, Gallieno, Probo, Massimiano si
ornano di quelle del Leone.
L'Africa è sempre così figurata nel denario della Cor-
nuficia e nell'aureo della Cestia Norbana e, con tale orna-
mentazione, attraversa poi tutto l'impero.
Qualche reminiscenza dell' Elefante evocò anche il medio
7
50 FR. GNECCHl — LA FAUNA E LA FLORA
evo. La prima volta lo troviamo sulla moneta di Federico II
d'Aragona (1296-1337) per Catania.
Emanuele Filiberto di Savoia pose l'Elefante in mezzo
a un branco di pecore in una sua mezza lira del 1562 con
la leggenda INFESTVS INFESTIS {Corpus, 103) e Vincenzo II
Gonzaga, duca di Mantova nel 1627 lo pose in senso guer-
riero in un doppio grosso col motto : ACCENSVS SANOVINE
IN MOSTI S {Corpus, 31).
FARFALLA.
Due sole sono le apparizioni della Farfalla e noi dob-
biamo limitarci a constatarle, senza poterne afferrare, né una
volta né l'altra, il significato.
Essa appare la prima volta nella serie di quelle monete
repubblicane anonime che portano parecchi simboli, i quali
con ogni verosimiglianza, dovevano avere un significato ;
ma che a noi non è dato scoprire, appunto perché quelle
monete erano anonime.
La seconda avviene nell'aureo della Durmia, al rovescio
della testa d'Augusto, ove é raffigurato un Granchio marino
che tiene fra le sue branche una Farfalla. Che cosa si é vo-
luto esprimere ? L'agilità e la lentezza ? La debolezza e la
forza ? La leggerezza e la solidità ? Non seppe penetrare
il mistero neppure l'acuto ingegno di Heckhel, il quale,
dopo aver detto che alcuni antiquari! vorrebbero vedere
in questo simbolo , come in quello d' altra moneta dello
stesso Augusto con l'Erma sovrapposta al fulmine, la spie-
gazione del detto famigliare al grande imperatore : " Fe-
stina lente, dux enini providus praestai temerario „ ag-
giunge, non senza una punta d' ironia : " Quorum sententia,
qui voi et, subscribat „.
E io francamente sarei tentato di sottoscrivere, non solo
per non avere alcunché di meglio da proporre ; ma perchè
mi pare che questi contrasti d'idee sono affatto consoni al
nostro spirito latino. Non solo ne abbiamo parecchi esempii
antichi, ma, in tutta la numismatica e nell'araldica del medio
evo, sono numerosissimi i motti e le imprese che si basano
sul contrasto e sull'antitesi. Il bisticcio di Durmio non vi
stuonerebbe punto.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 51
FENICE.
È certamente molto antica la favola relativa alla Fe-
nice, perchè questa si vede rappresentata sull'obelisco di
Ramsete, il quale regnava 1600 anni avanti l'era volgare.
Uccello mistico, immaginario, la Fenice si vuole prove-
niente dall'Egitto, oppure dalla città del Sole, vale a dire
dall'Oriente. Talora è rappresentata somigliante ad un'Aquila;
più sovente smilza e arieggiante piuttosto l'Ibis o la Cicogna,
con un ciuffo. Il suo capo è solitamente circondato da una
aureola radiata. Alcuni anzi dicono che la testa della Fenice
spicca sul disco del Sole. Generalmente poggia su di un
globo, oppure su di un monticello o mucchio di pietre.
Individuo unico della sua specie, la Fenice aveva una
vita lunghissima e, quando si sentiva prossima alla fine, si
fabbricava essa stessa il rogo, vi si inceneriva, per risorgere
poi dalle proprie ceneri.
" Post fata, resurgo „.
Tali rinascite avvenivano a cicli, diversamente determi-
nati, secondo le diverse leggende, ma della durata di pa-
recchi secoli ciascuno, in istretta relazione col movimento
dei pianeti e, in modo particolare, del pianeta Mercurio.
La sua longevità e, più ancora, la sua strana facoltà di
risurrezione fecero della Fenice, 1' * Avis aeterna „ il sim-
bolo dell' Eternità, della Rinnovazione, del Miglioramento.
Difatti sulle monete è generalmente accompagnata dalla
leggenda AETERNITAS-
Per quanto antica, la Fenice è sconosciuta nella numi-
smatica repubblicana e la sua prima apparizione quale Tipo,
occupante tutto il rovescio della moneta, avviene in un bel-
l'aureo di Trajano (Coh., 658-659) ove poggia su di un ramo
d'ulivo.
In altro bellissimo aureo d'Adriano (SAEC AVR) sta su
di un globo retto dall' imperatore. In monete e medaglioni
delle due Faustine (Gn., i e i) il globo colla Fenice sta nelle
mani della stessa Eternità. E con poche varianti e, sempre
col medesimo significato, abbiamo ancora la Fenice in Tre-
boniano Gallo, Emiliano, Carino, Massimiano Erculeo, Co-
stantino Magno, Costante I, Costanzo II, Graziano e Teodosio.
52 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Nel medio evo è rievocata qualche volta la Fenice e
nel significato antico di risurrezione e di rinnovazione la tro-
viamo, al momento più splendido della zecca milanese, nel
testone di Bona di Savoia per Milano con la nota leggenda
SOLA FACTA SOLVIVI DEVM SEQVOR. Nel significato d'eter-
nità nel mezzo tallero del 1663 di Annibale degli Ippolili,
marchese di Gazzoldo, con la leggenda HINC VITA PERENNIS
{Corpus, 4).
Per noi moderni si può dire che l'antico alto e buon si-
gnificato della Fenice, pace e felicità eterna, è scomparso
completamente. La parola non resta presso di noi che come
indicazione di persona o di cosa tanto sublime e tanto per-
fetta, che è impossibile ritrovare.
" L'Araba Fenice
" Che vi sia ciascun lo dice,
* Dove sia nessun lo sa „.
GABBIANO.
Linneo diede il nome di Buteo vulgaris a quell'uccello
di rapina che noi chiamiamo volgarmente Nibbio o Pojana.
Ora il naturalista, che osserva il volatile rappresentato nelle
monete della gente Fabia, non vi riscontra nessun carattere
dell'uccello di rapina. Per quanto microscopiche siano certe
rappresentazioni sulle monete, l'incisore romano sapeva im-
primervi il giusto carattere, cosicché l'osservatore discerne
a prima vista, senza esitazione, se si è voluto fare un corvo,
una civetta o una colomba. Qui vediamo un volatile agile
dalle gambe lunghe, dal collo allungato, che può avere qual-
che analogia con la cicogna, ma nessuna con un uccello di
rapina. Dobbiamo quindi abbandonare Linneo e appoggiarci
a una autorità più antica, più autentica e più sicura, a quella
di Plinio, il quale afferma che il nome di Buteo era dato a
un uccello acquatico. Senza precisarne la varietà, che ve ne
sono molte in questa specie, per dimensione e per colore,
dal bianco al cinerognolo e al nero, senza dire cioè se
sia veramente un Gabbiano, piuttosto che un alcione o un
airone, possiamo affermare che è ad uno di tali uccelli acqua-
tici, che corrisponde l'incisione della moneta, la quale Io rap-
NEI TIPI MONETALI ROMANI 53
presenta in atto di spiccare il volo, davanti alla biga della
Vittoria, nei denarii e, davanti alla prora, nei bronzi di C.
Fabio Buteo, 89 a. C.
Plinio racconta che uno di tali uccelli era venuto una
volta, a posarsi come segno di buon augurio, su di una nave
comandata da un Fabio e che da allora la gens Fabia aveva
assunto quel volatile come stemma di famiglia. Accettiamo
tale leggenda, simile a molte altre.
GALLO.
Il Gallo, simbolo di solerzia, di vigilanza, d' industria e
anche di combattività era sacro ad Apollo " Apollini sacra
avis „, a Mercurio, a Luni e a Marte.
La sua rappresentazione è estremamente limitata nella
monetazione romana.
Appare la prima volta nel sestante d'Atri, della serie
italica primitiva, poi sul quadrante di L. Marcio Filippo,
112 a. C.
E, durante l' impero, fatta eccezione d'un piccolo bronzo
o tessera anonima dell'alto impero (Coh., 25), in cui è dato
come Tipo, non Io troviamo che. talora a terra, talora su
di una colonna, in medaglioni di Adriano (Gn,, 16 a 23) e
di M. Aurelio (Gn., 47) e neppure possiamo assicurare che
in quelli d'Adriano si tratti veramente di un Gallo.
GAZZELLA.
Fra le molte varietà di ruminanti che stanno fra il Cervo
e il Capro, ben difficile riesce determinare quale specie ab-
biano inteso rappresentare gli artisti incisori con l'animale
che ora ha l'aspetto di gazzella, ora di daino, di capretto,
di cervo giovane, di camoscio, di antilope o simile.
I cataloghi lo indicano in diversi modi, a seconda del-
l'impressione momentanea del compilatore ; perciò ho cre-
duto bene riunire tutte queste varietà sotto il nome di Gaz-
zella, che si deve intendere in senso lato. Del resto non è
figura molto importante nella nostra serie.
II grazioso quadrupede appare per la prima volta nel
quadrante di Licinio Nerva, no a. C, senza che ne possiamo
penetrare il significato.
54 FR' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Un secondo, che dalle lunghe corna si potrebbe anche
classificare uno stambecco, è sul denario di C. Plauzio, 54
a. C. Alcuni lo vorrebbero un Capretto, simboleggiante
r isola di Creta.
Meglio ci spieghiamo i bronzi di Antonino Pio, Salonina,
Vittorino, Tetrico padre, ove l'animale, stando in diversi at-
teggiamenti, o solo, o con Diana, qualunque sia veramente la
sua specie, non fa che sostituire il Cervo, indicando la caccia.
Sulle monete millenarie di Filippo padre e di Otacilla
ha il significato di bestia da circo.
GIOVENCA.
Manca alla serie repubblicana e non appare che sotto
Augusto in oro e in argento, in monete di eccezionale bel-
lezza di stile. Queste monete furono riprodotte da Vespa-
siano e nel suo V e VII Consolato e da Tito nel suo V,
ossia negli anni 74 e 76, durante quell'emissione commemo-
rativa, che abbiamo accennato alla voce Capricorno.
Né nella moneta tipica d'Augusto, ne nelle successive
imitazioni di Vespasiano e Tito, v'ha alcuna leggenda che
si riferisca all'animale rappresentato ; ma non credo di er-
rare, interpretandolo come simbolo di fertilità.
Difatti ritroviamo la Giovenca in parecchi denarii di Ca-
rausio, non più sola come nel tipo originario ; ma munta da
una pastorella, con la leggenda VBERITAS (Coh., 364 a
366, 371).
GIRAFFA.
In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 72) è rappresen-
tato il carro simbolico degli sposi M. Aurelio e Faustina,
tirato da due Pantere, preceduto da una suonatrice di tim-
pani e da un bestiario. Nello sfondo, sovrasta ad altre figure
la testa di una Giraffa.
È questa 1* unica sua apparizione nelle monete romane.
Potrebbe darsi che a quell'epoca la Giraffa avesse fatto il
suo primo ingresso in Roma e, nell'occasione delle nozze
imperiali, la prima sua comparsa in pubblico.
NEI TIPI MONETALI ROMANE 55
GRANCHIO.
Il Granchio, tanto comune in parecchie serie di monete
greche, specialmente in quelle d'Agrigento, per indicare il
mare e la potenza marittima, non compare che due volte nelle
romane. La prima è chiara su di un denaro di M. Servilio e
C. Cassio Longino, 43-42 a. C, ove sta a ricordo della Vit-
toria di Cassio sui Rodiani, avvenuta in vista dell' isola di
Cos, la quale aveva il Granchio come suo emblema. Difatti
esso tiene un acrostolio in segno di Vittoria.
Assai meno chiara è la seconda sull'aureo di M. Durmio,
20 a. C, in cui lo vediamo nella misteriosa compagnia della
Farfalla. Nulla conosciamo della vita di Durmio né sappiamo
se abbia riportato vittorie navali. Ma questo, in ogni modo,
non scioglierebbe l'enigma, di cui s'è parlato alla voce Far-
falla.
GRIFONE.
Un Leone alato con testa d'Aquila ornata da una cresta,
costituisce il Grifone, animale mitologico sacro ad Apollo.
Diversi paesi, l'India, l'Assiria, la Persia, la Scizia, l'Etiopia,
e fors'anche qualche altro, se ne contendono l'origine.
La sua testa forma il rovescio dell'asse del Lazio, che
porta al diritto la testa giovanile d'Ercole. La sua completa
figura fa nel denario di L. Papié, 79 a. C, una apparizione
unica, compensata però dal numero stragrande di varietà,
formate dai piccoli simboli — o meglio sigiUi, come li chiama
Eckhel — che ne differenziano i numerosi esemplari.
In una tessera o piccolo bronzo, probabilmente dell'epoca
di Domiziano (Coh., 38), un Grifone accovacciato tiene una
zampa su di una ruota. Adriano ha qualche medio bronzo
(Coh., 433-5) col Grifone corrente. In un medaglione d'An-
tonino Pio (Gn., 68) il Grifone sta accanto ad Apollo.
Alcune monete di Gallieno (Coh., 75 a 80 e 95) e di
Carausio (Coh., 16 a 21) hanno il Grifone corrente con la
leggenda APOLLINI CONSERVATORI AVO-.
Il Grifone non è di indole perversa. Avido dell'oro era
preposto nei templi alla guardia dei tesori, insidiati da gi-
5^ FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
ganti e da mostri maligni. Forse in tale qualità simboleggia
la lotta fra i credenti e gli infedeli, e forse la sua figura
orna talvolta i troni, quasi a custodia della fede e dei tesori.
Lo vediamo difatti in un bronzo imperatorio di M. Au-
relio (Gn., 105) ornare il seggio di Minerva. E lo vediamo
pure, quale ornamento del seggio della Salute, in parecchi
medaglioni e bronzi di M. Aurelio, Faustina juniore. Com-
modo e Geta, dalla leggenda SALVS. Talvolta serve pure di
ornamento alle tavole lusorie, in piccoli bronzi di Nerone
(Coh., 47 e segg.) e di Trajano (Coh., 349).
IBIS.
L'uccello sacro dell'Egitto non compare che sulle mo-
nete d'Adriano dalla leggenda AEG-YPTOS e su alcune di
Antonino Pio dalla leggenda ALEXANDRIA.
Sotto Gallieno è emblema della Legione III ITALICA.
IDRA.
Il mostro dalle sette teste, prodotto dai serpenti della
palude Lernea, non appare che, vinto da Ercole in un
antoniniano di Postumo con la leggenda HERCVLI ARG-IVO e
su alcune monete di Massimiano Erculeo e di Diocleziano con
le leggende HERCVLI INVICTO, IMMORTALI. CONSERVATORI,
DEBELLATORI, VIRTVS o VIRTVTI AVGG.
IPPOCAMPO.
L' Ippocampo o Cavallo marino, che ha la parte ante-
riore del cavallo e termina in pesce, figura nelle monete
che si riferiscono a cose di mare. Lo troviamo così nei de-
narii di Crepereio Roco, 64-56 a. C, traente la biga di Net-
tuno e la quadriga di M. Antonio e Ottavia nei bronzi dei
comandanti della flotta, Oppio Capitone, L. Sempronio Atra-
tino e L. Bibulo.
Da quest'epoca dobbiamo saltare a Gallieno e a Tetrico
padre, sotto ciascuno dei quali l'Ippocampo è rappresentato
in un piccolo bronzo con la leggenda NEPTVNO CONS AVO-.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 57
IPPOPOTAMO.
Quale rappresentante dell'Africa o dell'Egitto, e spe-
cialmente del Nilo, appare col Coccodrillo in parecchie mo-
nete d'Adriano (Coh., 982 a 1002), rappresentanti appunto
questo fiume. E con simile significato ci appare poi su qual-
che piccolo bronzo di Giuliano II ed Elena (Coh., 107) e di
Elena (Coh., 18) col carro d'Iside tirato da due Ippopotami.
Quale bestia da circo, ci appare nelle monete dei Fi-
lippi e di Otacilla, dedicate alle feste secolari.
LEONE.
La maestà, la robustezza, la magnanimità, acquistarono
al Leone il titolo di re degli animali e lo fecero simbolo di
gagliardia, di potenza e d'impero, eguagliandolo così al prin-
cipe dei volatili. All'Aquila il regno dell'aria, al Leone quello
della terra.
È in questo significato che il Leone occupa il suo gran
posto nella numismatica romana, sia che esso venga rappre-
sentato nella sua calma maestosa, in cui esprime con dolcezza
l'indomita volontà di dominio " mitem animum sub pectore
forti „, sia che venga rappresentato nello stato di lotta, il
cui degno avversario e unico vincitore è il più forte dei
semidei.
La sua testa di fronte, con una spada nelle fauci appare
già in un asse primitivo del Lazio, e la sua figura intera,
nel medesimo atteggiamento, nella dramma della Campania.
Ma scarse sono le sue rappresentazioni nel periodo repub-
blicano.
Ci appare per la prima volta combattente con Ercole
nel denario di C. Poblicio, 179 a. C, aggiogato alla biga
di Cibele in quello di M. Voltejo, 88 a. C. e nell'aureo di
Cestio e Norbano, 43-44 a. C.
Due teste di Leone ornano la base del monumento a
L. Minucio nel denario di C Minucio Augurino, 129 a. C.
Una testa leonina forma ornamento alla capigliatura della
stessa Cibele nel denario di M. Pletorio Cestiano, 69 a. C.
E V intera figura troviamo sul quinario di M. Antonio e
8
58 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Fulvia (Coh., 32) nel quale pare che il triumviro ponesse
il Leone a ricordare che, imitatore di Cibele, egli ne aveva
domati e attaccati al proprio carro.
Quale simbolo di famiglia che ci rimane oscuro, lo tro-
viamo in un semis di C. Servilio, 123 a. C, e, combattente
nel circo, nel denario di Livinejo Regolo, 43-42 a. C.
Assai più numerose sono le apparizioni del Leone du-
rante l'impero, in tutti gli atteggiamenti indicati e in nuovi.
Il Leone è la cavalcatura di Cibele, e di questo tipo
abbiamo la migliore riproduzione in un medaglione di bel-
lissimo stile di Faustina seniore (Gn,, 11) col Leone che gra-
vemente passeggia, e in altro di Sabina (Gn., i) col Leone in
corsa, tipo che venne ripetuto dalla stessa Faustina (Gn., io)
e più tardi in parecchie monete dei Severi dalla leggenda
INDVLGENTIA IN CART.
Il maestoso carro della dea è tirato da una pariglia di
Leoni in un bronzo di Faustina seniore (Coh., 55), da una
quadriglia in monete d'ogni metallo di Giulia Domna (Coh.,
116 a 119) e in medaglioni di bronzo d'Adriano (Gn., 5) e di
Antonino Pio (Gn., 81). Quest'ultimo ne è la più splendida
riproduzione.
Quando la Gran Madre è assisa in trono, due Leoni le
siedono maestosamente ai lati. Così nel medaglione di Fau-
stina seniore (Gn., 8) e in parecchie monete delle due Faustine,
di Giulia Domna e di Giulia Soemiade, dalle leggende MÀTRI
MAGNAE, MAIRI AVGG, MAIRI DEVM, MAIRI DEVM SALVIARI.
Il Leone in quiete è rappresentato in altro medaglione
d'Antonino Pio con la leggenda MVNIFICENIIA (Gn., 31) op-
pure accanto alla personificazione della Munificenza in altro
bronzo dello stesso imperatore (Coh., 563) e in un aureo di
Costantino Magno con la leggenda VIRIVS AVG-YSII (C, 679).
In un bel bronzo di Domiziano (Coh., 517) il Leone tiene
una spada nelle fauci.
Caracalla, intendendo accentuare l'espressione del potere
e della forza del Leone, gli pone un'aureola di raggi intorno
al capo e un fulmine nelle fauci (Coh., 335, 366 a 371, 401
a 404) e in tale atteggiamento lo riproducono più tardi Probo
(Coh., 452, 455 a 458), Massimiano Erculeo (Coh., 469 a 471)
e Carausio (Coh., 390).
NEI TIPI MONETALI ROMANI 59
Commodo si atteggia ad Ercole Romano, e, quale nota
caratteristica, nelle monete che portano le leggende HERCVLI
ROMANO, HERCVLI COMMODIANO AV&, orna la sua effigie
delle spoglie del Leone Neraeo. L'esempio è seguito da Set-
timio Severo, Gallieno, Probo, Massimiano Erculeo e Diocle-
ziano, quando vogliono accennare la loro parentela o somi-
glianza col semidio.
Infatti pare che, fra le fatiche d'Ercole, l'abbattimento
del Leone Nemeo. — V. Postumo HERCVLI NEMAEO, Carausio
Diocleziano, Massimiano Erculeo VIRTVS o VIRTVTI AVGG —
sia stato il piìi apprezzato nell'antichità, anche dallo stesso vin-
citore, perchè di quelle spoglie fece il suo più ambito trofeo,
e la pelle del Leone Nemeo, avvolta alla clava, o portata sul
braccio, o appesa a un albero vicino, divenne il suo simbolo
più abituale. Si può anzi dire che Ercole, nelle sue numero-
sissime raffigurazioni, non sia mai sprovvisto di questo em-
blema ; e così avviene che, ad ogni apparizione sua, abbia
sempre un riflesso anche il Leone, del quale portano così
stampata un' impronta molti imperatori, che non hanno diret-
tamente il Leone nelle loro monete.
Le spoglie del Leone sono date come Tipo nel denario
di C. Coponio e Q. Sicinio, 49 a. C.
La caccia al Leone ci viene presentata da medaglioni
d'Adriano (Gn., 95 a 97) e di Commodo (Gn., 152) coli' im-
peratore a cavallo, in atto di trafìggerlo con una lancia.
In un solo denario di M. Durmio ci è offerta la lotta
del Leone col Cervo, mentre quella del Leone col Toro ci
viene accennata in parecchie monete dal secondo al terzo
secolo, nelle quali, presso al Leone, allo stato di tranquilla
soddisfazione o ancora nelle sue grinfe, sta il teschio di un
Toro divorato, quale testimonio dell'ottenuta vittoria (v. Toro).
Geograficamente il Leone è qualche volta rappresentato
quale emblema dell'Africa, accanto alla quale sta accovac-
ciato. Med. di Commodo (Gn., 5 e 6) e monete della Te-
trarchia con la leggenda F ADVENTVS AVGO N N.
La testa del Leone orna molte volte nei bassi tempi i
bracciuoli del trono imperiale.
In un raro denario d'Augusto il Leone corrente è se-
gnato come emblema della Leg. XVI. Nelle monete di Gal-
6o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
lieno il Leone è emblema della Coorte Pretoriana e della
Leg. mi FLAVIA, VII CLAVDIA, Villi AVGVSTA ; in quelle
di Vittorino della Leg. Vili GEMINA ; in quelle di Carausio
della Leg. III.... e della Leg. IV FLAVIA.
Il Leone non esaurisce la sua carriera con la numisma-
tica romana ; ma la prosegue in tutta la numismatica me-
dioevale italiana, giungendo fino alla moderna. Troppo a
lungo ci condurrebbe il citarne qui la serie completa, pas-
sando per le zecche di Savoia, di Roma, di Bologna, di Fer-
rara, di Modena, di Ancona ed altre molte.
Il Leone rampante, frequentissimo, che orna lo stemma
principesco, o i due Leoni che lo fiancheggiano o lo reggono
non hanno che significato araldico. Ma talvolta il Leone ap-
pare anche come Tipo e, per citare solo alcuni esempii,
noterò le molte monete del Senato romano (i 188-1252),
il grosso di Carlo d'Angiò (1262-65), '^ giulio di Leone X
(1603-21) ; ma sopratutto va menzionato il Leone alato di
S. Marco, il quale si mantenne glorioso un millennio nelle
monete d'ogni metallo della Serenissima, e non diede 1' ul-
timo ruggito che or fa poco più di mezzo secolo, nella mo-
netazione del Governo Provvisorio di Venezia nel 1848.
LEPRE.
Il Lepre non ha che una piccolissima parte nella mone-
tazione romana, non vi è mai rappresentato quale Tipo, come
avviene nella greca, ma solo quale simbolo dell' Inverno,
nelle monete e nei medaglioni, in cui, con le leggende FE-
LICIA TEMPORA, TEMPORVM o SAECVLI FELICITAS vengono
figurati quattro bambini rappresentanti le quattro Stagioni.
Il graziosissimo tipo, introdotto da Adriano (Gn., 91), è fra
quelli che ebbero maggior numero di riproduzioni, dal mo-
dulo massimo al minimo in bronzo, e anche in oro, ai tempi
costantiniani. Il tipo venne dapprima riprodotto da M. Au-
relio pel medaglione d'Annio Vero e Commodo fanciulli
(Gn., i), da Antonino Pio (Gn., 137), Faustina juniore (Gn., 28),
Commodo (Gn., 135 a 138; Coh., 727 a 730), Treboniano Gallo
(Gn., 5), Probo (Gn., 37 e 86-7), Caro e Carino (Gn., 1),
Carausio (Coh., 352), Licinio figlio (Gn., i).
NEI TIPI MONETALI ROMANI 6l
Anche nei grandi medaglioni è molto difficile assicurarsi
se quel minuscolo animaletto sia un Lepre oppure un Coni-
glio, quale viene generalmente descritto. Ma, osservando gli
esemplari più nitidi e freschi, parrai si possa asserire con
certezza che veramente si tratta di un Lepre, interpretazione
che è anche la più razionale, come consigliata dal fatto, che
il Lepre indica una caccia invernale, mentre non si saprebbe
quale significato attribuire al Coniglio nella figurazione del-
l'inverno.
LUPA.
La Lupa, con o senza i Gemelli, — il significato è sem-
pre eguale — è forse il Tipo più caratteristico nella numi-
smatica romana. Non la troviamo naturalmente nelle monete
primitive, perchè la leggenda di Romolo e Remo era troppo
fresca ; o, meglio, non era ancora formata. Ci vollero quattro
secoli per maturarla e la Lupa non appare che nella serie
delle monete campane.
In quelle di Roma la troviamo la prima volta nei de-
narii di Sesto Pompeo Faustulo, 129 a. C, ove è rappresen-
tata la scena tradizionale dei Gemelli allattati dalla Lupa, al-
l'ombra del fico ruminale e alla presenza del pastore Faustolo.
Durante la repubblica però non sono numerose le ripro-
duzioni della Lupa. Essa ci appare sola in un denario di
P. Satrieno, 74 a. C, coi Gemelli, in un asse di P. Terenzio,
mentre in un denario di L. Papio Celso, 45 a. C, prende
parte a una scena affatto nuova. Essa apporta un pezzo di
legno su un braciere acceso ; mentre l'Aquila, che gli sta di
fronte, soffia colle ali nel fuoco. La curiosa scena non venne
più ripetuta.
Durante l' impero, più frequente è la sua apparizione,
sia come Tipo, sia come simbolo, accanto a Roma, e la tro-
viamo in medaglioni e monete di Nerone, Vespasiano, Tito,
Domiziano, Trajano, M. Aurelio, Faustina juniore, Filippo
padre, Gallieno, Salonino, Quintillo, Floriano, Probo, Massi-
miano Erculeo, Carausio, Massenzio, Costantino Magno, Giu-
liano II. Quando figura come Tipo ha spesso le leggende :
S. C , SALVS VRBIS. AETERNITAS AVG-, ORIGINI AVG, RO-
MANOR RENOVA(//o), TEMPORVM FELICITAS AVG N.
62 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
La serie più abbondante è quella in bronzo (grandi bronzi
o medaglioni e piccoli bronzi) eseguita da Costantino Magno.
Questi pezzi, portanti al diritto il busto galeato di Roma
colla dicitura VRBS ROMA e, al rovescio anepigrafo la Lupa
coi Gemelli e, sopra di essa, le due stelle dei Dioscuri, fu-
rono coniati in tutte le zecche dell'impero.
Costanzo II e Costante fecero una riconiazione dei pic-
coli bronzi di Costantino con la Lupa.
La Lupa nelle monete di Gallieno è l'emblema della
Leg. II ITALICA.
La Lupa permane e permarrà per molto tempo ancora
il simbolo di Roma, per quanto più usata nei monumenti
che nella numismatica. Anche in questa però lasciò qual-
che traccia durante il medio evo e la troviamo nel grosso
di papa Adriano VI (1522-23), poi su molte quadruple di
Ottavio Farnese (1556-86), Rannuccio I Farnese (1592-1622)
ed Odoardo Farnese (1622-1646), per Piacenza.
MINOTAURO.
In tutte le combinazioni mostruose dell'uomo con un
altro animale, all'homo sapiens s'ebbe sempre il riguardo
di riservare la parte anteriore o la più nobile; ma vi fa ec-
cezione il caso del Minotauro il quale, su di un corpo umano,
porta una testa taurina.
Il tristo prodotto della compagna di Minosse e d'un toro,
nell'isola di Creta, simbolo di malvagità e di menzogna, non
deturpa che una volta la numismatica romana in un anto-
niniano di Caracalla (Coh., 297), ove lo si vede inginocchiato
davanti a Plutone.
MULA - MULO.
E necessario avvertire che ben differenti erano, presso
il popolo romano, le attribuzioni del Mulo in generale e della
Mula, come le vedremo riflesse nelle monete.
L' ibrida progenie del somaro e della giumenta è assai
utile nell* economia domestica per la sua forza , la sua
NEI TIPI MONETALI ROMANI 63
sobrietà e la sua facile accontentatura. Perciò in tutti i
tempi venne adibito a sostituire vantaggiosamente, quale
bestia da tiro o da soma, il Cavallo, al quale rimase sempre
inferiore per nobiltà di forme, per carattere e per facilità di
addestramento.
È in questo senso generico di razza, che probabilmente
vediamo il Mulo come simbolo in alcune monete anonime
della Repubblica; a meno che anche qui si tratti di qualche
leggenda o di qualche analogia di nome a noi sconosciuta,
con un magistrato monetario.
Ne! medesimo significato di bestia da tiro, dobbiamo in-
terpretare i due MuH pascenti, e la carriola col timone al
vento nello sfondo, che vediamo nell' interessante sesterzio
di Nerva (Coh., 143-4) con la leggenda VEHICVLATIONE ITA-
LIAE REMISSA- Ciò vuol significare che, essendo slata dalla
magnanimità dell'imperatore abolita un'imposta, che gravava
su tutte le città d'Italia pei trasporti, i muli o i cavalli po-
tevano godere un poco di riposo e pascolare tranquillamente.
Fin qui nulla che non riesca perfettamente chiaro. Riesce
invece più difficilmente spiegabile, perché la Mula — la fem-
mina — sia stata assunta a compiere funzioni elevate ed
onorifiche, in competizione col Cavallo e coH'Elefante, perchè
cioè sia stata adibita a tirare il carpento funebre, delle
Auguste.
Il suo stato di servizio incomincia con Livia d'Augusto
(Coh., 7-8) S P Q R IVLIAE AVGVSTAE e prosegue con Agrip-
pina madre (Coh., 1-2) S P Q R MEMORIAE AGRIPPINAE. Domi-
tela giovane (Coh., 1) MEMORIAE DOMITILLAE S P Q R. Giulia
di Tito (Coh., 9-10) DIVAE IVLIAE AVG. DIVI TITI F S P Q R,
Marciana (Coh., 9 a 11) CONSECRATIO. Sabina (Coh., 72),
S. C. Faustina seniore (Coh., 196 a 200) EX S C Dopo qual-
che intervallo, con Costanzo Cloro (Gn., 21), Elena di Giu-
liano II (Coh., 14) e Gioviano (Coh., 27), le due Mule tirano
il carro d'Iside.
L'elevazione della Mula a uffici onorifici non fu molto
antica, essendo cominciata solamente con l'impero; ma, in
compenso, le venne conservata fino a tempi relativamente
recenti.
64 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Se la Mula tirava il carpento funebre delle Auguste o
della dea Iside, in Roma imperiale, rimase, pur che fosse
bianca, la cavalcatura del papa e degli alti dignitari della
chiesa nella Roma papale. Non mi consta però che abbia
miai figurato sulle monete.
ORSO.
Mi pare che l'Orso non abbia avuta a rappresentare altra
parte che quella di bestia da circo. Difatti non la trovo che
in un unico tipo, corrente intorno alla nave del circo, fra
quadrighe ed altre belve, tipo che di Settimio Severo (Coh.,
253-4) e di Caracalla (Coh., 117 e 118) conosciamo in oro e
argento e solo in argento di Geta (Coh., 67).
PANTERA.
L'animale sacro a Bacco per avergli fornito il latte,
come la Lupa a Romolo e Remo, era sconosciuto nella nu-
mismatica primitiva. Non compare che due volte durante la
repubblica, in un sesterzio di T. Carisio, 48 a. C, e in un
denario di C. Vibio Varrone, 43-42 a. C.
Più frequentemente appare durante l'impero. In un me-
daglione d'Adriano (Gn., 44-5) ripetuto da Antonino Pio (Gn.,
IDI a 104), una Capra e una Pantera tirano il carro d'Apollo
e di Bacco ; in altro d'Antonino Pio (Gn., 37) il carro di
Bacco e d'Arianna è tirato da un Satiro e da una Pantera.
In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 72) due Pantere sono
aggiogate al suo carro nuziale.
In posizione secondaria la troviamo nelle monete e me-
daglioni di Adriano, Antonino Pio, Commodo, Severo, Cara-
calla, Geta, Gallieno, Claudio Gotico, quasi sempre con
Bacco o con manifestazioni bacchiche. Spesso è presso al-
l'ara o al tempio di Bacco.
In piccoli bronzi di Gallieno la Pantera, rappresentata
come Tipo, è consacrata al suo patrono dalla leggenda Ll-
BER(o) ?{atri) COfiS{servaiori) AyQ{ustf).
In un medaglione di Costantino Magno (Gn., 3-4) dalla
ampollosa leggenda GLORIA SAECVLI VIRTVS CAESS pare
che la Pantera non alluda al culto di Bacco, stando curvata
NEI TIPI MONETALI ROMANI 65
in atto di sottomissione, fra l'imperatore padre e il figlio Co-
stantino II, che gli offre un globo colla Fenice.
In bronzi di Commodo la Pantera rappresenta la preda
di caccia dell'imperatore (Coh., 957-958).
PANTERA ALATA.
Non compare che un'unica volta in un medaglione d'An-
tonino Pio (Gn., 75), nel quale è rappresentata Diana Luci-
fera corrente su questo nuovo animale.
PAVONE.
Il più bello degli uccelli, il più ricco di colori e di ri-
flessi, venne anticamente dedicato a Giunone nell' isola di
Samo, e ne rimase il simbolo.
In un grazioso medaglione di Faustina juniore (Gn., 9),
Giunone fanciulla è rappresentata seduta su di un Pavone,
scherzando fra due danzatrici. Giunone dea è quasi sempre
rappresentata col Pavone a' suoi piedi e, siccome Giunone
è una deità che predomina nelle monete delle Auguste, è
naturale che anche la rappresentazione del Pavone sia assai
numerosa nelle monete delle Auguste, mentre in quelle
degli Augusti non è che eccezionale. L'abbiamo sulle mo-
nete di Sabina, delle due Faustine, di Lucilla, Crispina,
Scantina, Giulia Domna, Paola, Mesa, Paolina, Otacilla,
Mammea, Etruscilla, Cornelia Supera, Mariniana, Salonina,
Magnia Urbica.
In quelle degli Augusti non lo troviamo che sotto Osti-
liano, Gallo e Volusiano nelle loro monete e medaglioni col
tempio di Giunone Maziale, IVNONI MARTIALI. Gallieno ha
un piccolo bronzo con Giunone e il Pavone (Coh., 416) IVNO
CONSERVAI ; ma il rovescio è evidentemente di Salonina.
E ibrido del pari sembrerebbe doversi considerare quello
simile di Claudio Gotico (Coh., 133-5) 'VNO REG-INA, se non
fosse ripetuto in diverse varietà.
Come Tipo troviamo il Pavone in medaglioni di Adriano
(Gn., 12, 50, 64) e Antonino Pio (Gn., 28) per simboleggiare
Giunone in compagnia dell'Aquila e della Civetta, simbo-
leggianti Giove e Minerva.
66 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Ma la vera rappresentazione tipica è sempre riservata
alle Auguste nei due significati di Concordia e di Consa-
crazione.
Nel primo significato dobbiamo intenderlo nelle monete
di Giulia di Tito (Coh., 5 a 8), di Domizia (Coh., i a 4) e,
in parte, anche di Faustina juniore, pure quando vi manca
la parola CONCORDIA.
Fino al tempo di M. Aurelio, l'uccello simbolico della
Consacrazione fu l'Aquila, sia per gli Augusti che per le
Auguste ; ed è solamente con Faustina juniore che il Pa-
vone viene a sostituirsi all'Aquila. Da allora, in diversi at-
teggiamenti, a pie fermo, a destra o a sinistra, oppure di
fronte, a coda spiegata, o raccolta, oppure librato a volo e
trasportante la diva estinta agli Elisi, troviamo il Pavone
sulle monete di tutte le Auguste, che ebbero l'onore della
Consacrazione, Faustina juniore, Giulia Domna, Giulia Mesa e
Mariniana, con la leggenda CONSECRATIO- Il Pavone si può
quindi dire una figurazione esclusivamente femminile.
Giunone, fra gli altri suoi titoli, ha anche quello di
Giunone Moneta. Anzi fu precisamente sotto il nome dijwio
Moneta, che la dea fu designata a presiedere alla officina
monetaria eretta nel 345 a. C. sull'area dell'arce capitolina
già occupata dalla demolita abitazione di Manlio. E quindi
naturale che l'emblema della dea, fosse già da allora, anche
l'emblema della Moneta, vale a dire dell'officina monetaria.
E io credo di vedere la piii antica rappresentazione del Pa-
vone, con tale precisa indicazione, nella famosa tessera del
Museo di Vienna, rappresentante la zecca primitiva, in quel-
l'oggetto rotondo, che, per essere un po' consunto, venne
finora definito un globo, e che sta nel centro fra le due cu-
spidi del tempietto a tre nicchie, nel quale sono collocate
le tre Monete. Quel globo non è che il Pavone visto di
fronte; e, mentre un globo non avrebbe significato alcuno,
il Pavone ne ha uno chiarissimo.
PEGASO.
Il Cavallo alato procreato dal sangue di Medusa appare,
come una delle più antiche e importanti rappresentazioni, con
NEI TIPI MONETALI ROMANI 67
la leggenda ROMANORVM, nel rovescio del quadrilatero che
porta al diritto l'Aquila sul fulmine; poi in due bronzi della
Campania con la leggenda ROMA.
Ritorna nei denarii e quinarii di Q. Tizio, 90 a. C, e, in
quelli di L. Cossuzio, 54 a. C, lo ritroviamo cavalcato da
Bellerofonte, come si vede sulle monete di Corinto, dalla
quale officina pare essere uscita questa emissione.
Nel passaggio dalla repubblica all' impero, il Pegaso è
rappresentato nei denarii d'Augusto coniati da L. Petronio
Turpiliano (Coh., 491). Vespasiano (Coh., 114) e Domiziano
(Coh., 47) nel centenario d'Azio, ripetono il Pegaso d'Augusto
(vedi Capricorno).
II Pegaso è rappresentato in medii e piccoli bronzi di
Adriano (Coh., 436-37) e un'ultima volta lo troviamo, a guisa
di simbolo, al diritto di un medaglione d'oro di Gallieno
(Gn., 16) e come Tipo, al rovescio del medio bronzo dello
stesso imperatore, con la leggenda ALACRITATI.
Il Pegaso nelle monete di Gallieno è emblema delle Le-
gioni I e II ADIVTRIX.
Il Pegaso nel medioevo non ebbe molte riproduzioni.
Non trovo da citare che un cavallotto di Camillo e Fabrizio
(1580- 1597) per Correggio, ed uno di quei quattrini anonimi
di Mantova con la testa di Virgilio, che generalmente si at-
tribuiscono al duca Francesco II Gonzaga (1484 15 19).
PESCE.
In un asse della Sabinia l'Aquila è ferma su di un pesce,
probabilmente a rammentare il lago esistente presso la città
di Riete (Reate). Sul rarissimo denario d'argento d'Annibal-
liano il fiume Rodano tiene nella destra un pesce.
Non occorrono spiegazioni sul significato.
POLIPO.
Questo emblema marino non appare che in un triente
primitivo di Tibur (Tivoli).
68 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
POLLO.
In uno dei pezzi quadrilateri di bronzo sono rappresen-
tati due Polli in atto di beccare del grano. E questo l'unico
monumento numismatico, nel quale si possa senza alcun
dubbio riconoscere il Pollo, maschio o femmina, non importa,
ma certamente non Gallo, il quale abbastanza bene da questi
si differenzia e si identifica, quando viene rappresentato.
Inutile rammentare come gli auguri traessero i loro
auspicii dal modo di mangiare dei Polli, e come, sapendo
perfettamente che tale modo non poteva essere variato se
non dal grado d'appetito dei Polli e dalla maggiore o mi-
nore appetibilità del mangime, due di essi, al dire di Cice-
rone, non potessero incontrarsi per via senza sorridere. Co-
munque sia, i Polli del quadrilatero non possono avere che
significato augurale.
Alcuno vorrebbe vedere un Pollo nel bipede pennuto
che sta sulla prora, al rovescio del quadrante di L. Marcio
Filippo, 112 a. C, ma io ci vedo piuttosto un Gallo.
In alcuni medaglioni d'Adriano rappresentanti una scena
di sacrifizio, all' ingresso del tempio, qualcheduno vorrebbe
riconoscere un Pollo ; ma l' interpretazione è assai dubbiosa,
stante la piccolezza dell'animale e il modo di rappresentarlo,
che varia a seconda degli esemplari. Talvolta anzi si arriva
perfino a ravvisarvi un piccolo quadrupede.
PORCO.
Negli aurei della Campania, che portano al diritto la testa
di Giano bifronte, come pure nei denarii della Guerra Sociale,
vediamo il Porco sacrificato dai guerrieri. E ancora, quale
vittima, lo troviamo sotto Augusto nell'aureo di C. Antistio
Regino e negli aurei e denarii di C. Antistio Veto, e più
tardi in un medaglione di M. Aurelio (Gn., 84) e in bronzi
di S. Severo (Coh., 105) e di Caracalla (Coh., 48) dove viene
sacrificato pei giuochi secolari (LVC SAEC).
Invece nei denarii di Q. Tizio e Vibio Pansa nel 90
a. C, gli vediamo affidata altra missione, quella cioè di pre-
cedere Cerere, guidandola, secondo i mitologisti e i poeti,
a rintracciare la figlia Persefone.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 69
RANA.
Appare su alcuni bronzi italici primitivi (Apulia).
RINOCERONTE.
L'implacabile nemico dell'Elefante, l'ostinato e combat-
tente pachidermo di cui si disse: Rhinoceros niinqiiam victus
ab hoste redit, ha una comparsa minuscola nella numismatica
romana. Non lo vediamo che in alcuni piccoli bronzi di Do-
miziano (Coh., 673, 674) e in alcune tessere anonime che
vengono attribuite allo stesso Domiziano (Coh., 2-3).
ROMBO.
Il pesce Rombo non compare che una sola volta nella
moneta di bronzo che Proculejo fece coniare probabilmente
nell'isola di Corcira, durante la guerra civile che precedette
la battaglia d'Azio, 30 a. C.
SATIRO.
L'uomo agreste, cornuto e dalle gambe caprine appare
sul medaglione di Antonino Pio (Gn., 37) aggiogato con una
pantera femmina al carro di Bacco ed Arianna.
Questa è la sua unica vera apparizione, quantunque al-
cuni vogliano, in altri medaglioni dionisiaci di M. Aurelio e
Faustina juniore, riconoscere una testa di Satiro nelle erme
che generalmente sono dette di Pane o di Silvano.
SCARABEO.
Non figura che in una semiuncia primitiva d' incerta at-
tribuzione.
SCORPIONE.
Quale sia il merito che al velenoso e ripugnante insetto
aperse la via agli onori del Cielo fra le Costellazioni e a
70 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
quelli della terra nella rappresentazione di una provincia,
davvero non so; a meno che lo si possa trovare nel detto:
" Qui vivens laedit, morte medetur „.
Comunque sia, lo Scorpione era l'emblema della Comma-
gene, dove l'edile curule P. Plauzio Ipseo aveva comando
sotto gli ordini di Pompeo e figura quindi nei suoi denarii,
come in quelli del suo collega M. Emilio Scauro nel 58 a. C.
Per quale ragione lo si trovi anche sul denario di L. Far-
sulejo Mensore, 82 a. C, ci è ignoto.
Nella serie imperiale lo Scorpione non è che uno degli
attributi dell'Africa e, come tale, lo vediamo in parecchie mo-
nete d'Adriano (Coh., 136 a 147) e in un medaglione di
Antonino Pio (Gn., 25) riferentisi a quella regione.
SCROFA.
La Scrofa, se facciamo una sola eccezione in cui ci ap-
pare come vittima, nel denario di C. Sulpicio, 94 a. C, ove
si vedono due guerrieri stendere su di essa la destra, quasi in
atto di destinarla a sacrificio, sia nelle monete come nei me-
daglioni, si riferisce sempre a quella incontrata da Enea,
sbarcando in Italia nelle vicinanze di Lavinio.
Alcuni denarii di Vespasiano (Coh., 213) e di Tito (Coh.,
104) la rappresentano con tre piccoli.
Adriano (Coh., 1168) e Antonino Pio (Coh., 449 e 775)
vi aggiungono l'elee nei loro bronzi. E in due medaglioni lo
stesso Antonino ci espone tutta la leggenda. In uno di questi
(Gn., 99) sono rappresentati Enea e Ascanio che, scendendo
dalla nave, trovano la Scrofa in una grotta; nell'altro (Gn.,
115), la Scrofa coi piccoli occupa la parte centrale, mentre
in lontananza si vede Enea che giunge alle mura di Lavinio,
recando sulle spalle il vecchio Anchise.
Questa tradizione fu feconda di falsificazioni o dirò me-
glio di mistificazioni nella numismatica romana. Ad essa
furono ispirati molti pezzi pesanti di bronzo, nei quali è ap-
punto rappresentata la Scrofa in atto d'allattare i piccoli, e
celebre fra tutte rimarrà quella del famoso nummo reale o
NEI TIPI MONETALI ROMANI 71
di Servio Tullio, di cui furono vittima parecchi insigni nu-
mismatici, quali il duca di Blacas, il barone D'Ailly e il
duca di Luynes (i).
SERPENTE.
Nessun animale ebbe forse la gloria d'essere consacrato
a tante divinità come il piìi ripugnante e il più pericoloso
dei rettili. Se lo contendono Giove, Nettuno, Pallade, Giu-
none, Febo, Apollo, Plutone, Bacco, Mercurio, Iside, Sera-
pide, Esculapio, Igea. E numerosi sono di conseguenza i suoi
significati: Prudenza, Vigilanza, Concordia, Vittoria, Potenza,
Igiene, Salute.
Il Serpente appare la prima volta in compagnia del
Toro nel quadrante della Campania ; poi, passando alle mo-
nete della repubblica, abbiamo la biga di Cerere tirata da
due Serpenti nei denarii di C. Vibio Pansa, 90 a. C. e M.
Voltejo, 88 a. C. ; il Serpente appiedi di Giunone Sospita
in quello di Procilio, 89 a. C, e di C. Memmio, 60 a. C. ;
il Serpente attorcigliato intorno al tripode nel denario di
M. Voltejo, 88 a. C, oppure intorno all'ara nel denario,
nell'asse e nel quadrante di Dosseno Rubrio, 83 a. C. ;
il Serpente che precede Minerva nel bronzo di C. Clovio,
46-45 a. C. ; il Serpente nutrito da una fanciulla nel de-
nario di L. Roscio Fabato, 64 a. C, nel quinario di Papio
Celso, 45 a. C, e in quello di M. Mettio, 44, a. C. Se-
condo la favola il Serpente abitava nel tempio di Giunone
e ogni anno una vergine doveva porgergli il cibo. Se il Ser-
pente lo accettava, era provata la purezza di quella e per
contro era negata, se lo rifiutava. Finalmente il Serpente
nutrito dalla Salute nel denario di Acilio Glabrione, 54 a. C.
Due Serpenti stanno di fronte, sulla sedia curule, in un aureo
di L. Cestio e C. Norbano, 44 a. C. Due Serpenti attorniano
la cista mistica nei cistofori di M. Antonio, e di Serpenti è
formata la capigliatura della Medusa nei denarii di M. Cordio
Rufo, 49 a. C, e di Cossuzio Sabula, 54 a. C.
(i) Ved. Le Numntus de Servius Tullius nella Revue frattfaise de
Numismatique, 1859, pag. 322.
72 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Durante l'impero, si ripetono molte delle figurazioni re-
pubblicane e ne abbiamo altre nuove. Il Serpente che pre-
cede la Nemesi, negli aurei e denarii di Claudio (Coh., 50 a 68)
e di Vespasiano (Coh., 282 a 288). Il Serpente che esce da
un canestro portato dalla figura femminile rappresentante
Alessandria, in un denario d'Adriano (Coh., 154 a 156).
Il Serpente che si lancia da una nave nei medaglioni
di Antonino Pio (Gn., i a 3) dedicati al dio della Salute
AESCVLAPIVS.
Il Serpente che corre davanti a Giunone Sospita in un
denario di Commodo (Coh., 270).
Il Serpente attorcigliato intorno all'Albero delle Espe-
ridi nei medaglioni di Adriano (Gn., io e 43) e di Antonino
Pio (Gn., 87-88), in un quinario d'argento (Coh., 228) e in
alcuni bronzi (Coh., 584-586) di Massimiano Erculeo.
Il Serpente attorcigliato intorno al bastone di Esculapio
nei medaglioni di Adriano (Gn. 11 e 42) e di Antonino Pio
(Gn., 9-10), poi in tutte le diverse figurazioni del semidio in
parecchi bronzi dell'alto impero.
In un medaglione di M. Aurelio (Gn., 71) ove Esculapio
contro il solito, è rappresentato nudo, oltre al Serpente at-
torcigliato al suo bastone, due altri si ergono da terra, uno
da ciascun lato.
Il Serpente si vede spesso sullo scudo o sull'ulivo di
Minerva. Talvolta è nutrito dalla stessa Minerva (Coh., Geta
108 a III).
Con Giuliano II ed Elena abbiamo i Serpenti in modi
nuovi, uscenti dai vasi portati da Iside e Osiride (Coh., 113
a 115), o formanti capelli delle furie (Coh., 129-130).
Ma il numero maggiore delle apparizioni del Serpente,
durante tutto l' impero, è costituito da quasi tutte le monete
riferentisi alla Salute. La Personificazione della Salute, SALVS
AVG, SALVS PVBLICA, una delle più comuni, è quasi sempre
rappresentata da una figura femminile, seduta o in piedi e
talvolta appoggiata a una colonna, in atto di nutrire il Ser-
pente, che tiene fra le braccia, oppure che si svolge da un'ara
o da un albero o che sorge da terra.
La sua rappresentazione dura quasi ininterrottamente
dal principio dell'impero fino alla Tetrarchia.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 73
Qualche ricordo di sé lasciò il Serpente nella numisma-
tica medioevale. Francesco III Gonzaga duca di Mantova e
di Monferrato (1540-1550) ha un grosso in cui è rappresen-
tato Ercole fanciullo che strozza i Serpenti, con la leggenda
ENECTIS VITIIS {Corpus, 44). Un gruppo di Serpi presenta
Ercole I d'Este (1471-1505) in un suo testone di Ferrara e
un grosso Serpente è attorcigliato alla spada brandita dal
Leone, nell'osella di Alvise II Mocenigo (1700-1709) con la
leggenda PRVDENTIA ET FORTITVDO.
In significato araldico è a citarsi qui la Biscia Viscontea,
che, passata dopo il governo dei Visconti, allo stemma della
Città di Milano, si può dire che, o sola o inquartata col-
l'Aquila teutonica, coi Gigli di Francia, col Leone o il Ca-
stello di Spagna e ultimamente colTAquila bicipite, domini
tutta la monetazione milanese per ben cinque secoli.
È sempre col significato d'Igea che il Serpente vive
ancora ai nostri giorni, attorcigliato al bastone d'Esculapio,
insegna delle farmacie e simbolo di salute.
Il Serpente poi nel cristianesimo assunse un nuovo si-
gnificato, quello dell'eternità, allorché lo vediamo formare
un circolo, mordendosi la coda, nei monumenti funerarii.
SFINGE.
La Sfinge è un mostro favoloso, che ha il capo e il
seno di donna (raramente d'uomo o d'ariete), la groppa di
leone, le ali d'aquila e talora la coda di serpente, quasi a
raccogliere in sé l'accortezza, la forza e la prudenza. La
Sfinge é proveniente dall' Egitto e antichissima è la sua ori-
gine. Un'iscrizione trovata sulla zampa sinistra della Sfinge
di Cheope porta che quello è il ritratto del re Tutmosi, che
viveva diciassette secoli avanti l'era volgare.
In Egitto la Sfinge godeva un gran culto, come ne
fanno fede i numerosi esemplari in granito e in basalto,
che ancora vi esistono, collocati generalmente quale or-
namento lungo i grandi viali che conducevano alle piramidi
o nelle piramidi stesse. La Sfinge era un mostro bene-
fico, simbolo di fecondità e suo compito era quello di sor-
vegliare le piene e gli straripamenti del Nilo.
74 FR. GNECCHI — LA I^AUNA E LA FLORA
Dair Egitto la Sfinge fu trasportata in Grecia, ove ne
fu radicalmente falsato il concetto e quindi non vi ebbe, né
vi poteva avere il culto del suo paese d'origine.
I Greci la dicevano nata da Tifone e da Echidma, la
facevano proveniente dall' Etiopia e ne formarono un mostro
perverso, che infestava la strada da Delfo a Tebe, propo-
nendo enigmi ai passanti e divorando o gettando in mare
quelli che non sapevano scioglierli. Finalmente Edipo riuscì
a indovinare quello famoso dell'animale che il mattino ha
quattro gambe, due al meriggio, e tre la sera, dicendo che è
l'uomo, il quale da bambino si trascina colle mani e coi piedi,
nella forza dell'età cammina colle due gambe e nella vecchiaia
si aiuta con un bastone. Allora la Sfinge si buttò in mare.
Dalla Grecia passando a Roma, la Sfinge modificò nuo-
vamente il suo significato. Abbandonò cioè la perversità,
conservando il carattere enigmatico.
La Sfinge seduta e alata ci appare per la prima volta
sul denario di T. Carisio, 48 a. C, che porta al diritto la
testa d'una Sibilla. Dal diritto e dal rovescio di questo de-
nario spira un'aura di vaticinio e di mistero e rimane anche
per noi un enigma, non potendo dire quale sia il sentimento
che lo ha ispirato.
Pochi anni dopo, la Sfinge appare come Tipo in un bel-
lissimo cistoforo (Coh., 31) e in due aurei d'Augusto (Coh.,
433 ^ 334)- Secondo antichi autori. Augusto aveva una grande
predilezione per la Sfinge, e Svetonio afferma che la portava
incisa nella pietra del proprio anello e ne usava come sigillo
delle proprie lettere, forse alludendo al segreto epistolare.
In alcune opere antiche è descritto anche un aureo dello
stesso Augusto col tipo della Sfinge e la leggenda ARMENIA
CAPTA; ma pare che tale moneta non esista e infatti poco
se ne comprenderebbe il significato.
In un aureo d'Adriano (Coh., 982) la Sfinge sta accanto
al Nilo e qui non ha che significato geografico.
In un medaglione dato da Vaillant una Sfinge alata sa-
rebbe montata da un guerriero (Gn., C04).
Due Sfingi stanno ai lati della divinità africana che sim-
boleggia il secolo abbondante SAECVLO FRVGIFERO in un
aureo (Coh., 68) e in un medaglione (Gn., 4) d'Albino.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 75
Insieme alle altre deità o semideità egiziane è riprodotta
in parecchi piccoli bronzi di Giuliano II (Coh., 135-6, 168-9)
e due Sfingi sono aggiogate al carro d' Iside, in un piccolo
bronzo di Elena (Coh., 41).
Fra le monete medioevali, la Sfinge sta sullo stemma
nel pezzo da io zecchini coniato da A. Teodoro Trivulzio
nel 1677 {Corpus, 19) col motto strano e sibillino NE TE
SMAh il quale accenna al significato oggi assunto dalla parola
Sfinge, che s' impiega per indicare una persona enigmatica,
impenetrabile e sovente anche falsa. Ci aggiriamo quindi
sempre intorno al significato greco-romano e più nulla ri-
mane del primitivo significato egiziano.
SIRENA (?).
Dicono che le Sirene fossero tre sorelle, figlie d'Archeloo
e di Calliope o di Tersicore, e che le tre incantatrici usassero,
la prima la voce, la seconda la tibia, la terza la lira, per at-
tirare colla dolcezza della musica gli incauti, che si lascia-
vano adescare, e poi divorarli.
Le Sirene si dipingono generalmente col corpo di donna
terminante in pesce ; ma pare che i monetarii romani si
prendessero molte licenze, perchè assai diversamente furono
rappresentate nei soli due casi che ci offrono.
L. Valerio Aciscolo, 46-45 a. C, ci dà un uccello con
testa di donna, ornato dell'elmo di Minerva, che cammina
portando una doppia tibia ; mentre P. Petronio Turpiliano,
20 a. C, stampa sul suo denario una donna nuda con ali e
coda d'uccello, che suona la tibia ! Sarebbe dunque sempre
la stessa delle tre sorelle, la suonatrice di tibia, che ci viene
presentata sotto due forme molto diverse fra loro e scostan-
tesi affatto dalle forme classiche della Sirena.
Ma sono poi veramente Sirene quelle che i numismatici
classificano tali? E lecito il dubitarne ; chi ci assicura che
quei monetarii avessero invece inteso di rappresentare un
Arpia, una Chimera o anche eventualmente un tipo di pura
invenzione, di cui oggi ci sfugge il significato.
76 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Fossero anche Sirene sotto forme nuove, non sarà certo
lecito di alzare la voce contro questi arbitrii a noi che, nella
nostra nuova monetazione, ci siamo fatto lecito, o per lo meno
abbiamo permesso all'artista, di rappresentare la Libertà col
tipo di una Erinni e l' Italia in modo che nessuno la rico-
nosce.... neppure leggendone il nome I
SORCIO.
Troviamo il piccolo rossicchiante nel denario di T. Quinzio
Trogo, 104 a. C, nel quale è rappresentato in grandi pro-
porzioni sotto due cavalli correnti, montati e guidati da un
solo cavaliere.
In mancanza d'altra spiegazione, è lecito argomentare
che quel Sorcio stia a ricordare un antenato dei Quinzii, cui
forse era stato dato il soprannome di Mus.
I numerosi simiH esempi che ci offre la repubbhca ro-
mana, autorizzano pienamente tale supposizione.
STRUZZO.
Non fa che una semplice apparizione sotto Trajano, per
simboleggiare l'Arabia (Coh., 26, 27 e 36 a 38).
TESTUGGINE.
La Testudo romana non era che un arma di difesa; ma
pure ha suono di guerra, e in tono guerriero figura forse
la Testuggine nell'aes grave del Lazio e della Campania.
In seguito, l'unica impronta della mite e pacifica Te-
stuggine la troviamo in un sesterzio di C. Vibio Pansa,
43 a. C, faciente parte di una monetazione, che s' ispira
completamente alla pace. Tale qui dobbiamo quindi in-
terpretarla, anche perchè si trova al rovescio del busto di
Mercurio.
TIGRE.
Compare pochissime volte e sempre nella semplice
espressione di belva da circo. La prima volta in un denario
NEI TIPI MONETALI ROMANI ^^
di Livinejo Regolo, 43-42 a. C, in lotta con un gladiatore;
più tardi corrente nell'arena del circo, in aurei e denarii
di Settimio Severo (Coh., 2534), di Caracalla (Coh., 1 17-8) e
in un denario di Geta (Coh., 67), tutti con la leggenda
LAETITIA TEMPORVM.
Durante l'evo medio e moderno non la trovo che nel-
l'osella di Alvise IV Mocenigo (1763-1779), seduta di fronte
a un Leone, con la leggenda AFRICA TICtRIS AGIT PACEM
CVN REGE FERARVM.
TORO.
Il Toro rappresenta la forza e nello stesso tempo l'ani-
male da sacrificio per eccellenza. Figura quindi in questi
due significati ; ma non è raro il caso che venga confuso
col Bove, le cui attribuzioni sono ben differenti.
Il Toro compare nelle primissime monete pesanti del-
l' Italia Centrale. Ora vi troviamo il Toro corrente o a ri-
poso, ora la semplice sua testa.
In varie attitudini, e quindi con diversi significati, lo pre-
sentano le monete della Repubblica. L. Torio Balbo, 94 a. C,
non ebbe certamente altro scopo, nel rappresentarlo nella
sua serie di denarii, se non quello della analogia della pa-
rola col proprio nome, facendo così del Toro corrente lo
stemma di famiglia.
Nel denario di L. Voltejo Strabone, 60 a. C, il Toro
è la cavalcatura d'Europa, e di Valeria Luperca in quello
di Valerio Aciscolo, 46-45 a. C; mentre in quello di Postu-
mio Albino, 74 a. C. e di C. Antistio Veto, 16 a. C, appare
come vittima destinata al sacrificio.
Nei denarii della Guerra Sociale il Toro sta accovacciato
accanto al guerriero, oppure assale furiosamente la Lupa.
Finalmente con Giulio Cesare ritroviamo il Toro cor-
rente nel denario di Livinejo Regolo, 43 a. C.
Con Augusto il Toro abbattuto dalla Vittoria raffigura
l'Armenia domata ARMENIA CAPTA, forse alludendo al Monte
Tauro, e tale Tipo è ripetuto in un bellissimo medaglione di
Antonino Pio (Gn., 109).
78 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Augusto possiede un denario (Coh., 129) di fabbrica stra-
niera e semibarbara, in cui il Toro è dato assolutamente
quale Tipo della moneta, forse come espressione di forza, e,
su monete di bello stile, introdusse il tipo del Toro infero-
cito o cornupete (Coh., 140-1, 151 a 161) Tipo greco, imitato
dalle monete di Turio, che figura in seguito in aurei di
Vespasiano {Coh., 112) e di Tito (Coh., 48), in quella emis-
sione commemorativa, già più volte menzionata. È molto
difficile dire se Augusto avesse inteso con ciò di appropriarsi
il tipo, attribuendogli un significato allegorico, oppure se il
Toro non sia stato scelto, come opina l'Erizzo, dal magistrato
monetario Statilio Tauro, unicamente per allusione al pro-
prio nome.
Il Toro figura come Tipo in alcuni piccoli bronzi di Gal-
lieno dalla leggenda SOLI CONS AVG (Coh., 983-5).
Un aureo e un bronzo di Postumo ci offrono il Toro
domato da Ercole HERCVLI CRETENCI (Coh., 114), HERCVLI
INVICTO (Coh., 127).
In atto di combattimento colle belve nel circo, il Toro
è riprodotto da Settimio Severo (Coh., 252 a 254) con la
leggenda LAETITIA TEMPORVM e ripetuto dai suoi figli.
Tutte le altre riproduzioni del Toro durante 1' im-
pero, specialmente nei medaglioni di M. Aurelio, Com-
modo, Geta, Eliogabalo, Alessandro, Gordiano Pio, Tre-
boniano, Volusiano, Gallieno, Postumo, lo rappresentano
quale vittima per sacrificio; mentre in un medaglione di
Commodo, ripetuto da Diocleziano, dalla leggenda VOTIS
FELICIBVS, abbiamo un Toro morto sulla riva di un porto
di mare.
Per non so quale bizzarria Caracalla coniò alcune mo-
nete, sulle quali la biga di Diana è tirata da due Tori (Coh.,
326, 361 e 394 a 399).
In monete di Probo (Coh., 447 a 451) e in altre di Dio-
cleziano (Coh., 64 a 68), Massimiano Erculeo (Coh., 91-92),
Costanzo Cloro (Coh., 33 a 36), Galeno Massimiano (Coh.,
26 a 28) e Costantino Magno (Coh., 71), con la personifica-
zione dell'Africa e le leggende FEL ADVENT AVGG N N o
CONSERVATOR AFRICAE SVAE, del Toro non abbiamo che
il teschio accanto al Leone emblema dell'Africa.
NEI TIPI MONETAIJ ROMANI 79
In parecchi cataloghi si descrivono queste monete, ac-
cennando un teschio di Bove. Davvero, da quanto si vede
nelle monete, troppo difficile riescirebbe decidere se quel te-
schio debba avere appartenuto a un Bove piuttosto che a
un Toro. Siccome però è rappresentata la scena finale di una
lotta fra due belve, e quel teschio è il trofeo del vincitore,
pare che il degno avversano del Leone abbia naturalmente
dovuto essere un Toro.
Nelle monete di Gallieno il Toro è segnato come em-
blema della Legione III ITALICA ; VI, VII e Vili CLAVDIA
e X GEMINA. In quelle di Vittorino padre della Legione X
FRETENSIS.
TORO ALATO.
Questo animale fantastico non appare che una volta sola,
in un medaglione di Antonino Pio (Gn., 74), corrente con
Diana Lucifera in groppa.
TRITONE.
Figlio di Nettuno e di Anfitride, il Tritone è un semidio
del mare, dal corpo umano terminante in una duplice coda
di pesce. Il mostro costituisce l'uomo o il gigante anguipede,
il quale è detto anche Tifeo o Tifone dalla mitologia greca,
celebrato per la sua forza, avendo osato misurarsi collo
stesso Giove. I combattimenti di alcune divinità coi così
detti Giganti o Titani, che erano pure rappresentati ta-
lora con un corpo terminante in serpente, talora con due
code pure a guisa di serpenti, costituscono la gigantomachia
mitologica.
Anche l'altro mostro detto Drago viene talora a con-
fondersi con questi e non è certamente nelle monete che
potremo rilevare le piccole differenze, che caratterizzano e
identificano questi diversi, ma molto simili mostri.
Abbiamo messo il Serpente a testa umana sotto il nome
di Drago, riuniamo ora sotto quello di Tritone tutti gli altri
nella grande varietà delle loro forme.
*.
8o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Ci compare la prima volta sul denario di Cn. Cornelio
Sisenna, 135 a. C, fulminato da Giove in quadriga e assai
probabilmente simboleggia il re di Siria Antioco III il grande,
vinto dai Romani nella celebre battaglia di Magnesia nel
190 a. C.
Nel medesimo atteggiamento di vinto e fulminato da
Giove in quadriga riappare in un medaglione di bronzo di
Antonino Pio (Gn., 49) e in altro d'argento di Settimio Se-
vero (Gn., i) con la leggenda lOVI VICTORI, nel quale anzi
i Tritoni sono due.
Più strana ci riesce la rappresentazione in un denario di
Filippo padre (Coh., 223). Con la leggenda TRANQVILLITAS
AVGG-, è figurata la Felicità che tiene un Tritone. È dunque
la Felicità che invoca e ottiene la Tranquillità, avendo im-
prigionato il genio del male !
La lotta con Giove è poi ripetuta in aurei di Diocle-
ziano, Massimiano Erculeo e Costanzo Cloro con la leggenda
lOVI FVLGERATORI.
L'atteggiamento del mostro anguipede è ben diverso nel
denario di M. Plet. Cestiano, 69 a. C, ove figura come orna-
mento del frontone del tempio di Preneste. Qui non è più
un vinto, ma un vincitore che esso rappresenta ; come pure
in quello campeggiante nel denario di L. Valerio Aciscolo,
46-45 a. C, nel quale, occupante tutto il campo del rovescio,
nell'esergo del quale sta la leggenda V. VALERIVS e, strin-
gente un fulmine in ciascuna mano, è forse da interpretarsi
come il leggendario gigante Valente, per quanto non ci
consti altrimenti che quel gigante fosse anguipede.
Ai Tritoni vincitori possiamo aggiungere anche quello
che viene classificato Mostro Scilla, il quale pure ha corpo
umano e due appendici a forma di serpente o di pesce e si
vede in atto di vibrare un colpo con un timone, nel denario
(Coh., 2) di Sesto Pompeo. Questo ha l'aggiunta di tre cani
che sembrano quasi a lui uniti a guisa di code.
La sola rappresentazione del Tritone in riposo, a semplice
significazione del mare, ci è data da un medaglione di Fau-
stina juniore (Gn., 6), in cui, accanto a Venere marina, stanno,
da un lato un Delfino cavalcato da Cupido, dall'altro un
Tritone.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 8l
Per quanto riguarda il medio evo e il moderno, vedasi
quanto si disse alla voce Drago, col quale spesso il Tritone
si confonde.
UCCELLO.
Sono parecchi i volatili che abbiamo visto sfilare in
questa rivista della Fauna numismatica ; ma ne rimane uno
ancora che non ci può esser noto che sotto il nome vago
di Uccello.
Gli antichi auguri traevano il loro oroscopo dal volo
degli Uccelli in genere e questo è veramente il caso.
Fra i primi denarii anonimi della repubblica romana
ve n'ha uno, in cui vediamo Roma seduta, su degli scudi,
identificata dalla Lupa coi gemelli che le sta davanti ,
mentre nel cielo svolazzano due Uccelli, certamente bene
auguranti per la Repubblica. La specie di questi volatili
non è identificabile. Non sono che volatili, Uccelli del buon
augurio.
La rappresentazione del denario anonimo viene ripetuta
in un aureo di Tito (Coh., 64).
Nelle medesime condizioni sono tre Uccelli che si ve-
dono sul fico ruminale, all'ombra del quale la Lupa sta al-
lattando i gemelli, nel denario di S. Pompeo Faustulo già
citato, come pure i tre Uccelli che svolazzano al disopra di
Ercole in un aureo di Postumo (Coh., 112).
Nei medaglioni e bronzi di M. Aurelio e Commodo rap-
presentanti la Salute in atto di nutrire un Serpente, un Uc-
cello sta posato sul ripiano inferiore della tavola che porta
il simulacro della Salute.
Tutti questi volatili potrebbero forse interpretarsi per
Corvi ; ma essendo impossibile identificarli, accontentiamoci
di dirli Uccelli del buon augurio.
VITELLO.
La famiglia tauro-bovina non offre nella numismatica
quell'esempio d'unione, che dà in natura. Essa dovette es-
sere divisa in tante voci quanti sono i membri che la com-
pongono, stante le diverse attribuzioni di ciascuno.
82 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA NEI TIPI MONETALI
Ci si presenta ora ultimo della famiglia e della serie il
Vitello, il quale ha un'importanza molto secondaria nella
serie romana.
Il pacifico animale non vi ha che poche rappresentazioni-
La prima, tra la repubblica e l'impero, in aurei e denarii di
Voconio Vitulo, colla testa di Giulio Cesare (Coh., 45-6). La
seconda non è che una ripetizione di questi con Augusto
(Coh., 546-7). Fin qui il Vitello semplicemente è l'emblema
del nome del monetario.
La terza sul bronzo d'Augusto già citato alla voce
Ariete- Agnello, nel quale avrebbe significato di vittima da
sacrificio.
Una quarta apparizione del Vitello avviene in un de-
nario di Tito (Coh., 56-7), appartenente alla serie di rie-
vocazione di monete dei primi anni dell'impero, più volte
citata. E ancora una riproduzione del Vitello di Voconio
"Vitulo.
Il Vitello, come la sua genitrice, non ha alcun seguito
nella numismatica medioevale e moderna.
Continuaaione e fine
al prossimo fascicolo.
LA ZECCA DI BENEVENTO
1." Periodo (706-774) — Monetazione ducale
(Continuazione ved. fìisc. III-^IV, 1915).
Abbiamo innanzi accennato che le prime serie
di monete, anonime, emesse dai duchi di Benevento,
rimaste incerte e confuse tra le monete bizantine,
furono vere fraudolenti contraffazioni, di quelle ge-
neralmente imposte dagli invasori del nostro paese
alla ingenuità delle genti nei loro rapporti com-
merciali.
Il primo tipo quindi della monetazione locale
ci viene dato dagli aurei beneventani che portano
nel campo del retro le iniziali di Romualdo II, di
Audelao e di Gregorio, il cui carattere, detto al tipo
di Giustiniano, si presenta in modo da non potersi
piti confondere con la monetazione imperiale, pur
avendo una grande affinità con quella.
A cominciare dalle monete di Romualdo II, che
hanno la leggenda completa DN IVSTINIANVS PP EA
{Domimis Jiistinianus perpetims angusttts^>, in seguito
divenuta scorretta, trasfigurata ed indecifrabile, il
tipo, imitante il solido di Giustiniano II, presenta una
figura ideale ed incerta, avvolta in una specie di
clamide, che affetta ornamenti e ricami, da cui vien
fuori soltanto la destra mano che innalza il globo
crucigero, il simbolo della potenza imperiale.
Questo primo tipo acquista una esattezza mag-
giore nei dettagli, una fattura più accurata, un ri-
lievo meno marcato, ma più distinto, nelle monete
del duca Godescalco, in alcuni soldi e tremissi di
84 MEMMO CAGIATI
Gisulfo II ed in alcune tremissi che, al posto delie
solite iniziali, hanno /'/ simbolo della mano aperta,
sulla cui attribuzione non sono tutti concordi i cul-
tori di numismatica che dello studio delle monete di
Benevento si sono occupati.
Diremo in seguito le ragioni che ci hanno in-
dotto a classificare, ad un periodo storico anteriore
a Gisulfo II, gli aurei anonimi dal segno della mano
aperta, comunemente chiamati mancusi [signo manus
cusi) (^) a Liutprando re dei longobardi e ad asse-
gnarne la coniazione in quei giorni turbolentissimi
in cui, dopo la fuga del duca Godescalco, Benevento,
presa con le armi dal potente re longobardo, restò
a lui sottomessa, finche non ebbe a duca Gisulfo IL
Continuando ora ad occuparci dei caratteri generali
della monetazione ducale beneventana, esamineremo
un secondo tipo, che si incontra anche in un'altra
serie di monete mancuse ed in alcune altre monete
di Gisulfo II, quale innovazione monetaria di quel-
l'epoca, tipo rimasto poi costante nelle successive
serie coniate durante il periodo autonomo ed in-
dipendente del ducato beneventano.
Questo secondo tipo, imitante i solidi di Ar-
temio Anastasio e non più queUi di Giustiniano II,
conserva l'apparenza generale del primo, ma ha uno
stile speciale e nettamente determinato. La figura
dal collo nudo, piìi allungato, non ha più nella de-
stra il globo crucigero, ma la sola croce; dal palu-
damento che avvolge il busto vien fuori anche il
braccio sinistro, la cui mano poggia sul petto strin-
(i) Varie sono le opinioni dei dotti sulla etimologia della voce man-
cusus. Hanno esaurientemente trattato l'argomento il Capobianchi nel
suo pregevole studio : Pesi proporzionali desunti dai documenti della
libra romana^ merovingia e di Carlo Magno, in Rivista Italiana di Nu-
mismatica, A. V, Milano 1892, ed il Martinori nella sua opera : Voca-
bolario generale della moneta, Roma, 1915, alla voce Mancoso.
LA ZECCA DI BENEVENTO 85
gendo il volumen ^'^^ ) l'insieme non vuol essere più
il ritratto ideale ed indeciso di un imperatore di Bi-
sanzio, ma pare voglia rappresentare le sembianze
del duca di Benevento. Le serie di monete dette al
tipo di Artemio Anastasio si susseguono, sino ad in-
contrarsi con quelle, molto rare, emesse nei primi
tempi di Arichi II duca, il quale, verso il 770, dando
una riforma alla monetazione ducale beneventana,
modificò ancora una volta lo stile.
Pare che l'incisore di questo tipo riformato, che
sembra una rievocazione deirantico, abbia voluto,
con linee quasi geometriche, ricavare il volto di
faccia da una retta orizzontale d'onde scendono
due segmenti di circolo che si uniscono a formare
il mento ed una piccola barba. Dentro questo ovale
due grandi emisferi, incastrati fra quattro lunette
ricurve, imitano gli occhi e le palpebre ; sul capo
un diadema, con doppia fila di perle, poggia in forma
di calotta sulla fronte, lasciando uscire a destra ed
a sinistra con perfetta simmetria due segmenti con-
centrici, a rappresentare due ciocche di capelli o due
appendici del diadema, il quale riprende la solita
croce che si vede nel diadema che hanno sulle mo-
nete bizantine le figure degli imperatori da Tiberio
Costantino in poi. Riappare il globo crucigero nella
(l) Cilindro o rotolo che si vede frequentemente sulle monete bi-
zantine nella mano di quasi tutti gli imperatori. Qualche volta questo
simbolo è preso per la mappa dagli imperatori, o dai grandi perso-
naggi che donavano al popolo giuochi pubblici, lanciata nel circo al
momento che essi volevano segnalare l'inizio dello spettacolo ; qualche
altra per quell'oggetto dai senatori portato ordinariamente in mano,
come emblema dell'incarico che essi avevano di redigere leggi e de-
creti. Chiamata anche acacia, da Codinus, questa insegna del potere
imperiale nell'impero d'Oriente era un sacchetto di stoffa ripieno di
polvere, che gli imperatori portavano nella mano a ricordo della fra-
gilità dell'uomo e come monito a sé stessi di moderazione e di cle-
menza verso i loro sudditi.
86 MEMMO CAGIATI
destra mano uscente dal manto, drappeggiato sulla
spalla sinistra, e la leggenda non è più quella pseudo-
imperiale più o meno contraffatta, perchè il motto
DNS VICTORIA è scritto a lettere ben chiare intorno
alla figura. Nel disegno del retro vi è sempre la
croce potenziata, da lungo tempo in uso nei solidi
bizantini, poggiata sopra quattro gradini decrescenti
(nelle tremissi su di un gradino solo), però le let-
tere in giro pare siano rimaste per formare un or-
namento simmetrico a cui l'incisore avesse tenuto
più che alla fedeltà storica della iscrizione.
Così distinta, al tipo di Giustiniano II, al tipo
di Artemio Anastasio, al tipo riformato di Arichi II
duca, la monetazione ducale mostra le sue serie che
si susseguono ininterrotte e che per la loro fattura
progressivamente si vanno allontanando dal pro-
totipo.
Difatti, con la riforma di Arichi II duca, il quale
fin dall' inizio del suo dominio cerca di dare il mag-
giore impulso al commercio locale, mettendo in rap-
porto il valore delle sue monete con le monete stra-
niere, abbassando il titolo dei suoi aurei a 13 carati
ed un terzo a lega di argento, la monetazione du-
cale non ha più nulla di comune con la monetazione
bizantina e diviene apprezzata e ricercata in ogni
regione.
Acciocché si possano meglio osservare le prin-
cipali caratteristiche della monetazione ducale, di-
stinta nei tipi e per le sue sigle diverse, ne diamo
il seguente sommario.
LA ZECCA DI BENEVENTO
87
Primo periodo — Monetazione ducale.
Moaete AMiime lacerte.
Primi duchi di Benevento (sec. VI) Contraffazioni bizantine.
Monete al tipo di Giustiniano II.
Ronrualdo II (706-731) Soldi e tremissi con la sigla
Audelao (731-732) • ...
Gregorio (732^39) . » > »
Godescalco (739-742) , » • ■
Liutprando Re (742) Tremissi mancuse
Gisulfo II (742-751) Soldi e tremissi con le sigle
R
A
r
f. D^
é .
rr.
ir
Monete al tipo di Artemio Anastasio
Liutprando Re (742) Soldi e tremissi mancuse
GisulTo II (742-751) Soldi e tremissi con le sigle
Scauniperga e Liutprando (751-755) « «
Liutprando duca (755-758) • .
Arichi II duca (758-770) , „
té
A f . ri
XL, LS
A
Monete al tip* riformato di Arichi li duca.
Arichi II duca (770-774) Soldi e tremissi con la sigla. A
Godescalco (739-742). Gli avvenimenti, che in-
torbidarono le greche provincie durante i sette anni
in cui il duca Gregorio dominò Benevento, precipi-
88 MBMMO CAGIATI
tarono. Trasimondo di Spoleto, ribellatosi al re Liut-
prando, era stato da questi sottomesso e nel ducato
sostituito da Ilderico ; papa Gregorio III temeva di
Liutprando e rivolgeva ogni suo sforzo allo scopo
di abbattere la potenza di quel re, di rovesciare la
dominazione longobarda.
Alla morte del duca Gregorio, il popolo bene-
ventano, nel cui seno erano cresciute quelle ten-
denze particolariste aspiranti al recupero dell'an-
tica indipendenza, in aperta ribellione, elesse a duca
Godescalco, il quale naturalmente dovette allearsi
col Papa e con Trasimondo, che si era nuovamente
impadronito, nel dicembre del 739, dell'insorto ducato
di Spoleto.
A debellare la lega pericolosa Liutprando do-
vette decidersi a prendere le armi e le rivolse contro
Spoleto, in cui Trasimondo non si arrischiò a resi-
stergli, poi contro Benevento ; ed all'approssimarsi
del valoroso guerriero longobardo, Godescalco perde
ogni speranza di conservare il trono ; non potendo
resistere a cosi forte nemico cercò di salvarsi con
la fuga, ma raggiunto dagli antichi partigiani di Gi-
sulfo fu trucidato, mentre stava per montare su di
una nave che doveva trasportarlo in Grecia insieme
alla moglie Anna ed ai suoi tesori (^).
Il nome LEO (Leone III), nella leggenda del di-
ritto di alcune monete di Godescalco, fa supporre
che questo duca si fosse messo sotto la protezione
dell' imperatore iconoclasta.
(1) Paulus Diac, vi, pag. 57. — Catalogns ducum Beneventi, pag. 494.
— Trova, V, pag. 364.
LA 2ECCA DI BENEVENTO
89
(Tipo A).
I. Soldo d'oro (Al nome di Leone III).
^' — DNL — E0PPAGV3 Busto di prospetto di Leone III,
diademato, tenendo nella destra il globo crucigero.
I^ — VIVTO > ~ < IVGVI o — CONOB Croce su tre gra-
dini, sopra globetto, nel campo a sinistra G {Go-
descalcus) (vedi figura). R. A'
Coli. Cagiati.
2. Idem.
B' — DN : — LEOPP Busto di Leone III, diademato,
tenendo nella destra il globo crucigero.
P — VICTO — GV — * — CONOB Croce su quattro gra-
dini, nel campo a sinistra G {vedi fig.). R. K
G. Sambon, Repertorio Gerì, delle Monete, n. 393, tav. VI.
3. Idem (Imitazione del tipo di Giustiniano II).
& — DNI — NVSPP Busto di prospetto, diademato, tenendo
nella destra il globo crucigero.
90
MEMMO CAGIATI
P — VICTOR — V&VSTO — CONOB Croce, su di un pic-
colo globo sostenuto da quattro gradini, accostata
dalle lettere D — G {Dux Godescalcus) {vedi fig.).
R. K
Coli. Cagiati.
4. Idem.
^' — DNI — INl|S PP Simile al precedente.
^ — VICTORI — IVGVITO - CONOB Simile al precedente.
R. À^
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 395, tav. VI.
5. Idem.
^ — DNI — INl|S PP Simile al precedente.
9< — VICTOR! - ÀVGVSTO - CONOB Simile al prece-
dente. R K
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 395.
6. Idem.
^ — DNI — NVSPP Simile al precedente.
^ — VICTOR - AVG-VSTO - CONOB Simile al prece-
dente. R. N
Catalogo della coli. Gnecchi, n. 355.
(Tipo B).
r~^n
I. Tremisse (Al nome di Leone III).
(&' — DNL — EOPP Busto di prospetto di Leone III, dia-
demato, tenendo nella destra il globo crucigero.
P — Vie — >(yV — CONOB Croce su di un gradino, nel
campo a sinistra G {vedi fig.). R. AT
A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 6.
LA ZECCA DI BENEVENTO 9I
i M t
2. Idem,
3' — DNI — VCPP Busto di prospetto, diademato, tenendo
nella destra il globo crucigero.
9* — VICI — GVGA — CONOB Croce, su di un gradino,
accostata dalle iniziali D — G {vedi Ag.). R. K
A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 6.
3. Idem.
B' — DN — V&PP Simile al precedente.
^ - VICT — GVST — CONOB Simile al precedente. R. A'^
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 396.
4. Idem.
& — DNI — NVSPP Simile al precedente.
^ - VICTOR - AVGVS - CONOB Simile al prec. R. AT
G. Satnboii, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al 11. 396.
5. Idem.
B — DN — 108 {sic) PP Simile al precedente.
^ — VICT — VGTO - CONOB Simile al precedente. R. A.'
Catalogo della coli. Rossi, n. 348.
LiUTPRANDO RE DEI LONGOBARDI (742). Il gran
re dei Longobardi, che in epoca passata aveva in
parte dato effetto ai suoi disegni, ottenendo la sud-
ditanza dei ducati di Spoleto e di Benevento, nella
ribellione di queste due provincie trovò occasione di
maggiormente imporvi la sua autorità e metterle in
più salda dipendenza.
92 MEMMO CAGIATI
Occupata Benevento con le armi, Liutprando vi
ristabilì in breve l'ordine e la calma, ma perchè
questa potesse rimanere duratura egli stesso doveva
conciliare il suo diritto acquisito alla elezione del
nuovo duca con i voti degli affezionati partigiani
dell'antica casa ducale beneventana. Gisulfo, il fi-
gliuolo di Romualdo II, educato e divenuto uomo
alla corte di Pavia, doveva apparire per Liutprando
la persona piti adatta a reggere il governo di quella
provincia, il duca che non solo doveva ispirargli la
maggiore fiducia ma che meno difficoltà avrebbe tro-
vato a tenere in obbedienza il popolo ribelle bene-
ventano, a cui avrebbe nel contempo ispirata la piti
grande devozione come il rampollo della vecchia
stirpe ducale.
Nel frattempo occorso perchè Gisulfo, chiamato
da Liutprando in Benevento, potesse giungere dalla
capitale longobarda per salire sul trono dei suoi
avi, è probabile che, come primo segno di autorità
suprema, come una solita e naturale prima ma-
nifestazione di dominio, il re longobardo abbia fatto
battere nella zecca di Benevento la moneta che do-
veva sostituire quella in corso già coniata dal fug-
giasco duca ribelle.
Non è certo desiderio di apportare qui una ca-
pricciosa ed inopportuna innovazione che ci spinge
a dare alle monete recanti il segno della mano aperta
una classifica in contraddizione con quella di illustri
maestri. Ne ha mosso invece la speranza che la nostra
modesta opinione, richiamando sempre più su tali
controverse monete l'interessamento degli studiosi,
possa far sorgere una discussione più ampia appor-
tatrice di maggior luce ; possa incitare i cultori di
numismatica a darsi a ricerche che abbiano a riu-
scire più fortunate.
Se esaminiamo innanzi tutto la sigla di queste
LA ZECCA DI BENEVENTO 93
monete, sigla che alcuni vogliono sia un guanto,
altri una mano guantata, alcuni il simbolo della pena
che la legge longobarda comminava ai falsi mone-
tari, altri un segno di feudalità dei papi al riguardo
degli imperatori, noi vediamo semplicemente la palma
di una mano ornata al polso di bracciale, che ci
ricorda quello longobardo, parte dell'armadura an-
tica ornante il braccio dei guerrieri. Nella storia
universale del Cantìi (0 si narra, al proposito, che
Liutprando col Papa « entrato nella basilica va-
ticana, sul Corpo dei SS. Apostoli depose in dono
il manto reale, i braccialetti, l'usbergo, il pugnale,
la spada, la corona d'oro e la croce d'argento ».
Osserviamo altresì che nei soldi è rappresentata la
mano destra, posta nel campo a sinistra della croce,
mentre nelle tremissi è una mano sinistra posta
a destra della croce, il che ci fa escludere tutte le
prerogative che potrebbe avere il simbolo nella sola
destra mano.
Se esaminiamo poi le diverse classifiche date
finora a queste monete, distinte dal segno della
mano aperta , troviamo che il Capobianchi <2) le
attribuisce al duca Liutprando (751 - 758) per la
somiglianza del tipo con le monete di quel duca,
ed osserviamo che lo stesso identico tipo del soldo
mancuso, di cui egli ci dà la illustrazione, si ri-
scontra anche in soldi d' oro segnati da iniziali
escludenti l'appartenenza al duca Liutprando, men-
tre poi una tremisse mancusa non ha che vedere
col tipo delle monete del duca Liutprando ed appar-
tiene invece a quella monetazione al tipo di Giusti-
niano II, antecedente al tempo di questo duca.
(i) e. Cantù, Storia universale, Torino, 1885, voi. IV, pag, 546.
(2) V. Capobianchi, Pesi proporzionali desunti dai documenti della
libra romana, merovingia di Carlo Magno, in Rivista /tal. di Numism.,
A. V, Milano, 1892.
94 MEMMO CAGIATI
L'illustre numismatico Arturo Sambon (i), nel
suo poderoso lavoro sulle monete di Benevento, clas-
sificò le monete mancuse ad un'epoca non precisa,
verso il 758, ed il venerando Giulio Sambon ^^1,
nel suo Repertorio generale delle monete, seguendo
l'opinione del chiarissimo suo figliuolo, assegna al-
l'epoca da questi indicata il nome d' « Interregno «
come è chiamata in proposito nel catalogo di ven-
dita della Collezione Sambon (3). Dai documenti ben
scarsi che possediamo della storia di quel tempo,
a cui accenna il dotto illustratore delle monete
di Benevento, non possiamo formarci un criterio
esatto di quel periodo che, dalla fuga di Liutprando
ad Otranto, va al giorno della incoronazione del
duca Arichi IL Se volessimo anche ammettere la
coniazione di queste monete anonime fatta a quel-
l'epoca, non troveremmo alcuna analogia fra il segno
della mano aperta ed il periodo stesso nel quale si
trovò Benevento dopo la fuga del duca Liutprando;
e poi, come si potrebbe spiegare la differenza del
tipo di quella tremisse mancusa che, tra le serie an-
teriori e posteriori che sono al tipo di Artemio Ana-
stasio, appartiene invece al tipo di Giustiniano II ?
Il Wroth <^4\ da un accurato esame delle leggende,
dello stile e dei caratteri speciali di queste mo-
nete mancuse, intuisce la possibilità che possano es-
sere state coniate tra il 742 ed il 751, epoca del
regno di Gisulfo II, intuisce altresì che il segno della
mano possa essere un emblema longobardo, da met-
tersi in relazione con la venuta di Liutprando re
nel 742 a Benevento, però è strano che, mentre gli
argomenti adottati dovrebbero indurlo a conchiu-
(1) A. Sambon, Recueil ecc., op. cit.
(2) G. Sambon, Repertorio ecc., op. cit.
(3) Catalogo della coli. Sambon, op. cit., pag. 6.
(4) W. Wroth, Catalogne ecc., op. cit., pag. 191, pi. XXV, nn. 11-12.
LA ZECCA DI BENEVENTO 95
dere con l'attribuzione di quelle monete al re lon-
gobardo, egli conchiuda classificandole tra le incerte
beneventane.
Nel catalogo di vendita della raccolta Marti-
nori ^'> i compilatori di quel catalogo dichiarano, nella
prefazione, aver lo stesso cav. Martinori prestato loro
il sostegno della sua valida dottrina nella maggior
parte delle attribuzioni incerte o contrastate ; dob-
biamo dunque credere che V illustre Martinori, se-
guendo le deduzioni (come nella nota del catalogo
a pag. 31 è detto) contenute nel catalogo del British
Museum, abbia attribuito il soldo d'oro mancuso
conservato nella sua raccolta, a Gisulfo IL Non ci
sembra possibile che il duca Gisulfo, nel portare una
riforma alle sue monete, scegliesse per queste un
tipo anonimo, quando la monetazione beneventana,
pur continuando ad essere una imitazione di quella
bizantina, aveva acquistato carattere spiccatamente
nazionale da che portava le iniziali dei duchi, di cui
egli era il successore.
Se le monete mancuse non possono dunque
classificarsi a Gisulfo, né ad epoca posteriore a que-
sto duca, per le ragioni sopraccennate, dobbiamo
considerarle battute (sino a quando almeno docu-
menti certi non venissero a contradirci) prima del-
l'avvento al trono del figliuolo di Romualdo II e
immediatamente dopo la fine del ducato di Gode-
scalco, il quale coniò monete solo al tipo di Giusti-
niano ; dobbiamo quindi a ragione attribuirle a Liut-
prando, re dei Longobardi, emesse in quell'epoca
transitoria, in cui le monete al tipo di Giustiniano
prendono parte nelle serie di monete di nuovo tipo
modellato su quello di Artemio Anastasio.
(i) Catalogo delle monete di zecche italiane componenti la raccolta
del cav. ing. E. Martinori. Perugia, 1913.
96
MEMMO CAGIATI
Così classificate, queste monete anonime dal
segno della mano aperta, la cui serie vediamo for-
mata dal soldo e da una tremisse al tipo nuovo di
Artemio Anastasio, nonché da una tremisse al vec-
chio tipo di Giustiniano, risponderanno perfettamente
alla successione dei caratteri monetali dell'epoca, la cui
serie vedremmo altrimenti, senza ragione, interrotta
stranamente ; il segno della mano aperta col brac-
ciale troverebbe la sua ragione di essere nel sim-
bolo longobardo, altra volta e su altro tipo di mo-
neta usato dal re longobardo (^'; l'anonimia sarebbe
spiegata dal non potere il re Liutprando far segnare
la sua iniziale a quel posto, dove di solito erano
tracciate quelle dei vari duchi precedenti, iniziale
che avrebbe livellato lui alla serie di quelli che erano
stati suoi dipendenti.
ì (Tipo A).
I. Soldo d'oro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
& — DNI — ••• — INVSPP Busto di prospetto, diademato,
tenendo nella destra la croce , con la sinistra
il volumen.
9f VICTOR — STV - CONOB Simile al preced. R. N
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
11. Idem.
^ — D — W&PP Simile al precedente.
9 — Vie - VSTV - CONOB Simile al precedente. R. AT
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
12. Idem.
^ — Dti — IVGPP Simile al precedente.
P — VlCOr - VSTV - CONOB Simile al preced. R. ^
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
13. Idem.
1^ — D — VGPP Simile al precedente.
9 — VIO — VGTV — CONOB Simile al preced. R. AT
Coli. Cagiati.
14. Idem.
-©' — DN — VPP Simile al precedente.
9 — VICOA - VSTV — CONOB Simile al preced. R. N
Catalogo della coli. Ruggero, n. 347, tav. XIX.
104 MEMMO CACI ATI
15. Idem.
/& — D — VGPP Busto di prospetto, diademato, tenendo
nella destra la croce, nella sinistra il volumen.
P — VICV — VSTV — CONOB Croce su di un gradino, a
sinistra sigla, a destra G {vedi fig.). R. M
Coli. Cagiati.
16. Idem.
/©' — D — VG-PP Simile al precedente.
^ — Vie - AVGTV - CONOB Simile al preced. R. X
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 399.
*
* *
LiUTPRANDO DUCA C ScAUNIPERGA REGGENTE (75 1 -
755). Alla morte di Gisulfo, rimase naturale successore
del trono il di lui figliuolo, al quale era stato dato il
nome di Liutprando in onore del gran re longobardo,
però, essendo ancora bambino, il duca Liutprando
ebbe a reggente sua madre Scauniperga <^'. Del go-
verno tenuto da costei, che sta a dimostrare come
in Benevento si fosse ripristinata la successione ere-
ditaria, pochi documenti ci sono giunti che rischia-
rino la storia di quell'oscuro periodo.
Le iniziali S— L, nel campo del retro accosto alla
croce longobarda, in queste monete ni un 'altra inter-
pretazione possono avere che i nomi della reggente
e del giovanissimo duca.
(i) Un documento del 752 comincia: " Firmamus atque constituimus
nos d. gli. Scauniperga et d. vir gli. Liutprand summis ducibus gentis
longobardae „ (Trova, IV, pag. 443. Chroust, n. 38) e cosi ugualmente
cominciano altri documenti sino al marzo 755.
LA ZECCA DI BENEVENTO
105
Il Martinori pubblicò un pregevolissimo studio,
che illustra esaurientemente le monete appartenenti
al tempo della dominazione di Liutprando e Scau-
niperga (^), e noi rimandiamo il lettore a questa pub-
blicazione, che ha importanti cenni anche su tutta
la interessante monetazione beneventana, acconten-
tandoci di poter pubblicare qui appresso, tra le
altre, una variante inedita della serie, appartenente
alla ricca raccolta del duca Enrico Catemario di
Quadri, nummo che merita l'attenzione dei numi-
smatici, perchè, se non si dovessero attribuire ad
errore di conio, le lettere L— S in luogo di S-L po-
trebbero anche farci supporre un periodo in cui
Liutprando, pur non essendo ancora maggiorenne,
cominciasse a reggere lo stato assistito soltanto da
sua madre Scauniperga.
(Tipo A).
I. Soldo (Toro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
^ — DM IVNPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce e nella sin, il volumen.
P - VICTVIRA - VGVSTVI - CONOB Croce, su di un
globo sostenuto da quattro gradini, sormontata da
quattro globetti, a forma di rombo; nel campo a
sinistra S, a destra L {Scauniperga e Liutprandus)
{vedi fig.). R. S[
Coli. Cagiati.
(i) E. Martinori, Zecca di Benevento. Soldo d'oro di Scauniperga e
Liutprando minorenne, duchi {TSI-JJJ) in Rivista Ital. di Num.y A. XXI,
Milano, 1908, pag. 219 e segg.
ió6
MÉMMO CAGIAtl
2. Idem.
& — DN — ... — IVNPP Simile al precedente.
Vi - VICTORA — AGVSTV — CONOB Simile al prece-
dente. R. A^
A. Sambon, Le Musée, pag. 8.
3. Idem.
^ — DN — • • • — IVNPP Simile al precedente.
P — VICTORV — VGVSTV — CONOB Simile al prece-
dente, la croce non è sormontata dai quattro glo-
betti. R. A^
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
Idem.
^ — DN IVNPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce e nella sin. il volumen.
9 - VICTOR < - >GVSTVY —CONOB- Croce, su di un
globo sostenuto da quattro gradini, sormontata
da quattro globetti a forma di rombo; nel campo
a sinistra L, a destra S {Liuiprandus e Scauni-
perga) {vedi fig.). Unico K
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
(Tipo B).
I. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
>& — DN — ••• — IVNPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce, nella sin. il volumetti
LA ZECCA DI BENEVENTO I07
I^ — VTR<1 — — ^GVT- CONOB Simile al preced. R. K
Wroth, British Museum, pag. 164, n. i, pi. XXII, n. i.
3. Idem.
B' — DN — IVNPP Simile al precedente.
9 — VITIR< VGVTV - CONOB Simile al precedente.
La croce è sormontata da quattro globetti a
forma di rombo. R. K
A. Sambon, Le Musée, pag. 8.
4. Idem.
B' — DN - • • • — IVNPP Simile al precedente.
I^ — VITVR^ - >(yVTV - CONOB Simile al prec. R. K
Fr. Fusco Tav. II, a. 8.
5. Idem.
& — DN — • • • — INPP Simile al precedente.
9 — VITIRV — V&VTVI Simile al precedente. R. AT
Coli, del prof. Dell'Erba di Napol-,
6. Idem.
& — DN - • • • — VNPP Simile al precedente.
I^ — VITIRV - VG-VTI - CONOB Simile al preced. R. K
Catalogo della coli. Colonna, tav. I, n. i.
7. Idem.
^ _ DI VCNPP Simile al precedente.
I^ - VITTR<1 - >GVTV - CONOB Simile al prec. R. .¥
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, tav. VI, n. 401.
Io8 MEMMO CAGIATI
«
* »
LiuTPRANDO DUCA (755*758). Mentre non ci è dato
accertare la data della morte di Scauniperga, da un
documento dell'epoca ^0 sappiamo che nel giugno
del 756 Liutprando reggeva da solo lo stato bene-
ventano. Alla fine di quell'istesso anno morì Ari-
stolfo, che era succeduto ai re longobardi nel cui
dominio erano seguiti interni sconvolgimenti, e nel-
l'animo del giovane duca Liutprando si destò la
brama di sottrarsi completamente alla dipendenza
del regno. Molte pratiche egli fece allo scopo, che
però gli riuscirono inutili, ed in ogni modo preferì
di sottoporsi piuttosto alla sovranità del re Pipino,
mercè la mediazione del Papa (2)^ che rimanere sot-
tomesso alla longobarda dipendenza.
Quando poi Desiderio nel 757-758 gli mosse
contro con un poderoso esercitola), Liutprando perde
ogni fiducia in se stesso, nelle sue forze e nei suoi
alleati, e fuggì ad Otranto, rinchiudendosi in quella
forte città marittima dove, per essere privo di una
flotta. Desiderio dovè rinunciare a raggiungerlo, ac-
contentandosi di prendere Benevento e di insediarvi
duca Arichi.
Della fine di Liutprando nessuna notizia ci dà
la storia, però il Capasso riporta dalle cronache sa-
lernitane l'epoca della sua morte al 759 (4).
(i) Un diploma del 756 comincia : " Dum in nomine d. residentes
nos d. vir gli. Leoprand summus dux Lang., etc. „ (Trova, IV, pag. 619.
Chroust, pag. 200).
(2) Con. Carol,, ep. 11 (JaflFè, pag. 65, ep. 17, pag. 79). Waitz. Deutsche
Verfassunigsgeschichte, III, pag. 90. — Bertolini, pag. 263.
(3) Chron. Salern. (Mon. SS., HI, pag. 475).
(4) Capasso, Chron. Salern.
LA ZECCA DI BENEVENTO
109
(Tipo A).
I AT 1
Soldo d'oro (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
-©' — DN IVNPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce e nella sin. il volutnen.
5»' — VICTOR <1 — XtVSTV — CONO B Croce, su di un
globo sostenuto da quattro gradini, sormontata
da quattro globetti, a forma di rombo; nel campo
a sinistra L {Lintprandus) (vedi fig.). R. K
Coli. Cagiati.
2. Idem.
/B' - DN IVNPP Simile al precedente.
^ — VICTVRV — VGVSTVI — CONOB Simile al prece-
dente. R. A'
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 2, pi. XXII, n. 2.
3. Idem.
^ — DN IVNPP Simile al precedente.
^ — VICTOR — GVSTV - CONOB Simile al precedente.
Sulla croce non vi sono i quattro globetti. R. K
Catalogo della coli. Rossi, n. 350.
4. Idem.
^ _ DN IVNPP Simile al precedente.
^ — VICTROV — VGVSTV — CONOB Simile al prece-
dente. R. S
A. Sambon, Le Musée, pag. 9.
5. Idem,
^ — DN - — - VNVPP Simile al precedente.
9 — VITORV - VGVSTI - CONOB Simile al prec. R. A'
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 3, pi. XXII, n. 3.
no
MEMMO CAGIATI
6. Idem.
B' — DH VNVPP Simile al precedente.
9 — VICTRO — VGVSTV Simile al precedente. R. N
Coli, del prof. Dell' Erba di Napoli.
7. Idem.
B^ — D\\ VNPP Simile al precedente.
P - VICTOR — AGVSTV — CONOB Simile al prec. R. N
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 4, pi. XXII, n. 4.
8. Idem.
/©' — DN IVNPP Simile al precedente.
^ — VICTIR> - E
Coli. Cagiati.
13. Idem.
^ — DNI — INVSPP Simile al precedente.
^ — VICTROV — VGVSTV - CONOB Simile al prece-
dente. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 9.
14. Idem.
^ — DIN — INVSPP Simile al precedente, sopra la testa
rosetta formata da quattro globetti.
^ — VICTOR - VGVSTV - CONOB Simile al prec. R. K
G. Sambon, Repertorio Gen. delie Monete, tav. VI, n. 404.
15. Idem.
©' — DN — + — IVSPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce, nella sin. il volumen.
^ - VICTOR — VSTV — CONOB Croce su di un globo
sostenuto da quattro gradini ; nel campo a sini
112 MEMMO CAGIATI
stra sigla-monogramma (L D), a destra sigla-mo-
nogramma (VX) {Liuiprandus dux) [vedi fig.). R. M
Coli. Cagiati.
i6. Idem.
^ — DN - ••• — IVSPP Simile al precedente.
P — VICT — VSTO - CONOB Simile al prec. R. .¥
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 406.
(Tipo B).
1. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
^ — DI — • • • — VNPP Busto di prospetto, diademato, te-
nendo nella destra la croce e nella sin. il volumen.
P — VTR — GVT — CONOB Croce su di un gradino nel
campo a sinistra L {Liuiprandus) [vedi fig.). R. AT
Coli, Cagiati.
2. Idem.
B^ — DI — VCNPP Simile al precedente.
R) — VICT - VITV — CONOB Simile al precedente. R. A'
Sambon, Le Musée, pag. 9.
3. Idem.
©' — DN — • • • — VNPP Simile al precedente.
^ — VITRV - V&VTV — CONOB Simile al preced. R. A^
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 5, pi. XXII, n. 5.
4. Idem.
^ — DN — VNPP Simile al precedente.
9* — VITR — VGVT - CONOB Simile al preced. R. N
Wroth, British Museum, pag. 165, n. 6.
La zecca di BENEVENTO I 13
5. Idem.
.B' — DN — • VNPP Simile al precedente.
9 — VICT< — >GTV - CONOB Simile al preced. R. Al
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
6. Idem.
/©" — DN — VNPP Simile al precedente.
^ — VICTIR> — ^VQ-TV - CONOB Simile al prec. R. A'
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 403.
7. Idem.
& — DN — VGVPP Simile al precedente.
9 — VICT ~ V&TV — CONOB Simile al preced. R. K
G. Sambon, Repertorio Gen. delle Monete, n. 403.
8. Idem.
/^ — D — • • VGPP Simile al precedente.
9 — VICT> - ^STV - CONOB Simile al preced. R: A'
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
9. Idem.
& — DN — IVNPP Simile al precedente.
9 — VITRV — VGVTI Simile al precedente. La croce è
sormontata da quattro globetti. R. K
Coli del prof. Dell' Erba di Napoli.
10. Idem.
^ — DN — • • • — IVPP Simile al precedente.
^ — VITORV — VOVTV — CONOB Simile al prec. R. S
Catalogo della xroii. Martinori, tav. IV, n. 277.
11. Idem.
^ — DI — VNPP Simile al precedente.
^ — VITR - VGVT — CONOB Simile al preced. R. K
Fr. Fusco. Tav. II, n. io.
15
tI4 MEMMO CAGIAtl
12. Idem.
7^ — DN L - VG-PP Busto di prospetto, diademato,
tenendo nella destra la croce, nella sinistra il
volumen.
^ - VICTO — VGTV - CONOB Croce su di un gradino,
nel campo a destra sigla-monogramma (L DVX)
{Liiitprandus dux) {vedi fìg.)- R. K
Fr. Fusco. Tav. II, n. 12.
13. Idem.
^ — DIN — INVSPP Simile al precedente.
? — VICTOR — VGVSTI - C • ONO • B Croce su quat
tro gradini, nel campo a sin. A, sopra la croce
quattro globetti a forma di rombo {vedi fig). R. M
Coli. Cagiati.
4. Idem.
Esemplare simile al preced., ma variante di conio. R. M
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 5, pi. XXII, n, 11,
5. Idem.
Altro esemplare simile con VGVSTV. R. S
Wroth, British, Museum, pag. 168, n. 4, pi. XXlI, n. io.
6. Idem.
B' — DNSVI — + — CTORIA Simile al precedente.
^ — VICTORIV - GVSTV — C • ONO • B Simile al prece-
dente. R. K
Coli, del prof. Dell' Erba di Napoli.
(Tipo B).
I. Tremisse (Imitazione del tipo di Artemio Anastasio).
^ — DN — • VNPP Busto di prospetto, diademato, te
nendo nella destra la croce, nella sin. il volumen.
9 — VITIR-^ — JIVTV - CONO B Croce, su di un
gradino, sormontata da quattro punti a forma di
rombo, nel campo a sinistra A (vedi fig.). R, K
Coli. Cagiati.
5. Idem.
B' — DNSVI - + — CTORIA Simile al precedente.
^ — VITIRV VGVTV - CONOB Simile al preced. R. K
Coli, del duca Catemario di Quadri di Napoli.
6. Idem.
Altro esemplare simile al precedente con VGVTI.
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 7, pi. XXII, n. 13.
R. K
7. Idem.
Altro esemplare simile al prec, con variante di conio. R. A^
A. Sambon, Le Musée, pag. 12.
120 MEMMO C agiati
8. Idem.
/B' - DNSVI - + — CTORIA Simile al precedente.
^ — VITIRV — VGVTI - CONOB Simile al preced. R. A^
Coli, del duca Catemarlo di Quadri di Napoli.
9. Idem.
Altro esemplare simile al precedente con VG-VTV. R. ^
Wroth, British Museum, pag. 168, n. 9, pi. XXII, n. 15.
{Contìnua) Memmo Cagiati.
UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE
La moneta che intendiamo illustrare è un quat-
trino rinvenuto, anni or sono, presso Montalto della
Berardenga. del quale non si conosce la vera origine.
Esso appartiene al tipo di quelli battuti nella
prima metà del secolo XVI (i). É un quattrino cosi-
detto nero, cioè di puro rame e senza lega, come
ne furono battuti anche dalla Repubblica Senese.
Nel suo diritto si legge : VENA • VENA • nel campo la
grande S sfogliata ; nel rovescio : CIVITAS CIVIGINI,
nel campo la solita croce gigliata. Nel rovescio fra
le due parole sono due scudetti di forma simile a
quello che si vede nel principio della leggenda nei
quattrini senesi; pesa gr. 0,57.
Quarè l'origine di questa monetina ? Crediamo
di poter proporre tre ipotesi, delle quah l'ultima
forse potrebbe presentare maggior verosimiglianza.
Anzitutto potrebbe supporsi che si tratti di una
brutta imitazione, eseguita in Camerino, della moneta
senese, come altre ve ne furono, del genere di quella
(i) D. Promis, Monete della Repubblica di Siena. Torino, Stamperìa
Reale, 1868, pag. 55-57.
IO
122 PALMIERO PALMIERI
illustrata dal comm. A. Lisini (^) battuta in Recanati
da Pier Venanzio di Niccolò, zecchiere in quella
città, recante nel diritto : S. FLAVIANVS nel campo S,
e nel rovescio: RACANETO, croce gigliata. Perciò la
leggenda del nostro quattrino, che per se non avrebbe
significato, potrebbe far pensare che grossolanamente
mascheri il nome di una zecca (2).
Ma per quanto mi sia data cura d'investigare,
non mi è riuscito scoprire nulla che possa dare in-
dizio di una imitazione di zecche di altre città. E nem-
meno ho trovato notizia di un passaggio di Pier Ve-
nanzio di Niccolò zecchiere, da Recanati a Camerino,
circostanza che avrebbe potuto dare un indizio, sia
pur lieve, in riguardo alla monca leggenda.
Resterebbe allora l'altra ipotesi, che cioè si
tratti di un tentativo di falsificazione da parte di
persone dello Stato di Siena. Che l'abitudine ci fosse,
(1) A. LisiNi, Una imitazione del quattrino Senese. Miscellanea sto-
rica senese, a. V, 1898, nn. 11-12, pag. 157.
(2) Il Ch.mo sig. comm. dott. Alessandro Lisini direttore del R. Ar-
chivio di Stato di Venezia, così cortesemente mi scriveva, in merito a
questa moneta, il 19 gennaio 1914: " Questa mi sembra un'altra imita-
" zione uscita dalla zecca di Camerino. La leggenda VENA " VENA "
" vorrebbe stare per S. Venantius patrono di Camerino, l'altra inulto
" confusa starebbe in luogo di ClVIT CAMERINI. Sia opera dello
" stesso Pier Venanzio passato alla zecca di Camerino? In ogni modo
" escluderei che fosse opera di falsari Senesi. Ad essi avrebbe poco
* giovato, in caso di scoperta l'alterazione della leggenda, poiché la
" falsificazione del quattrinello Senese rimaneva troppo evidente, e la
" condanna non sarebbe stata attenuata „.
Ed il Ch.mo sig. prof. dott. Luigi Rizzoli direttore del Museo Civico
di Padova, così, non meno gentilmente, mi scriveva in data 13 marzo
1914 : " Ho esaminato il lucido della moneta che Le interessa, &
" Dopo aver dubitato che si trattasse di una vera e propria moneta
" Senese uscita dalla zecca ribattuta, sarei venuto a concludere con il
" Lisini trattarsi di una nuova contraifazione Senese. Stabilire poi il
" luogo dove fu contraffatta ed indicare senz'altro Camerino mi sembra
" molto azzardato. Del resto il Lisini e Lei, che conoscono meglio di
" me i prodotti della zecca Senese, e quindi anche le contraffazioni
* possono giudicare con la massima competenza anche in questo caso „.
UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE I23
per cui il caso non sarebbe nuovo, ce lo prova il
Lisini stesso ^^); e che tale frode poi fosse comune
anche nei Castelli Senesi, lo apprendiamo da quanto
ci narra V Anonimo nel Bellum lulianum, a proposito
dei Martinozzi di Monte li Frè, nella descrizione che
fa del castello prima che venisse diroccato : « ... In
« proximo crepido ex brupto cum brupeto et tor-
« culari alcorio intrusum longo recessu locus re-
u motior a omnibus instrumentis ad cudendam Mo-
« netam, eo loci post dirutam Arcem, invenuti malici
u quoque, et incudes reperti et cuprei Nummi,
« nondum signati, sed tantum attonsi forcipe, Typi
« et formule, diversam imaginem, tanta opportu-
u nitate fretus in nove liber tatis odium, in Patrie
u excidium, Latronum gregem Johannes Martinozius
tf alebat » (2).
Il castello di Montelifrè cadde in potere della
Repubblica Senese, il 23 luglio 1526. Proprio in
quest'anno nel quale, sembra, non si trascuravano
i lavori monetari in Montelifrè, la Repubblica di
Siena batteva moneta di necessità! (3).
(i) A. Lisini, Moneta Senese. Miscellanea storica senese, a. I, 1893,
n. 2, pag. 17.
(2) Pecci, Storia dello Stato di Siena, parte VII, pag. 105.
(3) " Anno 1J26
Moneta di rame battuta per necessità a Siena.
Nella città di Siena stava senza sospetto delle genti della lega, non
havendo voluto entrarvi, benché da più bande ne fusse ricerca, et es-
sendo fra le molte spese della guerra inhabile a trovar denari per
altra via, poiché per assedio ebber tolto la fortezza di Montelifrè a Gio-
vanni Martinozzi, mandarono a bandi i Conservatori della libertà e
venderono et affittarono molte possessioni de' Cittadini, ch'erano ribelli,
o fuorusciti, per supplir a' bisogni, occorrevano per servitio pubblico
dovendo secondo le qualità degli accidenti, che giornalmente nascevano,
spender in condur nuove genti d'arme, e fortificare in più luoghi con
Baluardi le mura della Città, le quali spese conoscendo di non potere
mantenere con l'entrate ordinarie e gravezze solite porsi a Cittadini,
124 PALMIERO PALMIERI
Vi ha un'ultima ipotesi che potrebbe mostrar
forse maggior verosimiglianza. Essa trae origine e
conforto dal luogo ove la moneta fu rinvenuta, da
Montalto della Berardenga. Di esso scrive il Pecci (^):
« Nella provincia della Berardenga vedesi situato un
« piccolo Castelletto o piuttosto antico fortilizio, che
a Mont'Alto addimandasi, perchè posto in Poggio
« eminente, sebbene non così elevato che non gli
u sovrastino all'intorno monti superiori.
« Era da mura castellane, con Barbacani e ter-
« rapieni circondato ma questi per le guerre, e per
« il lungo corso degli anni in gran parte, presente-
« mente al suolo appianate, danno unitamente con
« tre Torri, che tuttora restano in piedi, sebbene
« abbassate e ridotte a uso di Colombaie a cono-
« scere opere di remotissima costruzione ».
E più avanti <2) : « Considerava la Repubblica di
« Siena questa Fortezza, che gli rimaneva distante
« miglia dieci, come Frontiera fra quella parte col
« dominio Fiorentino e perciò la tenea ben guar-
« data e custodita etc... ».
Appartenne Montalto ai conti Berardeschi, ma
nella loro decadenza, con le altre terre e castelli,
cadde in potere della Repubblica Senese ; la quale
nel 1481 accordò agU abitanti diversi privilegi, allo
scopo di aumentarne la popolazione, e di tenere il
luogo ben fortificato. Ma poiché gli abitanti ne tra-
scurarono la difesa, la Repubblica consegnò il ca-
stello a M. Giovanni Palmieri, cittadino autorevole
fecion battere gran quantità di quattrini di Rame puro, e con essi spen-
dendoli per buoni fecion molte spedizioni etc... „.
(Historia del Sig. Orlando Malavolti de fatti o guerre Sanesi, cosi
esterne come civili etc In Venetia, MDXCIX per Salvestro Marchetti
libraro all' insegna della Lupa. Libro VII della III parte, pag. 132).
(1) Pecci, op. cit., pag. 331.
(2) Pecci, op. cit., pag. 332.
UNA IMITAZIONE DI MONETA SENESE I25
ed accreditato, con solenne istrumento rogato da
Ventura Cigni notaio Lucignanese il 15 giugno 1546.
E fu concesso con patti e privilegi tali da sembrare
poi effrenati, al Consiglio della Balia, che il 17 di
ottobre dell'anno 1557, tolse ogni franchigia e pri-
vilegio ai discendenti di Giovanni Palmieri, non la-
sciando loro che il possesso del luogo con il titolo
di Signoria (').
Ciò premesso sarebbe fuor di luogo supporre
che negli ultimi anni che precedettero la caduta della
Repubblica Senese, le cui finanze non erano molto
floride al pari di quelle dei suoi Castellani, per sop-
perire alle spese ed al soldo degli armati, che pur
ve ne dovevano essere nel castello, a Montalto
non si sia ripetuto quanto si fece a Montelifrè ? ;
e che la leggenda imbrogliata sia dovuta ad impe-
rizia di conio, oppure ad una artifiziosa ed ignoran-
tesca unione di mezze parole, per togliere l'appa-
renza di una vera e propria falsificazione della mo-
neta di Siena o di quella di Camerino o di altro
luogo, sistema usato appunto dai Gonzaga, dagli Ip-
politi, dai Mazzetti, e da altri nel contraffare le mo-
nete di altri Stati ?
Ecco l'ultima ipotesi, intorno alla quale piacerà
conoscere l'autorevole parere del Lisini, che così si
esprime :
« Può essere benissimo opera di qualche fal-
« sario, ma non mi sembra una moneta ossidionale,
« perchè questa sorta di monete non ricorreva alle
u imitazioni. Gli stozzi trovati a Montelifrè dovettero
« servire a falsari e non per monete legittime. Mo-
" nete false Senesi se ne fecero in molte terre e
« castelli e forse in Siena stessa. Non si può quindi
« escludere a priori che anche in Montalto non se
(I) Peco, op. cit., pag. 131-134.
126 PALMIERO PAÌ.MIERI
u ne siano battute. Però non si deve neppure di-
« menticare che le anomalie delle monete in genere
« e nelle medioevali in specie sono più frequenti
a di quanto si crede. Imparaticci, prove di stampe
u e di zecca., fanno spesso lambiccare il cervello ai
« numismatici, e spesso fanno dir loro un sacco di
« corbellerie ! ».
In ogni modo, sia prezzo dell'opera nostra l'aver
richiamata l'attenzione dei competenti sull'origine di
questo infusorio della numismatica, secondo la frase
dello Chalon, che potrebbe avere una storia curiosa
ed interessante.
Sovicille (Siena), 22 febbraio 191 6.
Palmiero Palmieri.
Contribuzione al « Corpus Nummorum Italicorum »
Neir intenzione di portare un modestissimo con-
tributo all'opera veramente grandiosa del nostro So-
vrano, mi permetto far note ai lettori della Rivista
le seguenti monete.
CASA SAVOIA.
Carlo Emanuele II duca (1648-1675).
Mezza lira.
B' - CAR • EMAN • Il • D BAVDI Busto a destra ;
esergo : • • 52 «
P — PRIN • PEDEMON o REX • CYP Stemma coro-
nato ; esergo : * S • •
Rame inargentato. — Peso gr. 6,10.
Questa moneta che ha una certa rassomiglianza
con la mezza lira descritta nel « Corpus Nummorum »
voi. I (Casa Savoia) a pag. 342, n. 28-34 ^ tav. XXIV,
n. 7, riterrei che fosse una prova di conio, poi non
eseguita.
128 PALMIERO PALMIERI - CONTRIBUZIONE AL « CORPUS n
Zecche minori del Piemonte.
CARMAGNOLA.
Lodovico II marchese di Saluzzo (1475-1504).
Soldino.
^' — • LVDOVICVS • M • SALTIAR Scudo ritto coronato
con cimiero.
I^ — testina • SANCTVS • CONSTANTIVS : ^ : Croce gi-
gliata, con 4 punti agli angoli.
Argento. — Peso gr. 1,05.
Soldino.
fì' — • LVDOVICVS • M • SALTIA^f • Scudo ritto coronato
con cimiero.
P — testina • SANCTVS • CONSTANTIVS .'. Croce fiorata.
Argento. — Peso gr. 0,98.
Michele Antonio marchese di Saluzzo (1504-1528).
Soldino.
^ — : MCAEL • A • M : SALVTIA^I : Scudo coronato.
^ — testina : SANCTVS : CONSTANTIVS : Croce fiorata.
Argento. — Peso gr. 1,08.
LOMBARDIA — Zecche minori.
SABBIONETA.
Isabella Gonzaga e Luigi Carafa duchi {1591-1638).
Sesino.
^ — ^ ALOI • C • ISAB ES Nel campo : grande S
fra due punti.
R) — SANCT VS NICCOLAV-- 11 Santo, con tre palle
nella mano destra.
Mistura. — Peso gr. 0,65.
Palmiero Palmieri.
NECROLOGIE
LUIGI CORRERÀ.
Il 24 gennaio
scorso, in Na-
poli, mancava ai
vivi il professor
comm. Luigi
Correrà.
Per nulla pre-
sago della pro-
pria fine, l'illu-
stre uomo in
quella stessa
mattina si sen-
tiva tanto feli-
ce pregustando
la gioia del ri-
torno del suo
caro figliuolo,
che nel pome-
riggio sarebbe
giunto dalla fron-
te della nostra
bella guerra. Le
malinconie, le ansietà dei mesi scorsi, le angosce contenute
e severe della sua anima adusata all' immenso sacrificio
della rassegnazione, si erano dileguate, ogni amarezza del
suo cuore si era addolcita; ma nell'impaziente attesa dell'ora
sospirata si era sentito agitato da una inquieta tenerezza, da
un certo struggimento che gli fece desiderare di muoversi
e di distrarsi, di uscir di casa con una delle dilette sue fi-
130 NEC (^ OLOGIE
gliuole per recarsi dal suo avvocato, più che per conferire
di affari con lui per trovar modo d'ingannare il tempo.
In famiglia si era rimasti intesi che più tardi tutti in-
sieme si sarebbero incontrati alla stazione ferroviaria, all'ar-
rivo del treno col quale doveva giungere il caro atteso;
ed il treno arrivò, i primi sportelli si aprirono e ne disce-
sero i viaggiatori più frettolosi, ma il giovane Ufficiale, che
era tra questi, indarno girò lo sguardo ansioso a ricercare
coloro che egli era sicuro di trovare lì, al suo arrivo, con
le braccia aperte protese verso di lui.
Il prof. Correrà qualche ora prima era stato colto da
una trombosi cerebrale nello studio del suo avvocato; un
valente dottore, chiamato in fretta, era accorso presso di lui;
però ogni soccorso della scienza, per quanto sollecito, non
era riuscito efficace a strappare al male, improvviso, violento
e crudele, l'uomo che sino a pochi istanti prima era stato
sano e robusto, vegeto e forte. Dolorosa, piangente la bella
anima di Luigi Correrà si era allontanata dal mondo, il
padre tenerissimo non aveva avuta la gioia di sentirsi an-
cora una volta stretto tra le care braccia del suo figliuolo ;
il baldo giovane, reduce dalle trincee, rivedeva i suoi cari,
affranti dalla più penosa angoscia, accanto alla spoglia esa-
nime del venerato genitore!
Si divulgò di un subito in città la triste nuova della
morte del prof. Correrà destando un senso d' incredulità e
di doloroso stupore in tutti coloro che insino a pochi giorni,
a poche ore innanzi, avevano incontrato e riverito V uomo
stimatissimo, il benemerito cittadino, il maestro o l'amico
carissimo. Le onoranze funebri furono degna e solenne ma-
nifestazione di ammirazione e di rimpianto verso l'illustre
Estinto, e poi, la Casa Correrà rimaneva immersa nel lutto,
nel vuoto irreparabile che le si era fatto d'intorno; il gio-
vane Ufficiale tornava al suo posto, tra le fila dei prodi sol-
dati d'Italia!
»
* *
Luigi Correrà, il degno figliuolo di queir illustre giu-
reconsulto che fu Francesco Saverio Correrà, nacque in
NECROLOGIE 13 1
Napoli il 1852 e mostrò precocemente di aver sortito da
natura eletto ingegno, carattere fermo, indole mite, una este-
riore autorità — specchio dell' animo suo — uno squisito
equilibrio tra il cuore schietto e generoso e la mente lucida,
ordinata, aspirante alle più alte idealità. Giovinetto, avido
come era di sapere, ingenerò meraviglia giustificata nei com-
petenti, con la soda cultura classica e con la squisita ten-
denza all'arte che lo rendevano ammiratissimo; senonchè
il padre suo, luminare nelle giuridiche discipline, non voleva
il diletto Luigi avviato a divenir letterato, poeta e pittore,
ma vagheggiava nel figliuolo, così singolarmente dotato, il
naturale continuatore delle proprie opere e della sua fama
professionale.
In omaggio al desiderio paterno Luigi Correrà si lau-
reò giovanissimo dottore in leggi, però, attratto irresistibil-
mente dalla sua passione dominante per gli studi storici e
letterari e. per le ricerche archeologiche, continnò a coltivare
questi suoi studi prediletti, trascurando i codici e le pandette.
Quando poi un sogno d'amore s' impadronì del suo cuore,
ed il matrimonio che a lui prometteva la felicità di tutta la
vita ebbe a trovare contrasto insormontabile nella volontà
dell' inflessibile genitore, si appalesò tutta la fermezza del
carattere di Luigi Correrà; egli rinunciò ad ogni agiatezza
abbandonando la casa paterna, affrontò l' ignoto, sposò la
fanciulla adorata e andò a fissare la sua residenza in Roma,
dove poco dopo si laureò Dottore in lettere e filosofia.
Professore pareggiato nel 1889 insegnò storia antica
nella R. Università di Roma ; storia antica ed epigrafia in-
segnò poi nella R. Università di Napoli, dacché, rientrato fi-
nalmente nelle buone grazie del padre, potè tornare nella
casa del grande giurista ed allietarne gli ultimi anni di vita,
insieme alla sua dolce ed eletta compagna, ai suoi cari fi-
glioletti.
* *
Mente vasta e lucidissima, forte fibra di lavoratore, il
prof. Correrà ebbe campo di porre in valore i doni largiti-
gli da natura ; la sua multiforme attività potè svolgersi se-
132 NECROLOGIE
renamente nei diversi ambiti degli studi coltivati, nelle molte
pubblicazioni edite ed inedite che ci ha lasciate — in cui è
addensata materia tanto vasta e così varia da sbalordire — e
tra i non pochi ed importanti incarichi, che in varie contin-
genze dal Governo e dalla Città natale gli vennero affidati,
in cui egli portò il suo metodo di coscienziosa analisi e di
perfetto ordinamento, in cui lasciò orme incancellabili della
sua straordinaria competenza, della sua eccezionale genialità,
della sua intemerata onestà.
In tutti i lavori del Correrà è da ammirare la dottrina
profonda, la logica serrata, la rigorosità di metodo, l'intuito
artistico, l'analisi accuratissima, la coordinazione mirabile; i
suoi scritti sono quindi pregevolissimi. Articoli, note storiche
ed artistiche, memorie originali, recensioni sugli argomenti
più diversi, figurano in quasi tutte le riviste scientifiche ita-
liane e straniere, ma non ci è possibile dare di essi un som-
mario esame, non è possibile neanche un accenno, »in que-
sta nota fugace, a tutta la poderosa opera del Maestro. Ci
limiteremo quindi a citare alcune tra le produzioni del grande
studioso, le quali per natura di contenuto, si debbono ri-
tenere più idonee ad interessare i lettori di questa Rivista,
e ricorderemo ad essi :
Le piti antiche monete di Napoli. Nota letta alla R. Ac-
cademia di Scienze Lettere ed Arti. Napoli, 1902.
Ripostiglio di monete romane di Potenza, in questa Ri-
vista. Milano, 1902.
Osservazioni intorno ad una moneta di Neapolis, in Atti
del Congresso internazionale di Scienze storiche. Roma, 1904,
ed in questa Rivista. Milano, 1905.
Ripostiglio di denari repubblicani in Roma, in questa
Rivista. Milano, 1907.
Note di Numismatica tarantina, in Neapolis, anno J. Na-
poli, 1913.
Saggio sulla Numismatica tarantina, in Neapolis, a. I.
Napoli, 1913-
Un ripostiglio di l/^ittoriati, in Rassegna Numismatica
del Lanzi. Roma, 1914.
La politique monétaire d'Athcnes du V siede avant notre
ère, in questa Rivista. Milano, 1914.
NECROLOGIE I33
Ed a proposito delle pubblicazioni numismatiche del
Correrà, un'altra ne avremmo avuta, che egli andava pre-
parando, sulla monetazione delle colonie greche d' Italia,
che avrebbe certamente preso un posto importante nella bi-
bliografia della materia, dando gran fama all'Autore e grande
profitto agli studiosi. Egli volle dare appunto un saggio
della sua opera in preparazione nelle belle conferenze pe-
riodiche, che si benignò di concedere al Circolo numismatico
napoletano, del quale fu Socio fondatore e Consigliere, ed
in esse svolse, tra l'altro, un originale suo metodo di clas-
sifica greco-classica, una magistrale fusione del sistema to-
pografico con quello cronologico, tenuto conto della dipen-
denza della monetazione delle colonie da quello delle città
di origini, metodo perfettamente rispondente a rendere meno
arduo lo studio di quella numerosa varietà di tipi che ci ha
lasciato il mondo ellenico. Quelle lezioni, che il Maestro si
compiaceva di chiamare letture amichevoli, le quali tanto
concorso di ascoltatori richiamarono, sono rimaste incom-
plete, per il Sodalizio un ricordo, che oggi acuisce nei Socii
il doloroso rimpianto per la impreveduta scomparsa del-
l'acclamato conferenziere !
Delle tante benemerenze cittadine del prof. Correrà ri-
corderemo il notevole atto di munificenza da lui compiuto,
regalando alla Biblioteca Nazionale di Napoli la stupenda
Biblioteca del padre suo, ricca di oltre quattromila volumi,
nonché di tutte le dotte alligazioni giuridiche dello stesso.
Non meno cospicuo fu il dono di un modello di officina elet-
trica — del valore di oltre quindicimila lire — da lui offerto
al Museo Trinchesi di scienze naturali, allorché, fungendo
da Assessore per la Pubblica Istruzione della città di Napoh,
ebbe occasione di curarne il riordinamento.
Del pari lodevoli sono le numerose iniziative, sponta-
neamente da lui assunte, e quale Consigliere Comunale, e
quale Ispettore di monumenti e scavi, e quale Componente
l'amministrazione dei Collegi Riuniti di educazione femminile.
Il saggio, provvido ordinamento delle antichità — venute a
134 NECROLOGIE
mano a mano in luce durante i lavori pel risanamento di
Napoli e nello sgombero dei monasteri femminili — la felicis-
sima sistemazione delle stupende sale di Donna Regina — bar-
baramente votate alla devastazione dall'inqualificabile van-
dalismo burocratico — rendono imperitura la riconoscenza
della Città verso il benemerito suo figlio.
Vivendo di un costante lavoro, tra i suoi libri e le sue
raccolte, coltivando nella sua cella, come modestamente so-
leva chiamare il suo studiolo prezioso, studi profondi e dif-
ficoltose ricerche, il prof. Correrà rivelava tra gli intimi e
tra i suoi discepoli una giocondità che l'avvolgeva di una
grande simpatia; però, quante volte nel corso della sua vita,
non scevra di disavventure, egli dovè ricercare nella sua
coscienza intemerata, nella fede cristiana, nel culto della fa-
miglia, la pace per la sua anima nobilissima e generosa !
quante volte l'amore per la scienza e per l'arte, la stima
affettuosa e devota dei suoi amici e dei suoi discepoli, la
meticolosa cura per i suoi libri e per le sue raccolte, lo aiuta-
rono a nascondere le grandi amarezze, perfino la violenza
brutale del dolore, sotto un sorriso costantemente dolcissimo
che si è spento d'un tratto !
* *
Rievocando oggi il nome caro e riverito di Luigi Cor-
rerà dobbiamo ricordare, come egli non inaridì mai la sua
anima di artista squisito della dottrina tra le antiche carte
e i libri, di cui rivelò ai giovani ogni fastigio col religioso
culto dell'amante, coli' inalterata coscienza dell'apostolo, e che
seppe raggiungere, nella sua nobilissima esistenza di studioso
geniale, la perfetta armonia tra la scienza e la vita, quale
egli le volle: una continua aspirazione ad ogni umano ideale.
Il Correrà, maestro di storia e di archeologia, fu sommo
conoscitore del mondo greco e del mondo romano, grecista
e latinista perfetto, epigrafista e numismatico di grande va-
lore, le cui opere non ebbero altra mira piìi agognata che
la illustrazione di queste regioni meridionali d'Italia che egli
amava di amore profondo. Dei nostri studi di storia e di
arte locale il Correrà si occupò amorosamente, fino agli
NECROLOGIE I35
ultimi giorni di sua vita ; fino agli ultimi giorni suoi egli ha
studiato ed amato, è stato esempio di operosità e di virtù
non comuni. Con Luigi Correrà è scomparso uno dei na-
poletani che più hanno onorata la Patria con il vigore dell'in-
gegno, con la vastità della dottrina, con l'austerità della vita
e con la nobiltà degli intenti.
Onore alla sua memoria !
Napoli, Aprile 19 16.
Memmo Cagiati.
LUIGI RIZZOLI (SENIORE)
—;-.—-" Di Luigi Rizzoli seniore (fu Giu-
seppe) defunto il io gennaio 1916
nella tarda età di quasi 86 anni,
profondamente commosso m' ac-
cingo a rievocare la nobile esi-
stenza con la gratitudine di chi
ebbe in lui una guida amorevole
allo studio della Numismatica e alla
pratica conoscenza delle antiche
monete, con l'ammirazione di chi
per essere a lui succeduto nel-
l'ufficio di Conservatore del Museo
Bottacin potè più e forse meglio degli altri apprezzarne il
lungo, proficuo e sempre diligentissimo lavoro compiuto a
vantaggio del Museo, con l'animo di un nipote che a lui fu
affezionatissimo.
Nato a Padova da Giuseppe Rizzoli e da Camilla Re-
nato (28 marzo 1830) e cresciuto accanto al padre noto an-
tiquario che a Padova conduceva un avviatissimo negozio
al quale avevano confluito incessantemente le più preziose
opere d'arte scultoria e pittorica, antiche armi e pregevoli
monete, e dove avevano trovato convegno i dotti della città
per intrattenersi sugli argomenti più disparati di scienza,
d'arte e di letteratura, Luigi Rizzoli senza aver potuto se-
guire un corso regolare di studi s'era creato un patrimonio
136 NECROLOGIE
COSÌ cospicuo di cognizioni storielle, numismatiche ed arti-
stiche, particolarmente padovane, da essere ben presto ap-
prezzato e consultato per la varia e soda coltura da emi-
nenti studiosi italiani e stranieri. Conseguita in pari tempo
la pratica del commercio antiquario, e favorito dall'esempio
del padre che meritamente legò il suo nome alla scultura
in avorio (i), s'era provato egli pure con successo a scolpire
l'avorio, l'alabastro, la madreperla e ad eseguire artistici in-
tarsi nei legni più ricercati per colore e durezza (2). Aveva
inoltre il Rizzoli continuato con ogni cura a dare incre-
mento ad una piccola ma interessante collezione di monete,
medaglie, tessere e bolle padovane (3), felicemente iniziata
dal fratello Pietro, studente d'ingegneria, morto a Padova
nel 1851 in seguito ad infezione malarica contratta a Bron-
dolo e a Chioggia durante l'assedio di Venezia, ch'egli con
ardore patriottico aveva raggiunto per offrirle il braccio
contro lo straniero oppressore (4).
E Luigi Rizzoli pure, sebbene non avesse partecipato
direttamente alle guerre per l'indipendenza nazionale, perchè
trattenuto presso il padre che aveva bisogno d'assistenza
per continuare nell'azienda antiquaria, aveva informato il suo
animo ai più sinceri sensi d' italianità, come ne diede prova
nel luglio del 1866 all' ingresso in Padova del magnanimo
Re Vittorio Emanuele IL Allora egli, in unione ad altro pa-
triotta, il prof. E. N. Legnazzi, ideò e fece costrurre in le-
gname sulla piazza delle Erbe un grandioso arco trionfale
ornato con trofei d'armi antiche e moderne e con bandiere
nazionali, che attestasse la gioia e la gratitudine di Padova
al suo Liberatore.
Rigido di carattere, onesto fino allo scrupolo, religioso
(i) Giuseppe Rizzoli padovano scultore in avorio e antiquario {Nozze
d'oro Berti- Rizzoli). Padova, 1890.
(2) La famiglia Rizzoli possiede non pochi di siffatti oggetti arti-
stici dovuti all'abilità ed al buon gusto di Luigi Rizzoli.
(3) Questa collezioncina fu dal Rizzoli stesso ceduta nel 1900 al
Museo Bottacin ; cfr. Collezione numismatico-sfragistica padovana [in
* Bollettino del Museo Civ. di Padova „, a. III]. Padova, 1900.
(4) SoLiTRo Giuseppe, Un valoroso dimenticato {Pietro Rizzoli i82'j-
i8ji) [estratto da " Il Risorgimento Italiano „, anno V (1912)]. Torino,
Bocca, 1912.
NÈCftOLOGlE 137
senza ostentazione, il Rizzoli godette non soltanto le sim-
patie di quinti ebbero occasione d'avvicinarlo, ma strinse
anche numerose amicizie, che si resero sempre più salde nel
periodo in cui prestò la sua opera come impiegato del Ci-
vico Museo di Padova, al quale fu assunto nel 1865, dopo
che cioè Egli aveva fatto ritorno da Trieste dov'arasi recato
per incarico del Comune di Padova a ricevere le raccolte
numismatiche, che il comm. Nicola Bottacin aveva a Padova
generosamente donate pare indichi
la dinastia dei Savoia, che abbraccia nel suo do-
minio Trieste redenta. Nello sfondo il golfo di
Trieste con la Penisola dell'Istria. Intorno, a cer-
chio, la leggenda scultorea nella sua classica bre-
vità IMMORTALE • ODIVM NVMQVAM • SANABILE •
VVLNVS •
51I — Entro una grande corona di quercia, chiusa in basso
da una targa romana coi numeri degli anni sto-
rici di questa guerra MCMXV — MCMXVI, domina
un'aquila romana, col capo volto a destra, posata
su una roccia, che ha dintorno gli stemmi delle
provincia redente all'Italia. Essa protegge con le
grandi ali raccolte questi stemmi, e soprattutto sul
dinanzi quelli di Trento e di Trieste. Nello sfondo,
dal lato di Trento si delineano le cime rocciose,
dal lato di Trieste se ne stende lontanando il golfo.
VARIETÀ 153
La medaglia, specialmente sul diritto, pel quale l'artista
non fu inceppato dalle figurazioni araldiche, e potè dare
slancio alla fantasia e al sentimento patriottico, si presenta
una forte opera d'arte, alla quale aggiunsero vigoria l'alto
rilievo, uscente libero dal cerchio, e la figura quasi diviniz-
zata dell'eroe, che si protende, nella bella nudità classica
degli eroi greci e romani, contro l'eterno oppressore. Questi
è ormai ridotto all' impotenza, quantunque sia armato degli
strumenti della tortura, coi quali per tanto tempo martoriò
i nostri infelici fratelli di stirpe, di gloria e di dolore.
Non si può osservare senza commozione questa nuova
opera dello Stabilimento Johnson. Esso non lascia passare
alcun avvenimento importante che non lo rievochi con qual-
che durevole contributo alla medaglistica nazionale. E noi
gli siamo questa volta doppiamente grati, perchè la sua me-
daglia è per sé stessa il più fervido augurio, la più ferma
promessa per la prossima completa liberazione delle terre
irredente dall'odiato giogo straniero. E un atto di coraggio
e di fede.
S. Ricci.
La vendita Ratti e la Collezione sfragistica al
Museo Municipale di Milano. — Durante la seconda metà
dello scorso marzo ebbe luogo a Milano, nelle sale del Cova,
la vendita della collezione del fu dott. Luigi Ratti, costituita
da stampe, libri, oggetti d'arte, documenti, sigilli, monete e
medaglie riferentisi all'epoca napoleonica e specialmente alla
città di Milano e alla Lombardia.
La parte più completa della collezione era la serie dei
sigilli, dalla dominazione spagnuola venendo fino all'austriaca;
ma la bella serie di circa 800 pezzi, subendo la sorte co-
mune di tutto il resto, andò frazionata nei giorni della ven-
dita fra numerosi acquirenti, sebbene tanto la Commissione
quanto il Conservatore del Castello, non avessero trascurato
di tentare in precedenza di assicurare al Comune l' intera
collezione. Le trattative abortirono e si dovette addivenire
all'asta pubblica, nella quale la gara si svolse specialmente
20
451 VARIETÀ
per talune serie di sigilli, concorrendovi anche il Governo
nell'intento di contestare il disperdimento fra i privati.
Per accordi intervenuti a mezzo del Conservatore, oggi
si può dire che la raccolta dei sigilli sia assicurata nella sua
quasi totalità al Comune, essendovi stata destinata in buona
parte il fondo del lascito Galeazzo Visconti, per incremento
dei Musei d'Arte. Con ciò si può affermare fondato il museo
sfragistico milanese, e, intorno a questo robusto primo nu-
cleo, sarebbe bene che venissero a riunirsi gli esemplari che
tutt'ora si trovassero vaganti, senza scopo, presso i privati.
Coloro fra questi che fossero possessori di qualche esem-
plare di sigilli, riguardanti Milano e la Lombardia, qualunque
ne sia l'epoca, dovrebbero affrettarsi a offrirlo alla nuova
collezione sfragistica del Castello. Un esemplare isolato o
pochi esemplari non hanno che un piccolissimo interesse ;
ma ne acquistano invece uno grandissimo, riuniti in un tutto
organico, come è quello che costituisce già oggi il nuovo
museo. Possiamo anzi già affermare che qualche privato ha
sentito il dovere di offrire qualche pezzo che conservava
in famiglia.
Sarebbe desiderabile che tale buon esempio avesse molti
imitatori.
La Direzione.
II commiato dal [pubblico del '' Supplemento al-
l'opera : Le Monete del Reame delle Due Sicilie „ di
Memmo Cagiati (i). — L'ultimo fascicolo di questa interes-
sante pubblicazione, che ha il vanto non solo d'aver conte-
nuto quelle correzioni ed aggiunte ai fascicoli dell'opera :
Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a
Vittorio Emanuele IL che poi troveranno posto in uno spe-
ciale volume, ma di essere stata la squilla di incitamento ai
collezionisti, ricercatori, numismatici e storici dell' Italia Me-
(i) Anno V, nn. 3-4, Napoli, luglio-dicembre 1915, del Supplemento
all'opera " Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a
Vittorio Emanuele li ^ a cura dell'autore Memmo Cagiati.
VARUETÀ 155
ridionale per collegarsi a un lavoro di ricerca utile e lode-
vole, contiene un gentile commiato del Consigliere Delegato
del Circolo Numismatico Napoletano, nella sua qualità di
fondatore e direttore del Supplemento stesso.
Partendo dal concetto, ormai riconosciuto da tutti, che il
maggior merito della pubblicazione del Cagiati è stato quello
di riunire in una associazione seria e fiorente, quale è il Cir-
colo numismatico napoletano, i cultori di studii numismatici
d'ogni parte d' Italia, il Cagiati riporta per intero la delibe-
razione del Consiglio Direttivo stesso del Circolo, come è
stata determinata nel processo verbale della seduta consi-
gliare del 5 ottobre scorso : * Il Consiglio, ad unanimità di
* voti, delibera la pubblicazione trimestrale del Bollettino
" del Circolo Numismatico Napoletano affidato alle cure ed
" alla responsabilità dell'Ufficio di Presidenza, che ne assu-
" mera la Direzione e l'Amministrazione. Plaude alla pro-
" posta del Consigliere Delegato, sig. Cagiati, ed alla sua
" decisione di cedere in omaggio all'Associazione, specie
" quando poteva dal suo Periodico, il Supplemento^ ricavare
" onore ed utile personale, il diritto di pubblicare una Ri-
" vista numismatica per le provincie meridionali d'Italia. Sta-
" bilisce che il Bollettino del Circolo Numismatico Napole-
" tano sia del formato e del tipo del Supplemento all'opera
" del Cagiati, in 16 pagine di testo con illustrazioni, coper-
" tina a parte, stampato in quel numero di copie necessario
" per essere distribuito gratuitamente a tutti i Soci del So-
* dalizio dal marzo 1916 (epoca in cui sarà pubblicato il
primo numero) ed ai non soci per abbonamento „.
Mentre a Memmo Cagiati dà tutto il suo plauso, la So-
cietà Numismatica Italiana, che ha l'onore di averlo suo Con-
sigliere, augura al nuovo Bollettino il miglior successo, come
quello che riunisce gli sforzi delle altre pubblicazioni numi-
smatiche italiane in una sola azione nazionale, dalle Alpi al
mare, per tenere alto e rispettato, specialmente in faccia allo
straniero, lo studio delle nostre discipline numismatiche e
medaglistiche nelle tre loro massime manifestazioni : le pub-
blicazioni delle ricerche o scoperte scientifiche, i cataloghi
delle collezioni pubbliche o private, gli insegnamenti per for-
mare nuovi numismatici, studiosi e collezionisti, che manten-
156 VARIETÀ
gano la nobile tradizione italiana nel nostro campo prediletto
di indagine scientifica.
Il fascicolo di commiato di Memmo Cagiati contiene un
Indice particolareggiato, ordinato per nome di Autore, di
quanto è contenuto nelle cinque annate 1911-15 del Periodico
Supplemento all'opera: " Le Monete del Reame delle Due Si-
cilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele IL Questo in-
dice è seguito da un secondo dei sommarli di ciascun nu-
mero per le cinque annate sopradette del Periodico Supple-
mento e dall'elenco delie opere numismatiche di Memmo Ca-
giati, fra le quali primeggiano le Monete del Reame delle
Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele II, edi-
zione in 300 esemplari numerati e firmati dall'Autore, divisa
in tre grandi parti, di cui la prima, illustrante la Zecca di
Napoli, la seconda illustranti le Zecche minori del Reame di
Napoli sono già pubblicate; la terza parte, comprendente le
Zecche Siciliane, è in corso di stampa.
S. Ricci.
Riunione delle Collezioni Numismatiche di Milano.
— Il Consiglio Comunale di Milano approvò definitivamente,
in prima lettura, nella seduta del 28 gennaio e, in seconda,
nella seduta del 25 febbraio, la Convenzione col Governo
relativa alla riunione delle Collezioni numismatiche, quale
l'abbiamo data nell'ultimo fascicolo.
Finito di stampare il 15 aprile 1916.
RoMANENGHi Angelo FRANCESCO, Gerente responsabile.
FASCICOLO IL
APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA
CXI e CXII.
LA FAUNA E LA FLORA
NEI
TIPI MONETALI.
(Continuazione e fine, vedi fase. I, 1916, pag. 11 a 83).
PARTE IL
LA FLORA.
(Tav. V e VI).
La Flora seguì immediatamente la Fauna nei tipi delle
più antiche monete. Nel primo periodo greco, al Toro, al Del-
fino, alia Civetta vennero subito ad aggiungersi la Spiga di
grano, il Grappolo d'uva, la Palma, la Foglia d'Acanto e
la Rosa; e il medesimo fatto si veritìcò nella monetazione
romana.
La serie della Flora è assai meno numerosa di quella
della Fauna ; ma ciò non vuol punto significare che essa sia
meno interessante.
Come nella Fauna, così anche nella Flora, varia è l'im-
portanza dei diversi soggetti, come varia è la loro durata.
Alcuni non sono che occasionali e passeggeri, altri accompa-
gnano la monetazione romana dalle sue origini alla sua fine.
La Rosa, il Cipresso, il Fico, il Pino non vi fanno che una
rapida apparizione e con pochissimo interesse, mentre l'Ai-
i6o
FR. GNECCHI
LA FAUNA E LA FLORA
loro, la Quercia, la Palma e la Spiga di grano spiegano la
loro lunghissima vita con una espressione non certo minore
dei più importanti soggetti della Fauna. La loro allegoria
non è meno significativa e il loro allacciamento con la storia
politico-sociale non è meno stretto ed è altrettanto continuo.
Essi pure — e mettiamo in prima linea l'Alloro e il Fru-
mento, quello per la parte morale, questo per la parte ma-
teriale — rappresentano le glorie e gli interessi più impor-
tanti del popolo e dello stato.
Alcuni soggetti della Flora, come parecchi della Fauna,
sono talora rappresentati quali Tipi, e specialmente l'Alloro,
la Spiga di grano, la Palma e la Quercia ; ma più spesso
ai vegetali tocca una posizione meno elevata, non essendo
rappresentati che quali attributi, emblemi, accessori! o sem-
plicemente quale ornamento, sempre però con un significato
allusivo.
Al pari di alcuni soggetti della Fauna, ne troviamo nella
Flora parecchi, che non sono esclusivi della monetazione ro-
mana; ma che riconoscono la loro origine nella numismatica
greca ed hanno una continuazione nella medioevale italiana
e nella moderna, come si andrà accennando di volta in volta.
Discorrendo della Fauna, abbiamo notato come talora
vi hanno differenze di significato fra l'uno e l'altro sesso. No-
teremo ora come dei vegetali, talora sia il solo fiore o il frutto
che viene rappresentato, talora la fogha, la fronda, il ramo
o anche l'albero intero.
La Flora comprende 15 voci, ossia :
Alloro
Giunco
Quercia
Cipresso
Loto
Rosa
Edera
Palma
Ulivo
Fico
Papavero
Vite
Frumento
Pino
Vegetali diversi
NEI TIPI MONETALI ROMANI l6l
ALLORO.
Il caso che, alfabeticamente, nel nostro idioma, assegnò
il primo posto nella Fauna all'Aquila, l'assegna nella Flora
all'Alloro. Come l'Aquila primeggia fra gli animali, il Laurus
nobilis è quello fra i vegetali, che ha, nella tipologia romana,
se non il posto più importante, certamente il più alto e più
glorioso. L'Aquila e l'Alloro, indicati in origine a rappresen-
tare la vittoria, la potenza e la gloria, divennero in seguito
gli emblemi più chiari e più caratteristici della divinità dap-
prima, poi del potere e della dignità imperiale.
Dell'Alloro sono rappresentati nelle monete il ramo e
la corona, più raramente, l'albero.
Troviamo il ramo la prima volta accanto alla sedia cu-
rule, nel denario di Q. Pompeo Rufo, 58 a. C, e una se-
conda, accanto alla Lira, nel denario di Q. Cepione Bruto,
44-43 a. C. Due festoni di lauro ornano la vera di pozzo di
L. Scribonio Libo, 54 a. C. Due rami d'alloro pendono dal
tripode nell'aureo di C. Cassio Longino, 42 a. C. e due rami
d'alloro troviamo pure nell'aureo di P. Licinio Stolo, 17 a. C.
(Grueber, 11, 81), fiancheggianti le insegne pontificali.
Con Augusto il ramo d'alloro fa la sua più larga appa-
rizione. Nell'aureo di Caninio Gallo due rami fiancheggiano
una porta, che dovrebbe essere quella del palazzo imperiale.
E i due rami troviamo ancora in aurei e denarii dello stesso
Augusto. In un primo tipo (Coh., 47-48) l'effige anepigrafa
dell' imperatore è fregiata della corona civica, e, alla corona
imperiale, pare suppliscano i due rami d'alloro che stanno
al rovescio, con la leggenda CAESAR AVGVSTVS. In altro tipo
(Coh., 50 a 53) i due rami d'alloro sono posti ai lati dello scudo
votivo. In un terzo la moneta è senza effigie (Coh., 206 a 208).
Il rovescio è dedicalo alla corona civica, con la solita leg-
genda GB CIVIS SERVATOS. e, al diritto i due lauri, con la
leggenda CAESAR AVGVSTVS, oltre che a commemorare le
due vittorie di Tiberio in Pannonia e di Druso in Germania,
stanno a sostituire l'effigie imperiale.
In tutti i sesterzii poi coniati dai monetarii d'Augusto,
l62 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
recanti la corona civica (vedi Quercia), questa è sempre fian-
cheggiata dai due rami d'alloro.
I due rami d'alloro d'Augusto vennero riprodotti da
Vespasiano (Coh., 109-110) e da Tito (Coh., 47) nell'occasione
del centenario già piii volte citato a diverse voci della Fauna.
Dopo questi e, dopo alcuni piccoli bronzi di Domiziano
(Coh., 525 a 529), rappresentanti un Corvo poggiato su di un
ramo di lauro, in alcuni dei quali (Coh., 526 a 528), un ramo
d'Alloro figura pure al diritto della moneta, come simbolo
di gloria, davanti alla testa d'Apollo, esso non appare più
che quale simbolo di vittoria, nelle mani dell'Imperatore, del
Senato, o di qualche divinità.
E veniamo alla Corona, il simbolo che, sempre nel si-
gnificato del massimo potere, accompagna tutta la moneta-
zione romana dalla sua aurora al suo tramonto e che cronolo-
gicamente ci si presenta prima del ramo e prima dell'albero.
La testa di Giove è coronata d'alloro nel semisse della
monetazione pesante e lo è sempre in seguito, ogni volta
che viene riprodotta nelle monete della Repubblica, come
lo sono quelle di Giano, di Saturno, d'Apollo.
La corona d'alloro figura pure in diversi altri modi in
molte monete d'ogni metallo. Già, durante la Repubblica, la
troviamo dapprima come simbolo in monete anonime, poi in
quelle delle famiglie Acilia, Aelia, Aemilia, Antonia, Arria,
Aurelia, Caecilia, Carisia, Cornelia, Fabia, Fonteia, Hosidia,
lulia, Lucilia, Manlia, Plaetoria, Valeria, Vibia, talora esposta
veramente quale Tipo, talora circondante l'effigie del diritto
oppure la rappresentazione o la leggenda del rovescio.
Ciò avviene più raramente durante l' impero, ove però
i voti: VOTA o VOTIS X, XV, XX. SIC XX, SIC XXX, ecc., o
altre leggende importanti sono iscritte in una corona laurea.
La corona d'Alloro è l'attributo più espressivo e più
costante della Vittoria e talvolta anzi la sostituisce e la rap-
presenta, come ne abbiamo un esempio nei bronzi di Nerone,
nei quali il tipo di Roma è abbondantemente rappresentato.
Nel sesterzio la dea Roma regge una piccola Vittoria, mentre
nei moduli minori, a questa è sostituita la semplice corona.
Come attributo della Vittoria, essa ha una rappresenta-
zione estremamente numerosa.
NEI TIPI MONETALI ROMANI 163
La troviamo per la prima volta accoppiata alla Palma nella
dramma della Campania, e da allora possiamo dire d'avere
un seguito ininterrotto di Vittorie e quindi di corone sulle
monete di ogni magistrato monetario e d'ogni imperatore.
La Vittoria non cessa di reggere la corona, se non quando
cessa d'avere significato e l'Alloro scompare contempora-
neamente all'Aquila, ai tempi della decadenza.
Ma l'ufficio più alto e più glorioso delia corona d'Al-
loro è quello che essa compie quale ornamento delle effigi
imperiali.
Col principio dell'impero, con l'assunzione del principe
a una dignità semidivina, che permetteva di dedicargli un
culto, come testificano le monete, nelle quali è rappresentato
il tempio a Roma e ad Augusto — ROìH{ae) ET hW(r{usio) —
la corona d'Alloro passa dal capo di Giove, d'Apollo o d'al-
tra divinità a quello dell'Imperatore romano. Essa non è più
un semplice segno di Vittoria, ma riassume il significato del
potere imperiale, e il suo posto non è più solamente al ro-
vescio delle monete, sia pure quale Tipo; ma al diritto ove,
quale marchio del supremo potere, cinge il capo dell* impe-
ratore.
Il Tipo che consacra questo fatto l'abbiamo in alcuni
bronzi d'Augusto, coniati dai suoi monetarii P. Lucio Agrippa
e Salvio Ottone, in cui si vede, dietro al capo dell' impera-
tore, una piccola Vittoria che gli sta allacciando la corona
(Coh., 447, 517 a 519).
Non sono che i pochi principi abusivi, i tiranni, che non
osarono assumere la corona di lauro, come Pacaziano, Gio-
tapiano. Marino, Regaliano, Mario, Vaballato.
Tutti i veri imperatori la portarono e non venne abban-
donata, se non quando gli imperatori decadenti, vedendosi
sfuggire di mano il potere reale, non trovarono di meglio
che accontentarsi delle apparenze. E, come, avendo perduto
l'arte dei bei medaglioni di bronzo, credettero supplirvi col
valore intrinseco del metallo, coniandone dei miserevoli in
oro, alla semplicità della verde corona d'alloro, sostituirono
uno sfarzoso diadema di pietre preziose.
La corona d'alloro non è certamente ornamento fem-
minile. Assai meglio alla donna si adatta il filo di perle o il
164 FR. GNFXCHI — LA FAUNA E LA FLORA
diadema ; ma però ne troviamo qualche volta eccezional-
mente ornata la testa di Sabina (Coh., 19, 20, 92).
Non occorre quasi accennare come l'Alloro a guisa del-
l'Aquila, abbia perdurato, senza interruzione, a occupare un
posto eminente nella numismatica medioevale e nella moderna.
L'albero figura ancora talvolta come Tipo e citerò il
testone di Francesco II Sforza per Milano col vecchio Alloro
che non cede all'imperversare del vento NEC SORTE NEC
FATO.
Il ramo lo vediamo innumerevoli volte sporgere dalle
corone gentilizie, reali o imperiali, oppure dagli stemmi,
frammisto ad altro di Palma o d'Ulivo.
E così pure è grandissimo il numero delle teste di re-
gnanti cinte di corona laurea, la quale passò coi tempi da
Augusto a Carlo Magno, a Carlo V e a Napoleone.
La corona d'alloro figura sempre, anche al giorno d'oggi
in un sì gran numero di monete e di medaglie, che non è il
caso di fare citazioni.
CIPRESSO.
Eliogabalo teneva come albero sacro il Cipresso, e ap-
punto di tale albero può interpretarsi il ramo che talvolta
tiene nella destra (Coh., 213).
EDERA.
La Vite e l'Edera sono le due piante sacre al dio del-
l'ebbrezza e della giocondità. 11 perchè della prima non abbi-
sogna di spiegazione; ma, siccome di questa era facile l'abuso,
la seconda serviva di antidoto, volendo la fama che fosse
un calmante ai soverchi ardori provocati dal bacchico liquore.
Oltre a ciò, l'Edera, come arbusto sempre verde, simboleg-
giava la perpetua giovinezza. E per l'uno e per l'altro mo-
tivo, la troviamo sempre collegata a Bacco e a* suoi seguaci,
più ancora che non la Vite. D'Edera è quasi sempre coronata
la testa di Bacco, di Sileno il suo educatore, di Libera e di
Feronia. La più antica testa di Bacco coronata d'Edera è
Mei tipi monetali romani 165
quella che ci presenta il bes di C. Cassio Longino, 109 a. C. ;
riprodotta in seguito nei quinarii di M. Porcio Catone, loi
a. C, nel denario di Q. Tizio, 90 a. C, in quello di M. Vol-
tejo, 88 a. C. e di C. Vibio, 43 a. C.
L. Cassio, 79 a. C, ha un denario con la testa del Li-
bero Padre da un Iato, coronato d'Edera e quella di Libera
dall'altro, coronata di pampini ; C. Vibio Pansa, 90 a. C, ci
offre, oltre alla testa di Bacco, quella di Silene, pure coro-
nata d'Edera.
E arrivianjo ai cistofori di Marc'Antonio, in cui l'Edera
cinge la testa imperiale, oppure, mista a grappoli d'uva corre
tutto air ingiro della rappresentazione del rovesciò (Coh., i).
Nelle monete imperiali bisognerebbe seguire tutte le rap-
presentazioni bacchiche, per intravvedere nelle minutissime
proporzioni l'Edera che circonda il capo di Bacco, o che si
intreccia sul suo tirso, talvolta frammista ai pampini.
Una sola volta, a mia cognizione, è rappresentata la
testa di Bacco nel campo della moneta ed è nel rarissimo
antoniniano di Gallieno dal rovescio CONSERVATOR EXERC
(Coh., 139 (i)) ed è in questa sola che possiamo chiaramente
discernere le foglie d'edera che ne costituiscono la corona.
FICO.
Non entra nella numismatica romana che il Fico Rumi-
nale e che forse meglio si direbbe Romilare, — quello cioè
sotto cui la leggenda racconta che il Pastore Faustolo incontrò
la Lupa allattante i Gemelli. — L'episodio è rappresentato
dal denario già descritto nella Fauna {Lupa) di Sesto Pompeo
Faustolo, 129 a. C, e, dopo d'allora, non ritroviamo più
traccia di quest'albero.
FRUMENTO.
Il Chicco di grano e la Spiga sono gli emblemi della
Fertilità e dell'Annona, rappresentano cioè la base dell'ali-
mentazione. Era naturale che ne dovesse ben presto appro-
(i) Rettificato nella Rivista Hai. di Nutn., 1913. V. Franc. Gnecchi,
Bacco, pag. 151 e segg.
l66 FR. GNECCHI — LA FAUNA K LA FLORA
fittare la monetazione romana, come già aveva fatto la greca,
specialmente nelle Provincie dell' Italia Meridionale.
Il Chicco di grano già si trova in parecchi bronzi italici
primitivi del Lazio e dell'Italia Centrale, e già la Spiga fi-
gura nell'oncia di Lucerà e in un rarissimo bronzo quadri
latero.
In seguito, il Chicco fu abbandonato e la Spiga prese
il sopravvento. Essa figura nel quadrante della Campania
e in alcune monete anonime, certamente nel significato di
fertilità dei campi, come la vediamo in seguito formare la
corona di Cerere in denarii di C. Cassio Ceiciano, 90
a. C, M. Fannio e L. Critonio, 89 a. C. , di L. Furio
Brocco, 53 a. C, di Q. Cornuficio, 46 a. Ce nell'aureo
di Mussidio Longo, 43-42 a. C. Anzi in quest'ultimo, non
solo forma l'ornamento del capo di Cerere; ma è ripetuta
quale Tipo monetale nel rovescio, come lo è pure in un
denario di Q. Fabio M. Eburneo, 123 a. C, e in altro di
Postumio Albino, 4342 a. C.
Ma, durante la repubblica e anche durante l' impero, la
Spiga che appare sovente, dapprima isolata nel campo della
moneta, poi sporgente dal modio, o quale attributo e orna-
mento di Cerere, più che la fertilità della terra, era dedicala
a significare l'Annona o l'approvigionamento dello Stato, e
quasi sempre rammenta e glorifica i fatti che vi riferiscono.
C. Minucio Augurino, 129 a. C., ad esempio, rappresen-
tando nel suo denario il monumento eretto tre secoli avanti
al Console L. Minucio, vi pianta due Spighe allato, onde ri-
cordare come quel monumento fosse stato la ricompensa per
l'approvigionamento di Roma.
M. Marcio, 119 a. C, mette nel suo denario le Spighe
per glorificare il padre, che aveva saputo fornire a Roma il
frumento al prezzo infimo di un asse per misura.
C. Norbano, 84 a. C, pure volle glorificare il padre,
che, durante la guerra sociale, seppe così bene approvigio-
nare la città di Reggio, che i nemici ne dovettero abbando-
nare l'assedio.
Fausto Cornelio Siila, 64 a. C, allude colla Spiga al-
l'approvigionamento di Roma eseguito da Pompeo.
E altri parecchi magistrati ricordano col simbolo della
NEI TIPI MONETALI ROMANI J67
Spiga le cariche di edili, come T. Vettio Sabino, 69 a. C,
onorevolmente sostenute da loro stessi o da qualche loro
antenato.
La Spiga isolata nel campo non figura che eccezional-
mente nelle monete imperiali, come, per esempio, due Spighe
stanno davanti all'effigie della Spagna in un denario auto-
nomo di Galba (Coh., 429).
Tiberio, in un raro suo bronzo (Coh., io), unisce due
Spighe al Caduceo, per indicare il connubio del Commercio
e dell'Agricoltura. In denarii e medii bronzi di Vespasiano
(Coh., 163-4, 16970) e di Tito (Coh., 87, 89, 90) due mani
giunte stringono un Caduceo e due Spighe con la leggenda
FIDES PVBLICA, quasi per collocare il felice connubio sotto
r invocazione della pubblica lealtà. Il medesimo simbolo è
ripetuto da Antonino Pio (Coh., 344, 833, 871 a 873, 920,
1056), quantunque vi manchi la leggenda.
Quale 7 ipo poi figura più spesso il mazzo di Spighe,
del quale Augusto diede il primo esempio coi suo cistoforo,
imitato in seguito da parecchi, da Nerva fino a Giulia Donina;
oppure il canestro di Spighe, di cui abbiamo il primo esempio
in Domizia (Coh., 13 a 15), seguito poi da Pescennio e da
Sett. Severo con la leggenda FELICITAS TEMPORVM.
Di Cerere, sulle monete imperiali non è più rappresen-
tata l'effigie, ma la personificazione, e la corona di Spighe
dalla testa della bionda regina dei campi passa a quella di
alcune Auguste, specialmente votate al suo culto.
Livia, che apparteneva a questa schiera, non è coronata
di Spighe che nelle sue monete coloniali ; ma, ne! seguito
della serie romana, abbiamo Antonia in un aureo (Coh., i)
e in un denario (Coh., 2), Agrippina giovane in un meda-
glioncino d'argento, al rovescio di Claudio (Coh., 3), Domizia
in diversi piccoli bronzi (Coh., 13 a 18), Sabina in bronzi
(Coli., 21 a 23, 41, 42, 61, 63), in denarii (Coh., 32, 44, 56),
in un aureo (Coh., 28) e nell'unico suo medaglione (Gn. i).
Qualcuno credette vedere la corona di Spighe su alcuni
aurei di Gallieno, fra cui quelli dedicati alla dea Galliena
GALLIENÀE AVGVSTAE ; ma ormai è ammesso che si tratta
sempre della corona di Giunco. Ved. a questa voce.
La personificazione di Cerere nelle monete impenali,
l68 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
tiene ordinariamente in mano due o tre Spighe, talvolta due
Spighe e un Papavero e appare in un numero grandissimo
di monete, incominciando da Giulio Cesare, proseguendo
quasi senza interruzione, fino a Caracalla ; alla quale epoca
cessa, per non riprendere che eccezionalmente con Claudio
Gotico (?) e Giuliano IL
Parecchie volte ancora ricorre la Spiga anche in mani
diverse da quelle di Cerere, come per esempio in quelle di
Livia d' Augusto poi dell'Annona , dell'Abbondanza, della
Speranza, di Mercurio, di un Genio, di qualche Augusta. Nei
medaglioni introdotti da Adriano e spesso ripetuti in seguito
col tipo delle quattro Stagioni, rappresentate da quattro put-
tini, nelle mani dell'Estate, vediamo costantemente le Spighe.
Fino dalla repubblica e continuando coll'impero, la Spiga
è adibita a indicare in modo speciale la fertilità dell'Africa
e ne diviene uno degli emblemi ; così nel denario di Q. Me-
tello Scipione e in quello del legato Eppio, 48-44 a. C.
Nelle monete imperiah, quando venne introdotta la Per-
sonificazione dell^Africa e specialmente dell'Egitto, vediamo
la Spiga spuntare dalla terra, nei bronzi di Adriano dalla
leggenda RESTITVTORI AFRICAE, oppure sporgere dal cor-
nucopia che tiene il fiume Nilo, in rappresentanza dell'Egitto.
Vedansi le numerose monete di Adriano, dalla leggenda
NILVS (Coh., 982 a 1002).
L'Ippopotamo, il Coccodrillo e lo Scorpione non sono
che gli emblemi puramente geografici dell'Egitto; la Spiga
è qualche cosa di più, accennando alla fecondità del suolo,
e pare che a questo significato tendessero in modo speciale
le rapprentazioni di quel fertile paese. Io credo anzi che
tale medesima significazione abbiano i piccoli bambini che
talvolta si vedono scherzare intorno al colosso del vecchio
Nilo. Chi, in quei bambini, vuole riconoscere i confluenti
del massimo fiume dell'Egitto, non riflette che, in tal caso,
il loro numero dovrebbe essere fisso e costante, mentre il
numero varia da uno a tre nelle monete, e diviene assai più
considerevole nelle grandi sculture. Nel più splendido esem-
plare delle rappresentazioni del Nilo, che si conserva nel
Braccio Nuovo del Vaticano, il numero dei bambini scher-
zanti e saltellanti, sale a sedici !
NEI TIPI MONETALI ROMANI 169
D'altronde, i confluenti del Nilo sono tanto lontani dal-
l'Egitto abitato e civile d'allora, che assai probabilmente a
quell'epoca non erano conosciuti. E poi ancora, i bambini
sono discendenti, rappresentano cioè la posterità — e potreb-
bero in ogni caso alludere alle diramazioni del delta —
mentre i confluenti sono, se vogliamo così chiamarli, gli
antenati o i progenitori del fiume. Mi pare quindi più ovvio
e piti razionale di pareggiare quei pargoletti alle Spighe,
riunendoli a queste nella significazione della fecondità di
quella terra, portata appunto dal Nilo.
Un'emblema che equivale alla Spiga pel significato è il
modio. La sua figurazione come Tipo, già iniziata da L. Se-
stio, 44-42 a. C, nel suo quinario e da Livinejo Regolo,
43-42 a. C, nel suo denario, prende un grandissimo sviluppo
durante l'impero. La sua più importante apparizione quale
Tipo, l'abbiamo in un sesterzio di Nerva con la leggenda
PLEBEI VRBANAE FRVMENTO CONSTITVTO, rammentando
con ciò la riorganizzazione del servizio annonario in Roma.
Il modio, da cui generalmente emergono alcune Spighe
e spesso anche il Papavero, figura ancora qualche volta
come Tipo in piccoli bronzi di Claudio (Coh., 72 a 75), di
Adriano (Coh., 472) e in monete di Antonino Pio (Coh., 183,
834, 874-75). Più spesso lo vediamo quale copricapo del
Genio del Popolo romano o di qualche divinità come Iside,
Serapide, Plutone, in segno di ricchezza e di abbondanza.
Ma la sua serie più grande è quella che accompagna le
Personificazioni dell'Abbondanza e dell'Annona, e special-
mente di quest'ultima, di cui diventa l'attributo indispensa-
bile. L'Abbondanza e l'Annona vengono riprodotte quasi
ininterrottamente sulle monete di tutti gli imperatori, da Ne-
rone fino a Gallieno, ed eccezionalmente anche più in là.
L'Annona poi, il vero simbolo dell'approvigionamento,
non ha solo il modio come proprio emblema; ma ne pos-
siede un altro molto più grandioso. Assai sovente, al se-
condo piano delle monete raffiguranti l'Annona, si vede spor-
gere la prora di una nave, la quale, in questi casi, non è
l'espressione della forza marinara della nazione; in senso
bellico; bensì della sua flotta mercantile, adibita in modo
speciale al rifornimento dei viveri.
170 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Già sotto Nerone troviamo nella sua monetazione colo-
niale rappresentate delle navi accompagnate dalla leggenda
ADVENTVS AVGVSTI (Coh., 403 a 409); ma venendo alle mo-
nete di Roma, tutte le triremi che costituiscono il Tipo di
molti bronzi o denarii di Adriano, di M. Aurelio, di L. Vero
e d'altri imperatori non hanno altra espressione che quella
sopra accennata. Esse non parlano di distruzione, di rovine o
di guerra, ma unicamente di pace e di abbondanza. Sono le
navi che portano i prodotti dell'Africa e della Sicilia all'Urbe
e rappresentavano la vita del popolo romano, il quale le
salutava allegramente al loro arrivo. Ciò dà la chiave delle
leggende che le accompagnano, le quali altrimenti rimar-
rebbero inesplicabili.
FELICITATI AVO- leggiamo in gran numero di bronzi e in
qualche denario d'Adriano (Coh., 651 a 713) e l'iscrizione tal-
volta è collocata sulla vela, in bronzi di M. Aurelio (Coh.,
188 a 195), di L. Vero (Coh., 69 a 84) e in un aureo di Gal-
lieno (Coh,, 207), FELICITATI CAES in un bronzo di Com-
modo (Coh., 118), FELICITAS TEMP in un bronzo d'Elioga-
balo (Coh., 27), PROVID AVG in un medaglione di Commodo
(Gn., 122) e in altri suoi bronzi (Coh., 635 a 639), FELICITAS
AVG in bronzi di Carausio (Coh., 65-66), LAETITIA AVG m
piccoli bronzi di Postumo (Coh., 164 a 186), di Alletto (Coh.,
17 a 22), ABVNDANTIA AVG in un piccolo bronzo di Caro
(Coh., 5). E probabilmente a questa serie vanno aggiunte
anche le altre monete rappresentanti una trireme, senza
leggenda che vi alluda, come quelle d'Adriano (Coh., 445-49)
dalla semplice iscrizione COS III.
In quelle triremi sta la più potente espressione di quel
chicco di grano, che sotto svariate forme, ora solitario, ora
raccolto nella buccia della Spiga, oppure ammucchiato nel
modio o più grandiosamente accumulato sulle navi, s'infiltra
in tutta la monetazione romana e tutta la pervade dal prin-
cipio alla fine, mettendovi una nota di felicità e di ricchezza.
Anche al giorno d'oggi arrivano d'oltre oceano i tran-
santlantici carichi di grano per la vecchia Europa, che non
produce abbastanza pel suo consumo; ma la poesia se n'è
andata. L'impressione che ne hanno i popoli non è più la
schietta gioia di vivere ; ma piuttosto il dolore dell'oro occor-
NEI TIPI MONETALI ROMANI
lente a pagarne l'importazione; a cui bisogna aggiungere...
proprio nel momento in cui scriviamo..., anche la trepidazione
e l'incubo dei siluranti nemici, che attendono i carichi al
varco, per calarli proditoriamente a picco!
La simbolica Spiga durò anche oltre l'epoca romana:
ma nel medio evo quando, più che alla fecondità della pace,
si pensava alle agitazioni della guerra, essa non vi fece che
poche comparse.
Nel vero significato antico non troverei che le due Spighe
nel pezzo da quattro scudi d'oro di Alessandro Vili (1689-
1691) per Roma coi due bovi aggiogati all'aratro e la leg-
genda RE FRVMENTARIA RESTITVTA ; mentre negli altri
esempi che si possono citare, è d'uopo riconoscere che il
movente era stato piuttosto l'ostentazione che la realtà. Ab-
biamo il mazzo di Spighe nello zecchino di A. Teodoro Tri
vulzio del 1676 {Corpus, i), con la leggenda VIRTVTIS MESSIS,
nella parpagliola di Filippo II di Spagna per Milano coniata
nel 1593 con DONVM DEI, falsificata poi dalla zecca di Pas-
serano, nello scudo di Innocenzo XII (1691-700) per Roma
con la leggenda DET DEVS DE COELO e in varie monete di
Filippo III e Filippo IV di Spagna per Napoli e in altre
della repubblica napoletana del 1648... ma erano sempre
tempi di miseria!
La Spiga risorse nel suo vero significato nell'età moderna
quando tornò a spirare l'aura di libertà e di progresso.
Nel mezzo scudo della Repubblica Cisalpina (1797-1802)
essa corona il capo della Repubblica. E più copiosamente
figura nel primo progetto per la monetazione della Repub-
blica Italiana del 1802-1803, tutto dedicato all'Agricoltura e
al Commercio. Mentre i pezzi d'argento erano ornati al di-
ritto d'una ghirlanda di Spighe, quelli di rame da i, 2 e 5
denari portavano pure al diritto, come Tipo e nello stesso
tempo come indicazione di valore espresso in cifre al rove-
scio, una, due e cinque Spighe.
Il grano ha pure una parte importante nella nostra mo-
netazione moderna. La moneta d'oro rappresenta l' Italia
Agricola che sta arando e nello stesso tempo tiene — forse
anticipando gli eventi — un grosso manipolo di Spighe.
172 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
La Spiga figura pure nel 20 centesimi di nichelio, e
figurerà anche presto nel pezzo da io centesimi, di pros-
sima coniazione. In questi momenti torbidi e tristi la Spiga
ci sia buon augurio di pace e di prosperità.
" Non divitiae pacem, sed pax divitias „.
GIUNCO.
Il Giunco o canna palustre è uno degli attributi delle
(IfMtà marine, fluviali o lacustri, come il remo, l'urna da cui
sgorga l'acqua, l'Ippopotamo o il Pesce.
Lo troviamo quindi nei bronzi di Nerone (Coh., 250
a 254), di Vespasiano (Coh., 404) e di Trajano (Coh., 525-26),
nell'aureo d'Adriano (Coh., 11 13), nei medaglioni d'Antonino
Pio (Gn., I a 3) e ne' suoi bronzi (Coh., 817 a 825) e nel
medaglione di M. Aurelio (Gn., 24) col Tevere; nei bronzi
di Trajano con l'Eufrate e il Tigri (Coh., 39), col Danubio
(Coh., 136) o con l'Acqua Trajana (Coh., 20 a 25); nei me-
daglioni di Adriano (Gn., 48, 49, 104) con l'Oceano.
E, per non dilungarci troppo in citazioni, ci limiteremo al-
l'aureo di Gallieno (Coh., 828), nel rovescio del quale l'im-
peratore è rappresentato con un Giunco in mano, fra il Reno
e il Meno, i quali pure sono forniti del Giunco.
Ma con Gallieno il Giunco è assunto all'onore di cin-
gere quale corona il capo imperiale. In un medaglione unico
di bronzo (Gn., 24) dal comunissimo rovescio delle Tre Mo-
nete e in parecchi aurei dal rovescio VBIQVE PAX e VICTO-
RIA AVG- (Coh., 1078) e con la strana e curiosa leggenda
al diritto GALLIENAE AVGVSTAE, il capo dell'imperatore è
ornato della corona harundinacea.
Molto si è discusso intorno a questi aurei, ai quali per
lungo tempo si volle attribuire un significato satirico, che
però non regge alla critica. Pare invece molto più natu-
rale l'ipotesi, che queste monete siano state coniate in
omaggio alla Ninfa Galliena, divinità acquatica (i). Questa
(i) Vedasi in Num. Circular^ 1899. R- Movat, Les Médailles de Gal-
lien à l'effigie couronnée de roseaux, pag. 3449 e in Rivista Hai. di Num.,
a. 1905. L. Naville, Quelques moimaies de Gallien en or et en bronae,
pag. 179 e Francesco Gnkcchi, idem, 1906, Ubique Pax, pag. 151.
NEI TIPI MONETALI ROMANI I^S
ipotesi spiega nel medesimo tempo in modo esauriente tanto
la leggenda femminile, da interpretarsi in senso dedicatorio
alla Ninfa, cui Gallieno prestava un culto speciale, quanto la
corona di Giunco, eccezionalmente adottata in omaggio alla
medesima Ninfa,
Un altro caso, che con questo ha qualche analogia è quello
di una piccola tessera incerta dell'alto impero, che porta la
testa di un bambino velato e coronato di Giunchi, mentre
al rovescio ha le semplici lettere S-C- in una corona d'ulivo.
Questa tessera è, assai probabilmente, il ricordo funebre del
piccolo Annio Vero, figlio di M. Aurelio, morto a sette anni,
forse votato in quell'occasione a una Ninfa o a una divinità
acquatica.
Vedasi alla voce Vite, ove si descrive una tessera simile
attribuita al medesimo fanciullo vivente.
LOTO.
Quale veramente fosse la pianta di Loto che godeva
culto in Egitto, e piiì anticamente in India, non sappiamo.
Si trattava però d'una pianta acquatica, d'una ninfea. Era
perciò intesa quale simbolo della generazione, prevenendo
così la scienza moderna che dall'acqua ritiene formato il
protoplasma.
Il fiore di Loto ebbe già una vita nella numismatica
greca e, nella romana, non l'ha che per riflesso della mito-
logia egiziana. Non è che l'ornamento del capo d'Iside in
qualche bronzo, come Adriano (Gn., 130-31; Coh., 1369), An-
tonino Pio (Coh., 26), Faustina seniore (Gn., 37), Faustina
juniore (Gn., 42 a 44) e piii tardi nelle molte rappresenta-
zioni della dea egiziana, che ci offrono parecchi piccoli bronzi
di Giuliano II ed Elena.
PALMA.
Il Palmizio o albero di Palma (e s'intende generalmente
la Phoenix dactilifera), ha un significato molto differente
dalla semplice fronda, a cui pure si dà il nome generico di
Palma.
83
174 ^^' GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Il primo non ha che un significato geografico. Indicava
anticamente la Fenicia ; ma, nella numismatica romana, è
specialmente chiamato a indicare la Palestina, ossia la Giudea.
La Palma invece, ossia la fronda, veniva offerta dai
Greci ai vincitori dei pubblici giuochi e restò in seguito sim-
bolo di Vittoria in guerra. In tale significato generale rima-
sero parecchie frasi nel linguaggio comune, come riportare
la Palma, le Palme accademiche, la Palma del martirio.
La Palma appare assai prima del Palmizio nella numi-
smatica romana e già la troviamo in un sestante primitivo del-
l'Umbria, dopo il quale passa e si perpetua nelle monete della
Repubblica e dell'Impero. Raramente però ci appare come
Tipo e ben pochi sono gli esempi che si possono citare ; il
primo in un denario di Q. Licinio, 49 a. C., in cui la Palma
è associata al caduceo e alla corona d'alloro ; il secondo in
altro denario di C. Mario Tromentino, 17 a. C., nel quale la
Palma ha un posto estremamente onorifico, figurando sola
in una quadriga trionfale. E da quest'epoca, per ritrovarla
come Tipo, dobbiamo saltare fino al terzo secolo, nelle mo-
nete costantiniane.
In alcuni denarii d'argento sono rappresentate tre Palme
sorgenti dal suolo, col nome dell'imperatore e del Cesare
in <:iro, CONSTÀNTINVS CAESAR (Coh., 82), CONSTANTIVS
AVG- (Coh., 10-11). Altrove non è che attributo.
Augusto ha un denario (Coh., 295), nel quale due Palme
ornano il Clipeo votivo S P Q R CL V-
E Vitellio scolpì una Palma davanti alla sua effigie in
alcuni denarii (Coh., 100, to8) al cui rovescio la Vittoria non
porta che uno scudo colla scritta S P Q R.
Talvolta infine si vede nei bassi tempi una Palma sor-
gere accanto a Giove o alla Vittoria o al Genio del popolo
romano, e due Palme stanno molte volte accanto alla leg-
genda nelle monete e nei n^edaglioni votivi, specialmente
d'argento, dalle leggende SIC X, SIC XX, SIC XXX e simili.
La Palma però ha una serie numerosissima, quale attri-
buto della Vittoria, quasi sempre associata alla corona d'al-
loro. Essa è portata dalle innumeri Vittorie, e non solo da
queste, ma benanco da Venere vincitrice VENVS VICTRIX o
dai militi scortanti i carri trionfali e, per via di tutte queste
NEI TIPI MONETAU ROMANI 175
figurazioni, s'infiltra nelle monete in numero stragrande, per
tutta la durata della Repubblica e dell'Impero.
Un'altra Personificazione, che ha per suo arredamento,
insieme al cornucopia la Palma, non in senso di vittoria ;
ma di gioia e di festa, è la Giocondità HILÀRITAS. Vedansi le
monete di Adriano (Coh., 378, 818-820), Antonino Pio (411 12),
M. Aurelio (Coh., 230 a 234), Faustina juniore (Coh., 109 a
117), Lucilla (Coh., 28 a 32), ecc. ecc.
La Palma, come simbolo di premio al vincitore nei
giuochi, si trova sovente incisa e talvolta ageminata in ar-
gento, sui Contorniati.
Il Palmizio o albero di Palma non incomincia a compa-
rire che con la conquista della Giudea e numerose monete
di Vespasiano (Coh., 224 a 247, 591, 621 a 629) e di Tito
(Coh., 107 a 119, 383 a 385, 391-2) ricordano quell'impresa,
rappresentando la Giudea accasciata e piangente, appiedi di
un Palmizio, con le leggende IVDAEA, IVDAEA CAPTA. IVDAEA
DEVICTA o talora semplicemente con VICTORIA AVG-VSTI o
anche anepigrafi, nelle quali è rappresentala la Vittoria, che
sta scrivendo VIC AVG oppure OB CIV SER su di uno scudo
appeso al tronco di un Palmizio, appiè del quale sta la
Giudea piangente.
Sempre alla Giudea si riferiscono il sesterzio di Vespa-
siano con un Palmizio (Coh., 495), il bronzo anepigrafo di
Domiziano con un elmo e uno scudo appiedi di un Palmizio
(Coh., 535) e altri simili piccoli bronzi della famiglia dei Flavii.
Segue il bel sesterzio di Nerva con la leggenda: FISCI
IVDAICI CALVMNIA SVBLATA commemorante la soppressione
degli abusi e la riorganizzazione dell' amministrazione in
Giudea. Il solo Palmizio vi è rappresentato a simboleggiare
la Provincia, cui la leggenda si riferisce.
Anche la personificazione della Giudea quando nella
scena non v'ha il Palmizio, è sempre accompagnata da uno
due o ire bambini che recano una Palma (vedi Adriano,
Coh., 51 a 57, 871-72).
Per una sola volta con Antonino Pio, il Palmizio ritorna
alla sua antichissima significazione, in un sesterzio ricordante
la Fenicia PHOENICE, come antico simbolo di questa pro-
vincia (Coli., 596).
176 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
I! Palmizio è ripetuto qualche volta in seguito, da Set-
timio Severo (Coh., 723 a 734), Caracalla (Coh., 636 a 644),
Geta (Coh., 224), celebranti i trionfi britannici. Queste mo-
nete rappresentano una o due Vittorie, in atto di appen-
dere uno scudo al tronco di un Palmizio. Ma, se tale figu-
razione aveva la sua ragione nella Vittoria giudaica di Tito;
la riproduzione dei Severi non ne è che una servile imita-
zione, priva di significato... a meno che vi sia una allusione
che non so afferrare.
A un tronco di Palma la Vittoria appende lo scudo vo-
tivo VO DE in monete di Commodo (Coh., 663 a 672) con
la leggenda SAECVLI FELICITAS.
Il Palmizio nel Medio Evo non lo trovo rappresentato
che una volta nel raro giulio dei conti Ippoliti di Gazzoldo
1590-1663) con la leggenda INCLINATA RESVRGIT [Corpus, i)
e una seconda nell'osella di Francesco Morosini (1688-94) '"
rappresentazione del Peloponneso.
La Palma, o, per essere più esatti, la fronda di Palma,
conservò tutto il suo valore nella numismatica medioevale e
anche moderna nel suo significato quale simbolo di merito
e di vittoria in genere, quantunque non abbia più l'estesa
applicazione che ebbe in antico.
Nelle monete del Medio Evo il più delle volte la Palma
figura nelle mani dei martiri.
Nelle monetazioni degli ultimi secoli, la Palma si vede
talora uscire dalle corone, frammista ai rami d'Ulivo o di
Alloro. Due Palme fiancheggiano lo stemma in tutta la mo-
netazione di Maria Teresa per Milano (1740- 1780) e in buona
parte di quella de' suoi successori. Al Palmizio non rimase
che una vaga allusione all'Africa o ai paesi caldi in generale.
PAPAVERO.
È noto come il Papavero sia il simbolo di Morfeo ; ma
il Papavero nella numismatica è ben lontano dall'alludere al
sonno e all'oblìo. Dobbiamo cercarne altrove il significato.
Notiamo anzitutto che quello che si vede emergere fra le
Spighe non è un fi ore di Papavero ; ma la capsula che ne
NEI TIPI MONETALI ROMANI 177
contiene i semi, ossia il frutto maturo, che ha completamente
perduto i petali. Ora il Papavero è uno dei vegetali che
produce il maggior numero di semi e può essere preso
come simbolo di fecondità e d'abbondanza. Si dice che il
Papavero è tanto largo nella produzione di semi, che, in un
breve giro d'anni, coprirebbe il mondo della sua vegetazione,
se tutta la terra fosse a sua disposizione.
Giova poi anche notare come il Papavero nella natura
si associ facilmente al frumento. Il biondeggiante campo di
grano è sempre abbellito e rallegrato dalle macchie rosse
del fiore di Papavero e anche questa naturale associazione
può avere contribuito a far accogliere il Papavero quale
augurio di messe copiosa.
Difatti il Papavero non compare mai solo nelle monete,
ma sempre in compagnia della Spiga e ne forma, per così
dire, il complemento. Lo vediamo di solito fra le due, quat-
tro o sei Spighe che sporgono dal modio o dal canestro e
talvolta anche fra le due Spighe che stanno nelle mani di
Cerere, dell'Augusta, dell'Annona o d'altra personificazione.
La sua presenza fra le Spighe però non è mai determinata
da circostanze speciali, ma solo dall'opportunità d'arte o di
spazio e non muta e neppure varia il significato della rap-
presentazione.
Per questi motivi mi parve opportuno accennare il
fatto genericamente senza tenere nota particolareggiata
delle sue apparizioni e senza dargli un posto nel prospetto
sinottico finale.
PINO.
Di un ramo di Pino è coronato Silene nel denario di
D. Giunio Silano, 89 a. C.
E può essere di Pino anche il ramo che talvolta si
vede nelle mani di Pane in alcuni medaglioni della buona
epoca.
QUERCIA.
Prima dell'albero apparve il frutto e già troviamo la
Ghianda in alcune piccole frazioni della monetazione italica
178 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
primitiva. È però probabile che il significato allora non fosse
quello della forza e che quel frutto non accennasse che alla
buona vegetazione delle foreste o anche alla prosperità dei
consumatori di ghiande, che certo formavano allora una parte
cospicua del patrimonio sociale.
Del resto la Ghianda, rappresentata da sola, incomincia
e finisce con l'oncia del Lazio e in seguito non appare che
sui rami di Quercia, frammista alle foglie.
Nella litra della Campania vediamo, dietro alla testa di
Marte, un ramo di Quercia e qui la Quercus robur^ ha cer-
tamente il significato della forza ; ma anche questa forma di
rappresentazione è unica e tutta l'importanza della Quercia
è concentrata nei due rami allacciati e formanti corona.
Neppure la rappresentazione di questa è molto estesa
e certamente non può paragonarsi a quelle della corona di
alloro ; ma a questa però segue immediatamente come im-
portanza.
La Corona laurea costituiva il vero serto imperiale, la
Corona querna costituiva invece la corona civica, la quale
non era stata creata appositamente pel capo imperiale ; ma
aveva un'origine più antica e una storia.
La corona civica era data come premio a chi, in bat-
taglia, avesse salvato un milite compagno, abbattendo un
nemico ; corrispondeva cioè alla moderna medaglia al valore.
Era un distintivo eminentemente onorifico e le teste impe-
riali non la sdegnarono.
Anticamente era intessuta di due rami d'Elee Quercus
sempervirens, poi si adottò il Castano, e infine si venne alla
Quercia. È nella corona civica che la Quercia assolve il suo
più alto e glorioso mandato.
La corona civica è assunta da Augusto, che ne fa pompa
in aurei, denari, assi, con la leggenda S P Q R (Coh., 284,
285) e talvolta vi iscrive lOVI VOT SVSC PRO SAL CAES
AVG S P Q R (Coh., 183), in altri, o sola o circondante il
Clipeo votivo (Coh., 206 a 216) con la leggenda OB CIVIS
SERVATOS. In altro ancora (Coh., 30) ne affida la custodia
all'Aquila imperiale, che vi sovrasta, tenendola fra gli artigli.
La ripetono in suo nome, quale Tipo, nei loro aurei i tre
monetarii d'Augusto, Aquillio Floro, M. Durmio e Petronio
NEI TIPI MONETALI ROMANI 179
Turpiliano. Essi coniarono due aurei per ciascuno, diremo
simmetricamente, uno portante un diritto allegorico e al ro-
vescio, qiinle Tipo, la corona civica con la leggenda CAESAR
AVGVSTVS O C S oppure AV&VSTO OB C S, l'altro con ro-
vescio allegorico, mentre al diritto vi figura la testa d'Augu-
sto con la Corona querna.,. quantunque i cataloghi anche
moderni, seguendo gli antichi, si ostinino ancora a dire :
Testa d'Augusto laureata... come dicono sempre laureata la
testa di Galba, mentre in molti de' suoi seslerzii sia vera-
mente coronata di Quercia.
La corona civica d'Augusto è poi ripetuta nei sesterzi,
fra i rami d'alloro e, sola, negli assi e nei dupondii di tutti
i suoi triumviri monetali pel bronzo, Q. Elio Lamia (Coh.,
340-41), Asinio Gallo (Coh., 368-69), Cassio Celere (Coh.,
408-9), Gallio Luperco (Coh., 434-36), Licinio Stolone (Coh.,
440-42), Marcio Censorino (Coh., 452-54), Nevio Sordino
(Coh., 471-73), Plozio Rufo (Coh., 501-2), M. Sanquinio (Coh.,
520-21), Q. Crispino Sulpiciano (Coh., 505 a 510), T. Sem-
pronio Gracco (Coh., 524-25).
Ed è pure ripetuta nei bronzi coniati da Tiberio in me-
moria ed onore d'Augusto (Y. Coh., n. 252 e 301 d'Augusto).
La ritroviamo poi in seguito in un raro bronzo dello
stesso Tiberio PONTIF MAX (Coh., io) e in monete di Caligola
SPQR OB CIVES SERVATOS (Coh., 18 a 26), di Claudio
EX se PP OB CIVES SERVATOS (Coh.. 86 a 98), di Galba
SPQR OB CIV SER EX S C OB CIVES SER (Coh., 285 a 305),
di Vitellio SPQR OB CIV SER (Coh.. 85 a 87). di Vespa
siano. S P OR (Coh., 515 a 517), SPQR ADSERTORI LI-
BERI ATIS PVBLICAE (Coh., 518 a 521), SPQR OB CIV
SER (Coh., 523 a 532), di Tito SPQR OB CIV SER (Coh.,
265), di Trajano SPQR OPTIMO PRINCIPI (Coh., 581 a 584)
e finalmente in monete e medaglioni d'Adriano SPQR ÀN
FF HADRIANO AVG PP (Ch., 1424, Gn., 38) e d'Antonino
Pi" SPQR OPTIMO PRINCIPI (Coh., 791 a 793) SPQR AM
PLIATCRI CIVIVM (Gn. 43), SPQR AN FF OPTIMO PRIN-
CIPI PIO (Gn. 44).
E da quest'epoca la Quercia scompare completamente,
a meno che una corona di Quercia si sia voluto rappresen-
tare nelle monete di M. Aurelio portanti la leggenda PRIMI
l8o FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
DECENNALES fCoh., 491-499) e in un bronzo di Commodo
S PQR LAETITIAE C V (Coh., 713), ove però, se tale era l'in-
tenzione, l'incisore non sarebbe riuscito a imprimervi quel
carattere deciso che non lascia luogo a incertezze.
Poche esplicazioni ha la Quercia nella numismatica me-
dioevale. Come Tipo l'albero figura nel pezzo da due doppie
del 1590 di Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova e del
Monferrato col motto ROBVR SISTIT.
E la troviamo nelle monete papali di Sisto IV (1471-84)
e di Giulio II (1503) come stemma della famiglia Della Rovere,
come pure sulle monete dei duchi della Rovere, Signori di
Pesaro e Urbino.
La corona di Quercia, saltando il Medio Evo, riappare
nelle monete moderne. Essa orna lo scudo della Repubblica
Cisalpina e figura nel rovescio di tutte le monete di uno
dei progetti per la Repubblica Italiana. Una corona contesta
di un ramo d'alloro e uno di Quercia forma il rovescio delle
belle monete del Governo Provvisorio di Lombardia del 1848,
Una Corona di Quercia portavano le ultime monete di
bronzo austriache pel Lombardo-Veneto (1859-60) e una co-
rona d'Alloro e di Quercia portano le monete di rame del
Regno d' Italia fino al 1902, ossia fino alla nuova mone-
tazione.
ROSA.
È notoria l'abbondanza dei rosai che, fino dagli antichi
tempi, abbellirono l'isola di Rodi, la resero celebre e le
diedero il nome. La Rosa restò così il simbolo della bellis-
sima isola e le sue antiche monete ne portano il tipico ricordo.
Fu precisamente per ricordare la sua vittoria sui Ro-
diani, che, in uno de' suoi denarii, C. Cassio Longino, 42
a. C, il socio di Bruto nell'assassinio di Cesare, stampò la
Rosa di Rodi sotto il Granchio che stringe, fra le sue bran-
che, l'acrostolio.
Questo è l'unico caso in cui possiamo assicurare d'avere
una rosa sulle monete romane.
In qualche altra moneta, come per esempio in altro de-
NEI TIPI MONETALI ROMANI ifii
nario dello stesso Cassio Longino, è rappresentato un acro-
stolio, del quale alcuni vorrebbero vedere le punte termi-
nanti in rose. E può essere, pel motivo ora esposto ; ma,
sia in questo, come in altri simili casi, le rappresentazioni
sono ridotte a proporzioni tanto microscopiche, che nessuno
può assicurare che si tratti veramente di rose, piuttosto che
di gigli o d'altro fiore, oppure di un semplice ornato floreale.
La Rosa ha trovato nella numismatica medioevale e se-
mimoderna uno sviluppo assai maggiore che non nella ro-
mana.
La zecca di Livorno ha la Rosa nelle piastre di Ferdi-
nando II Medici (1655-70) e in quelle di Cosimo III Medici
(1670-1723) ed anche in monete d'oro di quest'ultimo, che
appunto si chiamano pezza e mezza pezza della Rosa.
Si trova pure in uno zecchino di Ferdinando Gonzaga
duca di Mantova (1612-26), cui si dava il nome di zecchino
della Rosa.
E ancora la troviamo in uno zecchino per Roma di Be-
nedetto XIII (1724-30).
Anche nelle Oselle veneziane la Rosa ha la sua parte.
Alvise II Mocenigo (1700-1709) rappresenta un rosaio, a cui
varia le leggende ETIAM RIGENTE HYEME VIRESCIT. SOLVM
PROVOCATA FERII. Oppure, colla rappresentazione di Venezia,
FVLCITE ME FLORIBVS. o, con la luna splendente nel cielo,
MAGIS REDOLE! LVNA SERENA.
Francesco Lovedano (i 752-1 762) vi scrive ROSA SVPER
RIVOS AQVARVM.
ULIVO.
Ci troviamo davanti a un vegetale che olimpicamente è
sacro a Minerva e forma uno de' suoi attributi, geografica-
mente rappresenta la Spagna e moralmente simboleggia
la Pace.
Nelle monete repubblicane 1' Ulivo non appare forse che
una volta, nel denari© di Fausto Cornelio Siila, 53 a. C, nel
quale è rappresentato Bocco, re di Mauretania, inginocchiato
davanti al propretore, in atto di offrirgli un ramo d'Ulivo.
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l82 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Durante l' impero, incontriamo dapprima aurei e denarii
di Augusto, nei quali uno o due militi (Coh., 130 a 135) pre-
sentano rami d'Ulivo all'imperatore.
In un piccolo bronzo di Domiziano (Coh., 300) che porta
al diritto il busto di Pallade, al rovescio è dato come Tipo
un ramo d'Ulivo con la leggenda IO - IO TRIVMP (Coh., 300).
Nell'aureo anepigrafo di Trajano (Coh., 659) con la Fe-
nice, questa è poggiata su di un ramo d'Ulivo.
Dopo di che, il ramo non figura più quale Tipo ; ma
dobbiamo accontentarci di trovarlo quale emblema nelle mo-
nete d'Adriano riferentesi alla Spagna (Coh., 37 a 41, 821 a
844, 1258 a 1274) oppure nelle mani di Minerva nei meda-
glioni e nelle monete di parecchi imperatori, quando le leg-
genda è MINERVA PACIFERA, d'Ercole HERCVLI PACIFERO,
di Mercurio e anche di Marte, il quale è volgarmente chia-
malo il dio della guerra; ma pure molte volte compie anche
azioni di pace e, in queste occasioni appunto, le monete sono
intitolate MARTI PACIFERO.
Personificazioni allegoriche che spesso portano il ramo
d'Ulivo sono la Pace, la Felicità, la Sicurezza e la Provvi-
denza, PAX, FELICITAS, SECVRITAS, PROVIDENTIA e più ra-
ramente la Tranquillità QVIES, in Diocleziano (Coh., 428) e
in Massimiano Erculeo (Coh., 494). Spesso lo portano pure
l'Imperatore, i Cesari, il Senato.
L'albero d'Ulivo figura più raramente. Quale emblema
della Spagna non trovo da citare che il bronzo già citato di
Adriano (Coh., 1068). Quale emblema di Minerva, si possono
accennare alcuni medaglioni di M. Aurelio (Gn., 45, 46, 49
e 67) e alcune monele di Geta (Coh., 108 a no).
Come la Spiga e come la Quercia, l'Ulivo non fece che
qualche rara apparizione nel Medio Evo, durante il quale
ricorderò il grosso di Vincenzo II Gonzaga duca di Mantova
(1626-27) nel quale da un lato un ramo d'Ulivo è incrociato
alla spada, mentre al rovescio sta la leggenda IVSTITIA ET
PAX OSCVLATAE SVNT, lo scudo d'oro di Clemente XI (1700-
1720) coH'albero d'Ulivo e la leggenda FIAT PAX, l'osella
di Silvestro Valier, nel quale si vede una Colomba che vola,
tenendo nel becco un ramo d'ulivo, con la leggenda VICTRIX
1
NEI TIPI MONETALI ROMANI 183
CAVSA DEO PLACVIT, ed altra di Alvise III Mocenigo, in cui
la Pace tiene il ramo d'Ulivo e il cornucopia, con la leg-
genda IN VIRTVTE ET ABVNDANTIA PAX.
D'una ghirlanda d'Ulivo circondano le leggende delle
loro oselle i dogi Alvise Pisani {1735-1741), Pietro Grimani
(i 741-1752).
Ma, a guisa della Spiga e della Quercia, l' Ulivo risorse
rigoglioso nelle monete e nelle medaglie moderne. Il ramo
si vede sovente associato a quello d'Alloro e di Palma ador-
nanti le corone, sempre nel medesimo significato biblico di
Pace, che gli era stato attribuito al suo primo apparire PAX
HOMINIBVS BONAE VOLVNTATIS.
11 più antico accenno all'Ulivo è certamente quello del
ramoscello riportato dalla Colomba lanciata dall'arca del
padre Noè in esplorazione. Esso era l'annuncio della cessa-
zione dell' ira divina, e dell'apparizione dell'arco baleno, an-
nunciatore di pace alla terra rattristata e sconvolta dall' im-
perversare degli elementi.
Dopo tanti secoli, è sempre nel medesimo significato che
il ramo d'Ulivo culminante nelle mani della Pace sull'arco
di trionfo che da essa prende il nome, qui nella nostra Mi-
lano, è pure brandito come segnacolo delle universali aspi-
razioni, dall'Italia, nella nostra nuova moneta d'argento.
E sempre a quel ramo che stanno rivolti tutti gli sguardi
della parte civile d' Europa, in trepida attesa che il desiderato
augurio possa verificarsi, perchè il mondo insanguinato e
oppresso dalle barbare stragi e dalle immense catastrofi,
ritorni alla vita, alla tranquillità, alla Pace, a quella pace uni-
versale, come desiderava il nostro Cavour, che, coUegata colla
liberta dei popoli, sarebbe il piti gran beneficio largito dalla
divina Provvidenza!
VITE.
Il grappolo d'uva, che già aveva figurato nella numi-
smatica greca, appare in qualche bronzo della serie grave
del Lazio, poi ritorna come simbolo in parecchi bronzi
anonimi della Repubblica, unitamente a una Farfalla che vi
si posa. Difficile dire il significato tanto del semplice grap-
polo come della riunione del grappolo alla Farfalla.
184 FR. GNECCHl - LA FAUNA E LA FLORA
Più facile ci riesce rilevarlo, quando vediamo i pampini
accompagnare le rappresentazioni di Bacco, il quale aveva
per suoi emblemi la Vite e l'Edera, e valga quanto si è detto
a quest'ultima voce. Talvolta i due emblemi sono frammisti
e riesce difficile fare una netta divisione.
La Vite è sempre espressione di festività, d'allegria di
gioventù. Una tessera di bronzo (Coh., 31), di attribuzione
incerta perchè anepigrafa; ma sicuramente della buona epoca
imperiale, rappresenta da un lato la testa d'un bambino co-
ronato di pampini, il petto circondato da una ghirlanda di
grappoli. E assai probabile che si tratti del piccolo Annio
Vero, figlio di M. Aurelio. Al rovescio 1^ tessera porta le
sole lettere S C in una corona di pampini e d'uva.
Qui la Vite non avrebbe evidentemente che significato
di giocondità e di gioventù, come il Giunco avrebbe avuto
quello della mestizia e del dolore nell'altra tessera che forse
è l'antitesi di questa e ricorda la morte dello stesso Annio
Vero (Vedi Giunco).
La Vite però è anche simbolo di fertilità, e tale signi-
ficato è supponibile avesse il grappolo d'uva nella moneta-
zione primitiva.
Sul sesterzio di Trajano rappresentante la Dacia (Coh.,
125), uno dei due bambini, che le stanno accanto, porta delle
spighe, l'altro un grappolo d'uva.
Probabilmente deve interpretarsi coUiC un grappolo l'og-
getto spesso indistinto, che sta in mano alla VBERITAS in
Trajano Decio, Etruscilla, Erennio, Ostiliano, Gallo, Volu-
siano, Gallieno, Salonina, Postumo, i Tetrici, Claudio 11^
Quintino, Aureliano, Tacito, Floriano, e in tal caso sarebbe
sempre alla fertilità, che esso allude.
In simile significato troviamo pure la Vite in due me-
daglioni colle rappresentazioni della Terra e di Pomona. La
Terra, TELLVS STABILITA, in Adriano (Gn., 90), Antonino Pio
Gn. 99), Faustina juniore (Gn., 5), Commodo (Gn., 125 a 131)
sta sdraiato all'ombra di una Vite, e, posando la destra sul
globo terrestre che le sta accanto e sul quale quattro put-
tini rappresentano le stagioni, si appoggia col gomito sini-
stro a un canestro ricolmo di grappoli d'uva. Questa figu-
razione è ripetuta in un bronzo di Giulia Donina dalla leg-
(genda FECVNDITAS (Coh., 34 a 38).
NEI TIPI MONETAU ROMANI 185
Pomona nel medaglione di Commodo TEMPORVM FE-
LICITAS (Gn. 133-4), sta seduta con due Spighe e un seme
di Papavero nella sinistra, indicando con la destra due fan-
ciulli ignudi che le stanno davanti in una tinozza. Il primo in
piedi, coglie dalla Vite i grappoli, il secondo li sta pigiando,
mentre un terzo in fasce sembra godere della scena.
Il Medio Evo e l'Evo moderno, trascurarono quasi com-
pletamente la Vite nel campo numismatico. Nel primo non
trovo da citare che un grappolo d'uva nei tornesi della Re-
pubblica napoletana (1648). E nella numismatica semimoderna
dobbiamo citare ancora una volta il primo progetto per la
monetazione della Repubblica Italiana, dedicato in modo spe-
ciale all'Agricoltura. Un grappolo d'uva figura nei pezzi di
argento, accanto al caduceo.
VEGETALI IN GENERE.
Come nella Fauna v'è l'Uccello inqualificabile, così av-
viene parecchie volte nella Flora di non potere in alcun
modo precisare di quali soggetti vegetali veramente si tratti
ed è necessario riassumerli in un tutto indeterminato.
Molte volte si incontrano altari, tripodi, templi inghirlan-
dati. Quelle ghirlande sono formate da foglie, di fiori e di
frutti; inutile cercare di quale specie siano quelle foglie, quei
fiori e quei frutti.
La personificazione della Speranza è data da una gio-
vane che cammina portando un fiore. La Musa Erato ha
per simbolo un fiore. Il Corvo nel sestante della Campania
reca nel rostro un fiore. Ma chi potrebbe identificare questi
fiori ?
Così vi sono cornucopie e canestri ricolmi di frutti e di
fiori indefinibili, e che del resto avrebbero sempre il me-
desimo significato anche quando si potesssero definire. Erano
semplicemente frutti e fiori in genere, con evidente allusione
a festa, ad abbondanza, a ricchezza, a giocondità.
Aquillio Floro, avendosi scelto come suo stemma genti-
lizio un Fiore, ce lo offre in oro e in argento ingrandito,
tanto da occupare tutto il campo della moneta.
l86 FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
Eppure nessun botanico lo saprebbe classificare, perchè
così volle appunto chi inventò quel fiore.
L'emblema di Floro doveva essere un fiore; ma un
fiore indeterminato, astratto, generico e per ciò stesso inclas-
sificabile.
A questo proposito Aquillio Floro possiede un'altro de-
nario, in cui sta una quadriga con un fiore, e alcuni vor-
rebbero che anche questa alludesse al suo nome. Credo che
qui la spiegazione non calzi, e non sia più l'allusione al nome
che dobbiamo ricercare. E vero che da quella quadriga
sporge qualche cosa di somigliante a un fiore; ma quella
quadriga non è speciale ad Aquillio Floro, poiché il mede-
simo denario fu pure coniato dai suoi due colleghi M. Dur-
mio e Turpiliano, Non potendo supporre che questi l'abbiano
fatto in omaggio a Floro, bisogna trovare un'altra ragione
a quel tipo, che sia comune ai tre magistrati. E tale spie-
gazione si trova facilmente quando, in quella quadriga, si ri-
conosca il carro trionfale, che in una delle cerimonie dei
misteri Eleusini, recava il calathus o canestro di fiori che
era consuetudine offrire a Venere.
Ciò non toglie però che le due quadrighe entrino nella
categoria delle rappresentazioni di Vegetali in genere.
Ai fiori indeterminati si possono aggiungere gli alberi
del bosco ove caccia Diana, oppure dove Ercole sta ripo-
sando delle sue fatiche o Igea sta nutrendo il Serpente di
Esculapio. Sono elei, roveri, uHvi ? Chi li può distinguere ?
Finalmente, nelle monete imperiali e specialmente nei
medaglioni, si trovano figure di Deità bocchereccie. Pane,
Silvano, che talora tengono in mano un ramo, che nessuno
potrà mai dire se sia di Quercia piuttosto che di Pino.
Questi sono i frammenti del mondo vegetale che entrano
qua e là a far parte della decorazione monetaria. Essi sono
così frazionati e così indistinti, che basterà averli accennati
in blocco, senza scendere a una più minuta descrizione.
Nel prospetto sinottico che segue non poteva mancare
un posto per questi Vegetali in genere, i quali, benché ra-
ramente abbiano un'importanza propria, entrano moltissime
volte nelle rappresentazioni e spesso anche con uno speciale
significato.
PROSPETTO SINOTTICO
DELLA FAUNA E DELLA FLORA
NEI TIPI MONETALI DI ROMA
DAI TEMPI PIÙ REMOTI
FINO ALLA CADUTA DELL'IMPERO D'OCCIDENTE
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Monete Anonime
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Acilia ....
Aelia
Aemilia ....
Afrania ....
Annia ....
Antestia . . .
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Antonia ....
Appuleia . . .
Aquillia ....
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Atia
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Aurelia ....
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Cornelia. .
Cornuficia . . .
Cosconia . . .
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Creperia . . .
Crepusia . . .
Critonia. . . .
Cupiennia . . .
Curatia ....
Curtia ....
Decia
Decimia. . . .
Domitia ....
Durmia ....
Egnatia ....
Egnatuleia . . .
Eppia
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Fabrinia . . .
Fannia ....
Farsuleia . . .
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Vergilia . .
Vettia . .
Veturia . .
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Vipsania .
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Satiro
Scarabeo
Sorcio
Struzzo
Toro alato
— Antonino Pio
— Monetazione primitiva.
— Quinctia.
— Trajano.
— Antonino Pio
Cipresso
Fico .
Leto .
Papavero
Pino .
Rosa .
FLORA.
Eliogabalo
Pompeia
Adriano — Antonino Pio — Faustina se-
niore — Faustina juniore — Giuliano II
— Elena
Eliogabalo
Cassia .
Errata corrige:
pas. 23 Ariete (rìsa 1 1 ) in luogo di Gn. 29, lessasi Cn. 80, 69.
pas- 40 Civetta b luogo di Grueber, voi. I, pas. 342, lessa» voi. 1, pas. 584.
Per una svista tipografica nel Prospetto Sinottico fu omesso il sesno indicante la prewnza, pei
Buenti sossetti:
Asino a Traiano Dedo, Gallieno, Aureliano.
Cicogna, Corvo, Ippocampo a M. Antonio.
Ibi» ad Adriano, Antonino Pio, Gallieno.
I-epre ad Adriano, Antonino Pio, Faustina iun., Commodo, Treb. Callo, Probo, Caro e Carino.
Tigre a Settimio Severo, Caracolla e Geta.
2o8
FR. GNECCHI — LA FAUNA E LA FLORA
PROSPETTO RIASSUNTIVO
DELLE APPARIZIONI DI CIASCUN SOCGETTO DELLA FaUna E DELLA Flora
NELLA NUMISMATICA ROMANA
FAUNA
Aquila
Ariete
Asino
Bove
Bove a faccia umana
Camello
Cane
Capra-Capro . . .
Capricorno ....
Cavallo
Centauro ....
Cerbero
Cervo
Cicala
Cicogna
Cinghiale ....
Civétta
Coccodrillo ....
Coleottero ....
Colomba
Conchiglia bivalve
Conchiglia elicoidale.
Coniglio
Cornacchia ....
Corvo
Delfino
Drago
Elefante
Farfalla
Fenice
Gabbiano ....
Gallo
Gazzella
Giovenca ....
Granchio ....
Grifone
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Ippopotamo. . . .
Leone
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a. a.
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Mula-Mulo .
Orso . . . .
Pantera . . .
Pantera alata,
Pavone . . .
Pegaso . . .
Pesce . .
Polipo . . .
Pollo . . . .
Porco . . .
Rana . . . .
Rinoceronte. •
Rombo . . .
Satiro . . .
Scarabeo . .
Scorpione .
Scrofa . . .
Serpente . ■
Sfinge . . .
Sirena . . .
Sorcio . . .
Struzzo . .
Testuggine . ■
Tigre. . . .
Toro . . . .
Toro alato.
Tritone . . .
Uccello . . .
Vitello . . .
FLORA
Alloro
Cipresso
Edera
Fico .
Frumento
Giunco
Loto .
Palma
Papavero
Pino .
Quercia
Rosa .
Ulivo .
l/ite .
Vegetali diversi
1
12
—
3
2
9
—
I
6
27
5
I
1
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7
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I
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I
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6
153
?
38
I
71
31
'47
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO
PARTE QUARTA.
ZECCHE DELLA BITINIA.
Poche classificazioni cronologiche hanno subito
tanti spostamenti quanto quella delle monete che sto
per descrivere, carattei izzate dalle epigrafi CAESAR
DIVI F ed IMP CAESAR ; monete le quali debbono ora
subire anche un necessario spostamento geografico.
Il Cohen (i> nella sua descrizione delle monete
di Augusto, che comprende anche quelle emesse
sotto la Repubblica, attribuisce loro la data 719 35.
726/28 a. C. Babelon (^) invece le considera come
prettamente repubblicane, assegnando la loro origine
agli anni 715 40 a. C. per la prima serie e 126 28
per la seconda. Cabrici incidentalmente (3) ne ac-
cenna facendone una emissione della zecca romana
dal 71836 al 726/28. Finalmente Grueber (4) asse-
gnandole anch'egli a Roma attribuisce ad esse la
data 36-27 a. C.
Ma i lettori hanno già appreso, nelle trattazioni
precedenti, i motivi che si oppongono a tale asse-
gnazione. Infatti la maniera artistica alla quale si in-
formano le monete suddette, prettamente greca, di-
ti) Monnaies Imperiales, seconda edizione, Augusto.
(2) République Roniaine, volume secondo, lulia.
(3) La Numismatica iti Augusto in Studi e Materiali di Archeologia
e di Numismatica, II, 1902.
(4) Op. cit., voi. II, pag. 8-17.
2fÓ LODOVICO LAFFRANCHl
mostra la insostenibilità delle ipotesi affacciate dal
Grueber per trovare una spiegazione alla mancanza
dei nomi tresvirali, mancanza assolutamente inespli-
cabile su monete che, se coniate a Roma sarebbero
state precedute da quelle coi nomi dei tresviri Vo-
conius e Sempronms, nonché seguite da quelle coi
nomi di Aquillins, Diirmius e Petronius, e credo an-
che di aver sufficentemente lumeggiati i motivi po-
litici che giustificano il mancato funzionamento della
zecca di Roma durante questo periodo.
Però a chi fosse lento nel percepire la diff'erente
abilità artistica alla quale sono improntati i prodotti
delle due monetazioni, potrei additare un confronto
dei più persuasivi, quello tra la Venere rappresen-
tata sull'aureo emesso a Roma da Vibius Varus
(tav. VII, n. i) durante la monetazione repubblicana
che precede quella di Augusto, rappresentazione ca-
ratteristica per la sua goffaggine, che è poi quella
di tutti i tipi monetali coniati a Roma anteriormente
a Tiberio, e la Venere di proporzioni scultorie e
d'arte veramente greca quale noi vediamo sulle mo-
nete con CAESAR DIVI F (Tav. VII, n. 2).
Anche gli altri tipi religiosi quali Diana, Apollo
e Nettuno, comunissimi sulle monete locali dell'Asia
e della Grecia, appaiono semplicemente delle copie
adattate al nuovo compito di esprimere simbolica-
mente le vittorie di Naulocos e di Azio, e persino
il tipo della Vittoria Aziaca non è se non la modifica-
zione della Vittoria di Samotracia che vediamo sulle
monete di Demetrio Poliorcete.
È però grande sfortuna che non siano perve-
nuti dall'Oriente dei ripostigli intatti delle monete
in questione, giacche il loro studio avrebbe maggior-
mente suff'ragata la mia tesi, quantunque la sola cri-
tica d'arte basti per affermare la loro origine greco-
asiatica.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 211
»
È alle zecche della provincia di Bitinia che io
assegno l' intero gruppo levato alla zecca di Roma,
ove rappresentava una indebita intrusione, e ad in-
durmi a tale assegnazione, ebbero forza le monete
municipali a leggenda greca di Nicomedia e di Nicea
emesse quando, in data incerta, la reggenza di detta
provincia era affidata al proconsole Turio Fiacco :
alla quale reggenza si può ora assegnare con cer-
tezza la data 28-27 a. C.
^ — Testa nuda di Augusto a sinistra, dietro in leggenda
verticale NIKAIEflN.
(Tav. VII, n. 43).
^ — Eni ;i ANTinATOY il OflPIOY 9AAKK0Y verticalmente
m leggenda formata da tre linee. La Vittoria an-
dante a destra tenendo la corona e la palma, nel
campo monogramma vario.
MB., mill. 27, Babelon (i), Nicea, n. 13, 14, 15.
ly — Testa nuda di Augusto a destra, dietro in leggenda
verticale NIKOMEAEinW.
(Tav. VII, n. 41).
I^ — Leggenda come la precedente in quattro linee ver-
ticali. La Pace a sinistra tenendo colla destra il
caduceo e colla sinistra un ramo d'ulivo abbassato,
nel campo monogramma vario, all'esergo EIPHNH.
MB., mill. 27, Bab., Nicomedia, n. io.
Che il conio del n. 41 sia l'opera del medesimo
artista che eseguì quello del denaro n. 37, ed altret-
tanto si debba dire dei nn. 43 e 39, mi sembra in-
{I ) Babelon, Waddington e Reinach, Recueil generale des Monnaies
d'Asie Mineure, fase. III.
LODOVICO LAFFRANCHl
dubitabile per l' impressionante identità di maniera
colla quale sono trattate le effigi, specialmente per
quanto riguarda la capigliatura ; e, dato il legame
epigrafico e stilistico esistente fra tutte le monete
imperatorie che sto per descrivere, rimane provata
l'esattezza della loro assegnazione alla Bitinia.
Non deve però recar meraviglia la emissione di
monete imperatorie dei metalli nobili in questa pro-
vincia poiché, come dimostrerò in ulteriori pubbli-
cazioni, essa fu anche più tardi la sede di una zecca
non solo per le monete imperatorie ma anche per
le senatorie (sesterzi, dupondi, ed assi con SC) si-
milmente alla Provincia d'Asia.
L' intera monetazione imperatoria della Bitinia
emessa sotto Augusto appartiene ad almeno due
zecche : Nicomedia capoluogo della provincia e Nicea
che ne era la zecca pili importante per la moneta-
zione municipale a leggenda greca; ma sarebbe af-
fatto empirico il voler segnare una separazione fra
i prodotti di esse, attribuendo alla prima le monete
colla testa di Augusto rivolta a destra, ed alla se-
conda quelle colla medesima testa rivolta a sinistra;
soluzione la quale d'altra parte avrebbe il torto di
lasciar insoluto il problema delle monete senza ef-
fige imperiale.
Tornando al tema della cronologia, il Grueber
a mio avviso pecca di esagerazione attribuendo alla
monetazione di cui si tratta una durata di nove anni,
(36-27 a. C.) giacche il quantitativo degli esemplari
piuttosto scarso in confronto di quello delle emis-
sioni avvenute più tardi in Ispagna, non ci permette
di protrarre oltre ai tre anni questa durata. Il Grue-
ber credette di dover stabilire al 36 a. C. l'inizio
della serie con CAESAR DIVI F perchè volle scor-
gere in essa una connessione tipologica cogli avve-
nimenti di quest'almo, e principalmente colla scon-
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 21 3
I
fitta di Sesto Pompeo a Naulocos, ma se noi osser-
viamo attentamente le monete suddette, è facile in-
travvedere che il concetto tipologico chiaramente
espresso da esse è la pacificazione definitiva (vedi
n. 9-12 della descrizione) ottenuta per merito di una
grande vittoria di Ottaviano (n. i-8) quale quella di
Azio nel 31 a. C. ; la sconfitta di Sesto Pompeo era
di troppo lieve importanza per produrre gli effetti
suddetti ai quali alludono le monete.
Una prova sicura per motivare con sufficente
esattezza le date d'inizio e fine delle serie monetali
in questione sembra a prima vista mancare, pur es-
sendo ormai certo che la loro coniazione fu poste-
riore alla battaglia d'Azio : in effetto però abbiamo
due monete che ci offrono la })rova desiderata poi-
ché ricordano il consolato VI ed il VII che Otta-
viano assunse nel 28 e nel 27 a. C.
La prima di queste monete reca il noto tipo
del coccodrillo unito alla epigrafe AEGYPTO CAPTA
che ricorda la conquista dell'Egitto e venne dal
Grueber '') separata dalle altre, attribuendo ad essa
sola la sua vera origine orientale anziché romana.
Con ragione però il Cabrici ^2) osservò che queste
monete non potevano scindersi dalle altre che re-
cano la medesima parentela artistica, e devono perciò
seguire la loro sorte; ebbe però il torto di assegnare
le une e le altre alla zecca di Roma basandosi su
malfondate supposizioni.
La moneta colla eccezionale epigrafe CAESAR
COS VI e quella emessa l'anno dopo con CAESAR
COS VII CIVIBVS SERVATEIS hanno il medesimo ruolo
di quelle già osservate nelle zecche di Colonia Pa-
trizia con COS XI TR FOT VI e di Roma con TR P VII
(1) Op. cit., voi. II, pag. 536.
(2) Un denaro di Augusto col toro campano, nota a pag. 6.
214
LODOVICO LAFFRANCHI
e Vili; esse, pur appartenendo ad emissioni ordinarie,
hanno delle epigrafi straordinarie con date che si
riferiscono ai loro tipi di eccezionale significato. È
assai verosimile che i sopraintendenti alle zecche
datando queste monete intendessero datare l' intera
emissione alla quale appartenevano.
È perciò logico assegnare alle monete impera-
torie della Bitinia la data 29-28 a. C. per la serie
con CAESAR DIVI F e COS VI, e quella 28-27 a. C. per
la serie con IMP CAESAR e COS VII.
Quest'ultima contro l'opinione del Grueber si
protrasse certamente anche dopo il conferimento del
titolo di « Augustus » che figura per eccezione al ro-
vescio dell'aureo datato, giacche vedemmo, trattando
della zecca di Roma, che questa qualifica non in-
cominciò a far parte della titolatura ufficiale se non
dal 20 a. C. in occasione dei decennalia di Azio ed
anche dopo quest'epoca abbiamo a Roma ed a Co-
lonia Patrizia delle monete colla sempfice qualifica
IMP CAESARl. D'altra parte anche l'Oriente stesso, in
una moneta che descriverò più tardi e che il Grueber
medesimo gli ha già attribuito, mostra di aver tra-
scurato il titolo di « Augustus M su monete che, ricor-
dando il VII consolato, debbono esser state emesse
dopo il conferimento di questo titolo.
Volendo poi trovare una spiegazione al fatto di
tipi che, ancora quando era cessato l'eco delle vittorie
di Naulocos e d'Azio, alludono ad esse, si è costretti
ad ammettere che il compito di queste monete d'ar-
gento era precisamente quello di ricordare i meriti
che ad Ottaviano procurarono l' alta qualifica di
« Augustus » inscritta solamente sull'aureo.
LA MONETAZIONE DI AtJGUSTO 2l5
Venendo finalmente alla parte descrittiva, ho
pensato di classificare il materiale numismatico delle
due serie, in sottogruppi secondo l'analogia dei tipi
allo scopo di meglio sintetizzarne il significato ti-
pologico.
Prima Emissione — (28-29 a. C).
A) Tipi riferentisi alla vittoria d'Azio.
^ — La Vittoria a destra sopra una prora, tiene la
palma e protende la corona. (Modificazione del
tipo della Vittoria di Samotracia).
(Tav. VII, n. i6).
i. 9* — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Quadriga ornata di
bassorilievi andante a destra in cui Ottaviano
che tiene le redini, protende un ramo d'ulivo.
Ar., Cohen, n. 75. (Tav. VII. n. 17).
Questa moneta, tanto nel diritto che nel rovescio venne restituita
da Vespasiano (i) il quale copiò il tipo della Vittoria su prora a destra,
anche sui medii bronzi suoi e dei figli colle leggende Victoria Na-
valis e Victoria August.
^ — Testa nuda di Ottaviano a destra od a sinistra.
(Tav. VII, n. 3, 7).
2. 5* — CAESAR • DIVI • F nel campo orizzontalmente. La
Vittoria a sinistra sopra un globo protende la
corona e tiene la palma.
Ar., Cohen, n. 64, 65. (Tav. VII, n. io).
(i) Ved, Un Centenario numismatico nelFantichità in Rivista Ital. di
Numismatica, anno 191 1,
2i6 Lodovico LAFfRANdril
^ — Come il precedente.
3. j^ — Come il precedente, ma la Vittoria a destra.
Ar., Coh., n. 66.
Tipo restituito da Vespasiano.
^ — Come al n. 2.
4. ^ — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Vittoria in quadriga
veloce a destra tenendo le redini e protendendo
la palma.
Oro, Coh., n. 63. (Tav. VII, n. 4).
/©' — Come al n. 2.
5. 9' — Come il prec, ma la quadriga a sin.
Oro, Coh., n. 68.
/©" — Come al n. 2.
6. H) — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Quadriga lenta a de-
stra ornata di bassorilievi e sormontata da una
piccola quadriga veloce.
Oro, Coh., n. 77. (Tav. VII, n. 6).
Questo tipo e la variante successiva vennero più tardi, come ve-
demmo, copiati dalla zecca di Colonia Patrizia.
^ — Come al n. i.
7. I^ — Come il prec, ma la quadriga a sin.
Oro, Coh., n. 76.
^ — Busto alato della Vittoria a destra.
(Tav. VII, n. 11).
8. ;^ — CAESAR DIVI • F nel campo, Nettuno a sinistra,
col piede destro posato su di un globo, tiene
V acrostolium e si appoggia al tridente.
Ar., Coh., n. 60. (Tav. VII, n. 12).
Tipo restituito da Vespasiano e modifìcato da Adriano.
LA liONETAZIONE HI AUGUSTO ùì"^
B) Tipi allusivi alla pacificazione generale
ED AL CONSEGUENTE RIFIORIMENTO ECONOMICO.
^ — Testa diademata della Pace a destra.
9. R) — CAESAR DIVI • F orizzontalmente nel campo, Ot-
taviano in abito militare, andante di corsa a si-
nistra protendendo la destra in atto di pacifi-
catore e tenendo colla sin. l'asta trasversale.
Ar,. Coh., n, 70 71. (Tav. VII, n. 15).
T^ — Testa diademata della Pace a destra, dietro un
cornucopia, davanti un ramo d'ulivo.
(Tav. VII, n. 13).
10. R' - Medesima legg^., Ottavio, in abito militare, an-
dante a destra tenendo lo scettro sulla spalla
sin. e levando la des. in atto di pacificatore.
Ar., Coh., n. 72. (Tav. VII, n. 14).
Tipo ciipiato da Traiano per un'aureo emesso verso il 108 ti. C.
in occasione dei suoi decennalia e da Adriano per un altro del 128
pure in occasione dei decennalia.
^ — Testa nuda di Ottaviano a des. od a sin.
11. P — CAESAR • DIVI • F all'esergo, Ottaviano a cavallo,
galoppando a sin. protendendo la des. in atto
di pacificatore.
Oro, e oh., n. 73. (Tav. VII, n. 5).
'B' — Come il prec.
12. R) — CAESAR DIVI • F in legg. esterna da des. a sin.,
la Pace a sin. tenendo colla des. il ramo d'uliva
e colla sin. il cornucopia.
Ar., Coli., n. 69. (Tav. Vii, n. 8).
Il Grueber (i) separò questa moneta dalle precedenti, da lui asse-
gnate a Roma, attribuendo solo essa all'Oriente, perchè non tenne
conto delia identità d'arte e di paleografia che le accomuna.
(1) Voi. II, pag. 535.
28
2l8 LODOVICO LAfFRANCril
B' — Come al n. tt.
13- ^ — CAESAR DIVI • F orizzontalmente nel campo, Mer-
curio (i) seduto a des. su di una roccia tenendo
la lira, ha il petaso dietro le spalle.
Ar., Coh., n. 6i. (Tnv. VII, n. 9).
C) Tipo ali.usivo ai. culto famigliare della gente Giulia.
& — Come al n. 11.
14.^ — Legg-, come il prec, Venere vincitrice a des. ap-
poggiata ad una colonnetta tenendo la galea e
l'asta, dietro di essa un clipeo.
Ar., Coli., 11. 62, 63. (Tav. VII, n. 2).
Tipo restituito da Vespasiano, da Tito e da Traiano che lo acco-
munò alla effigie di Giulio Cesare.
D) Tipo allusivo alla conquista dell'Egitto.
T>' — CAESAR COS VI • Testa di Ottaviano a des. od a
sin., dietro il lituo.
(Tav. VII, n. 30).
15. R) — AEGYPTO orizzontalmente in alto. CAPTA allV-
sergo, Coccodrillo andante a des. colle fauci
spalancate.
Ar., Coh., n. 2, 3. (Tav. VII, n. 29).
L'aureo ed ti denaro colla variante del coccodrillo a fauci chiuse ver-
ranno descritti piti avanti nella Parte V.
Seconda Emissione - (28-27 a. C).
A) Tipi allusivi alle vittorie di Navlocos e d'Azio.
i^' — Vittoria su prora come al n. i.
(Tav. VII, n. 16).
(i) Identificazione di Grueber, op. cit., voi. II, pag. 11.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 21 9
16. I^ — IMP • CAESAR all'esergo. Quadriga come a! n, i.
Ar., Coh., n. 115. (Tav. VII, n. 18).
Moneta che diflferisce dal n. i solo per l'epigrafe ed è altrettanto
comune quanto l'altra è rarissima.
i^' — Testa galeata (ii Marte a destra, sotto IMP.
(Tav. VII, n. 25).
17. R) — CAESAR scritto sull'orlo di un clipeo coll'umbo
ornato di un astro, dietro spuntano due laste
incrociate.
Ar., Coli., n. 44. (Tav. VII, n. 26).
i >' — Busto della Diana di Sicilia a d. con arco e faretra.
(Tav. VII, n. 19).
18. I^ — IMP CAESAR sul fregio di un tabernacolo tetrasiilo,
col timpano ornato della triquetra; entro si
scorge un trofeo navale.
Oro, Coh., n. 121. (Tav. VII, n. 20).
i^ — Testa di Ottaviano a des. od. a sin.
(Tav. VII, n. 31, 39).
19. i^ — Trofeo navale.
Ar., Coh., nn. 119, 420. (Tav. VII, n. 40).
Il tipo rappresenta un particolare del tipo precedente.
B) Tipi allusivi alle onoranze rese ad Ottaviano.
f^' — Come al n. 19.
20. I^ — IMP CAESAR • sul fregio di un arco trionfale or-
nato di aquile militari e sormontato da una
quadriga che porta Ottaviano.
Ar., Coh., n. 123. (Tav. VII, n. 32).
H' — Como al n. 19.
21. l> — IMP CAESAR nel campo. Erma di Priapo posato
su di un lulmine, ha là testa laureata ed i
tratti di Ottaviano.
Ar., Coh., n. 114. (Tav. Vili, n. 33).
220 LODOVICO LAIFKANCHI
B' — Particolare del tipo di ^ suddetto, cioè busto di
Ottaviano in forma di erma a des. con testa
laureata dietro il fulmine.
(Tav. VII, n. 21).
22. I^ — Legg. come il prec, Ottaviano Niceforo seduto a
sin. in sedia curule tenendo la vittoriola.
Coli., II. 116. (Tav. VII, n. 22).
rB' — Testa laureata di Ottaviano a destra.
(Tav. VII, 11. 27).
23. FI) — 1-egg. come il prec, Colonna rostrata ed ornata
di due ancore, sulla quale è la statua di Otta-
viano in attitudine eroica tenendo il parazonio
ed appoggiandosi all'asta.
Ar., Culi., n. 124. (Tav. VII, 11. 28).
È difficile stabilire se questo tipo ha un carattere puramente alle-
gorico, oppure se riproduce un vero e proprio monumento. Esso venne
restituito da Vespasiano e da Tito, ed il Milani (i) basandosi esclusi-
vamente sulle costoro monete, nelle quali la statua di Ottaviano porta
la corona radiata, credette di vedervi il colosso di Nerone.
Q Tipi allusivi alla fondazione delle colonie latine
IN Oriente {Apafnea, Parium, Sinope, Antiochia Pisidia, ecc.).
^ — Testa laureata di Apollo a destra.
(Tav. VII, n. 23).
24. )^ — IMP CÀESAR all'esergo. Sacerdote velato che tiene
il flagello e guida l'aratro tirato da due buoi a d.
Ar., Coh., n. 117. (Tav. VII, n. 24).
D) Tipo allusivo ad un monumento locale
[Basilica di Ntceà).
^ — Testa nuda di Ottaviano a destra.
(Tav. VII, n. 31, 37).
25. yp — Una delle facciate della Basilica di Nicea, a due
piani con avamportico, fregio su cui lii legge
IMP CÀESAR, e timpano ornato da un bassori-
(i) Di alcuni ripostigli di monete romane, pag. 51.
LA MONETAZIONK DI AUGUSTO 221
lievo che rappresenta una figura seduta e sor-
montato al vertice da una Vittoria di fronte
sopra un globo porgendo la corona e tenendo
il vessillo, ed ai due lati da figure con asta e
parazonio (?) rivolte entrambe verso la Vittoria.
Coh., n. 122. (Tav. VII, n. 34).
II tipo è quasi identico a quello che si vede sui GB greci colla ef-
fige di Messalina (i) coniati verso il 46 d. C. a Nicea che riproducono
una delle facciate della Basilica di questa città (Tav. VII, n. 42). Il caso
di edifici a due piani nell'architettura numismatica è troppo raro perchè
si possa accusare di temerità questa interpretazione, quantunque sul
GB in questione il timpano non sia decorato da statue ma da sem-
plici acroteri, essendo abbastanza comune l'esempio di monumenti che
ricompaiono più tardi modificati sulle monete.
L'altra facciata della Basilica, che differisce da questa, perchè il
coronamento ne è costituito da un arco fiancheggiato da antefissi, non
è rappresentato che sui bronzi di Claudio e Messalina (2) appartenenti
alla medesima emissione, e altrettanto si dica di un terzo tip>o con due
ordini di colonne senza coronamento che a mio avviso rappresenta il
fianco dalla Basilica stessa.
/& — Come al n. 25.
(Tav. VII, n. 37).
26. I^ — IMP CAESÀR nel campo, Vittoria di fronte sopra
un globo, colla des. porge la corona e colla
sin. tiene lo stendardo.
Coh.. n. 113. (Tav. VII, n. 38).
Particolare della 'Statua sul timpano della Basilica; questo tipo,
venne più tardi riprodotto sui quinari aurei di Colonia Patrìzia che ho
già descritto.
(i) Vedi Babslon, op. cit., Nicea e tavola relativa.
(2) Un significante esempio dei progressi fatti dai professionisti della
falsificazione è dato da un preteso GB di Messalina a questo tipo che
figurava alcuni anni fa su un catalogo dell' Hirsch di Monaco. Si tratta
di un GB di Faustina jun. col diritto rifatto nella leggenda e nella ef-
fige alla quale venne cambiata l'acconciatura dei capelli ; in quanto al
rovescio, l'antico tipo fatto scomparire interamente era sostituito da
quello della lacciata con arco ed antefissi, il tutto meravigliosamente
imitato anche nelle peculiarità paleografiche. La mistificazione era però
tradita dalla effigie che conservava intatto il profilo di Faustina jun., e
da un errore epigrafico costituito dall'etnico NEIKAEAN '"vece di
nEIKAIEON.
LODOVICO L AFFRANCHI
E) Tipo allusivo al conferimento del titolo
DI « AVGVSTVS ».
1> — CAESAR COS VII CIVIBVS SERVATEIS Testa nuda
a destra.
(Tav. VII, n. 35).
27. ]ji — AVGVSTVS in alto, Aquila di fronte guardante a
sin., tiene fra gii artigli la corona di quercia e
seminasconde colle ali due rami d'alloro, nel
campo al basso S C.
Oro, Coh., n. 30. (Tav. VII, n. 36).
Questo tipo venne più tardi copiato dalle monete alessandrine di
Aureliano emesse nel 273.
Milano, Marzo 1^16.
L. Laffranchi.
à
LE MONETE CONIATE IN CATANIA
IN MEMORIA DEI « PII FRATRES »
Gli scrittori non sono tutti concordi nel deter-
minare l'epoca di quella famosa eruzione dell* Etna,
che diede occasione di essere grandemente celebrata
la gloriosa azione dei fratelli pii catanesi, non es-
sendovi che poche e magre notizie delle antichis-
sime eruzioni prima dell'era volgare, sebbene da
alcuni monumenti e dalle numerose lave apparisce
chiaramente che dal vulcano ne scoppiarono delle
poderose in tempi preistorici.
Alcuni hanno reputato per favoloso che le lave
del vulcano abbiano potuto incenerire tutti quei cit-
tadini, che, abbandonata la città di Catania, se ne
fuggivano portando seco le loro ricchezze ed abbiano
lasciati illesi i due fratelli, che si erano prefissi di
salvare i loro genitori, incapaci a potere fuggire
innanzi l' igneo torrente, ricordando che questo fatto
fin dai tempi di Alessandro il Macedone era consi-
derato per favoloso, come espressamente riferisce
Licurgo nella orazione contro Leocrate e poi basan-
dosi che non esistono nelle vicinanze di Catania
delle vestigie di quelle lave preistoriche e che le
fabbriche greche della città non mostrano affatto
delle tracce di una distruzione operata da quella lava.
Aristotele P.s, in De muncio^ 6 e in Mirab.,
154, descrive questa eruzione accaduta dopo quella
2:^4 Salvatore mironè
che avvenne all'epoca di Fetonte, senza determinarne
l'epoca, accenna ai due fratelli catanesi senza nomi-
narli e fa intervenire il soccorso divino per tale sal-
vamento.
Strobeo, in Serm., 198, dice di avere ricavato
dalle storie di Eliano che il fatto accadde nell'Olim-
piade LXXXI, errando però i nomi dei due eroi
catanesi.
Strabene, nella Geograf., VI, 2-3, non precisa
alcuna epoca, pur facendo menzione del fatto.
Pausania, X, 28-4, pur raccontando l'avveni-
mento, non li chiama a nome.
Solino, 5-T5, rammenta questo fatto ed aggiunge
che i catanesi H chiamavano Anapia ed Anfìnomo,
mentre i siracusani, che gliene contrastavano la
gloria, h chiamavano Emanzio e Critone.
Molti scrittori moderni invece sostengono che
nel secolo V prima dell'era volgare, secondo un
racconto popolare, vi sarebbe stata una di quelle
poderose e terribili eruzioni dell' Etna, che avevano
atterrito i primi naviganti greci, ma che non reca-
vano piti spavento agli arditi calcidesi, che, dopo
avere per lungo tempo costeggiato il mare Jonio,
si erano stabiliti in diversi punti della costa orien-
tale della Sicilia, fondandovi delle opulente città, fra
le quali Catania.
Durante questa eruzione, un torrente di lava
(qualcuno afferma che sarebbe stato emesso da Mon-
pilieri e qualcheduno da Monte vergine) minacciava
la città di Catania ed i suoi dintorni, tanto che tutti
gli abitanti premurosamente cercarono di mettere
in salvo tutte le loro ricchezze ed i loro tesori,
mentre i due fratelli Anapia ed Anfinomo, non cu-
ranti dell' imminente pericolo e disprezzando di sal-
vare i loro averi, si caricavano di un più venerato
peso, sudantes venerando pendere, portando sulle spalle
Le Monete coNiAtE in CAtANiA, ecc. aa^
l'uno il padre e l'altro la madre, incapaci di potersi
salvare stante la loro età decrepita. 1 due fratelli,
non potendo camminare speditamente a cagione di
quel peso, furono dalla lava quasi circondati e sta-
vano per essere inghiottiti dal fiume di luoco, quando
la Natura, dopo aver loro mostrato il grande peri-
colo corso, rispettava quella gloriosa azione. Ed in-
fatti il torrente di lava si ripartiva e lasciava loro
libero il passo onde potersi salvare insieme ai loro
cari genitori.
Non sarebbe qui il luogo di discutere se fos-
sero nel vero gli uni o gli altri scrittori e se il fatto
fosse accaduto o pur no, avendo noi solamente in-
tenzione di occuparci fugacemente delle monete co-
niate in Catania in memoria degli sj«fi««:;, ma pur
tuttavia necessariamente dobbiamo analizzare questo
avvenimento, che ha rivestito in quella città una
grande importanza.
Racconta Tucidide, nella Storia, 111-116, che
dacché i greci si posero ad abitare la Sicilia fino al
tempo in cui viveva, non si contano che tre eruzioni
dell' Etna. La prima — della quale egli non riferisce
l'epoca — si crede probabilmente sia avvenuta ai
tempi di Pitagora. La seconda trovasi registrata nei
famosi marmi arundulliani dell' isola di Paros ed ac-
cadde l'anno secondo dell'Olimpiade LXXV sotto
l'Arcontato di Santippo, che corrisponde al 479 a. C.
La terza accadde ai tempi di questo grande storico
precisamente nell'anno sesto della guerra del Pelo-
ponneso, coincidendo con l'anno secondo dell'Olim-
piade LXXXVIII, cioè 426 prima dell'era volgare.
Gli accennati scrittori antichi, ai quali si devono
aggiungere Seneca, De bene/.. III. 37-2; Valerio Mas-
simo, De factorum et dictorum, V, 4 ; Marziale, VII,
24-5 ; Ausonio, Ordo urb. nob., 16 e carni. X Ds
claris civitatibtis; Luciano, Aetna, 626; gli onori pre-
29
226 SALVATORE MIRONF:
stati fin dall'epoca di Pausania ; i poemi di Severo,
Aetna, e di Silio, XIV, 197 ; le statue per cui Clau-
diano compose un carme ; la iscrizione dell'epoca di
Zosimo, che ancora si conserva nel museo dei padri
cassinensi; le dotte osservazioni di Cluverio, Car-
rera. Amico, Somma ed altri confermano che quel-
l'avvenimento in Catania avvenne. Vero si è che
fra i siracusani ed i catanesi vi fu una forte disputa
nell'antichità intorno alla patria dei due fratelli pii.
tanto che i primi li chiamavano Emanzio e Critone
e pretendevano che i due fratelli fossero loro con-
cittadini.
Ma questa pretesa cade quando si pensi che
la cittadinanza siracusana, la quale serbava memo-
ria nelle sue monete del forte Leucaspi, che lottò
contro Ercole di Ligdamo, vincitore dei Fancrazia-
nisti nei giuochi istmici e di altri eroi dell'evo an-
tico, non avrebbe lasciato di ricordare un si grande
avvenimento nei marmi e nelle monete della patria.
L'avvenimento quindi è dovuto succedere con cer-
tezza, se non nella città, nei dintorni, a monte verso
r Etna, per il motivo che le fabbriche greche non
hanno alcuna vestigia di tale lava preistorica e so-
lamente l'epoca dell'eruzione è incerta. Difatti dalla
narrazione di Aristotele, che rincula tale gloriosa
azione ad un'epoca più remota dell'Olimpiade 81 e
tale che tocca l'età favolosa, e dalla storia di Tuci-
dide, che afferma di esservi state tre eruzioni dallo
stabilimento dei greci in Sicilia, si può supporre
che l'eruzione detta dei fratelli pii (di cui vi è una
carta topografica compilata dall' ing. Sciuto-Patti, Ca-
tania 1875) fosse accaduta ai tempi precedenti la
nostra storia e prima che Catania sia stata abitata
dalla colonia calcidese di Evarco nell'anno 729 a. C.
L'avvenimento da quell'anno in poi sarebbe stato
con certezza storica segnato; vero si è che i detti
1
LE MONETE CONIATE IN CATANIA, ECC. 227
fratelli hanno nomi greci e può darsi il caso che i
nomi siano stati modificati nella lingua greca.
Analizzando poi il racconto del miracoloso sal-
vamento dei due fratelli insieme ai loro genitori si
possono fare tre congetture :
i.^ o che il torrente di lava incontrando delle
accidentalità nel terreno si sia fermato per alcuni
giorni quasi dimostrando di volere estinguere la sua
attività distruttrice e che all'improvviso più a monte
un braccio di lava secondario si sia staccato da
quello principale, come è avvenuto in varie eruzioni,
ed abbia minacciato la città da una direzione, da
cui i cittadini si credevano sicuri, incutendo mag-
giore spavento per la repentina irruzione;
2.^ o che il torrente di lava, che pareva quasi
estinto, si sia momentaneamente risvegliato e sia
corso con una certa velocità, data la natura del
terreno ;
3.^ od in ultimo le bocche eruttanti lava siano
state vicinissime alla località in cui si svolse l'azione.
Nei primi due casi è da escludersi completa-
mente che l'igneo torrente abbia potuto inseguire i
cittadini fuggitivi, perchè in linea generale un braccio
di lava, lontano vari chilometri dalle bocche d'eru-
zione ed in un terreno non troppo scosceso, procede
sempre leggermente avanzando pochi chilometri per
ora e dà il tempo necessario agli abitanti di poter
sgombrare con le loro masserizie, mentre nel terzo
caso la lava, quasi liquida avanza con una certa
velocità pericolosa per coloro che sono vicini, perchè
i lapilli e le ceneri infuocate non permettono di ve-
dere ad una piccola distanza. Quindi è da conchiu-
dere che il fatto è stato grandemente esagerato at-
traverso il racconto popolare tramandato ai posteri.
228 SALVATORE MIRONK
*
* *
Grande dovette essere la devozione della citta-
dinanza catanese per tale glorioso fatto ed in premio
di tale pietà filiale i due fratelli Anapia ed Anfinomo
ebbero erette delle statue, splendidamente descritte
da Claudiano nel carme De piis fratribus et de statuis
quae sunt apud Catinam, il luogo del loro sontuoso
sepolcro fu chiamato campo dei fratelli pii (sOffefifejv x^po?)
o campo della pietà, dove fu trovata un'iscrizione
così tradotta dal greco in latino, Piorum inclyta urbs
beatum virum in sublime posuit, ecc. ecc., e che se-
condo C. Gemellaro corrisponde alla località presso
Catania detta Pampiu parola corrotta di Campus
Piorum, e la loro immagine venne scolpita in alcune
monete coniate nella città di Catania.
Le zecche siciliane, ultima quella di Siracusa,
nell'anno 212 a. C, nei primi tempi della conquista
dei romani o furono chiuse o furono ridotte a co-
niare monete di rame, avendo Roma tolto alle città
della Sicilia il diritto di coniare monete di metalli
nobili, cioè oro e monete d'argento di grosso taglio.
Catania, che era scomparsa dalla storia dopo il suo
soggettamento alla città di Siracusa per opera di
Dionisio il Vecchio, sotto la dominazione dei romani
aveva la sua zecca e fra tutte le città siciliane con-
tinuò ad averla fino all'epoca bizantina; questo latto
potrebbe essere messo in relazione con l'altro che
appunto questa città seguitò più a lungo ad avere
monete proprie.
Nel tedioso periodo della dominazione romana
la numismatica siciliana è rappresentata da una ricca
serie di monete di bronzo, in cui lo stile si fa sempre
più basso e scadente e certamente i tipi più inte-
ressanti della città e di tutta V isola sono le monete
LE MONETE CONIATE IN CATANIA, ECC. 229
coniate in Catania per onorare la memoria dei due
fratelli Anapia ed Anfinomo.
Le monete di bronzo sono cinque e sono le
seguenti :
1. & — Testa di Bacco a destra, coronata di pampini, so-
pra AAZIO e dietro un monogramma della forma
di un quadrilatero, di cui il lato sinistro è ri-
piegato verso il centro, formando quasi due
rettangoli ; poggiato sul lato superiore vi è un
piccolo cerchio.
R) — KATAN Anfinomo ed Anapia che adducono a salva-
mento i loro genitori.
Bromo, gr. 8,15.
2. Simile al precedente.
Bronzo, gr. 5,86.
3. Altro simile KATANAIflN.
Bronzo, gr. 3,68.
4- ^ — KATANAIflN uno dei fratelli che conduce a salva-
mento uno dei genitori.
9' — Lo stesso tipo.
Bronzo, gr. 3,96.
5. Simile al precedente, ma di minore modulo.
Bronzo, gr. 1,96.
Il Paruta sostiene che il capo del giovane sia
coronato di frondi di quercia - simbolo della libertà —
perchè coloro che liberavano in battaglia un citta-
dino erano coronati di quercia. Soggiunge poi che
la parola AAIIO è oscura e che se vi fosse scolpito
lAllO mostrerebbe che la moneta fu consacrata a
Fasio, figliuolo di Giove, marito od amico di Cerere
secondo Diodoro Siculo. Infine il Paruta sostiene
230 SALVATORE MIRONE
che Lasio sia stato qualche celebre catanese devoto
ai fratelli pii dopo il glorioso avvenimento. Invece
molti autori sostengono che AAIIO con tutta certezza
doveva essere un nome locale di Dionisio ed il si-
gnificato della parola : chiomato, folto di pelo, pe-
loso, è bene appropriato al dio, che aveva la pelosa
pelle di un cerbiatto per caratteristico vestito.
Questi tipi di monete ci riferiscono quanto vivo
sia stato sin dalla più remota antichità il culto in
onore di Bacco a Catania e nei dintorni, ove la col-
tivazione della vite era molto diffusa ed ove si pro-
duceva un vino prelibato. Quell'appellativo di chio-
mato, di peloso, ci rivela l' indole ed il carattere
della popolazione dell'antica città, che scherzevol-
mente affibbia un sopranome alla suddetta divinità
e lo fa trascrivere in alcune monete.
Le cinque monete non sono rimarchevoli sotto
il rapporto dell'arte, ma pur tuttavia posseggono il
notevole pregio di rappresentare in questo periodo
della decadenza dell'arte numismatica greca la rea-
zione contro il monopolio di accentramento che eser-
citava Roma nelle provincie conquistate e di rialzare,
sebbene sotto dominazione straniera, per poco le
sorti della lunga ed artistica serie delle monete
greco-sicule. Nel periodo deirassoggettamento ai ro-
mani si era perduto il carattere proprio delle sin-
gole città greche, mentre le dette monete ci confer-
mano che la civiltà greco-sicula non era stata per
nulla sopraffatta dalla cultura romana e che anzi le
due civiltà romana e greca si combattevano in Si-
cilia senza che nessuna delle due fosse riuscita ad
acquistare un' importanza speciale, senza che Tuna
avesse avuta superiorità sull'altra.
Il pregio speciale di tali tipi di monete si è che
mentre il simbolo di molte monete greche era de-
stinato a richiamare un avvenimento, una vittoria,
Le monete coniate: in CAtANlA, ECC. à3t
un trionfo, che interessavano un'intiera popolazione,
una città, il simbolo di queste cinque monete, che
rappresenta la pietà filiale, richiamava un avveni-
mento, che si riferiva ad una sola famiglia, che ri-
cordava semplicemente un'azione eroica di due cit-
tadini, ma che giustificava il pubblico culto profes-
sato nella città di Catania in memoria degli £•j^efi£^.
Infine bisogna conchiudere che tali tipi di mo-
nete, sebbene come sopra si è detto, non contengano
i notevoli pregi d'arte del periodo classico della nu-
mismatica greca, pur tuttavia gli incisori della zecca
catanese, quantunque già privi del genio creatore
che segna le grandi epoche, serbano in parte le tra-
dizioni del bello in tali monete e forniscono delle
utili lezioni ai vincitori, rialzando con la confazione
di poche monete l'arte siciliana dell'incisione.
Un simile tipo di moneta s'incontra nel denaro
d'argento fatto coniare in Catania da Sesto Pompeo,
durante il periodo nel quale il figlio di Pompeo il
Grande governava 1* isola (42-36 a. C).
Ecco la descrizione del denaro :
/B* — Testa nuda di Pompeo Magno a dritta ; dietro un
vaso da sacrifizio e dinanzi il liuto. MAG • PIVS
(IMP ITER).
^ — Anapia ed Anfinomo che salvano i loro genitori.
In mezzo Nettuno a sinistra, con il piede sopra
la prora di una nave e con l'acrostolio nella de-
stra. PR>EF • I CLAS • ET • OR/E ! NR • T • EX • S • C •
Argento. Denarìiis, gr. 1,1137.
La zecca siciliana, una fra le principali della
Sicilia, ebbe la concessione di poter coniare questo
23^ Salvatore MiRoNf.
tipo di moneta, quasi come un'eccezione, perchè la
fabbricazione provinciale ed urbana di monete d'ar-
gento non era più permessa nelle provincie siciliane
pochi anni prima dell'era volgare.
Mentre si agitava la guerra civile in Sicilia,
36 anni a. C, racconta Appiano che vi fu nell'Etna
una ferocissima eruzione. La lava dovette essere
vomitata dall'alto cratere del vulcano per potere es-
sere veduta dai soldati romani accampati vicino il
colle Miconico, che è posto alla parte sinistra di
Milazzo e si estende verso il Peloro; da quel luogo
non poteva certamente vedersi scorrere la materia
rovente se non fosse eruttata dal cratere principale
dell'Etna od al più dall'estrema parte della sua ul-
tima regione, poiché da quel luogo si scorge l'ultimo
dorso con il cratere principale del vulcano.
Quindi vi sono delle buone ragioni per ritenere
che Sesto Pompeo, avendo assistito a quell'eruzione
dell'Etna, perchè allora si trovava in Sicilia ed ispi-
randosi al gruppo delle statue dei fratelli Anapia ed
Anfinomo, che esisteva ancora in Catania e che è
stato descritto egregiamente da Claudiano nel suo
immortale carme, abbia ordinato di fare coniare nella
zecca di Catania tale tipo di moneta d'argento, nel
cui rovescio vi sono rappresentati i due fratelli pii,
che salvano i loro genitori e nel mezzo Nettuno, che
invece del suo tridente, simbolo della sua regale di-
gnità, porta l'acrostolio nella destra e tiene il piede
destro poggiato sopra una prora di nave.
Geniale è stata l' idea del grande generale ro-
mano, quando si pensi che il denaro d'argento ^
venne coniato in ricorrenza di un altro avveni-
mento terrestre dell'Etna, per il quale i due fra-
telli catanesi avevano potuto esplicare la loro
azione eroica ed hanno avuta quella rinomanza
nell'antichità e quindi la fabbricazione di tale de-
LK MONFTÉ coniate in CAtANIA, ECC. 2^3
naro riveste il carattere di una medaglia comme-
morativa.
Esaminando l' incisione di tale denaro, si osserva
una notevole difì'erenza rispetto alle monete romane,
che erano allora in circolazione ; vi è una visibile
perfezione nella fabbricazione e poi vi si ammira
molta semplicità di stile congiunta ad una certa grazia
ed eleganza d'esecuzione, difficile a trovarsi in un
periodo di decadimento della numismatica. Il rovescio
di tale denaro riproduce il gruppo delle statue dei
due fratelli e pare che l'incisore si sia ispirato ad
esso : il vecchio padre, con il braccio alzato, mostra
l'immane eruzione e la madre sta in atto d'invocare
gli dei.
Un animoso orrore si scorge nei due giovani ;
l'uno alzava la destra contento di aver portato a
salvamento il padre e l'altro usa tutte le precauzioni
dovendo portare la madre, appartenente al sesso più
debole. Riproduzione che si osserva anche nelle
cinque monete di bronzo.
Concludendo, questi tipi di monete confermano
ancora una volta che fra i greci della Sicilia non
era del tutto spenta l'inclinazione a vestire ogni
cosa di elettissime forme e che, sebbene sotto domi-
nazione straniera, i greco-siculi seguitavano a consi-
derare la moneta non solamente come strumento ai
commerci, ma anche come affermazione dell' arte
greca dell' incisione, non ancora scomparsa, del sen-
timento verso la patria asservita.
/?. Università di Torino.
Dott. Salvatore Mironf.
30
^34 Salvatore miroNf!
BIBLIOGRAFIA.
Fra i numerosi autori che si sono occupati nell'antichità
e nell'epoca moderna del glorioso fatto dei fratelli pii di
Catania e delle monete coniate in memoria di essi, si citano
solamente alcuni moderni, tralasciando di cennare gli antichi
e molti moderni, considerata la modestia del lavoro.
Hill, Coins of Ancient Sicily, Westminster, 1903.
HoLM, Geschichte Siciliens in Altertum. Leipzig, 1898.
Freeman, The History of Sicily.
Barklay V. Head, Historia Numorum, A Manual of g^reek
numismatics. Oxford, 191 1.
CoRDARo Clarenzo, Ossevvaziofii sopra la storia di Catania.
Catania, 1833.
Recupero, Storia naturale e generate dell'Etna. Catania, 1815.
Gregorio, Opere scelte. Palermo, 1857.
Alessi, Storia critica di Sicilia. Catania, 1835.
Catalogo generale dei musei d'antichità. Roma, 1881.
Torremuzza (di), Opuscoli di numismatica siciliana.
Paruta, La Sicilia descritta con medaglie e ristampata con
aggiunte da Leonardo Agostinl Lione, 1697.
Cohen, Description des monnaies frappées sous l'empire ro-
main jusqu'à la chùte de /' empire d' Occident. Paris,
1880-1892.
I MEDAGLIONI
DI
Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia
Torna inutile ripetere qui le notizie, già ben
note, sulla magnificenza di Galeazzo Maria Sforza
nella serie copiosa delle sue monete e medaglie. Ba-
sterebbe, a documentarne l'alta importanza artistica,
una scorsa alle belle tavole prodotte nelle opere
monumentali dei fratelli Gnecchi e di S. M. il Re^').
li Biondelli, solo per dare una pallida idea dello
straordinario loro valore metallico, accennò al ren-
diconto dei maestri di zecca del 1471, pubblicato
nel 1565 dal compianto Muoni ^2) per la coniazione
di sei medaglie d'oro, tre colla effigie del duca stesso
e tre con quella della duchessa Bona, sua moglie,
le quali sole importarono la spesa di ducati 63 488
e 7 16, equivalenti a circa 762,000 lire italiane <3).
Per il primo e fin dal 1844 il Mulazzani, altro
benemerito della numismatica milanese, aveva ac-
cennato alla esistenza di quattro di siffatte medaglie
nel tesoro ducale (^\ riferendosi ad un diploma di Ga-
(i) Le Monete Ut Ali/ano. Milano, 1883 e Corpus Nwnmoruni Itati-
corum, voi. V (Milano). Roma, 1914-
(2) La zecca di Aliiano nel sec. XV in Rivista della Numismatica an-
tica e moderna, fase. IV. Asti, 1865.
(3) Biondelli. La secca e te monete di Milano. Milano, 1869, pag. 135;
Ricordo della zecca di Milano in Arch. Stor. Lombardo, fase. III. 1878,
pag. 456 e nella Prefazione all'opera citata dei fratelli Gnecchi, pag. lv.
(4) aitila secca di Milano dal secolo XIII fino ai giorni nostri \n Ri-
vista Europea, 1844 e ripr. dai fratelli Gnecchi in Tre opuscoli di nutni-
:intntica milanese del conte Giovanni Mnlaazani ristampati. Milano, 1889,
pag. 24.
236 EMILIO MOTTA
leazzo Maria Sforza, stesso, già posseduto dal pro-
fessore Aldini, datato da Pavia il 4 marzo 1476. in
cui si approvavano i conti, e se ne dava intiera li-
berazione a Gabriele Paleari per la gestione della
tesoreria tenuta dopo la morte del tesoriere generale
Antonio Anguissola di Piacenza, dal 23 agosto 1473
al 19 ottobre 1474.
Quelle medaglie erano così descritte: « quatuor
medaliae aureae magni ponderis, valoris ducatorum
circiter decem milia prò qualibet, quarum duae no-
strani, et duae ili.*""' consortis nostrae effigiem sculp-
tam habebant » ; del valore o peso, stimato dal Mu-
lazzani medesimo di almeno 4000 odierni zecchini
per cadauna <^K
Ben più tardi il Caffi e lo scrivente ^^^ aggiunge-
vano documenti a provare che dieci furono i meda-
glioni d'oro battuti dal duca di Milano, cinque con
la sua effigie, cinque con quella della duchessa. Il
Muntz e l'Armand ne accoglievano le notizie nei
loro scritti, calcolandone il peso a circa 35 chili di
(1) 11 Mulazzaiii si diftonde nella interpretazione dei diecimila du-
cati attribuiti ad ognuna delie quattro medaglie, che erano del valore
e peso ognuna di diecimila veri e pesanti ducati d'oro ossia zecchini.
Volendo comporre di quella massa prodigiosa d'oro un calcolo più mo-
derato possibilmente e che nello stesso tempo illeso mantenesse il con-
cetto delle grandi dovizie sforzesche, egli tramutò i ducati reali d'oro
in ducati immaginari composti di soldi 32 d'argento che dalla fine del
secolo XIV, regnando il primo duca Gian Galeazzo Visconti, correvano
quale moneta di conto, frammisti ai veri, in Milano e vi ebbero corso
fino al Governo Spagnuolo. Considerati pertanto i diecimila ducati al
valore di soldi 3*, si hanno lire 16,000 di quell'epoca per valore di ogni
medaglia. Valendo poi il ducato effettivo d'oro lire 4 e soldi 2, ne segue
che lire 16,000 erano l'equivalente in quel tempo a poco meno di quat-
tromila veri e pesanti ducati d'oro, come sopra riferito.
(2) Cakki, Anlica arte lombarda. Oreficeria in Arch. Star. Lombardo,
1880, pag. 590 ; MoiTA, Nuovi documenti ad illustrazione della cecca dt
Milano nel secolo XV in Gazsdla Numismatica dell'Ambrosoli, a. IV,
n. 5, 1884.
I MEDAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 237
metallo ed iscrivendo fra i medaglisti i nomi di Za-
netto Bugato e di Maffeo da Givate (^^.
Ora è finalmente il momento di ripresentare,
come molti anni sono promettevano ^^\ questo mate-
riale archivistico, completandolo con qualche altro
documento sopravvenuto, anche ad illustrazione so-
bria degli artefici di quei medaglioni. Sulla fede dei
documenti, editi od inediti, dell'Archivio di Stato di
Milano <3) confermeremo che le medaglie in numero
di IO, e del valore superiore ai 10,000 ducati fu-
rono diffatti coniate sul finire del 1470 e nei primi
mesi del successivo 1471. Artefici quel Zanetto Bu-
gato pittore, valentissimo sopra tutti nel fare di ri-
tratto e perciò appunto scelto da Galeazzo Maria
fino dal T467 a delineare le fattezze di Bona che era
allora sua fidanzata U); Maffeo da Ctvate, fra i più
rinomati orafi del '400 <5) e Fraìicesco Rossi da Man-
tova, bombardiere ben noto al servizio ducale ^^\
(i) Muntz, L'arie italiana nel '400. Milano, 1894, pag. 177; Armano,
Les médaitleurs, seconda ediz., t. 3, pag. io e sgg. Paris, 1887.
(2) Cfr. i nostri Documenti Visconteo-Sforzeschi per la storta della
secca di Milano in questa Rivista, 1896 ai nn. a68 e 270 dei regesti.
(3) Si avverte che i documenti prodotti stanno nelle sezioni : Car-
teggio Sforzesco, Potenze Sovrane (A-Z, medaglie e gioielli), Autografi
(Artisti diversi, medaglie).
(4) Morto nel 1476 (Boll. Star, della Svizzera Italiana, 1884, pag. 79).
La bibliografia intorno al Bugati è ricca. Ci limitiamo a citare i più
recenti del Malaguzzi in suoi Pittori Lombardi del Quattrocento ed in
Rassegna d'Arte, dicembre 1911.
(5) La famiglia dei da Givate, al pari di quella dei Crivelli, è tutta
una famiglia d'orefici valentissimi. Il nome Maffeo vi si ripete da padre
in figlio, e due di tal nome piìi degli altri si distinsero come orafi e
zecchieri ; il secondo Maffeo operò nelle zecche di Desana e di Saluzzo
nel primo quarto de! secolo XVL Rimandiamo ad altra occasione di
ragionare meglio dei due Maffeo da Givate, del resto già abbondante-
mente ricordati dal Caffi, dal Beltrami, dal Promis, dal Muntz, dal Ma-
genta, dal Ceruti, dal Roggiero e forse ultimo dal Biscaro (Archivio
Stor. Lombardo, I, 1914, pag. 86).
(6) figura come bombardiere già nei 1460. Nel 1471 getto una ben
riuscita spingarda e fallì il getto di un'altra bombarda. Assentatosi dal
238 ' EMILIO MOTTA
Ecco il primo documento, un ordine ducale del
12 novembre 1470 al tesoriere Antonio Anguissola :
Dhx Mediolani eie.
Antonio. Volimo che havuta questa faci fare duy stampi
grandi de forma corno sonno le medaglie de marmore sonno
lì in la camera nostra, di quali luno stampisca la testa no-
stra al naturale cum queste lettere in cerco : Galeaz Maria
Sfortia Viceeomes Dux Mediolani quintus, et l'altro stampo
stampisca la testa dela 111.""^ nostra consorte pur al naturale
con queste littere: Bona Viceeomes Ducissa Mediolani quinta;
et forniti dicti stampi, faray stampire de luno et de laltro in
piombo una forma quale ne mandaray. Dat. Viglevani die
xij novembris 1470.
ClCHUb.
Al quale primo ordine ne seguiva l'indomani
un secondo più chiaro.
Dux Mediolani etc.
Antonio. Per una altra nostra te havemo scritto come
tu dovessi far fare uno stampo de medaya alla forma de
una de quelle de marmerò che sono in castello nela nostra
camera. Ma acciò che tu sij meglio chiaro dela intentione
nostra te dicemo cosi che tu debij fare fare una massa de
piombo, tonda de la grandeza del cerchio mazore che è de-
signato in lo incluso foglio et che sij de quella grosseza che
seria ad farne una de peso de x." ducati d'oro, et facta che
la sia subito ne la manderà^- qua. Ma in ciò non gli perdere
tempo alcuno perchè poy te avisaremo de quanto haveray
ad fare. Dat. Viglevani die xiij novembris 1470.
ClCHUb.
servizio Sforzesco vi è richiamato nel 1473. Nel dicembre 1478 e nel
1480-81 lo vediamo occupato ai castelli di Bellinzona. Di casato era:
Rossi e tale si rivela dall' istromento di vendita di Mesocco a Gian Gia-
como Trivulzio del 20 dicembre 1480. Mori ai 19 marzo 1492 (cfr. Motta,
Morti in Milano in Ardi. Sior. Lombardo, fase. II, 1895, pag. 264.
I MEbAGLIONI Ì>1 G. M. SFORZA E DI hONA DI SAVoia 23^
Ai 3 dicembre nuova missiva del duca al suo
tesoriere ; e da essa si intende che la lorma portata
dal pittore Zanetto era piaciuta allo Sforza, e che
delle medaglie se ne dovevano coniare io del va-
lore di 10,000 ducati, coll'effigie del duca su di un
canto e della duchessa sull'altro. Le medaglie, come
dal documento precedente, dovevano aver la forma
e la grandezza delle medaglie in marmo che si tro-
vavano nel castello a Milano (^*.
Dux Mediolani etc.
Antonio. L'altro dì te scrissemo corno deliberavamo far
fare dece medaglie de valore di decemilia ducati luna, et
così per possere meglio vedere la forma te dicessemo ne
fesse butare una de piombo, di quella grandeza et grosseza
dovevano essere quelle de oro, cum il stampo di la nostra
testa da uno canto et da l'altro quella dela nostra 111.'"* Con-
sorte. La qual forma portata per messer Zaneto habiamo
vista et piazene la grandeza et forma dessa. Pure aciò che
alla nostra venuta lì a Milano possiamo vedere butare diete
medaglie dece de pexo di x™ ducati luna utsupra, volemo
metti in ordine lo oro et le altre cose necessarie in modo
che non gli manchi altro, salvo dargli il stampo. Dat. Vigle-
vani die iij.° decembris 1470.
Jacobus.
Galeaz subscripsi, cum corniola.
Dell'ultimo di dicembre è un'altra lettera du-
cale. La medaglia d'oro importava 15,000 anziché
10,000 scudi e lo Sforza impartiva i necessari ordini
(i) Le dimensioni esatte di questi medaglioni non ci sono note. Si
può tuttavia farsene un' idea, ricordando, come giustamente osserva
l'Armand, che le teste erano di grandezza naturale ed uguali ai meda-
glioni in marmo, tuttora nel Museo del Castello e nella collezione
G. Dreyfus a Parigi. Quindi un diametro di circa 60 centimetri ed uno
spessore non inferiore ai 6 o 7 millimetri, per raggiungere il peso di
10,000 ducati.
ù^ò f.UtUÒ MOttA
airAnguissola pello sborso di quella somma. Gio-
vanni Antonio Pirovano e Giacomo Alfieri assistes-
sero al getto dell'oro. L'opera fosse eseguita dal
bombardiere Francesco da Mantova, dal pittore Za-
netto Rugati e dall'orefice Maffeo da Civaie, ricordati
precedentemente.
Dux Mediolani eie.
Antonio. Perchè havemo deliberato comò tu sai di far
butare una medaglia doro cum la nostra testa da mestro
Francesco da Mantoa nostro bombarderò, da mestro Zaneto
depinctore et da mestro Mafeo da Giva (Givate) aurifice, al
compimento de la qua! medaglia, secundo il parere de dicto
mesero Mafeo anderà ducati quindeximilia, semo contenti et
volemo daghi a Johanne Antonio da Piroano tuo cancellerò
dicti ducati xv™, videlicet ducati dodexe milia doro in oro
larghi et ducati tremilia venetiani in tanto oro : qua! Johanne
Antonio starà presente a veder butare dieta medaglia una
cum Jacobo Alfero corno habiamo ordinato. Intendendo sopra
li ducati vcc™ avanzano nell'anno m.° ecce." Ixxj. Dat. in
castro Porte Jovis Mediolani die ultimo decembris 1470.
Jacobus.
Galeaz subscripsi.
Ai 15 gennaio 147 1, troviamo che due medaglie
erano già state battute, e che il duca in quel giorno
insisteva perchè fossero portate ad esecuzione le
altre otto, come dalla seguente sua missiva da Monza:
Modoetie die xv Januarij 147 1.
Antonio Anguissole.
Antonio. Havendo nuy per ogni modo deliberato comò
tu say de far fare dece medaglie doro videlicet cinque da la
nostra testa et altre cinque da la testa de la nostra III."'* con-
sorte et cum quello reverso habiamo ordinato cum mestro
Zaneto et mestro Francisco da Mantova, de precio et valore
de decemmilla ducati luna, in modo che siano in suma du-
I
1 MEDAGLIONr DI r.. M. SFORZA F DI RONA DI SAVOIA 24 1
cati centomillia cum quelle doe che sono butate : le quale
aciò siano simile ale altre le faray rebucare. Volemo adun-
cha che usi ogni diligentia te sia possibile, che diete meda-
glie siano butate et facte per mestro Mafeo da Givate, me-
stro Zaneto et mestro Francesco da Manloa, secondo la
forma de la commissione ha havuta da nu^- diete mestro
Zaneto. Siche faray desfare tutti quilli ducati te sarano ne-
cessari] per satisfare ad questa nostra mente.
Jacobus.
Galeaz subscripsi cum corniola.
Dei 3 marzo successivo è il conto dettagliato
di quelle medaglie, reso già noto dal compianto nu-
mismatico e storiografo Damiano Muoni, ma che qui
è duopo riportare di bel nuovo:
Die iij martij 1471 portati per mano de Job de la Croxe.
Conto de sexe medalie fabricate con la efigia del nostro
Illustrissimo Sig."^* et de la nostra Illustrissima Madonna du-
chesa comò appare qui de soto videlicet.
Primo j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa
marca 168 onze 5 denari 12 vale ducati 11302 7i« i
lietn j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa
m.* 148 onze 5 den. 12 vale due. 9962 ;
Item j Medalia con la effigia del nostro J. Signore pexa
m.' 155 onze 4 den. 12 vale due. 10422 % ;
Item j Medalia con la effigia dela nostra J. duchesa pexa
m." 165 onze i den. 6 vale due, 11065 Vj ;
Item j Medalia con la effigia de la nostra j. Duchesa pexa
m.^ 153 onze 4 den. 12 vale due. 10388 Vi ;
Item j Medalia con la Effigie dela nostra J. duchesa pexa
m.* 155 onze 7 den. 7 vale due. 10447 ^/^.
Le suprascripte medalie 6 pexeno in summa m.* 947
onze 4 denari 18, valeno ducati 63488 '/,«.
I documenti sono interrotti per alcuni mesi. Ma
le medaglie, furono battute; non v'ha dubbio. Ce lo
242 " EMILIO MOttÀ
confermano gli ordini 27 e 28 giugno 1471 da Mi-
rabello al tesoriere Anguissola ed al conte Giovanni
Attendolo, castellano di Pavia di farne pulire e pre-
parare al giusto peso due, intendendo lo Sforza por-
tarle seco a pompa nella sua gita a Mantova (^>.
Scriveva all'Attendolo la duchessa Bona di Sa-
voia :
Mirabelli xxvij Jiinij 1471.
Corniti Johanni de Attendolis.
Dilectissime noster. Perchè deliberanno in questa nostra
andata in Mantuana portare con no}- duy de quelle nostre
metaglie sonno in la camera del Thesoro de quello nostro
Castello in vostre mane, semo contenti et volenio dagati a
Jop da la Croce raxonato et mandatario de Antonio Anguis-
sola, nostro generale Thesaurero, doy de diete mettaglie per
portare ad esso Antonio acciò che le possa fare netezare,
polire et adiustare secondo gli è stato comesso et diete me-
taglie volemo siano una della testa del nostro 111.™° consorte
et l'altra della nostra testa. Dat. Mirabelli die xxvij Junij 1471.
Jacobus.
Subscript. : Bona duchesa de Mediolani, cum corniola.
Il duca, avute le due medaglie le rimetteva, a
mezzo del ricordato Job della Croce, all'Anguissola,
come dalla seguente:
Dux Mediolani etc.
Antonio. Per Job de la Cruce te mandiamo due meda-
daglie de la testa nostra et de la nostra 111.*"" Consorte aciò
che tu le facij nettezare et adiustare al peso imodo che siano
aconzo a laudata nostra in Mantuana, quale sarà prestissima.
Siche non ghe perderai una bora del tempo perchè siano
(i) UOrfeo del Poliziano venne per la prima volta rappresentato
alla corte di Mantova, appunto nel luglio del 1471, nell'occasione delle
feste datevi per l'accoglienza del duca di Milano.
I iMEUAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 243
finite più presto sia possibile. Et più volemo che mandi qui
in questo nostro castello imano del Conte Joanne nostro Ca-
stellano tanti denari in oro quanti sarano le diete due me-
daglie adiustate che siano, per non mancare al numero che
tu say corno te scriveremo più copiosamente per un altra
nostra secondo li ordini. Dat. Mirabelli die xxviij Junij 147 1.
Jacobus.
Nuova missiva ducale del giorno susseguente,
da Pavia, sempre al tesoriere suo :
Antonio Anguesole.
Antonio. Credemo a questa hora per Job dalla Croce
habij recevute le due medaglie quale te mandiamo aciò che
tu le facij netezare, polire et adiustare per portare cum noy
in Mantuana el più presto sia possibile, et perchè non vo-
lemo mancare al numero che tu say et in questo nostro ca-
stello de Pavia, semo contenti remandi altrettanti denarj qui
in oro quanto erano o vero serano de peso diete medaglie
justate che siano et alla tornata nostra de Mantuana te or-
dineremo quello se deve fare de diete metaglie. Dat. Papié
die xxviiij.*» Junij 1471.
Sig. Jacobus.
Subseript. Galeaz, cum corniola.
Dei 3 settembre, sempre del medesimo anno, è
l'ordine dello Sforza da Pavia all'AnguissoIa di man-
dargli, consegnandole al castellano conte Attendolo,
due di quelle medaglie, avvisandolo « quanti denari
se ritrovarano in capsa a chalende de februaro pro-
ximo che seguirà satisfacendo alle spese tute metute
in lista in l'anno presente 1471 habiando sborzato
sì più denari che non sonno in assignatione del pre-
sente anno ».
Il carteggio ducale riguardo i medaglioni non
riprende che due anni dopo. Maffeo da Givate e
compagni erano davvero in aspettativa di essere
44 KMILIO MOTTA
ricompensati « de la manifactura de le due medaglie
d'oro novamente facte per loro mane », Dimanda-
vano ducati 50 per cadauna. Il tesoriere e segre-
tario Gabriele Paleari, cui spettava accertare l'opera
e pagarla non osava proporre una perizia del fatto
lavoro opera che « ali nostri tempi non è facta la
simile » per tema che i periti lo valutassero a ^omma
maggiore e riuscì a farli « restare contenti di ducati
25 per ciaschuna ». Ma ecco la lettera del Paleari
tal quale al duca di Milano :
111.""* Signore mio. Como sa V. S. essendo quella qui
alli giorni passati Magistro Maffeo da Chivà orefice gli do-
mandò lo facesse satisfare luy et li compagni de la mani-
factura de le dece medaglie doro novamente facte per loro
mane. Et quella gli respose me trovasse mi. Esso magistro
Maffeo con li altri compagni per le predicte parole più volte
me hanno richiesto el pagamento, et jo ho voluto intendere
que volevano per la dieta mercede et loro me hanno do-
mandato ducati cinquanta per cadauna, poy son venuti a xl
et poy a trenta, ofTerendosse loro de farle estimare et stare
a quello che fussero estimate. Io vedendo questa essere
opera che ali nostri tempi non è facta la simile, non lo vo-
luto lassare estimare perchè seriano estimate più che forse
loro domandino, li ho tirati et facti restare contenti de du-
cati vinticinque per ciaschuna desse medaglie. Dilchè me
parso avisarne V. Ex.*^'* pregandola me facia rescrivere se]
la vele chio paghi esse medaglie al pretio suprascripto de
ducati XXV per caduna. Poy anchora se la vole chio paghi
esso Magistro Maffeo et Mag.'° Zaneto pictore del tempo
hanno perduto circa el laborare desse medaglie el paga-
mento di qualli, computato certo carbone et altre spese gli
son andate, montarà circa ducati quaranta. Me recomando a
V. Celsitudine. Ex arce porte Jovis Mediolani die xv octo-
bris 1473.
Ejusdem IH."'* dominationis
fidelissimus servitor Gabriel Palearius.
1 MEDAGLIONI DI G. M. SFORZA E DI BONA DI SAVOIA 245
Cinque giorni dopo il duca autorizzava il paga-
mento, rispondendo colla seguente :
Papié XX octobris 1474.
Gabrieli Paleario.
Gabrieli. Tu ne scrive bavere reducte Mag/° Mafeo da
Cbivà orefice et compagni ad essere contenti per la mani-
factura dele dece medaglie novamente facte ad computo de
ducati XXV l'una, benché essi ne domandasseno prima ducati
cinquanta, et che dubiti facendola estimare, saria forse esti-
mata più deli ducati xxv. Pertanto siamo contenti faci questo
tale pagamento, comò te pare che habiamo ad usarne me-
glio : similmente satisfaray ad esso Mag/** Mafeo, et Mag/**
Zaneto per lo tempo consumato circa e! laborare desse me-
daglie, et per le spese, corno te parerà che habiano meri-
tato, fin ala somma de li quaranta ducati, segondo tu scrive.
Quali tu retegnaray poy sopra qualche exatione.
Jacobus.
Galeaz subscripsi, cum corniola.
Altri documenti ci mancano a provare se real-
mente il completo pagamento venne eseguito od an-
cora tirato per le lunghe, cosa non rara nell'ammi-
nistrazione sforzesca.
E pur troppo quei preziosi tesori dell'arte no-
stra scomparvero. Nel 1492 gli ambasciatori ve-
neti, capitati a Milano, li ammirarono ancora nel
tesoro ducale, almeno è a credere che fossero tra
quelle « XII medaglie tutte doro massizo, cum le
effigie deli signori preteriti, dele qual alcune valeno
X milla ducati, alcune XII et alcune XV mille, cosa
stupenda » (^>.
Sappiamo pure la fine di uno dei medaglioni
U) SiMONsFELD, Itinerario di Germania delfanno 1492. Venezia (Mi-
scellanea VenetaX 1903, pag. 54.
246 EMILIO MOTTA
coircffigie di Bona, grazie all' illustrazione curatane
dall'Avignone <').
Quello straordinario pezzo d'oro massiccio, del
peso di libbre 113, oncie i e denari 12, venne con-
segnato ai 6 novembre 1495 dai figli del qd."' Ben-
dinelli Sauli alla zecca di Genova dove non avrà
tardato a squagliarsi nei crogiuoli! Non v'ha dubbio
trattarsi d'uno dei nostri, nell'atto notarile di con-
segna (not. Lorenzo Costa) ^^^ essendo chiaramente
identificato :
Medaglia una auri in qua ab una parte sculpta est imago
capitis et ab humeris supra unius mulieris et circum circa
litere legibiles que leguntur ut infra : BONA • VICECOMES •
DVCISSA • MEDIOLANI • QVINTA • EJVS • VXOR, ab alia parie
diete medagie scuke i.uiii ai bores tres palmeiorum cum zi-
liis quatuor : in capite arboris ex dictis tribus existentis in
medio litere que leguntur ut infra : BONA • et in capite alia-
rum duarum arborum alie litere que leguntur etiam ut infra:
VICE COMES : et in medio dictarum arborum alie litere que
etiam leguntur ut infra DVCISA MLI QVINTA : et in fine :
OPVS ZANETI PICT • et ad pedes arborum predictorum litere
que cuam leguntur ut infra MIT • ZAIT • (s).
I Sauli l'ebbero dalla disgraziata Bona di Sa-
voia in pegno od in vendita ?... ^4).
Quel medaglione, secondo il calcolo istituito dal-
(1) Di un medaglione di Bona di Savoia in Aiti della Società Ligure
di Storia Patria, voi. Vili, 1868, pag. 731 e segg.
(2) Il documento venne pubblicato d'in su l'Archivio notarile di Ge-
nova dall'Alizeri nelle sue Notizie dei professori del disegno, 1, 382, ma
numismaticamente divulgato dall'Avignone.
(3) Lodovico da Foligno orefice e medaglista ferrarese fece una
medaglia di Bona di Savoia, mandata in regalo a Lorenzo il Magnifico
(Cfr. Rossi U. in Gazzetta numismatica di Como, a. VI, 1886, nn. 9-11).
(4) La duchessa Bona, maltrattata da Lodovico il Moro, abbando-
nava appunto nel 1495 la Lombardia, passando in Francia (Cfr. Rosmini,
St. di Milano, IV, 186 e sgg.).
I MFftAGf.IONl ni G. M. SFORZA E DI RONA DI SAVOIA 24^
l'Avignone, si rileverebbe essere il minore fra le sei
medaglie notate nel conto del T471 pubblicato dal
Muoni ed ivi indicata per la quinta **).
Si sa che Galeazzo Maria Sforza fece anche
battere dei rarissimi pezzi da io ducati : monete o
meglio medaglie aft'atto eccezionali e quasi sempre
apprestate, come giustamente osservò il Biondelli,
cogli stessi coni del doppio ducato, differendone solo
nel peso proporzionato al rispettivo valore <^>. Non
si sapeva però, a debole nostro parere, che quel
duca ne avesse fatto approntare nel marzo 1472
cinquanta, del valore complessivo di 500 ducati, da
mettersi in due cassettine d'oro, poggiate sul dorso
di un cammello d'oro, guidato a mano da un mo-
retto, pure d'oro, un vero gioiello dell'oreficeria lom-
barda e d'altrettanta spesa dei ducati ordinati. La
prova sta nel seguente documento :
Dux Mediolani etc.
Antonio, Te mandiamo qui alligata una medaglia de la
nostra testa, quale né dicto pexare ducati dece ad ciò ne
faci fare cinquanta daltre del pexo di questa, zoè che pexino
dece ducati luna, pur su questo medesimo stampo : quale
cinquanta vegnarano ad valere in tutto ducati cinquecento.
Appresso volemo ne faci fare uno Camello d'oro con un
Moro pur d'oro. Zercharay li megliori magistri habij Millano
(i) Il MoRBio, Opere storico-numismaiiche. Bologna, 1870, pag. 69,
menziona una moneta d'oro del peso di 12 zecchini nel Museo Mulaz-
zani, ora venduto e disperso. Altro pezzo insigne ammiravasi nel Museo
Palagi, che da Milano passò a Torino e da ultimo a Bologna.
(2) Ci sembra utile far rilevare che dei testoni di Galeazzo Maria
e Bona Sforza ne disegnò le effigie Ambrogio figlio di Maffeo da Gi-
vate, nel 1470 (Cfr. Motta in Gazzetta Numismatica, a. VI, n. i. 1884).
24^ KM ILIO Moti' A
per tale artificio, et ordinarali che Facino el Camello con
due casse su el dosso, l'una da un canto, l'altra da l'altro,
pur d'oro, quale habiano le soe serrature et chiavete. Vo-
lemò chel Moro meni el Camello ad mane con una cadenella
d'oro et habia le diete chiavete alla centura. In diete cassete
volemo mettere li suprascripti ducati l, quali devi far fare
zoè vinticinque da l'uno canto et xxv da l'altro. Siche ordi-
naray la soa grandeza ala proportione dela tenuta deli xxv
ducati. La spesa del Camello et moro et cassete volemo sij
de ducati cinquecento in modo che li ducati l et tutte queste
cose vegnino ad costarne ducati mille in tutto. Ma prove-
deray omnino che habiano queste cose expedite el sabato
sancto, facendo mettere el smaldo al camello et moro se-
gondo parerà conveniente alli magistri. Et quisti mille ducati
te li faremo rendere questo mese de mazo proximo de li
denari d'una compositione havemo con quilli de la Somalia.
Ma sborsaray ti de presenti li mille ducati adciò possiamo
bavere l'opera al termine soprascripto del sabbato sancto,
raosta ogni exceptione. Havendo bona advertentia chel Ca-
mello, Cassete et Moro siano facti ala soa proportione se-
gondo richederà la spesa de li dicti ducati. Non volemo chel
Camello passi cinque o sey digiti pollici de alteza. Ex Vi-
glevano xvij martij 1472.
Jacobus.
Galeaz subscripsi, cum corniola.
Al lavoro fu tosto dato principio e se ne con-
servò il conto particolareggiato che qui facciamo
seguire, a chiusa di questa nostra qualsiasi memoria :
Nota. Uno camillio con dove capsete fuxe e medalie 50
in diete capsete da ducati 10 luna con uno morato, tute dete
cose doro, sono costade le dete cose in summa libre 3986
soldi 19 denari 3. Va detracto per spexa de manifatura dele
diete opere e colo de l'oro in summa lib. 830 soldi 9 den. 3.
Et sic resta de neto libre 3 [56 soldi io, è fu principiato a
fabricar deta opera adì 18 de martio 1472.
Emilio Motta.
CONTRAFFAZIONE INEDITA
DEL
TALLERO OLANDESE
Per molto tempo fui riluttante a pubblicare la
presente moneta, non potendo riuscire a decifrare a
quale zecca essa appartenesse; mi rivolsi quindi per
consiglio ad un valente numismatico, vero specialista
in materia di contraffazioni italiane. Dopo accurato
esame e numerosi confronti con altre monete di tipo
estero contraffatte e che dalle impronte e nelle leg-
gende non rivelano la loro emissione, il suddetto
numismatico diede un' ingegnosa spiegazione della
moneta stessa, che porto senz'altro a conoscenza dei
lettori della Rivista, convinto che non sia tanto fa-
cile di trovare altra soluzione migliore.
Ecco la descrizione dell' interessante tallero :
Nel campo del diritto la nota figura del guer-
riero a mezzo busto, con mantello svolazzante, ri-
volto a sinistra e sormontante lo stemma nel quale
è raffigurato il leone nascente dalle onde marine,
32
•2^0 CONTRAFF. INÈDItA DEL TALLFRO OLANDESE - E. ÒOSCO
corrispondente allo stemma di Zelanda. Attorno la
leggenda: Y MO Y NO ARG * ORDIN * N3L Y sotto lo
stemma la data 1 — 01. Nel campo del rovescio il
leone del Brabante con la leggenda : (rosa) Y OON-
FIDE Y S Y DON MOVETVRA I Y.
La leggenda del diritto andrebbe così comple-
tata : fAOnefa fiOva kR&ni/ca ORDÌtin/a tiEL-^(i-i)ì (op-
pure 17-01). Quella del rovescio non è che una
strana contraffazione del solito motto: CONFIDENS •
DOMINO • NON • MOVETVR • comune ai talleri genuini
della Confederazione Belgica; le ultime lettere della
medesima leggenda fornirebbero la chiave della so-
luzione, potendosi interpretare come un monogramma
di AN • I o ANT • I ossia Antonio I.
Dato lo stile della moneta ed anche la circo-
stanza che il tallero olandese (Leeuwendaalder) venne
pure contraffatto dalle più fiorenti città commerciali
italiane tra cui Genova e Monaco, sul finire del se-
colo XVII, detto monogramma apparterrebbe ad
Antonio I Grimaldi, principe di Monaco (1701-1721)
mentre l'altro tallero già conosciuto del 1668, col
leone dal cuore fusato e la leggenda: PLACET • ET •
POLLERE • VIDETVR, venne coniato in Monaco dal suo
predecessore principe Lodovico I Grimaldi (1662-
170T).
Sarei pertanto grato in particolar modo al cor-
tese lettore che volesse favorirmi qualche ulteriore
informazione al riguardo, atta a chiarire meglio la
questione.
Torino, ij marzo 1916.
Ing. Emilio Bosco.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI
La Zecca di Tripoli d'Occidente nell'opera di M.' Valen-
tine (I).
L'opera del Valentine ha, dopo la conquista libica, un
certo interesse anche per noi italiani essendo un capitolo di
essa dedicato alla zecca di Tripoli d'Occidente sotto il do-
minio degli Ottomani. Poiché, per altro, la descrizione e l'as-
segnazione delle monete di rame descritte nel capitolo stesso
non sono immuni da errori e la serie di esse, quantunque
rilevata dalla collezione del British Museum, dall'opera del
Neumann (2), dalla collezione del Fonrobert e da quella del
sig. Daniel F. Howorth, non comprende che 45 tipi con 64
varietà, mentre nella collezione fatta sul luogo dallo scri-
vente se ne contano fino ad ora, nel solo rame, oltre cento,
con un numero di varietà di circa cinquecento, ho cre-
duto non del tutto inutile, nell'attesa di documenti e notizie
che possano gettare della luce nella oscura materia della
monetazione ottomana in Africa, di assoggettare ad un esame
critico i risultati ai quali è pervenuto il sig. Valentine, allo
scopo di correggere le inesattezze dell'opera che, per il col-
lezionista di monete appartenenti alla nostra nuova colonia.
(i) Valentine W. H., Modem Copper Coins 0/ the Muhantmadan
States. London, Spink & Son, 1911. Un volume di pag. 203, litografato
con carte geografiche e riproduzioni in tavole di tutte le monete descritte.
(2) Beschreibtmg der bekanntesien Kupferinunzen.
252 BIBLIOGRAFIA
rappresenta il solo punto di appoggio che attualmente
esista (i).
Tripoli d'Occidente [Tarabulus gharb) o^^ ij'^^S^
cadde, com'è noto sotto la dominazione turca nel 1551 {958
dell' E.), quando l'ammiraglio Sinan Pascià la tolse, dopo
averla assediata, ai Cavalieri di Malta ai quali la città era
stata concessa da Carlo V.
Regnava in quell'anno il sultano Suleiman I ben Selim,
il Magnifico, al quale successe Selim II nel 1556. Né il primo
né il secondo di questi due sultani, come neppure i loro
successori fino ad Ahmed I che salì al trono nel 1603, avreb-
bero coniato moneta a Tripoli d'Occidente. Infatti la serie
delle monete della zecca tripolina s'inizia con una monetina
di Ahmed I che porta nel diritto la scritta : Sultan Ahmed
khan e nel rovescio un esagramma o sigillo di Salomone,
figura che si trova comunemente nelle monete ottomane
d'Africa ed è composta di due triangoli intrecciati.
Se delle quattro monete che l'A. assegna a questo sul-
tano, la prima, che non porta indicazione della zecca, e la
quarta, che è stata coniata sicuramente a Tripoli {Tarabulus,
^^i}j\> com'è scritto nella monetazione più antica), possono
attribuirsi ad Ahmed I, la seconda (n. 298, voi. 5, Cat. British
Museum) e la terza (n. 297, idem) appartengono sicuramente
ad Ahmed III che salì al trono nel 1703 (n. 1115 dell' E.),
e cioè un secolo dopo. Infatti l'esemplare descrtitto al n. 2
che è stato assegnato ad Ahmed I perchè nel diritto si legge
il nome di tale sultano, porta nel rovescio, in un segmento
di cerchio (il solo visibile dei tre che son tracciati negli
esemplari completi di questo tipo) un segno particolare al
quale non s'è data alcuna importanza. Esso è, invece, una
cifra della data e precisamente un 4 della forma più usata
in quell'epoca, come si rileva dalle monete di Muham-
mad IV, e la data che appare chiarissima in parecchi esem-
plari della collezione dello scrivente, è l'anno 1134 in cui
regnava appunto Ahmed III. Anzi, per essere più precisi,
(i) Qualclic rara moneta tripolina trovasi descritta anche nella
lidia opera di Ahmed Ziya (deputato turco), stampata a Costantinopoli
nel 1910, in turco ed nrabo.
BIBLIOGRAFIA 253
la moneta appartiene, come vedremo, all'epoca dei Cara-
manli, giacché a quel tempo il principe Ahmed Caramanli
si era da ii anni insediato come Pascià a Tripoli battendo
moneta al nome del sultano, come fecero tutti i suoi succes-
sori. A confortare la nostra asserzione, se ve ne fosse il
bisogno, si potrebbe aggiungere che il sistema di segnare
la data in tre segmenti di cerchio tracciati intorno ai lati di
un triangolo è caratteristica della monetazione ottomana del-
l'epoca e pili precisamente del primo periodo della moneta-
zione dei Caramanli in Tripoli, come risulta dall'esemplare
descritto dall'A. al n, 27, coniato col nome del sultano Abdul
Hamid, figliuolo di Ahmed III. E si potrebbe notare inoltre
che il contorno della moneta in discussione non è formato
pa puntini come le monete dei predecessori di Ahmed III,
ma da virgolette oblique come quello delle monete di
Ahmed III e dei suoi successori.
Non vediamo poi la ragione per la quale la moneta n, 3 è
stata assegnata ad Ahmed I e non ad Ahmed III quando
essa non è che una varietà dei nn. 19 e 20 assegnati giu-
stamente ad Ahmed III. La data i[i5 che si legge in molti
esemplari da noi raccolti toglie ogni dubbio essendo tale
data quella dell'assunzione al trono di quest'ultimo sultano.
Passando ai nn. 5, 6, 7 e 8 che sono assegnati al suc-
cessore di Ahmed I e cioè al fratello Mustafa I che regnò
un anno nel 161 7 ed un anno nel 1621 (anni 1026 e 1031
dell' E.), è opinione dello scrivente che questo sultano non
abbia coniato affatto monete in Tripoli e tale opinione è con-
fortata dal fatto che lo stesso A. non ha potuto attribuirgli
con sicurezza alcuna moneta neanche nei capitoli che ri-
guardano la Turchia, l'Egitto e la Tunisia. Le quattro mo-
nete sopraindicate, meno la settima forse, possono esser
quindi di Mustafà II (1106-1115 dell'E.) del quale l'A. non ha
trovato alcuna moneta coniata a Tripoli. Anzi la sesta
(n. 325 B. M.) è sicuramente di quest'ultimo sultano, perchè
1 numerosi esemplari di questo tipo posseduti dallo scrivente
portano qualcuno tutte e quattro e taluno le tre ultime cifre
(sistema in uso) della data di coniazione sul ba della parola
gliarb. E tale data, chiarissima, ora è il 108, ora il no. Que-
st'ultimo è, probabilmente l'anno segnato sull'esemplare n. 6
254 BIBLIOGRAFIA
in discussione sul quale i due i si leggono chiaramente e
stanno ad ogni modo ad escludere che si tratti di una mo-
neta di Miistafà I. A Mustafà II vanno poi assegnati, secondo
lo scrivente, gli esemplari descritti ai nn. 23 e 24 ed attri-
buiti dall'A. a Mustafà III (117J-1187 dell'E.) e ciò per varie
ragioni. Le due monete, infatti, non sono, a ben guardarle,
che delle varietà del n. 6 (assegnato a Mustafà I, ma appar-
tenente a Mustafà II come s'è detto). La prima, inoltre, porta
delle cifre (che sulla seconda non si leggono per cattiva
conservazione dell'esemplare) sempre sul ba della parola
gharb, le quali se possono sembrare HA (118) sono invece
molto probabilmente II • A (1108), giacché anche sugli esem*
plari identici posseduti dallo scrivente, lo zero (•) è qualche
volta appena visibile, pur esistendo senza dubbio. In ogni
caso, per essere di Mustafà III, le tre cifre segnate non do-
vrebbero essere le tre ultime della data e dovrebbe almeno
esservi un punto finale (1180) di cui non v'è traccia. È da
notare poi che in questa moneta la parola Tarabulks è scritta
con la uau (9) dopo il lam, come nelle monete di Mustafà II
ed in quelle dei precedenti sultani, mentre nelle altre due
assegnate giustamente a Mustafà III (nn. 25 e 26) ed in quelle
dello scrivente che portano chiara la data d» coniazione (1171)
ed appartengono pertanto sicuramente a Mustafà III, il nome
della città è scritto senza la semivocale uau, come si co-
minciò a praticare da Ahmed III in poi. Per esse vale poi
l'osservazione fatta precedentemente sul contorno composto
da puntini mentre quello degli esemplari ai nn. 25 e 26 è
composto da virgolette come in tutti gli altri tipi riconosciuti
come sicuramente appartenenti a Mustafà III.
La moneta descritta al n. 7, che abbiamo più sopra ec-
cettuata, non è, a nostro modo di vedere, né di Mustafà I
né di Mustafà II, sibbene di Mustafà III per lo speciale ro-
vescio (sigillo di Salomone con lettere nell'interno) che si
trova con frequenza nelle monete di quest'ultimo sultano.
Con Othman II ben Ahmed (1027-1031 dell'E.) che suc-
cesse a Mustafà 1 e del quale l'A. non ci dà alcuna moneta,
comincia, diremmo quasi in modo sicuro se non fosse per
la moneta descritta al n. 4 che porta T indica/ione della
zecca e viene attribuita ad Ahmed 1 senza che vi siano ra-
BlBl.lOGRAFlA 255
gioni decisive in contrario, la monetazione dei sultani otto-
mani a Tripoli d'Occidente, perchè in quanto alle altre mo-
nete precedentemente descritte dall'A. e da noi prese in
esame, o si tratta come abbiamo visto, di monete che non
portano indicazione di zecca, o, se questa indicazione por-
tano, sono da assegnarsi ad altri sultani posteriori, con la
sola riserva di cui sopra. Le monete di Othman II portano
r indicazione della città e sono datate quasi tutte del 1029 ;
esse non sono molto comuni.
Le assegnazioni a Murad IV (1032-1049 dell' E.), Ibrahim I
(1049-58), Muhammad IV (1058-99) e Suleiman li (1099-1102),
le monete del quale sono abbastanza rare, possono rite-
nersi esatte.
Di Ahmed II (1102-1106 dell' E.) l'A. non registra al-
cuna moneta coniala a Tripoli. Noi pensiamo che ad esso
possa assegnarsi la moneta, di cui al n. 4, attribuita ad
Ahmed I (e in questo caso l'afifermazione fatta più sopra
non sqfFrirebbe eccezione) ed un'altra moneta che porta pure
il nome di quel sultano, ma di tipo diverso, le quali per il
fatto che portano l' indicazione della città dovrebbero, a no-
stro avviso, riferirsi ad un'epoca posteriore a quella di
Othman II.
L'ipotesi non è azzardata perchè il tipo di queste
due monete (rovescio con stelle ad otto punte) è evidente-
mente più vicino a quello delle monete del fratello di Ahmed II,
Muhammad IV, che a quello delle monete di altri sultani
immediatamente precedenti o successivi ad Ahmed I (v. mo-
neta di Muhammad IV descritta al n. 13 ; 386 B. M.).
Segue Mustafa II, del quale abbiamo discorso a propo-
sito delle monete assegnate erroneamente a Mustafà I. A lui
tien dietro Ahmed III (1115-1143) al quale vanno attribuiti
oltre i nn. 19 e 20 le due monete ai nn. 2 e 3 sulle quali
ci siamo intrattenuti.
Del sultano Mahmud I succeduto ad Ahmed III non si
conoscono monete coniate a Tripoli d'Occidente, sebbene
egli abbia regnato dal 1143 al 1168 dell' E. L'unica moneta
attribuitagli dall'A. è, senza alcun dubbio, di Mahmud II, pos-
sedendo lo scrivente degli esemplari identici con la data 1223
(anno in cui salì al trono Mahmud II) che manca, per cattiva
256 niBUOGRAFlA
conservazione dell'esemplare in quella descritta dall'A. al
n. 21 (n. 558 B. M.).
Lo stesso forse non può dirsi del successore di Mahmud I,
Othnian III (1168-1171), esistendo un esemplare, descritto
dall'A. al n. 22, il quale porterebbe la data 1168 e non po-
trebbe attribuirsi pertanto che a questo sultano.
Dal 1123 (a. d. 171 1) in poi, per altro, e cioè da quando
il capo della cavalleria, Ahmed Caramanli, si fece procla-
mare, dopo una strage di capi a lui ostili, signore di Tri-
poli, facendosi riconoscere come pascià della regione dal
sultano Ahmed III, mediante l'invio di molti e ricchi doni,
più che della monetazione di questo o di quel sultano ot-
tomano a Tripoli d'Occidente, sarebbe più proprio parlare
della monetazione di questo o di quel principe della famiglia
dei Caramanli, i quali avendo fatto ereditaria nella famiglia
la carica di pascià, erano gli autori diretti della monetazione
pur mantenendo in essa le formule tradizionali ed il nome
del sultano regnante. Essendone stato coniato un gr^ nu-
mero (come si desume dalla varietà e quantità degli esem-
plari) col nome di Ahmed III, può essere avvenuto che, no-
nostante l'assunzione di altri sultani, i successori del principe
Ahmed Caramanli, e cioè i figliuoli Muhammad e Ali, con-
tinuassero a servirsi di quella moneta, coniata in buona
parte dal loro genitore, fino all'anno in cui salì al trono il
successore di Othman III e cioè Mustafà III (a. 1171), anno
e sultano che appaiono in un nuovo tipo. A Mustafà III vanno
assegnati gli esemplari descritti ai nn. 25 e 26.
Di Abdul Hamid (1187-1203) l'A. non ci dà che una
sola moneta molto comune (n. 27); se ne conoscono però
altri tipi sebbene scarsi, fatti coniare tutti dal principe Ali
Caramanli.
Anche la monetazione col nome di Selim III (1203-1227)
non è molto abbondante né variata e l'A. non ce ne da alcun
esemplare. Essa corrisponde ad un periodo di torbidi: occu-
pazione di Tripoli da parte di Ali Aghà o Borghul Gurgi,
intendente generale della marina di Algeri (1207-1209) e primi
anni di lotta di lusuf pascià Caramanli per spodestare il fra-
tello Ahmed (121 1). Dagli esemplari da noi posseduti non
risulta che siano state coniate monete da Ali Aghà, giacché
BIBLIOGRAFIA ^5^
nessuno porta la data dal 1207 al 1209. Né si può obbiet-
tare che da Abdul Hamid in poi si sia segnato sulle monete
il solo anno di assunzione al trono del sultano, aggiungendo
al rovescio l'anno del regno nel quale la moneta fu coniata,
perchè se tale proposizione è vera per le monete coniate
da Mahmud II e cioè dal 1223 in poi, esistono argomenti
per negarle il valore di verità assoluta per i due sultani pre-
cedenti, Abdul Hamid I e Selim III. Il Codrington che fa
una tale affermazione, non aveva forse, secondo noi, tutti
gli elementi per emettere un giudizio definitivo. Ed infatti,
per le monete di Abdul Hamid, l'anno che si legge sia nel-
l'esemplare descritto dall'A. sia in altri, e specialmente in
parecchie monete d'argento, è il 1188 che non è quello di
assunzione al trono, e quando (come in alcune monete d'oro)
l'anno segnato è il 1187, non si nota mai al rovescio l'anno
di regno in cui la moneta fu coniata (2). Lo stesso è a dirsi
per le monete di Selim III, perchè se molti esemplari di
rame portano la data 1203 che è quella dell'assunzione al
trono, uno ne possediamo con la data del 1210, e, se si os-
serva la monetazione di argento, della quale ora non ci oc-
cupiamo, accanto alle monete che portano la sola data 1203,
senza altre indicazioni al rovescio, se ne trovano parecchie
con la data 1210 (3).
Durante il regno di Selim III e precisamente nel 1209
(11 giugno 1795) viene eletto Pascià di Tripoli l'ultimo e più
popolare principe della famiglia Caramanli, lusuf Pascià, il
quale, riconciliatosi col fratello Ahmed, era riuscito a scac-
ciare da Tripoli Ali Aghà. II fratello Ahmed che era stato
(i) Codrington O., A ntanual of tnusulman numisma/ics. London,
1904. Published by the Royal Asiatic Society, pag. 211.
(2) Col nome di questo sultano furono coniati a Tunisi tre tipi di
monete di rame con le date 1188, 1195 ^ ^^96, descritte dal Valentine.
(3) Ad Algeri furono coniate monete di rame col nome di Selim III
e la data 1213. Ved. il Valentine. Per altro sotto questo sultano, ma
non prima, il sistema di segnare la data nel modo indicato dal Co-
drington è stato qualche volta usato come si rileva da una moneta
d'oro, posseduta dallo scrivente, che porta sul diritto la data 1203 e sul
rovescio l'anno 15 di regno e da alcune monete descritte da Ahmed
ZiYA, op. cit.
33
25^ BlBLIOGftAriA
eletto bey prima di lui e dopo meno di un anno soltanto
gli lasciò il potere rifugiandosi a Malta, non pare abbia co-
niate monete dovendosi attribuire a lusuf Pascià quelle d'ar-
gento e di rame coniate col nome di Selim III nel 1210.
Dal 1210 al 1252 (anno in cui l' inviato della Turchia,
Negeb pascià, si impossessò, mediante uno stratagemma del
pretendente Ali, figlio del vecchio lusuf Pascià) il popola-
rissimo principe fece coniare una quantità di monete straor-
dinaria anche per il rame. L'A. ce ne descrive molti tipi,
dal n. 28 al 64, ma molti altri ne esistono non descritti, I
primi coniati dopo il 1223 col nome di Mahmud II portano
soltanto la data di assunzione al irono ; dall'anno 17.° di
regno cominciano a comparire sulle monete entrambe le
date, che, sommate tra di loro, danno l'epoca precisa del
conio. Gli anni 20, 21 e 25 sono i più ricchi di tipi e
varietà.
Durante l'assedio di Tripoli ad opera dei rivoltosi della
Menscia, che durò tre anni (1247-1250) furono coniate le mo-
nete che portano l'indicazione degli anni 25 e 26 di regno
del sultano. E noi riteniamo che con le monete dell'anno 26
si chiuda la variata monetazione dei Caramanli, giacché le
ultime monete coniate a Tripoli, le quali portano l'indicazione
dell'anno 28, sono, per ragioni che esporremo in seguito, da
attribuirsi alla restaurata dominazione ottomana.
La monetazione del periodo che va dal 1123 al 1250
presenta, specialmente negli ultimi anni e per quanto riguarda
i metalli nobili, delle caratteristiche degne di nota perchè ri-
specchiano in modo sorprendente le vicende politiche ed
economiche della regione. Tutti i principi della famiglia Ca-
ramanli fino al 1830 in cui fu notificata a lusuf pascià l'abo-
lizione definitiva della pirateria, attesero principalmente al-
l'organizzazione ed allo sviluppo di quella caccia alle navi
mercantili cristiane che costituiva la fonte precipua delle
loro entrate. E quando le nazioni civili imposero ad essi con
frequenti dimostrazioni navali la cessazione della pirateria
essi si trovarono economicamente a mal partito. Dovettero,
pertanto, ricorrere, oltre che ai balzelli, a degli espedienti e
così ridussero la quantità dell'argento nella lega delle mo-
nete e negli ultimi tempi variarono il tipo due o tre volte
BIBLIOGRAFIA 259
all'anno (ii volte in quattro anni, dice una cronaca ebraica) (i),
dichiarando fuori corso quelle precedentemente coniate. Fu
certo una di quelle monete che di argento hanno appena la
decima parte, coniata verso il 1247, che il fruttivendolo luda
Arbib, sapendo che sarebbe stata da lì a poche settimane
dichiarata fuori corso e sostituita da un altro tipo, si rifiutò
di ricevere, esponendosi così all' ira di lusuf Pascià Cara-
manli che lo fece ungere di miele e legare vicino alla Sina-
goga perchè fosse assalito dalle mosche (21, Per sopperire
alla deficienza dell'argento furono venduti anche i cannoni e
le tasse divennero così gravose da determinare la rivolta
dei cittadini della Menscia e l'abdicazione di lusuf Pascià a
favore del figlio Ali. Questi avvenimenti affrettarono l' in-
tervento della Turchia che doveva, come si è detto, por fine
alla dominazione dei Caramanli. La monetazione di rame fu
anch'essa arbitraria, mutevole e disordinata con caratteri
propri, indipendente da quella del sultano pur ricordando in
qualche ornamento i tipi che contemporaneamente venivano
coniati in Turchia. Le vicende della monetazione di questo
periodo, per altro, sono quasi del tutto ignorate e solo con
l'esame di documenti ufficiali e privati e di collezioni, per
quanto è possibile complete, potranno ottenersi gli elementi
necessari per l'illustrazione della materia.
Ci rimane, per completare questi appunti sulla moneta-
zione tripolina, di accennare alle ragioni per le quali abbiamo
affermato più sopra che la monetazione dei Caramanli si
deve ritenere cessata coH'anno 26 del regno di Mahmud II
e cioè coiranno 1248 (a. d. 1832) e che la comune monetina
di cinque para, che porta ancora, ultima della serie delle
monete coniate a Tripoli, la leggenda dhuriba fi Tarabiilus
gharb, fu coniata dai nuovi pascià turchi, Negeb pascià o
Mohammed Rais che sostituì il primo nello stesso a. 1835.
Tali ragioni sono varie e decisive. È da notarsi, innanzi
(i) Memorie del rabbino Abram Cai/un conservate e completate dal
rabbino Morderai Cohen, delle quali ci ha dato un sunto lo Slousch
nella Revue du monde musulman, voi. VI, settembre, ottobre e no-
vembre 1908.
(2) Slousch, op. cit.
26o BIBLIOGRAFIA
tutto, che la moneta si distingue per regolarità, se non uni-
formità, di conio, di dimensione e di peso precisamente come
le precedenti sono caratterizzate da una rozzezza di disegno
e dalla massima irregolarità nel peso e nelle dimensioni.
Essa, poi, prima del genere, porta sul lato della tughra la pa-
rola nuhàs, ^J'\^ rame, quasi come un avvertimento che non
era inopportuno in un'epoca in cui monete dall'apparenza di
puro rame erano state messe in circolazione dal principe
come monete di argento per una minima parte che di questo
metallo contenevano. Infine essa fu coniata nell'a. 28 del
regno di Mahmud II e quindi, dato che questi salì al trono
il 1223, nell'anno 1251 dell' E. Ma quest'anno cominciò il
29 aprile 1835 e noi sappiamo che ai 26 maggio di quel-
l'anno Tripoli ricadde sotto la piena dominazione ottomana (0;
le monete coniate a Tripoli dal nuovo pascià non potevano
portare, pertanto, che l'indicazione dell'anno 28 del regno
di Mahmud IL II pascià turco pensò soltanto nel primo anno
di continuale a coniare monete sul luogo mantenendo in
vita la zecca della città ; monete con data posteriore non se
ne conoscono, per cui è lecito supporre che, negli anni suc-
cessivi, la zecca fu abolita, provvedendosi alle esigenze eco-
nomiche del paese con moneta coniata nella madre patria
e precisamente a Costantinopoli.
Guido Cimino.
Ferrare (mons. Salvatore). Le monete di Gaeta, con ap-
pendice su le Medaglie. Napoli, Melfi e Joele, 1915, in-8,
pagg. 135 con figure.
Questo lavoro postumo, perchè l'A., dopo avervi consa-
crate le più affettuose e diligenti cure e averlo anche inti-
tolato con una elevatissima lettera al sig. conte Nicolò Pa-
padopoli Aldobrandini, Presidente della Società Italiana di
Numismatica, non potè vederne compiuta la stampa e com-
(1) Fékauu, Annates Tripolitaines in Reviie Africainc, n. 159, a. 1883.
Algeri.
BIBLIOGRAFIA
261
piacersi della lieta accoglienza fattagli da tutti gli studiosi,
è preceduto da un breve cenno in cui il prof. D. Salvatore
Leccese, nipote dell'A. ed erede di Lui anche nell'affetto
alle memorie del paese natale, ne tratteggia amorosamente
la bella figura di cittadino, di sacerdote e di studioso.
Dopo una diffusa bibliografia e un quadro cronologico
degli ipati, consoli, duchi, principi, re e imperatori che go-
vernarono Gaeta dal IX al XIII secolo, sono riassunte nel
primo capitolo le notizie tratte dal Codex Diplomaticus Caje-
tanus edito negli anni 1887-1891, intorno alle monete usate
in quei tempi nel Ducato Gaetano, utile complemento a quanto
si sapeva da altri documenti già esaminati dal punto di vista
numismatico. Qui troviamo anche sobriamente accennata
l'origine di Gaeta che da semplice porto o scalo marittimo
di Formia divenne, per la sua posizione strategica, un centro
commerciale, politico e religioso, mentre Formia andava ra-
pidamente decadendo, tanto che nel secolo IX la sede della
diocesi era già passata dalla vecchia alla nuova città. Essa
si mantenne dipendente dall'Impero Bizantino anche quando
il resto dell'Italia era soggetto ai Longobardi, e siccome il
vincolo di dipendenza era assai debole e mite, così si trovò
quasi automaticamente a reggersi da sé, come Napoli e
Amalfi. L'ultimo imperatore bizantino di cui venga ricordato
il nome nella intestazione e datazione degli atti pubblici è
Costantino Porfirogenito nel 934, Come città marinara, Gaeta
ha una storia non meno gloriosa delle sorelle Napoli e Amalfi;
soltanto essa è meno nota perchè i documenti ne vennero
posti in luce da poco tempo. Può dividersi in due epoche:
quella della dinastia che il F. chiama indigena (866-1032) e
quella della autonomia con dipendenza da principi longo-
bardi e normanni (1032-1 140). In ambedue questi periodi si
hanno monete che rispecchiano in certa maniera questo
slato di indipendenza relativa, la quale cessò del tutto quando
Federico II tolse a Gaeta, per punirla, anche la facoltà di bat-
tere moneta.
Enumerate e illustrate con opportune riproduzioni per
identificarle, le monete d'oro e d'argento e anche quelle
ideali e di conto ricordate nei documenti, soggiunge che per
il minuto commercio si faceva uso di moneta di rame con
202 BIBLIOGRAFIA
prevalenza dei foUari bizantini, che però i Gaetani dovettero
ben presto sentire le difficoltà derivanti dall'usare una mo-
neta di origine più o meno lontana e la necessità di averne
una propria per i bisogni locali, e così giunsero a coniare
follari e mezzi follari nella seconda metà del secolo X. Per-
chè a Marino II (978-984) attribuisce il F. le prime rozze
monete che finora si ritenevano di Marino I. Questi infatti
non ebbe mai il titolo di Consul et Dux che si trova costan-
temente su di esse, ma soltanto quello di ipato; inoltre non
resse mai da solo lo stato ma, prima in compagnia del
padre Costantino, poi del figlio Docibile. Dello stesso Ma-
rino II col figlio Giovanni III, soli di questo nome che si
trovarono a reggere insieme il ducato (979-984), descrive
due monete, una delle quali, già edita dal Camera, appare
di dubbia autenticità. La barbara monetazione della dinastia
indigena continua e si chiude con Giovanni IV (991-1012),
presentando nel complesso una serie assai brutta e con poche
variazioni di tipo. Queste però sono tali da far pensare
a una possibile diversità di valore o anche di attribuzione,
senza di che non si riesce a spiegare come Marino II,
in un periodo di governo non troppo lungo, abbia recato
tre cambiamenti abbastanza notevoli al tipo del follaro, quali
risultano rispettivamente dai disegni 16 a 20, 21, 22 e 23.
La moneta certa di Marino e Giovanni, di arte e fattura
migliori assai di tutte le altre, apparisce come un felice in-
termezzo in tutta questa brutta produzione.
A queste prime monete indigene seguono quelle dei
principi e duchi normanni, Riccardo I (1063-1078), II (1105-
II II) e III (1121-1140), che si distinguono per il rispettivo
numerale collocato o al diritto o al rovescio. La contromarca
D • V • che si trova in parecchie di queste monete viene spie-
gata per Dwa: \lilelmus, Guglielmo di Blosseville o Basse-
ville, che tenne il ducato di Gaeta tra il primo e il secondo
Riccardo. E siccome tale contrassegno si trova anche su
alcuni follari del secondo, così il F. cerca di spiegarne la
presenza col fatto che il Blosseville si atteggiò a preten-
dente anche durante il principato di questo, sulle cui monete
avrà pertanto voluto imprimere lo stesso segno di sovranità
che aveva impresso su quelle del predecessore. Notevole il
BIBLIOGRAFIA 263
documento dal quale risulta come il comune di Gaeta non
consenti a Riccardo III di porre l'effigie sulle monete. Il
F. poi non accetta, sebbene storicamente verosimile, l'at-
tribuzione a Gaeta di un follaro di Roberto di Capua fatta
dal Sambon, perchè dubita fortemente sia derivata dalla in-
certa lettura di un esemplare mal conservato.
Vengono poi le monete dei re normanni. Di Ruggero
(1135-1154) èvvi la curiosa moneta già pubblicata dal conte
Papadopoli, nella cui figurazione l'A. ravvisa una sella a
ricordo di un fatto menzionato dalle storie: ad essa aggiunge
anche un pezzo di Gisulfo I e Paldolfo Capodiferro che porta
reimpresse le stesse lettere che si trovano su quella. Di
Guglielmo I (1154-1166) e di Guglielmo II (1166-1189) sono
descritte dodici varietà, e sei di Tancredi (1189-1194).
Ai normanni tennero dietro nel dominio di Gaeta gli
svevi, e al tempo di Enrico VI e Costanza (i 191 -i 198), mercè
diligenti confronti, assegna il F. la moneta anonima, tanto
fantasticamente interpretata dal Camera: manca essa del
nome del sovrano pur conservando l'effigie o maestà impe-
nale, e con la leggenda moneta civttatis Cajetae accenna a
una più stretta pertinenza della monetazione alla città. Prima
ancora di essa però erano stati emessi e posti in circolazione
follari senza il nome e senza l'effigie del principe e quindi
per autorità del comune. Portano la stessa figurazione del
castello che si trova su quelli dei re normanni e il nome di
Sant'Erasmo, ad eccezione di una, della quale però manca
il disegno per constatare se ha fondamento il dubbio espresso
che possa effettivamente non appartenere a Gaeta. II F. le
chiama civiche e le ritiene contemporanee delle altre dei re
normanni, emesse in lungo periodo di tempo come viene di-
mostrato dalle molte varianti e dalle notevoli diversità dello
stile.
Terminata la descrizione delle monete sinora note della
zecca di Gaeta, passa a parlare di un denaro di Gregorio IX
che non si conosce e non si sa per conseguenza se sia stato
emesso, ma di cui si ha notizia da una bolla del 21 giugno
1229, con la quale veniva concessa al Comune la facoltà di
batterlo. Poi degli Alfonsini d'oro che pare siano stati co-
niati a Gaeta da Guido de Antono dal 1441 al 1448 per AI-
264 BIBLIOGRAFIA
fonso I di Aragona, e finalmente dei tornesi falsi, pure bat-
tuti a Gaeta sotto Ferdinando I di Aragona da Giovanni
da Ponte. Veramente, piuttosto che falsi, nella quale deno-
minazione pare inclusa X idea dell'opera di delinquenti vol-
gari in frode alla legittima autorità; bisognerebbe chiamarli
calanti o ridotti di peso e inferiori d'intrinseco, perchè così
furono ordinati onde trarne guadagno maggiore. Parla da
ultimo delle monete o prove di monete di Pio IX. Questa
parte poteva essere omessa senza togliere nulla al lavoro,
o tutto al più se ne poteva dare una breve notizia in nota
o in appendice, perchè quei pezzi, come quelli simili della
Repubblica Romana del 1849, non hanno alcun carattere
ufficiale e sono prodotti poco felici di una privata specula-
zione, come venne anche recentemente confermato dal Se-
rafini, 6 quindi non meritano l'onore di entrare in un libro
scientifico.
L'appendice in cui vengono descritte le medaglie atti-
nenti a Gaeta è singolarmente interessante per quanti, e
oggi non sono pochi, si occupano delle memorie del nostro
Risorgimento, perchè quasi tutte le medaglie appartengono
a tale periodo, a cominciare da quelle di Ferdinando IV per
la difesa del 1806, per finire a quella coniata nel 1890 in
onore del generale Enrico Cosenz nato a Gaeta.
G. Castellani.
Mardelay (Ch. Le). Contribution a l'étude de la numisma-
tique vénittenne (estratto della Reuue Numismatique, 1913-
1915). Parigi, Rollin & Feuardent, 1915, pag. 191 e
tav. 7 illustrative.
Un contributo, se non veramente notevole, senza dubbio
interessante per gli specialisti della numismatica veneziana
ha dato con questa pubblicazione il numismatico Ch. Le Har-
delay, che soggiornò molto tempo in Venezia, e che ha una
bella collezione di monete veneziane, nella quale uno scudo
rarissimo di Francesco Corner, ch'egli vi illustra al n. 258
e a tav. XII del suo lavoro. La rarità di tale scudo dipende
BIBLIOGRAFIA ^65
non da novità di tipo, ma dalla brevità del dogato di Fran-
cesco Corner, che durò in carica dal 17 maggio al 5 giugno
1656, cioè una ventina di giorni.
Nella introduzione al lavoro TA. confessa che il Museo
Correr e il conte sen, Nicolò Papadopoli hanno pezzi e
molti ch'egli pur troppo non ha nella sua collezione, ma
che, con tutto ciò, non trovò inutile, anche per far meglio
conoscere la monetazione veneziana, di notare le varianti
della sua collezione privata alle serie del Correr e del Pa-
padoli. Del Corpus Nutnmorum lialicorum non fa motto, o
non ne ebbe finora sentore, egli, che pur cita nel suo rias-
sunto bibliografico il Lazari, lo Schweitzer, l'Orlandini, il
Padovan. L'opera scientifica ultima non è il voi. VII di S. M.
il Re, che continuerà e finirà la serie della zecca di Venezia
neirVIII volume, ma il libro del Papadopoli, che s'arresta
col II volume al doge Marino Grimani, nel 1605, come vi
si arresta il VII volume del Corpus Nunttnorum.
Di carattere divulgativo, ma molto utile è la divisione
nei vari periodi della monetazione veneziana in principio, e
l'elenco cronologico completo dei dogi in fine, con molta
minuzia di date; utile pure, specialmente ai numismatici ita-
liani, è il vocabolario delle sigle dei Massari, o zecchieri ve-
neziani, che si estende da pag. 148 a pag. 188, in ordine
alfabetico.
Per quanto una gran parte delle varianti dello Hardelay
risultino dalla nuova ricchissima serie del Corpus N. /. di
S. M. il Re, anche perchè vi è notato quanto il Papadopoli
già fece conoscere dal confronto con le principali collezioni
italiane di serie numismatica veneziana, è sempre utile il
confronto con le descrizioni monetarie dello Hardelay, spe-
cialmente dal doge Grimani al doge Francesco Molin, cioè
pel periodo 1605-1655, che non è ancora fatto conoscere
per le stampe, né per mezzo dell'opera magistrale del sen. Pa-
padopoli, il cui III volume non è ancora pubblicato, né per
mezzo del voi. Vili del Corpus N. /. che sarà il II della
illustrazione della monetazione veneziana.
S. Ricci.
34
266 BlfeLIOGRAFlA
Anson (L.). Numismata Graeca.
Nello scorso maggio usciva l'ultima puntata del gran-
dioso lavoro di L. Anson, Greek Coin-Types classi fied for
immediate identification, cioè il Testo della VI parte.
La pubblicazione era incominciata nel 1910 e uscirono
dapprima sei puntate contenenti le tavole illustrative delle
sei parti in cui l'opera era divisa. Seguirono le puntate di
Testo, la I e la II nel 1911, la III e la IV nel 1912, la V
nel 1913. ed ora chiude la serie l'ultima, la VI, la quale con-
tiene : Scienze ed Arti e Miscellanea.
VARIETÀ
Il primo documento numismatico della guerra
Europea. — Da un profugo italiano del Belgio abbiamo
potuto avere un pezzo da io Centesimi, coniato dai tede-
schi per la circolazione delle provincie belghe occupate.
La moneta è di zinco e porta al diritto la leggenda
circolare BELGIQUE • BELGIE • 1915 e nel centro 10 Cekt.
Al rovescio sta nel campo il Leone rampante e all' ingiro
un semplice ornato sostituisce il motto belga L'UNION FAIT
LA FORCE.
Esiste simile anche il pezzo da 5 centesimi.
La Medaglia della Croce Rossa Italiana ai feriti
per la Patria. — Ai feriti uscenti dagli ospedali militari e
della Croce Rossa, quale ricordo patriottico e artistico, è di-
stribuita una medaglia, brevettata, fatta coniare per iniziativa
della Croce Rossa medesima. La medaglia rappresenta la
Vittoria alata che guida i soldati d'Italia, col motto : Al FIGLI
D' ITALIA FERITI PER LA PATRIA. Sul rovescio sta l'episodio
della infermiera, che prodiga al soldato ferito le cure più pre-
murose, quale vediamo spiccare anche sulla medaglia com-
memorativa di guerra già illustrata nella Rivista; in basso
lo stemma della croce rossa su fondo bianco in ismalto.
La medaglia rilasciata ai feriti è però apribile a libro,
in modo che nell' interno sono disposti ripiegati due piccoli
attestati in pergamena naturale, sui quali viene segnato il
268 VARIETÀ
nome del ferito, il periodo di degenza all'ospedale e varie
indicazioni, autenticate dalla firma del medico direttore.
Tale medaglia nelle serie numismatiche e medaglistiche
dovrà essere posta con quei cimeli del Risorgimento in forma
di scudi d'argento a scatola, apribile a vite, nel cui interno
vi erano ritratti dei patrioti, scene delle guerre o motti
contro l'Austria, e che àncora adesso formano una appen-
dice interessantissima alla serie delle medaglie e delle mo-
nete del Risorgimento Italiano.
Rinvenimento di un tesoretto monetale a S. Co-
stanzo presso Fano. — Notizie recenti del prof. Dall'Osso,
direttore del Museo Archeologico di Ancona e soprainten-
dente per i musei e scavi delle Marche e degli Abruzzi, ac-
certano che è stato assicurato al Museo di Ancona, dopo
lunghe e faticose indagini, un tesoretto monetale, rinvenuto
presso Fano, a San Costanzo. Trattasi di circa 25,000 pezzi,
che erano depositati entro un grande recipiente di terracotta
grezza e mal cotta, di cui si è riusciti a raccogliere qualche
frammento. Le monete paiono grossi anconitani anteriori a
quelli col ^■. Quiriacus del secolo XIII, ma finora è stato
difficile assegnare loro un'epoca precisa. Sono di lega bas-
sissima d'argento, con cui il rame è mescolato nelle propor-
zioni del 60 "/«• Portano sul diritto al centro un A, entro un
cerchio di puntini, oppure una specie di anello ; intorno vi è
la leggenda DE ANCONA in caratteri gotici ; sul rovescio vi
sono pure impressioni, ma non ancora decifrate.
Siccome gli scrittori patri anconitani avevano asserito
l'esistenza di una coniazione anteriore a quella del sec. XIII,
ma non si conoscevano esemplari, o almeno nessuno era
finora giunto sino a noi, il ritrovamento attuale sarebbe im-
portante ; quantunque finora sembri abbastanza strano che in
Ancona non si abbia mai visto questo tipo di moneta, e che
invece a San Costanzo, presso Fano, proprio quasi all'estremo
lembo della provincia, se ne sia trovato un gruzzolo così im-
ponente.
Una parte del ripostiglio è stata intanto inviata alla Di-
rezione del Gabinetto Numismatico di Brera, che sta stu-
diando r importante ritrovamento.
S. Ricci.
VARIETÀ 269
Opere premiate. — U Académie des inscriptions et
helles letires ha conferito il premio Duchalais al sig. Adolfo
Dieudonné per il secondo volume del suo Manuel de Numi-
smatique.
Recensioni di opere numismatictie. — Al IV volume
del Corpus Nummorum Italicortim ha consacrato una erudita
nota bibliografica il venerando prof. Angelo Mazzi nel Bol-
lettino della Civica Biblioteca di Bergamo da lui diretto
(n. I, 1915). Nel medesimo, più recentemente, egli ha pure
recensito, non senza diversi appunti critici, l'opera di P. Fal-
coni : Le monete piacentine (n. I, 1916).
Anche l'illustre Babelon, nel Journal des savants (otto-
bre 1915), ebbe a ricordare, e non è la prima volta, il Corpus
di S. M. il Re nostro.
Altra recensione critica dell'egr. nostro collaboratore
cav. G. Castellani intorno all'opera : La Moneta del Marti-
nori è apparsa nel fase. 2." della Rivista storica italiana di
Torino.
Carteggio tra il Marini e lo Zanetti. — Nell'attesa
che altri ne dica con maggiore dottrina, segnaliamo il testé
uscito fascicolo 29. *» degli Studi e testi pubblicati dalla Bi-
blioteca Vaticana. Esso contiene, a cura di Enrico Carusi, il
primo saggio delle Lettere inedite di Gaetano Marini, X in- .
signe prefetto delle collezioni vaticane a' tempi napoleonici
e precedenti. Sono lettere dirette a Guid'Antonio Zanetti, il
numismatico bolognese ben noto, ed offrono interessanti no-
tizie ad illustrazione dell'opera paziente del raccoglitore ed
editore delle monete delle zecche d'Italia.
Manoscritti numismatici in Ambrosiana. — Sarebbe
assai utile per i nostri studi avere un catalogo dei mano-
scritti d'argomento numismatico conservati nelle varie biblio-
teche d'Italia. Quello per le biblioteche milanesi non do-
vrebbe riuscire difficile. Intanto noi, per uno spoglio fram-
mentario degli schedari dell'Ambrosiana, segnaliamo qui
taluni manoscritti di questo prezioso Fondo, indicandovi
270 VARIETÀ
anche le rispettive segnature. Ad altri il dare il lavoro com-
pleto, istituendolo sull'esame diretto dei codici.
Bellati Francesco. Tavole delle monete d'oro usate in Mi-
lano nei contratti dall'anno 1252, ecc.
O. 244 sup. (i).
Davanzati Bernardo. Discorso delle monete.
R. g4 sup. n. 2g.
Medaglie greche (alcune) descritte.
/. 204 Inj. n. ij.
Trombelli Gio. Crisostomo. Catalogo di medaglie da lui
possedute.
D. S. Ili 14.
Vasco Tomaso. Opuscolo sopra le monete. — Saggio poli-
tico sulle monete.
E. S. Vili s e 8.
Velsero. Opinione sul rovescio di una medaglia dell'impe-
ratore Nerone.
/. 2J0 inf. n. /.
Videmarius Ioannes. De numismatibus antiquis magne, medie
et infime forme.
N. 80 Sup.
Zecca. Relazione degli officiali della zecca di Milano (2).
B. S. Vili 8.
I conii dei ducati sforzeschi donati al Museo del
Castello di Milano. — Togliamo dal Bollettino municipale
mensile di Milano, n. 3, 1916, che ai musei d'arte del Ca-
stello pervenne in dono dalla sig."* prof. Sandra Piumati, di
Torino, il conio antico che serviva a coniare i ducati d'oro
di Galeazzo M. Sforza (v. Gnecchi, Monete di Milano, p. 76,
n. 6). È di ferro, colla superficie acciaiata ; lo stemma sfor-
zesco, sormontato dal cimiero, è fiancheggiato dall'emblema
dei tizzoni ardenti, reggenti i secchielli d'acqua, e dalle ini-
ziali G Z • M • : nel contorno, la leggenda + P P • ANGLE • Q •
CO AC lANVE • D •
(i) Per i copiosi inss. del Bellati alla Braidense cfr. Ghikon, Biblio-
grafia Lombarda, Catalogo, ecc. Milano, Archivio stor. Lombardo, i88.|,
pag. 12 e segg. dell'estratto.
(2) Pei mss. ambrosiani della zecca di Venezia cfr. Ceruti, Appunti
di bibliografia slorica veneta contenuta nei mss. dell'Ambrosiana. Venezia,
Arch. Veneto^ 1877, P^S- 82 dell'estratto.
VARIETÀ 271
Notiamo, giacché l'occasione ci è offerta, che nel 1575 i
conii delle medaglie sforzesche già erano emigrati dalla
zecca di Milano e passati in mano di particolari. Prospero
Visconti, che pel duca Guglielmo di Baviera raccoglieva in
Milano ogni genere di preziosità artistiche, nel suo interes-
sante carteggio edito anni sono dal Simonsfeld (i), vi accenna
espressamente. Egli scriveva diffatti al duca ai 23 novem-
^^^ ^575" * Bene ho trovato un galant'huomo, il quale hora
si trova havere appresso di sé alcuni conii, che hanno
impresse alcune imagini di duchi e duchesse di Milano,
li quali longamente sono stati conservati da i maestri di
cecca et hora sono pervenuti in mano sua. Con questi si
battevano medaglie non da spendere communemente, ma
tali che li duchi donavano a suoi famigliari. Di questi ne
mando otto impronti a V. E. acciò che Ella possa vedere
come gli piacene. Questo tale ne batterà quante ne pia-
" ceranno a V. E. et di che peso Ella vorrà, et anchora di
qua! bontà d'oro. Però egli ne domanda uno scudo l'uno
di manifattura d'ogni quantità o qualità che elleno possano
essere, et forsi si accontenterà per manco „.
Pesca dell'oro nel Po nel '400. — Con istromento
del 9 gennaio 1466, notaio Benino Cairati (Arch. notarile di
Milano), Antonio del mag.*^** milite Sceva da Corte (2) abi-
tante a Milano, nella parrocchia di S. Giorgio in Palazzo,
investiva Antonio Garoni e Lorenzo Cane, abitanti nel luogo
di Brano (?), contado di Pavia, dell'onoranza, diritto e facoltà
di pescare o pischari faciendi aiirum in utraque ripa del fiume
Po dal riale Cayri, comitatus Papié usqiie ad portuni Dossorum,
dalla Pasqua del futuro anno 1467 in avanti per anni nove,
ed indi a piacere delle parti. Canone di libbre io di candele
di cera da consegnarsi ogni anno alla Madonna di settembre.
(i) Simonsfeld, Mailànder Briefe sur bayerischen und allgenteinen
Geschichte, I, 359 (Abbhgn. der k. bayer. Akad. der Wissenschaften),
1903, Mvìnchen.
(2) Il documento è assai guasto per umidità e consunto a tal punto
che non se cava il casato, che però noi, data la paternità di Sceva cre-
diamo potere accertare per da Corte. Sceva da Corte oratore sforzesco
a Roma, dove morì nel 1459, è personaggio ben noto della seconda
metà del Quattrocento.
272 VARIETÀ
Per Domenico Sestini. — Superfluo ricordare chi
fosse Domenico Sestini. Rammentiamo invece che in una
raccolta di Iscrizioni italiane pubblicata da Ferdinando Mal-
vica in Palermo nel 1830, al n. 51 ve n'ha una che lo ricorda:
A ONORE
DI DOMENICO SESTINI
DEI NUMISMATICI VIVENTI
PRINCIPE SALUTATO
GL' ITALIANI
AL VALENTE SCRITTORE
PLAUSO PORGONO.
Francesco Raibolini, detto il Francia, incisore e
medaglista. — Aldo Foratti n^W Archiginnasio di Bologna,
Bullettino della Biblioteca Comunale di quella città, diretto
da Albano Sorbelli, nel fase. 3.° del maggio-giugno 1914, in
alcune sue Noie su Francesco Francia, con una tavola illu-
strativa, s' indugia a parlare del Raibolini medaglista, va-
gliando la notizia del Vasari, che lo disse " nel fare coni per
medaglie ne' tempi suoi singolarissimo „, con quello che
resta di lui. E accertata l'opera della moneta attribuitagli di
Giovanni II Bentivoglio, del 1494; è combattuta invece l'opi-
nione che del Francia siano le monete che il datario del fiero
pontefice Giulio II gettò alla folla per comperarne l'applauso,
perchè fatte a Roma, quando il Raibolini non era capo della
zecca bolognese.
Delle medaglie il Foratti discute fra le varie attribuzioni
quella del cardinale Alidosi, già rara e costosa al tempo del
Vasari, e ne rileva la superiorità nella viva e nervosa ese-
cuzione tutta caratteristica del Francia, in confronto della
medaglia contemporanea eseguita da qualche suo discepolo
per Bernardo Rossi, vescovo di Treviso, che non ha né
espressione del ritratto, né naturalezza del rovescio allego-
rico. E conferma la sua ipotesi con la citazione della me-
daglia d' Ulisse Masotti, col berretto dottorale, certo migliore
di quella di Tommaso Ruggieri, che dev'essere opera di un
altro discepolo del Francia.
S. Ricci.
ATTI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Seduta del Consiglio 21 Maggio 1916.
(Estratto dai Verbali).
La Seduta è aperta alle ore 14 nella Sede Sociale al
Convento delle Grazie.
I. — È letto e approvato il Verbale della Seduta pre-
cedente.
II. — Presentati dai Sigg. S. Ricci e C. S. Johnson,
sono ammessi fra i Soci Effettivi i Signori : Cav. Alberto
Hirschler e Roberto Cramer.
III. — Si approva la composizione del II fascicolo
della Rivista.
IV. — Il Segretario presenta il Bilancio Consuntivo
1915, da sottoporre all'Assemblea Generale dei Soci, e che
si chiude colle seguenti risultanze :
Rimanenze attive ed entrate. . . . L. 14,811,60
Spese „ 5,080,—
Avanzo al 31 dicembre 1915 L. 9,731,60
E approvato all'unanimità.
V. — Si autorizza la spesa per la rilegatura di una
parte dei libri sociali, incominciando dalla Rivista Italiana
di Numismatica.
VI. — È pure approvata la Relazione all'Assemblea
sull'andamento morale della Società durante l'anno 1915.
274 ^TTl DELLA SOCIETÀ NltMISMATlCA ITALIANA
VII. — Il Segretario presenta infine la nota dei doni
pervenuti alla Società nell'ultimo semestre :
Sua Maestà il Re d' Italia.
Corpus Nuntmorum Italicorutn. Primo tentativo di un Catalogo Ge-
nerale delle Monete medioevali e moderne coniate in Italia o da Ita-
liani in altri paesi. Volume VII; Veneto ^Venezia). Parte I. Dalle ori-
gini n Marino Griniani. Roma, 1915, in-4, pagg. 584 e XX tavole.
Cagiati Cav. Avv. Memmo.
Lf sue pubblicazioni :
Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vit-
torio Emanuele li. Napoli, 1916, Fascicolo Vili, fig.
Supplemento all'opera : Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc.
Napoli, anno V, fascicoli 1-2 e 3-4.
Le Monete del Re Manfredi nel Reame delle Due Sicilie. Roma,
1915 {Estraito).
Dell'Erba Prof. L.
La sua pubblicazione :
Monete inedite o corrette dei Re Normanni di Sicilia in unione dei
loro figli ed osservazioni sui valori monetali. Napoli, 1915 {Estratto).
Qiorcelli Dott. Cav. Giuseppe.
La sua pubblicazione :
Tipografi di Alessandria e di Valenza del secolo XV e Tipografi
Monferrini dei secoli XV e XVI che stamparono in Venezia. Alessan-
dria, 1915 (Estratto).
Qnecchi Comm. Francesco.
O Archeologo Portugues. Annata 1915.
50 Opuscoli e Cataloghi.
Johnson Stefano Carlo.
La Medaglia in bronzo della Redenzione italica (Vedi Rivista Ital. ni
Numismatica, fase. I, 1916, pag. 151).
Le flardelay Ch.
La sua pubblicazione :
Contribution à l'étude de la Numismatique Vénitìenne. Paris, 1915,
in-8 (Estratto).
Museo Civico di Padova.
La sua pubblicazione :
A ricordo ed onore di Andrea Gloria. Padova, 1915.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALL\NA 275
Ricci Prof. Dott. Serafino.
Le sue pubblicazioni :
Milano nella storia della niunetazione : Il V volume del Corpus
Nummorum Italicorum. Milano, Crespi, 1914.
Il Corpus Nummorum Italicorum di S. M. il Re d'Italia. Il V vo-
lume illustrante la zecca di Milano: L'opera del Re Vittorio Eman. III.
— I lavori precedenti sulla zecca di Milano. — Le collezioni consultate
pel Corpus. — Il metodo d'illustrazione seguito nel Corpus. — Serie
cronologica della zecca di Milano. — Osservazioni critiche al voi. V
del Corpus (Estratto).
Lo splendore della serie monetale milanese. — L'alto significato
del V volume del Corpus. Dal Numismatic Chronicle.
Il Belgio nella storia della s\m monetazione. Dal numero unico //
Belgio, Milano, Aliprandi, 1915.
Leonardo, Raffaello e Michelangelo, con illustrazioni, Milano, Fede-
razione Biblioteche popolari, 1915.
L'estetica nella scuola inedia, Milano, Antonini, I914.
Numismatica costantiniana, Milano, Arte cristiana, 1914.
Arte greca e storia romana nelle nuove colonie italiane, Milano, Per-
severanza, 1915.
Rizzoli Dott. Cav. Luigi juniore.
La sua pubblicazione :
Rizzoli Luigi seniore (fu Giuseppe) Necrologio. Milano, 1916 (Estr.).
Alle ore 14 V*» esaurito l'Ordine del Giorno, la seduta è
levata.
Assemblea Generale dei Soci 2t Maggio 1916.
{Estratto dai Verbali).
I Soci sono convocati per le ore 15 alla Sede Sociale
al Convento delle Grazie.
Sono presenti i due Vice-Presidenti, i membri milanesi
del Consiglio e buon numero di Soci.
Letto ed approvato il Verbale dell'Assemblea prece-
dente, il Vice-Presidente, comm. Francesco Gnecchi, legge
la seguente Relazione sull'andamento morale e materiale
della Società durante il 1915-
I Soci defunti.
" Non possiamo iniziare questa nostra Assemblea senza
ricordare i parecchi Soci e Collaboratori che ci vennero
276 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
a mancare in questi ultimi mesi. Di tutti abbiamo dato la
necrologia nella Rivista; ma qui crediamo nostro dovere
mandar loro un reverente saluto di stima, di amicizia e di
omaggio per l'opera da loro prestata all' incremento e al
progresso dei nostri studii.
" Sia onore alla memoria di Luigi Correrà, di Luigi
Rizzoli seniore, di Flavio Valerani e di Pompeo Monti.
La " Rivista „.
" Da un anno anche il nostro Paese è travolto nel tur-
bine spaventoso che insanguina l'Europa e che preoccupa
le menti nell'incertezza dei destini che incombono a tutte le
nazioni. Il pensiero rimane distolto dagli studi in genere,
ed è troppo naturale che anche i nostri, come tutti gli
altri, ne abbiano risentito. Ne sono prova le pochissime
adunanze che tenne il Consiglio della Società, la manchevo-
lezza ed irregolarità della nostra Rivista. La Direzione fece
del suo meglio perchè le cose camminassero il meno male
possibile, ma le più serie preoccupazioni da un lato, l'as-
senza dei collaboratori ed anche le difficoltà materiali di
esecuzione dall'altra, vi lasciarono l'impronta dell'anno di
guerra, come del resto la lasciarono, e anche peggio, in
parecchie altre riviste consorelle.
" Siccome però fortunatamente a tutto si fa l'abitudine
e a tutto r ingegno umano, stimolato dal bisogno, trova
riparo, possiamo assicurare che le cose cammineranno me-
glio nell'anno ora iniziato, per quanto il flagello continui,
né se ne veda prossima la fine.
Gli altri Periodici Italiani.
" Venendo a dire delle altre pubblicazioni periodiche ita-
liane, il Supplemento all'opera Le monete del Reame delle
Due Sicilie da Carlo I d'Angiò a Vittorio Emanuele 11
cessò colla fine dell'anno le sue pubblicazioni; ma solo per
risorgere sotto nuova veste, col titolo di Bollettino del Cir-
colo Napoletano. È ciò che doveva naturalmente succedere,
e noi diamo con tutto il cuore il benvenuto al confratello
del Mezzogiorno, e mandiamo un caldo saluto e un cordiale
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 277
augurio al suo valente e infaticabile direttore e, diremo an-
che, restauratore della numismatica nell'Italia Meridionale.
* La Rassegna di Roma cessò provvisoriamente le sue
pubblicazioni, essendo stato richiamato al servizio militare il
suo direttore.
" L' Istituto Italiano di Numismatica di Roma pubblicò
un secondo volume e il Circolo Numismatico Milanese con-
tinuò regolarmente, durante l'anno, il suo Bollettino.
Pubblicazioni Numismatiche.
* Lo stato di guerra doveva pure esercitare la sua in-
fluenza anche sulle pubblicazioni private. Malgrado ciò, ab-
biamo ancora a registrare alcuni lavori di lena, in testa ai
quali il Volume VII del Corpus Nummorum Italicorum, de-
dicato alla prima parte delle Monete di Venezia e che pre-
cede il VI.
* Abbiamo ancora la continuazione della bell'opera del
Cagiati sulle Monete del Reame delle Due Sicilie, il I vo-
lume del poderoso lavoro di Giovanni Carboneri sulla Cir-
colazione monetaria nei diversi Stati e il gran dizionario
La Moneta di Edoardo Martinori.
Degli ultimi tre lavori la Rivista ha dato già i resoconti,
mentre il nostro Presidente conte Papadopoli si riserva di
dare quello sul Volume VII del Corpus, quando sarà uscito
anche l'VIII, col quale sarà completata la descrizione delle
Monete di Venezia.
La riunione delle Collezioni pubbliche di Milano.
Come fu accennato nella Rivista, la riunione delle due
Collezioni Numismatiche Milanesi, quella di Brera e quella
Municipale al Castello Sforzesco sotto un'unica direzione,
è ora virtualmente compiuta, il compromesso essendo stato
sanzionato anche dall'approvazione del nostro Consiglio Co-
munale. Ora non ci resta che far voti che la cosa sia al più
presto tradotta in atto, per quanto le circostanze del mo-
mento non ci permettano di sperare troppo in una sollecita
soluzione.
278 atti della società numismatica italiana
Bilancio.
" Venendo alla parte finanziaria, ecco il Bilancio Consun-
tivo della Società pel 1915 :
Rimanenze attive del 1914.
Fondo di cassa L. 5415 —
Entrate ordinarie dell'anno 1915.
Quote di Soci e di Abbonati alla Rivista L. 3927 75
Interessi sul fondo di cassa in conto corr. '> 388 85
L. 4316 60
Entrate straordinarie.
Da S. M. il Re d' Italia, quarto acconto
sugli utili derivati dalla vendita del
suo Corpus Nummorum L. 4000 —
Ancora da S. M. il Re d' Italia per elar-
gizione del premio biennale Duchalais
decretato dall' Istituto di Francia al
suo Corpus Nummorum " 1080 —
L. 5080 —
L. 14811 60
Spese del 1915.
Stampa della Rivista e accessori . . . . L 4177 75
Fotoincisioni, eliotipie e collaborazione . " 755 —
Spese di Segreteria e postali " 147 25
L. 5c8o -
Rimanenze attive al 1915.
Fondo di Cassa in conto corrente " 9731 60
L. 148 II 60
Dimostrazione.
Attività in principio di esercizio . . . . L. 5415 —
Attività in fine di esercizio L. 973' 60
Aumento di patrimonio L. 4316 60
Entrate dell'anno 1915 . L. 9396 60
Spese " 5"8o —
Avanzo L. 4316 60
// Segretario Amministratore: Angelo Maria Cornelio.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 279
" All'annata un po' meschina e sensibilmente ridotta della
nostra Rivista corrisponde naturalmente una eccedenza di
spesa assai minore di quella sopportata negli scorsi anni,
ossia un disavanzo di sole L. 763,40, in luogo di quello
di L. 1840, verificatosi nel Bilancio del 1914. La piccola
perdita accennata, poi, fu abbondantemente compensata
dalle generose somme di L. 4000 e di L. 1080 pervenuteci
dal nostro Augusto Presidente, la prima quale acconto sulla
vendita della Sua opera. Corpus Nummorutn Italicorum, la
seconda quale premio toccato a S. M. nello scorso anno per
il Concorso Duchalais.
" Il piccolo Patrimonio Sociale è dunque aumentato di
L. 4,316,60 e, fra qualche anno possiamo sperare di non
dover più intaccare il nostro capitale per colmare i disavanzi,
ma di poter vivere colle nostre rendite. Per arrivare più
presto possibile allo scopo, occorrerebbe che il numero dei
nostri Soci ed Abbonati fosse sensibilmente aumentato. Il
Consiglio si raccomanda perciò caldamente a tutti, perchè
vogliano esercitare una proficua propaganda „.
La Relazione del Vice-Presidente e il Bilancio sono
approvati.
La discussione e le conversazioni si svolsero ampiamente
sulla Relazione e principalmente circa la prossima riunione
delle collezioni pubbliche al Castello Sforzesco, Parecchi fra
i Soci presero la parola circa il collocamento delle monete
e l'argomento venne svolto, ma non esaurito, rimandandolo
ad altra eventuale seduta, nella quale si deciderà se qualche
proposta concreta potrà essere presentata a momento op-
portuno.
L'Ordine del Giorno portava per ultimo argomento la
nomina di tre Membri del Consiglio, quando uno dei Soci
presenti avendo fatto osservare che negli scorsi anni era
involontariamente avvenuta qualche irregolarità nelle nomine,
l'Assemblea, ad evitare ogni possibile equivoco in avvenire,
trova opportuno di procedere ex-novo alla completa elezione
del Consiglio.
28o ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Tutti i Soci in carica accolgono la proposta, offrendo le
loro dimissioni, e procedutosi alle nuove elezioni, jl Consiglio
rimane a voti unanimi così composto :
Cagiati Avv. Cav. Memmo.
CuNiETTi-CuNiETTi Barone Cav. Alberto.
Gnecchi Cav. Uff. Ercole.
Gnecchi Comm. Francesco.
Johnson Stefano Carlo.
Laffranchi Lodovico.
Motta Ing. Emilio.
Papadopoli Conte Comm. Nicolò Senatore del Regno.
Ricci Dott. Serafino Conservatorore del Gab. di Brera.
Pietro Tribolati Segretario.
Passando" poi alla nomina delle cariche sociali, sono
eletti a pieni voti :
Papadopoli Conte Nicolò Presidente.
Gnecchi Ercole e Francesco Vice-Presidenti.
Alle ore lóVs» esaurito l'Ordine del Giorno, l'Adu-
nanza è sciolta.
Finito di stampare il 20 giugno 1916.
R0MANENGHI Angelo Francesco, Gerente responsabile.
•«#*•« *««**«>«*«♦«••***« I
FASCICOLO III.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO
PARTE QUINTA.
ZECCHE DELLA PROVINCIA D'ASIA.
La Provincia d'Asia costituita in maggior parte
dal territorio dell'antico regno degli Eumenidi. ere-
ditato dal Popolo Romano, era come quella di Bitinia
una Provincia Senatoria, la nomina del cui procon-
sole, residente in Efeso, spettava al Senato anziché
all'Imperatore. Questa provincia assai più vasta della
sua confinante, riuniva varie regioni : Ionia, Misia,
Lidia, Caria, Frigia, Panfilia e Licia, aventi caratte-
ristiche proprie ; perciò anche le sue monete si dif-
ferenziano maggiormente fra zecca e zecca ; presen-
tano, sarei per dire, maggior autonomia stilistica che
non quelle delle zecche di Bitinia. Esse monete vanno
anzitutto divise in tre gruppi rappresentanti altret-
tante zecche delle quali volta a volta spiegherò le
caratteristiche.
I. — EFESO.
Taluni numismatici additarono Pergamo come
grande zecca dell'Asia, rivale di quella di Efeso,
perchè i notissimi cistofori che sto per descrivere
recano il tempio dedicato al culto di Roma ed Au-
gusto che è riprodotto anche dalle monete locali a
leggenda greca col nome di questa città ; ma se si
accettasse questa attribuzione bisognerebbe asse-
gnare ad essa anche i cistofori al medesimo tipo
a84 LODOVICO laffranchi
emessi più tardi sotto Claudio, Domiziano, Nerva,
Traiano ed Adriano. Il che è illogico, non solo pel
motivo che Pergamo non più capitale degli Eumenidi
era ridotta nella condizione di città secondaria, su-
bordinata ad Efeso capoluogo della provincia, ma
anche perchè una ragione decisiva fa traboccare la
bilancia dalla parte di quest'ultima città, ed è quella
di cui sotto Claudio abbiamo contemporaneamente ci-
stofori col 9* al tipo del tempio di Pergamo e cisto-
fori col ^ al tipo della Diana d' Efeso accomunati
dalla assoluta identità dei diritti, e questo dimostra
che uscirono da un'unica zecca la quale per le ra-
gioni suesposte non può essere che quella di Efeso.
E non deve destar meraviglia che le monete di
Efeso rechino un tipo architettonico riferentesi ad
un monumento esistente in altra città, poiché il tempio
in questione non venne eretto ad iniziativa della sola
Pergamo, ma bensì per quella di tutte le città della
provincia, come indica l'epigrafe Com{mune) Asiae ;
d'altra parte anche più tardi, cioè sotto Adriano,
Efeso emise cistofori coi tipi locali di Pergamo, Mi-
lasa, Labranda, Mileto, Tralles, lerapolis, ecc., ecc.
Questa constatazione è anzi di grande importanza
perchè trae di conseguenza la certezza che anche
la zecca di Efeso, come quella di Antiochia e di altre
città importanti, emetteva le monete di bronzo a leg-
genda greca delle piccole città finitime sulle quali
è facile constatare l'unicità dei diritti: il che dimostra
l'opera di una sola zecca.
Alla zecca di Efeso che negH ultimi anni del
regime repubblicano, emetteva monete autonome di
bronzo coi tipi locali allusivi al culto di Diana e ci-
stofori coi nomi dei proconsoli, io assegnerei tutti i
denari legionari di M. Antonio, nonché i cistofori
colla sua testa unita a quella di Ottavia (tav. Vili,
n. 1-4) ed il famoso aureo colle medesime teste
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 285
(tav. Vili, n. 6-7) appartenente al Museo di Berlino
e rinvenuto a Castagneto, in cui io trovo sostan-
ziali differenze stilistiche le quali lo separano dagli
altri aurei colle medesime teste che più avanti nella
parte VI vedremo appartenere alla zecca di Antio-
chia. Sarei invece perplesso se assegnare ad Efeso
piuttosto che a Corinto la monetazione di bronzo
emessa dai Prefetti della flotta di M. Antonio,
La monetazione imjieratoria di Ottaviano non
ancora « Augusto » si inizia ad Efeso con una emis-
sione straordinaria avvenuta nel 726 28 a. C. per
ricordare la liberazione dell'Asia, ed il titolo confe-
ritogli di Vindice della Libertà.
B' — IMP CAESAR DIVI F COS VI • LIBERTATIS PR •
VINDEX • Testa laureata a destra.
(Tav. Vili, n. 5).
1. 9 — L^ Pace a sinistra tenendo colla destra il caduceo.
nel campo, a sin. PAX, a des. la cista mistica dalla
quale si svolge un serpe ; il tutto entro corona
di lauro,
Ar., Cisto/oro o Triplo denaro, gr. 10,5, Coh., n. 318.
(Tav. Vili, n, 8).
La corona d'alloro non appare che eccezionalmente sulle effigi di
Augusto prima del 744/10 a. C, ed in questi casi il motivo è dato da
meriti speci liei che si intendono onorare, come Azio e la conquista
d' Egitto. Non è che dal io a. C, che la corona di lauro diventa con-
venzionale, specialmente nelle provincie.
^ — CAESAR IMP VII Testa nuda a destra. .
(Tav. Vili, n. 29).
2. 9 — ASIA RECEPTA Vittoria a sm. tenendo la palma e
286 LODOVICO LAFrRANCHI
protendendo la corona, sopra una cista posta fra
due serpenti (i).
Ar., Quinario o frazione di Cisto/oro, Coh., n. 14.
(Tav. Vili, 11. 30).
* *
Il secondo periodo della monetazione imperatoria
di Efeso comprende, oltre ai notissimi cistofori, anche
quei denari ed aurei la cui identità stilistica con
essi venne facilmente constatata anche dal Cabrici ^2)
e dal Grueber <3). Però il motivo di queste coniazioni
straordinarie limitate a pochi esemplari non può es-
sere stato, come suppone il Cabrici, il fatto della
presenza di Augusto in Asia, dal 22 al 19 a. C,
poiché anche a Roma si fecero delle emissioni pa-
rallele a questa, anzi nella capitale sembrano inco-
minciate qualche tempo prima, come già vedemmo.
Il vero motivo si intravvede anche per Efeso,
nella commemorazione dei decennalia di Azio, asso-
ciata alle onoranze ad Augusto per la sottomissione
dell'Armenia e pel ricupero dei segni militari, colla
conseguente nona acclamazione imperatoria.
La monetazione che sto per descrivere si inizia
perciò nel 734/20 a. C. con aurei e denari emessi
in pochi esemplari e termina colla emissione dei ci-
stofori alla fine del 735/19 a. C; in essa si ritrova,
in maggior parte, la maniera artistica che vedemmo
espressa dalle monete delle zecche di Bitinia, segno
convincente che, cessata la monetazione straordinaria
di detta provincia, parte degh incisori vennero man-
dati ad Efeso.
(i) Tipo restituito da Vespasiano.
(2) Op. cit.
(3) Op. cit., voi. II.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 287
Il diritto degli aurei e denari, unico per tutto il
periodo, è il seguente :
^ — AVGVSTVS (O all'esergo : testa nuda a des.
(Tav. vili, n. 9, I5)-
A) Tipi allusivi alla sottomissione dell'Armenia
(21/20 a. C).
3. I^ — ARMENIA in alto, CAPTA al basso. Vittoria a des.
che afferra un toro (simbolo di popoli barbari)
per le corna e lo atterra ponendogli un ginoc-
chio sulla schiena (2).
Oro, Coh., n. 8. (Tav. Vili, n. io).
4. 9 — Id. legg. Tiara a des., due faretre ad arco a sin.
Ar., Coh., n. 11, 12. (Tav. Vili, n. 11).
5. P — ARMENIA in alto, RECEPTA al basso. Tipo come
il precedente.
Ar., Londra, Coh., n. 13. (Tav. Vili, n. la).
6. p — CAESAR DIV • F II ARMEN CAPTA ! IMP Villi 0) Ar-
meno di fronte appoggiandosi colla des. all'asta
e colla sin. all'arco.
Ar., Coh., n. 56-59. (Tav. Vili, n, 14).
Tipo identico, salvo l'asta e l'arco, a quello già descritto, assai più
raro, che appartiene alla zecca di Roma.
1-^ — CAESAR DIV F i ARMEN RECEP i IMP Villi Tipo
come il prec.
Ar., Berlino, Coh., n. sa (Tav. Vili, n. 13)1
(1) Grueber ed altri autori, ritennero che taluni esemplari mancas-
sero di questa epigrafe ; evidentemente si tratta di esemplari dai quali
essa era scomparso pel fatto di trovarsi presso l'orlo del tondino e
quindi facile a consumarsi.
(2) Un tipo pressapoco identico si vede sui dupondi con SO emessi
pure a Efeso sotto Vespasiano.
(3) Solitamente si legge IMP Vili o IMP VII, perche le ultime
aste rimangono fuori del tondmo, per difetto nella coniazione.
288 LODOVICO LAFFRANCHI
B) Tipi allusivi al ricupero dei segni militari (19 a. C).
8. I^ — SIGNIS in alto, RECEPTIS all'esergo. Capricorno a
sinistra.
Oro, Coh., n. 263. (Tav. Vili, n. 17).
9. I^ — SIGNIS PARTICIS RECEPTIS circolare. Tipo id.
Oro, Coh., n. 256. (Tav. Vili, n. 18).
10. 1^ — SIGNIS PARTICIS RECEPTIS in tre linee nel campo.
Ar., Coh., n. 257. (Tav. Vili, n. 16).
11. ^ — Anepigrafe. Sfinge accovacciata a des.
Oro, Coh., n. 333. (Tav. Vili, n. 19).
12. ^ — Tipo id. a sin.
Oro, Coh., n. 334. (Tav. Vili, n. 20).
La Sfinge, secondo Svetonio, era rappresentata sul sigillo di Augusto.
C) Tipi dei cistofori (19 a. C).
/©* — Unico. Testa nuda di Augusto a destra, sotto in
legg. esterna IMP • IX • TR • PO • V •
Coh., n. 298. (Tav. Vili, n. 21).
13. ^ — COM • ASIÀE nel campo. Tempio exastilo, su sca
lea, con timpano sormontato da acroterio ed
antefissi ; sul fregio della trabeazione si legge
ROM • ET • AVGVST •
Ar., Cisto/oro, Coh., n. 86. (Tav. Vili, n. 22).
14. 1^ — MART • VLTO • nel campo. Tempio rotondo su
scalea, con cupola sormontata al vertice da un
oggetto indistinto, ed all' intorno da acroterii ;
ha quattro colonne visibili e mostra nell'interna
un'insegna militare.
Ar., Cisto/oro, Coh., n. 2oa. (Tav. VHI, n. 23).
È la riproduzione — forse poco verista — del tempietto rotondo
di Marte Ultore sul Campidoglio che abbiamo già visto sulle monete di
Spagna. Un tipo esattamente copiato da questo si osserva sui bronzi
di Augusto a leggenda greca della zecca di Alessandria.
fr
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 289
15. Ffi — S • P • R SIGNIS ' RECEPTIS in tre linee sotto la
volta di un arco fiancheggiato da due aquile
e sormontato dalla quadriga di Augusto; sul
fregio della trabeazione si ripete la medesima
leggenda del diritto, cioè IMP • IX • TR • POT • V •
Ar,, Cisto/oro, Coh., n. 298. (Tav. Vili, n. 24).
È il medesimo tipo precedentemente descritto a parte IV, n. 20.
In ambedue i casi si tratta dell'arco onorario di Augusto a Roma (i)
prima che gli fossero aggiunti i propilei laterali che vedemmo sulle
monete di Colonia Patrizia (n. 6) e di Roma (L. Vinicius).
L'identico arco rappresentato sul cistoforo è copiato, salvo la fat-
tura più banale e grossolana, dai bronzi alessandrini contemporanei a
quelli già citati col tempio di Marte Ultore, e ciò mi permette di affer-
mare che la data di questi bronzi, sinora incerta, deve assegnarsi agli
anni 19-18 a. C.
L'emissione dei tetradrammi che sto per descri-
vere avvenne certamente nel 737/17 a. C. in occa-
sione dei Vota Suscepta Vicennalia di Augusto. Essi,
contrariamente all'asserzione del Cabrici, sono d'arte
peggiorata, in confronto ai precedenti, come tutti
potranno constatare dai confronti.
Però nessun elemento per stabilire con certezza
questa data sembrerebbe esistere, pel fatto che i
PB greci di Efeso, utili pei confronti stihstici, non
furono emessi che più tardi verso il 12 a. C, ma
un ausilio ci porgono i cistofori al medesimo tipo,
e quindi contemporanei, coniati ad Antiochia, i quali,
pei motivi che spiegherò più tardi, appartengono al
17 a. C.
Il diritto, unico dei cistofori in questione, è :
1^ — Testa nuda a des., sotto IMP • CAESÀR •
(Tav. vili, n. 25).
(i) Quando pubblicai le Parti I e III non mi era nota la più recente
ed attendibile spiegazione del tipo architettonico suddetto.
290 LODOVICO LAFFRANCHI
16. ^' — AVG-VSTVS in alto : l'altare di Diana ornato di bas-
sorilievi rappresentanti due cervi, e di festoni.
Ar., Cistoforo^ Coh., n. 33. (Tav. Vili, n. 26).
17. I^ — Id. legg. : nel campo sei spighe in fascio entro
cerchio di perline.
Ar., Cisto/oro, Coh., n. 32. (Tav. Vili, n. 27).
18. ^ — Id. legg.: sopra capricorno a des, guardante a sin.
e portante un cornucopia, il tutto entro una
corona di lauro.
Ar., Cisto/oro, Coh., n. 16. (Tav. Vili, n. 28).
IL — FRIGIA (Apamea?).
Le poche varianti dell'unico tipo monetale che
pei noti motivi io attribuisco ad una zecca non si-
curamente identificabile della Frigia o della Caria
fanno parte di quel gruppo che il Cabrici ('), basan-
dosi esclusivamente su delle supposizioni storico-
tipologiche, attribuisce all'Acaja o più precisamente
alla città di Atene, convalidando il suo asserto me-
diante r identificazione del tipo della vacca, rappre-
sentato con arte straordinaria sulle monete in que-
stione, colla vacca di bronzo, capolavoro del famoso
scultore Mirone.
Ma tenendosi presente il tipo della vacca sulle
monete di Cizico, Apollonia, ecc. ecc., che prece-
dono Mirone, è facile comprendere come esso nel
nostro caso simboleggia invece la prosperità rag
giunta dall'Asia per merito della politica di Augusto;
significazione suffragata anche dal fatto la emissione
delle costui monete con detto tipo avvenne in occa-
(i) Op. cit.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 29 1
sione dei decennalia d'Augusto la cui celebrazione
ebbe un carattere laudativo per la politica suddetta.
Altro dei motivi sostenuti dal Cabrici è quello
già più volte invocato : la presenza dell' imperatore
nella città ove avrebbe dovuto funzionare la presunta
zecca. Ma il caso di Atene è precisamente quello
che maggiormente scalza questo fondamento sul quale
esso basava le sue identificazioni toponomastiche.
Infatti Atene era l'unica città dell'Impero che go-
desse piena ed assoluta autonomia al punto da co-
stituire uno stato quasi indipendente ; ne è prova il
fatto che mai Atene emise monete a leggenda greca
coir effige dell'imperatore, nemmeno per Adriano
l'imperatore più filelleno che vi si trattenne due
volte nel 126 e nel 134 per parecchi mesi largheg-
giando di benefizi verso di essa. Atene coniò, è vero,
monete anche durante l'impero, specialmente nel
li secolo, ma queste sono monete autonome aventi
al diritto la testa di Pallade.
E però evidente l'errore del Cabrici nel non
aver osservato le grandi differenze stilistiche e pa-
leografiche esistenti fra gli esemplari da lui attribuiti
all'unica zecca di Atene, giacché essi rivelano il
prodotto di tre zecche anziché di una sola. Infatti
dal lato paleografico, il Cabrici constatando l'esi-
stenza del Q ritorto su taluni esemplari al tipo della
vacca e la mancanza di esso sugli altri non credette
di dover dedurre da ciò il lavoro di due zecche di-
stinte e si limita ad osservare che questa forma di G
era o non era usata indifferentemente dalle zecche
d'Oriente, quantunque manchi affatto in Occidente,
opinione erronea quest'ultima, poiché il Q ritorto si
osserva anche sulle monete emesse ad Emerita da
P. Carisio, delle quali ho già trattato nella Parte I.
Per quanto riguarda l'arte e lo stile, egli appog-
giandosi allo Head si limita a suffragare la sua tesi
aga Lodovico laffranchi
colla conclusione che monete di arte finissima come
queste non potrebbero esser opera che di artisti
dell'Acaja. Asserzione che avrebbe valore se l'Acaja
fosse stata in qualche epoca la sede della miglior
arte monetale, ma ciò non è, poiché tutti sanno che
le più artistiche monete greche provengono dalla
Sicilia, e per quanto riguarda il periodo che più ci
interessa, cioè il primo secolo a. C, le monete di
Acaja rimangono ad un livello più basso di quello
delle monete dinastiche ed autonome d'Asia Minore.
Anche il Grueber, non rimanendo persuaso delle
motivazioni del Cabrici, restituì le suddette monete
all'Asia Minore in genere ; rimane però ancora a
specificarsi la localizzazione delle zecche. Come ho
detto, nel gruppo dal Cabrici assegnato ad Atene
se ne distinguono tre; descriverò ora le monete che
io assegno ad una zecca incerta della Frigia (Apa-
mea?) o della Caria e che furono emesse verso il
737/17 a. C. in occasione dei decennalia di Augusto,
Esse, come ha già osservato il Cohen, sono di arte
superba.
& — CAESÀR Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 3).
19.. P — AVGVSTVS in alto. Vacca andante a sin. colla
testa abbassata.
Or., Coh., n. a6. (Tav. IX, n. 4).
20. l^ — Id. legg. Vacca stante a des.
Ar., Coh., n. 28.
Esemplare subcratn ma di ottimo siile nella mia collezione.
B' — Id. legg. Busto col petto nudo a sin. testa laur.
(Tav. IX, n. i).
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO
393
21. I^ — Id. legg. Vacca andante a des.
Oro, Londra, Coh., n. 27.
(Tav. IX, n. 2).
La corona di lauro si vede eccezionalmente in occazione dei De-
ceHHulia come a Roma.
II tipo della vacca, nelle due varianti, venne restituito da Vespa-
siano, e si ritrova nella Licia colla differenza della testa alzata.
Dovrei ora motivare la mia interpretazione to-
ponomastica di queste monete, ma esemplari locali
a leggenda greca contemporanei ad esse, necessari
pei confronti stilistici non ne esistono.
Non è se non dal 742/12 a. C. che, a quanto sem-
bra, le città della provincia d'Asia iniziarono la co-
niazione dei PB greci di Augusto col titolo CEBACTOC
forse in occasione della sua assunzione al Pontificato
Massimo; ma queste, emesse perciò assai più tardi
delle imperatorie d'oro e d'argento, risentono della
decadenza manifestatasi in questo periodo per l'esodo
dei migliori artisti diretti in Ispagna, a Roma ed a
Lione. In esse non si ravvisa, di conseguenza, che
la degenerazione della maniera primitiva la quale
tuttavia è ancora identificabile dal modo con cui è
trattata l'effige di Augusto specialmente per le pecu-
liarità della capigliatura e pei muscoli della faccia
espressi con grande verismo.
Basta per convincersene, osservare i bronzi di
Apamea (Tav. IX, n. 5), Hipaepa (Tav. IX, n. 6)
nonché in seconda linea quelli di Hierapolis, Apol-
lonia Salbace, Eucarpia, Cibira, ecc., ecc., e questa
rassomiglianza di essi colle monete imperatorie mi
autorizza ad attribuire queste ultime ad una delle
suddette zecche della Frigia o della Caria.
Una riprova che la zecca non deve cercarsi al-
l' infuori di queste città, è d'altra parte il fatto che
la Licia, regione finitima ad esse, copiò, come ve-
dremo più avanti, il medesimo tipo sulle sue monete.
294 LODOVICO LAFFRANCHI
III. — LICIA (Mira?).
La Licia, piccola regione che dai declivi meri-
dionali del Tauro si protende come larga penisola
nel Mediterraneo, apparteneva geograficamente alla
provincia d'Asia ma politicamente si reggeva come
una Confederazione di città {Koinon) che riconosceva
solo l'alta supremazia dell'imperatore; è sotto Claudio
che, secondo Svetonio, venne aggregata alla pro-
vincia d'Asia.
È merito della sua monetazione se possiamo
contemplare uno dei rarissimi casi in cui la Metro-
logia può recare qualche ausilio positivo alla Storia
invece di ridursi a palestra per dibattiti in base di
semplici supposizioni, ieri affermate ed oggi smentite.
Il caso suddetto è rappresentato dai GB a leg-
genda greca col tipo della lira — veri e propri se-
sterzi — i quali sono una eccezione nella Metrologia
numismatica di questa epoca e non hanno altro pre-
cedente che nei GB di Rodi coniati verso il 43 a. C.
ed in quelli dei prefetti di M. Antonio.
Il fatto che la Licia è l'unica regione dell'Asia
che può vantare monete locali coll'effige di Augusto
di tale grandezza (tav. IX, n. 27) toglie ogni dubbio
all'attribuzione a questa regione dei noti GB o se-
sterzi latini con CA: attribuzione alla quale, indipen-
dentemente da questo dato metrologico, si arriva
anche per l'analogia stilistica, analogia che trae di
conseguenza Tassegnazione alla Licia anche degli
aurei e dei denari i quali, assieme a quelli già de-
scritti secondo il Cabrici ^^), dovevano appartenere
airAcaja.
Il Cabrici nel suo lavoro non tenne però conto
(1) Op. cit.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 295
dei GB ed MB con C A, altrimenti avrebbe dovuto
assegnarli all'Acaja assieme agli aurei ed ai denari
che sono stilisticamente identici ad essi, e questa
esclusione reca meraviglia, giacche in sostegno alla
sua tesi gli sarebbe stato facile T interpretare CA per
Commune Acajae, interpretazione che epigraficamente
vale altrettanto quanto l'altra Commune Asiae. Il
Grueber però insistette nel ravvicinare queste mo-
nete, dimostrando che tutte (bronzo, oro ed argento)
dovevano uscire da una medesima zecca dell'Asia.
Concludendo, le monete imperatorie emesse in
una zecca incerta (Mira ?) della Licia sotto il rap-
porto cronologico e tipologico si dividono in due
gruppi : quello degli anni 28-27 a. C. e quello degli
anni 18-17, con dieci anni di intervallo, il che rende
evidente il loro carattere di monetazione occasionale
motivata da avvenimenti straordinari, e spiega anche
le lievi differenze nei tratti fisionomici di Augusto
sulle monete dei due periodi.
A) Tipo allusivo alla conquista dell'Egitto
{726/28 — 727/27 a. C).
B' - CAESAR DIVI • F COS • VI • Testa nuda a destra,
sotto un piccolo capricorno.
(Tav. IX, n. 7).
22. Ri — AEGYPTO in alio, CAPTA al basso. Coccodrillo a
destra colie fauci chiuse.
Ar., Coh., 11. 4. (Tav. IX, n. 8).
^ — CAESAR • DIVI • F • COS • VII Testa come la prec.
(Tav. IX, n. 9).
23. ^ — AEGIPT CAPTA Come il prec.
Oro, Coh., n. i. (Tav IX, n. io).
296 LODOVICO LAFFRANCHI
B) Tipi allusivi alla celebrazione dei " Decennalia „
(736/18—737/17 a, C).
B' — IMP CÀiSÀR Testa nuda a destra.
24. ^ — AVGVSTVS in due linee, entro un cerchio circon-
dato da una corona votiva di lauro.
GB. o Sesterzio, Coh. (i), n. 795.
B' — CAESAR o CAISAR Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 25).
25. ^ — AVG-VSTVS talvolta in due linee, entro corona di
lauro.
MB., Asse? Coh., n. 34-35. (Tav. IX, n. 26).
B' — AVG-VSTVS Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 28).
26. ^ — e • A [Certamina Actiaca ?) entro un cerchio cir-
condato da una corona di lauro.
GB., Coh., n. 790-91. (Tav. IX, n. 09).
B' — CAESAR o CAISAR Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 30).
27. '^ — Come il prec.
PB., Coh., n. 792. (Tav. IX, n. 31).
28. I^ — Come il prec.
MB. Londra.
,j^ — AVG-VSTVS Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 23).
(i) II Cohen, come tutti i numismatici del tempo passato, considerò
queste monete come coloniali, assegnandoli a Cesarea Panias in Pale-
stina, salvo i nn. 34 e 35 della sua descrizione.
LA MONETAZIONE DI AUGUSTO 5897
29. ^ — C • A entro un cerchio circondato da una corona
lauro-rostrale.
MB., Dupondio, Coh., n. 796. (Tav. IX, n. 24).
^ — Come il prec.
(Tav. IX, n. ii).
30. ^ — Corona lauro-rostrale.
Ar., Coh., n. 335. (Tav. IX, n. 13).
31. ^ — lOVI OLY(M) nel campo. Tempio exastilo con tim-
pano ed acroterii.
Ar., Coh., n. 132. (Tav. IX, n. 12).
32. I^ — Vittoria con corona e palma a sin. su prora.
Ar., Coh., n. 328. (Tav. IX, n. 14, 15).
Tipo restituito da Vespasiano.
^ — CAESAR Testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 16, 17).
33. 91 — AVGVSTVS in alto. Vacca a destra colla tesU
alzata.
Ar., Coh., n. aS. (Tav. IX, n, 18).
1& — IMP • CAESAR sotto la testa nuda a des.
(Tav. IX, n. 19).
34- I^ - AVGVSTVS L'altare di Diana come n. 16.
Cistoforo. (Tav. IX, n. aa).
35. I^ — Id. Sei spighe come n. 17.
Cistoforo (Tav. IX, n. ao).
36. R) — Id. Capricorno come n. 18.
Cistoforo. (Tav. IX, n. 21).
Questi tre cistoforì sono identici a quelli emessi ad Efeso e non si
distinguono da essi che per la maniera colla quale sono trattate le effigi.
298 LODOVICO LAFFRANCHI
La Licia emise nuovamente denari d'argento
colla effige di Augusto verso il 12-10 a. C, ma
questi sono a leggenda greca ed esprimono quella
grande decadenza artistica alla quale già accennai
precedentemente. La maniera d'arte dei denari latini
si ritrova invece specialmente per quanto riguarda
il modo di rappresentare la capigliatura di Augusto,
sui denari di Lugdunum che abbiamo già descritto (^).
evidentemente parte della maestranza che aveva la-
vorato in Licia venne nel 15 a C. adibita da Au-
gusto alla nuova zecca delle Gallie.
Milano, Giugno igi6.
L. Laffranchi.
(i) Vedi Parte li i numeri l e 2 della tavola.
LA MONETAZIONE ALIFANA '"
a Memmo Cagiati affettuosamente.
Come di tutte le città antiche, le origini di Alife
sono avvolte nella leggenda. Questa ci narra che
Ercole, duce degli Arcadi, l'avrebbe fondata dopo
aver vinto Caco nei pressi del Volturno, o che, già
esistente, Ercole non fece che impadronirsene '^i ;
narra pure che Alife sarebbe stata fondata da un
compagno di Diomede al ritorno della guerra tro-
iana <3). Alcuni autorevoli scrittori però le conferi-
scono un'origine osca, altri un'origine sabellica (4),
che è poi la più probabile e la più accettata. E as-
sodato inoltre che Alife abbia subito la dominazione
greca o quella dei Lacedemoni Tarentini, ai quali lo
storico alifano Gianfrancesco Trutta <5) ne attribuisce
invece la fondazione.
Comunque, Alife è una delle città più antiche
del Sannio Pentro.
È situata sul versante occidentale dell'Appen-
nino Sannitico in prossimità del Volturno e di Pie-
dimonte. Essa ha una storia di grande importanza.
Però « fin dalla sua origine e dopo l' invenzione
« della moneta, non ha giammai usato monete pro-
« prie, ma sibbene quelle dei Greci e di altri po-
(i) Riprodotto dalla Rivista storica del Sannio, n. 2, 1915.
(2) Cfr. Solino, Polust. e. 3.
(3) Cfr. Solino, op. cit
(4) Cfr. Straboxe, V. Ili, io.
(5) Cfr. Giani- KANCKSco TRirriA, Dissertazioni istoriche delle antichità
altfane. Napoli, 1776.
300 RAFFAELLO MARROCCO
« poli confederati C^) » tanto che « le due picciole
« monete d'argento e una di bronzo, assai logora,
u che trovansi nel Real Museo di Napoli coli' iscri-
« zione AAAlBANflN, le quali per quel B in luogo di
« con cui avrebbonsi dovuto scrivere , e perchè
« hanno impresse le figure de' pesci (delfini), che
« par che non convengano a città che marittima
« non sia, è cosa molto dubbia se agli Alifani ap-
« partengano... f^) ». Ma, se anche di Alife, questa
« in sua origine dovea chiamarsi AAAIBA, che poi
u mutossi in AAAIOA, col cambiarsele un solo ele-
« mento ; tanto più che di altra città la quale por-
« tasse il nome di AAAIBA, non si ha veruna con-
« tezza ; ed i pesci, che si vedono in esse medaglie,
« poteano dinotare que' del Volturno o del Torano^^\
u che abbonda di pregiosissime trutte (4) » {trote).
Stando adunque alle affermazioni del nostro
Trutta, come quegli che più dettagliatamente ci ha
dato una storia alifana, tratta in massima parte dagli
avanzi d'arte e di antichità locaH, Alife non go-
drebbe il vanto di avere avuta una propria mone-
tazione. Questa versione e l'altra sull'etimologia del
nome di Alife, sono state accettate da tutti gli stu-
diosi delle antichità alifane, posteriori al Trutta, i
quali, invero, non hanno mai contraddetto il nostro
autore in questi suoi gravissimi errori, forse in omag-
gio alla di lui grande autorità storico-archeologica.
La mancanza, poi, di non accurate ricerche su di
una possibile monetazione alifana e la non esatta
conoscenza della geografia antica da parte del Trutta
e dei suoi copiatori, hanno finito per perpetuare
quegH errori. Eppure Alliba è esistita nella Cam
(1) GlANFRANCESCO TrUTTA, op. CÌl.
(2) GlANKRANCKSCO TrUTIA, op. CÌl.
(3) Il Tarano è il fiume clic nasce a Piedinionte e attraversa Alile.
(4) GlANFRANCESCO TrUTTA, op. cit.
LA MONETAZIONE ALIFANA 30I
pania : venne fondata da una colonia greca nei din-
torni di Cuma, cosa che il nostro Trutta confessa
di non sapere quando dice « che di altra città por-
a tante il nome di Alliba non si ha veruna con-
« tezza ». Cosicché le monete con la leggenda
AAAiBANfiN, accennate da Trutta, s'appartengono ad
Alliba.
Giusta l'opinione dell'Avellino ('), il nome di Al-
liba deriverebbe dai monti Ollibanus, che si elevano
da Pozzuoli a Cuma. il Millingen (2) dice che questa
città, quantunque sconosciuta nella storia, sarebbe da
ricercarsi proprio nei pressi di Cuma. Il Riccio (3),
il Friedlander (4>, il Sambon (5) ed il Garrucci '^) ade-
riscono all'opinione del Millingen, ormai accettata.
Il Garrucci spiega la sua adesione dal fatto che i
simboli rappresentati sulle monete allibane sono ap-
propriati ad una città marittima, come osservò giu-
stamente anche il Trutta ; ma il Dressel >, a sua
volta, osserva con numerosi confronti, che non sem-
pre i simboH marittimi indicano una città in vici-
nanza del mare. Le monete allibane portano gene-
ralmente il Mostro Scilla, i delfini, le conchiglie, le
anitre ed altri uccelli marini, e chiaramente dinotano
— a parte l'opinione del Dressel - di appartenere
ad una città marittima. Anzi il Millingen dice qualche
cosa dippiìi a conforto della sua opinione, e cioè che
le conchiglie sulle monete allibane rappresentano le
famose ostriche del Lucrino, ed i mostri le varie
(i) Cfr. Avellino, Stippt. ad Hai. nuntism., pag. I2.
(2) Cfr. I. Millingen, Anciens coitts, pag. 768.
(3) Cfr. G. Riccio, Reperi, ossia descrizione e tassa delle monete di
città antiche. Napoli, 1852.
{4) Cfr. I. Friedlander, Die Oskischen Munsen, pag. 25 l- 26.
(5) Cfr. L. Sambon, Mon. de la presq' ile Italiquc,
(6) Cfr. R. Garrucci, Le monete dell'Italia antica, Roma, 1885.
(7) Cfr. H. Dressel, Hist. und philol Aufsàtzen zu Ehren, pag. 251
e seguenti.
302 RAFFAELLO MARROCCO
forme assunte dai compagni di Ulisse, giusta l'Odis-
sea, del quale poema erano studiosissimi i Cumani ^^K
*
* *
Poc'anzi dicevamo che lo storico alifano Gian-
francesco Trutta cadde in due gravissimi errori,
scambiando Alliba per Alife e negando a questa la
particolare monetazione. La congettura truttana sul-
l'etimologia del nome di Alife è destituita di fonda-
mento, poiché contro di essa sorge concorde l'autorità
d'insigni scrittori, che dimostrano l'esistenza di Alliba
nell'antica Campania e propriamente nei dintorni di
Cuma.
Sulla base di nostre indagini non ci resta che
dimostrare come AUfe, contrariamente alle asserzioni
del Trutta, abbia realmente avuta la propria mone-
tazione. Non poteva essere altrimenti se si consideri
la sua importanza nella storia. Tralasciando di ri-
ferire sul diritto che avevano alcuni popoli di batter
moneta, cosa del resto assai nota, la esistenza stessa
delle monete alifane è la prova evidente della nostra
affermazione, come gli esemplari da noi rintracciati
ne sono il documento.
Essi sono pochi, invero, ma il Millingen (^) ci
segnala la esistenza di centinaia di oboli alifani, che,
sfortunatamente, non si sa dove furono rinvenuti né
dove vennero conservati.
La moneta qui rappresentata è un didramnia
alifano.
(i) Questo giudizio del Millingen e riportato dal Riccio nell'op. cu
(a) Cfr. I. MtLLiNGEN, op. cit.
LA MONETAZIONE ALIFANA 303
^ — Testa di Pallade a destra con elmo attico, o casco
laureato, ornato di civetta.
^ — Toro androprosopo gradiente a sin,; base a doppia
linea ; al disopra V iscrizione AHQHA.
Due esemplari di questa moneta <'^ si trovano
nel Museo Nazionale di Napoli — dove li rinve-
nimmo — al quale pervennero dalla collezione San-
tangelo ; uno di essi è foderato, l'altro pesa gr. 6,8?
ed è di buona conservazione. Sono riportati sotto i
numeri 410-41 1 del Catalogo Fiorelli. Altri simili
esemplari trovansi nel Museo del Vaticano t^) e nel
Gabinetto di Berlino (3).
Ecco ancora un'altra moneta di Alife.
Argento, mezzo obolo.
& — Testa di leone a bocca aperta a destra.
Bi) — Iscrizione RLJISW dentro grande zeta.
Questo esemplare, di cui oggi si sono smarrite
le tracce, è passato dalla collezione Tuzzi di Napoli
a quella di Braun di Roma e poi all'altra del Duca
(1) Il didramma in oggetto è riportato anche dal Riccio nell'op. cit.
(2) Il didramma alifano non si trova più nel Medagliere del Vati-
cano, come me ne assicura il Direttore Camillo Serafini il quale pur
trovandolo citato dal Garrucci come esistente invece nel Museo Bor-
giano ha ragione di credere d'essersi disperso.
(3) L'esemplare di Berlino è foderato; vi pevenne da Piedimonte
d' Alife.
304 RAFFAELLO MARROCCO
di Luynes ^^l È noto perchè pubblicato dal Frie-
dlander (2) ed anche dal Riccio (3).
Il didramma di sopra illustrato è, per la sua
tecnica, di artisti alifani o del Sannio. Ha una grande
analogia con i didrammi di Hyria. Del resto in quasi
tutte le monete di questa città si nota sovente la
testa di Pallade ed il toro androprosopo, come in
molte di quelle campane e sannitiche U).
Ma perchè abbiano a cessare gli equivoci sulle
monete allibane attribuite ad Alife — nella quale
erronea attribuzione sono caduti numerosi nummo-
grafi — diremo che quegli equivoci presero mag-
gior consistenza da uno abbaglio del Dressel, quando
questi presenziò gli scavi eseguiti nella necropoli di
Alife(5), tra il 1880 e il 1884. Negli scavi si rinvennero,
oltre quelle di Fistelia e di Napoli, delle monete con
la leggenda AAAIBANflN. Questo rinvenimento dette
motivo al Dressel ^^) di ritenerle per alifane ; solo
perchè ripetutamente ritrovate in quegli scavi.
Ma il Dressel, che pure doveva conoscere i di-
drammi alifani conservati nel Museo Nazionale di
Na))oli, non fece nessuna osservazione sulla forma
delle lettere componenti le leggende di quelle mo-
nete, come, ad esempio, l'A (A) senza la piccola linea
orizzontale e 1' ► (L) del tutto arcaica, le quali molto
raramente si riscontrano nelle leggende delle mo-
nete alHbane, come la doppia AA (LL) nelle leggende
di quest'ultime non si è mai riscontrata in quelle
(i) A. Sambon, Mon. Samnites-Campaniens.
(2) Cfr. I. Friedlander, negli Annali nuniism. del Fiorelli.
(3) Cfr. G. Riccio, op. cit.
(4) Cfr. F. Gnecchi, Monete romane. Milano, 1907.
(5) La necropoli di Alife è sottostante ad un podere denominato
Conca d'oro, già appartenente ai sig. G. G. Egg, ora di proprietà dei
sig. Merolla Alfonso.
(6) Cfr. H. Dressel, negli Annali delPlst. di corrispondenza archeo-
logica. Roma, 1884.
LA MONETAZIONE ALIFANA 3O5
dei didrammi alifani. Egli, poi, che non poteva igno-
rare il mezzo obolo di sopra indicato, se avesse fatto
delle osservazioni paleografiche sulla forma delle let-
tere N (A) ed 8 (F) osco-sabelliche, non sarebbe ca-
duto nell'errore attribuendo ad Alife le monete di
Alliba Anzi, poiché è accertato che tanto le une
come le altre sono dello stesso periodo, cioè dal
360 al 330 avanti l'È. V., come ben dimostra il
Sambon ^^), e poiché le prime s'appartengono ad
Alife, riesce strano come questa coniasse in uno
stesso momento delle monete ora col toro a faccia
umana ed ora con dei simboli marittimi, non adatti
alla sua condizione di città interna. Il rinvenimento
delle monete allibane in Alife, va invece spiegato
nel senso, ed è la spiegazione logica, che la stessa
Alife, sensibilissima al lusso ellenico, come del resto
hanno dimostrato i suoi scavi, era in rapporti com-
merciali con i Greci della Campania. Le monete al-
libane adunque rinvenute in Alife, rappresentano una
prova di questo commercio con le città marittime
della Campania ed in special modo con Alliba, con
Cuma e con Napoli, allora fiorentissime.
Intanto, a titolo di curiosità, diamo un'altra mo-
neta, che A. Sambon '"> attribuisce pure ad Alife.
Argento, mezzo obolo.
& — Ostrica.
9^ — lEAAA leggenda inversa, intorno al segno |.
Questa moneta si conserva nel Gabinetto di
Berlino. La iscrizione letta nel suo rovescio è stata
interpretata per Allei/a, e di conseguenza attribuita
ad Alife. Vi sono tutti i dubbi che sia alifana, prin-
cipalmente, ripetiamo, per la figura dell'ostrica nel
(i) Cfr. A. Sambon, op. cit.
(2) Cfr. A. Sambon, op. cit.
39
3o6 RAFFAELLO MARROCCO
SUO diritto, che non può essere stata adottata per
simbolo da Alife, e per la iscrizione stessa, che è
o erronea, se si vuole assolutamente attribuire ad
Alife, oppure un'abbreviazione di Alliba. Può darsi
anche che appartenga a qualche città marittima della
Campania, ora sconosciuta.
In conclusione le monete di Alife hanno per
noi una grande importanza sia perchè finora ignorate
da noi stessi, sia per la loro rarità e valore. Esse
gittano un fascio di luce nuova sulla vita e sulla
storia di questa millenaria città, alla quale proprio
dal suo principale e distinto illustratore, Gianfran-
cesco Trutta, è stato negato uno dei principali ele-
menti della sua importanza politica, della sua potenza
e dei suoi antichi splendori. La monetazione alifana
ha per noi conterranei un interesse particolarmente
suggestivo e ci desta, nel contempo, un sentimento
di fierezza tale da non poterci esimere dal manife-
starlo. E poiché essa offre un vasto campo di studi,
specie sulla remota civiltà di Alife, dalla quale tras-
sero origine non pochi paesi di queste ubertose con-
trade, già del Sannio Pentro, facciamo l'augurio che
altre possibili ricerche ed altre utili discussioni siano
d'ora innanzi intraprese.
Piedimonte d' Alife.
Raffaello Marrocco.
ORIGINE DI ALIFE
SimBolismo delle sue fradlzionl e della sua moneta ^'^
Quando il colono greco fin dairVlII secolo a. C,
attratto dall'azzurro del nostro cielo e del nostro
mare, dalla fertilità del nostro suolo, e dalla limpi-
dezza e salubrità delle nostre acque venne a stabi-
lirsi qui, nella Magna Grecia e nella Sicilia, e il
sangue greco in un amplesso d'amore s'unì al san-
gue italiano, generò il popolo italo-greco, che a sua
volta diede alla luce uomini di genio e opere d'arte,
che, per tutti i rispetti, giunsero ad emulare tutta la
grandezza della patria di origine. Alife è senza dubbio
di origine greca. Antiche tradizioni e monumenti
cospicui lo attestano in modo non dubbio.
Le tradizioni che testimoniano della sua origine
sono due: l'una dice che Alife fu fondata dall'eroe
greco Ercole, che si stabilì qui, dopo averne scac-
ciato Caco, il famoso ladrone dell'Aventino ; l'altra
che fu fondata da un compagno dell'eroe greco Dio-
mede dopo che
„.. il superbo Ilion fu combusto.
Il mito di Ercole, che scaccia Caco, simboleggia
un concetto geologico degli antichi Greci, abitatori
di Alife ; la leggenda del compagno di Diomede è
dovuta alla tendenza degli Italioti di attribuirsi a
capostipite un eroe della guerra greco-troiana.
La mitologia non è. come si può credere a
prima vista, un libro di favole, ma è un libro di
(i) Riprod. daW Arc/iivio Storico del Satinio Aiifano, voi. I, n. i.
308 LUIGI POSTERARO
scienza. La mitologia è per gli antichi quello che
pei moderni è la chimica. Scienza delle trasforma-
zioni o delle metamorfosi è la mitologia, come scienza
delle trasformazioni o delle metamorfosi è la chimica
moderna. E, come questa, per caratterizzare i di-
versi corpi, che, reagendo, si trasformano, si serve
di simboli speciali, così di simboli speciali si serve
la mitologia, rappresentando i corpi, che reagendo,
si trasformano, sotto forma di uomo o di animale.
Quando, ad esempio, il chimico moderno vuol dare
una prova di quello che 20 secoli fa cantava il di-
vino poeta e sommo naturalista Lucrezio Caro :
Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma,
egli non fa altro che preparare l'acqua facendo rea
gire due corpi gassosi, invisibili perchè incolori:
l'ossigeno e l' idrogeno. Che questi corpi esistano è
provato dalle loro proprietà, perchè l'ossigeno è
un corpo comburente, cioè capace di alimentare la
combustione, e invece l' idrogeno è combustibile,
cioè capace di bruciare. Dunque egli non crea, ma
ottiene l'acqua facendo reagire quei due corpi gas-
sosi, che, unendosi, si trasformano in essa, che è
liquida ed ha proprietà chimiche e fisiche diverse
dai suoi componenti. Similmente se il chimico vuol
provare che nulla si distrugge, presenta una candela
accesa e di essa raccogliendo i prodotti della com-
bustione con un tubo contenente pomice solforica,
dimostra che la candela, bruciando, non si distrugge,
ma si trasforma in due altri corpi invisibili : l'ani-
dride carbonica, e il vapore acquoso. Questo che
dice il chimico moderno, in tempo remotissimo lo
diceva anche la mitologia. Cito ad esempio il mito
di Atteone. Atteone, il famoso cacciatore, armato di
arco e di faretra, un giorno, accompagnato dai suoi
cani, andava cacciando, quando scorse la vergine
Diana, la Dea dei boschi e della caccia, che si ba-
ORIGINE DI ALIFE 309
gnava in una fonte cristallina. Salito sur un olivo
fronzuto, si mette a spiare e rimane estasiato a con-
templare le belle forme e le caste grazie della ver-
sine Dea e Fama ardentemente. Una naiade, senti-
nella importuna, avverte Diana dello sguardo impu-
dico dell'innamorato temerario. La Dea. oft'esa nel
suo casto pudore, scompare, nascondendosi fra le
onde, e, spruzzando acqua sull'innamorato impru-
dente, per punirlo, lo condanna a essere trasformato
in cervo. Il povero Atteone, vittima del suo ardente
amore, perde tutte le forme umane: le sue membra
si trasformano in quattro piedi, sulla pelle crescono
i peli, la bocca si allunga in un muso di animale e
sulla testa spuntano le corna ramose. Nulla conserva
della sua forma primiera, giacche non è riconosciuto
ne dalla madre, che affannosamente lo cerca, ne da'
suoi cani che gli saltano addosso e lo sbranano.
Atteone, viene dalla parola greca i/tTaiov^ che
significa sponda, ed è simbolo della terra, dagli an-
tichi naturalisti creduta corpo semplice. Diana cac-
ciatrice, la Dea dei boschi e della notte, rappresenta
il principio freddo, che, condensando il vapore dif-
fuso nell'aria, lo fa cadere sotto forma di pioggia
sulla terra, simboleggiata da Atteone. E la pioggia,
unendosi agli elementi della terra, si trasforma in
erbe e piante, simboleggiate dai peli, che crescono
sulla pelle di Atteone, e dalle corna ramose che
spuntano sulla sua fronte. L'amore di Atteone per
le belle forme di Diana ci svela quell'altra legge
della natura per cui condizione necessaria perchè
due corpi reagiscano, è una certa attrazione che de-
vono avere l'uno per l'altro, la quale legge i chi-
mici moderni chiamano affinità. Il fatto poi che At-
teone, trasformato in cervo, non è conosciuto ne
dalla madre, ne dai cani, ci svela quell'altra legge
di chimica, di cui ho innanzi parlato, per cui due
3IO LUIGI POSTERARO
corpi, quando reagiscono, si trasformano in un terzo
corpo, che ha proprietà chimiche e fisiche diverse
da' suoi componenti.
E così, quando il chimico vuol dimostrare che
il calore non si perde ma si trasforma, adduce l'esem-
pio del calore della caldaia della macchina ferro-
viaria, che si trasforma in moto, comunicandolo alle
ruote della locomotiva. Oppure adduce quest'altro
esempio più caratteristico. Egli presenta un corpo
solido, incoloro, levigato, freddissimo : il ghiaccio.
Se noi esponiamo egli dice, questo corpo solido al-
l'azione dei raggi solari, si trasforma in un corpo
hquido, in acqua, e se all'azione dei raggi solari
facciamo rimanere ancora quest'acqua, essa si tra-
sforma in un corpo aeriforme, in vapore acquoso.
Qual'è la causa di queste trasformazioni ? Il calore
solare, trasformandosi in energia molecolare, mette
in moto le molecole del ghiaccio, che, acquistando
un moto rotatorio centrifugo, si dilatano, si distac-
cano l'una dall'altra e acquistano un aspetto fluido,
scorrevole, formando l'acqua. Continuando l'influenza
diretta dell'energia solare, le molecole dell'acqua, nel
loro movimento rotatorio centrifugo, si distaccano
ancora l'una dall'altra, occupano maggiore spazio,
diventano più leggiere dell'aria e s'innalzano nell'at-
mosfera sotto forma di corpo gassoso o aeriforme.
Ebbene gh antichi greci simboleggiavano l'energia
solare con Ercole; e i lavori di lui non sono altro che
gli effetti dell'energia solare sulla terra.
Ercole, questo forte eroe greco, che ancor fan-
ciullo strozza i serpenti, mandatigli dalla crudele
Giunone, che dappertutto persegue e uccide mostri
dannosissimi, come l' idra di Lerno, il leone della
valle Nemèa, il toro di Creta, il cinghiale di Ari-
manto, il gigante Anteo, il ladro Caco, che sosti-
tuisce financo Atlante nel sostegno del mondo, che
ORIGINE DI ALIFE 3II
sfida il sole, tirandogli una freccia del suo arco, che
il suo seme fecondo sparge dappertutto, unendosi
alle vergini fanciulle e diventando il capostipite,
l'oikista, di tante città della Sicilia e della Magna
Grecia, è una delle concezioni più belle, più mera-
vigliose, più grandi del genio greco. Ercole fanciullo,
che strozza i serpenti, simboleggia il sole che appena
apparso radioso sull'orizzonte dirada, fa scomparire
la malaria, simboleggiata dai serpenti, nello stesso
modo come Ercole che uccide Tidra di Lerno dalle
molteplici teste, simboleggia l'energia solare che, met
tendo in moto le molecole dell'acqua mortifera della
palude di Lerno, le fece elevare nell'aria, prosciu-
gando e disinfettando la palude, che coi miasmi pe-
stiferi seminava la strage tra le popolazioni circo-
stanti. Ercole che uccide il toro di Creta simboleggia
Tenergia solare che, mettendo in moto le molecole
dell'acqua del fiume di Creta, rappresentato sotto
forma di toro, ne dilata lo stato di aggregazione e
le trasforma in vapore, giacche presso i naturalisti
antichi e moderni la parola uccidere è lo stesso che
trasformare, e la parola morire significa trasformarsi .
Un bel giorno Ercole parte per un lungo viaggio
alla conquista delle vacche, pascolate dal pastore
Gerione, verso l'estremità della terra. Lungo il viag-
gio, in Libia, incontra il gigante Anteo, figlio di Po-
sidone e di Gea. Per riportarne vittoria Teroe deve
stringerlo fra le braccia poderose e sollevarlo da
terra, perchè ogni qualvolta il gigante la tocca coi
piedi, acquista nuovo e maggior vigore. Compiuta
quest'impresa continua il viaggio e giunge agli Iper-
borei, ove il sole, essendo molto vicino alla terra,
lo soffoca coi raggi cocenti. L'eroe in un momento
di sdegno punta il suo arco contro il Dio solare e
gli tira una saetta. Allora, il sole, che la poesia
greca rappresenta sotto forma di un bel giovine
312 LUIGI POSTERARO
biondo, i cui capelli scendono inanellati sul collo,
per premiare l'ardire del forte eroe, gli regala la sua
bella conca d'oro, sulla quale Ercole viaggia attra-
verso le azzurre onde marine. Quindi incontra il pa-
store Gerione, gli toglie le vacche e le conduce a
Roma. Ma quivi un famoso ladrone di nome Caco,
abitante in una spelonca dell'Aventino, giocando di
astuzia, arriva a sottrargli alcune vacche e per de-
viarne dalle tracce l'eroe, le introduce nella spelonca,
tirandole per la coda, affinchè le tracce significassero
che le vacche erano di là uscite e non entrate. Ma,
poiché i disegni del ladro non sempre riescono, le
vacche, chiuse nella spelonca, rispondendo al mug-
ghio delle compagne che erano fuori, avvertono
l'eroe della loro presenza nel nascondigho. Ercole
penetra nella spelonca, afferra tra le braccia il ladro
impudente e l'uccide, facendogli uscire fuori dalle
orbite gli occhi, iniettati di sangue, e vomitare fumo
e fuoco dalla bocca. Anche qui i lavori di Ercole
rappresentano gli effetti dell'energia solare sulla terra.
Il mito di Anteo dà ragione del deserto libico. Il gi-
gante Anteo (àvxaTo;), re di Libia, figlio di Posidone
(acqua del mare) e di Gea (terra) simboleggia la ve-
getazione, che appunto è il prodotto dell'unione del-
l'acqua, evaporata dal mare e poi condensata in
pioggia, con gli elementi della terra. E il mito ci
dice che nel deserto libico la vegetazione (Anteo) fu
dall'energia solare (Ercole) prima cresciuta e solle-
vata sulla madre terra, da cui riceveva forza e nu-
trimento, e poi inaridita e distrutta. E cosi la saetta
da Ercole tirata contro il sole simboleggia i raggi so-
lari, che, battendo sulla superficie levigata del mare
tornano in alto, per la nota legge di fisica, la legge
della riflessione, e acquistano sulle acque la forma
d'una sinuosa conca di oro, quella regalata dal sole
all'eroe in premio del suo ardimento. Le vacche pa-
ORIGINE DI ALIFE 3I3
scolate da Gerione sono simbolo delle nuvole, che,
spinte dal vento di terra, simboleggiato dal pastore
Gerione, vanno verso l'estremità della terra e lì re-
sterebbero se Venergia solare non le riconducesse
nuovamente indietro. La scienza vulcanologica, os-
servando che tutti i vulcani sono in vicinanza del
mare, ci dice che le eruzioni vulcaniche avvengono
per l'infiltrazione dell'acqua marina nell'interno del
vulcano. Evaporata l'acqua per l'azione del fuoco, il
vapore acquista una grande forza di tensione e di
espansione, dando luogo a tutti i fenomeni vulcanici.
11 mito di Caco ci fa conoscere che, secondo l'opinione
dei Greci, fossero proprio le nuvole a essere attratte
dal vuoto del vulcano. E la proprietà che ha il vuoto
di attrarre le nuvole o il vapore, è simboleggiata da
Caco, dal greco *a>'-ó«, cattivo, che è perciò qualifi-
cato come ladro. Inoltre il mito stesso ci dice che
Caco è figlio di Vulcano. E, come nel fumare un
sigaro il fumo è attratto dal vuoto della bocca, per
le parte di dietro, mentre la testa del fumo serpeggia
in avanti, così i mitologi greci dicevano che le vac-
che di Ercole, cioè le nuvole, erano state tratte nella
spelonca, cioè nel vuoto del vulcano, tirate per la
coda, ed Ercole, cioè Venergia solare, le aveva fatte
uscire, causando l'eruzione. Da ciò dunque mi pare
si possa concludere che la tradizione di Ercole, che
fondò Alife, dopo averne scacciato Caco, non dà una
notizia storica, ma un concetto geologico di dinami-
smo terrestre, e accenna al carattere vulcanico pri-
mitivo della regione di cui anche oggi si hanno
segni manifesti nei tenimenti di Aliano, di Pratella
e di Telese, e dice che, dopo cessata l'attività vul-
canica, l'energia solare fece sorgere la vita animale
e vegetale nella regione stessa. E, se concetti scien-
tifici puramente greci qui si trovano per tradizioni
ininterrotte, ciò significa che il grande popolo greco
40
314 LUIGI POSTERARO
vi prese stanza, diffondendovi la luce della propria
scienza. Né a ciò contrasta l'affermazione di alcuni
scrittori greci antichi, come il geografo Strabone,
che ad Alife attribuisce un'origine Osca o Sabellica,
giacche questo per noi significa che i Greci, venuti
qui, a quelli si sovrapposero, dando alla città una
impronta propria, e possono perciò ben dirsene i
veri fondatori. E l'affermazione dello storico Solino
che ne dà il merito a un compagno dell'eroe greco
Diomede, dopo il ritorno dalla guerra di Troia, non
fa che confermare il mio asserto, giacché come in-
nanzi ho detto, essa ci svela una tendenza, comune
agli antichi italo-greci, di far risalire le proprie ori-
gini a un eroe, reduce dalla guerra greco-troiana,
sia esso Enea, come a Roma, sia esso Antenore,
come a Venezia, sia esso un compagno di Diomede,
come ad Alife.
E passando ora dalle tradizioni ai monumenti,
ne ricordo soltanto due: Il i.° è la bellissima epi-
grafe, con amorosa cura conservata, che ricorda le
Terme, dette di Ercole, perchè i greci attribuivano
il fenomeno delle salutari acque termali ad Ercole,
cioè SiìVenergia solare. Il 2." è la moneta greca, affi-
data alle mie cure nel gabinetto numismatico del
Museo di Napoli, già magistralmente descritta dal-
l' Ispettore pei Monumenti, Raffaello Marrocco, e del
cui simbolismo devo ancora parlare.
La monetazione greca è uno dei prodotti più
belli, più ielici del genio greco. Fin dai primi tempi
in cui entrai nel campo della Numismatica mi accorsi
che la greca monetazione, a differenza della romana,
della medioevale e della moderna, che ci danno con-
cetti storici, illustra a preferenza concetti scientifico-
ORIGINE DI ALIFE 315
naturalistici, servendosi dei suoi simboli. K non
ostante riconoscessi la mia mente impari all'impresa,
pure con l'amore che di tutto trionfa, mi son fatto
iniziatore e apostolo di una scienza nuova, della
scienza del simbolismo. E con l'aiuto dell'ermeneu-
tica o dell' interpretazione dei simboli sono arrivato
a spiegare il significato di una quantità di monete,
ancora credute enigmi insolubili. Una moneta, ad
esempio, più studiata, e che, come dice il famoso
numismatico Eckhel, ha fatto consumare molto olio
e molto inchiostro, è la moneta di Caulonia. Essa
ha un bel giovine coi capelli scendenti inanellati
sul collo. Questi stringe con la mano destra alzata
una frasca, con la quale percuote un mostricciatolo
dai piedi alati, che corre sul suo braccio sinistro,
proteso in avanti e si volge a guardarlo spaventato.
Dietro le spalle del giovine guizza un delfino, che
sale, e avanti al petto un delfino, che discende. In-
nanzi ai piedi è un bel cervo che si volge indietro
amorevolmente a guardarlo. Sul significato di questa
moneta ho pututo sorridere del sorriso del trionfa-
tore. Il giovine che frusta il mostricciattolo è Apollo,
cioè il sole, che di primavera fa scomparire la tem-
pesta e i rigori dell' inverno, rappresentato dal mo-
stro alato, e, riscaldando l'acqua del mare, la fa sa-
lire sotto forma di vapore, rappresentato dal delfino
che sale, e poi la fa cadere sotto forma di pioggia,
simboleggiata dal delfino che scende, sulla terra sim-
boleggiata dal cervo, che si volge a guardare amo-
revolmente il suo eterno animatore. E il significato
di questa moneta non è altro che un inno alla lus-
sureggiante vegetazione di Caulonia ricca di acqua
e di sole, e un' illustrazione esatta e precisa del nome
di Caulonia, che viene dalla radice greca >'-«'j (latino
caukscere, vegetarci perchè il sole, provocando 1' e-
terno giro dell'acqua del mare, fa nascere e crescere
3l6 LUIGI POSTERARO
la vegetazione. E significato puramente simbolico
va dato alla moneta di Alife (^). Disgraziatamente di
essa abbiamo soltanto tre esemplari; due nel mio
Gabinetto e una nel Museo di Berlino e sono ine-
stimabili, perchè rarissimi. Nulla di certo posso dirvi
sulla data della moneta, perchè ora non V ho sotto-
mano, ma per quel poco che ricordo mi pare di poter
dire che appartenga al IV secolo a. C. Ha nel di-
ritto una bella testa di Pallade o Minerva con elmo
attico, dalla bella cresta, adorno di una civetta e
d'una ghirlanda d'olivo. Voi sapete che Minerva è
il simbolo della scienza e copre la sua testa di un
elmo guerresco appunto perchè Minerva era anche
la Dea della guerra. E Minerva è Dea della guerra,
perchè questa non è solo fatta dal guerriero di pro-
fessione, ma anche e sopratutto dallo scienziato. E
quando leggiamo in Omero che Minerva, entrata in
lotta con Marte, lo vince, ciò significa che la scienza
dà il migliore e più sicuro contributo alla vittoria
finale. Noi oggi vediamo che la guerra non solo è
sostenuta dal guerriero, propriamente detto, ma anche
e sopratutto dallo scenziato che nel suo gabinetto
prepara il fulmicotone o la dinamite per la distru-
zione delle forze avversarie, o applica il telefono, o
il telegrafo senza fih.o altri efficacissimi trovati della
scienza. Anzi dirò di più. Io non condivido l'opinione
di coloro i quali credono che la guerra sia un'arte,
ma io affermo sia per se stessa una scienza, perchè
lo stratega usa metodi scientifici propri e profìtta di
tutti i trovati delle altre scienze. L'elmo di Minerva
è, come ho detto, adorno del ramoscello di olivo,
che fu dalla candida colomba portato a Noè dopo il
diluvio, come simbolo di pace, e vuol significare che
(i) Cfr. Raffaello M arrocco, La Monetazione Alifana in Rivista
Storica del Sannio, n. 2, I915.
ORIGINE DI ALIFE 317
la scienza prepara la pace, si occupa sopratutto delle
arti della pace e in essa lavora. La civetta è anche
attributo della grande Dea perchè coi suoi grandi
occhi abituati e fatti per discernere nelle tenebre,
simboleggia la facoltà che ha la scienza di vedere
là dove altri non vedono e la scienza storica arriva
anche a leggere nelle tenebre del passato. E, ve-
nendo al rovescio della moneta, noi vediamo un bel
toro, gradiente verso sinistra e a volto umano o,
come con parola greca si dice, un toro androprosopo.
Che cosa simboleggia questo toro ? Il fiume di Pie-
dimonte, che bagna Alife, col nome tanto suggestivo
di Torano (da toro) tante volte lo ha detto, scen-
dendo con la voce risonante nella valle. Il toro è
simbolo di questo fiume. Sofocle nella tragedia « Le
Trachinie » così fa dire alla bella Deianira : Il fiume
Acheloo, innamoratosi di me, mi chiedeva a mio padre,
ora sotto forma umana, ora sotto forma di dragone,
ora sotto forma di toro, quando sorse un potente e
forte rivale, che mi amava a par di lui: Ercole. Questi
scendendo in lizza contro l'innamorato fiume, che gli
venne incontro sotto forma di toro, lo vinse e gli tolse
dalla fronte un corno, che poi fu detto il corno delFab-
bondanza. Ora la bella Deianira è la nuvola indotta
a condensarsi e a trasformarsi in acqua dal fiume
Acheloo, che corrisponde al moderno Aspropotamo,
il maggior fiume della Grecia, bagnante la Dolopia
sui confini dell'Acarnania e dell' Etolia ; la bella
Deianira, ripeto, è la nuvola indotta a condensarsi
dal fiume, elemento freddo, mentre Ercole, che sim-
boleggia l'energia solare, fa tu^to il contrario, e non
solo costringe la nuvola ad innalzarsi, mettendone
in moto le molecole, ma facendo lo stesso con Tacqua
del fiume, la costringe a passare dallo stato liquido
allo aeriforme e ad elevarsi nell'aria per poi farla
ricadere nuovamente sulla terra e trasformarla, in
3l8 LUIGI POSTER ARO
unione a questa, in erbe, fiori e frutta, di cui è colmo
il corno dell* abbondanza. Ma accanto alla notizia sto-
rica della rappresentazione del fiume sotto forma di
toro, fornitaci da Sofocle, posso addurre una ragione
psicologica. Secondo me i greci rappresentavano il
fiume in tale forma per due ragioni : i.° per la so-
miglianza che la sua voce ha col mugghio del toro,
e Omero dice che il fiume Xanto, lottando con
Achille, mugghiava come toro, e a quella del toro
rassomiglia la voce sonante della limpida sorgente
del fiume Torano ; 2.° perchè il fiume, correndo nella
valle, si scava con impeto il letto, come il toro si
sbarazza degli ostacoli, cozzando con le corna.
E perchè gli antichi greci elevavano a onori di-
vini il fiume, riproducendolo sulla moneta, al posto
dove i popoH autonomi rappresentano la testa del
loro Dio, e i popoli soggetti la testa del loro ti-
ranno ? Perchè gli antichi romani avevano tanto ri-
spetto e venerazione per l'acqua, che ogni qualvolta
bisognava costruire, ad esempio, un ponte, un sa-
cerdote, detto per questo Pontefice, compieva una
cerimonia solenne quasi per chiedere il permesso al
fiume di gettare il ponte ? Anche questa volta ne
troviamo la ragione nell'ermeneutica del simbolismo
della mitologia e nella scienza naturalistica del tempo.
Presso Omero l'Oceano è padre universale di tutte
le cose, non esclusi gli uomini e gli Dei, come ne
è madre universale, sua moglie, Teti, la dea del mare:
'iiicéavov, S^swv ylveciv xaì (xnTÉpa Trj3-6v. Presso lo stesso
Omero molti eroi della guerra greco-troiana sono
figli dei fiumi, e, morendo, finiscono nei fiumi, come
Enea, che andò a finire sulle sponde del fiume Nu-
micio. La ragione di questo nascere dall'acqua e
morire trasformandosi in acqua ce la dice la scienza
naturalistica antica. Il filosofo naturalista Talete, vis-
suto nel VII secolo a. C, afferma che tutto ciò che
ORIGINE DI ALIFE 3I9
esiste nel mondo deriva dall'acqua. Secondo lui
l'acqua è l'unico corpo semplice, formato da parti-
celle minutissime, dette atomi, dalla cui diversa di-
sposizione e dal cui diverso atteggiamento derivano
tutti gli altri corpi, e in cui questi dopo la morte si
trasformano. La geniale teoria taletiana ha un vivo
riscontro con la teoria atomica moderna. Gli atomisti
moderni parlano di quarantotto e più corpi semplici.
Essi però impropriamente son detti semplici, ma bi-
sognerebbe chiamarli indecomposti. Quando nuovi
mezzi fisici e chimici saranno scoperti, arriveremo a
decomporli tutti fino a devenire a un solo corpo
semplice, che è padre universale di tutte le cose. Il
Prout ophia che questo corpo sia l'idrogeno, perchè
ha il peso specifico minore di tutti gli altri. Secondo
me l'ultima parola non è stata ancor detta; ma l'opi-
nione del Prout mette in evidenza la geniale teoria
di Talete, che credeva unico corpo semplice, padre
universale di tutte le cose, l'acqua, la cui molecola
contiene appunto due atomi d'idrogeno e uno d'os-
sigeno. E questo ci spiega perchè la teoria natura-
listica taletiana acquistasse tanto favore da diffon-
dersi ben presto per tutta la Grecia, la Sicilia e la
Magna Grecia fino ad arrivare alla grande Roma.
E cos'i si ricava dalla monetazione greca che la
fondatrice di Cuma è la dea delle acque di Cuma,
la ninfa Cuma, e la parola greca JtOfAot, significa onda;
la fondatrice di Napoli è la ninfa Partenope, cioè
l'acqua vergine; quella di Velia, città della Lucania,
è la ninfa Velia, cioè l'acqua cristallina; il fondatore
di Taranto è Falanto, il figlio di Nettuno, dio del
mare ; la fondatrice d' Imera in Sicilia è la ninfa
Imera. cioè l'acqua feconda; quella di Siracusa la
ninfa Aretusa, cioè l'acqua irrigua; e la parola Roma
viene dalla radice greca ?^^ che significa scorrere;
e Romolo e Remo sono figli della Vestale Rhea Sylvia,
320 LUIGI POSTERARO
cioè deWacqua materia prima, corpo primordiale, per-
chè Rhea viene da ps'J, scorrere e Sylvia dalla parola
"j^T, che significa materia; e Romolo e Remo sono
allattati dalla lupa, che è simbolo del ruscello; eia
parola Alife viene, secondo me, dalla radice greca
«^'?, che significa giovare, corroborare e si riferisce
all'acqua giovevole, salubre, che alimenta e corrobora
l'organismo, e feconda i campi.
Se dunque all'acqua tanta importanza attribui-
vano gli antichi, ben comprendiamo la ragione per
cui i Greci batterono sulla moneta alifana la figura
del toro, rappresentante il fiume Torano, e attribuen-
dogli l'intelligenza, gli diedero il volto umano Inoltre
con un rigoroso calcolo scientifico son venuto nella
conclusione, nella credenza e nella persuasione che
in Alife abbia avuto corso anche un'altra moneta
greca, avente al diritto una bella testa di ninfa, rap-
presentante la ninfa Alife, e al rovescio il solito
toro a volto umano.
Concludendo, mi pare di aver sufficientemente
dimostrato con l'ermeneutica del simbolismo delle
tradizioni e della moneta di Alife che il grande po-
polo greco ha avuto qui stabile dimora, avendovi
lasciato tracce indelebili della sua scienza naturali-
stica e geologica. Il significato del simbolismo di
Ercole che scaccia Caco accenna alla natura vulcanica
di questo territorio, e quello della moneta al fiume,
che, col suo nome Torano, lo ha tante volte ripetuto
e lo ripeterà finché avrà vita, scendendo nella valle
con voce risonante
Luigi Posteraro.
IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA
IN UN DIDRAMMA DI SUESSA AURUNCA
Suessa, in greco sùe^ca e 2oùea«ia, situata tra il
Liri ed il Volturno, cominciò a chiamarsi aurunca
od auruncorum, quando accolse nelle sue mura gli
aurunci salvatisi fuggendo da Aurunca, che venne
distrutta dalle soldatesche di Teano, città di origine
osca e capoluogo dei Sidicini.
Nell'anno 414 di Roma, 340 a. C, i romani s'im-
padronirono di Suessa Aurunca dopo avere sconfitta
la lega latina nella battaglia campale combattuta
presso Trifano (tra Minturne. Suessa e Sinuessa) e
nell'anno 441 di Roma, 313 a. C, vi stabilirono una
colonia (Tit. Liv., Vili, 2; IX, 28; XXVII, 9; XIX,
15; Plin., Ili, IX, 2; Veli. Patere, I, 14).
Questa città nel breve periodo 280-268 a. C,
probabilmente dopo la famosa guerra contro Pirro,
coniava, fra le altre monete, una serie di didrammi
d'argento, nel cui diritto vi si trova una testa lau-
reata di Apollo con una ricca capigliatura e nel ro-
vescio vi è la figura di un giovane cavaliere, che
conduce un secondo cavallo: nell'esergo poi vi è la
leggenda SVESANO, la quale altro non è che l'abbre-
viazione del genitivo plurale SVESANOM invece di
SVESANORVM.
La testa della divinità è evidentemente copiata
41
322 SALVATORE MIKONE
dai tipi della città di Crotone e molto rassomigliante
ad un tipo di monete siciliane cioè alla moneta di
elettro di Siracusa coniata al tempo di Dione (357-
353). L'adozione del tipo viene giustificata dal fatto
che i suessani tenevano in grandissimo onore il culto
di Apollo : culto che era diffuso in tutte le colonie
greche dell' Italia Meridionale e della Sicilia.
TI giovane cavaliere rappresenta un desultor,
come chiamavasi in lingua latina, o un KEAETHS come
denominavasi in greco. Questi cavalieri desultores,
cavalcando, conducevano seco un altro cavallo e
montavano dall'uno all'altro con grande prestezza ed
agilità e durante i giuochi davano spettacolo al po-
polo della loro prodezza. La figura di questa serie
di monete d'argento rappresenta uno di questi ca-
valieri desultori, vincitore nei giuochi, il quale ha
avuto per premio un ramo di palma. Il tipo del ro-
vescio di tali coni è una lontana reminiscenza della
bella moneta di Taranto, descritta dall' Evans in
Horsmen of Tarentum, Numism. Chron., 1889, tav. Ili,
n. 7. Queste monete d'argento di Suessa sono iden-
tiche fra di loro per lo stile ed il tipo sia nel diritto
che nel rovescio e solamente sono dissimili per il
simbolo aggiunto nel campo dietro la testa di Apollo.
Questo simbolo varia in tutti i didrammi dello
stesso tipo.
Fra questi didrammi vi è il seguente :
^ — Testa di Apollo con ricca capigliatura a des., nel
campo a sinistra dietro la testa, la triquetra.
IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA, ECC. 323
P — Un cavaliere desultor, con il corpo riudo, porta in
testa il pilos, conduce un secondo cavallo a sin.
e tiene nella mano sinistra un ramo di palma or-
nato di un nastro (lemniskos), nell'esergo : SVE-
SANO.
Museo di Berlino, gr. 6,83 ; Museo Britannico, gr, 6,82; Carelli, A^«-
ntoruin velerum lloliae qiios ipse coUegit et ordine geographiro disposiùt
descriplio. Napoli, j8i2, tav LXIV, 7, gr. 7,23; Mionnet. pag. 124, n. 251 ;
Sanibon A., Les monnnies nitttqiies de l'Italie. Paris, 1903, voi. I, pag. 347,
n. 853. tav. V.
Il tipo, in cui si basa questa moneta d'argento,
è il sistema greco focese, il quale in origine aveva
i suoi didrammi del peso di gr. 7,64, mentre poi
aveva diminuito il peso di dette monete.
Questo didramma è un graziosro lavoro ed in-
dica una certa accuratezza di esecuzione ; inoltre di-
mostra che l'arte dell'incisione non ha perduto per
nulla quell'impronta speciale presso le popolazioni
elleniche dell'Italia Meridionale. La testa di Apollo
con quei capelli leggermente ondulati è modellata
in una maniera moltu decorativa ; la fisonomia della
divinità esprime la dolcezza e la calma. Ben propor-
zionati i due cavalli, i quali, essendo stati ammae-
strati dal cavaliere desultore per i giuochi nell'ippo-
dromo, camminano in unica e leggiadra movenza ed
alzano simultaneamente le gambe sinistre.
Dietro alla testa della divinità, proprio all'altezza
del collo, vi è incisa una piccola trinacria. Ora quale
significato può avere questo simbolo, popolarmente
chiamato triquetra ma più correttamente triskeles,
in una moneta appartenente ad una città non sici-
liana ? Nell'antichità i simboh, che hanno fornito
materie di studio e d'induzione ai numismatici, che
se ne sono occupati, non venivano mai aggiunti alle
monete senza un determinato scopo e sempre rac-
chiudevano l'allusione ad un fatto speciale.
SAI.VATORK MIRONE
Si potrebbe giustificare l'aggiunzione di questo
simbolo per distinguere la moneta dalle altre ; ma
questa giustificazione cade quando si pensa che le
diciannove monete con il tipo: diritto testa di Apollo
e rov. un cavaliere desultore : sono tutti didrammi
e quindi non regge alcuna ragione per segnarli in
modo speciale affinchè la popolazione non potesse
cadere in errore riguardo al valore dei coni. Nei
tempi antichi, in verità, non erano rari i casi di ag-
giungere un semplice abbellimento, che serviva a
distinguere una serie da un'altra oppure di creare
dei tipi differenti di monete per non generare con-
fusione e contestazioni nello scambio quando la dil-
ferenza del valore e del peso era minima, come ad
esempio nei piccoli pezzi delle litre e degli oboli in
Sicilia.
Si potrebbe supporre che i simboli aggiunti
siano stati incisi come segno del magistrato respon-
sabile dell'emissione di ogni didramma, come a Na-
poli ed in altre città dell'Italia Meridionale, dove
verso il 350 a. C. si cominciano a mettere nelle mo-
nete i nomi dei magistrati addetti alla monetazione
o dei simboli, sotto i quali si nascondevano i nomi
di detti magistrati.
Ma bisogna anche scartare quest'opinione, fa-
cendo notare che in Napoli ed in altre città italiote
la monetazione ebbe una lunga durata, mentre Suessa
Aurunca coniava questa serie di monete d'argento
fra il 280-268 a C. Quindi in un periodo cosi breve
di dodici aimi è inconcepibile che nella città siano
mutati ben diciannove magistrati addetti alla mone-
tazione.
Non essendovi tradizioni letterarie per potere
risolvere il significato del simbolo della triquetra in
questo didramma, occorre ricorrere alla storia per
cercare di avere una spiegazione.
IL SIMBOLO DELLA TRIQUÈTRA, ECC. 325
Il Paruta {La Sicilia descritta con medaglie. Lione,
1697, pag. 75) con fine intuito aveva notato questo
simbolo nel conio suessano e scriveva : « Si rende
assai difficile e molto più d'investigare la ragione
per la quale in una medaglia di Suessa Aurunca si
veda scolpito il simbolo della trinacria, non essendo
credibile che il dominio dei siciliani si fosse esteso
avanti nell' Italia oltre che le storie antiche non ne
fanno menzione alcuna, sarà più verosimile di dire
che la figura equestre rappresenti qualche eroe sues-
sano vittorioso nell'ippodromo, al quale alcuno della
sua famiglia per essere stato eletto magistrato in Si-
cilia avesse fatto battere tale medaglia in memoria
della sua origine prima ». Dopo il Paruta, molti il-
lustri nummografi non hanno cercato di risolvere il
significato di tale simbolo, anzi qualcheduno come il
Garrucci {Le monete d'Italia antica. Roma, 1885, ta-
vola LXXXV, 32 e 34) non ha fatto menzione del
didramma con il simbolo della triquetra.
Nella storia della numismatica si trovano molte
monete di città non siciliane, come ad esempio Der-
rones, Eubea. Gierapetra, Neandria, ecc., con il detto
simbolo, il quale in questi casi non ha alcun richiamo
alla triangolare isola. In monete di Phlius vi si ri-
scontra il triskeles : il Six I. P. {Monnaies grecques
in Numism. ChronicU. London, 1888, pag. 97) opina
che il triskeles deve alludere alla conformazione geo-
grafica della città. Nelle monete federali della Licia
vi è anche tale simbolo, che certe volte prende la
forma di tetraskeles e di diskeles. Secondo l'opi-
nione del Moller, accettata dall' Head, là triquetra in
questi coni rappresenta l'emblema solare, simboliz-
zante il movimento rotatorio, ed allude anche al
culto di Apollo, il dio della luce e divinità nazio-
nale licia.
In monete di Siracusa, anche in varie dei tempi
326 SALVATORE MIRONE
di Agatocle, si vede inciso tale emblema, che allude
alla supremazia politica della potente città su tutta
risola. In monete di laetia e di Palermo si trovano
anche tali simboH, come pure in monete coniate dai
romani. Difatti Lucio Cornelio Lentulo e Caio Clau-
dio Marcello, consoli nell'anno 49 a. C, coniarono
in Siciha un denaro, in cui si vede incisa la testa
di Gorgona in mezzo della triquetra (Hill, Coins 0/
Ancient Sicily, tav. XV, 4). Pubblio Cornelio Len-
tulo Macellino, dopo essere entrato nella famiglia
dei Corneh, faceva coniare un denaro, nel cui di-
ritto vi è la leggenda Marcellinus e la testa di Mar-
cello, dietro della quale sta una triquetra e nel ro-
vescio la leggenda : MARCELLVS COS QVINQ con la fi-
gura delle spoglie opime di Videmaro, re dei Galli
(Sallet A., Die antiken Miìnzen. Berlin, 1909, pa-
gina 76-77).
Nelle monete siciliane il simbolo del triskeles
era giustificatissimo perchè alludeva alla supremazia
di Siracusa su tutta l' isola oppure al fatto che detti
coni appartenevano a città siciliane, come pure in
quelle fatte coniare dai romani, che erano padroni
dell'isola. Si aggiunge poi che il denaro di Marcel-
lino riveste il carattere di una commemorazione in
onore di Marco Marcello ed allude ai due fatti im-
portanti della vita militare di questo console romano
cioè: i"", quando nel 222 a. C. Marcello vinse gli In-
subri vicino la fortezza romana di Clastidium (attuale
Casteggio) e trafisse con il proprio brando il re dei
Galli, Videmaro; 2", quando nell'anno 212 prima del-
l'era volgare espugnava la città di Siracusa, difesa
dal genio di Archimede, e quindi rendeva romana
tutta l'isola.
Ora nel caso del didramma di Suessa Aurunca
non si può sostenere alcuna ragione sopra esposta,
perchè la città apparteneva già ai romani mentre in
IL SIMBOLO DELLA TRIQUETRA, ECC. 327
quel periodo la Sicilia era indipendente. Bisogna
quindi cercare altrove la ragione, per cui si trova
incisa la trinacria in detto didramma.
Fin da quando era avvenuto lo stabilimento delle
colonie greche nell'Italia Meridionale e nella Sicilia,
le relazioni commerciali fra le città greche della
Campania e dell' isola erano state veramente fre-
quenti ed improntate sempre al concetto di un reci-
proco aiuto.
Dalla fine del secolo quarto, quando Sira-
cusa era nuovamente pervenuta ad un alto grado
di potenza sotto il governo di Agatocle, le relazioni
commerciali fra questa città e le città italiote erano
divenute veramente più strette e seguitarono ad in-
tensificarsi quando queste ultime erano sotto la do-
minazione romana e da quando, appena finita la
guerra contro Pirro, avvenne quell'avvicinamento
politico di Roma con Siracusa.
Difatti le monete di Capua e di Napoli, che
hanno una certa rassomiglianza con i tipi siciliani,
e che certamente furono imitati per agevolare lo
scambio, indicano un commercio attivo di queste
città con la Sicilia.
Prendendo argomento da quest'ultima buona ra-
gione vi sono delle buone ragioni per ritenere che
il simbolo della triquetra o trinacria nel didramma
suessano alluda : i° alle strette relazioni commer-
ciali di Suessa Aurunca con le città siciliane per
mezzo delle varie città marittime ad essa vicine ;
2.'' ad un debito di riconoscenza verso la potente
città sicula, che fin dal secolo quinto aveva aiutato
e sostenuto le città elicne della Campania contro le
invasioni e le aggressioni di gente barbara da parte
di terra e contro le piraterie dei popoli dell'Italia
Settentrionale.
Del resto quest'affermazione non è oziosa quando
328 SALVATORE MIRONE
si pensa che Suessa Aurunca, coniava questo di-
dramma come colonia autonoma in materia monetaria
perchè cessava di coniare le sue monete quando
nel 268 a. C. Roma adottava un solo tipo per l'ar-
gento per tutta l' Italia.
R. Università di Torino.
Dott. Salvatore Mirone
LE MONETE CONIATE IN SICILIA
PER I MERCENARI TIRRENI
L'illustre numismatico palermitano Castelli, prin-
cipe di Torremuzza, fu il primo a far conoscere, più
di un secolo fa, le allora inedite monete di bronzo
coniate in Sicilia per i mercenari tirreni, pubblicando
prima alla rubrica Tyracinensium {Siciliae nummi ve-
teres. P^m., 1781, tav. LXXXI, 17) una moneta con
la leggenda TYPA e poi nel secondo supplemento
della sua grandiosa opera [AucL II, tav. VII, 14 e
15) riportando due altri simili tipi di minor modulo
con la leggenda TYPPH in uno e con l'iscrizione TYPP
nell'altro tipo, il Torremuzza fa anche notare che
tali monete erano state riconiate sopra coni di bronzo
di Siracusa, nel cui diritto vi era la testa di Pallade
e nel rovescio vi erano i delfini attorno ad una stella
di mare.
Trascorso più di un mezzo secolo, il celebre
nummografo siciliano Giuseppe Romano, prendendo
occasione della pubblicazione di Giulio Friedlaender
{Nakone und die Mùnzen der Sicilischen Kampaner.
Berliner Blatter fur Munz-Siegel und Wappenkunde,
Band 1) si occupa diffusamente nella sua bellissima
monografia, Nacona ed i Campani in Sicilia in An-
nali dell'Istituto di Corrispondenza Archeologica,
1864, pag. 55-67 con tavola d'aggiun. C, della mo-
netazione dei mercenari campani in Sicilia e tratta
anche dei coni appartenenti ai tirreni.
33° SALVATORE MIRONE
Questo egregio filosofo, con quella grande eru-
dizione in numismatica che tanto lo distinse, dopo
una serie di ottime e di ben ponderate argomenta-
zioni, va alla conclusione che le monete con le leg-
gende TYPPH e TYPP furono coniate nella città di Terme
dai mercenari venuti in Sicilia nella famosa guerra
contro Siracusa, dei quali Tucidide (VII, 53, 54) e
Diodoro Siculo (XIII, 44) fanno menzione. Facendo
pure notare che in detti bronzi si vedono chiara-
mente le vestigie delle primitive monete a traverso
la nuova impronta sovraposta, sostiene che questi
mercenari invece di preparare con la fusione il me-
tallo preferivano servirsi delle stesse monete coniate
in Siracusa o per difetto di ordegni speciaH in pro-
posito o pure per l'odio, che essi nutrivano contro
i siracusani.
L' Head {Historia numorum. Oxford, 191 1, pa-
gina 190) e r Holm {Geschichte der Sicilischen Miinz-
wesens. Leipzig, 1898, n. 344) sono indecisi di asse-
gnare tali monete a Terme o ad Aetna, sebbene
prima 1' Head {Coinage of Syracuse, pag. 39, tav. VII,
6) incHnava per Tultima città. 11 Poole nel suo Ca-
lalo gm of greek coins in the British Museum-Skily.
London, 1876, pag. 238, descrive le monete dei tir-
reni senza assegnarle ad alcuna città, facendo però
rilevare che furono riconiate su monete di Siracusa.
L'Hill {Coins of Ancient Sicily. Westminster, 1903,
pag. 184) occupandosi delle monete dei mercenari
campani fa cenno della moneta coniata dai tirreni e
fa notare che il tipo si adatta benissimo ad un di-
staccamento di mercenari bellicosi, quali effettiva-
mente erano i tirreni.
Non essendo convinti dell'assegnazione di tali
coni a Terme o ad Aetna, cercheremo di dimostrare
che la coniazione è dovuta avvenire in altro luogo.
Diodoro Siculo (XIV, 2, 3, 5, 6, 8, 9, 15, 58 e
LE MONETE CONIATE IN SICIUA PER I MERCENARI TIRRENI 33I
XVI, 4 e 82) senza fare alcuna menzione dei tirreni,
tratta lungamente dei mercenari campani in Sicilia
e racconta che essi furono assoldati dagli ateniesi
nella guerra contro Siracusa, che, dopo la disastrosa
spedizione ateniese in Sicilia, congedati dagli ateniesi,
furono per vario tempo al soldo dei cartaginesi e
comparirono assieme ai Sicuh nell'eccidio di Imera,
che militarono poi come mercenari alle dipendenze
di Dionisio il Vecchio e che in ultimo presero di-
mora in Catania, in Nacona, in Entella, in Galaria,
in Aetna, da dove furono cacciati da Timoleone
nell'anno 339 a. C.
Tucidide (VII, 53 e 54) fa invece menzione dei
tirreni, chiamandoli oi rupcevoi e racconta che vennero
in Sicilia come ausiliari degli ateniesi nella guerra
contro Siracusa. Analizzanilo bene la narrazione tu-
cididea, si comprende chiaramente che i campani
erano ben diversi dai tirreni: ditatti i primi (Diodoro,
XIII, 42, 2) furono assoldati nella Campania propria-
mente detta per mezzo delle città calcidiche di quella
regione, specialmente per mezzo di Napoli e vennero
in Sicilia nella qualità di mercenari, mentre i tirreni
vennero nella quahtà degli alleati degli ateniesi, per-
chè varie città etrusche (Tucidide, VI, 88 e 103)
memori dell'antica inimicizia contro i siracusani in-
viarono in soccorso degli ateniesi tre navi, sperando
con la disfatta della città sicula di potere riavere
nel mare Tirreno quel prestigio perduto in seguito
alle decisive battaglie navali del 474 e del 453 a. C.
Certamente questi ausiliari, che Diodoro racconta
di essere arrivati troppo tardi, finita la guerra con
la tremenda disfatta ateniese per mare e presso il
fiume Assinaro, dovettero ritornare alla loro patria
cioè in Etruria e se la storia non fa menzione di
tale ritorno sicuramente si deve a Diodoro Siculo,
il quale non ha fatto una netta distinzione tra cam-
332 SALVATORE MIRONE
pani e tirreni. Quindi a priori si deve escludere in
modo assoluto che tali monete siano state coniate
per questi tirreni venuti in Sicilia durante la guerra
contro Siracusa.
Contro poi le argomentazioni messe avanti dal
Romano militano molte ragioni : i.** che le monete
di bronzo di Siracusa, su cui furono riconiate quelle
dei tirreni, sono posteriori all'anno 404 a. C, anno
in cui i mercenari campani non sono più al soldo
dei cartaginesi e passano alle dipendenze di Dionisio
il Vecchio ; 2.° che mercenari nemici di Siracusa
non potevano giammai procurarsi un si grande nu-
mero di monete siracusane per riconiarle ; 3.° che i
campani riconiarono le monete descritte dal Poole,
pag. 237, n. 2 e 3 su la stessa litra siracusana, che
serviva anche per la riconiazione delle monete dei
tirreni.
Contro la supposizione di alcuni numismatici
che la coniazione sia avvenuta in Aetna, città posta
nelle falde dell'Etna, milita una forte ragione cioè
che i tirreni, popolo dedito alle ardite imprese mari-
nare, non potevano giammai adattarsi ad istituire un
colonato in un sito lontano dal mare vari chilometri
e sulle falde etnee, dove avrebbero dovuto cambiare
completamente le loro attitudini.
Prendendo argomento da quanto sopra si è detto,
bisogna ricordare che Dionisio il Vecchio, pervenuto
al potere della potente città dorica, dopo avere de-
bellate le città calcidiche della Sicilia e dopo le for-
tunate guerre con i cartaginesi, seguì con tanto suc-
cesso quella politica d'espansione marittima nel mare
Adriatico e nel mare Tirreno, basando la sua potenza
su mercenari dediti alle imprese marinare. Difatti
fra i mercenari di questo principe vi erano rappre-
sentati tutti i popoli dell'Europa Occidentale: iberi,
celti, liguri, tirreni ed in maggior numero campani.
LE MONETE CONIATE IN SICIUA PER I MERCENARI TIRRENI 333
In questo periodo i tirreni compariscono non come
ausiliari ma come mercenari dei siracusani.
Ora non essendovi tradizione di uno stabilimento
(nel vero senso della parola) di tirreni in Sicilia vi
è da supporre che le monete con le leggende TYPPH
e TYPP siano state fatte riconiare da Dionisio per la
paga ai mercenari tirreni, che con le loro navi ren-
devano sicuro r impero del tiranno siracusano ed
operavano nelle ardite imprese nell'Italia Setten-
trionale.
Io credo che tali monete abbiano il carattere
delle cosidette monete militari. Del resto nella storia
della numismatica greca vi è il primo esempio di
una moneta militare cioè quella fatta coniare dallo
spartano Tibrone quando comandava le truppe gre-
che ed aveva l'incarico di combattere il satrapo
Tissaferne nell'Asia Minore nell'anno 400 a. C. in
seguito alla ritirata dei diecimila. Detta moneta, chia-
mata eipp<òveiov vò(U(ju.(x venne coniata ad Efeso secondo
il Babelon {Tratte cies monnaies grecques et romaines.
Paris, 1901, voi. I, pag. 474-478) ed a Lampsaco
secondo il Lenormant F. {La monnaie dans Fanti-
quité. Paris, 1878-1879, voi. I, pag. 258-259) quando
l'esercito era riunito per marciare contro il nemico.
Questa moneta serviva per la paga dei soldati del-
l'esercito comandato da Tibrone.
Ora non c'è da farsi meraviglia se Dionisio, che
aveva l' interesse di fare notare ai tirreni un diverso
trattamento degli altri mercenari, abbia fatto rico-
niare sulla litra siracusana questa moneta per pagare
le ciurme tirrene, che necessariamente hanno dovuto
avere in qualche città marittima della Sicilia un punto
d'appoggio per tentare e preparare le loro meravi-
gliose imprese marinare.
La leggenda TYPPH e TYPP poi conferma che i tir-
reni tenevano ad essere distinti dagli altri mercenari
334 SALVATORE MIRONE
italici alle dipendenze di Dionisio e che essi neces-
sariamente dovevano formare una corporazione a
parte, venendo a smentire in tal modo le opinioni
del Romano (op. cit., pag. 60) e del Millingen {An-
cient Coins of greek cities and kings. London, 1831,
P^g- 35) che i tirreni siano stati gli stessi dei cam-
pani in Sicilia.
Le monete non presentano nulla dal punto di
vista artistico e si adattano bene ad una popolazione
non ancora giunta ad un alto grado di civiltà.
La coniazione di queste monete deve essere av-
venuta verso il 390-380 a. C. : decennio in cui Dio-
nisio esplicava quella meravigliosa politica di pene-
trazione ellenica fin nelle coste dell' Italia Setten-
trionale.
R. Università di Torino.
Doti. Salvatore Mirone.
LA ZRCCA DI BENEVENTO
2.° Periodo (774-900) — Monetazione principesca
(Continuazione ved. fate. JII-IV, 1915; Imac. I, 1916).
Il ducato di Benevento, che Arichi, giustamente
fidando sulle forze degli ampliati suoi dominii e negli
animi dei suoi valorosi longobardi, aveva mutato
nel 774 in Principato autonomo, fu chiamato, dagli
scrittori greci, Longohardia minore (a distinguerla
dalla maggiore, che comprendeva le provincie set-
tentrionali), da alcuni scrittori latini dei bassi secoli
più semplicemente Italia Cistyherina.
Nei suoi confini vastissimi il Principato bene-
ventano comprendeva, sulla costa occidentale del
Mar Tirreno, le provincie di Campania e di Lucania
col Bruzio ; sulla costa orientale del Mare Adriatico,
il Piceno, il Sannio e l'Apulia con la Calabria ; tra
le più importanti città, Taranto, Bari, Cassano. Lu-
cerà, Cosenza, Pesto, Montella, Salerno, Avellino,
Siponto, si che, toltone le città marittime soggette
ai greci, erano sottoposte al dominio di Benevento
tutte le ubertose contrade dell' Italia meridionale, le
quali, con la riforma amministrativa di Arichi. erano
state ripartite in contadi e castaldati, origine della
feudalità baronale nel nostro paese W.
(i) Il Sarnelu, in : Memorie cronologiche dei Vescovi ed Arcivescovi
della Santa Chiesa di Benevento, Napoli 1691, dà l'elenco delle 34 contee
appartenenti al Principato di Benevento, che il Giustiniani riporta poi
esattamente nel suo : Dizionario geografico-ragionato del Regno di Na-
poli. Napoli ijgj, nel modo seguente : Acerensa, Ali/e, Albi, Aquino,
Baiano, Chicli, Caiasso, Calvi, Capua, Celano, Consa, Carinola, Fondt,
Isemia, tarino. Lesina, Marsi, Mignano, Molise, Morone, Penna, Pieirab-
bondattte, Poniecorvo, Presensano, Sangro, Santagata, Sesto, Sora, Te-
lese, Traieito, Termoli, Tiano, Valve e Vena/ro.
3)6 MEMMO CAGIATI
Agli imperatori d'Oriente obbedivano intanto il
ducato di Gaeta, Gallipoli, Otranto, alcune altre città
nell'estremo Bruzio (amministrate da un Patrizio, ov-
vero Straticò) ed il Ducato di Napoli, a cui erano
soggette, per concessione dell'imperatore Maurizio,
le isole d'Ischia, Procida e Nisita, a cui in prosieguo
furono annesse : Cuma, Stabia, Sorrento ed Amalfi,
ducato che, a forma di provincia, fu volgarmente
detto : Ducatus Campaniae.
Benevento in quell'epoca era la città più splen-
dida dell' Italia meridionale ; Arichi l'aveva fatta sa-
lire a tale alto grado di floridezza e di indipendenza
politica, che a ragione Paolo Diacono, l'autore della
Historia Longobardarum, il quale ebbe alla corte di
Arichi lo stesso ufficio che Alcuino teneva in quella
di Carlo Magno, chiamò Benevento: « opulentissima
a preferenza di quante altre città erano in queste
nostre provincie » (^^ a ragione l'Anonimo Salerni-
tano (2) vantò del Sacrum Palatium la molteplicità,
la varietà degli uffici (3), la magnificenza, la nobiltà
di quella corte splendidissima, in cui la colta prin-
cipessa Adalperga attirava intorno a sé il fiore degli
uomini d'ingegno, 1 migliori cultori delle scienze e
delle arti.
Tutte le epoche di transizione risentono sempre
assai lungamente dei vecchi sistemi e preparano ai
nuovi gradatamente; potremmo quindi dire che dal
(i) Paulus Diac, cap. XX, lib. II, " ... ipsa harum provinciarutn caput
ditissima Beneventus „.
(2) Chronic. Cap. XII e XIII.
(3) Il Borgia, in: Memorie istoriche della pontificia città di Benevento
dal sec. Vili al sec. XVIII, Roma 1763, al Cap. IX del voi. I, con la
scorta del Du Canoe spiega in nota alcuni uffici della corte beneventana,
tra i quali: quello di Comes Palaliis, Comes Stabulis, Protospntarius, Mar-
bais, Castaldius, Topoterius^ Portarius, Thesaurarius, Referendarius, Actio-
naritis, Vestararius^ Vicedominus, Pincerna, Basilicus, Candidatus, Stra-
tigus, ecc.
la' zecca di BENEVENTO 337
giorno memorando in cui Leone III diede l'ultimo
colpo agli imperatori greci, ponendo solennemente
la corona d'Italia sul capo di Carlo Magno, come
nelle fogge dell'arte e nel gusto dell'architettura,
il sistema monetario ebbe a subire in Italia, special-
mente nel Principato di Benevento, le grandi ritorme
che allontanandolo sempre più dalla forma bizan-
tina glie ne facevano assumere una propria, che
servì a dare le norme per l'avvenire.
Negli ultimi tempi merovingi l'argento era en-
trato a poco a poco nella circolazione monetaria fran-
cese; le numerose emissioni di tremissi d'oro erano
andate man mano scemando, per far posto ai de-
nari^ la cui coniazione tra i Franchi prendeva uno
sviluppo incessantemente più grande. Siccome però
i rapporti erano sempre variati e sottoposti alle on-
dulazioni del mercato metallico, enorme confusione
questi denari apportarono nel commercio, continui
malintesi, numerose frodi.
Pipino il Breve aveva stabilito, nel 755, al Con-
cilio di Verneuille il taglio di quelle monete a ven-
tidue soldi per libbra e sembra che, nei suoi primi
anni di regno, Carlo Magno avesse conservato lo
stesso taglio alle sue, il cui tipo ebbe la rudezza
pipiniana, e che in seguito il taglio della specie fosse
stabilito a venti soldi per libbra ; certo è che il peso
aumentò, il diametro si fece più largo e si vide com-
parire sui denari di Carlo Magno il di lui mono-
gramma, il tempio cristiano ed il profilo imperiale.
Venuto in Italia il gran conquistatore istituì nelle
principali città, che caddero in suo potere, zecche
monetarie, nelle quali si cominciò a coniare sul si-
stema carolingio da artisti indigeni, che cercarono
di uniformare i nuovi tipi a quelli locali; ma con
geniale veduta il Re dei Franchi si era prefisso il
concetto di avere in tutti i suoi dominii un unico
43
338 MEMMO CAGIATl
peso ed una sola moneta <0, e, quando concedette
ai Beneventani come successore nel Principato il
figliuolo di Arichi, tenuto in ostaggio, che fu Gri-
moaldo ili, permise a questi di battere moneta pur-
ché fregiata del proprio suo nome (^\ Fu così ini-
ziata nella monetazione di Benevento la serie di quei
denari d'argento, che procede sino al cadere del se-
colo, denari (in sul principio coniati col monogramma
di Carlo Magno e poco appresso in nome ed auto-
rità dei successivi principi di Benevento) che ebbero
il valore di una sesta parte della tremissi d'oro,
quindi della diciottesima del soldo d'oro, come ci fa
noto il chiarissimo A. Sambon, pubblicando un do-
cumento del tempo (3).
Dando uno sguardo generale alla gloriosa e mo-
vimentata storia del Principato di Benevento noi lo
troviamo delineato nettamente in due periodi; quello
che abbraccia l'epoca del Principato indipendente
(774-900) e l'altro del Principato sotto la dominazione
Capuana (900-1077).
Nel primo periodo la zecca di Benevento coniò
soldi e tremissi d'oro per Arichi II ; soldi, tremissi
e denari d'argento per Grimoaldo III; denari per
Grimoaldo IV ; soldi, tremissi e denari per Sicone
e Sicardo; soldi e denari per Radelchi; forse anche
monete per Radelgario, non ancora venute fuori a
nostra conoscenza; denari al tempo di Adelchi col
nome di questo principe, altri a nome di Ludovico
ed Adelchi, altri di Ludovico ed Angilberga, altri
(1) Capobianchi V., Pesi proporsionnh desunti da documenti, nella
libra romana, merovingia e di Carlo Magno in: Rivista hai. di Nutn.,
anno 1892, fase. I.
(2) Erchkmperti, Historia lang. in Peregrinio Pratilli, toni. II, 1750,
pag. 84. " Nummosque sui nominis caracteribus superscribi semper itt-
beret „.
(3) A. Sambon, Recueil des monnaies de l'Italie meridionale depuis
le VII siede iusq'au XIX, Béitévent, in: Le Musée, Revue d'art, Paris, 1909.
LA ZECCA DI BENEVENTO 339
ancora di Giovanni Vili ed Adelchi; per Gaiderio una
moneta di cattiva lega, l'unica che si conosce; poi
un denaro che sembra appartenere al primo periodo
di Radelchi II, un altro, campione ben triste della
moneta longobarda, coniato per Aione, durante il
periodo delle incessanti guerre, da questi combattute
ed infine un denaro coniato probabilmente sotto la
reggenza del vescovo Pietro nel 897.
Nel secondo periodo vediamo Benevento, ridotta
a provincia, in dominio di Atenolfo conte di Capua,
che da feudatario soggetto ne era divenuto l'asso-
luto Signore, di poi, ancora sotto la dominazione dei
longobardi capuani, da soli od associati, Landolfo,
Atenolfo III, Landolfo II, Pandolfo Capo di ferro,
Landolfo III, Landolfo IV, Alzara, vedova di Pan-
dolfo I, Landinolfo, Pandolfo II, Landolfo V, Pan-
dolfo III, Landolfo VI. Con la morte di quest'ultimo
principe longobardo, che aveva tenuto Benevento
anche dopo la conquista che Roberto Guiscardo
aveva fatta di Salerno, troviamo mancata nel 1077
la successione, estinta l'antica signoria longobarda e
la città di Benevento tenuta per la prima volta dal
Pontefice Gregorio VII, da questi e dai suoi succes-
sori governata per mezzo di Rettori, in gran parte
Cardinali della Santa Chiesa. In questo secondo
periodo Benevento, nello stato di servilismo, non
ebbe più zecca; troviamo soltanto alcune monete di
argento che probabilmente vi furono coniate tra il
900 e il 910, aventi per tutta iscrizione il nome
della Santa Vergine, somiglianti a quelle battute
nella zecca di Capua a nome di Atenolfo e di suo
figlio Landolfo, a quelle di Landolfo II e di Pandolfo
Capo di ferro.
Continueremo ad esporre l' interessante nume-
rario della monetazione beneventana, per quanto ci
è nota, dando ora di ogni principe qualche raggua-
34*J MEMMO CAGIATI
glio storico, come per lo innanzi abbiamo creduto
utile di fare per ogni duca nelKesporre le singole
monete.
*
*
Arichi II PRINCIPE (774-788). Nel 774 fu sotto-
messa da Carlo Magno la gente del Friuli e di Spo-
leto, ma non così la longobarda del beneventano
del cui stato Arichi, sfidando il monarca vittorioso,
tenne salda l'autonomia, mentre con nuove e savie
leggi ne andava trasformando l'amministrazione e
l'organizzazione politica.
Il primo principe indipendente del beneventano,
l'unico successore nazionale di sua gente, si era rive-
stito di tutte le insegne dell'autorità sovrana e del
diritto di dar leggi ai presenti, come il legittimo erede
dei due ultimi re longobardi, di cui era genero e
cognato. Arichi fu una delle personalità più illustri
della sua epoca, fu l'emulo di Giustiniano, come
legislatore e fondatore di edifici e templi grandiosi
e di lui l'Anonimo Salernitano scrisse: Magnus erat
Princeps Arechis, lux nostraque salus (^).
Al cadere del 786 e nei primi mesi del 787
Arichi si trovava su i campi nolani in asprissima
lotta contro Stefano, duca di Napoli, quando Carlo
Magno, cedendo alle istanze del Pontefice Adriano I,
si decise ad invadere con grande esercito il ribelle
Principato e si inoltrò fino a Capua.
Arichi dovè in fretta conchiudere pace col suo
avversario, duca di Napoli, poi pensò a riattare ed
innalzare le mura salernitane, dentro le quali si ri-
trasse, perchè nel peggior caso il mare gh fosse
stato di scampo, e, riflettendo alle sproporzioni delle
(X) Chronic. Gap. XXVI.
LA ZECCA DI BENEVENTO
341
forze, consigliato dai maggiorenti dello Stato e dai
più cospicui prelati, preferì proporre accordi di pace
al re dei Franchi, il quale d'altra parte non cre-
dette opportuno tentare oltre l'avventura contro quelle
terre che sfuggivano così facilmente a qualunque do-
minazione che non fosse stata locale.
Nel 788 la pace con Carlo Magno era conchiusa,
ma Arichi meditava come sciogliersi ancora dalla
dipendenza dei re d' Italia ed ingaggiava trattative
con Costantino, imperatore d'Oriente (che lo avrebbe
assecondato, non essendo in ottimi rapporti con
Carlo Magno) quando la morte lo colse poco dopo
quella avvenuta del suo primo figliuolo Romualdo.
Le monete di Arichi, principe, menzionate nei
contratti salernitani della seconda metà del IX se-
colo: Tremissi de principe de moneta Domini Arechis,
conservano, sebbene variate nella leggenda, lo stesso
tipo delle monete precedenti d'Arichi duca, i conii
dovettero però essere perfezionati, perchè la mone-
tazione è uniforme, anche nei più particolari detta-
gli, i soldi e le tremissi che si conoscono non pre-
sentano tra loro alcuna variante.
(Tipo A).
Soldo d'oro.
y — DNSVI — + — CTORIA Busto di prospetto, tenendo
nella destra mano \\ globo crucigero.
^ - VICTIR > •:• PRINPI — C • ONO • B Croce, su quattro
gradini, a sin. A {Arechis) {vedi fig.). R. A'
Coli. Cagiati.
342 MEMMO CaGIATI
(Tipo B).
I. Tremisse.
^ — DNSVI — + - CTORIA Busto di prospetto, tenendo
nella destra mano il globo crucigero
^ - VITIRV •:• PRINPI - C • ONO B Croce, su di un gra-
duio, nel campo a sinistra A (vedi fig.). R. K
Coli. Cagiati.
• 4t
Grimoaldo III (788-806). Se Carlo Magno avesse
ascoltate le incessanti istigazioni del Pontefice Adria-
no I, alla morte d'Arichi avrebbe forse potuto in-
traprendere con maggior fortuna la conquista del
Principato beneventano, ma egli aveva interesse di
impedire per il momento una possibile lega tra T im-
peratore d'Oriente e i longobardi di Benevento, quindi
credette più opportuno d'ingraziarsi questo popolo,
consentendo a riconoscere come successore d'Arichi
il figliuolo Grimoaldo, che era rimasto fino allora
presso di se in ostaggio.
Grimoaldo III sah sul trono paterno accettando
le condizioni che gli erano state dettate dal re dei
Franchi, si dichiarò a lui soggetto, si impegnò a
pagargli un annuo tributo, a prendere il titolo di
duca, ad unire nei diplomi e sulle monete al suo
nome quello di Carlo Magno, però, seguendo la po-
litica del suo genitore, tendente ad un'alleanza con
l'imperatore d'Oriente, sposò la nipote di questi ed il
più presto che potè tentò di sciogliersi dalla sotto-
missione che gli era stata imposta. Per dodici anni
LA ZECCA DI BENEVENTO 343
animosamente Grimoaldo III tenne fronte agli eser-
citi franchi, cercò in ogni modo di mantenere indipen-
dente il suo Stato, ma la morte gli aveva tolto Tunico
figlio che egh ebbe, ed alla morte sua, nel 807,
cessò di fatto il diritto di successione ereditaria nel
Principato ed il trono fu usurpato da un dignitario
di Corte, da un Grimoaldo, che fu Grimoaldo IV.
" Pertulit adversas Francorum saepe phalangas,
" Salvavit patriam sed, Benevente, luani
" Sed quid piura leram ? Gallorum fortia regna
" Nec valere hiijus subdere colla sibi ,.
Questa l'epigrafe che fu scritta sul magnifico tumulo di
Grimoaldo III, nella chiesa di S. Sofia in Benevento, a
rammentare cume fosse stato compianto dal popolo
beneventano il suo secondo valoroso principe.
Le monete di Grimoaldo III ci lasciano scorgere
chiaramente i tre momenti di diversa fortuna del
regno. In una prima emissione di soldi e tremissi,
che dobbiamo supporre molto ristretta, perchè po-
chissimi sono gli esemplari venuti a noi, si trova
l'adempimento da parte di Grimoaldo delle condi-
zioni accettate per ottenere il trono. Non princeps,
ma dux egli si intitola in queste monete d'antico
tipo, sulle quali, nel verso, si trova aggiunto il nome
di Carlo Magno. Un secondo tipo di soldi e tremissi,
di più basso titolo, somiglianti al nuovo tipo emesso
dal principe Arichi, nonché una prima emissione di
denari d'argento di tipo carolingio, portano sempre
il nome di Carlo Magno ; ma a quello di Grimoaldo
è soppresso il titolo di dux. In una terza emissione
i soldi e le tremissi (di titolo ancora più scarso
perchè l'oro era divenuto sempre più raro) e i de-
nari d'argento, non hanno più associato, al nome di
Grimoaldo, che ha preso il titolo di princeps, quello
di Carlo Magno, perchè lo Stato beneventano era
344
MEMMO CAGIATI
ritornato nella sua autonomia, Grimoaldo III ne era
il secondo principe.
(Tipo A).
I. Soldo d'oro.
,©' — GRIM — + — VAL DX {dux) Busto di prospetto, te-
nendo nella destra mano il globo crucigero.
H - • DOMS •:• CAR • RX [rex) - VIC A Croce, su quattro
gradini, affiancata dalle lettere G — R {Grimoaldus)
{vedi fig.)- R. ^
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
2. Idem.
\y — GRIM — + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella
destra mano il globo crucigero.
B3 — • DOMS •:• CVAR Rk'irex) — VIC • Croce, su quattro
gradini, affiancata dalle lettere G — R [vedi fig.).
R. K
Wroth, British Museum, pag. 171, n. 5, pi. XXIII, n. 3.
3. idem.
D' — GRIM — + — VALD Simile al precedente.
P — • DOMS •:• CAR RX • - VICA Simile al preced. R. K
Wroth, British Museum, pag. 171, n. 4, pi. XXIII. n. 2.
LA ZECCA DI BENF.VENTO
345
4. Idem.
ty — GRIM - + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella
destra mano il g^lobo crucigero.
^ — • DOMS •:• CAR • RX • - VIC A Croce , su quattro
gradini, a destra la sigla GR (Grimoaldiis) (vedi
A. Sambon, Le Musée, pag. 15.
R. X
i^^k
5. Idem.
ty — GRIM — + — VALD Busto di prospetto, tenendo nella
destra mano il globo crucigero.
^ - VICTORV : PRINCIP - C • ONO • a Croce, su di
. un globo sostenuto da tre gradini, affiancata dalle
lettere G — R (vedi fig.) R. N.
Coli. Cagiati.
6. Idem.
^ - GRIM — + - VALD Simile al preced.
^ ~ VICTORV :• PRINCIP - C A ONO A 8 Simile al pre-
cedente. K. .V
Wroth, Brìtish Museum, pag:. 172, n. it. pi. XXI li, u. 8.
7. Idem.
^ — GRIM — + — VALD Simile al precedente.
R" — VICTORV •:• PRINCE — C ONO 8 Simile al preced.
R. n:
Wroth, British Museum, pag. 172, n. io, pi. XXIII, n. 7.
346
MEMMO CAGIATI
8. Idem.
ÌB' — GRIM -+ — VALD Simile al preredente.
1^ — VICTORIA •:• PRINCP C-ONO-9 Simile al preced.
R. IV
Coli, del Museo di Napoli. C;itnl. Fiorelli, 59.
9. Idem.
B' — GRIM + VALD Busto di prospetto, tenendo nella
destra mano il globo crucigero.
^ — VICTORIA •:• PRINCI ChONOa Cro B Croce, su di un
piccolo globo sostenuto da un gradino, affiancata
dalle lettere G- — R. R. ^
Coli. Cagiati.
8. Idem.
Altro esemplare simile al precedente, con vallante di
conio. R. A^
Wroth, British Museum, pag. 173, n. 15, pi. XXIII, n. ii.
9. Idem.
Altro esemplare, simile al preced., con VITIRV •:• PRINPI.
R. PI
Catalogo della coli, Miller, n. 2064.
IO. Idem.
^ - DN AMANO — + — ••• P F A V [Dominus noster A-
mand. .. Pius Felix Augustus) Busto paludato.
I^ — VITORV •*• PRINCIP Croce su di un gradmo, affian-
cata dalle lettere Qr — R {vedi fig.). R. N
D. Promis, Monete di zecche italiane inedite o corrette. Torino, 1867,
pag. 14, :a\-. 1, n. 7.
(Tipo C).
vH^^
1. Dcndio.
^ — Nel campo, in monogramma, CARVLVS REX.
LA ZECCA DI BENEVENTO
349
P — Nel campo, in monogramma. G-RIMOALD {vedi /ig.\
R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 15.
^
(^ )
K'
2. Idem.
-B — Nel campo, in monogramma, CAROLVS REX.
R) — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD-, a sinistra
una piccola croce, sopra V \vedt Ag.). R. ^
A. Sambon, Le Musée, pag. 15.
3. Idem.
& — Nel campo, in monogramma, CAROLVS REX.
^ — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD-. sopra pie-
piccola croce [vedi fig.). R. M
Fr. Fusco. Tav. Ili, n. 5.
4. Idem.
& — Nel campo, in monogramma. GRIMOALD- a sinistra
una croce, sopra V.
I^ — • BENE BENTV Croce, su tre gradini, acco-
stata dalle lettere A — CO {vedi /ig.). R. M
Coli. Cagiati.
350
MEMMO CAGIATI
5. Idem.
B' — Nel campo, in monogramma, GRIMOALD • a sinistra
una croce, sopra V.
p — + BENE . — • — • BENTV • Croce, su tre gradini, ac-
costata dalle lettere A - Ca) {diametro ristretto)
{vedi fig.). R- ^
Fr. Fusco. Tav. Ili, n. 11.
6. Idem.
^' — Nel campo, in monogramma, G-RIMOALD • a destra
un ostensorio.
^ — • BENE BENTV Croce su tre gradini, affian-
cata dalle lettere A — CO {vedi fig). R. B.
Wroth, British Museum, pag. 173, n. 17, pi. XXIII, n. 12.
Grimoaldo IV (806-817). Grimoaldo, figlio di
Ermenrico, soprannominato Stolesaiz <0, parecchie
prove di valore aveva date nelle guerre contro
i Franchi , aveva saputo accattivarsi l'animo del
(i) Non si conosce bene il significato del titolo Stohsais, apparso
in docuiìienti degli anni 752, 757, 762 (Trova, IV, 443, 632 ; V, 171), ma
sembra che sìa la stessa che Thesaurarius ; alcuni vogliono sia invece
il Vicedomimts o il Majordomits della Corte di Pavia, il Du Cange, dice
Siolizaz uguale Magistratus.
LA ZECCA DI BENKVENTO 351
SUO Principe e salire ad alti uffici presso la corte :
nella elezione, che dopo due mesi d'anarchia pro-
clamava il terzo principe di Benevento, fu il più for-
tunato tra gli ambiziosi cortigiani e tra gli insolenti
feudatari, divenuti sempre più potenti ed audaci, che
si erano disputata l'usurpazione del trono.
Di Grimoaldo IV il cronista beneventano Er-
chemperto (*> ci descrive il carattere dolce, pacifico,
amabile e magnanimo, mentre il cronista salerni-
tano (^) ci descrive quel principe, orgoglioso, avaro,
cattivo, provocatore, ingiusto e tiranno. Erchemperto
ci dice ^3), che, ad evitare le noie che i Franchi
avrebbero potuto dare al suo regno, Grimoaldo IV
avesse con essi pattuito una stabile pace, dichiaran-
dosi tributario dei re d'Italia; altri testi ci assicu-
rano che si fosse invece rifiutato a pagare qualsiasi
tributo, per cui i Franchi invadevano nel 8io Bene-
vento. Restano quindi ancora incerte le relazioni di
Benevento con i Franchi all'epoca di Grimoaldo IV',
ma è accertato: essere stata Salerno a questi ostile per
le gelose lotte che si erano iniziate tra le principali
città del beneventano, che, per la trama ordita da
Dauferio, Grimoaldo dovesse ad un caso favorevole il
non essere precipitato dal ponte di Vietri, che Dauferio,
ricercato come reo, si fosse rifugiato prima in Nocera
poi a Napoli presso il duca Teodoro e che, giusta-
mente adirato di ciò, Grimoaldo portasse guerra ai
napoletani Da alcuni storici (4) poi si vuole: che lo
sdegno di Grimoaldo fosse placato dalla sottomis-
sione e da un'offerta di danaro dei vinti, che ebbero
la pace, e che Dauferio venisse perdonato dal ge-
neroso principe.
(i) Erciiemperti, Historia Longobardarunt, Gap. 7 e 8, 237.
(2) Chron. Salem. Cap. 38 e 39, pag. 489, 490.
(3) Erchemperti, Historia Long., Cap. 7.
(4) Mons. Daniello M. Zigarelli, Storta àt Bentv. Napoii 1860, p. 49.
352
MEMMO CAGIATI
Se Grimoaldo uscì illeso dalla insidia tesagli da
Dauferio, rimase però vittima della congiura contro
di lui ordita da Sicone, un longobardo del Friuli,
creato conte di Acerenza ; i congiurati trucidarono
il principe che regnò dieci anni intitolandosi nelle
monete: Filius Ermenrichi, devoto dell'Arcangelo Mi-
chele protettore dei longobardi.
Neir8T7 il trono passò all'ambizioso Sicone.
(Tipo A).
1. Denaro.
^ — • ORIMOALD FILIVS ERMENRIH Nel campo spiga di
grano tra due steli ricurvi terminanti in tre glo-
betti.
^ — • ARCHANGELVS MICHAEL Croce accostata da quat-
tro losanghe {vedi fig.). R- ^
A. Sambon, Le Musée, voi. VI, pag. 17.
2. Idem.
B^ — • G-RIMOALD FILIVS ERMENRHI Simile al precedente.
^ - • ARCHANGELVS MICHAEL Simile al prec. R. M
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
3. Idem.
& — • GRIMOALD FILIVS ERMENRIH Nel campo una spiga
di grano Ira due foglie.
^ - ARCHANGELVS MICHAEL Croce accantonata da
quattro losanghe {veclt fig.). R. ^
Coli. Cagiati.
LA ZECCA DI BENEVENTO 353
4. Idem.
Altro esemplare simile al preced., con G-RINOALD. R. ^^
Wroth, British, Museum, pag. 174, n. i, pi. XXIII, n. 14.
5. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, ma variante di
conio. R. M
Wroth, British Miiseum, pag. 175, n. 2, pi. XXIII, n. 15,
6. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, con altra variante
di conio. R. M
Wroth, British Museum, pag. 175, n. 4, pi. XXIII, n. 16.
7. Idem.
Altro esemplare, simile al prec, con ERMENRh. R. M
Coli, del prof, dell' Erba di Napoli.
8. Idem.
.'Vitro esemplare, simile ai prec, con ERMENRIHI R. ^^
Catalogo della coli. Colonna, n. 18.
• •
SicoNE (817-832). Impadronitosi del trono il
nuovo principe dapprima pensò a consolidarlo, de-
primendo le turbolenze dei castaidi che alla signoria
beneventana avevano aspirato, poi, ad assicurarne
la successione, associò al potere e dichiarò erede
il figliuolo Sicardo, al quale aveva dato in isposa
Adelgisa, figlia di Dauferio.
Le discordie tra i carolingi furono opportune a
rendere lo Stato beneventano da quelli indipendente
(Ludovico il Buono si era accontentato, succedendo
nel regno italico, della promessa del solito tributo
che non fu mai pagato) e lasciarono libero Sicone
di spendere tutte le sue forze per travagliare con
45
354
MEMMO CAGIATI
aspre guerre i napoletani, che, vinti, si lasciarono
'togliere le reliquie del Vescovo e Martire S. Gen-
naro, alle quali Sicone innalzò in Benevento un ma-
gnifico tempio, arricchendolo di grandi donativi, e
furono assoggettati per la prima volta al tributo
{collatam) verso il principato.
Frattanto avvenivano i primi sbarchi di Sara-
ceni, che arrecarono ai greci e ai longobardi rivolu-
zioni e rovine, e il ducato di NapoH ne fu infestato,
Capua fu distrutta e gli abitanti di quel contado po-
tettero scampare agli eccidi rifugiandosi sul monte
Tuffino, dove Sicone consigliò a Landolfo di edifi-
care un forte castello che fu poi Sicopoli.
Sicone morì nel 833 dopo 16 anni di governo
energico e savio, nei quali riformò la moneta bene-
ventana, dando una più accurata fattura ai soldi
d'oro su cui volle impressa la figura dell'Arcangelo
Michele, ed una grande emissione di denari d'argento
che ci prova il rapido sviluppo del commercio lo-
cale in quel tempo.
1 beneventani eressero a Sicone un tumulo di-
nanzi alla cattedrale e Sicardo successe come quinto
principe di Benevento. '
(Tipo A).
I. Soldo (foro.
& — SICOP - + - RINCES Busto di prospetto, nel campo
a destra un piccolo triangolo.
^ — ARCHANGELVS - ONO - MIHAEL Figura dell'Ar-
cangelo Michele di prospetto, tenendo nella destra
LA ZECCA DI BENEVENTO
355
mano il pastorale, nella sinistra una croce, sotto
piccolo triangolo {vedi /ìg.). R. A"
Wroth, British Museuin, pag. 176, n. 2, pi. XXIV, n. 2.
2. Idem.
^ — SICOP — + — RINCES Simile al precedente.
^ — ARHAN&ELV — ONO — MIHAEL Simile al prece-
dente. R. A^
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
3. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente la leggenda
del retro ARHANGELV — CONOB — MICHAEL R. A'
G. Satnbon, Repertorio Gen. delle Monete, in nota al n. 433.
4. Idem.
i^ — SICO — + — PRINCES Busto di prospetto, tenendo
nella destra mano il globo crucigero.
I^ — ARCHANGELVS — CONO — MICHAEL Figura dell'Ar-
cangelo Michele di prospetto, tenendo nella de-
stra mano il pastorale, nella sinistra una croce
{vedi fig). R. EL.
Wroth, Uiiiish Museum, pag. 176, pi. XXIV, n. i.
(Tipo B).
I . Tremisse.
^ — SICO - + - PRINCES Busto di prospetto, tenendo
nella destra mano il globo crucigero.
356
MEMMO CAGIAll
I^ - • ARCHANG-ELV •:• S MICHAEL Croce su di un gradino
accostata dalle lettere S — C iStco) avente al di-
sotto due puntini (vedi fig.). R. N
Coli. Cagiati.
2. Idem.
^ — SICO — + — PRINCE Simile al precedente.
^ — ARCHANG-ELV •:• S MICHAEL Simile al prec. R. /¥
G. Sambon, Repertunu Gen. delle Monete^ in nota al n. 434.
3. Idem.
^' — SICOP — + ~ RINCEES Simile al precedente.
t^ — ARANGELVS - ONO - MIHAEL Simile al prec. R. N
Fr. Fuscc. I av. VI, n. 6.
4. Idem.
^ — SICO — + — PRINCE Busto di prospetto, tenendo
nella destra il g-lobo crugigero.
1^ — • ARCHANGELV •:• S MICHAEL Croce, su di un gradino,
accostata dalle lettere 8 — C {vedi fig.). R. A^
Coli. Cagiati.
5. Idem,
B' — SICO — + PRINCE Simile al precedente.
1^ — ARCHANGEL •:• VS MICHAEL Simile al prec. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 18.
6. Idem.
B' — SICO — + PRINCES Busto di prospetto, tenendo
nella destra mano il globo crucigero.
LA ZECCA DI BENEVENTO 357
^ — ARCHANGELVS • MICHAEL Croce, su di un gradino,
affiancata dalle lettere — 8 {vedi fig.) R. EL
Wroth, British Museum, pag. 177, n. 6, pi. XXIV, n. 4.
1. Denaro.
B' — . PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome di Sico
in monogramma cruciforme.
^ — • A • RCANGELVS MICHAEL Croce, su tre gradini,
terminante in alto con tre globetti, accostata da
due globetti {vedi fig.). R. M
Wroth, British Museum, pag. 177, n. 7, pi. XXIV, n. 5.
2. Idem.
Altro esemplare simile al precedente, con ARCHANGELVS.
R. M
Coli. Cagiati.
3. Idem.
& — ■ PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
^ - • ANCNANGELVS MICNACL • {sic) Simile al prec. R. M
Wroth, British Museum, pi. XXIV, n. 6.
4. Idem.
B' — . PRINCES BENEBENTI Simile al precedente, ma il
monogramma è rivoltato.
^ — ■ ARCHANGELVS MICNACL {sic) Simile al prec. R M
A. Sambon, Le Musée, pag. 19.
5. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, con la croce avente
la parte superiore terminante in un solo globetto.
R. M
Fr. Fusco. Tav. IV, n. 9.
358
MtMMO C AGI ATI
6. Idem.
B' — • PRINCES BENEBEHTI iste). Simile al precedente.
P — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, con
la croce accostata a d. da un triangoletto. R. JR
Coli. Cagiati.
7. Idem.
^ — •:• PRINCE BENEBENTI Simile al precedente.
I^ — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, con
la croce accostata a s. da un triangoletto, la parte
superiore di essa non termina con globetti R. JR
Coli. Cagiati.
8. Idem.
/B' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
P — • ARCNANGELIS MICNACL {sic). Simile al precedente,
ma la croce è accostata da due punti, la cui parte
superiore termina con tre globetti. R. M
Coli. Cagiati.
9. Idem.
B' — + PRINCE BENEBEHTI {sic). Simile al precedente.
1^ — ARCHANGELVS .•. MIHCAEL {sic). Simile al prece-
dente, ma la croce non è accostata da alcun segno.
R. M
Coli. Cagiati.
IO. Idem.
B — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sica in
monogramma cruciforme, accostato da quattro
punti nei quattro spazi.
91 - • A • RCHAN&ELVS MIHAEL Croce, su tre gradini,
sormontata da un punto ed accostata da due pic-
coli triangoli {vedi fig.). R. -^
Coli. Cagiati.
LA ZECCA DI BENEVENTO 359
11. Idem.
B' — + PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
H — • ARCHANGELVS MIHAEL Simile al precedente, la
croce è accostata da due globetti. R. M
Wroth, British Museum, pag. 177, n. io, pi. XXIV, n. 7.
12. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente la croce sor-
montata da tre globetti. R. M
Coli. Cagiati.
13. Idem.
ià — PRINCES BINIBENTI {sic) Simile al precedente, un
globetto è nel secondo spazio del monogramma
cruciforme.
9 - ARCHANGELVS MICHAEL • Simile al precedente, la
croce non è sormontata da globetto, a destra un
punto. R. M
Wroth, British Miiseum, pag. 177, n. 12, pi. XXIV, n. 8.
14. Idem.
^ — ' PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
B — • ARCHANGELVS MIHAEL Simile al prec. R. M
Coli, del prof, dell' Erba di Napoli.
15. Idem.
^' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente, ma nel
rombo centrale del monogramma vi è un globetto.
9 - ARCHANGELVS MIHAEL Simile ai precedente, la
croce è affiancata da due globetti. R. ìK
Coli, del prof, dell' Erba di Napoli
16. Idem.
©' — •:• PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
^ — • ARCHANIELVS iste) MIHAEL Simile al precedente,
la croce è sormontata da un globetto ed è acco-
stata da due globetti. R. M
Coli, del prof, dell" Erba di Napoli.
360
MEMMO CAGIATI
17. Idem.
B' — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sico in
monogramma cruciforme.
^ — • A • RCNANGELVS (sic) MICHAEL Croce, su tre gra-
dini, affiancata da due palmette {vedi fig.). R. M
Coli. Cagiati.
18. Idem.
-B' — A + PRINCES BENEBE • N : T : I Nel campo il nome
Sico in monogramma cruciforme, un astro è nel
terzo spazio.
R) — ARCHAN&ELVS MICHAEL Croce, su tre gradini, ac-
costata a s. da piccolo pugnale {vedi fig.). R. M
Coli. Cagiati.
19. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, ma la croce è ac-
costata da due globetti. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 19.
20. Idem.
3^ — A + PRIHCES BENEBENTI Simile al precedente, ma
l'astro è nel quarto spazio.
^ — ARCHANGELVS MICHAELA Simile al precedente, la
croce è accostata da un globetto a sin. R. M
Wroth, British Museum, pag. 178, n. 13, pi. XXIV n. 9.
21. Idem.
B' — '•¥ PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
^ — ARCHANGELVS MICHAEL Simile al precedente, la
croce però non è accostata da alcun segno. R. M,
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
LA ZECCA DI BENEVENTO 36 1
22. Idem.
f ^ ~ A + PRIHCES BENEBENTI Simile al precedente.
91 - • ARCHANG-ELVS MICHAEL Simile al precedente.
R. JR
Wroth, British Museuni, pag. 178, n. 15.
23. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, nel retro la croce
è accostata da due globetti. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 19.
24. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, ma variante di
conio. R. M
Coli. Cagiati.
25. Idem.
f^ — PRIHCES BENEBEHMIT [sic) Simile al precedente.
9 -- A • ARCHANG-FLVS MICHAEL Simile al prec. R. M
Wroth, British Museuiu, pag. 178, n. 16.
(Tipo D).
I. Mezzo d'ttaro (?) l').
ly — Nel campo il nome Stco in monogramma cruciforme.
I^ — Nel campo croce su tre gradini (vedi fig.). R. M
Foresio, tav. I, n. 8.
SicARDo (832-839). Con Sicardo si accentua nel
Principato beneventano la parabola di decadenza, seb-
bene la debolezza in cui si trovava V impero bizan-
tino, sotto il governo di Theofilo, e le discordie che
(1) A. Sambon (Le Musée, voi. VI, pag. 19) a proposito di questa
moneta dice : Ou pourrait penser que ce soit un denier rogne, mais le
ntonogramme et la croix soni plus petits que sur les deniers.
362
MEMMO CAGIATI
dilaniavano i carolingi, al tempo di Lotario impera-
tore e re d'Italia, avrebbero potuto esser fonte di
fortuna ai vasti progetti di conquista che Sicardo
sognava con l'ingordigia e l'irrequietezza del suo
carattere battagliero.
La smodata ambizione dei castaidi, le misere
condizioni commerciali dello Stato, l'opposizione co-
stante del popolo a qualsiasi riforma, e più che altro
la crudeltà spietata di Sicardo, le scelleraggini di
sua moglie Adelgisa, le turpitudini dei favoriti di
Corte, tra cui primo Roffrido, ministro, consigliere
e compagno d'orgie del principe, furono causa di
desolazione che portò per effetto naturale l'anarchia
e la rivolta, la distruzione completa dell' unità dello
Stato.
Le bande saracene saccheggiavano ed incen-
diavano le città di cui potevano impadronirsi, ne
torturavano ed uccidevano i cittadini e Sicardo a
sua volta guerreggiava contro il ducato napoletano,
spogliando chiese e monasteri, impadronendosi di
reliquie che trasportava a Benevento, imprigionando
parenti e nobili che potessero dare ombra al suo
potere, facendo saccheggiare case, confiscare beni,
condannare a morte cittadini e nemici, con quell'ar-
sura di rapina e di prepotenza che si spense soltanto
dopo sei anni di un simile governo con la morte
del tiranno, ucciso dai beneventani oltraggiati.
I. Soldo d'oro.
^ — SIC - +
(Tipo A).
ARDV • Busto di prospetto, tenendo con
LA ZECCA DI BENEVENTO
563
la destra mano il globo crucigero. nel campo a
destra piccolo triangolo.
H' -^ + PRINCI CONOa VICTORV Croce, su tre gra-
dini, affiancata dalle lettere S I [Sicardus) sotto
le quali sono due piccoli triangoli {vedi fig.).
R. EL.
Coli. Cagiati.
2. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg-
genda del retro VIC TOR R. EL.
Coli. Cagiati.
3. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg-
genda del retro VITOR. R. EL.
Catalogo della coli. Gnecchi, n. 371.
4. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente nella leg-
genda del retro PRINCIP. R. EL.
Coli. Cagiati.
5. Falsificazione o prova di conio ? (0,
^^ SIC + ARDV Busto di prospetto, avendo nella
(i) Abbiamo diversi esemplari di questo pezzo in bronzo e ne co-
nosciamo parecchi, simili tra loro, che si trovano in altre collezioni, i
quali tutti non hanno alcuna traccia di doratura, per cui potessimo sta-
bilire trattarsi di falsificazioni dell'epoca. Sono allora semplici prove
di conio, o appartengono ad altra serie di monete coniate in bronzo,
con lo stesso conio con cui si emettevano i soldi d'oro caduti in basso
titolo? Ecco un altro problema che gli studiosi dovrebbero proporsi
di risolvere.
364 MEMMO CAGIATI
destra mano il globo crucigero, nel campo a de-
stra piccolo triangolo.
1^ — + PRINCI - CONOa - VICTORV Croce, su tre gra-
dini, fiancheggiata dalle lettere S — I, sotto alle
quali due piccoli triangoli {vedi /i^.). R. >e
Coli. Cagiatì.
(Tipo B).
1 . Tr emiss e.
& — SIC — + — ARDV Busto di prospetto, tenendo nella
destra mano il globo crucigero, nel campo a de-
stra piccolo triangolo.
^ — V PRINCI - CONOa - VICTOA Croce, su di un
gradino, affiancata dalle lettere S — I [Sicardus)
avente al di sotto due puntini {vedi fig.). R. EL.
Coli. Cagiati.
2. Idem.
\y — SIC + — ARDV • Simile al precedente.
I^ — PRINCI — CONOa - VICTORV •:• Simile al prece-
dente. R. EL.
Wroth, British Museuni, pag. 179, n. 5, pi. XXIV, u. la.
3. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, con C A ONO A a.
R. EL.
Wroth, British Museum, pag. 179, n. 6.
4. Idem.
B^ — SIC — + - ARDV • Simile al precedente.
^ — PRINCE •:• CONO — VICTOR • Simile al prec. R. EL.
A. Sambon, Lo Miiséc, pag. ao.
LA ZECCA DI BENEVENTO 365
5. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, con PRH^CI. R- EL.
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
6. Idem.
,©' — SIC — + — ARDV Simile al precedente.
^ — + PRINCI — CONOB — VICTOR A Simile al prece-
dente. R. EL.
Coli. Cagìati.
7. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, con CAONOAS.
R. EL
Coli. Cagìati.
1. Denaro.
-©' — + PRINCES BENEBENTI Nel campo il nome Sicardo
in monogramma cruciforme.
^ - ■ k- RCHANOELVS MIHAEL Croce, su tre gradini, af-
fiancata da un triangolo a destra, da un punto a
sinistra {vedi fig.). R. M
Coli. Cagìati.
2. Idem.
B' — + PRINCE BENEBENTI Simile al predente.
9 — • ARCHANGELV MIHAEL Simile al precedente. R. M
Coli, del prof, dell' Erba di Napoli.
3. Idem.
^ - • PRINCE BENEBENTI Simile al precedente.
^ — ARCHANGELV niCHVEL Simile al precedente, nel
campo a sinistra un globetto. R. M.
Wroth, Bi iiish Museum, pag. i8o.
366 MEMMO CAGIATI
4. Idem.
B' - + .PRINCE BENEBENTI Simile al precedente.
l>' — ARHANGEL {sic) MIHAEL Simile al precedente, la
croce nel retro è accostata da un triangolo a si-
nistra e da un globetto a destra. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 21.
5. Idem.
B' — PRINCES BENEBENTI Simile al precedente.
P — ARCHANGELV MIHAEL Simile al precedente. R. M
A. Sambon, Le Musée.
6. Idem.
^ — + PRINCE BENEBENT Simile al precedente.
^ — • ARCHAN&ELV HIHAEL Simile al precedente. R. M
Coli. Cagiati.
7. Idem.
B' — + PRINCE DENEDENTI (sic). Simile al precedente.
91 - • A • RCHAN&ELV niHAE Simile al preced. R. JJ^
Coli. Cagiati.
8. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente nel centro
del monogramma un punto. R. M
Coli. Cagiati.
9. Idem.
Altro esemplare, simile al precedente, avente nel retro la
leggenda • A • RCHANGELY HIHAEL R. M
Coli. Cagiati.
{Continuazione e fine nel prossimo fascicolo).
Memmo Cagiati.
NUMMI SCYPHATI
Secondo il Professore VV. Wroth, autore del Catalogne
of the Imperiai byzantine coins in the British Musenm. tutte
le soluzioni che sono state avanzate sullo scopo per cui ven-
nero introdotte le monete cosidette scifate o scodellate, non
soddisfano, perchè, come egli dice, in generale quelle solu-
zioni tendono a stabilire che la detta forma venne adottata
per conformarsi a certe convenienze inerenti alla tecnica,
mentre il chiaro professore è di parere che quella forma fu
adottata affinchè si potessero distinguere le monete di peso
forte da quelle di peso debole, che erano emesse contem-
poraneamente.
lo pure sono dell'opuuone che la forma non dipese da
convenienze tecniche ; al contrario, la nuova tecnica dovette
essere la conseguenza della nuova forma che si decise di
dare alle monete : però, per diverse ragioni, non posso asso-
ciarmi alla soluzione suggerita dal prof Wroth, i." perchè
la forma scodellata venne mantenuta ancora quando, a par-
tire dal regno di Alessio I {1081 a. C. circa), fu discontinuato
il sistema dei due pesi ; 2° perchè, come a tutti è noto, già
sotto i primi imperatori bisantini furono emesse delle mo-
nete di rame di due differenti pesi, mentre sopra i rove-
sci figurano gli stessi indici (XXXX o M ecc.); dunque,
come allora era possibile distinguere le monete d'un peso
da quelle d'un altro, non si vede che cosa impedisse di di-
stinguerle anche nelle epoche posteriori ; per ultimo, perchè
quando erano emessi gli aurei di due differenti pesi, i mo-
duli differivano ancora immensamente fra di loro. Così, ad
esempio, tra gli aurei di Costantino IX, ve ne sono dei
piatti che il prof. Wroth distingue chiamandoli thick fabric,
il di cui peso medio è di gr. 4,02 con un diametro di 16 a
368 G. DATTARI
r8 min., mentre nelle monete concave del peso medio di gr. 4,34
che il prof. Wroth distingue chiamandole spread fahric, il
loro diametro varia tra 24 e 27 mill. Tanto io credo basti
per rinunziare alla soluzione suggerita dal prof. Wroth,
poiché è veramente il caso di dire che ancora i ciechi erano
in grado di distinguere le monete di peso forte da quelle di
peso debole (').
Come cercherò ora di provare, io penso che la forma
scodellata che venne data alle monete ebbe per scopo di
facilitare la loro presa.
Dall'esame delle emissioni monetarie dell'epoca bisantina,
appare che la forma scodellata da prima venne adottata
sporadicamente e, mano mano che andava generalizzandosi,
lo spessore dei tipi tendeva ad appiattirsi, mentre il modulo
si andava sempre più allargando.
Quale sia stato lo scopo per cui venne ridotto lo spes-
sore dei tipi e quello delle leggende è difficile precisare;
però bisogna convenire che con quelle innovazioni fu dimi-
nuita l'opera degli incisori dei coni e, siccome un solo colpo
di martello doveva bastare per imprimere sui tondini quei
tipi appena schizzati e di nessun rilievo, venne ridotta la
lavorazione ed i coni dovevano durare un tempo maggiore.
Quale sia poi la ragione per cui i moduli delle monete
d'oro e d' argento furono aumentati così smisuratamente,
questo è quanto non mi è possibile di spiegare. Comunque
sia, risulta che il primo aureo bisantino del peso normale
di gr. 4,36 e di un diametro di 20 mill., dopo che venne in-
trodotta la forma scodellata, fu mantenuto dello stesso peso;
mentre il suo modulo fu portato a 30 mill. di diametro, ma
in realtà è maggiore, poiché se quelle monete, invece di
essere concave fossero piatte, il loro diametro aumenterebbe
ancora di i o 2 mill.
(l) I distintivi di thick fabrtc e di spread fabric, che ha usato il
prof. Wroth, a loro soli bastano per convincere che non era possibile
(come non lo è oggi) di confondere le monete di un gruppo con quelle
dell'altro.
NUMMI SCYPHATI 369
Le monete così trattate, cioè, grandi, piatte e finissime,
si presentavano come delle minutissime placche che non
solo sarebbero state soggette a deformarsi ; ma, quello che
è peggio, avrebbero costituito una seria difficoltà per pren-
derle da sopra una superficie piana.
Sta nel fatto che, esaminando attentamente la maniera
che si usa per prendere una moneta da sopra una super-
ficie piana, in generale si nota che noi ci serviamo del pol-
lice, dell' indicf o del medio; il priniu serve di contrasto per
impedire chi la nniuela si sposti quando le alti e due dita
cercano di s<^litvarla. Questa manovra è tanto più facile
quanto più spessi sono i tipi impressi sulle faccie, come lo
sono sulle monete antiche, o quanto più alti sono i bordi,
come in generale simo quelli delle nostre monete moderne,
mentre le bisantine che ora ci occupano, mancanti di spes-
sore e quasi senza altezza di bordo, se fossero state piatte,
quando il dito medio o l'indice tentavano di alzarle, queste
sarebbero andate a conficcarsi tra il pollice e la superficie
piana e la presa sarebbe stata quasi impossibile o per lo
meno difficilissima.
Fu dunque necessario trovare un rimedio che facili-
tasse la presa delle monete m maniera comida. Questo ri-
medio dapprima consistette nel dare una dolce curvatura ai
bordi delle monete ; ma con l'andare del temqo, la tecnica
fu lieveniente alterata e con quella venne accentuata la forma
scodellata.
La metamorfosi della forma (cioè da concava a scodel-
lata) io credo deve essere attribuita all'esperienza che a
mano a mano offriva la lavorazione e dalla quale si cercò
di ritrarre tutti i vantaggi che potevano essere ricavati dalla
nuova tecnica. Così, se le monete fossero state semplice-
mente con il bordo ripiegato, allora, dato l'infimo spessf^re
che \'enne adottato tanto pei tipi come per le leggende,
questi, in breve spazio di tempo sarebbero scomparsi ; men-
tre, con la forma scodellata venne totalmente evitato lo stro-
picciamento (che è la causa maggiore dell'usura), come pure
venne diminuita immensammte ia superficie di contatto, sia
che le monete riposassero sopra una superficie piana, sia
che fossero riunite assieme in un sacco o altro. Tutto ciò
47
370 G. DATTARl
mi sembra provato da un esame accurato delle monete
stesse, le quali sono fresche e quasi prive d'usura, ed è giusto
in vista di ridurre al minimo l'usura dei tipi e delle leggende
(ambedue i rappresentanti per eccellenza dell'autenticità delle
monete) che si gli uni che gli altri fossero riuniti nella parte
più profonda, cioè là dove il contatto tra una moneta e l'altra
era minore, mentre fu lasciato un grande campo del tutto
liscio, dove il contatto dei pezzi era maggiore e dove le
monete erano manipolate.
Con questi brevi cenni non ho la pretesa d'avere esau-
rito tutto ciò che offrano da dire le monete scodellate, ma
lo scopo precipuo di questo studio era quello di risolvere il
problema della forma scodellata. Se ho raggiunto lo scopo,
questo è quanto gradirei sentire con molto interesse.
Cairo, i8 Giugno igi6.
G. Dattari.
Lettere di Guido Antonio Zanetti
ad Annibale degli Abbati Olivieri Giordani
di Pesieiro
(Continnuione e fine, ▼. fase. Ili, 1913, fase. II, III-IV, 1914, fìisc I, II, IH-IV, 1915).
171. {CLIV - 313).
Gradisco sommamente il coraggio e gli stimoli, che si
degna farmi ad oggetto di proseguir oltre nel divisato lavoro.
Ma permetta che sinceramente le dica che insensibilmente
m' inoltro in un laberinto da cui difficilmente spero liberarmi.
Troppe cose mi si affacciano oscure, complicate ed equivo-
che, che mi trattengono l'avanzarmi. Sono ancor io dello
stesso sentimento dei molti eruditi anno a lei ratificato che
quei pezzi di metallo rettangoli o quadrati sieno vere mo-
nete, ma vorrei pure nella antichità riscontrare di ciò qual-
che origme. Un qualche barlume sembrami di rinvenire nei
Plinti d'oro mentovati da Erodoto prima assai di Eusebio nel
libro V della sua preparazione Evangelica riferito dallo Sper-
lingio de Nummis non ctisis p. 199(1). Furono questi certi la-
tercoli del sudetto metallo mandati da Creso in dono ad
Apolline Delfico, per averne Oracoli favorevoli, e resto me-
ravigliato, come lo Sperlingio avvalori ciò che dice sopra
detti Plinti con la sola autorità d' Eusebio, quando Erodoto
autore assai più antico con maggior chiarezza ne parla.
Nello stesso Sperlingio alla pag. 163 si parla di lamine d'ar-
gento riposte da un liberto di Trimalcione mentovate da
Petronio nel suo Satirico, e spiegate dai Scogliasti per ric-
chezze. Ora dico io v*è mai dubbio che nei primi plinti di
Creso potessimo scoprire l'origine delle nostre monete ret-
tangole, alle quali poi col tratto di tempo fossero apposti i
segni che le caratterizzavano per monete, e che poi anche
nei secoli posteriori se ne fosse ritenuto l'uso serbando l'oro
e l'argento non segnato in masse di questa forma. Si degni
Ella consultare nello Sperlingio i due passi sopracitati e di
(i) QrxHONis Sperlingu, Dissertaiw de Xtimtnis non Citsis tam ve-
tertim quam recentiorunt. Amstelaedami, Halman, MDCC, in-4.
372 G. CASTELLANI
scrivermi se niuno peso abbiano le mie riflessioni sopì a
questo argomento.
Gli autori che io allegai nell'ultima mia non dicono pre-
cisamente che l'arte del conio cominciasse prima in Sicilia,
che in Grecia o in altra parte, bensì affermano che le Arti della
Scultura e Pittura in Sicilia più presto che in Grecia fiorissero
e salissero al colmo in tempo che la Grecia anche povera e
impegnata nelle gu'^rre non avea aggio {sic) di coltivarle.
Quanto alla moneta di Todi in conio, questa il sig. Pas-
seri (i) la riduce allo spazio di tempo intermedio dall'anno 536
al 563 di Roma, ma in questo tempo sicuramente Todi era
soggetta ai Romani, poiché l'ultima guerra dei Romani cogli
Umbri nella quale erano cuinpre>i i Tuderti accadde, al dir
di Livio, l'anno 444 o incirca di Roma, e in seguito di questa
rimasero gli Umbri debellati in seguito di amotinamento
contro i Romani. Todi fu m appresso fatta Colonia con
r istessa legge con cui fu dedotta Colonia Firenze, lo dice
Frontino espressamente Colonia fida Tuder ea lege qua et
Ager Florentinus ; è stravagante l'epiteto di Fida, forse
unico nelle Colonie. In una antica iscrizione sono nominati
Vicanei Vici Martis Tudert. Ma forse questi saranno altra
cosa differente dalla Coionia. Con tutto suo comodo gradirò
assaissimo di cominciare a\ere qualche disegno delle sue Mo-
nete di Pesaro e rettangole munite delle doitissime riflessioni
ad oggetto di radunar la materia, e metterla a luogo.
il nostro Sig. Co: Fantuzzi mi ha consegnalo il suo se-
condo Tomo degli Scrittori Bolognesi per Lei. A prima oc-
casione solkci'.a non mancherò di spedirglielo. Nelle ore di
suo ocio favorisca di andar pensando (2) mi presti
il suo aiuto e lumi gentilmente esibitomi, mentre pregandola
a confermarmi la sua pregiatissima grazia, con profondo ri-
spetto mi dichiaro
Bologna, 8 Febbraio 1782 (3).
(1) Parali pomena, ecc., pag. 216.
(2) Il foglio è lacera t(j.
(3) In questa lettera e nella successiva l'anno 1782 appare scritto
evidentemente per errore, perche l'argomento delle monete antichissime
d'ititlia fu impreso a trattare soltanto nei primi giorni del 1783. Ho cre-
duto quindi cambiare il collocamento che esse hanno noi codice dove
sono i)oste fra quelle scritte nel 1782.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 373
172. (CLVI — 318).
I a sua gentilissima lettera dei 15 corrente mi ha pie-
namente persuaso intorno il metodo da tenere nello stendere
i primi articoli della nota dissertazione; vedendo benissimo
che ove mancano autorità non si può passar oltre che per
via di congetture, e che queste talvolta rimangono affatto
insussistenti col mezzo della scoperta di nuovi monumenti
che del tutto le distruggono.
Lo Sperlingio al Gap. 32 della sua dissertazione de
Numniis non aisis ove parla delle monete di Dario e di
Creso pag. 199 tratta dei Plinti d'oro mandati da Creso in
dono ad A polline Delfico, e cita l'indicato passo di Eusebio,
a questo io aggiunsi il luogo di Erodoto che Ella reca per
esteso nella siia lettera. E siccome lo Sperlmgio pretende
che questi denarii stessero nei Tempi (loco pecuniae) e prin-
cipalmente questi Plinti d'oro, così io mosso dall'autorità del
medesimo credendo di ritrovare qualche analogia fra i me-
desimi, e le Monete rettangole, mi son fatto coraggio d' in-
terpellare il veneratissimo suo sentimento intorno a ciò, tanto
più che lo stesso Sperlmgio soggiunge, sono le sue stesse
parole " Siquidem tunc nummis cusis, ut re nova, et parum
" adhuc cognita res ipsis non agebatur, quod aut recepti
nondum essent, aut ita Diis offene moris esset antiqui.
Extra Graeciam enim nummos cusos vix id temporis no-
rant, nec Croesei stateres aurei tanta copia celebres eva-
serant. Nuilum enim est dubium, quin nummos aureos mi-
" sisset, si tunc in Lydia Crorsus nummos tales ex moneta
sua submittere potuisset, quod quia factum non reperimus,
Croesi nummos quos rudere coepit, aut nondum cusos.
aut si cusi tuerunt, nondum ea conditione usos, ut coram
Diis exponi possent ; aut missos etiam stateras Groeseos,
sed paucos nec tanto numero, ut connumerari potuerint
seorsim .,. Chi vieta che dai denari dei Tempi si pensasse
a formarne moneta della stessa figura ?
Quanto al passo di Petronio egli è al Cap. 57 dell'edi-
zione di Amsterdam 1743 in 4° alla pag 373. Un Colliberto
di Trimalcione millantatore fra le altre cose che dice, Glc-
hiilas emi. lamellulas paravi: queste laminette e dal contesto.
374 G- CASTELLANI
e dai spositori dell'Autore sono spiegate per piccole masse
di metallo prezioso. Lo attesta Orazio lib. 2. od. 2.
Nullus argento color est avaris
Abditae terris inimice lamnae
Crispe Sallusti, nisi temperato
Splendeat usu (i).
Seneca dt^ Benefic. lib. 7, cap. [o Nunc volo tuas opes
recognoscere laminas utyiusque materiae , ad quas cupi-
ditas nostra caligai e qui certo intende oro ed argento.
L'istesso Seneca de vita beata cap. 21 : illud saeculum in
quo censorium crimen erat paucae argenti lamellae, ed Ovi-
dio a questo proposito : Et levis argenti lamina crimen erat.
Queste due ultime autorità mi fanno gran forza a credere
che gli erari privati degli antichi consistessero nelPammas-
sare il maggior numero che potevano di queste lamineile
di metallo precioso, dalle quali poscia ne derivasse l'uso
della moneta anche di rame della medesima figura contras-
segnata in appresso con qualche simbolo d'autorità pubblica.
Quanto però a questa opinion mia io la sottometto piena-
mente al saggio suo criterio, ed alla pratica ch'Ella ha in-
finitamente maggiore di me intorno a queste n^aterie. Io ho
attentamente osservate cinque delle note monetucce di Todi
qui in Bologna presso un amico mio esistenti, ed in verità
con tutto il rispetto ed ingenuità non posso concorrere nel
di lei sentimento che sieno fuse, quando a prima vista com-
pariscono sicuramente di conio; né mi fa gran forza il ve-
dere in una delle sue il taglio ove fu staccata la moneta
dal canale, che serviva al metallo, per scorrere, giacché 10
tengo opinion ferma, che tali monete prima fossero gettate
in forme per abbozzarne il rilievo, il quale in appresso ve-
nisse dal conio precisamente rilevato, e finito.
(1) Nelle più recenti edizioni critiche questi versi di Orazio si leg-
gono così :
Nullus argento color t»\. avaris
Abdito terris, inimice lamnae
Crispe Sallusti, nisi temperato
Splendeat usu.
In ambedue le lezioni però la voce Inmnn sta per ricchezza e de-
naro in genere.
LETTERE DF GUIDO ANTONIO ZANETTI 375
Perdoni la mia troppo lunga seccatura, mi risponda a
suo agio, e mi creda quale con sincero ossequio e profonda
stima mi protesto
Bologna, 22 Febbraio 1782.
173. fCLXXIII - 355).
Gratissiiiio mi è stato il disegno della lastra nummaria
trasmessami. Questo monumento comprova ad evidenza la
preesistenza della forma alia moneta coniata, delia quale pree-
sistenza se non avessimo che la testimonianza di Trebellio
Pollione questa al nostro caso basta. Quest'autore nella vita
di Vittorina dice : Cusi sunt eius nummi aerei, argentei et
aurei quorum hodie FORMA extat apud Treviros. Noti di
grazia la parola cusi, e il testo dell'autore il quale suppone
elle al tempo che scrivea non si trovassero forse agevol-
mente le monete di Vittorina, ma bensì le forme, colle quali
furono prima gettate, mdi battute le di lui monete (i). Di più
altre forme di monete esistono tuttavia riportale dal Ficoroni
segnatamente, e dal Co : di Caylus, quindi devesi con ogni
maggior probabilità inferire che prima di battere le monete
queste fondessero entro le dette forme per dargli un qualche
coniorno superficie ed abbozzo, indi marcarle esaltamente,
e con finitezza mediante il conio (a). Il disegno trasmessomi
comprova ciò ad evidenza; qui abbiamo il getto di tre esem-
plari del volgarissimo asse della famiglia Calpurnia della
(1) Lo Z. ha dato alla p>arola forma usata da Trebellio Pollione il
significato di forma da fondere mentre essa piii propriamente va presa
nel senso di tipo. Così il Salmasio nel commento a questo passo. Altri
vorrebbe che forma significasse la moneia stessa, come tu usata da
Lampridio nella vita di Alessandro Severo. Qualunque sia la più atten-
dibile di tali opinioni, è certo che i commentatori escludono il signifi-
cato dato dallo Z. Cfr.: Historiae Augustae Scriptores VI. Lugduni Batav.
Oft". Hackiana, MDCLXXl, in-i6, tomo II, pagg. 337-338.
(2) De Ficoro.xi, Piombi Antichi. Roma, 1740, in- 4, pag. 167, figg. 4
e 6 dell'ultima tavola ; De Caylus, Recueil d' Antiquités, ecc. Paris, 1761-
1767, in-4, t. I, pag. 286; IV, 330. Una forma da fondere monete è pure
riprodotta dal Reposati, 1, pag. 25, rinvenuta a tre miglia da Gubbio,
posseduta dall' A. e passata poi al Museo di S. Salvatore di Bologna,
diversa pertanto dalla lastra nummaria di cui si parla nella lettera.
376 G. casti: LL ANI
quale cercando qui in Bologna presso un amico mio le mo-
nete, ne ho ritrovati sei tutti similissimi ai tipi rappresentati
nei disegni, e tutte in verità sembrano sì al possessor suo,
che a me di vero verissimo conio ; né mancano in essi i vi-
sibilissimi indizi dei taglio che comprovano sempre più la
precedente fusione. Aggiugnerò in altro ordinano qualche
riflessione toccante il tempo in cui cominciò nella Zecca Ro-
mana a farsi uso del conio, e dal peso forse del presente
Asse, ch'io credo dell'ultima diminuzione, potrà fermarsi
un'epoca forse non ancor bene stabilita. Sono .sempre pieno
di obbligazioni, col piìi profondo rispetto, ed ossequiosa stima
Bologna, 26 Febb. 1783.
174. (CLXXIV — 356).
È giusta la sua riflessione intorno al sentimento dello
Sperlingio che quei Plinti stassero loco pecuntae, quando
pensa ella che invece d'oro e d'argento dovessero offerirsi
ai Dei nei Tempi cose più preciose ; tuttavolta l'analogia
nella forma di quelli di metallo rispettabile con le nostre
monete rettangole mi lusinga, e le lamellole di Petronio
unite alle mentovate da Orazio e da Seneca mi piegarebbero
a credere che a que' rimotissimi tempi avessero tratta l'ori-
gine somministrandogliela le monete rettangole quantunque
assai rozze e di figura incomoda. Aggiungo che nel suo
Luco sacro ha pur ella trovate monete ma di metallo igno-
bile corrispondente allo stato dei donatori, onde non sem-
bra straordinario che un Signor grande com'era Dario man-
dasse moneta preciosa in quella sì strana forma per obbli-
garsi quel Dio, o sì vero quei Sacerdoti, a pronunciare
oracoli a lui favorevoli.
Quanto all'Asse della famiglia Calpurnia siccome egli è
di mezz'oncia, così giusta il parere del Sig. Passeri (i) si co-
minciò a coniare dopo la legge Papiria dell'anno 563 di
Roma siccome tutti gli altri. Anzi egli asserisce d'avere os-
servati che tutti i più pesanti, cioè più antichi manifestissime
(i) Op. cit, pag. aii.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 377
flaturam ostendunt; (2) e soggiunge che non era agevol cosa
il potere coniare agevolmente moneta di maggior peso.
Ho più volte osservati gli ordigni da coniar moneta
nella medaglia della gente Carisia, e quanto a me non trovo
veruna difficoltà che in monete di tal mole, come l'asse della
Famiglia Calpurnia, se ne potesse far uso ; per altro il Bou-
teroue nel suo dottissimo Trattato sopra la moneta porta
intorno a ciò il seguente passo in idioma italiano tolto o da
qualche relazione, od opera stampata in questa lingua, della
quale io non ho veruna cognizione: " Certe figure di stucco
antiche poste nelle grotte delle rovine di Baia appresso Poz-
zuolo, dove erano rappresentati i Monetari et le Machine
suddette, che mostravano di avere pietre grossissime su-
spense in aria, come se avessero da scendere dal tetto per
dare maggior botta sul conio ,,. Io non ho mancato di cer-
care tutte le relazioni antiche e moderne delle antichità di
Baia e Pozzuolo, né mi sono mai incontrato in questo passo
che mi sembra però assai notabile <3).
Quanto mai sarebbe utile al mio lavoro la dissertazione
del dottissimo Sig. Passeri da Lei menzionata alla pag. 26
della sua lettera al sig,: Bartelemi {sic) De Nomtnibus Urbium et
locorum Italicorum, se questa non fosse molto lunga, io la
pregarci a farmene fare a mie spese un'esatta copia, giacche
non può a meno che non vi sia molta erudizione intorno ai
tipi delle antiche monete Italiche illiterate, potendo Ella dun-
que farmi questo piacere io lo riceverei per un singoiar
favore.
Ho consegnato al nostro Sig. Borghesi, che dal suo ri-
torno di Roma per la via di Toscana si è qui da me trat-
tenuto per otto giorni, un involto contenente l'ultimo Tomo
dell'Opera del P. Ab. Trombelli da esso per tale effetto
consegnatomi. Egli si trova un po' attualmente incomodato
oltre r incomodo dell'età di 87 anni.
(2) Op. cit., pag. 159.
(3) Non mi è stato possibile consultare questo trattato del quale
non ho nemmeno trovato indicazioni bibliografiche corrispondenti al ti-
tolo enunciato dallo Z., e così non ho potuto fare ricerche intomo al
brano riportato.
5*
37^ ^" CASTELLANI
Avrà inttsa la nuova -della motte del Monetografo Bel-
lini accaduta alla fine del prossimo passato mese. Si abbia
Ella diligente riguardo della sua preciosa salute, mi onori di
qualche veneratissimo suo comando, e con profondissimo
rispetto mi dichiaro
Bologna, ig Marzo ijSj.
175. (CLXXV - 359).
Spiacemi assaissimo che la dissertazione del Sig. Pas-
seri de Nomimbus Urbium sia stata soltanto ideata e non
estesa ; poteva la medesima recar gran lumi a chi si fosse
proposto quel che io penso ; converrà aver pacienza ed al-
lungare l'opera per aver tempo da procacciarsi que' maggiori
lumi che da essa potevano ricavarsi, ed impiegare maggior
opera e fatica sui libri.
Nella sua lettera al Sig. Ab. Barthelemy, pag. 45 pro-
pone una sua bellissima congettura intorno ad una moneta
recata dall' Arrigoni Num. Antiq. tab. 18 n. 6j, che cioè le
lettere in essa scolpite forse con qualche alterazione potes-
sero, veduta la moneta, interpretarsi non RAEV ma bensì
RAVE ed in conseguenza attribuirsi la moneta a Ravenna ;
ma come poi concigliare l'altra parte della stessa moneta
nella quale vedesi un K ed un A, ed in conseguenza ritro-
vasi la medesima attribuita sì dal Passeri, che dal Guarnacci
ai Camerti. Osservo di più che la stessa moneta viene re-
plicata dal medesimo Arrigoni Tom. Ili num. antiquis. tav. 5.
2. 8. collo stesso stessissimo tipo con annotazione dello
stesso peso, ma con varietà nelle lettere. Abbia ella la bontà
di fare sopra ciò le sue osservazioni, e poi in appresso a
suo comodo comunicarmele; come pure la prego ad impron-
tarmi i disegni delle nuove antiche monete di Pesaro da lei
acquistate ad oggetto di potere arricchire questa mia ope-
retta di monumenti nuovi per supplire almeno con questi
ai molti difetti che in essa s' incontreranno. E qui memore
sempre delle mie molte obbligazioni passo a rassegnarmi
con profondissima stima
Bologna, a Aprile 178J,
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 379
176. (CLXXVI - 360).
Rispondo all'ultima pregiatissima sua rendendole distinte
grazie delle belle notizie inviatemi intorno alla dissertazione
del Sig. Passeri de Nomimbu? Vrbiunt, ed intorno la mo-
neta già riportata dall'Arrigoni, e da lei sospettata di Ra-
venna, indi con sodi fondamenti e giusta critica attribuita ad
Arpe, Città delle Puglie. Io non manciù rò certamente di
secondare le di Lei lodevoli premure e dovendo parlare di
quella moneta non mancherò di far palese al pubblico il suo
sentimento intorno ad essa.
Ultimamente ho ricevuto dal Sig. Pelli direttore della
Galleria del Granduca di Toscana due disegni d'antichissime
monete quadrangole. In una ritrovasi da una parte scolpito
un elefante, dall'altra un cignale. Riputandosi questa moneta
genuina e veramente antica, del che io non me ne posso al
presente assicurare, colla testimonianza di Plinio si verrebbe
in cognizione che essa non è anteriore all'anno 472 di Roma
in cui per la prima volta furono veduti in Italia gli Elefanti
ai tempi della guerra col Re Pirro, e furono chiamate queste
bestie Boves Lucas perchè veduti nella Lucania secondo ciò
che ancora scrive Varrone nel Libro V. Ciò posto io la di-
scorro cosi. Sarebbe ella mai questa moneta quadrangola
d'Arpe, città della Puglia, Provincia confinante colla Lucania,
li abitatori della quale volendo batter moneta detta pecunia
con i tipi primigeni! vi scolpissero da un lato il Bove Lu-
cano come prototipo ed antesignano dei più grandi quadru-
pedi allora noti e dall'altra parte il Cignale, ossia Porco,
animale indigeno del paese ? Queste sono forse mie azzar-
date congetture che intorno a questa Medaglia io sottometto
all'illuminato suo criterio. Nell'altra che vien dopo trovasi
impresso da una parte un Caduceo dall'altra un Tridente. Sì
l'uno che l'altro si rappresenta legato da certe fettuccie i
capi delle quali svolazzano pel campo della moneta in una
foggia un po' tioppo ardita e lontana dalla semplicità dei
tempi nei quali dovrebb'esser fusa la moneta. Tai tipi non
sono punto estranei alle monete antichissime d'Italia, e molte
ne ho vedute rappresentanti nel rovescio or l'uno, or l'altro,
ma non mai assit-me uniti. In questa o vien denotata la re-
380 G, CASTELLANI
ligione particolare della Città addetta a Nettuno ed a Mer-
curio, o se pure la situazione marittima della medebima (i).
Questo è ciò (che) vo meco scandagliando intorno i suddetti
monumenti. A maggior mia quiete io ho risoluto di acchiu-
derli a questa acciò possa Ella sott'occhio esaminarli con
attenzione e farvi sopra quelle riflessioni che più le sembre-
ranno opportune, pregandola a rimandarmeli con suo co-
modo accompagnate dalle medesime anche riguardo a ciò
ch'Ella ne crederà intorno l'antichità e legittimità degli stessi.
E qui supplicandola a non dimenticarsi del disegno della
Moneta Pesarese accompagnato dalle sue riflessioni pregan-
dola a perdonarmi i molti incomodi che le reco passo a
rassegnarmi
Bologna, 16 Aprile 178J.
177. (CLXXVII — 361).
Io sono pienamente del veneratissimo suo sentimento
intorno l'antichità delle note due monete rettangole della
Galleria di Toscana. Ma insorge qui una nuova briga per
rapporto alle medesime. Nel tempo che le avevo scritto delle
medesime, poco prima comunicai i disegni ad un mio amico
del Paese, questi si prese cura di scriverne al dotto Sig.
Ab. Luigi Lanzi uno de Custodi di quella Real Galleria, che
ultimamente ne ha inserita una descrizione nel T. 47 del
Giornale Pisano. Rispetto alle dette due Monete eccole la
precisa risposta del medesimo. " Rapporto ai due grandi
Assi, posso assicurarla che non vi è monumento più sincero
di essi, e sono i più conservati che abbia mai veduto in tal
genere rarissimo come Ella sa. Mons. Borgia ne acquistò da
(i) Non mi pare superfluo notare come anche in questo difficile ar-
gomento delle monete primitive lo Z. sia assistito dal suo finissimo in-
tuito. Era allora opinione prevalente che i pezzi quadrangolari fossero
antichissimi e anteriori ^W'aes grave circolare. Con una semplice ma
giusta osservazione sulla disposizione artisticamente movimentata delle
fettuccie (lermtisclii) lo Z. si mette in aperto contrasto con tale opinione,
precorrendo quasi i più moderni sludi dai quali resta assodato come
quei pezzi appartengano ad epoca molto meno remola e debbano con-
siderarsi multipli dell'asse già ridotto di peso.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 381
Bayers circa a tre; uno pur colI'EIefante fu già dello Stoch
(vorrà dire dello Stosch) ed ora è Inghilterra. Questo di
Galleria fu da me trovato fra moltissime Statuette di bronzo
in casa d'un vecchio, che lo avea dimenticato per molti anni
non conoscendone il pregio „. Il Sig. Ab. Lanzi per quanto
mi avvisa il detto amico è nomo assai pratico dell'antico, e
la sua testimonianza merita molto riguardo. Ne' suoi viaggi
fatti in Bologna é stato a vedere la mia raccolta di monete,
ed io lo ho riconosciuto assai versato nell'antichità, onde
non mi sembra da trascurarsi affatto il suo giudizio. Ricorro
pertanto di nuovo a Lei per regola e consiglio dopo questi
ulteriori lumi non trovando cosa prudente il pubblicarli come
sospetti in vista del possessore, ed al contrario trascurandoli
del tutto sembra cosa inopportuna attesa la singolarità e no-
vità dei monumenti (i). Attendo con impazienza il disegno della
nuova moneta Pesarese corredato delle sue dotte riflessioni,
che tai quali ella mi avanzerà saranno da me pubblicate. In
altro ordinario ho bisogno del suo saggio consiglio riguardo
alle monete dei Duchi d'Urbino, giacche ora sto formando
l'appendice con cui si terminerà il Tomo terzo. E con la
solita stima me le protesto d'essere
Bologna, j Maggio ijSj.
178. (CLXXVIII - 362).
Appena ricevuta la veneratissima sua assieme col di-
segno dell'antica Moneta Pe.sarese mi sono portato da un
mio amico che tiene tutta l'opera del Peilerin ed ògli mo-
strato il disegno. Egli immediatamente m'assicurò essere in
quell'Autore la Medaglia riportata ; osservatane però esat-
ti) Luigi Adriano Milani nel suo importante studio su VAes rude,
sigihUiim e grave rinvenuto alla Bruna presso Spoleto (Rivista J/n/iana
dt .Viimisinrjfira. anno IV, 1891, pagg. 27-116), annovera tra gli esem-
plari esistenti del pezzo rettangolare col Caduceo e il Tridente (pag. 36)
anche quello ilei Museo di Firenze di cui Egli era Direttore, mentre
parlando dell'altro con l'Elefante e la Scrofa (pag. 80) cita soltanto
l'esemplare già (iiiadagni liei Museo Britannico, soggiungendo: "Un
altro esemplare Stosch s' ignora dove si conservi ; altri esemplari si
giudicano falsi „. Cosi, almeno per quest'ultimo, non appariscono del
tatto infondali i sospetti sorli nell'O. sull'autenticità dei due pezzi.
382 G. CASTELLANI
tamente la figura si è trovato che nella sua il Cerbero cam-
mina da destra a sinistra, laddove nella Pelleriniana va tutto
all'opposto. In essa la testa giovanile e muliebre è in faccia
essa pure, ed è ornata d'un elmo, quando nella sua forse
non troppo ben conservata l'ornamento apparisce differente.
Viene egregiamente supplita la leggenda della sua Moneta
nella quale non ap[)arisce che la sola iniziale con queste AYP
le quali pienaniente giustificano la leggenda rimanendo per-
duto soltanto il I per ingiuria del tempo. Questa moneta è
pubblicata dal sig- Pellerin (0 nel Tomo I delle sue Medaglie
di Città e Popoli alla Tav. IX, n. 40 ; ed alla pagina 59
così ne parla : " La prima Medaglia di questa Tavola è di
Pisaurum Città dell'Umbria che sussiste ancora al giorno
d'oggi sotto il nome di Pesaro. Golzio ne ha pubblicata una
di questa città, che come questa rappresenia il singoiar tipo
del Cerbero, ma colla testa d'Ercole dall'altra parte. 11 Sig.
Ab. Olivieri in una lettera stampata ch'egli ha indirizzata al
Sig. Ab. Barihelemy fa menzione delle Medaglie Greche di
Pesaro, che Egli asserisce sommamente rare „. E questo è
quanto l'Autore Francese dice di questa Moneta. Perchè
Ella rimanga pitnamente soddisfatta intorno quest'argomento
io le unisco un abbozzo fatto con la maggior esattezza pos-
sibile della Moneta con pregarla a stendermene con la so-
lita sua dottrina la spiegazione facendo anche memoria della
moneta del Pellerin, e di quelle delle quali ma portate le
stampe nella sua lettera sopra le Monete italiche, ed in ri-
stretto formarmi tutto l'articolo su l'antica moneta Pesarese
che io a Dio piacendo pubblicherò entro la mia Disserta-
zione, tal quale Ella lo scriverà ed in suo nome.
Passando alle monete moderne, vengo assicurato da un
Amico di aver veduto in Roma un Paolo di Guidobaldo II
con la Rovere coronata, e le lettere Gtii. Uhaldus Urbini
Dux; e dall'altra parte due figure con le parole S. VBALDVS
S. ANTONIVS PROJECT. Non portando detta moneta il nome
della Zecca, conviene tuttavolta crt-dere che sia di Pesaro
(i) Recueil de Médailhs de. Pfìiples et de Villes qui n'ont pomi encore
été puhliées un qui sotti pcu connues, tome premier. Paris, H. L. Guerin
erò non venne data la riproduzione della moneta della quale non
si hanno altre notizie.
(2) Ffrlitti venivano chiamate a Bologna le tessere, cfr. Z. Ili, 433.
Il quattrino con S. Antonio e l'anno 1578 si trova fra le incerte, ivi,
460, tav. XXIV, n. 34.
(3) Per la moneta con S. Martino e la scopetta vedi lettera n. 63 e
relativa nota.
384 G. CASTEILANI
Raccolta delle sue Medaglie pag. 2 tav. I num. 2, e di cui
le accludo lo schizzo, ed al numero 3 riprodusse in rame la
prima pubblicata da Lei nel Tomo 2 dell'Accademia di Cor-
tona (i). Nella nota alla detta Medaglia parla a lungo sopra
essa e riferisce i sentimenti del Marchese Maffei, del Pas-
seri, e suo, che gli fu anni sono communicato per esteso dal
nostro Sig. Biancani come lo stesso mi assicura; però abbia
la bontà di farne fra le sue carte la ricerca non essendo di
piccol mole, e da essersi agevolmente smarrito, quando poi
noi rinvenisse prontamente ne sarà di nuovo servita. Allo
schizzo della moneta Sannitica di Pellerin stimo a proposito
l'aggiungerne un a'tro pubblicato dallo stesso nel suo terzo
supplemento alla suddetta raccolta pag. 78 tav. 3 numero 2 (2).
Siccome egli è affine sì di tipo, che d'argomento alle mo-
nete Sannitiche pubblicate nella sua prima dissertazione
sopra esse N. Ili e IV così stimo a proposito che l'ab-
bia sott' occhio per sua regola. Sopra questa moneta fa
egli le seguenti osservazioni. Vi scorge la X nota del
denaro Romano, che comunemente si trova sopra le monete
Consolari, ch'essa loro rassomiglia per la forma per la ma-
teria e per il peso, quantunque ne sia diversa la fabbrica
che è molto rozza, inoltre non è credibile che la sia stata
battuta in Roma, giacché questa Città a quei giorni non ha
giammai battuta moneta colla leggenda Italia. Crede egli
pertanto di poter assicurare ch'essa sia stala battuta dai Po-
poli che sotto il comun nome à! Italici si ribellarono contro
i Romani nell'anno 668 di Roma e si unirono insieme per
far loro guerra che fu chiamata guerra sociale (sin ora non
dice nulla di nuovo giacché questo è l' istesso sentimento
deirAvercampio(3> nelle Medaglie incerte del Morelli pag. 458).
Soggiugne che questi ribelli s'adunarono all'esempio della
Capitale nella ciità Corfinium capo dei Peligni in una specie
(i) Stcond Suppléinent aux Six Volumes de Recueils, etc. Paris, De-
lalour, MDCCLXVI, in-4.
(2) Troisième Supfììiment, etc. Paris, Delatour, MDCCl XVII, in-4.
(3) T/iesnurus Moreìlinniis, swe .... Numistnala conquisila . . . a
celeberrimo Andrka Mokellio, eie. iiluslravit Sigebertus Haveroampus,
Arastelaedami, J. Wetstenium et G. Smith, MDCCN XXIV, in-lol., tomi a.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI ^5
di Consiglio, o Senato composto dei deputati di tutte le
Città confederate ; e che ivi otto capi dei principali popoli
giurassero d'osservare esattamente i trattati d'alleanza in una
singoiar maniera, rappresentata nelle monete da Lei recate
al n. 3 e 4 della sua prima dissertazione sopra due Monete
Sannitiche, e dal Morelli nella prima tavola delle incerte
let. e e d. Queste Monete crede egli che abbiano moltissima
analogia con la sua ora per la prima volta pubblicata non
solo per la loro fabbrica, ma ancora per la testa di donna
che vi è rappresentata con la leggenda ITALIA. La differenza
riguarda soltanto il rovescio in cui gli ribelli han fatto scol-
pire l'immagine e il nome dell'Italia in quella guisa che i
Romani mettevano assai spesso la figura di Roma e il suo
nome sopra le monete d'argento. Se i medesimi ribelli vi
hanno fatto mettere la X ciò fu per indicarne il valore poi-
ché essendo accostumati prima della loro congiura a non
servirsi d'altra moneta che della Romana vollero proseguire
con detto uso. Riguardo alla lettera C che si trova sul ro-
vescio crede egli che la moneta sia stata battuta nella Città
di Corfinium la quale vi avrà espresso il suo nome con la
lettera C che ne è l'iniziale. Questo è quanto osserva il Pel-
lerin sopra l'ultima moneta dello schizzo. Se a Lei occorre-
ranno altre notizie sì intorno a questa, che alla prima San-
nitica si degni accennarlo che ne .sarà subito servita. Non
ho mancato di fare ulteriori ricerche presso il Sig. Pelli Di-
rettore della Real Galleria di Firenze intorno alle due Mo-
nete rettangole delle quali a Lei comunicai i disegni. Mi ri-
sponde egli che in casa del Sig. Marchese Guadagni vi sono
alcuni di questi pezzi, ma che i suddetti non appartennero
mai a detto Signore il quale tiene sepolta la sua Galleria
assai pregevole, e che intorno a questi pezzi o Etruschi o
non Etruschi non pare certamente che vi sia dubbio di fal-
sità. Intanto anderò seriamente pensando se convenga o no
farne uso nella meditata dissertazione.
Bramerei ch'Ella m'illuminasse intorno all'Aquila che i
Sig. Sforza pongono nella loro arma. Il pezzo di disserta-
zione di Mons. Compagnoni su la Zecca Maceratese non
avrà luogo m questo tomo che forse è troppo cresciuto di
mole. Bensì si pubblicherà nel seguente premettendola alla
40
386 G. CASTELLANI
dissertazione del Sig. Ab. Tondini sopra le Monete di
quella Città.
In quest'oggi ho ricevuto un piego a Lei diretto pro-
veniente dal P. Affò, non mancherò di stare in pratica di
sollecita e sicura occasione per prontamente rimetterglielo.
M'onori de' pregiatissimi suoi comandi e mi creda quale con
profondissima stima mi glorio d'essere
Bologna, 31 Maggio 178J.
180. (CLXXX — 369).
Molto mi ha consolato la pregiatissima sua 18 corr, in
sentire che sia alquanto sollevato dai suoi incomodi, e gli
desidero, che sempre più si rimetta in salute. Ho differito
a scrivergli perchè avevo destinato di farle in persona i miei
ossequi in questo medesimo mese ; ma la gita che ho fatto
a Parma col Sig. Ab. Marini e P. Affò, ed i miei interessi,
me lo anno impedito, spero però che non succederà così nel
venturo anno.
La sua illustrazione delle tre Monete Pesaresi è già
stampata nel terzo Tomo, come le dissi; ma siccome l'ho
inserita in una generale Appendice di tutti tre i Tomi, così
non potrei farne tirare a parte alcun esemplare. In prova di
ciò le accludo una Tavola del detto Tomo dove sono state
intagliate, ma però mal stampata. Su il primo del venturo
al più tardi, spero di trasmetterle il Tomo medesimo unita-
mente alla sua Monetuccia, giacché non resta più a stam-
parsi che un foglio. La tardanza del medesimo è stato pure
un motivo di scrivergli, perchè speravo che da una setti-
mana all'altra fosse terminato. 11 P. Atfò prima di partire
lasciò in mie mani un pacchetto per lei, che dovrà ricevere
fra poco per averlo spedito al Sig. Borghesi acciò glielo
faccia avere.
Il P. Ab. Trombelli si è rimesso quasi del tutto dai
suoi ultimi incomodi, perchè sta lavorando sopra un Codice
della loro Libraria. Il Sig. Biancani esso pure sta bene, e
ieri l'altro mi richiese nuove di Lei, che le porterò in cam-
pagna il venturo sabato dove egli si trova ancora in villeg-
giatura.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 3B7
Col desiderio de' pregiatissimi suoi comandi me le pro-
testo d'essere
Bologna, 22 Ottobre 178}.
181. (CLXXXI — 371).
Giorni sono inviai al Sig. Battaglini di Rimini il terzo
tomo della mia Raccolta, che finalmente e uscito in luce,
acciocché glielo rimetta a mio nome. In esso troverà attac-
cato ai cartone, dentro una cartuccina la sua monetuccia,
che mi favorì per levarne il disegno, quale troverà intagliala
nell'Appendice con altra consimile di diverso conio. Sopra
di essa e di alcune altie monete Pesaresi ho creduto bene
di aggiugnervi alcune riflessioni, per venire in chiaro del
suo valore, eh' io sottometto ai suo saggio giudizio. Così
pure al 'a sua spiegazione del sigillo d'Orvieto vi troverà al-
cune note per maggior illustrazione della materia, secondo
il mio debole giudizio, e ciò ho fatto per proseguire il me-
todo intrapreso e non mai per altro fine. Ma non vorrei aver
passato i limiti del mio rispetto che nutro per la sua degna
Persona, eh' 10 venero e stimo assaissimo. Se mai ciò fosse
avvenuto, gliene chiedo scusa, e pronto sono ad emendare
ciò che non camminasse a dovere. Scusi se prima d'ora non
le ho scritto p>erchè le mie incombenze non lo anno per-
messo ne' giorni scorsi, com'era mio dovere, e perciò lo
faccio ora con augurarle un felicissimo principio d'anno con
una lunga serie di essi, colmi di tutte quelle felicità che può
desiderare.
In attenzione de' suoi riscontri unitamente a qualche suo
comando passo al solito a protestarmi
Bologna, 27 Dicembre l'jSj.
182. (CLXXXII - 374).
Rispondo al compitissimo suo foglio dei 3 corr. con rin-
graziarla vivamente delle cortesi sue espressioni verso di
me fatte. Io spero che nel rileggere che farà tanto le note,
che le aggiunte alle Monete Pesaresi fatte, non troverà cose
che le dovessero dispiacere. Tuttavolta se s' incontrasse in
388 G. CASTELLANI
qualche cosa che non camminasse a dovere pronto sono a
correggermi a qualunque suo cenno.
Preghi il Signore per il nostro P. Ab. Trombelli per
esser quest'oggi alle ore 17 passato all'altro mondo con in-
finito dispiacere di tutti. Ieri l'altro non aveva nulla essendo
andato fuori di casa a celebrar Messa, e ieri l'ascoltò nella
sua Chiesa. Essendogli sopraggiunto il catarro questa mat-
tina discorrendo è cessato di vivere. Questa Città e la sua
Religione anno perduto un gran Uomo, ed io ho perduto un
gran Padrone ed Amico quale voleva che tutte le feste fossi
da lui per avermi fatto Padrone del suo Museo e Libreria.
Mi dispiace di doverle recar una tale notizia, perchè sono
persuaso che le dispiacerà ; ma bisogna rassegnarsi al voler
supremo. Desidero sentire buone nuove di sua salute unita-
mente a qualche suo comando, mentre pieno di stima me
le protesto d'essere
Bologna, 7 del 1784.
183. (CLXXXIII - 375).
Le rendo infinite grazie per la bontà che ha avuto di
compatire quanto ho notato riguardo alle monete Pesaresi.
Sentirò volentieri il pe.so e la qualità dell'argento della Mo-
neta Pesarese ed Anconitana per farvi nuovo esame, ma non
dubito d'essermi ingannato (i). Riguardo al sigillo d'Orvieto
abbia la bontà di osservare quanto novamente ho esaminato
alla pag. 484 per vedere se ho colto nella spiegazione, per-
chè appunto di quanto ella mi scrive lo anno asserito gli
Eftemeridisti nel dare l'estratto della sua illustrazione. Io
spero d'esser riuscito nell'acquisto del superbo Medaglione
di Costanzo Sforza da Lei illustrato, perchè ultimamente mi
vien scritto da Modena, che mi sarà spedito per esser morto
il possessore, che ne richiedeva sei zecchini, ed essendo
passato in mano d'un mio amico questo me lo ha ceduto
(i) Si tratta della moneta descritta dall'O., tav. I. n. 1, che Io Z.
giudicò con piena ragione opera di un falsario trovando consenziente
in tale giudizio lo stesso O., cfr. Ili, pag. 484.
LETTERE DI GUIDO ANTOMIO ZANETTI 389
per tre zecchini. Il prezzo veramente è ancora assai gravoso,
ma la bellezza sua, la conservazione mi ha fatto fare Io
sproprio. Sotto il ponte vi si veggono le rondini nel nido e
nella Torre le luserte andar dentro i buchi tanto è fino il
lavoro, cose tutte che non si veggono nel getto a lei spe-
dito dal Bellini.
E con piena stima me le protesto d'essere
Bologna, 16 del 1784.
184. (CLXXXIV — 376).
La ringrazio vivamente dell'approvazione data per la
spiegazione del Sigillo d'Orvieto, perchè n'ero inquieto. La
nota moneta d'Ancona e Pesaro non occorre che la faccia
saggiare perchè andcrebbe a perdersi squagliandosi. La
faccia solo ritoccare nel paragone in confronto di altra mo-
neta consimile col nome di Sforzi perchè certamente sarà
d' inferior lega. Se poi la lega fosse eguale non lo sarà nel
peso. Di simili monete battute dai monetar] falsi ne abbiamo
più esempi nelle monete Consolari ed Imperiali.
La prego ad aversi riguardo nella presente critica sta-
gione. Io grazia Dio sto benissimo, ma non è cosi di mia
moglie, poiché trovasi negli estremi lo che mi dà un sommo
rammarico, come può figurarsi per essere stata un'ottima
compagnia, e che aveva ella tutta la cura della famiglia, e
perciò mi lasciava luogo di poter attendere ai geniali studi.
Non si sa per l'avvenire se sarà così per il peso che dovrò
caricarmi, e specialmente per l'educazione di cinque figli,
che mi lascia. Comunque sia convien rassegnarsi al volere
supremo.
E qui ansioso di sentire buone sue nuove me le pro-
testo d'essere con tutto l'ossequio
Bologna, ji del 1784.
185. (CLXXXV - 377).
In risposta al suo foglio 7 corrente le notifico con mio
sommo dispiacere la perdita della mia Consorte seguita il
giorno della Purificazione della B. V. lo non so che ripetere
39© G. CASTELLANI
ai voleri supremi, che così ha disposto, e perciò convien
rassegnarsi, e sperare che succederà quel provvedimento che
si richiede alle mie circostanze, giacché sono in possesso
della Provvidenza Divina per avermi beneficato soprabbon-
dantemente, ed in cose che non mi sarebbe mai passato per
mente di pensarvi. Anche il giorno stesso della morte fecemi
il Signore passare la giornata discretamente, perchè essendo
passato a pranzo da un Amico mi fece vedere varie mo-
nete, e me ne cedette varie, che mi mancavano, fra le quali
due dei Manfredi di Faenza, una delle quali inedita, della
qual Zecca niuna aveva nella mia Raccolta di tredicimila
Monete Italiane per essere rarissime.
Se vaglio a servirla mi comandi, mentre mi professo
d'essere
Bologna^ ii Febbraio 1784.
186. (CLXXXVI - 378).
Dall'Emo Sig. Cardinal Arcivescovo ho ricevuto il pac-
chetto con le sei copie della giunta fatta alla sua Opera
delle Antichità Cristiane (i) che pubblicò tre anni sono per di-
spensarle ai soggetti indicatimi, le quali saranno quanto
prima distribuite, giacché sono stato nelle scorse due feste
in campagna dal Sig. Biancani mio suocero. Per la copia a
me destinata vivamente la ringrazio, e molto più per la me-
moria che tiene di un suo debole servitore. Mi rallegro nello
stesso tempo del singolare acquisto fatto di detti vetri, e gli
desidero che ne faccia acquisto di altri per poterli illustrare,
come pure gli auguro salute e tempo acciò pubblicare le
altre Opere che tiene presso di sé Ms.
Forse le avrà fatto qualche specie l'aver io detto poc'anzi
essere il Sig. Biancani mio suocero e pure è così. Già le
scrissi sino nello scorso Febbraio la perdita fatta della mia
Consorte. In tale occasione avendomi il Sig. Biancani per
tratto di sua Amicizia rifugiato per alcuni giorni in quella
critica occasione, volle in seguito anche cedermi una delle
(i) Di alcune altre Antichità Cristiane conservate in Pesar u nel Museo
Olivieri. Pesaro, Gavelli, 1784, in-4.
LETIERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 39I
sue tre figlie per la necessità che avevo di riprender moglie,
stante le circostanze della mia famig-lia. e così d'amici siamo
divenuti parenti. Io poi sono contentissimo per essere una
giovine timorata di Dio ed adorna di quelle qualità che si
richieggono a una buona moglie, che in questi tempi sono
assai rare. Non gliel'ò prima partecipato com'era mio do-
vere, perchè speravo di poterglielo rappresentare a bocca,
pel desiderio che aveva di venirla a riverire in persona, lo
che non son fuor di speranza di farlo quest'altro mese in
occasione di fare un giretto per la Romagna. li tanto le rin-
novo le mie obbligazioni, e me le protesto con lutto l'os-
sequio d'essere
Bologna, 22 Settembre 1784.
187. (CLXXXVII - 384).
Essendomi stato consegnato sul fine della Settimana
scorsa un Pacchetto contenente vari esemplari delle Orazioni
funebri di alcuni soggetti della Casa Malatesta che hanno
signoreggiato in Pesaro ('), ne ho fatto prontamente la dispensa
ai soggetti indicati nella medesima, quali mi hanno incari-
cato di vivamente ringraziarla e promesso di dargliene ri-
scontro. Per le copie che si è voluto degnare aggiungerle
per me, delle quali ne ho fatto buon uso. Le rendo le più
vive grazie, e nello stesso tempo rallegrarmi per la illustra-
zione con la quale la ha accompagnata, che mette in chiaro
il dominio della medesima Famiglia nella lor città, colla
quale sempre più risulta la protonda erudizione nelle cose
Patrie. Desidero che altri monumenti rinvenga per sempre
più illustrare la storia della "medesima e pronto a servirla
dove mi conosce abile, colla maggior stima e rispetto me le
protesto d'essere
Bologna, 12 del ijSj.
188. (CLXXXVIIl - 385).
In risposta al pregiatissimo suo foglio dei i8 corr. le
dico di non aver mancato di fare le necessarie diligenze per
(I) Orazioni in morie di alcuni Signori di Pesaro della Casa Mai»-
testa. Pesaro, Gavelli, 1784, in-4.
392 G. CASTELLANI
rinvenire l'indicato Padre Servita acciò ritirare dal medesimo
l'involto pei P. Affò, ma non mi è riuscito per anche di ri-
trovarlo. Mi anno bensì risposto che doveva passare per
Bologna, ma che ha preso altra strada. Se ciò è vero si
prenderà il medesimo premura di farlo recapitare a Parma
da Verona. Per sua regola non sapendo che a Lui volesse
spedire copie della sua stampa, gliene mandai io una di
quelle che mi favorì. Tuttavolta se mi verrà alle mani il
detto involto non mancherò di prontamente servirla.
Lodo infinitamente in sentire che pensi a stampare qual-
che altra cosa relativa ad Alessandro Sforza, e desidero che
il Signore le conceda tempo e salute per potere proseguire
a pubblicare le molte altre notizie raccolte per sempre più
illustrare la storia Patria, giacché niuno lo può fare meglio
di Lei.
Se non fosse troppo ardire sarei a supplicare di una
grazia, ed è di farmi gettare in rame un esemplare di ognuno
degli Assi bislunghi che possiede, pronto a soccombere a
qualunque spesa che vi occorrerà. Quello che mi premerebbe
si è che riuscissero di egual peso degli originali. Sono già
in possesso delle sue grazie, così spero che non mi negherà
questa grazia. Lo stesso lo prego per le Medaglie antiche
Pesaresi. Mentre con tutta la stima me le protesto d'essere
Bologna, 26 del 178J.
189. (CLXXXIX — 386).
Fino ad ora non ho veduto l'involto consegnato a quel
P. Servita, e ne meno lo spero per ora di ricuperarlo, per-
chè dovrebb'essere ormai a Verona. Forse di colà lo farà
passare a Parma.
Posto ch'è propenso a favorirmi della copia in getto de'
suoi particolari assi Etruschi li faccia pur gettare in rame,
perchè a me basta d'averne una copia esatta de' medesimi.
Riguardo al peso se possono riuscire come gli originali
avrei piacere, quando no ò pensalo ad un ripiego. Potrebbe
dire al gettatore che procuiasse di farli venire un poco più
grossi calcando gli originali nell'arena, perché così può com-
pensare a detto peso levando poi colla lima quel di più che
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 3Q3
potessero riuscire. Intanto le avanzo i miei più distinti rin-
graziamenti per simile favore che mi è carissimo. E pronto
a qualunque suo comando, me le protesto d'essere
Bologna, j Febbraio Ij8j.
190. (CXC - 387).
Ieri consegnai ad un mio amico un involto a Lei diretto'
con due copie dei Trattato delle Monete Trevigiane, una
delle quali per lei, e l'altra per pregarle! a spedirla al Sig.
Canco Catalani di Fermo. Detta copia per Lei gliela spedisco
per ordine del degnissimo Autore Sig. Can. Avogaro di
Trivigi dai quale avrà riscontro. Il Libro come vedrà è fatto
con sommo studio e critica, e perciò mi dispiace, e son pen-
tito di avervi apposte alcune note che sono andato facendo
nel mentre che si stampava, con tutto che l'Autore le abbia
compatite (0. II fatto si è che in esse troverà pubblicati tre
singolari monumenti esistenti in questo Instituto, cioè due
pesi dei soldi d'oro del tempo d'Onorio, da' quali si rileva
qual fosse il peso della Libbra Romana ; ed il peso del
Marco stabilito da Carlo Magno fin ora inedito. Non le do-
vrebbe pure dispiacere le monete Longobarde a me note
che ivi ho pubblicate, e che attribuisco a Pavia perchè poco
o nulla si sapeva del loro sistema Monetario, e delle loro
monete. Se mai nel leggerla trovasse qualche sbaglio, e che
avesse qualche moneta da me non veduta, la supplico co-
municarmela per poterla unire all'Appendice che verrà nel
fine del Tomo, e nello stesso tempo darmi il suo saggio
giudizio, pronto essendo a correggere ciò che non cammi-
nasse a dovere.
Essendomi capitata una piccola stampa qui ultimamente
intagliata da un disegno di Simone Da Pesaro, mi sono preso
la libertà d'unirla alli sudetti due Libri, ma desiderarei di
poter trovare qualche cosa di migliore riguardo alla sua
Patria per poterle dimostrare il mio desiderio di servirla.
Con tutto suo comodo La supplico dei Getti degli Assi, di
(i) 11 Trattato si trova nel t. IV dello Z., pagg. 1-201. Le note ap-
postevi sono veramente di grande importanza.
50
394 G- CASTELLANI
cui la pregai, e che cortesemente mi diede speranza di fa-
vorirmi. Scusi del disturbo e mi comandi liberamente dove
posso servirla, mentre con la solita stima e rispetto me le
protesto d'essere
Bologna, 21 Maggio ijSj.
191. (CXCI — 392).
Intendo dall'ultima sua aver ricevuto il Trattato delle
Monete di Trivigi, e d'aver spedito al Sig. Canco Catalani
la sua copia con altre stampe per cui le rendo vive grazie.
Nella dedica del sudetto Trattato avrà veduto la Medaglia
che ho fatto fare al defunto P. Ab. Trombelli per eternare
dal canto mio la sua memoria, giacché nulla vi anno fatto
finora i loro Padri, Se mai desiderasse d'averne una copia
per collocarla nel suo studio, ben volontieri la servirò a qua-
lunque suo cenno. Avverta però che non è di conio, ma di
getto, perchè le mie forze non si estendono tant'oltre per
poter subire la spesa dell'incisione, benché l'avessi deside-
rato per dimostrare le obbligazioni che le dovevo. Così potrò
servirla anche di quella del nostro Emo Sig. Card. Arcive-
scovo che collocai nella dedica del terzo Tomo.
Di sommo rammarico mi è poi stata l'altra parte della
sua Lettera nella quale mi dice di trovarsi oppresso dal
male. Desidero che il Signore faccia che la villeggiatura le
giovi, e possi rimettersi in salute, come bramo di vero cuore.
Abbiasi tutto il riguardo possioile, lasciando il Tavolino acciò
l'aria di campagna le possa giovare.
In attenzione di riscontro unitamente a qualche suo co-
mando passo al solito a dichiararmi
Bologna, 6 Luglio l'jSj.
192. (CXCII - 393)-
Di sommo piacere mi é stato il pregiatissimo, e stima-
tissimo suo foglio dei 5 corr. per aver inteso nuove della
sua Persona perchè stavo in somma agitazione, e Io stesso
era anche il mio Suocero Signor Biancani. Ella si abbia
tutto il riguardo possibile, perchè la salute preme piij di
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 395
tutte le altre cose. Per quello di cui la pregai si prenda
tutto il comodo, e qualunque volta potrà verrà sempre in
tempo. Se vaglio a servirla mi comandi liberamente, mentre
con tutto l'ossequio me le protesto d'essere
Bologna, 9 Novembre I^&s.
193. (CXCIII - 394).
Dall'Emo Sig. Cardinale Arcivescovo mi fu passato l'altro
ieri l'involto con fé cinque copie delle sue Memorie di Ales-
sandro Sforza (i), le quali secondo il prescrittomi nel pregia-
tissimo suo foglio dei 26 dello scorso Novembre ho fatto
avere ai soggetti rispettivi, a riserva di quella del P. Affò
che per anche non mi è capitata occasione, ma forse l'avrò
lunedì venturo. Per la copia che si è degnata di assegnarmi
le rendo le più dovute grazie, e mi rallegro infinitamente
per le belle notizie che in essa vi sono illustrate per averle
prima lette tutte con mio sommo piacere. Queste certamente
invoglieranno la Repubblica Letteraria a vedere le altre dei
Signori che seguitano della Casa Sforza ; per lo che gli de-
sidero dal Signore sanità e vita per poterle pubblicare, figu-
randomi che ne abbia già raccolto i materiali necessari. Dal
sig. Co : Fantuzzi mi è stato passato per lei il Quarto tomo
della sua Opera degli Scrittori Bolognesi acciocché alla
prima occasione gliele trasmetti, del che ne vado in traccia.
Sempre disposto a servirla con tutto l'ossequio me le
protesto d'essere
Bologna, 4 Dicembre ijSj.
194. (CXCIV - 395).
Avendomi alcune settimane fa il sig. Co : Fantuzzi con-
segnato il suo Quarto Tomo degli Scrittori Bolognesi acciò
glielo spedisca, non essendoiii' capitata occasione favorevole,
che nel principio della corrente settimana di uno di questi
Mercanti che è partito per la fiera di Recanati al medesimo
r ho consegnato, così spero che se non lo ha avuto lo avrà
(i) Memorie dt Alessandro Sforza Signore di Pesaro. Ivi, Gavelli,
1785, in-4.
396 G. CASTELLANI
quanto prima. Ella è questa per me una occasione per ras-
segnarle la mia servitù, e per pregarla delle sue grazie, al-
lorché avrà comodo per i noti getti. E col desiderio di sen
tire buone nuove della sua Persona, passo con tutto l'osse-
quio a protestarmi
. Bologna, 11 del lySó.
195. (CXCV - 396).
In seguito del pregiatissimo suo foglio degli 11 corr.
non ho mancato di stare in ricerca del P. Maestro Bastoni
per ricuperare i due indicatomi involti per Modena e Parma.
Infatti lunedì mi riuscì di acquistarli, e spero al più tardi
che sabato venturo saranno in Modena. Mi dispiace al sommo
il sentire che non stia bene. Si abbia tutto il riguardo pos-
sibile, e speri nel Signore che lo assisterà. Le mie orazioni
poco possono giovare, tuttavolta non mancherò di porgere
suppliche al Sig. Iddio acciò possa rimettersi in salute, e le
dia pacienza nelle sue avversità. Mi continui la sua buona
grazia e mi creda quale con tutto l'ossequio mi protesto
d'essere
Bologna, 2S Febbraio ij86.
196. (CXCVI - 402).
Avendo ricevuto nell'ordinario scorso un foglio di Ap-
pendice all'ukima sua Opera pubblicata (i), e figurandomi pro-
veniente dalla solita sua gentilezza, gliene avanzo i miei più
vivi ringraziamenti, e mi rallegro nello stesso tempo del bel
documento scoperto. Le rinnovo le mie premure per le copie
degli Assi rettangoli, premendomi assai di averli. So che
le sarò inopportuno, ma so altresì quanto sia grande la sua
bontà, scusandomi, a motivo del genio che ho in simili cose.
Se mai le fo^^se più comodo di spedirmi per occasione si
cura gli originali, ne farei fare qui le copie, e glieli riman-
(i) Appendice alle Memorie di Alessandro Sforsa i6ignor di Pesaro
Wi, G avelli, 1786, in-4.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 397
derei a posta corrente. E col desiderio di sentire buone nuove
della sua salute passo a rassegnarmi quale me le protesto
d'essere con tutto l'ossequio
Bologna, j Aprile ijSó.
197. (CXCVII - 403).
In risposta al pregiatissimo suo foglio degli ii corr. le
rendo vivissime grazie per il singolare favore compartitomi
di farmi fare le copie dei suoi Assi rettangoli, e di spedir-
meli alla prima occasione. Sarà subito servito delle due Me-
daglie da me fatte fare all' Emo Giovanetti ed al defonto
P. Abb. Trombelii. ed alla prima occasione gliele trasmet-
terò. Esse però sono di getto, perchè non avendo le mie
forze potuto soccombere a farle fare di conio non ho potuto
fare di più. Con esse troverà l'altra di conio che feci fare al-
l'Emo Boncompagni, che porrà in serie con le altre, e se
potessi servirla di qualche altra basta che me ne dia un
cenno che ben volontieri lo farò per dimostrarle la stima, e
le obbligazioni che le professo. Non manco di pregare il Si-
gnore per le maggiori sue prosperità, ma temo che abbiano
poco effetto, perchè non vagliono nulla. Mi continui la sua
grazia e mi creda quale me le protesto d'essere
Bologna, ij Aprile ij86.
PS. Se mai le fosse riuscito di ritrovare qualche notizia
sopra la sua Zecca, mi farebbe sommo favore a comunicar-
mela per poterla inserire nell'Appendice al quarto Tomo,
che presto coraincierò a stampare. Le Medaglie le perver-
ranno da Savignano dove sono state spedite a Pasquale
Amati.
198. (CXCVIII — 404).
Mi dispiace assaissimo il sentire che per favorirmi della
copia delle Monete Rettangole sieno iiiiaste offese le loro
palme, per lo che non so indovinare la maniera con cui
l'artefice abbia ciò praticato. Ho avuta occasione anche l'altro
ieri di far fare una copia di due Piombati col Monogramma
di Cristo, e la patina non ha patito nulla, giacché altro non
39^ G. CASTELLANI
se gli fa che collocarli fra rai:ena per lasciarvi l'impressione.
Subito che avrò avuta la scattola non mancherò di dargliene
riscontro, e intanto le rendo vive grazie per simile favore.
Come pure le sono infinitamente tenuto per l'involto delle
sue carte attinenti alla sua Zecca, le quali osservate che
rabbia, non mancherò di rispedirgliele.
Per corredare il fragmento della dissertazione di Mons.
Compagnoni sulla Zecca Maceratese avevo pensato di pre-
metterlo all'intera dissertazione che aspetto dal Sig. Ab. Ton-
dini, per così un^ire tutto insieme con i tipi delle Monete.
Ma giacché desidera che sia pubblicato sarà servita fra poco.
Non avendo essa alcun frontispizio la prego dirmi come mi
devo regolare. Se credesse bene di scrivermi una Lettera
che mi dasse contezza di tutto, la premetterei alla medesima,
e perciò se trova un poco di tempo per stenderla mi farà
sommo piacere giacché Ella n'è di tutto informato. Stia di
buon animo e si faccia coraggio, e speri nel Signore che
l'assisterà. Per me non mancherò di porgere preghiere al-
l'Altissimo, ma le mie orazioni poco giovano, tuttavolta lo
farò volentieri, perchè troppo le professo obbligazioni delle
quali non mi scorderò mai. E col più profondo ossequio mi
protesto
Bologna, 22 Aprile 1786.
199. (CIC — 405).
Serve questa mia per accusarle la ricevuta della scat-
tola, e dell'involto trasmessomi, e ringraziarla infinitamente
per tal favore sì per gli uni che per le altre. Rimane solo
che mi dica qual sia il mio debito per poterla soddisfare,
non essendo giusto eh' Ella vi abbia da rimettere. I Cavi
degli Assi per essere in piombo sono andati tutti a male per
il moto del viaggio, lo che non sarebbe succeduto se l'ar-
tefice gli avesse gettati in metallo oltre che sarebbero riu-
sciti più eguali agli originali di quello sono venuti, ma vi
vuole pazienza e tenerli così. Osservate cht^ abbia le Carte,
e preso copia di quelle che possono servire per l'appendice,
sarà mia cura di ritornargliele acciò le possa riporre a suo
luogo. Mi figuro che abbia ricevuto le Medaglie che le in-
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 399
dicai con altra mia. In attenzione di nuove di sua salute uni-
tamente a qualche suo comando, mentre me le protesto
d'essere
Bologna, 29 Aprile ij86.
200. (CC — 410).
Compiegato nel compitissimo suo foglio dei 29 dello
scorso Aprile ho ricevuto la Lettera sua da premettere al
principio della Dissertazione delle Monete di Macerata del
fu Mons. Compagnoni, la quale va egregiamente, e perciò
gliene rendo vive grazie (^). Solo pecca di troppe lodi riguardo
alla mia persona, ch'io non merito; ma ciò riconosco effetto
della sua, bontà, e gentilezza, per cui me le protesto, e pro-
fesserò mille obbligazioni. Giacché così vuole la lascierò cor-
rere alla stampa e subito che sarà composta non mancherò
di dargliene avviso come mio dovere. E col desiderio di
sentire buone nuove di sua salute, unitamente a qualche suo
comando, con tutto l'ossequio me le protesto d'essere
Bologna, j Alaggio 17S6.
201. (CCI — 411).
Dal pregiatissimo suo foglio dei 9 corr. sento che abbia
ricevuto il pacchetto con le tre Medaglie trasmessogli, e mi
consolo che le abbia compatite, specialmente quella di conio
che feci qui pure formare. Per sua regola questa pure è
anche rara, perchè dopo coniatone poco numero, regalai al
Sig. Cardinale anche il conio, e chi l'ebbe in custodia lo la-
sciò andar a male. Per due motivi non gli ho indicato, né
gì' indicare il costò di dette Medaglie. 11 primo perché Ella
non ha voluto indicarmi la spesa fatta per le copie delle sue
monete rettangole. La seconda perchè le avevo fra le mie
duplicate, e così non ho speso nulla, perciò Ella le riponga
pure nella sua serie senza pensar altro. Anzi se queste non
bastano per compensar la spesa fatta per me, abbia la bontà
d'indicarmela che compenserò con altre Medaglie di suo
genio. E col desiderio de' suoi comandi, con tutta la stima
me le protesto d'essere
Bologna, ij Maggio ij86.
(i) Vedila in Z., t. IV, pag. 483.
400 G. CASTELLANI
202. (CCII 412).
La porzione della dissertazione della Zecca di Macerata
non è per anche stampata, ma succederà fra poco a motivo
che lo stampatore, secondo il suo solito, vi ha frapposto
altro lavoro. Subito che sarà terminata non mancherò di in-
viargliene una copia. Di essa ho pensato di farne tirare a
parte se non poche copie per essere imperfetta. Tuttavolta
se ne desiderasse più di quattro o sei copie me lo scrivi
che prontamente la servirò. Mi riesce nuovo che l'Ab. Ton-
dini non pensi più a terminare la dissertazione perchè ulti-
mamente mi scrisse, che aspettava i disegni per terminarla,
avendo già raccolto tutti i documenti, ed io glieli ho pro-
messi con la suddetta stampa.
Fa benissimo a portarsi in campagna perchè l'aria aperta
della sua doviziosa villeggiatura non gli può fare che bene,
e glielo desidero di vero cuore.
Avendo veduto che non ho più luogo di porre nell'ap-
pendice l'articolo delle aggiunte per esser molte, e perchè
il Tomo si è inoltrato assai, così non ho potuto ancora ter-
minare i suoi documenti favoritimi su la Zecca Pesarese ;
ma sbrigato dell'Indice, e rimesso da un incomodo d'occhi
sofferto per due settimane vedrò di farne lo spoglio totale,
per poterglieli rimandare. Intanto posso assicurarlo che non
c'è dubbio che si smarriscono. Se vaglio mi comandi, mentre
con tutta la stima me le protesto d'essere
Bologna, 21 Giugno ijSó.
203. (CCIII — 413).
Essendosi incominciata la stampa della porzio'ne della
dissertazione di Macerata, ed essendo mancante di fronti-
spizio gliene ho fatto uno del quale non son contento, così
glielo trascrivo acciò lo corregga, pregandola di pronta ri-
sposta per poter proseguire : Notìzie della Zecca di Macerata
di Monsignor Pompeo Compagnoni già Vescovo di Osimo
dirette al chiarissimo Cavaliere Sig. Annibale degli Abati
Olivieri Giordani.
Alle dette notizie unirò un interessantissimo documento
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 4OI
ultimamente comunicatomi, che mostra esser stata la Zecca
in detta Città fino nel 1338, che molto dovrebbe piacere ai
Maceratesi e a quello che farà la dissertazione, e con essa
terminerò il Tomo. Mi dia nello stesso tempo notizie di sua
salute, che desidero buone, e riverendola distintamente anche
da parte del P. Affò che qui si trova, me le protesto con
tutto l'ossequio d'essere
Bologna, 27 Agosto ijS6.
204. (CCIV - 418).
Non rilevando dal compitissimo suo foglio dei 29 dello
scorso Agosto alcuna difficoltà all' indicatogli frontispizio
della Zecca di Macerata farò che cammini così, e sperò che
quest'altra settimana sarà terminata la composizione, e così
in brieve di potergliela spedire stampata. Ciò veduto da*
Signori Maceratesi spero più facile ottenerne il compimento.
Essendo presentemente tutto intento a terminar l'Indice
per poter dar fuori il quarto Tomo, non ho potuto per anche
terminar la copia dei documenti relativi alla Zecca Pesarese
da Lei favoritimi. Ma terminato l'indice sudetto, che poco
pili mi resta, sarà la prima cosa ch'io farò per poterglieli
rimandare, perciò la supplico ad avere anche un poco di
sofferenza, assicurandola, che non v'è dubbio che si smar-
riscono e che terminati avrò tutta la premura di rispedirglieli.
Quando si sarà rimesso in Città mi sarà cara la copia
della lettera dell'ultimo Duca riguardante la Zecca loro, che
mi accenna aver scoperta. Il P. Affò è passato a Firenze,
ma deve ritornare quanto prima, e allora gli faiò i suoi
complimenti. Mentre con la solita stima me le protesto
d'essere
Bologna^ 2 Settembre ij86.
205. (CCV — 419).
In risposta al pregiatissimo suo foglio degli 11 corr. la
prego aversi riguardo e non porsi alcuna premura per rin-
venire quella Lettera indicatami, giacché verrà a proposito
quando s' incontrerà accidentalmente in essa. Gli altri Reca-
si
402 G. CASTELLANI
pili gli ho in parte copiati, così terminati che saranno non
mancherò di rimettergli con la maggior sollecitudine.
La porzione della dissertazione su la Zecca Maceratese
sono vari giorni che la tengo pronta, ma non mi è riuscito
di ritrovar occasione. Tardando qualche giorno gliela man-
derò col quarto tomo che dovrà uscire fra poco, non rima-
nendo a stamparsi che un foglio-
In altro ordinario le spedirò la notizia che mi ricerca,
non essendo stato possibile poter aver tempo di rinvenirla
per oggi. Al Sig. Biancani ho fatto i suoi cordiali saluti, che
ha graditi moltissimo e m'incarica di ringraziarla, e fargli i
suoi complimenti. Si trova da più mesi con un grave rafifred-
dore, ma lo lascia però applicare alla formazione dell'Indice
di una serie di Medaglie d'oro, greche e latine in N.° di 208,
ch'io ho ceduto all'Instituto nella scorsa settimana per at-
tendere solamente alle Monete d'Italia. Le avrei potute ven-
dere altrove con mio vantaggio, ma ho voluto preferire l'In-
stituto, anche per averle comode al bisogno. E con la do-
vuta stima, me le protesto d'essere
Bologna, ij Novembre iy86.
PS. Due copie della Dissertazione di Macerata in un
pacchetto le sarà recapitato quanto prima essendo partito
questa mattina.
206. (CCVI — 421).
In risposta alla gentilissima sua dei 12 corr. mi do l'onore
di dirle, che subito sarà arrivato il Sig. Card. Ranuzzi non
mancherò di far ricerca del sig. Canco Mancinforte per con-
segnarle il quarto tomo della mia Raccolta, ed unitamente
alla maggior parte de' documenti favoritimi su la Zecca Pe-
sarese, giacché non mi è stato possibile poterli terminar
tutti di trascriverli ; ma spero in brieve di farlo al più tardi
nelle prossime feste. Stia sicuro che non v'è dubbio che si
smarriscano, e che procurerò di rimetterglieli colla maggior
sollecitudine, acciò li possa unire agli altri e riporli in luogo
sicuro. Intanto le avanzo i miei più vivi ringraziamenti per
simile favore, per cui sarà mio dovere di rendergli giustizia,
LETTERE DI GUIDO ANTON» ZANETTI 4O3
come ho procurato di fare anche nella prefazione del sud-
detto quarto Tomo per tanti favori ricevuti. Mi figuro che
avrà osservato il bel documento che ho aggiunto alla dis-
sertazione di Mons. Compagnoni, il quale certamente era
ignoto ai Signori Maceratesi.
Approssimandosi la solennità del S. Natale, gli auguro
da! Signore tutte quelle felicità che può desiderare, mentre
con tutto l'ossequio me le protesto d'essere
Bologna, 16 Dicembre ij86.
207. (CCVII — 420).
Erano alcuni giorni da che ricevei il gentilissimo suo
foglio da che avevo terminato di fare le copie dei documenti
favoritimi, ma un piccolo incomodo che mi ha obbligato
guardar la Camera per due Settimane mi ha ritenuto di
procurare qualche occasione per ritornarglieli. Lunedì spero
di andar fuori di Casa, epperciò non mancherò di star in
ricerca per rispedirglieli, ma intanto le avanzo li miei più
vivi ringraziamenti. Purtroppo ho fatto delle riflessioni in-
torno al nuovo regolamento, perché non hanno servito che
ad amarigarmi l'animo per vedere che non anno servito a
nulla, con tutto che palese fosse il danno che si andava in-
contro, e che pur troppo si esperimenti a danno sì del Prin-
cipe che de' Sudditi. Ella è una materia che sempre si ma-
neggia da chi non l' intende, e perciò sempre si attiene al
peggio. Così conviene aver pacienza e prenderlo per un ca-
stigo supremo. Desidero di proseguire a sentire buone nuove
di sua salute, ed intanto si continui ad aversi riguardo, e a
mantenermi nella sua buona grazia, comandandomi dove va-
glio, mentre col solito rispetto me le protesto d'essere
Bologna, io Marzo ijSj.
208. (CCVIII - 426).
In seguito di quanto mi avvisò consegnai a Persona a
me nota 1* involto dei documenti favoritimi su la Zecca Pe-
sarese per trasmetterli ad Imola, così spero che a quest'ora
gli avrà ricevuti. Ad essi mi presi la libertà di unirvi un
404 G. CASTELLANI
tomo per il Sig. Can. Catalani di Fermo per pregarla a far-
glielo recapitare sperando che ci farà ad entrambi questo
favore. Intanto le rinnovo le mie più vive obbligazioni per
le notizie comunicatemi che mi sono state carissime, le quali
subito che potrò ordinare, ed inserire in uno dei Tomi della
mia Raccolta, non mancherò di rendergliene quella giustizia
che merita. Si abbia tutto il riguardo possibile per conser-
varsi, e mi comandi liberamente, mentre pieno di stima me
le protesto d'essere
Bologna^ 18 Aprile lySj.
209. (CCIX — 427).
Dalla pregiatissima sua 21 Corr. sento con piacere che
abbia ricevuto le Carte relative alla sua Zecca che le rimisi,
e che di nuovo la ringrazio. Come pmre le sono tenuto per
r incomodo avuto di fare avere al Sig. Canonico Catalani
il suo tomo.
I fogli scritti di sua mano sono le osservazioni da lei
fatte a mia requisizione sopra il Tomo I che mi servirono
poi per l'Appendice del Tomo III se non erro. Continui ad
aversi riguardo, speri nel Signore e poi non dubiti. Non
mancherò di pregare il Signore per Lei, ma le mie preghiere
gioveranno poco. Mi continui la sua grazia, e padronanza,
mentre con la solita stima me le protesto d'essere
Bologna, 25 Aprile ijSj.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI 405
CORREZIONI E AGGIUNTE
Prefazione, ies/o: Dalle cognizioni... — Uggì: Delle cognizioni...
, note: Giovanmi — l^ggi- Giovanni.
„ testo e note: Ai biografi dell'O. si aggiunga: Mamiani della
Rovere conte Giuseppe in Biografia degli Italiani illu-
stri, ecc., pubblicata per cura di E. Tipaldo. Venezia,
1837, in-8, voi. IV, 405-414, il quale dà una accurata bi-
bliografia delle opere edite e inedite dell'O. e un elenco
di quelli che parlarono di lui. In questa biografia e nel-
l'elogio del Marignoni. l'epigrafe sepolcrale dettata dal
Morcelli è riferita, come nel testo della Prefazione, con
la parola prosperitate invece di posterifati, che si trova ef-
fettivamente scolpita sul marmo, come ho potuto control-
lare di persona e come il senso esige.
Lettera n. 48, testo : corresse — ^'gsi •' corregge.
„ n. 48, testo : no prezentemente — l^ggi •' non presentemente.
„ n. 69, nota : Bendictum — leggi: Benedictum.
„ n. 102, testo: Madaglie — l^ggi • Medaglie.
„ n. 113, noia : ne -ne — l^ggi ' ne.
, n. 124, note : La notizia data dal Sanquintino al Borghesi e da
questo allo Schiassi non risulta esatta. Avevo già accennato
alla contraddizione esistente fra le diecimila e piii monete
di cui era composta la Collezione Zanetti e la piccola rac-
colta esistente nella Biblioteca Ambrosiana, Una lettera
cortese del Prefetto di questa, Sac. L Gramatica, mi assi-
cura che non havvi memoria del passaggio totale o parziale
del Museo Zanetti a quella istituzione. Forse la voce potè
aver origine dalla notizia pervenuta al Sanquintino del
deposito fatto nel 1832 della Raccolta Castiglioni destinata
al Municipio di Milano nel cui Museo oggi si trova.
Il comm. aw. Vittorio AUocatelli, amoroso e diligente
raccoglitore di libri e notizie numismatiche, mi comunica
con somma gentilezza le indicazioni di una rara stampa
esistente presso di lui, dalla quale risulta che la Collezione
Zanetti fu posta in vendita. Si tratta di un opuscolo in-8 piccolo
di 16 pagine, non numerate le due prime, la quarta e l'ultima:
questa, la seconda e la quarta sono bianche. La prima porta
406 G. CASTELLANI
per titolo : Catalogo | di Varie Monete | d'Italia — Bologna \
lygj. La terza contiene questa notizia : " Il Signor Guido
" Zanetti celebre nostro Monetografo dopo avere pubblicati
" colle stampe di Lelio dalla Volpe cinque applauditissimi
" volumi di una nuova raccolta di Monete d'Italia in se-
" guito dell'illustre opera dell' Argelati, sorpreso da morte,
" ha lasciato una serie numerosa di varie Monete uscite in
" vari tempi da moltissime Zecche Italiane. Questa raccolta
" è sommamente pregevole, e attissima ad illustrare la
" Storia de' tempi bassi, e delle più cospicue Famiglie che
" si sono distinte in questi secoli. Essa viene esibita a' Si-
" gnori dilettanti di un tal genere di studi a prezzo discreto,
" come pure una ragguardevole raccolta di Storie d'Italia.
" Chi ne volesse fare acquisto può dirigersi all'ornatissimo
" nostro Concittadino Signor Domenico Venturoli amore-
" vole Custode della predetta Raccolta „. Nelle restanti
pagine, numerate da 5 a 15, sono segnate le varie Zecche,
la qualità e il numero delle Monete e la somtna totale.
Questa ascende a 8548 pezzi, non sono quindi più le dieci-
mila della lettera n. 124, né le tredicimila della lettera n. 185.
Le monete d'oro sono : 9 di Benevento, loi di Bologna,
4 di Camerino, 3 di Correggio, 8 di Ferrara, 50 di Firenze,
19 di Genova, 11 di l-ucca, 8 di Mantova, 22 di Milano,
io di Modena, 14 di Parma, 4 di Pavia, 130 di Roma, 6
dì Savoia, 6 di Savona, 26 di Sicilia, io di Siena, 5 di
Urbino, 15 di Venezia, in tutto 461. Di Bologna oltre le loi
d'oro, ne aveva 375 di argento e 418 di rame e lega, ossia
più delle 800 menzionate nella lettera n. 67.
Ho creduto bene riferire queste notizie nella speranza
che possano invogliare altri a fare ulteriori ricerche sulla
sorte toccata alla preziosa raccolta la quale non è total-
mente da escludersi possa essere per la maggior parte
finita nel crogiolo, secondo la voce corrente a Bologna ri-
ferita dal Borghesi, data sopra tutto l'epoca oltre ogni dire
sfavorevole alla conservazione di rilevanti quantità d'oro
e d'argento monetato.
Lettera n. 135, nota : Campagnoni — i^SS* '• Compagnoni.
LETTERE DI GUiTX) ANTONIO ZANETTI
407
Indiee Repertorio dei nomi e delle eose più notabili
La lettera P rimanda alla Prefazione, la « . alle note. Va alle Corre-
zioni o Aggiunte, il numero arabico a quello d'ordine delle' Lettere.
Sono omessi i nomi Olivieri e Zanetti.
Accademia. Etnisca di Cortona, P
e «, 179 — Pesarese, 55, 108 «:
Medaglia, 32 e « — di Roma, 69.
Adriano card. Castelli o Ca«;tel
lense, 65 e n, 68.
Affò p. Ireneo. 135, 136, 137, 138,
143, 143, 166, 179, 180, 188, 193,
203, 204.
Aldrovandi Ulisse, 8. Medaglia, ii'i.
Alidosio card. Francesco, 113.
Allocatelli Vittorio, a.
Amaduzzi Gio. Cristoforo, 131 n.
Amati Pasquale, 197.
Ancona, 67, 135 n. Monete, 107, 183
e n, 184.
An«elucci di Macerata, 100.
Antonioli Michele, P «, 158, 159,
165.
Anzia gente, moneta col cognome
Restio, P.
Archivio, del Collegio di Spagna in
Bologna, 39, 70 - di Fano, 135 n
— di Foligno, 43 — di Gubbio,
3 — di Or\'ieto^ 147, 151, 153,
157 — Senese, 144 n — Vaticano
di Roma, 48 //, 147 e «.
Argklati Filippo, a n, 5, 9, io,
II «, 15. 29 n, 32, 34, 37, 39, 44,
70, 89, a.
Armano Alfredo, 25 », 113 n, 124 n.
Armandi corriere, 156.
Arpi, moneta antica, 176.
Arrigoni Onorio, P n, 175, l^6.
Ateneo Pesarese, P, 144 «, 151 n.
AVERCAMPIO O HaVERCAMPUS Sigi-
sberto, 179.
A\'iGNOrfE Gaetano, 113 n.
AvoGARO Rambaldo degli Azzom,
190.
Babelon Emesto, 168 w.
Baiocchi e mezzi, 27, 58, 124 n.
Balbi Scipione, 168.
Bandi card. Gian Carlo, P. 159.
Barthélemy Gian Giacomo, P e «
(passim), 168, 169, 174, 175, 178.
Baruffaldi Girolamo, no.
Bastoni P. Maestro, 195.
Battaguni conte Francesco. 181.
Bayers, 177.
Bellati Francesco, P n.
Bellini Vincenzo, P «, i, 2 «, 3,
7, 13, 27, 29 e «, 30, 32, 37, 39,
45, 67, 72 e n, 80, 151, 174, 183.
Lettere all'Olivieri, 148 n.
Belluzzi Teresa in Olivieri, 16 «.
Belvederi Petronio, 38.
Benevento, monete di, 41, 61, 69 e
«r 77, 135. «■
Bentivoglio Giovanni II, 116. Mo-
neta, 113.
BiANCAM, V. Tozzi- Bianconi.
4o8
G. CASTELLANI
Bianchi Alessandro, 71.
Bianconi Giambattista, 17, 170.
Biblioteca : Albani di Roma, 147,
151 ; Ambrosiana di Milano, P e
«, a; Braidense di Milano, P e
« (passim)) del Collegio di Spagna
a Bologna, 38 ; Comunale di Bo-
logna, P n ; Corvisieri, 135 n ;
Garampi, 73 « ; Hercolani di Bo-
logna, 108 n ; dell' Istituto di Bo-
logna, 55, 84, 108, 123, 135, 148;
Marciana di Venezia, P n ; Oli-
veriana di Pesaro. P e « (pas-
sim)', di Rimini, 73 «; di S. Sal-
vatore di Bologna. 14 w, 180.
182; Vaticana di Roma, 73 n.
Bigi Quirino, P n.
BiONDELLi Bernardino, P e «.
Boari 49 e n, 50, 51, 52 n, 53.
BoccAFERRi o BoccADiFERRo Gran
Priore, 13. 39, 56, 70. 84, 89. 90.
91, 100, 104, 105, 135.
Bologna, tutte le lettere sono da-
tate da; 19, 42, 50, 51, 57, 58,
70» 72, 73. 107. 131, 142, 158 «,
172, 173. 177, 188. a. Monete, l.
16. 67 e n, 96, gg e n, a. Museo
Civico, 102 «, 113 n. Zecca 117.
V. Archivio, Biblioteca, Monete,
Raccolta.
BoNAMiNi Domenico, 55.
BoNCOMPAGNi card. Ignazio, 117. Me-
daglia, 197, 201.
Borghesi Bartolomeo, 124 n, a. Rac-
colta, 109 «, a.
Borghesi Pietro, 44, 174, 180.
Borgia Cesare detto il duca Fa-
leniino, P, 79.
Borgia card. Stefano, 41, 42 e n,
61. 67, 69 e «, 76, 77, 78, 158 e
n, 177.
Bourguet Luigi, P.
BouTERoufi Claudio, 174.
Bovio senatore Bolognese, 87.
Bozzolo, monete, 135, 143.
Brisighella, 135 n.
Buoi casa Marchionale de', 135,
139, 140-
Buonarroti Filippo, 169, 170.
Cabrospino, 113, 116.
Caccianemici Tommaso o Tomma-
sino, 131, 132, 133.
Califfino Ugone, 153, 154.
Calpurnia gente, asse, 173, 174.
Cambiasi famiglia genovese, 140 e«.
Camerino, monete, 98, a.
Cantarini Simone, 190.
Caprara P. Abbate, 123.
Capua, monete antiche, P, 12 «.
Carisia gente, denaro, 174.
Carli-Rubbi Gian Rinaldo, il, 49,
52, 56, 57, 58, 186.
Carlo Magno, 107, 190.
Carradori conte Giuseppe, 45.
Carta Francesco, P n.
Castiglione delle Stiviere, monete,
135-
Catalani Michele, P, loi, 120, 121,
122, 123, 124, 125, 127. 135. 154.
158, 166, 190, 191, 208, 209.
Caucich R. a., 61 n.
Caylus Anna Claudio Filippo de
Tubiéres, conte di, 173.
Celli Luigi, 48 n.
Cesena, 125. V. Ripostigli. — Cese-
nati, 89, 90.
Ciani Giorgio, 129 «.
Cicogkara Leopoldo, 113 n.
Cinagli Angelo, 158 n.
Cingoli, 87, 162.
Clemente Vii, 151. . *
Clemente XIV, 16 e n.
Colli notaio bolognese, 103.
CoLUCCi Giuseppe, P e «^ 135 ».
Compagnoni Floriani Pietro Paolo,
75, 80; sue lettere all'Olivieri,
76 n.
Compagnoni Pompeo, P, 67, 71 n,
73 ^ "» 74, 97, 'oo, loi "» 120,
135 e «, 136, 167, 179, 198, 200,
203^ ao6.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI
409
Corfiniam, 179.
CoRNARo Flaminio, medaglia, 32 u.
Correggio, 141, 158, 159. 165. Monete.
P n, a. Zecca, 159.
Cortona, 41, V. Accademia. \
CoTANELLo padre da (nome burle- '
SCO di G. B. Passeri), P.
Dalla Volpe Lelio, 19, 6a «, ioDATi Domenico, P «.
DioNisi Gian Giacomo. 128, 129, 140
1 )iPLOVATAZio Tommaso, 38, 48, 55-
Ducalo, di Carlini. 16 n ; ducale di
Urbino, 46 ; romano. 46.
Ducato d'oro, di Leone X. 79 e «,
83; doppio di Pio II, 69 «, 76,
83; quadruplo di Paolo li, 83 ti.
DUTENS Luigi, 170.
EcKEL Giuseppe, P e «.
Effemeridi e Effemeridisti di Roma,
P» 76. 77i 78 n, 89. 94 e «. 158
;;, 183.
Enzola Gian Francesco, 109. 148.
149 e n.
Erodoto. i68. 171, 172.
Eusebio s.. 171.
Ezzelino. 129, 140.
Fabriano, monete, 41.
Faenza, 135 n. Monete, P, 41, 69.
107, 113, 1x8, 119. 122, 185.
Fano, 135 n, 146. V. Archivio. —
Fanese. 79.
Kantuzzi conte Giovanni, P e n,
38, 70. 119, 124 e n, 125. 135, 138.
142. 143. I49. 171. 193. 194.
Fattorini Gaspare. 19, 58, 69.
Ferlini curiale bolognese, 105.
Fermo, loi e n. Monete, 121. 123,
123, 124, 127, 135, 154. Zecca,
120, 123, 124, 166.
Ferrara, 27. 19 e «, 51, 53, 58, 136.
137. 158, 159 Monete, 7, 154, a.
Museo dell' Università. P «.
Ferri Girolamo, 65 e n, 69. 70, 73 n.
Ferri notaio bolognese, 93
FicORONi Francesco. 173 e n.
F1DONE re D'Argo, 168 e n.
Fioravanti Benedetto, 79.
Fiorino, 16 m, 48 e m ; d'oro, 40, 65,
69, 70, 107.
Firenze, 70, ia8. 131, 171, 204. Mo-
nete, a.
Foligno, monete, 41, 43, 44, 61, 69,
76, 79 e «, 80. 83 e n, 119. 144,
151. Zecca. 74, 75. V. Archivio.
Forlì, monete, 107, 119. 123.
Forme da fondere monete, 173 e n.
FoRRER L., 32 n.
Fossoabrone. 31. 168 n.
Franchi Agostino, 32 u.
Frati Luigi, P «.
FrlgBaao. 131.
Frontino, 17I
Galassi P. Priore, 85. 87, 88.
Garampi card. Giuseppe, P, 16, 18.
37. 38, 65, 66, 68, 69, 70. 71. 72.
73 e «. 82 e «. 83. 85. 86. 87. 88.
100, 113, 115. 117, 118, 124. 129.
136, 153. 154, 157, 158, 159, 165;
sue lettere all'Olivieri, 16 n, 73 n.
V. Biblioteca.
Garrucci P. Raffaele, P n.
Ga velli tipografo pesarese. 62 n.
Gentili Lucantonio. 55.
Ghirardacci Clierubino, 131. 133.
GiANANTONi protomedico in Ur-
bino, 75.
Giordani Gaetano, 108 m. 113 «. —
Luigi, 45-
Giovanetti card. Andrea. 136, 141,
150, 151, 157, 186, 193; medaglia,
191, 197.
M
4io
G. CASTELLANI
GiULio 11. 22 e ;/. ti6. 151; meda-
glia, 113 en, 116; monete, i. 144
e n, 145, 146.
GiusKPPK il imperatore. 86 e n, 88.
Gnecchi Ercole. 107 n ; sua Rac-
colta. 2 w ; e Francesco. 124 n,
164 ;;.
Gonzaga. Elisabetta, 44: medaglia.
25 e « ; 26 e ;/ ; — Luigi detto
Rodomonte. 142; — Vespasiano,
I42. V. Monete.
GoRi Anton Francesco. P e «, 55, 169.
Gradara, P «, 84 e it, 97.
Gradenigo Giacomo, 76, 80, 81; —
Jacopo vesc. di Ceneda, 25. 76.
Gramatica L. a.
Grassi dottore, 8, 17.
Qrossi ; Ferentini, 165 ; di Loze-
sano (?). 165; di Giovanni Sforza,
103.
Guadagni marchese di Firenze,
177 ;;, 179 e n.
Guarnacci Mario. 169. 175.
GuARNiERi Ottoni conte Aurelio.
loi e n.
Guastalla, monete. 131, 135. 136, 143.
Gubbio, I, 85. 173 n. Moneta an-
tica. P e «, 14. Monete, i. 3. io,
28, 44, 46, 64, 65, 76, 77. 78 «,
85, 89. Pianta della città, 58.
V. Archivio, Piccoli, Quattrini.
Guicciardini Francesco, 14.
Iesi, 135 n.
Imola, 17, 39. V. Ripostigli.
Intagliatovi in rame, 58. V. Panfxlj.
KuNz Carlo, 63 n.
Lamine d'argento, 171, 172, 174.
Lampridio, 173 n.
Lanzi Luigi, P e «, 177.
Lastra nummana, 173.
Lazzarini Giovanni Andrea, P e n,
16 «, 108 e ti.
Lazzarini di Macerata, 127.
Legnago, 25 m.
Leone X, 164 ;/.; Monete, 1,32, 79,
83, 104.
Leonori marchese, 126, 127.
Libra; d'argento, 117 — d'oro, 80
— romana, 190.
Lira; bolognese. 99 « — mezza di
Pesaro, 41 n.
Lisini Alessandro, 144 //.
LoRENziNi. 91, 92, 93. 94, 100, 102.
105.
Loreto, 16, 17 n, 68, 69, 138, 139.
Lucca, 49; monete, a.
LucHTo o LucK Gio. Giacomo. 47.
Luppi Costantino, P e «
Luzio Alessandro, 25 «.
Macerata, 126, 135 n; Moncu-, 4 ,
44, 66, 67, 71 e «, 80, 99, lao,
135, 136. Zecca, 42, 66, 71 e v,
80, 99, 100, loi, 167, 179, 198.
200, 202, 203, 204, 205, 206.
Machirelli conte Vincenzo, 141
Maffei Scipione, P «, 55, 179.
M ÀGiSTRi o De Magistris Si n ione, 49.
Malaguzzi- Valeri Francesco, 67 ».
Malatesta di Pesaro. 46, 55, 162,
187 e n. Monete, 13, 19, 29 n, 32,
128 — Battista, V. Montefeltro.
— Pandolfo, I9.
Malatesta di Rimini, monete, 19
— Carlo, monete, 4. — Sigi-
smondo, monete, 4.
Malta, monete antiche, P.
Malvezzi monsignore, 65, 66.
Mamiani della Rovere Giuseppe, a.
Mancinforte canonico, 206.
Mancini Luigi, X64 n.
Manenti cronista di Orvieto, 147.
Manfredi Astorgio li, monete, i
«, 4.
Manni Domenico Maria, 32, 37 e «.
Mantova, 25 w, 49. 166. Monete, a.
Zecca, 155.
Marca. 27 ; zecca, 66, 67 e w.
Marc/te di sterlini, 157.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZAXETII
411
Marchi H. Pielro, P n.
Marco di Carlo Magno, 190.
Marcolini Camillo, 48 «.
Marcolini card. Marcantonio, 129 «•
Marignoni Fortunato, P e «.
Marini Gaetano, 4 «, idi m, 127,
143 n, 147 e H, 156 >i, 180.
Mariotti Annibale, loi «
Martin monsignore, -o.
Martino IV, 151.
Martino V, 112 e n.
Martinori Eiio.irdo, 73 n, 144 >/.
Martorelxi Giacomo, 169.
Mattjh cc'iì. Alessand: \ 158.
Mazzoni Carlo, 138, 139, 140.
Mazzuchelli Giovai. n Mhm , no.
Medaglie, P, 7, 8. 47, 97, 102, ilo
— della Casa Riaria, 1 19 — Pe-
sarcs", disegni e incisiuii', 18, 21,
24, 25, 42, 59, 60, 62 e «, 64. 66.
V. Accaiiemut Ffsarese, AlUro
vandi, Boncotnpagni, Cornaro,
Giovannetti, Giulio H, Gonzaga
Elisabetta, Montefeltro, Ordelaffi,
Pesaro, Pio VI, Ouerini, della Ro-
vere, .Senigallia, Sforza Alessan
dro, Camilla, Costanzo I, Faustina,
Giovanni, Tozzi- Biancani, Tram-
belli.
Medaglisti, V. Enzoia , Franchi,
Romano.
Medici, Arnia. 131 — Lorenzo duca
di Urbino, 22, 24 e «, 25 ; mo-
nete, 22, 25.
Melchiokki Domenico, 40, 52, 57.
Mkngozzi Giovanni. P, 41,43,69/»,
74, 75. 76. 79 e n, 80, 83 e n, 86,
88, 101, 127.
Messerano, ni :itta, 151 e «,
Metaureose provincia, io n.
Milani Luigi Adrian'-, 176 n.
Milano, monete, a. V. Biblioteca.
Misure di Pesaro, 47 e «
Modena, 70, 106, 109, 118, 129. 130,
143, 148, 151 e n, 160, 183. 105.
Modenesi, 131. Monete, 131, a.
Moneta: origine, 168 e « — da X
grossi, 46 — da 18 sedicine, 131
e « — de' Fiorentini, 79 — Man-
tovana pessima, 58 — paparina,
73 « — Pavese, 113
Monete : corso, 7 — peso, ivi — pic-
cole varietà, 12 e m — regola-
mento, 25, 207 - sregolamento,
117 — studio. 124 — valore, 7,
II, 27.
Monete a. tiche: fuse e conult, 171,
172 — gravi, P — quadrilatere,
P, 171. 172. 174, 176 e «. 177 e «.
188, 189, 196. 197, 198, 199 — della
Repubblica Romana, V. Anzia,
Lalpurnia, Ca risia. — V. Arpi,
Capita., Gubbio, Multa, Pesaro,
Ravenna, Rimini, Sannio, Todi,
Volterra.
.Monete medioevali : Fiorentine, 37,
70 — di Genova, a — dei Gon-
zaga, 166 — d'Italia, a — Lon-
gobarde, 190 — Pontificie, 16,
73 **, 85» "8, 158 — di Savoia,
rt — di Savona, a — di Sicilia, a
— di Siena, a — Trivigiane, 190.
— V. Ancona., Benevento, Bolo-
gna, Bozzolo, Camerino, Casti-
glione delle Stiviere, Correggio,
Fabriano, Faenza, Fermo, Fer-
rara, Firenze, Foligno, Forlì, Gua-
stalla, Gubbio. Lucca, Mncrmta.
Mantova, Messerano, Milano, Mo-
dena, Novellara, Parma, Pali i-
montu di S. Pietro, Pavia, Pesaro,
Pompoiiesco, Ravenna, Roma,
Sabbioneta, Senigallia, Treviso,
Urbino, Venezia, Verona. — V.
anche : Bentivoglio, Giulio li.
Leone X. Mnlatesta di Pesaro e
di Rimili', Manfredi, Medici, Mon-
tefeltro, Pio VI, della Rovere.
Sforza.
.Monete: denominazioni. Augustali,
107 — Bianco. 151 — Bisanzi o
Disanti, 107 — Bolognini, 99 « —
412
G. CASTELLANI
Costantinati, 107 — Bucatone, 2
— Ferlino, 178 e « — Michelati,
107 — Piastra, 131 n — Roma-
nati, 107 — Soldino, 45, 46 —
Soldo, 107, 190 — Stateri, 172 —
Tallero, 2 — Zecchini, 58, 158.
— V. Baiocchi, Denaro, Ducato,
Fiorino, Grosso, Lira, Paolo, Pic-
coli, Quattrini, Scudo, Sesini.
Monete: Raccolte e Raccoglitori di
monete e medaglie. Conte Avo-
gadro di Biella, 131 n — Casti-
glioni Ottavio, a — Granduca di
Toscana, 2 n, 12, 128, 129, 176,
^77» 179 — Lanna Adalberto,
109 n — Museo di S. Salvatore
di Bologna, 173 n — Museo del-
l'Università di Bologna, 102 n —
Museo Britannico, 177 n — Mu-
seo Municipale di Milano, a —
(Jlivicri, 103 n, 166 n — Sartoni
Federico di Rimini, 83 « — Va-
ticano, 144 n — Zanetti G. A.,
42, 77, 85, 124 e «, 185, a. — V.
Ateneo Pesarese, Bologna Museo,
Borghesi Bartolomeo, Gnecchi Er-
cole , Fapadopoli , Savorgnan ,
Ta 3 zi- Biancani.
Monete, Santi sulle : Antonio, 178
— Crescentinn, 3 — Decenzio,
P, 162 e n, 163 — Feliciano, 79 n
— Giacomo e Giovanni, i, 2, 48
— Giovanni Evangelista, 48 —
Girolamo, 128 — Martino, 636 n,
178 e « — Mercuriale, 107 — Mi-
chele Arcangelo, 2 e n — Paolo,
127, 128 — Terenzio, 29 n, 31 —
Ubaldo, 178.
Monete, tipi : Aquila, 169, 178 —
Caduceo, 176, 177 11 — Cerbero,
P, 170 «, 178, 179 — Cignale,
176 — Elefante, 176, 177 n —
Ercole, 178 — Fulmine, 28, 29,
30, 31 — Italia, 179 — Presepio,
2, 104 — Quercia o cerqua, 28,
30, 31 - Roma, 179 — Rovere,
178 — Scopetta, 178 — Scrofa,
177 n — Sileno, 169 — Tridente,
176, 177 n — Vaso, 48 e n, 178.
Monogramma di Cristo, 198.
MoNTEFANi avvocato, 55, 57, 59, J42.
VIONTEFELTRO, famiglia di, I, IO —
Antonio,' moneta, 2 e «, 3, 4,
112 e n, — Battista, 161 e n —
Guido Antonio, moneta, 2 e «,
112 e n 116 — Guido Ubaldo I,
3, 4; medaglia, 61 e n, 164 n ;
moneta. 47 — Oddo Antonio, 2,
V. Gonzaga Elisabetta.
Monti Gaetano, 129, 132, 133, 135,
136, 140, 142.
MoRCELLi Stefano, P, a.
MoRHLLi Andrea, 179.
Muratori Achille, 92, 93.
Muratori Lodovico Antonio, 7, 24,
25, 29, 30, 32, 37, 107, 115, 144.
Muratori Pier Luigi, 93, 94, 102.
Nabuccodonosorre fra (pseudonimo
dell'Olivieri), P e «.
Novellara, monete, 135.
Novelle letterarie di Firenze, P, 65,
69 w.
Novilara, 118 e n.
Odorici Gaspare Luigi, idi ».
Olio, privativa dell', 52, 53.
Orazio, 172 e n, 174.
Ordelaffi Francesco, medaglia,
149.
Oretti Marcello, 108 e «, ili, 112.
Orvieto: cronaca, 144; sigillo della
zecca, P, 144 e «, 145, 148, 149,
150, 151 e n, 152, 154, 155, 156,
158 e n, 181, 183, 184; zecca,
146, 147. Ì50. ^5h 153. 155. 157.
158, 163. V. Archivio, Denaro.
Osimo, 66, 71 «, 74, 76 «, 108, 203.
Ovidio, 172.
Oxford, 168 e n.
Padova, 86 n.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI
413
Pagniot Gian Francesco, 79, 82.
Panfilj Pio, 58 «.
Pantanelli Sebastiano, P.
Paolo, 13, 37, 57, 58. 59, 67, 68,
13', 151-
Papadopoli Nicolò, raccolta di mo-
nete, 41 n, 197 «, 162 «.
Parma, 119 e «. i2'\ 130, 143. 160.
180, 188, 189, 195; duca di, 159;
monete, 131. a.
Passeri Ciacca Francesco Save-
rio, 79.
Passeri Gio Battista, P e « (pas-
sim), 16 «, 103, 128, 134 e n, I41.
166 e ». 169, 171. 174. 175. 176.
179.
Patrimonio di S. Pietro, monete e
zecca, 155, 157, 158.
Pavia, monete, 190, a.
Peu-erin Giuseppe. 78, 178, 179.
Pelli Gaetano, 129. 176, 179.
Perini Quintilio, 129 «.
Perugia, zecca, idi e n.
Peruzzi Agostino, 135 n.
Pesaro, P (passim), io /;, 22 n, 31,
48 e n, 54, 55, 57, 71, 93, 107,
no. III. 113. 114. 116, 117, 125,
164. Battistero, 108. Contado, 123
n. — Figline o figuline, 143 e n.
Fortezza o Ròcca. 25. 41 n. Meda-
glie, P, 14.18,21,24. 44. Monete
antiche, P, 14, 29, 34, 170 e n, 171,
175' ^76 177» '78> 179,188. Monete,
P, I. 2, 5, 6, 7, 8, 9, IO, 14, 15, 29,
30, 32, 44, 4.S, 55, 65, 80, 83, loi,
loj, 127, 128. 129, 131, 132, 134,
136, 139, 164. 180, 181, 182. 183
e n, 184, 197. Piauia della città,
P, 2 «, 21, 22, 33, 6a. Ponte,
109. Porto, P. 62 it, IDI, 102,
103. Zecca antica, 14 ; medio-
evale e moderna, P, 12 e n, 13,
48, 55, 103 u. 132. 162. 164 n, ig-],
198, 202, 204. 205, 206, 208, 209.
— X. Accademia, Ateneo, Biblio-
teca, Lira, Misure, Monete, Pic-
coli, Raccolte di. Quattrini, Scudo
d'oro. Soldino.
Petronio, 171, 172, 174.
Piccoli; di Foligno, 80 ; di Gubbio,
3; di Pesaro. 162, 164.
Pio vi. 89, 90, 91, 92, 93, 94, 95.
158, 161 « ; Medaglie. 89, 90, 158
e «, 159 ; Monete, 158 e «, 159 ;
Quattrini, 124 n.
Pisa, 49.
Plinio, 176.
Plinti d'oro, 171, 173, 173.
PoLiDORi Carcarasi Lìvìo, P, 153
e «, 155. 156, 158, 163; sua let-
tera all'Olivieri, 153 n.
Pomponesco, monete, 135.
Pobrena Corriere, 148.
Predieri Giandomenico, 75, 83.
PRoms Vincenzo, 164 «.
Quattrini, 13, 19 e n, 27, 28, 29, 30.
31, 46, 48 e «, 58, 77, 79 e «, 81 ,
117, 124 «, 144 f n, 145, 146, 163.
178 ; politi, 103 e n.
Querini card. Angelo Maria, P, 55,
Medaglia, 33 n.
Raccolta (Zalogeriana, P (passim), 55.
Raffaelli Filippo, 67 n.
Ranuzzi cardinale, ao6.
Ravenna; moneta antica, 175. 176,
monete, 107 ; Soc. Letteraria, 55,
Recanati, 194.
Renier Rodolfo, 25 n.
Renzim Salvatore, P n.
Reposati Rinaldo, P e «, i e n, 2,
3, 4 **, 5, 6, 7, 9 e n, io e «, 12,
13, H e n, 15, 16, i7, 18, 19, 21,
23, 25, 26, 31, 33, 34, 36, 42, 44,
46, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 55. 56,
I 57. 58. 61 e n, 62. 63, 66, 71, 731
I 84, 85, 89, 122, 173 n.
Rl\kio Ottaviano, 107.
RÌBlni, 73 n, 119; moneta antica,
P, 84 n. V. Biblioteca.
414
G. CASTELLANI
Ripostigli di monete a Cesena,
Imola e S. Lorenzo in Campo, P.
Rocchi Francesco, 124 «.
Roma, 83, 8J, 94, 116, 118, 143, 147.
179; monete, 67, 70, a ; zecca, 58,
173. V. Accademiiìy Archivio, Bi-
blioteca.
Romagna, 73 /?, 186.
Romano Gian Cnsloluru, 25 n.
Rovere, Famiglia della, i, io — Fc
derico Giuseppe Ubaldo, 30, 31,
79 — Francesco Maria I, P, i.
14, 22 e //, 23, 25 «, 28 e «, 31,
46, 113, 114, 115. 116; Medaglia,
47 ; moneta, 48, I04 - France-
sco Maria li, 13 e «, 14, 28 e n,
29, 31; monete, 13, 14, 28, ,0,
48, 104 e «, 178 — Guido Ubai
do li, 48 e n, 164 1/; Medaglia,
P, 2 //, 61 e « ; iiìunele. 14, 29
e M, 30, 48, 63, 178 - Livia, 14.
Rubini Gio. Giacomo, 55.
Sabbioneta, monete, 135, 143.
Sadarghi Giuseppe, 154.
Salvioni Gio. Battista, 99 n.
Samhieri Gio. Battista, 72.
Saiiiiio, monete antiche, P, 55, 79
Sanquintino Giulio Corderò di,
124 n, a.
Santoni Milziade, 67 n.
Sartoni co. Federieo, 84. V. Ma
nete, Raccolte.
Sassatklli conte, 16 n.
Savignano, 44, 164, 197.
Savioli senatore Bolognese, 131,
132, 136, 139, 140, 142.
Savorgnano P. Urbano, 102 e // ;
Raccolta di monete, 103, 104.
Scaligeri di Verona, 140.
ScAKSELLi cavaliere, 95.
ScHiASSi Giuseppe Maffeo, 124 h, n.
Scilla Saverio, 79.
ScnwEiizEK Fcdciico, 144 «.
Srutto; d'argento, 48,- d'oro, P,
2 M, 13 e «, 14, 23, 53; ducale
di Urbino, 46, 48; romano, 46,
48, 58.
Secreti Causidico, 93.
Seneca, 172, 174.
Senigallia, 31, 135 n, 161 ; Meda-
glia, 61 e n, 164 n; monete, 164 tt;
Zecca, I, 164 n.
Serafini Camillo, 144 «, 158 «.
Sesini, 58, 117; mezzi, 31.
Sforza : 107, 193 ; aquila nello
stemma, 179, 193; monete, 184
— Alessandro, 188, 193, 196 n;
medaglia, P ; monete, 32, 148
— Camilla, medaglia, 25 ; ino
nete, 32, 37, 79, 162 — Caterina,
moneta, 107 e n — Costanzo I,
medaglie, F, 20, 21, 24, 25, 4I e
H, 109 e «, no, III, 112,- 129,
148, 150, 151 e rt, 152, 183; mo
netf, 29, 32, 76, 79, 80, 81, 128,
149, 164 — Costanzo li, 39; luo-
neie, 128, i2g«, 132, 136, I62 —
Faustina, medaglia, 124 e // —
Galeazzo, 39, 162 — Giovanni,
116; mcdagli. , 24; munete, 4, 32,
41 «, 103, 128, 136, 149, 162.
V. Gròssi.
Sigilli, 102. — V. Orvieto.
Sorbelli Albano, P n.
Sperlingio Ottone, 168, 169, 171,
172, 174.
Spoleto, '77"; zecca. 101 e «.
Spon Giacomo, P «.
Stato Pontificio, circolazione e si-
sterna monetario, P, 27 e «, 58
e «, 124 e II, 2> 7.
Stosch Filippo, 177, 179 «.
Targioni-Tozzetti Giovanni, 37,
40. 79
Tàzzi-Biancani Giacomo, 5, 7 v //.
33. 39, 70, 73. 77. 78. 84, 89, io i,
103, 112, 123. I2S. 134, 135. i4;-5.
145 e «, 146, 154, 179. 180, 186,
192, 205; Medaglia, 7 h; Rac-
colta di monete, 121.
LETTERE DI GUIDO ANTONIO ZANETTI
415
Terenzio s., 103 e >/, 178.
Terremoto, 134.
TiPAUK) Emilio, a.
TiRABoscHi Girolamo. 70, 106. iii,
118.
Todi, moneta fintica, P e «. 169,
170, 171, 172.
Tondini Gio. Battista, 135. 136. 164
e n, 167, 179, 198. 202. Sun let-
tera all'Olivieri, 135 n.
Tonini Carlo, 73 n.
Torino, 131.
Trebellio PoLLiONE, 173 e n.
Trento, 97, loi. Zecca, 97
Treviso, monete, 190, 191.
Trombelli P. Cristoforo, 14. 21, 31,
32, 3.3. 61, 65, 66, 70, 73, 77, 83,
84, 101, 107, 108, 135, 146, 151,
152, 174 180, 182. Medaglia, 191,
197.
UOOLINI Filippo. 48 «.
Urbano IV, 144
Urbino, 4 «, 25 «. 31, 48 n. 75, 144;
Ducato, 140 n; Duchi, 122, 168;
Stato, I, 9, IO, 48; Comi e Duchi,
monete, P. i, 2, 4, 44, 45, 46, 76,
81, 139, 140. 177, 178, a; mono-
gramma su moneta, i, 2, 3, 4 e
//, 112 «j fi. — Zecc.n, 12 //. 22.
48, 112, 116, 136.
Vaccaj Giulio, P «, 151 n.
Varano Alfonso, 148 //.
Varrone Terenzio. 176.
Venezia, 56, 86 w; Monete, n; Zec-
ca, 145. — V. Biblioteca.
Venturoli Domenico, a.
Venuti Ridolfino, P n.
Vergi Giambattista, 140.
Vermigligli Giambattista, n>i n.
Vernazza Giuseppe, 131 ».
Verona, monete, 128, 129 «, 140 .
n, 188, 189; Zecca, 129 e n.
Vettori Pietro, 70.
Vienna, 129, 158. 159.
Viterbo, 146.
VrrERBo Ettore. P n.
Volterra, moneta grave, P e «.
WiNCKELMANN Gio. Gioacchino, 170.
Zaccaria P. Francesco Antonio, 49.
Zacconi P. Agostino, 29.
Zanetti, dott. Giuseppe, 4 — Pel-
legrino, 68 — Padre Servita, 97,
98, 114, 115. ia6.
Zara, 81.
Zauu Giacomo, i ».
Zecca, anche sicla, 157 — V. Bo-
logna, Correggio, Fermo, Foligno.
Macernln, Mantova^ Marca, Or-
vieto, Patrimonio di S. Pietro,
Perugia, Pesaro, Roma, Senigal-
lia, Spoleto, Trento, Urbino, l^e-
nesia. Verona.
Zecche: antichissime, 166; d'Italia,
70 e «, 132, a; pontificie, 116, 117.
Zblada card. Francesco Saverio.
44 e n, 89, 90, 91, 92, 93, 95.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI
Bollettino del Circolo Napoletano. Serie I. n. i. Napoli, lu-
glio, 1916.
Il primo fascicolo di questo periodico, di cui nel numero
precedente della Rivista annunciavamo la prossima pubbli-
cazione, ha faito teste la sua comparsa nel mondo numi-
smatico. Questo primo saggio, ci affrettiamo a dirlo, è quale
si poteva attenderlo dagli egregi numismatici ghe hanno
dato vita a quel sodalizio, sotto la guida e la direzione di
quell'intrepido e infaticabile condottiero che è il cav. Memmo
Cagiati che, giova ripeterlo, fu l'anima del risorgimento nu-
mismatico delle Provincie meridionali; la vera .favilla che ri-
destò la sacra fiamma di tali studi in quelle terre, ove l'in-
gegno naturale abbonda forse più che in qualunque altra
d'Italia e non ha bisogno che d'essere destata.
Il nuovo Bollettino del Circolo Napoletano, col suo primo
numero, ha già preso il suo posto in prima linea fra tutte
le pubblicazioni congeneri.
Schiva dalle frasi rimbombanti e dalle facili, grandiose
promesse, la Direzione si limita a poche e modeste parole
di proemio, ed ecco quale è il compito ch'essa intende di
assumersi : * aprire un solco e seminar un bene, riassumere
cioè, illustrare, e porre in luce, specie con svariata rassegna
di documenti, la monetazione antica, medioevale e moderna
delle regioni meridionali d' Italia ,.
Seguono quindi quattro interessanti lavori di numisma-
tica e uno di medaglistica, e sono i seguenti :
Aggiunte e rettifiche alle monete normanne battute nel
regno delle Due Sicilie.
In questa prima parte del suo importante lavoro il
eh- prof. Luigi dell' Erba tratta delle monete coniate, spe-
sa
41 B BIBLIOGRAFIA
cialmente a Salerno, dai duchi normanni. Dopo di avere in
breve sintesi accennato ai vari autori che si occuparono
dell'argomento, dal Fusco e dallo Spinelli, all'Engel, al Fo-
resio ed ai Sambon, padre e figlio, il eh. A. rettifica alcuni
errori di attribuzione e non poche inesattezze incorse nelle
loro opere, e aggiunge alcune monete inedite o varianti,
occupandosi di preferenza di quelle che presentano speciali
segni di zecca. È un lavoro utilissimo per gli studiosi di
questa monetazione, che è una delle più incerte e difficili per
i dubbi che tuttora sussistono circa la classificazione di molte
fra quelle monete.
Spigolature d' Archivio. — Sulle monete di bronzo o rame
di Filippo IV. — Sulla data 1818 delle monete napoletane.
Il cav. B. Cosentini tratta qui due questioni riguar-
danti la coniazione di monete napoletane. La prima accenna
alle varie opinioni circa le monete di rame di Filippo IV,
se cioè quelle monete furono coniate a martello o a mezzo
di macchine o per fusione. Con documenti d'archivio il eh. A.
arriva alla conclusione che per quelle monete furono impie-
gati, secondo le occasioni, i tre sistemi.
L'altra questione riflette la data 1818 sulle monete di
Ferdinando I Borbone. L'A. prova, con un documento, che
dal 1818 fino all'aprile 1822 la zecca di Napoli continuò a
coniare le monete d'oro e d'argento di Ferdinando I col mil-
lesimo 1818, dal quale anno datava l'emanazione della legge
monetaria del Regno. In aggiunta a questa notizia l'A. fa
osservare che durante il periodo borbonico la zecca di Na-
poli usava sovente fare la riconiazione di monete dei sovrani
passati e anche di monete estere, e dà il disegno di una piastra
di Ferdinando I, riconiata su di un pezzo da lire dieci venete.
Le monete dette Giustine di Ferdinando 1 e Ferdinando li
d* Aragona.
È un interessante studio dell'egregio Carlo Prota sulle
monete dette Giustine dalla leggenda del rovescio : IVSTITIA
E(5/) FORTITVDO MEA. La coniazione di quelle monete fu
iniziata da Ferdinando I d'Aragona nel 1459, ed ebbe ter-
mine sotto Ferdinando II nel 1496, nella quale epoca esse
furono abolite e ritirate, perchè il loro valore era superiore
al pregio del metallo. Il lavoro è corredato da documenti.
RIBLIOGRATIA 4I9
Le monete o medaglie italiane di ostentazione ed una
prova inedita per Vasto.
L'Autore, il cav. L. Gioppi, riunisce in questo lavoro tutte
le monete fatte coniare in altre officine, specialmente estere,
da alcuni Signori e Pi incipi italiani, per mera ambizione e
per ostentazione di potere.
Esse abbracciano l'epoca dal 1704 al 1794. come se si
trattasse di moda, aggiunge l'A., e rappresentano i feudi di
Belgiojoso, Belmonte, Castiglione dei Pepoli, Orciano, Porcta,
Retegno, San Giorgio, Soragna, Ventimiglta e Vasto.
Riguardo alla zecca di Castiglione dei Pepoli, l'A. af-
ferma che manca qualsiasi indicazione numismatica o sfra-
gistica. Qui Egli fu tratto in inganno da una duplicità di
nomi. I numismatici conoscono da tempo le monete dei conti
Pepoli. Esse furono pubblicate da V. Promis nel 1881, ma
sotto il vecchio nome di Castiglioue dei Gatti (0, che così si
chiamò quel feudo fino a circa trent'anni fa, e sotto questa
denominazione, a cominciare dalle Tavole Sinottiche del
Promis, figura quasi sempre nelle liste delle zecche ita-
liane, compresa quella pubblicata nel 1906 in questa Ri-
vista (2), Anche nel Catalogo della collezione E, Gnecchi del
1902, vediamo figurare (3) sotto il nome di Castiglione dei
Gatti uno scudo d'oro di Ercole e Cornelio Pepoli.
Quanto ai tre pezzi d'argento coniati da Tomaso Obizzo
per il suo feudo di Orciano, oltreché essere postumi, perchè
battuti quando egli non possedeva più quel feudo, e per il
loro tipo e per il genere del rovescio, anziché monete, si
devono ritenere medaglie. Quei pezzi non furono coniati
nella zecca di Vienna, come la maggior parte delle monete
di ostentazione, ma in quella di Firenze, ed é conosciuto
anche il nome dell'incisore.
In seguito alle monete del marchese del Vasto, l'A.
pubblica due inedite prove, una in metallo bianco, l'altra m
(i) Promis Vincenzo, Sulle monete di Castiglione dei Gatti. Torino,
1881, in-8.
(2) E. Gnecchi, Appunti di Numismatica Italiana. XX. Le zecche ita-
liane medioevali e moderne {Rivista ilal. di nutn., X906, pagg. «39-242).
(3) I.» Parte, pag. 50, lav. VI, n. 974.
4aO BIBLIOGRAFIA
Ottone. Quei due pezzi, identici nel tipo e nelle dimensioni,
secondo l'A., sarebbero prove dello zecchino o del quarto
di scudo.
Regine e Principesse di Napoli nella medaglistica.
In quest'ultitno lavoro, che chiude la serie degli articoli
del Bollettino, il eh. A., sig. E. Ricciardi, riunisce una col-
lana di IO medaglie coniate in onore di altrettante Regine e
Principesse di Napoli, che comprendono l'epoca dal 1768 al
1861. Di ognuna di esse l'A. dà il disegno, la diligente
descrizione del diritto e del rovescio, più un piccolo cenno
storico.
Agli studi di numismatica il Bollettino fa seguire nume-
rose Note Bibliografiche e un Notiziario.
La Direzione della Rivista Numismatica^ congratulandosi
sinceramente col Bollettino del Circolo Napoletano per il
modo veramente splendido col quale esso ha iniziato le sue
pubblicazioni, dà il benvenuto all'egregio confratello e gli
augura di cuore tutta la prosperità che si merita.
La Direzione.
Carusi (Enrico). Lettere inedite di Gaetano Marini. i.° Let-
tere a Guid* Antonio Zanetti. Roma, 19 16.
Questo volumetto fa parte di una serie di pubblicazioni
che, sotto la denominazione generale di Studi e Testi, ven-
gono fatte per cura della Biblioteca Vaticana, allo scopo di
far conoscere operette, documenti e .autografi inediti da essa
posseduti.
Il volume, compilato dall'egr. Enrico Carusi, scrittore
della Biblioteca Vaticana, contiene 60 lettere di Gaetano Ma-
rini, l'erudito bibliotecario della Vaticana a Guid'Antonio
Zanetti. Queste lettere hanno uno speciale interesse per i
numismatici, abbracciando gli anni dal 1777 al 1790, ossia
l'epoca in cui lo Zanetti attendeva alla pubblicazione della
sua grandiosa opera sulle zecche italiane (i).
Lo Zanetti, infervorato nel suo lavoro, ad ogni momento
(i) Nuova Raccolta delle inonetr e zecche d'Itali;!. Bologna, IT]S'
1789; cinque volunii in-4 con tavole.
BIBLIOGRAFIA 49i{
tempestava il suo amico Marini per aver nuove notizie sulle
varie zecche che stava studiando. Il Marini, coi tesori pos-
seduti dalla Vaticana, poteva quasi sempre accontentare
l'amico, e cosi vediamo che successivamente gli manda libri,
documenti, contratti di zecca, tariffe monetarie, bolle ponti-
ficie sulle zecche di Foligno, Fermo, Benevento, Macerata,
Rimini, Recanati, Aqtiileia, Viterbo, Fano, Massa Lombarda,
Castro, Peugia, Parma, ecc., ecc., e ne riceve in contrac-
cambio vino, rosolio e salati. Lo Zanetti, del resto, si ri-
cordò sempre dei favori ottenuti dall'amico bibliotecario, e
in vari punti della sua opera ne ha fatto un doveroso cenno.
Colle ultime lettere il Marini manda all'amico dei docu-
menti sulle zecche di Messerano e di Montanaro. Di queste
zecche non vi è traccia nell'opera dello Zanetti. Se ne tro-
verà probabilmente fra i numerosi suoi manoscritti che da
tanto tempo giacciano inediti e dimenticati e che forse presto
vedranno la luce.
Nella lettera n. 46 si fa parola della Zecca di Parma,
pubblicata dall'Affò, e inclusa nel V volume dell'opera dello
Zanetti. Vediamo da questo cenno che lo Zanetti non si era
limitato a pubblicare il lavoro dell'Affò, ma vi aveva effica-
cemente collaborato.
Un altro interesse ci offre la lettura di queste lettere
nei numerosi cenni biografici e bibliografici di pressoché
tutti gli scrittori di numismatica di quell'epoca. Ci passano
sovente in rassegna i nomi dell'abate /. Affò, del conte Bat-
taglini, del card. Zelada, del card. N. Antonelli, del cardi-
nale Garampi, di mons. Borgia, del conte Avogadro, di
Vincenzo Bellini, dell'ab. Oderico, dell'ab. Zaccaria, di Giorgio
Zoega, di Jacopo Taggi-Biancani, ecc., ecc., con giudizi sulle
loro opere, sul loro valore.
Scorrendo queste lettere vediamo poi quanto fosse al-
lora diffusa la passione per le raccolte, e quanto fossero ri-
cercati i libri di numismatica e specialmente le nuove pub-
blicazioni. Ad ogni pie sospinto si parla di spedizioni, di
proposte, di scambi di tali opere.
Tutto questo complesso, insomma, di chiacchere. fra i
due amici ci dipingono al vivo, come in uno specchio, il
movimento numismatico di quell'epoca, specialmente* per
4^2 BIBLIOGRAFIA
quanto riguarda le monete di zecche italiane, che allora co-
minciavano ad essere seriamente studiale, mentre gli scrit-
tori del secolo antecedente si erano quasi esclusivamente
occupati di numismatica classica.
Un plauso sincero va tributato alla direzione della Bi-
blioteca Vaticana per la pubblicazione di questi interessanti
carteggi inediti e noi facciamo voti che molte altre Biblio-
teche ne seguano l'esempio.
E. G.
Archivio Storico del Sannio Alifano e contrade limitrofe.
Rivista quadrimestrale. — Maddaloni, 1916, anno I, n. i.
Questa nuova " Rivista scientifica „, pubblicata sotto gli
auspici dell'Associazione Storica di Piedimonte d'Alife, deve
la sua origine all'iniziativa del prof. cav. Raffaello Marrocco
locale ispettore onorario di monumenti e scavi, il quale seppe
trasfondere ne' suoi conterranei il proprio amore delle anti-
chità patrie, aprendo così una nuova fonte di studi storici,
archeologici e numismatici.
Sono appunto questi ultimi che ci offrono^ l'opportunità
o, meglio, ci impongono il dovere, di annunciare ai nostri
lettori il nuovo periodico, al quale auguriamo una lunga
vita prospera e feconda.
Ma non è solamente l'eventualità di qualche argomento
numismatico che ci fa segnalare la nuova pubblicazione. In
esso la Numismatica assume un interesse affatto speciale,
una interpretazione nuova e si mette in posizione di scoprire
nuovi orizzonti.
L'Associazione storica di Piedimonte d'Alife, inaugurando
nello scorso gennaio la sua costituzione, affidava all'illustre
prof. dott. Posteraro, addetto al Gabinetto Numismatico del
Museo di Napoli e che in quell'epoca si trovava sotto le
armi in Piedimonte, al comando di una compagnia del 40."
Fanteria, l'incarico di una conferenza per la solenne occasione.
Quella conferenza che ha per argomento, Origini cT Ali fé,
Simbolismo delle sue tradizioni e della sua moneta, venne
difatti tenuta il giorno 9 gennaio scorso ed è riprodotta in
BIBLIOGRAFIA 423
testa al primo numero deWArchivio stesso. E in essa, l'au-
tore espone un programma. Prendendo come punto di par-
tenza le poche monete d'Alife, l'autore si presenta quale
araldo di una nuova interpretazione scientifica della mitologia
in genere e delle numerosissime espressioni di questa nella
lunga serie di monete coniate nella Magna Grecia e in Sicilia.
La nuova scuola vorrebbe interpretare la Mitologia in
modo scientifico, vedervi cioè qualche cosa di simile oppure
un sostituto alla chimica moderna, per la scienza delle me-
tamorfosi e delle trasformazioni e per la spiegazit)ne poetica
delio svolgimento dei fenomeni naturali.
Il nuovo punto di vista può riuscire più o meno accetto
agli studiosi ; ma in ogni caso è degno di considerazione e
certo provocherà delle discussioni. Gli è per questo che,
non potendo essere rinchiuso nell'angusto spazio di una re-
censione — nella quale mancherebbe poi il contradditorio —
la Direzione della Rivista ha creduto opportuno, previa per-
missione degli autori, di pubblicare in questo numero (i) la
Prolusione del Posteraro e, insieme a questa, altro articolo
del Marrocco sulla " Monetazione Alifana „ apparso lo scorso
anno nel 2,° numero della Rivista del Sannto. Questa può
essere l'inaugurazione di una sene di pubblicazioni mitolo-
gico-numisniatiche, le quali faranno più largamente conoscere
le nuove teorie, aprendo così il campo ad una eventuale di-
scussione fra gli studiosi della numismatica greca.
Era giusto che dall'Italia Meridionale, l'antica madre
della più splendida sene di monete , dovesse venire il
soffio di vita, che dopo tanti secoli, le rianimasse. È quella
la patria naturale della nuova scuola, che si assume l' in-
carico di rivendicare all'Italia lo studio e l'interpretazione
delle nostre ricchezze artistico-numismatiche, sotto una luce
più vera, più calda e più viva di quanto non abbia fatto
finora la cultura straniera, che quasi se n'era appropriato il
monopolio.
La Direzione.
(i) Vedi pag. 299 a pag. 320.
4^4 BIBLIOGRAFIA
Herrera (Adolfo). Et Duro. Madrid, 1914, Imprenta y Fo-
totipia de J. Lacoste, due volumi in-4.° di pagg. 523
e 53 tavole.
Il titolo è completato dalle parole: " estudio de los reales
" de a ocho espaiìoles y de làs nionedas de igual o apro-
u ximado valor labradas en los dominios de la corona de
tf Espana „ con le quali viene chiarito il significato dei nome
Duro e determinati i limiti del lavoro. Nei due volumi che
lo compongono si contiene infatti la descrizione, accompa-
gnata da opportune riproduzioni raccolte nelle tavole, delle
grandi monete d'argento dei monarchi spagnoli, la cui serie
comincia con Carlo V per finire con Amedeo di Savoja, il
principe italiano che combinazioni politiche posero per breve
tempo sul trono dei Re Cattolici, La intera serie è divisa in
dieci gruppi corrispondenti alle monetazioni della Spagna
propriamente detta e a quelle dei vari domini ad essa sog-
getti, gruppi naturalmente suddivisi a seconda delle varie
località che furono sede di zecca. Il lavoro è condotto con
diligenza somma, e la riunione in un solo corpo di ben 2432
pezzi di grande modulo, molti de' quali di alto interesse ar-
tistico, riesce assai piacevole ed istruttiva.
Le monete battute a Milano, a Napoli, nella Sicilia e
nella Sardegna costituiscono quattro di questi gruppi e rap-
presentano per noi italiani la parte più interessante dell'opera,
perchè vi troviamo riuniti e disposti in ordine cronologico
tutti quei maestosi pezzi d'argento che coi vari nomi di
scudi, ducatoni, piastre, reali e filippi e relativi multipli, furono
emessi durante la dominazione spagnola in quelle quattro
regioni ed ebbero largo corso anche nel rimanente d' Italia.
L'A., pur mostrandosi assai edotto della non piccola bi-
bliografia delle monetazioni spagnole in Italia, non è sempre
d'accordo con i nostri scrittori nella distribuzione dei singoli
pezzi nei vari gruppi, mentre non si è nemmeno occupato,
forse per la difficoltà che presentava la cosa, di ricercarne
le zecche. Siccome poi non ci dà alcun indizio dei criteri
seguiti in queste assegnazioni, così mi faccio lecito di ac-
cennare qui ad alcune di tali divergenze e anche a qualche
omissione, perchè il rilevarle non solo non toglie nulla al
merito o alla importanza del lavoro, ma può dar motivo ad
BIBLIOGRAFIA 425
aprire sui punti controversi una discussione utile a dissipare
i dubbi che possono restare nell'animo dei lettori.
Nel gruppo delle monete della Sicilia sono comprese
coi numeri 1257 e 1238 due varietà dello scudo di Carlo V
che da un lato ha lo stemma inquartato in petto dell'aquila
bicipite e dall'altro la croce fiorata con quattro corone al-
l'estremità delle braccia ; di questo scudo non si conoscono
esemplari e solo se ne ha notizia da vecchie tariffe ; però un
mezzo scudo simile fu collocato sotto la zecca di Napoli nel
catalogo di vendita della raccolta S^ mhon, e alla stessa
zecca tanto l'intero che le frazioni furono attribuite senza
alcuna titubanza, in base a documenti, da Arturo Sambon
nello studio ** Les Monnaies de Charles V dans l'Italie Me-
ridionale „ [Annuaire de la Société Frattfaise de Numisma-
tique, XVI) e, dopo di lui, dal Cagiati.
In questo stesso gruppo (n. 1259) si trova il famoso
scudo ossidionale del quale viene riprodotto sulle tavole quel
primo esemplare mal conservato pubblicato dal Fusco, che
diede luogo alla erronea lettura di SENATOR in luogo di
SCVTO ■ R -, dalla quale derivò, nonostante la data, una pre
sunta attribuzion': all'assedio di Roma. La lettura del Fusco
esercitò una specie di suggestione sui possessori e gli scrit-
tori successivi che continuarono ad assegnare la moneta alla
zecca di Roma, suggestione alla quale non sfuggì nemmeno
il nostro A., che dopo averlo ricordato come battuto a Roma
nella prefazione, finì poi per collocarlo nel gruppo siciliano.
Ora però dopo la esuriente dimostrazione data dal Sambon
nello studio su ricordato, non può restar dubbio alcuno che
lo scudo stesso e la relativa metà siano stati coniati nella
zecca di Napoli mentre questa città era stretta d'assedio dai
francesi nel 1528. Un altro scudo di Carlo V non è al suo
posto in questo gruppo e cioè quello descritto col n. 1260
che porta al rovescio l'aquila sul globo e la leggenda SVVM
CVIQVE che i fratelli Gnecchi e più recentemente il " Corpus
Nummorum Italicorum „ assegnano alla zecca di Milano.
Dei successori di Carlo V poi vi troviamo lo scudo di
Filippo III con l'aquila e la leggenda QVOD • VIS (n. 1268)
che il catalogo Sambon e il Cagiati ritengono uscito dalla
zecca di Napoli.
M
426 BIBLIOGRAFIA
Dal gruppo di Napoli per contro dovrebbe togliersi il
ducato d'argento di Filippo III descritto col n. 1285, che il
catalogo Sambon descrive sotto la zecca di Messina, mentre
il Cagiati lo esclude dai prodoti i dell'officina n&politana, della
quale invece non vi è descritto il ducato di Carlo II col
tosone (Cagiati n. 4).
Finalmente nella serie milanese si cerca invano il duca-
tene di Filippo II con Atlante, descritto dai Gnecchi al n. 29
e dal " Corpus Nummorum „ al n. 279.
Alla descrizione delle singole monete l'A. antepone una
nota illustrativa con accenni alla rarità e, per alcune anche
alla quantità lavorata nelle varie emissioni. Da queste note
mi piace trarre quelle relative ai pezzi da cinque pesetas di
Amedeo I, perchè hanno uno speciale interesse anche per i
raccoglitori italiani. Di essi dunque furono emessi n. 21586200
così distribuiti :
1871 5936978 1873 2870046
1872 7704184 1874 5074992.
Il più curioso però è che tutti portano ben visibile la
sola data del 1871, mentre la vera epoca della emissione
risulta da numeri microscopici posti nelle due stelle che si
trovano nel diritto in basso ai lati della testa del Sovrano.
In fine del libro v*è una rassegna biografica degli inci-
sori che lavorarono i coni delle monete e delle medaglie dei
Re di Spagna, tra i quali figurano i nomi dei nostri artisti
migliori.
G. Majer.
Cagiati (Memmo). Le monete del Reame delle Due Sicilie
da Carlo I d' Angiò a Vittorio Emanuele II (fase. IX,
parte III). Le zecche siciliane. Napoli, 1916.
Il eh. Autore, completata coll'ottavo fascicolo della sua
opera poderosa l' illustrazione della zecca di Napoli, e di
quelle delle sue città minori, inizia in questo nono fascicolo
la serie delle zecche siciliane, descrivendo le monete di Mes-
sina, da Carlo I d'Angiò (1266-1282) a Ferdinando II d'Ara-
gona (1479-15 16). Il sistema seguito dall'Autore in questa
terza parte del suo lavoro è identico a quello da lui adottato
per le altre due. Ad ogni sovrano è premesso un importante
BIBLIOGRAFIA 427
cenno storico, che ne illustra i fatti più salienti; segue poi
la descrizione delle sue monete, illustrate, ad ogni nuovo
tipo, da bellissimi disegni. Il lavoro è poi preceduto da una
copiosa bibliografia.
Ben a ragione l'egr. Autore, ne' suoi cenni preliminari,
si lagna dell'abbandono e della noncuranza in cui furono
sempre lasciati i ciraelii medioevali e moderni della Si-
cilia, che quindi, in gran parte sono scomparsi. Lo stesso
deve dire delle monete, che ben pochi si curarono di rac-
cogliere e studiare, talché * nei Cataloghi delle più ricche
" collezioni di monete di zecche italiane vendute a pubblico
" incanto, nelle collezioni Fusco e Sambon, nel genere tra
" quelle di maggiore importanza, noi troviamo molto scàr-
" samente rappresentate le zecche di Sicilia „.
L'Autore deplora inoltre l'impossibilità di esaminare le
monete di questa serie nei nostri gabinetti numismatici, i
quali, per la massima parte si trovano in gran disordine, in
completo abbandono e sprovvisti di Cataloghi. L'Autore ha
tutte le ragioni, e noi ci uniamo di cuore a Lui nel lamen-
tare questo grave inconveniente, che rende tanto difficile
agli studiosi il mezzo di poter usufruire di tanti tesori rac-
chiusi o, diremo meglio, sepolti nei nostri Musei.
Appunto per questo gli studiosi devono essere ben grati
all'egr. Autore, il quale, in mezzo a tante difficoltà, si è sob-
barcato al penoso lavoro di compilare questa illustrazione
di monete assai poco conosciute. La sua opera è certo il
miglior incitamento per far rinascere l'amore e lo studio di
questa importantissima serie di monete italiane.
E. G.
Dieudonné (A.). Manuel de Niimismatique fran^aise par
A. Blanchet et A. Dieudonné. Tomo H, per cura di
A. D. — Parigi, Augusti Picard, 1916, pag. x-468 e
tavole illustrative I-IX.
Questo secondo volume del Manuale di numismatica
francese più completo e più utile agli studi nostri, che sia
uscito per le stampe in Francia in questi ultimi anni, è in-
dispensabile e degno compimento del primo volume di nu-
mismatica francese, curato dai Blanchet, di cui si é parlalo
428 BIBLIOGRAFIA
a SUO tempo, e illustra le monete regali francesi da Ugo
Capete alla Rivoluzione. E stato curato e redatto fino alla
sua più possibile perfezione dall'illustre numismaiico Dieu-
donné, già favorevolmente noto anche al pubblico dei numi-
smatici italiani per altri lavori scientifici, conservatore ag-
giunto alla sezione numismatica della biblioteca nazionale, e
onorato del premio di numismatica medioevale.
Bisogna davvero congratularsi con l'autore se, non
ostante le preoccupazioni dirette e incessanti della guerra
nazionale in Francia, e vincendo le difficoltà d'ogni sorta
create dalle condizioni del periodo presente al lavoro tipo-
grafico ed editoriale, questo volume, con lodevole perseve-
ranza e coraggio, fu condotto a termine e pubblicato entro
l'anno 1915.
Ma non si deve, del resto, credere che tale lavoro sia
di fatto così estraneo agli avvenimenti storici e politici, come
a prima vista potrebbe parere un lavoro di numismatica
francese ! Giustamente l'autore nella prefazione esclama ;
A la fagon doul nous comprenons la numismatique fran-
gaise, les annales de notre pays, le passe de la France y
sout intimement liés ; or jamais l'histoire n'a eté si vivante
qu'en ce temps-ci. Puis, quelle meilleure application de
l'esprit critique que ce genre de recherches ! Le libre
examen est pernicieux dans les domaines qui touchent de
près à l'action, où l'esprit de foi et d'obeissance sont de
rigueur ; sur le terrain de l'érudition, au contraire, il est
fécond et prépare le progrès scientifique de demain „.
Del resto, per la numismatica francese medioevale, che
emana dall'autorità costituita, il testo numismatico stesso, che
si fonda sul documento, è per sé testimonio sicuro e impor-
tante, e da questo lato esercita la critica sana, non quella
soggettiva dell'artista, e come esprime un altro illustre sto-
rico francese : " le texte empèchc les écarts de l' imagina-
" tion, guide l'esprit, donne à l'argumentation une base iné-
" branlable „•
Noi pertanto ci congratuliamo sinceramente con l'autore
se coraggiosamente colmò in questo periodo una vera e
propria lacuna nella bibliografia numismatica medioevale e
moderna, poiché ritrattò tutto l'argomento con la visione di-
BIBLIOGRAFIA 429
retta dei monumenti e con l' illustrazione del maggior nu-
mero di monete, e questo era doppiamente necessario per
le monete regali di Francia, e in genere per tutte le monete
francesi dal Medio Evo alla Rivoluzione. Queste erano finora
poco conosciute e apprezzale, appunto perchè mancava una
guida sicura e completa che le illustrasse e ne facesse com-
prendere r importanza, non ostante il minor valore artistico
e la minore varietà, ch'esse possano avere a differenza delle
monete greche e romane, o di quelle della Rinascenza italiana.
Il volume del Dieudonné è molto opportunamente diviso
in tre libri, di cui il primo contiene i dati generali e le de-
finizioni tecnico monetarie, il secondo la parte storica della
moneta francese, il terzo la loro descrizione. Il primo libro è a
sua volta suddiviso in sette capitoli, che trattano i seguenti
temi: Capitolo i.° Organizzazione monetaria; 2.° Fabbrica-
zione delle monete; 3." Materia di cui sono fatte le monete e
formazione delle leghe monetarie; 4-** Della coniazione delle
monete; 5.** — Pezzi moneti/ormi; 6° Valore economico della
moneta e cause delle sue oscillazioni ; 7.** / nomi delle monete
francesi e le loro variazioni.
Il secordo libro analizz \ nel primo capitolo la storia po-
litica e amministrativa della monetazione francese, nei sci
periodi principali del suo sviluppo, da Ugo Capeto fino alla
decadenza della monarchia con Luigi XV e XVI e l'avvento
della Rivoluzione, cioè dall'anno 987 al 1793. Ne è una specie
di illustrazione dal lato finanziario ed economico della mo-
neta il difficile e importante capitolo secondo, che esamina i
vari sistemi monetari, le restaurazioni successive fino alle
* réformations „ del periodo di Luigi XIV e di Laco.
Il terzo capitolo è più interessante dal punto di vista
estetico, e tratta della storia artistica della moneta francese,
dai tipi carolingi e urbani del tempo dei denari parigini e
dei tornesi. attraverso la evoluzione dei grossi e degli scudi
d'oro, fino al testone con i ritratti del tempo di Germain Pilon
'1513-1610). Succede lo studio esauriente della riforma da
Nicolas Briot a Vann e all'uso del bilanciere, con la storia
dell'opera dei Roeitiers, di Duvivier, di Agostino Duprè.
Segue uno studio comparativo dello sviluppo della epigrafia
numismatica francese.
43° BIBLIOGRAFIA
Forma la terza parte del volume, e ne assorbe la mela
del contenuto, il libro IH, da pag. 200 a pag. 393, cui se-
guono, come appendici, l'elenco delle officine monetarie,
quello degli zecchieri, o maestri di zecca e loro assistenti
fino a Enrico II e sotto il periodo della Lega, l'indice bi-
bliografico e r indice analitico.
La parte descrittiva del libro III, che riesce quella più
direttamente utile non tanto agli storici, agli economisti e ai
critici d'arte, quanto ai numismatici collezionisti, è molto chiara
e molto accurata, e cerca di togliere, sia con la saggia di-
stribuzione, sia con la facile e precisa esposizione, le difficoltà
non poche dei primi periodi della monetazione francese, spe-
cialmente da Ugo Capeto a Luigi VII (987-1180), da Filippo
Augusto (i 180- 1223) ai due Luigi VIII e IX (1223-1266), fino
alla introduzione del grosso {gros) dal 1266 al 1270, e dopo,
da Filippo il Bello a Carlo Vili (1285-1483). Per ogni prin-
cipe, il Dieudonné Ha il prospetto dei pesi e dei valori delle
monete, secondo le vane emissioni, fa seguire un riassunto
bibliografico, utilissimo per ulteriori ricerche, e poi divide la
illustrazione secondo i metalli {monnaies d'or, d'argent, de
billon, de cuivre, monnaies noires, o di lega infima, in con-
fronto con la mannaie bianche^ di vera lega argentea).
Importante e utile fu l'aggiunta al cap. XXXI del libro III,
e cioè all'antipenultimo, della illustrazione di tutte le monete
coniate dai re di Francia in Italia, in Spagna e nelle colonie.
Una parola meritano anche le nove nitide tavole, che
seguono cronologicamente lo sviluppo storico e artistico
della moneta francese, e sono distribuite come segue: tav. I,
da San Luigi a Giovanni il Buono; II, da Carlo VI a Lui
gì XI ; III, da Luigi XIII a Francesco I, a E?irico II ; IV,
da Carlo IX a Enrico //'; V, da Litigi XIII a Luigi XIV;
VI, Luigi XV e XVI; VII, Monete del Delfinato. di Pro-
venza^ di Borgogna ; Vili, Monete di Navarra, Fiandra,
Strasburgo, monete coloniali e false dell'epoca ; IX, monete
coniate in Italia e in Ispagna.
La Rivista augura il buon successo che merita all'opera
.del numismatico Dieudonné e dell'editore Picard.
S. Ricci.
BIBLIOGRAFIA 43 1
Newell (Edward T.). The cinted Alexander coirtage of
Sidon and Ake. Volume II delle Yale Orientai Series.
— New Haven, Yale University Press (London : Hum-
phrey MilforH ; Oxford: University Press), 1916. Volume
di pag. 72 e IO tavole, di cui le prime quattro illustrano
le monete di Sidone, la 5.^ monete di Sidone e di
Ake, le ultime cinque esclusivamente le monete di Ake.
Lo studio del giovane numismatico Newell, che visitò
anche il nostro Museo Numismatico di Brera in Milano e ne
trasse incoraggiamenti e studi di confronto nell'ampia colle-
zione macedonica, è un bel saggio di numismatica greca
comparata, contando i confronti coi risultati delle sue ricer-
che in diciassette collezioni pubbliche e in dieci private. Si
può dire che le monete macedoniche di tutto il mondo an-
tico e nuovo sono state messe a contributo dal valoroso e
dotto studioso americano.
Fra i contributi italiani notansi le collezioni pubbliche
del R. Museo di Antichità di Torino e del Museo Nazionale
di Napoli, e la collezione privata di un valente numismatico
italiano, del cav. Giovanni Dattari, che è al Cairo; non è
citato il Medagliere Nazionale di Brera per un incidente do-
loroso dovuto al caso, non alla volontà di alcuno. Il Newell
lasciò a Brera la nota dei calchi, che dovevan essere tratti
dalle monete ch'egli aveva studiato presso il R. Gabinetto
Numismatico, e poi scomparve, e non si fece più vivo a
Milano, né in persona, né per lettera. La nota, confusa non
si sa in che modo con la corrispondenza della Direzione, o
entrata in qualche periodico, non si trovò più, e a nulla val-
sero le richieste ripetute del Direttore, perché non si potè
più riavere, forse per i continui viaggi e spostamenti di re-
capito del Newell. Unica speranza mi rimane a compenso
dell* involontario danno, ch'egli poi, confrontando fra loro
tutti i calchi ricevuti, non trovasse quelli attesi come pro-
venienti dal Medagliere di Milano di tale importanza, da dover
essere riprodotti sulle tavole, come ne fanno fede anche le
altre collezioni pubbliche italiane, che, citate nell'elenco di
consultazione, non lo sono nell'elenco delle monete ripro-
dotte sulle tavole. Poiché mi parrebbe impossibile che il
Newell stesso, nel suo interesse, non mi avesse dovuto ri
432 BIBLIOGRAFIA
mandare la nota dei calchi da fare e qualche sollecitatoria,
se davvero avesse notato che tale mancanza fosse stata di
danno scientifico al suo lavoro.
Il quale è riuscito importante ed esauriente per le due
officine della monetazione di Alessandro Magno a Sidone
e ad Ake, di cui il Newell ha rilevalo sette serie monetali
per Sidone, distribuite in ordine cronologico come segue :
Serie I, 333-330 a. C. ; II, ottobre 331-ottobre 327 a. C; III,
ottobre 327-1.* parte dell'anno 323 a. C. ; IV, metà del 323-
I.* parte del 320 a. C. ; V, metà 320-ottobre 317 a. C. ; VI,
fine 317-ottobre 309 a. C; VII, ottobre 309-ottobre 305 a. C.
Per l'officina monetaria di Ake, il Newell trova pure
sette serie monetali con qualche variante di periodo crono-
logico in confronto con la serie di Sidone, come segue :
Serie I, 332-330 a. C. ; II, 329-328 a. C. ; III, 327 a. C. circa;
IV, 326-321 a. C. ; V, 321-317 a. C; VI, 317-307 a. C. ; VII,
307-304 a. C.
Le osservazioni che il Newel fa seguire a questa distin-
zione di serie, tanto per l'ofTicma di Sidone, quanto per quella
di Ake, sono molto acute, e mostrano il risultato di studi
profondi su tutta la monetazione del grande Macedone, con
lo sfondo storico dei fatti, tolto dalle due opere più impor-
tanti della storia di quel periodo, quella del Droysen {Ge-
schichte des Hellentsmus) nella sua 2.^ edizione, e quella del
Niese {Geschichie der griechischen und makedonischen Staaten);
cosicché tutta la datificazione, per così dire, della immensa
monetazione macedonica risulta dallo studio del Newell rin-
novata e precisata, per quanto è possibile e il materiale nu-
mismatico rimastoci lo con'cede. Da questo lavoro appare
ancor più chiaramente — se pur ce ne fosse bisogno — il
nesso intimo che vi è tra la storia e la monetazione dei sin-
goli popoli antichi.
S. Ricci.
Finitd di stampare il 5 ottobre 1916.
RoMANENGHi Angelo FRANCESCO, Gerente responsabile
'«•«««••««♦«••««««♦••♦i •*•»••*••»«««••*«•«»«»•
FASCICOLO IV.
TOPOGRAFIA E NUMISMATICA
CM
IBLA GALEOTIS
La ricerca del sito di Ibla Galeotis ha subito
varie vicende e se ora, latti sul luogo degli scavi,
la posizione topografica di essa è in qualche modo
tra le più note della Sicilia, è ancora incerta la sua
primitiva storia.
Tucidide (VI, 62. 5) fa menzione di v;ì>.x r. leXexTi;,
come città sicula; Diodoro (XI. 88) la chiama città
libera ed indipendente; Pausania (V, 33, 6) intorno
alle Ible sicule scrive : ^Jo ^è hdav èv i:'.y.sXìy. ^ròXei; ai
"^T^Dat (f, uiv\ rtozìzii ZTsvAkfttty, tt,v ^è ('òr— sp ye Asd (t.v) sxàXovv
v^'.?[ov«, cjrovci Ss XX'. /.xz' :y.t in tx òvòj/-aTa èv tt, xaravaia, 6z
T. tx£v esnjAo; à{ xxx^, r. ^s x<òu.t, te xxravauov _ e Stefano Bi-
zantino alla voce rxXwòTa», chiama i cittadini di Ibla
Lo Storico della guerra del Peloponneso (HI,
103) dà maggiori indicazioni sul sito di Ibla e rac-
conta che Tesercito ateniese nella guerra contro Si-
racusa, ritornando da Centuripe a Catana, bruciava
le messi degli inessei e degli iblensi. La narrazione
tucididea indica chiaramente che Ibla Galeotis do-
veva essere situata tra Aetna-Inessa e Catana.
Gli autori moderni non sono tutti concordi nel
436 SALVATORE MIRONE
determinare il sito della città : V Hunter, deviando
dal retto sentiero, crede di trovarla nell'odierno
Belpasso; il Carrera la situa presso Paterno nella
contrada chiamata Acqua Rossa o Acqua di Ferro;
il Fazello è in dubbio sul sito di questa città; il
Cluverio, il La Scine ed il Baudrand la riconoscono
nel sito dove poi fu edificato l'odierno Paterno e
dell'opinione di questi ultimi sono il Parthey, lo
Schubring ed i moderni cartografi. L'Alessi {Storta
critica della Sicilia, Catania. 1835, voi. I, parte II.
pag. 322) fissa il sito di Ibla Galeotis dove fu rin-
venuta Tara votiva sacra a Venere Vincitrice Iblense.
Il Freeman [History of Sicily, Oxford, 1891, voi. I,
pag. 159) scrive che il grande castello costruito a
Paterno dal conte Ruggero indica il posto della dea
patrona Ibla. L' Holm {Storia della Sicilia, Torino,
1896, voi. 1, pag. 153) è dell'opinione che il posto
di Ibla sia stato nel luogo del castello dell'odierno
Paterno, fondato sopra una ripida roccia presso il
Simeto nell'anno 1073, durante l'assedio di Catania.
Invece il Pais ed altri scrittori sostengono che
il /twfAYi TE )caTava'.tóv di Pausania sia Tibia Etnea spe-
cialmente per l'iscrizione sepolcrale C, I, L, X, 71
dove si fa menzione di una bambina, nata ad Ibla
e seppellita a Catania. Ibla, seguendo il Pais, non
solo doveva essere un vicus di Catania, ma anche
non molto distante da essa. Il Savasta {Notizie sto-
riche di Paterno, Catania, 1905, pag. io e seguenti)
sostiene con vari argomenti che Paterno sostituisce
l'antica Aetna, non come un paese che viene a sor-
gere sulle rovine di un altro, ma per solo cambia-
mento del nome. Tali argomenti sono poco convin-
centi perchè generalmente si sa che Ibla si è con-
servata come paese e forse come casale di Catania
fino alla fondazione del borgo e della città di Pa-
terno nel secolo undicesimo.
TOMOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS 437
Gli abbondanti avanzi archeologici trovati presso
l'Acropoli vulcanica di Paterno dimostrano che è
esatta la narrazione tucididea e che ivi è fiorita una
antica città sicula e greca {Rivista di storia antica,
V, 55). L'Ibla Galeotis dovette indubbiamente esi-
stere a Paterno e precisamente, secondo l'Orsi {No-
tizie scavi, 1909, pag. 85), la primitiva città doveva
raccogliersi attorno alla grande rupe isolata, su cui
si erge il torrione che vuoisi normanno ; tale rupe
costituiva una formidabile acropoli naturale, ed in-
fatti nelle nere e frastagliate rocce che la cingono a
mezzogiorno, veggonsi ancora campate in aria celle
sicule a forno.
L' incertezza regna sulla fondazione della cittii,
che sfugge ad ogni ricerca e si perde nel buio di
un'epoca preistorica, circa la quale i più autorevoli
scrittori antichi della Sicilia non danno esatte e
complete notizie.
Stefano Bizantino racconta che la città venne
chiamata Ibla. perchè Iblone re dei siculi, la edificò
con una colonia di megaresi. Pietro Carrera, fondan-
dosi su una lettera di un certo Diodoro, scrittore
antichissimo e distinto dall'omonimo storico (?), opina
che Ibla venne fondata dai Catanesi e che poi fu
disfatta, ma ignora il tempo di tale avvenimento.
Come ben nota l'illustre storico siciliano, l'Alessi,
(op. cit , voi. I, parte IL pag. 322) la città di Ibla è
indubbiamente di origine sicana o sicula e la sua
fondazione confina con le epoche favolose e quando
i greci vi si stabilirono dovettero riunirsi agli antichi
abitanti o cacciarli.
Un altro punto oscuro, che dovrebbe essere
chiarito, è la quistione del nome, perchè la etimo-
logia di esso manca di una spiegazione conclusiva.
Assodato che il nome di Ibla non e una località
caria e che la parola usata da Menodoto Samio
43^ SALVATORE MIRONE
presso Ateneo XV invece di £^? 'vfiXav dovrebbe es-
sere si; rXkx'jxkxy ed essendo una leggenda la fonda-
zione da parte del re Iblone, si può ritenere che il
nome della Dea e della città sia una traduzione
greca di una parola del linguaggio dei sicani o dei
siculi. Non conoscendosi la lingua di questi due po-
poli non si può lare con tutta certezza alcuna affer-
mazione, ma si intuisce chiaramente che la voce
grecizzata ìfiXai abbia una stretta attinenza all'appel-
lativo dell'acqua minerale della sorgente Maimonide.
perchè i siculi ebbero una tendenza a divinizzare le
tonti ed i fiumi, dando il relativo nome.
Ibla dovette essere una città sui generis, per-
chè come narra Pausania (V, 23, 6), vi era un
tempio della divinità iblea, molto riverito dai sice-
lioti ; ma la città era deserta (forse nel significato
di un piccolo casale) all'epoca dello storico, che
scrisse le sue opere in parte sotto i regni di Adriano
ed Antonino e che le finiva sotto Marco Aurelio
dopo il 174. Attorno al tempio vi era una numerosa
corporazione di sacerdoti, che erano famosi nell' in-
terpretare i sogni ed i presagi. Ora il tardo ingresso
di Ibla nella storia della monetazione fa supporre
che in origine e dopo vari secoli dallo stabilimento
dei greci in Sicilia essa non sia assurta al grado di
una vera e propria città ma che sia stata solamente
un santuario della Dea Ibla, solitario nella campagna
etnea, avendo come popolazione una numerosa co-
munità ieratica attorno al tempio della divinità, né
più ne meno come nell'epoca cristiana, specialmente
nel medio evo, hanno acquistato grande importanza
dei santuari con conventi in aperte campagne e lon-
tani da centri rurali ed urbani. A questa jìopolazionc
permanente e sedentaria si deve aggiungere quella
fluttuante dei fedeli, che viene per adorare la Dea
e che riparte dopo avuto il responso della divinità
TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI lEI.A GAI.EOTIS 439
per mezzo dei sacerdoti indovini. Non si potrebbe
del resto giustificare in altro modo la tarda moneta-
zione di Ibla, quando si pensa che anche piccole
città della Sicilia, autonome o no. fin dal periodo
arcaico o fin dal periodo di transizione hanno avuta
la loro zecca ed anche una ricca monetazione. Non
può recare meraviglia quest'opinione quando si sa
che il vicino Adrano, fondato da Dionisio il Vecchio,
fino all'anno 400 a. C. non era altro che un famoso
santuario solitario nella campagna etnea e quindi Ibla
gradatamente, senza intervento di alcun oichista, per
la sua grande nomea ha veduto aumentare la sua
popolazione ed è assurta ad una vera città senza
accorgersi.
Pausania (V, 23, 6) ta poi sapere che in tale
santuario era venerata la Dea Ibla, il di cui culto è
considerato dallo storico siracusano Filisto come in-
digeno e che all'epoca di Dionisio era già ellenizzato,
e, descrivendo le famose statue di Olimpia, narra che
vicino al cocchio del tiranno Cerone vi era la statua di
Giove, dono degli iblei. Non deve considerarsi come
casuale la statua votiva degli iblei in Ohmpia accanto
al cocchio del potente principe siracusano, ma come
un vero atto politico, perchè Cerone, volendo se-
guire una politica di penetrazione nelle regioni etnee,
come lo dimostra il tentativo d' innalzare un tempio
a Demetra in queste contrade e non condotto alla
fine per la sua morte (Diodoro, XI, 26, 7), aveva
tutto r interesse di procacciarsi la simpatia delle po-
polazioni sicule, presso le quali il culto della Dea
Ibla era in grandissimo onore. Il culto ha incomin
ciato certamente a ellenizzarsi per opera di questo
principe e l'originario appellativo di Cereatis, tra-
sformandosi in seguito in Celeotis. ricorda in certo
qual modo il nome del tiranno siracusano e della sua
patria Cela. Non va dimenticato poi che chi magni-
44° SALVATORE MIRONE
ficava il santuario d' Ibla, lo storico Filisto, era un
cittadino siracusano e, quel che è più, un insigne
uomo politico.
Tutti gli scrittori sono concordi nel determinare
il carattere indigeno della Dea Ibla. L' iscrizione tro-
vata a Paterno a Venere Vincitrice Iblense (Castelli,
Iscriz. di Catana, Panormo, 1769, pag. io; Momm-
sen, C. I, X, 70T3) conferma che la Dea nel periodo
ellenico e successivamente in quello romano era iden-
tificata con Venere od Afrodite e quindi rappresen-
tava il concetto della generazione della terra. Il suo
appellativo Gereatis, non essendo una corruzione
dell'altro Galeotis, fa pensare che in origine si sia
riferito alla dea, perchè la parola yspsaT'.? si potrebbe
mettere etimologicamente in relazione con quella
antica ysppa o yèppai usata dai siculi per significare
xà àvXpeia /.xi yuvat/tsia aìSoìia e per dinotare il concetto
della fecondità e della generazione. Del resto la
stessa parola ysppa esiste nel culto di Afrodite (Esi-
chio-ad V Kaibel, Cam. graec. frag., 1899, I, pag. 122).
Senza dubbio ci troviamo di fronte al culto di
quelle divinità telluriche che furono tanto comuni in
Sicilia a causa delle manifestazioni vulcaniche ed in
questo caso la Dea, presiedendo ai fenomeni natu-
rali del luogo, dettava i suoi responsi comunicando
con le regioni di sotterra (Freeman, op. cit., voi. 1,
pag. 159; Ciaceri, Miti e culti della storia antica di
Sicilia, Catania, 191 t, pag. 15; Rapisarda N., Sul
sito di due antiche città Inessa-Aetna ed Ibla Galeotis,
Catania, 1913 pag. 15). Era naturale che questo
culto sia nato ed abbia acquistato una grande im-
portanza presso i siculi quando si sa che le prime
manifestazioni del sentimento religioso di questo po-
polo si siano riferite più o meno direttamente alle
vicende della vegetazione ed ai fenomeni tellurici.
La religione dei siculi, pur non avendo una teologia
TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS 44I
sodamente stabilita, ammetteva una certa importanza
a taluni fenomeni nei quali pareva manifestarsi una
potenza soprannaturale, specialmente alle misteriose
forze sotterranee, le quali danno segno della loro
esistenza nelle sorgenti di acque calde o minerali.
Vicino l'odierno Paterno vi è un terreno vul-
canico fangoso, denominato Salinella, che in qualche
modo ha una certa rassomiglianza con gli ebullientes
crateres dei Palici e vicino vi è la sorgente del-
l'acqua minerale detta Maimonide. la quale con le
sue ben note qualità doveva necessariamente formare
oggetto di un superstizioso culto, (vedi Recupero,
Storia naturale e generale dell* Etna, Catania, 1815,
voi. I, i)ag. 214-220; Ferrara, Storia generale della
Sicilia, Palermo, 1837, voi. IX, pag. 85-86, ed i la-
vori del Silvestri, Costanzo, Aradas, Lassaulx e
Grumbel, citati nella biografia storico scientifica del
Crino in Atti Accademia Gioenica, Catania. 1907).
Il santuario della Dea doveva indubbiamente
sorgere vicino ai luoghi di queste manifestazioni na-
turali affinchè la corporazione degli indovini potesse
interpretare i sogni della gente ivi accorsa consul-
tando la divinità per mezzo della fonte e del vul-
cano. Questi indovini erano famosi neirantichità ;
Esichio, sulla fede di Fanodemo, scrive: Taxeoì fAàvrw?
o'JTO'. xarx tt.v 2',xò\ìav w/.T.Tav' yuà yèvo; ti, w? (prici avò«5TjfJL0?
x.ai 'Pivrwv TapavTÌvo;.
Cicerone {De Div., I, 20, 30) riferendosi allo
storico Filisto (framm. 47) ed Eliano (XII, 46) nar-
rano il sogno della madre di Dionisio il Vecchio.
Avendo questa sognato durante la sua gravidanza
che avrebbe dato alla luce un piccolo satiro, con-
sultò quegli indovini, interpretes portentorum, dice
Cicerone, qui Galeotae tum in Sicilia nominabantur.
i quali predissero che suo figlio sarebbe stato assai
celebre fra i greci e costantemente felice. Lo stesso
56
442 SALVATORE MIRONK
Filisto racconta un'altra predizione dei Galeoti a Dio-
nisio (Cicerone, De Div., I, 32 ; Plinio, Ist. nat., Vili,
64; Eliano, Ilor/ar, 'I<7Topìa^ XII, 46).
Samuele Bocarto forma l'etimologia della voce
Galeote, facendola derivare da Gala, nome fenicio
con significato profetico ed il Gaetano {Histor. sicnì.
cap. II, n. 2) opina che gli indovinamenti dei Ga-
leoti siano stati fatti per arte magica. L'opinione del
Gaetano non è errata perchè forse questi sacerdoti
per dare i loro responsi dovevano ricorrere all'ipno-
tismo ed al sonnambulismo, che all'epoca dello scrit-
tore erano considerati come un'arte diabolica o
magica.
Invece il sacerdozio dei Galeoti si ricollega ma-
nifestamente con la Grecia e sta in relazione con
l'antico culto di Apollo Cario, il quale, secondo la
leggenda, ebbe da Temisto, figliuola di Zabio re
degli Iperborei, due figli: Telmisso e Galeote. Sem-
bra risultare da un passo di Stefano Bizantino, forse
alterato dall'abbreviatore, che i due fratelli erano an-
dati a consultare l'oracolo di Dodona ed il Dio diede
loro una risposta quasi simile a quella che ricevet-
tero Lacio ed Antifemo, fondatore di Gela, vai quanto
dire che esso li mandò uno all'Occidente e l'altro ad
Oriente.
Telmisso fondò in Caria una città con un tem-
pio di Apollo Telmisseo, Galeote venne in Sicilia.
I galeoi o galeotai erano dei pesci, i cosidetti pesci
spada (Strab., I, 24; Plin., XXXII, 12) e forse da
questo nome si può arguire che gli indovini iblei
presero tale appellativo quasi a significare che se-
condo la leggenda essi erano venuti dal mare per
stabilirsi nel famoso santuario ibleo.
TOPOGRAFIA E NUMISMATICA DI IBLA GALEOTIS «^43
« •
Quando nell'anno 210 a. C. Marco Valerio Le-
vino dava assetto alla Sicilia, che fu la prima pro-
vincia romana, Ibla Galeotis fu messa nel novero
delle civitates decumanae f^Cicer., Verr., Ili, 102).
Sotto la dominazione romana questa città ebbe la
sua zecca e coniava una ristretta serie di monete
autonome molto somiglianti fra loro per il tipo; ben
s'intende la monetazione è limitata al solo bronzo
come nelle altre città siciliane.
Il Ciaceri (op. cit. e Megara Iblea ed Ibla Ga-
leotis in Studi storici per P antichità class., Pisa, 1909,
pag. 179) vorrebbe sostenere che le monete con la
leggenda YBAAI MEFAAA!, attribuite da tutti i nummo-
grafi ad Ibla Gereatis. devono essere assegnate a
Megara Iblea dove sarebbero passati ■ il culto della
Dea Ibla e la leggenda del re Iblone. A questo culto
devesi principalmente se Megara prese anche il nome
di Iblea, giusta l'indicazione data da Pausania (V,
23, 6) e da Stefano Bizantino alla voce "TfiXai. Contro
questa opinione del Ciaceri bisogna fare notare che
Megara, distrutta da Gelone, il quale trasportò in
Siracusa gli abitanti più ricchi e vendette come
schiavi i più poveri (Erodoto, VII, 156, 3; Tucidide,
VI, 4, 2; Polieno, I, 27, 3), decadde in un modo
spettacoloso tanto che all'epoca della guerra ateniese
contro Siracusa era una povera città, un punto stra-
tegico dei siracusani, un ) ed indub-
biamente ha dovuto descrivere la posizione di questa
città nel libro decimo della sua storia, del quale è
pervenuto sino ai tempi odierni il solo titolo. Invece
l'agirese Diodoro Siculo (XXIV-VI, reliquiae) dà
maggiori indicazioni sul sito di Longone, chiamato
anche Itahco od Itaho, narrando che era situato nella
campagna Catanese (ek ^è tÒv Aòyywva xaTàvifK; (ppoùptov
ì)7C'?ipye, xa>iO'j[/.£vov 'iTaXtov. "Owsp 7:oXe[7.7i TTeStfe) Tcepi tòv AoyYxvòv xaXo'j{/.£vov TcOTajAOv^ g Se-
guendo l'opinione del Parthey, concordemente so-
stengono che la città di Lòngane o Longone doveva
essere situata sull'omonimo fiume nel territorio di
Milazzo. Ma l'opinione di questi scrittori non è as-
solutamente sostenibile quando si sa che lo storico
Diodoro Siculo ha fatto sapere che nel territorio ca-
tanese vi era un castello chiamato Aòyywv^ il quale
deve indubbiamente identificarsi con la città di AoyyàvT
menzionata da Filisto. Vero si è che molti nomi di
città trassero origine dai rispettivi fiumi e che que-
sta appropriazione fu molto frequente nell'Italia e
nella Sicilia, ma non si deve dimenticare anche che
molti fiumi bagnavano delle città senza avere lo
stesso nome, come il Crisa di Assaro, l'Ippari di Ca-
marina, l'Amenano di Catania, l'Assino di Nasso, ecc.
Infine l'opinione dell' Holm, dell' Head e dell'Hill è
campata in aria perchè facendo un'esatta pondera-
453 SALVATORE MIRONE
zione del passo della storia, su cui essi si basano,
risulta chiaramente che Polibio fa menzione non di
una città ma del fiume Aoyyàvo?^ con il quale poi si
deve correggere il >oìTavov TCOTajxòv di Diodoro, ram-
mentato nei resti del libro XXII, in cui, come in
altri punti della storia, vi sono molti errori di
scrittura.
Polibio è storico molto assennato, critico acuto
e prudente, osservatore attento e conoscitore delle
condizioni politiche del mondo greco e romano e
dopo Tucidide è lo storico più serio dei greci. Egli
visitò quasi tutte le regioni dell' impero romano per
raccogliere sugli stessi luoghi cognizioni e materiale
per la grande opera storica, che meditava, e con
tutta certezza avrebbe fatto cenno della città di Lòn-
gane posta nel territorio di Milazzo e non del fiume,
massimamente che si trattava di descrivere la bat-
taglia avvenuta, poco tempo prima della sua nascita,
fra i Siracusani comandati da Cerone II ed i Mamer-
tini, che furono sconfitti. Del resto il nome di Lon-
gana viene dato ora a quella punta di terra nelle
vicinanze di Milazzo ove sbocca il piccolo fiume di
Castro e ricorda il fiume menzionato dal detto Po-
libio (I, 9) e da Diodoro (XXII).
Alle due citazioni di Filisto e di Diodoro, di-
sgraziatamente frammentarie, si aggiunge che Lieo-
fronte di Calcide, poeta dell'epoca alessandrina, men-
ziona la Dea Longatis (520, ^<^'- TptyèwyiTo? ^«à pcwpfxìa
AoyyàTi? '0|;.oXfe)ì?) e narra che anche vi era il famoso
tempio della Vergine Longatis (1032, xXbvòv tSpw.a
TrapQèvov AoyyàTtSo;). Licofrone avrà, con tutta certezza,
avuta notizia di tale culto da Timeo da Tauromenio,
che nelle sue storie andate perdute non si limitava
a narrare gli avvenimenti politici e militari, ma en-
trava ancora nei particolari degli usi, dei costumi,
delle opinioni filosofiche e della religione.
LE MONETE OI LÒNGANE O LONGONE 453
Pietro Carrera (Mem. di Cat., libro II) uno dei
primi storiografi di Catania, fa l'importantissimo ri-
lievo che l'antico castello di Longone venne poi no-
minato Lògnina. Giovanni Massa {La Sicilia in pro-
spettiva, parte seconda, Palermo, 1709, pag. 320) oc-
cupandosi della Torre di Lògnina di Catania sostiene
giustamente che Lògnina sia una parola corrotta e
derivata da Ongia, oppure Ognia, Dea in molta stima
presso le antiche popolazioni di quelle contrade. Il
Ferrara {Le credenze religiose degli antichi siciliani sino
air introduziotte del cristiaìtestmo, ecc., Catania. 1844)
ed il Coco-Grasso {Della vita e delle opere di F. Fer-
rara, Palermo. 1850, pag. 62, nota i) sostengono che
il tempio della Dea Ongia doveva sorgere fra 'Ognina
ed Aci, mentre il Cordaro Clarenza {Osservazioni
sopra la Storia di Catania cavate dalla storia generale
di Sicilia, Catania. 1833. voi. I. pag. 82-83) rileva
che il tempio della Dea Ognia ha dato un simile
nome alla contrada detta oggi 'Ognina.
Recentemente il Ciaceri {La Alessandra di Li-
cofrone, Catania, note e comm. 520 e 1032, pag. 209
e 290 ; Culti e Miti della storia antica di Sicilia, Ca-
tania, 191 1, pag. 157), condividendo le opinioni del
Carrera e del Massa, sostiene giustamente che tanto
la città AoyvwvT., ricordata da Filisto, che il castello
Aòyyojv menzionato da Diodoro Siculo, non sia altro
che la borgata detta oggi Ognina ed anche Lògnina,
posta a brevissima distanza di Catania verso est e
che nel detto castello doveva sorgere il santuario
dedicato alla Dea Longatis, la quale altro non è che
Pallade. Il culto della Dea Atena era molto diffuso
nelle colonie greche dell'antica Sicilia ed i santuari,
secondo le consuetudini di allora, venivano eretti in
prossimità dei porti accessibili alle havi affinchè i
marinai sia al partire che al ritorno potessero con
maggiore facilità recarvisi e sacrificare alla Dea.
454 SALVATORE MIRONE
È antichissima e costante la fama che nella ri-
viera orientale di Catania vi era un porto spazioso
e sicuro, chiamato porto delizioso perchè prima del-
l' invasione della lava quella riviera era ricca di- al-
beri e di ombrosi olivi. Difatti lo storico arabo Edrisi
(Abu-Abd- Allah -Mohamed) autore del Nozhat-el-
Mosctak, ecc., designa il porto di Lògnina con lo
stesso nome e Malaterra racconta che il conte Rug-
gero con la sua flotta sostava una notte in detto
porto (Amari Michele, Storia dei Musulmani di Si-
cilia, Firenze, 1868, voi. Ili, parte I, pag. 166).
Il Casagrandi {La Pistrice sui pnmi tetradrammi
di Catana, ecc., Catania, 1914, pag. 29 e 30, nota 1,
estratto ddàV Archivio Storico per la Sicilia Orientale,
anno XI, fase. 1), sebbene in maniera molto inciden-
tale, si occupa della htra d'argento di Lòngane e dà
delle esatte informazioni sul sito di questo castello.
Egli giustamente fa notare che il porto naturale del-
l'antica Catana, che ha veduto impegnarsi nel suo
seno strepitose battaglie navali, come quella fra i
Siracusani e i Cartaginesi nell'anno 405 a. C, ove
questi si impegnarono con non meno di 500 navi
da battaglia (Diodoro, XIV, 50), non può essere ri-
scontrato neir insignificante Porto Saraceno alle foci
dell'Amenano e tanto meno a Murgantia distante
46 chilometri !, ma dovrà ricercarsi in quell' insena-
tura, che si racchiude fra il promontorio del Gaìto
a sud, e quello capace ad est, insenatura che fu in-
vasa dalle lave dette del Ròtolo, ma che in parte
tuttora rimane visibile con tratto di spiaggia in due
punti, al Gaìto, e massime a S. Giovanni li Cuti. Le
lave, che hanno invasa tale insenatura, appartengono
all'eruzione che ebbe luogo nelle vicinanze del co-
mune di S. Maria li Plachi, chiamato ora Gravina
di Catania, il 6 agosto 1381 e che devastò il cosi-
detto Oliveto di Catania (Simone di Lentini, Chro-
LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 455
nica, voi. 2, pag. 511; Amico, Catana illustrata, Ca-
tania, 1746, libro 6, cap. 2, tomo 2, pag. 244; Re-
cupero, Storia naturale e generale delF Etna, Catania,
1815, voi. 2, pag. 84).
Il porto dell'antica Catana greca e romana do-
veva essere quello di Longone come sbocco natu-
rale ed unico delle ricche risorse agricole del bosco
etneo, mentre quello di Murgantia (ora la rada di
Agnone) doveva essere lo sbocco dell'immensa pro-
duzione granaria, quando la Piana di Catania era il
granaio di Roma. La si desume anche dal fatto che
i catanesi, dopo l'eruzione del 1381, furono costretti
ad ampliare il porto saraceno, che a dire del Grossi
{Cat. Decadi. Chor. V.^ pag. 167) exiguam praebet
navibus stationem. Difatti Simone de Puteo, vescovo
di Catania, nell'anno 1387 ingrandiva il detto porto
saraceno (Amico, op. cit., libro VI, cap. VII, pag. 245).
Condividendo l'opinione del Casagrandi, il castello
di Longone ed il santuario della Dea Longatis do-
vevano sorgere sulla collina circolare soprastante,
percorsa ora dalla strada provinciale dalla Guardia
al Ròtolo.
Longone dovette avere una certa importanza
per il sicuro ed ampio porto, per la vicinanza di
Catana e per il santuario della Dea Atena, il di cui
appellativo di Longatis i)rova pure che doveva es-
sere ben noto ai naviganti. Il porto sotto la signoria
del dinomenide Cerone indubbiamente ha incomin-
ciato il suo incremento e durante gli ultimi anni
della guerra peloponnesiaca come un punto sicuro
di approdo e di rifornimento per la flotta degli Ate-
niesi e degli alleati, ha dovuto assorgere ad una
grande importanza militare e commerciale ed il ca-
stello con tutta certezza ha dovuto seguire le sorti
di Catana, asservita da Dionisio il Vecchio, perdendo
la sua autonomia. Difatti chi ben nota la termino-
45^ SALVATORI! MIRONE
logia dei due illustri storici siciliani, che hanno fatto
menzione di Longone, noterà che Filisto, nato il
430 e morto il 356 a. C. e quindi vissuto ai tempi
dei due Dionisi, chiama Longone ^ò>.i? ; segno evi-
dente che all'epoca dello storico siracusano il ca-
stello contava una numerosa popolazione ed era in
floride condizioni, mentre Diodoro Siculo, contem-
poraneo di Giulio Cesare e di Augusto, lo chiama
semplicemente ?poùpiov, indizio sicuro che verso l'era
volgare esso aveva perduto la primitiva importanza
e si riduceva a poche abitazioni. Filisto, che certa-
mente aveva visitato Longone, usa il vocabolo 7rò>.t;
per dinotare che esso ai suoi tempi era veramente
una città. La zecca di Lòngane o Longone coniava
la seguente litra d'argento :
• #
1. ^ — AOrrANAION (leggenda retrograda) Testa giovanile
di Ercole a destra con pelle di leone. C. p.
I^ — Testa giovanile a sinistra del Dio del fiume Leu-
catea con corti corni.
Head, p. 151; Poole, p. 96, n. i, gr. 0,712; Holm, n. 345; Hill, p. 92.
Gabinetto Numismatico. Biblioteca Nazionale di Parigi, gr. 0,65.
Il tipo del diritto di questa piccola moneta al-
lude al culto in onore di Ercole molto difi'uso presso
le popolazioni greche dell'antica Sicilia, mentre quello
del rovescio si riferisce ad un Dio fluviale. In un
paese eminentemente agricolo come l' isola, in cui
le condizioni climatiche fanno iipprezzare grande-
mente i benefici dell'acqua, non è da farsi meravi-
glia se vi fosse sede di un culto dove scorreva un
fiume, che dalla fantasia popolare religiosamente ve-
niva personificato. I greci, che vennero a stabilirsi
nella Sicilia, aggiunsero ai loro patri culti anche
LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 457
questi propri degli indigeni e la loro religione dette
un grande sviluppo alle divinità fluviali; quindi, se-
condo queste credenze, il piccolo fiume Leucatea,
che scorreva verso Lòngane, venne divinizzato. Que-
sto limpido fiume, come viene da alcuni asserito,
ben diverso dell'Amenano, che immettendosi nella
cosidetta Gurna di Nicito scorreva ad ovest della
collina di S. Sofia sopra Cibali, scorreva ad est di
detta collina e si scaricava nel bacino del porto di
Longone, come lo confermano ora le acque del Fa-
sano e della Licatia e quelle che sotto la lava rag-
giungono il mare nel lungo tratto dell'attuale sta-
zione ferroviaria di Catania al seno di S. Giovanni
li Cuti.
Nelle vicinanze delle bocche dell'eruzione del-
l'anno 1381 vi è un canale nominato volgarmente
cafòli, il quale imita al naturale un letto di fiume
abbandonato, tanto che l'Amico (op. cit., tomo I,
pag. 45) giustamente sostiene che sia stato l'alveo
di quel fiume che sboccava sotto la Licatia. Tale
opinione è fondatissima perchè chi osserva quei luo-
ghi si convince subito che quel canale doveva es-
sere il corso naturale del fiume Leucatea. Difatti la
lava, che si avanza secondo la legge dei liquidi, ha
dovuto avanzare celeramente verso il mare e di-
struggere il porto dell'antica Catana.
Sebbene in questa litra d'argento vi sia la leg-
genda con la scrittura retrograda, che potrebbe fis-
sare la data della coniazione nei primi anni del pe-
riodo di transizione, in cui non sono rare le monete
con simile scrittura, il tipo della testa del Dio flu'
viale invita invece a credere che la litra sia stata
coniata molto più tardi, cioè quando le divinità flu-
viali non vengono più raffigurate come mostri o
tori androcefali, ma trasformati in giovincelli di belle
fattezze, ad esempio nelle monete di Catana e di Gela.
68
45^ SALVATORE MIRONE
È stato chiaramente dimostrato che le dramme
dèlia zecca catanese incise da Eveneto, che portano
sul diritto la testa giovanile del Dio del fiume Ame-
nano, siano state coniate prima dell'asservimento di
Catana al tiranno Dionisio il Vecchio (Sallet. Die
antiken Miinzen, Berlin, 1909, pag. 17 e Zeitschrift
far Numismatik, I-II e Gardner, The types of greek
coins, Cambridge, 1883, pag. 129), anzi l'Holm (op.
cit., pag. 98); l'Head, pag. 177; l'Hill, pag. 76 ed
il Casagrandi (op. cit., pag. 23) giustamente opinano
che siano state cociate prima del disastro ateniese
ossia durante i tre anni 415-413 dell'assedio di Si-
racusa. Siccome vi è molta attinenza fra il tipo di
questa piccola moneta di Lòngane ed il tipo adot-
tato nelle dramme catanesi da Eveneto, da Choirion
e da Eracleida e siccome la piccola zecca di Lòn-
gane ha indubbiamente subito l' influenza dei tipi
della vicina zecca catanese, vi sono tutte le buone
ragioni per ritenere che la litra d'argento sia stata
coniata durante questo triennio 415-413 o pochi anni
dopo cioè durante gli anni 412-404: t.° perchè nelle
dramme catanesi le divinità fluviali sotto l'aspetto
giovanile compariscono indubbiamente nel periodo
assegnato dai sopracitati autori ; 2.° perchè Lòngane
durante la guerra ateniese con il suo naturale porto
ha dovuto acquistare una grande importanza per il
movimento delle navi e delle truppe degli ateniesi e
degli alleati ; 3." perchè Lòngane ha dovuto perdere
la sua autonomia e quindi ha cessato anche la sua
monetazione quando la vicina Catana fu conquistata
dai Siracusani nel 404 a. C.
Si potrebbe obbiettare che nella leggenda :
AOrrANAION non si fa uso della lettera lunga omega,
ma non bisogna dimenticare che non- si hanno no-
tizie certe quando sono state introdotte le lettere
lunghe in Sicilia e che fra le dramme di Catania,
LE MONETE DI LÒNGANE O LONGONE 459
riportate dal Poole a pag. 47, vi è quella a n. 41
con la lettera omicron: segno evidente che prima
del 400 a. C. non era generalizzato l'uso delle let-
tere lunghe età ed omega nella scrittura.
La moneta dal punto di vista artistico è di un
elevato stile, di quella graziosa arte allora nel mas-
simo fiore presso le popolazioni greche della Sicilia.
La testa del Dio fluviale ha molto rassomiglianza
per lo stile con quelle di Amenano delle dramme
catanesi e certamente l'autore, se pur non è uno dei
grandi artefici del periodo aureo, ha subito l' in-
fluenza dei grandi incisori suoi contemporanei ed ha
saputo dare alle figure del conio l'impronta della
sua specialità per il vigore dell'esecuzione e la bel-
lezza dell'espressione. Forse la coniazione di Lòn-
gane in questo suo periodo di prosperità non si è
limitata a questa sola litra d'argento, ma ha dovuto
abbracciare una ristretta serie di monete andate per-
dute per l'esiguo numero coniato.
Lòngane nel' periodo della decadenza dell'arte
coniava le seguenti due monete di bronzo :
2. ^ — Testa imberbe diademata, a destra. C. p.
5» — Cornucopia AOf
Mionnet, n. 253; Gabinetto Num. Bibl. Nazionale di Parigi, gr. 4.20.
3. B* — Stesso quasi simile.
I^ — Cornucopia AOf
Mionnet, n. 254 ; Gabinetto Num. Bibl. Nazionale di Parigi, gr. 2.82.
460 SALVATORE MIRONE
È strano che i più autorevoli nummografi, tranne
il Mionnet, non hanno fatto menzione di queste due
monete, mentre la leggenda accorciata secondo gli
usi introdotti sotto la dominazione romana non la-
scia alcun dubbio che si devono assegnare a Lòn-
gane.
Le monete indicano poi che nel periodo della
decadenza il castello di Lòngane seguitava ad essere
autonomo, data la sua vicinanza all'importante porto
del bosco etneo. 11 tipo della cornucopia dimostra
che il territorio doveva essere abbondante di pro-
duzioni agricole che, date le relazioni intense com-
merciali fra r isola e l' Egitto, i bei pezzi tolemaici
con la cornucopia non sono forse estranei alla scelta
del tipo ; il quale si diffonde rapidamente in Italia
ed in SiciHa. Il tipo del diritto dei due bronzi fa
dubitare che sotto la dominazione romana non sia
del tutto scomparso presso le popolazioni di quel
territorio il culto in onore della divinità del fiume
Leucatea, perchè le teste, sebbene in acconciature
ben diverse secondo la moda di quel periodo, sem-
brano riferirsi a questo Dio fluviale.
I conj dal punto di vista artistico non presen-
tano nulla di notevole e somigliano molto alle con-
temporanee monete di bronzo sicehote.
Je sens le devoir de remercier M/ Dieudonné, conservateur adjoint
du Cabinet Num. de la Bibliothèque de Paris de m^avoir envoyè les
moulages des monnaies et m'avoir fourni des informations sur leur poids.
Torino, R. Università.
Dott. Salvatore Mirone.
IL SIMBOLISMO PAGANO
SULLA MONETA CRISTIANA
V'è, nell'uomo, un senso istintivo di ripiegamento.
L'innovazione è solo nella volontà. L'umanità non
è sfuggita interamente ai ceppi, in cui l'avvinsero
e le prime credenze e le istituzioni prime. La fede
primordiale, la rudimentale civiltà lasciarono, nella
umana coscienza, una traccia, che né i secoli futuri,
ne le future generazioni progredienti varranno a can-
cellare. Questa verità etica, più che in enunciati filo-
sofici, è nel concetto di Montesquieu : « I primi
uomini fecero le istituzioni, queste, in seguito, fecero
gli uomini ». Le idee nuove non furono mai perfet-
tamente tali, e l'adattamento alle riforme seguì sotto
l'influenza di principi preesistenti. L'evoluzione stessa
non è che un richiamo al passato; non si evolve
ciò che non è. Così, nel graduale trasformismo di
concetti fondamentali, non si estinsero le prime fonti^
cui attinse l'umanità bambina. L'idea di Dio, p. es.,
della Creazione, del caos iniziale, ove ben si consi-
deri, non si formava che attraverso sentimenti e con-
cetti punto nuovi, ripetuti, derivati, dedotti da ele-
menti speculativi remotissimi. È facile così passare
dalla Trimurti indiana, o dalla Triade egizia, ai Tre
Dei superiori dei Greci e.... alla Trinità Cristiana ;
ovvero, dal miracolo del Pramantha, al prodigio
462 NICOLA BORRELLI
Prometeo, al sacro fuoco di Vesta, alle fiamme eterne
e purificatrici, che attendono i moderni peccatori
della Chiesa. Non dovette dunque esser molto diffi-
cile allo Schlegel spiegare il mito della Vergine Ma-
dre, risalendo alla Tkn-jou, la Celeste Nutrice, degli
antichi Chinesi.
La digressione, che mi accompagna nel modesto
campo prefissomi, basta a far rilevare come su re-
motissime orme l'umanità tracciasse il suo cammino
ascendente ; e, come nei miti, nelle credenze, nei
dommi, così ancora nel simbolismo jeratico o demotico
o — per dirlo con parole più povere — religioso
o civile, si riscontra il progressivo adattamento al-
l'innovazione. Si provi, p. es., a concepire, materian-
dola, l'idea della sovranità e del dominio, senza ri-
correre all'immagine della corona, dello scettro o
del soglio; il simbolo, se pur si rinvenga, riuscirà
oscuro ed incerto ; o s' imprechi, con furore di po-
polo, contro il principe tiranno, ingiusto o crudele...
i sudditi non riusciranno a distruggere i simboli della
sovranità e del dominio ; abbia pur sormontata la
testa di un Diocleziano, il feroce persecutore dei
Cristiani, la corona radiata, il nimbo... questo sor-
monterà la testa del Redentore, della Vergine, dei
Santi ; abbia pure indossato il manto di porpora un
Nerone, un Caracalla, un Giuliano II — l'apostata —
rivestirà quel manto la figura del Nazareno.... Ecco
dunque dei simboli prettamente pagani, passati, per
tacita convenzione, nei domini d'opposta fede.
Non è certo il campo numismatico, nel quale
occorre eh' io resti, il più fecondo per l'esame del
simbolismo pagano entrato — diciamo così — nel-
l'orbita dell'arte cristiana. Il più ricco materiale, per
un tale studio, è dato — ognun lo sa — dalle Cata-
combe ; i più stridenti anacronismi ivi si rinvengono
nella simbolica cristiana. Per un certo eclettismo,
IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 463
cui non sfugge il neofita, si confusero colà, colle
concezioni e visioni nuove, i più remoti elementi
d'arte pagana. Sia che quei primi artisti cristiani
non sapessero staccarsi dai tipi adottati, per tanti
secoli, dai maggiori, sia che, la mente ancora invo-
luta nelle rimembranze gentilesche, essi non ardis-
sero abbandonare completamente quanto formava
l'eredità di antichissime civiltà; sia ancora per quella
tara atavica, per cui l'uomo, specie se semplice o
debole o esaltato, sfugge all'analisi dell' incertezza,
delle imperfezioni, degli errori, su cui mossero i suoi
predecessori, indotto piuttosto, dall' influenza di ca-
ratteri ereditari, ad esprimere concetti e credenze,
col mezzo più noto ed accessibile, per tutto ciò, di-
cevo, il più strano accozzo di tipi pagani e cristiani
si riscontra in quegli umili tempi, preparati dall'eroi-
smo dei fossori, ai neofiti cristiani. S'alternano così,
in quelle pitture parietarie, idoli e martiri, animali
favolosi della mitologia e cristiani oranti, immagini
del Buon Pastore e scene del Vecchio Testamento ;
e poi fregi e motivi decorativi prettamente pagani :
corone, festoni, geni, ecc. l'eclettismo, dunque, di
neofiti e di gnostici. Il tipo stesso del Buon Pastore
non è che la diretta derivazione dell' Hermes erio-
foro dei Greci.
Per quanto dunque, come abbiamo detto, non
sia il campo numismatico il più adatto e rispondente
alla comparazione — diciamo così — del simbolismo
pagano con quello cristiano, pure, la moneta, che si
impronta al nuovo carattere religioso, non va, ancor
essa, immune da quell'adattamento dei tipi antichi
ai concetti e sentimenti nuovi. Dei quali, ancora in-
decisi ed incerti, è evidente esponente un piccolo
bronzo di Costanzo II, nel cui rovescio vedesi l'Im-
peratore che, ritto su di una nave, regge colla si-
nistra il labaro col monogramma di Cristo e colla
464 NICOLA BORRELLI
destra la fenice, l'uccello che rinasceva dalle pro-
prie ceneri, epperò, ora, simbolo di rigenerazione ;
mentre, a lato dell'Imperatore, seduta al timone, sta
la Vittoria alata, con fra le mani il sacro attributo
di Nettuno: il tridente.
Il concetto è dunque reso : ma attraverso un
simbolismo del tutto pagano. Del resto, eccettuati
pochi esempì, i tipi della prima arte cristiana si con-
tinuano in una sempre crescente decadenza ed uni-
formità. Povera ed avvilita l'arte monetaria, come
quella in genere, si svolge attraverso pochi ed umili
tipi, divenuti tradizionali e direi quasi dommatici.
Ove l'arte fosse stata, pur nel trionfo della fede,
meno schiava e tenebrosa, più franca, più larga, più
espansiva, esempì più numerosi avrebbero confortato
la nostra modesta esegesi tipica; ma quell'arte,
chiusa ancora nei veli della superstizione e del mi-
stero, nulla esigeva, poco chiedeva, pochissimo era
chiamata ad esprimere, oltre l'esaltamento della nuova
fede abbracciata. Pure, in quell'oscurantismo intel-
lettuale, nel misterioso ed arcano raccoglimento, che
andava trasformando l'umanità ; all'alito di quella
immateriahtà, cui attingevano i nuovi principi, for-
mavasi il sostrato della nuova arte, grandiosa e
sublime, che dovea poi guidare, attraverso gli ori e
le ieratiche figurazioni dei Bizantini, alle eteree vi-
sioni del Beato Angelico, alle dolci e vitali imma-
gini dell' Urbinate, alle forti, sovrumane concezioni
di Michelangelo.
E la divagazione ci conduca ormai al simbolismo
pagano, che s'insinua ed afferma nell'arte cristiana,
e però ancor sulla moneta, che s'impronta al nuovo
carattere religioso.
Non v'è lettore, io credo, che, nel volger la
mente ai simboli cristiani, non fermi subito il suo
pensiero sul maggior simbolo della fede: la Croce...
IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 465
l .
l'emblema del divin martirio, lo strumento della Pas-
sione... Ebbene, la Croce, che seppe lo strazio della
grande Anima Nazarena ed il pianto in cui si sciol-
sero le dolcissime creature — le Marie — suadenti
con l'opera pietosa, al sacrificio supremo, la Croce,
dicevo, è ancor essa, un antico simbolo pagano. Se-
gno ieratico di vita presso gli Egizi, la T geroglifica,
che è la croce ansata nelle mani di Fta, è ancora,
tra gli Ebrei, il simbolo di rinnovata esistenza, se-
gnata sulla fronte dei ravveduti di Gerusalemme.
Ma poiché all' « Osanna » seguì, risuonando per la
valle d'Israele, il grido a Crucifigel » l'infame stru-
mento del martirio, il « lignuni crucis », issato sul
Golgotha per la redenzione dei popoli, divenne il
simbolo supremo della Fede, il segno in cui ogni
battaglia è vinta: « In hoc signo vinces ».
Così, mutato nel concetto e nell'espressione, Tan-
ticu simbolo pagano, la Croce, entra nella religione
e nell'arte cristiana. Adottata per la prima volta sulla
moneta da Giustiniano II, « servus Christi », lo è in
seguito dagli imperatori bizantini, dalla maggior parte
dei principi del medioevo e dalle città libere, e an-
cora frequentemente, da stati e sovrani moderni, tra
cui. principalmente, dai re di Napoli e di Spagna.
Nella foggia più varia, non v'è, si può dire, zecca
d'Italia che non abbia adottato, in qualche esemplare
almeno, il gran segno cristiano: dall'egizia alla greca,
dalla latina a quella di S. Andrea, dalla patente a
quella di Gerusalemme, la Croce è il tipo più dif-
fuso sulla moneta bizantina, medioevale e moderna ;
essa appare, attraverso la monetazione, ornata, an-
sata, fiorita, fiammata, pomata.
E compaiono, sulle monete degli imperatori di
Oriente, i tipi del Redentore, della Vergine e dei
Santi; ma la pagana Vittoria è appena scomparsa,
per ricomparire ancora su qualche moneta pontificia
59
466 NICOLA BORRELLI
(Adriano IV, Leone X). La Vittoria costituì il tipo
più usato nella monetazione del morente Impero Ro-
mano e del fiorente Cristianesimo: Gioviano, Onorio,
Valentiniano III, gì' imperatori araldi della Fede, eb-
bero sulle loro monete la Vittoria; Onorio vi appare
da essa incoronato, mentre sostiene il labaro cri-
stiano; in una medaglia di Galla Placidia, la dea
alata, regge invece della corona, la Croce. Non più,
certo, allusiva ora alle conquiste delle legioni e alle
vittorie degli eroi, ma a ben altri trionfi, da conse-
guirsi « in più belle prove ». E la Vittoria cedeva
agli Angeli le ali, come a lei le avean cedute i
Genii, ed a quelli, forse, V Iside Crusotera.
Così delle corone, che frequentemente, sulle
monete, rinchiudon la croce: non più il simbolo della
Vittoria, conseguita nel circo o in battaglia, ma quello
del premio Juturo... Così il nimbo sulla testa del Sal-
vatore, sarà il simbolo di quell'altro regno, che a
Gesù conseguiva, per feroce irrisione, uno straccio
di porpora, una corona di spine, uno scettro di canna.
Altro simbolo pagano, irradiato dalla luce della
fede nuova, è il labaro: il vessillo « flamulae rufae »,
l'antica insegna legionaria. A nuovo carattere im-
prontato, recante il monogramma cristiano, sarà ora,
il labaro di porpora e gemmato, che precederà gli
imperatori cristiani. Al trionfo guiderà ora l'anima
redenta, come già le formidabili legioni alla conquista
ed al sangue.
Derivazione di quel panteismo che integrò il
culto della Roma repubblicana e dell'impero, e che
rinvenne il suo motteggiatore in Caio Lucilio (Patrio
suolo aurunco, onore a te!) son poi le personifica-
zioni allegoriche, che appaiono fin sulle monete pon-
tificie o di principi cattolici medioevali e moderni,
improntate a carattere religioso: la Giustizia (Sisto V),
l'Abbondanza (Innocenzo XII), la Carità (Clemente XI),
IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 467
la Sicurezza (Ferdinando IV), la Maternità (Ferdi-
nando IV e M. Carolina). E così le frequentissime
personificazioni di città. Non è il caso d' includere
in questi tipi di derivazione pagana, quelli d* indole
assolutamente gentilesca, costituenti le impronte dei
nummi di Costantino, quali, per es., Pallade, Marte,
il Sole, ecc. Essi ricorrevano in un periodo di tran-
sizione, in cui rimperatore, che per opportunità più
che per sentimento, intendeva costruire la sua po-
tenza sulle basi della nuova religione, da questa non
attingeva che attraverso gli adattamenti della propria
coscienza ed il lento e prudente sovvertimento del
remotissimo culto pagano. Costituiva dunque quel
connubio di tipi e di simboli un graduale avvia-
mento alle nuove credenze ed alla politica religione
del Gran Costantino, la cui prudenza non seppe di
meglio suggerirgli che lasciare Roma ai papi e tra-
sportare a Bisanzio la sede dell'Impero.
Altri simboli pagani, nella monetazione medio-
evale e moderna, suggeriva la storia e la tradizione
di città che battevano. Così, per es., la Lupa sulle
monete di Adriano IV (zecca di Roma); il Monte
Olimpo, Pallade o il Pegaso sulle monete della zecca
di Mantova, in ricordo del sommo poeta latino. Altri
tipi ricorrono per analogia ed allusione : Saturno,
per es., sulla moneta di Ercole II d'Este (zecca di
Ferrara) ricorda il PubbHco Erario dell'antica Roma,
annesso al Tempio di Saturno (e, non diversamente,
quella divinità appariva su molti denari della Repub-
blica Romana battuti sotto la giurisdizione di que-
stori, di cui uno, il « quaestor urbanus », era pre-
posto alla custodia del Pubblico Erario) o la Lupa,
come sulle monete di Adriano VI (zecca di Piacenza),
il cui tipo veniva adottato per la glorificazione della
Città eterna.
Ne mancano i tipi, che io chiamerei di osten-
468 NICOLA BORRELLI
tazione, e che rispecchiano la vanagloria di principi :
vediamo infatti, per la sola rispondenza del nome,
la testa di Alessandro Magno sulle monete di Ales-
sandro Farnese (zecca di Parma) e il ricordo del
gran conquistatore richiama ancora, sulle monete di
quel principe, il tipo di Pallade-Minerva, mentre non
trascurato è S. Ilario...
Per analogia di riti, o per inspirazione a re-
moto e saldissimo culto, altri simboli pagani ricor-
rono sulle monete cristiane : così l'ara sulla moneta
di Adriano VI (zecca di Parma); la fiamma, accom-
pagnata dalla leggenda « vestali purior », sulle mo-
nete di G. Francesco Pico (zecca di Mirandola).
Molti altri tipi, riportati da monete del medio
evo e moderne e che risentono di derivazione pa-
gana, trovano origine nella fantasiosa ideazione di
distintivi e di fregi, di cui s'ornarono principi e feu-
datari, capitani di ventura e cavalieri, e che finirono
poi per diventare gli emblemi delle città e le armi
di nobiltà: ma la ricerca di quei tipi ci trasporte-
rebbe oltre i limiti assegnati a brevi osservazioni,
suggerite dalla ricorrenza di simboli pagani su mo-
nete cristiane: intendendo per tali quelle recanti evi-
dente segno cristiano e toccando appena altre, emesse
da principi, che improntarono a carattere significa-
tamente religioso la loro monetazione.
Il leone e Faquila ricorrono frequentemente sulle
monete pontificie : il leone di Cibele e l'aquila di
Giove simboleggeranno ora gli evangelisti S. Marco
e S. Giovanni. Così la belva di Nemea, e che, pei
campi di Berccinto, traeva, su carro trionfale, la
Gran Madre, alluderà alla Fede forte ed invincibile,
come l'aquila di Giove e delle apoteosi sarà il sim-
bolo dello spirito, che aleggia alla conquista del
Cielo. Sulla moneta di tanti papi e di tanti prin-
cipi e Stati ricorrono i due simboli pagani : l'aquila
IL SIMBOLISMO PAGANO SULLA MONETA CRISTIANA 469
delle legioni e l'attributo della feconda Dea di Pes-
sinunte.
L' allegorico dominio del mondo , passato al
Redentore « Rex regnantium » induce gli imperatori
e principi cristiani a ricorrere ad altro simbolo pa-
gano : il Globo. La sfera nicefora, che appare sulle
monete di Diocleziano, Massimiano, Valente, ecc.,
spesso retta dagli imperatori, divenuta crucifera, si
vede nelle mani di Onorio, di Valentiniano III, di
Costantino XI, di Antemio, di Giustiniano I, ecc.,
come sulle monete ancora dei religiosi re di Napoli,
Roberto d'Angiò, Alfonso d'Aragona, Carlo II di
Austria.
L' idea della forza e del fasto non andò poi di-
sgiunta dal religioso sentimento cristiano. E ancora
qui ritorna il ricordo simbolico pagano dell'eroe e
del trionfatore. In ogni tempo, come ancor oggi,
nessuna figurazione allegorica del trionfo trovò mag-
gior favore dell'eroe cavaliero. I monumenti equestri
ne sono l'esponente. Quel concetto di esaltamento e
di glorificazione, come sulle monete di Filippo di
Macedonia, di Traiano, di Marc'Aurelio, di Decio,
di Costanzo Gallo, lasciò ancor traccia su molte mo-
nete medioevali, su cui ricorre l' immagine di Santi
cavalieri. E qui rammento : S. Antonio (zecca di
Lucca e di Piacenza, Ranuccio li Farnese); S. Co-
stanzo (zecca di Saluzzo, Ludovico li); S. Maurizio
(zecca di Savoia, Carlo II) ; S. Giorgio (zecca di Tas-
sarolo. Filippo Spinola; zecca di Tresana, Francesco
Malaspina); S. Crescentino (zecca di Urbino, Clemen-
te Xlj ; S. Giuliano (zecca di Macerata, Grego-
rio XIII), ecc.
Infine le chiavi, l'attributo di Giano « Patulcius e
Clusius » che presiedeva alle porte del Cielo, passano,
per nuovo significato, nelle mani del principe degli
Apostoli, S. Pietro, a simboleggiare come Egli, il rac-
470 NICOLA BORRELLI
coglitor di proseliti, il fanatizzatore di turbe, apra
e chiuda le porte dell'ai di là, alle anime assetate
di vivissima luce. Così che molti papi adottarono,
sulle loro monete, il tipo delle chiavi decussate ;
r ideale attributo dell'Apostolo, che venuto d'Antio-
chia a Roma, a gettarvi il seme della nuova fede,
faceva sì ch'essa trionfasse di tutte le persecuzioni,
di tutti i martiri, di tutte le stragi, con cui s'inveiva
contro gli insani, i ribelli, i profanatori, che osavano
attentare alla religione eroica dei maggiori, che pen-
savano di rovesciare il gran tempio pagano.... Tali
i neofiti, nell'idea dei persecutori...
Curano (Caserta), Ottobre iijió.
Nicola Borre lll
LA ZECCA DI BENEVENTO
2.° Periodo (774-900) - Monetazione principesca
(Continnaxione e fine; ved. fase. (II-IV, 191S; 'mc. I, III, 1916).
Una vera anarchia, dopo la morte di Sicardo,
regnò per due mesi nel principato beneventano, alla
cui signoria si sottrasse Amalfi per tema di essere
oppressa dall'ignoto successore al trono, si ribellò
Landolfo, il bellicoso castaido di Capua, quando Ra-
delclìi ebbe ad impadronirsi del disputato potere.
Dandosi a Siconolfo, il prigioniero di Taranto,
Salerno innalzò il vessillo della ribellione ''> e la lotta
che seguì stremò le forze del principato beneventano,
già sconvolto tra rivoluzioni e disordini, già esposto
ad essere invaso da ogni Iato. 1 due avversari, cia-
scuno con propria Corte nella sua Capitale, si inti-
tolarono entrambi nei diplomi e nelle monete Prin-
cipi e cominciarono tra i diversi
principi, non esclusi i napoletani che ne profittarono,
le dissenzioni che dovevano essere causa dei fre-
quenti ritorni dei francesi e dei saraceni, nonché dei
mali a cui le nostre terre soggiacquero ancora. Lu-
dovico II ebbe quindi agio di sostituire alla sua su-
premazia puramente nominale la militare occupazione
del principato di Benevento e più vigorosa divenne
Tautorità degli Imperatori d'Occidente, che da tribu-
tari dello Stato beneventano dovevano divenirne
presto feudatari. Così ancora cominciarono a divi-
dersi i principati in contadi, i contadi in altri con-
tadi, ed a formarsi quei feudi che si videro in pro-
gresso di tempo sempre più numerosi e cagione di
frequenti guerre civili.
Il giovane Radelgario successe a suo padre Ra-
delchi, ma dopo due anni moriva <4) lasciando erede
del trono il fratello Adelchi che, a restaurare la po-
litica di Arichi, cercò ogni modo per stimolare il
sentimento nazionale longobardo; i generosi suoi
sforzi non potettero però trattenere lo Stato preci-
pitante verso la sua infelice fine, mentre, a detri-
mento di esso, Salerno e Capua si acquistavano pro-
gressivamente maggiore preponderanza. Vittima di
una congiura, ordita dagli stessi suoi congiunti, ca-
deva Adelchi trucidato da un sicario ed invece del
figliuolo Radelchi, gli succedeva il nipote Gaiderio,
col quale si congratulava pubblicamente Giovan-
ni Vili ^5) ; il principato beneventano, agognato dai
Franchi di Spoleto, dal Pontefice, dai bizantini, dive-
niva la mira di tutte le ambizioni, la preda disputata
(3) Schifa M., Storia del Principato longobardo di Salerno in: Arch.
Stor. Napol., anno 1887, f. I.
(4) Pellegrini, Hist. Pr. Lang., ecc.
(5) Erchemperto, c. 40, 41, 42, 44, 45, 46, 47, 250, 254. — Cron.
Salem., e. 123, 134, 125, 534.
60
474
MEMMO CAGIATI
fra emiri saraceni, duchi napoletani, stratigoti greci,
nunzi papali e nobili romani.
A Gaiderio, preso a tradimento da Landone di
Capua e consegnato prigioniero ai Franchi, successe
Radelchi II, il figlio primogenito di Adelchi, reinte-
grato nel suo diritto di successione; deposto tre
anni dopo, il potere passava ad Aione II fratello
di Adelchi. Alla morte di Aione succedeva il di lui
figliuolo Orso, bambino di dieci anni appena, al quale
i greci facilmente tolsero il dominio.
Data in reggenza dall'imperatore Leone a Sim-
batico, che l'aveva conquistata, poscia al governatore
Giorgio Patrizio, Benevento fu governata dai greci ;
venne Guido a scacciare Giorgio Patrizio, ma il prin-
cipato si trasformò in un nuovo impero della Casa
di Spoleto ; tornò ancora al potere il detronizzato
Radelchi II, ma due anni dopo Atenolfo investi Be-
nevento e si impadronì di Radelchi. Dopo la lunga
agonia rapida era giunta la fine miseranda del prin-
cipato beneventano che, ridotto in provincia, formò
parte del contado di Capua, fu assoggettata a quel
feudo che un tempo gli era stato dipendente.
Questo r ultimo periodo del principato bene-
ventano, di cui per ciascun principe v^erremo qui
appresso esponendo le monete.
• *
Radelchi, (839-851) che Erchemperto ci dice te-
soriere del Regno 0), che invece la Cronaca di S. Ben.
Cassin. chiama rotarius palatii, ossia cameriere di
Corte (2), nella contesa contro Adelchi, figliuolo del
cancelliere RoffVido, seppe vincere le aderenze della
(i) Erchemperto, c, 14, 240. — Diplomi Sicardi.
(a) Cron. di S. Ben. Cassin. e. 5. — M. G. H. SS. RR. LL. et
Ital., 471.
LA ZECCA DI BENEVENTO 475
caduta dinastia e quella di Landolfo di Capua, seppe
far precipitare dall'alto del Sacro Palazzo il vinto
rivale. Radelchi ebbe il torto di non occuparsi d'altro,
nei primi momenti del suo principato, che di repres-
sioni e vendette, per conseguenza fu costretto a de-
dicare tutto il resto della sua vita all'aspra lotta con-
tro Sicoiiolfo, l'eletto di Salerno. Questi, negli estremi
istanti della sua esistenza, rimpianse forse di non es-
sere riuscito ad espugnare Benevento quando aveva
potuto cingerne d'assedio le mura, il che avrebbe
risparmiata la guerra civile che inferì per tanto tempo
ancora; Radelchi però dovè portare nella tomba, pochi
mesi dopo, il rimorso di essere stato l'autore della
divisione del gran principato beneventano. Vittime
entrambi delle orde saracene che chiamarono in loro
soccorso, i valorosi avversari restano nella storia
come due belle figure del tempo, a cui il destino
incombente sulla fortuna delle nazioni commise il
triste mandato di rovinare il dominio da Zottone
istituito.
Le monete di Radelchi, e così quelle di Sico-
nolfo, ebbero lo stesso tipo delle monete coniate dai
precedenti principi di Benevento; si potrebbero anzi
immaginare le une e le altre prodotto della stessa
zecca beneventana, se le cronache non assicurassero
le prime battute in Benevento e la storia non ci di-
cesse che in Salerno soltanto Siconolfo ebbe il suo
dominio, e prima e dopo della divisione tra i due
principati.
Principe splendido, più che liberale e generoso,
padre di numerosa prole, Radelchi venne a morte
neir 851 ed ebbe a successore il suo primogenito
Radelgario.
476
MEMMO CAGIATl
(Tipo A).
V
I. Soldo d'oro.
B' — RAD — + — ELCHIS Busto di prospetto tenendo nella
destra il globo crucigero.
I^ — ARCHANG-E:- MICHAEL- Croce, su tre gradini, affian-
cata dalle lettere R — A Radelchis {vedi fig). R. EL.
Coli, del prof. dell'Erba di Napoli.
(Tipo B).
ì M. I
I. Denaro.
& — • PRINCE BENEBENTI Nel campo, in monogramma,
Radelchis.
R) — ARHANG-EL • MICHAEL Croce, su tre gradini, accostata
da un globetto e da un triangolo {vedi fig.). R. ^
A. iSaniboii, Le Musée, pag. 22.
iedIi
2. Idem.
^ — ARCHANGE MICHAEL : Nel campo, in monogramma,
Radelchis.
R) — + RADELINSE PRINCES • Croce, su tre gradini, af-
fiancata da due puntmi {vedi fig). R. M
Culi. Cagiati.
3. Idem. — Simile al preced. con RADELCHIS- La crocee
affiancata da un globetto ed un triangolo.
A. Sambon, Le Musée, pag. 22.
La zecca DJ BENEVENTO
477
4. Idem.
B' — • RADELCHIS PRINCEPS Nel campo tridente, avente
nel centro una spig^a di grano.
^ — • ARCHANGE MICHAEL Croce rincrociata da quattro
losanghe {vedi fig.). R. M
Wroth, British Museum, pag. 182, n. 3, pi. XXV, n. 3.
5. Idem.
/B' — RADELCIHS PRINCEPS Simile al precedente.
1? — ARCHANG-E niCHAEL Simile al precedente, la spiga
termma con tre puntini. R, M
Wroth, British Museum, pag, 182, n. 2, pi. XXV, n. 2.
*
Radelgario (851-853). Poche notizie ci dà la
storia di questo VII° principe di Benevento, che regnò
appena due anni. Giovane ventenne, valoroso ed
astuto, educato alla scuola delle armi e degli intrighi
politici, quando la guerra sedea sovrana nel prin-
cipato, Radelgario fu tra coloro che per aiuto ri-
corsero a Ludovico II, perchè 1*852 i saraceni, sta-
biliti in Bari, dilagando nella Puglia e nella Cala-
bria, si avanzavano insino a Salerno e Benevento.
Le abbattute forze dei due principati non sareb-
bero bastate a reprimere quest'altra invasione e,
ad ottenere il soccorso del re francese, fu necessità
offrirgli giuramento di obbedienza e quella suddi-
tanza^') che lo stesso Carlo Magno e Pipino, figliuolo
(i) Erchemperto, n. 20 ' */ shtus inquiunt, fidelissimi famuli tìlius,
"cosiiluatque nos suòesse cuilibet ultimo suorum „.
473 MEMMO CAGIATI
di lui, non potettero conseguire da Arichi e da Gri-
moaldo.
Ludovico venne in Italia, portò le sue armi
verso Bari, sicché i saraceni furono costretti a ri-
tirarsi, però accortosi della infedeltà dei capuani,
che si erano sottratti a prestare il loro contributo
di guerra, e della dappocaggine del governo che si
teneva in Salerno a nome dell'infante Sicone, sde-
gnato, aspramente trattò i primi, pose Salerno nelle
mani' di Ademario, valoroso capitano franco, e con-
dusse con se il fanciullo Sicone nel tornarsene in
Lombardia (^). Così i principi longobardi comincia-
rono a sentire il giogo gravoso della altrui domi-
nazione, mentre nel dicembre 853 Radelgario moriva
ed il principato beneventano passava in potere del
di lui fratello Adelchi.
Di Radelgario non conosciamo monete ed è assai
probabile che egli non ne abbia coniata alcuna nel
breve tempo di suo dominio.
* *
Adelchi (853-878). Troppi ostacoli si oppone-
vano alla realizzazione dei generosi disegni di Adelchi
che, per sentimento patriottico, ribelle all'autorità
franca, entusiasta ammiratore e seguace della poli-
tica di Arichi, si proponeva, salendo al trono, di ri-
pristinare in tutta la sua passata gloria la nazionalità
beneventana. Le incessanti rivalità tra i principi
longobardi, apportatrici di discordie interne, le de-
vastatrici invasioni dei saraceni, che non avevano
sgombrate le nostre contrade, la rinascente potenza
dei greci, per Adelchi temibile quanto i successi di
(i) Ignot. Cassin, n. 13. — Anonym. Salernitani ineiiit apud Ca-
/niilum Pelle^rinum.
LA ZKCCA DI BENEVENTO 479
Ludovico II, resero vano ogni sforzo del generoso
principe, rovinarono a poco a poco l'unità, la forza,
la gloria del principato.
L'imperatore si prestò ancora nell'Sóó a com-
battere gli arabi, ma per imporre sempre più le sue
pretese nell'Italia meridionale, il suo diritto autori-
tario su i longobardi. Capua disfatta, Salerno minac-
ciata, dovettero subire la sovranità dei Franchi,
Adelchi dovè far buon viso ad avversa fortuna ed
associare al potere Ludovico.
I saraceni furono sconfìtti dalle forze imperiali,
Bari fu restituita al principato beneventano e Ludo-
vico delle sue vittorie trasse il maggior profìtto tor
nando in Benevento più che da padrone da con
quistatore e signore assoluto. Sergio di Napoli, Guai
ferio di Salerno, Marino di Amalfi (^), preoccupati
dei progressi di Ludovico, minacciati anch'essi nei
loro domini, si accordarono con Adelchi, che già
pensava a scuotere 1* indegno giogo, e la rivolta
scoppiò il 13 agosto 871 '2); quella notte le inorgo-
glite soldatesche franche, che avevano provocato
l'odio dei cittadini, furono dai rivoltosi messe in fuga ;
Ludovico ed Angilberga sua moglie sorpresi trova
rono immediato scampo in una torre fortificata del
Palazzo, in cui per tre giorni resistettero agli asse-
dianti, ma dovettero arrendersi prigionieri ed ebbero
salva la vita per intercessione del vescovo Alone
fratello di Adelchi.
La nuova della prigionia di Ludovico svegliò
il coraggio dei Saraceni che, di nuovo bottino ane-
lanti, traversarono la Calabria andando alla volta
(i) G. Diacono, c. 65, 435. — Vi/a Athanasii Episc. ntap., e. Vili.
— Erchemperto, c. 33, 34, 347.
(2) Di Meo, IV, 243, 245 (anticipa di un anno la ribellione beneven-
tana, ma le sue ragioni non sono salde e niuno le ha accettate. Vedi
ScHiPA, Storia del Princ. long., pag. 123).
480 MEMMO CAGIATI
di Salerno. Innanzi all' imminente pericolo, per con-
siglio del Pontefice Adriano II, Adelchi dovè rimet-
tere in libertà Ludovico <'), il quale giurò solenne-
mente di non portare mai più le sue armi contro
Benevento, di rinunziare a qualsiasi vendetta contro
i principi longobardi. Le mire di Giovanni Vili,
succeduto in quel tempo ad Adriano II, calcolavano
però sul braccio di Ludovico II; ad armarlo davano
occasione i saraceni che minacciavano Salerno, a
spingerlo alla lotta contro Benevento sarebbero ba-
stati i pieni poteri pontifici che avrebbero prosciolto
a tempo l' imperatore dai giuramenti fatti.
Neir 873 Ludovico tornò difatti con forte eser-
cito nella Campania ed i saraceni atterriti furono
disfatti sulle rive del Volturno e, messi in fuga, ri-
cacciati e confinati in Taranto; poi le armi di Lu-
dovico si volsero pur troppo contro Benevento e ne
invasero le provincie che sarebbero state distrutte,
se la mano di Giovanni Vili, che pronta attendeva
gli eventi, non si fosse alzata protettrice in favore
di Adelchi, cercando frattanto di mettere sotto la
sovranità pontificia gli Stati longobardi.
Ludovico nell' 874 tornò in Francia e vi morì
l'anno appresso; l'accordo tra il Pontefice ed Adelchi
non potè essere che di breve durata ; Benevento
strinse alleanza con i bizantini, a cui pagò il tributo
che un tempo esigevano i carolingi, ed i saraceni
tornarono ad invadere le ammiserite provincie e a
depradarle per rifarsi delle perdite subite. Bari,
troppo lontana dalla Capitale, ad evitare nuove stragi
e rapine, cercò aiuto ai greci (2) che la difesero prima
e se ne impadronirono poi, nonostante gli amiche-
voli rapporti con Benevento, e nel maggio 878, dopo
(1) Grbgorovius, 111, 207. — Di Meo, IV, 241.
(2) Erchemperto, 11. 38. — Lupo Frotospata nei a. 875.
LA ZECCA ni BENEVENTO
481
25 anni di regno, Adelchi cadeva trucidato ; una
congiura ordita dagli stessi nipoti del disgraziato
principe ne aveva decretata l'uccisione.
Non si conoscono monete d'oro di Adelchi e
nei contratti del tempo non se ne trova menzione ;
si hanno invece denari, che riscontrano le quattro
epoche della loro emissione con le relative vicende
del regno di Adelchi, di cui ci occuperemo a clas-
sificare per ordine cronologico.
1." Epoca {a nome di Adelchi) 853-867.
(Tipo A)
rM-^
I . Denaro.
fy — Nel campo + ADEL' i • ; PRIN.
ii — ARHANGEMIHAE Croce rincrociata da quattro lo-
fi. M
sanghe {vedi fig.).
A. Sambon. Le Musée, nag. 25.
(Tipo B.).
2. Idem.
>>'*— •:• ADELHIS - • - PRINCE Croce su tre gradini.
1; — A • RHAHGELVMICHAEL Croce, la. cui asta verticale
è ornata a ciascuna estremità da sette globetii e
sulla quale è innestata la lettera M (iniziale del
Santo protettore) {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 25.
et
482
MEMMO CAGIATI
(Tipo C).
3. Idem.
B' — + SANCTA MARIA Nel centro, disposlt in croce, le
lettere P | ADL I R {Adelchis Frinceps).
R) — + ARHANGELVniH Croce [vedi fig.\
A. Sambon, Le Musée, pag. 26.
M
(Tipo D).
4. Idem.
i^^ — + ADELCHIS IBPNI Nel centro, in monogramma di-
sposto m croce, Sanerà Maria.
Hj — • ARHANG-ELVS MIH Croce su tre gradini {vedi fig.).
R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 26.
(Tipo E).
5. Idem.
^ — + ADELGISI PRINCE Croce greca accostata dalle
lettere A — CO.
fi) — + ARHANGELVSniHA Nel centro, in monogramma
crucilornìe, Sancta Maria {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 26.
LA ZECCA Di BENEVENTO
6. Idem.
y — + ADELGISI PRINC Simile al precedente.
I^ — ARHANGELVS MIH Simile al precedente.
A. Sainbun, Le Musée. pag. 26.
483
k. .fi
(Tipo F.).
7. Idem.
B' — ADELCHIS PRIN Tempietto carolingio.
^ — + SCAM — •— ARIA Croce su tre gradini
accostata a d. da due globetti {vedi fig.). R. M
Coli. Cagiati.
(Tipo G).
8. Idem.
J>' — Nel campo monogramma del nome Adelchis sor-
montato da V, a destra un ostensorio, a sinistra
croce a lunga asta.
^ — • BENE — • — BENTV Croce, su tre gradini, accostata
dalle lettere M - H {vedi fig.). R. M
Coli, del prof. dell'Erba (ii Napol'.
9. Idem.
Simile al precedente con BENE — BENETV
Coli. Cagiati.
R. M
484
MEMMO CAGIATI
2." Epoca {a nome di Ludovico e Adelchi) 867-870.
(Tipo A).
ran
I. Denaro.
& — + LVDOVVICVS IMPE Spiga, a due steli ricurvati
e terminanti in tre globetti, accostata dalle lettere
A — R {Arcaftgelus).
T^ — + ADELHIS PRINCE8 Croce a lunga asta, superior-
mente rincrociata, accostata dalle lettere M — H
[Micael] {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 27,
(Tipo B).
ZMIÌ
2. Idem.
& — Nel campo, in quattro linee I | LVDO | VVICV \ " P ''
{Liidovicus Imperalor).
9( — + ARHANGEMIHAEL Nel centro, in tre linee, P | ADEL ]
R {Adelchis Princeps) {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 27.
3." Epoca {a nome di Ludovico, o di Ludovico ed An-
gilberga) 870-871.
(Tipo A).
30
r. Denaro.
i^ — + LVD0VVICV3 IMPE Croce rincrociata.
LA ZECCA DI BENEVENTO
48;
t^ — + BENEBENTV CIBI Tempietto carolingio {vedi fig.).
R. M
A. Sambon, Le Musée, uag. 27.
2. Idem.
Simile al precedente nel retro BENEBENTV CIB.
Fr. Fusco. Tav. VII, n. 2.
(Tipo B).
3. Idem.
I>^ — + ilTl LVDO i ! VVICV I P:- [Ludovicus Imperator)
in quattro linee nel campo.
li — + XP3TIANARELI(yl Croce, a lunga asta, accostata
dalle lettere Cu — A • {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. a?.
(Tipo C).
4. Idem.
^y — + HLVDOVICVco tMP R Croce in un cerchio di perline.
\^ — Nel campo, m tre linee. BENE ' BEN I TVM {vedi fig.).
Fr. Fusco. Tav. VII, n. 3.
(Tipo D).
5. Idem.
^ — + DOMLVDVVVICVS Nel centro IMP sormontato da
un globetto.
486
MEMMO CAGIATI
I^ — + DMA • ANGILBERGA Nel centro IMP • sormontato
da un globetto, sotto altro globetto {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 28.
6. Idem.
,tì' _ + DOM • LVDVVICVS Nel centro INP fra quattro
globetti.
P - DA {Domina) ANG-ILBERG-A Nel centro INP fra quat-
tro globetti. R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 28.
(Tipo E).
l'^n
7. Idem.
^ — + LVDOVICVS INP Cróce su tre gradini, a sinistra
un globetto.
^ — Nel campo, in quattro linee, + • | ANGIL | BERGA |
INP {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 28.
(Tipo F).
8. Idem.
^ — + LVDOVVIGVS INP Croce su tre gradini.
;pi _ + ANGILBERG-A NP Nel centro piccola croce rin-
crociata {vedi /ig.). R. ^
Coli. Cagiati.
9. Idem.
Simile al precedente con LVDOVVICVS
A. Sambon, Le Musée, pag. 28.
R. M
LA ZECCA ni BENEVENTO
487
(Tipo G).
IO. Idem.
TY — + LVDOVVICVS IMRE Nel centro, m un monogramma
criiiij'irnic. .-Uii^'i/sltis.
F^ — + ANGILBERGA inP Nel «-entro, in due linee, AGV
STA (veéii fig.). R. M
Culi. L'agiati.
ir. Idem.
Simile al precedente con ANGILBERGA IMPE R. M
A. Sambon. Le Musée, pag. 28.
12. Idem.
Simije al precedente con LVDVVIGVS INP
A. Sambon, Le Musée, pag. 28.
R. M
13. Idem.
Simile al precedente con un astro a destra del mono-
granìma tra le lettere V — S. R. M
Coli, de! prof, dell' Erba di Napoli.
4.' Epoca {a nome di Adelchi e Giovanni Vili) 871
(Tipo A).
I. Denaro.
'& — •¥ ADELGI • PRN Nel centro, in monogramma cruci-
forme, lOHA
\^ — Nel campo, tra due rosette una .superiore l'altra in-
feriore, SCAMP (Sancln Maria) {vedi fig.). R. A\
A. Sambon, Le Musée. pag. 29.
488
MEMMO CAGIATI
»
* «
Gaiderio (878-881). Accecato dal desiderio di
regnare Gaiderio. figlio di Radelgario, a capo di
una congiura votò alla morte Adelchi suo zio e gli
successe in luogo di Radelchi, a cui sarebbe spet-
tata l'eredità del trono come figliuolo primogenito
dell'ucciso principe.
Guidato soltanto dalla più sfrenata ambizione,
rinnegando puranco ogni sentimento di nazionalità
per conservare il dominio, Gaiderio nello stesso
tempo lusingava le brame di Giovanni Vili, nego-
ziava con i bizantini contro il Papa, a seconda delle
opportunità stringeva e tradiva amicizie ed alleanze.
Gli portò sventura spezzare quelle che lo tenevano
legato a Landone di Capua, perchè a trarne ven-
detta Landone unì il suo al partito dello spodestato
Radelchi e potè a tradimento aver nelle mani l'usur-
patore e consegnarlo prigioniero ai Franchi di Spoleto.
A Gaiderio riuscì poi di evadere e di rifugiarsi
a Bari ; si recò a Costantinopoli a chiedere prote-
zione agi* imperatori Basilio, Leone ed Alessandro
ed ottenne col titolo di Protospata il governo di
Oria, di dove per tutta la vita non lasciò di mole-
stare il principato beneventano <^).
L'unica moneta che si conosca di Gaiderio è la
seguente, di cattiva lega e d'arte molto scadente.
I. Denaro.
^ — Nel campo, in monogramma cruciforme, GAIDERI
PRIN.
(1) Ekchempek 10. 11. 39, 48.
LA ZECCA DI BENEVENTO 489
9 — Nel campo, in monogramma cruciforme, S MARIA
{vedi frg'). ^- ^
A. Sambon, Le Musée, pag. 30.
Radelchi li (8^1-884). Mentre i saraceni imper-
versando nel Mezzogiorno d' Italia sempre più met-
tevano dappertutto lo scompiglio e la desolazione e
il Pontefice Giovanni Vili fulminava con i suoi ter-
ribili anatemi i principi che, impossibilitati a difen-
dersi, erano stati costretti a far lega con gli inva-
sori ('), scomunicava e malediceva specialmente At-
tanasio di Napoli, che gli si era levato contro '2) j
mentre Carlo il Calvo accorreva in soccorso al mi
nacciato Stato pontificio, preceduto da Carlomanno
che con poderose schiere scendeva in Italia e ve-
niva dal Papa incoronato imperatore; mentre insor-
geva la guerra tra napoletani ed amalfitani da un
canto, capuani e benev^entani dall'altro, Radelchi II
regnò in Benevento nulla affatto tranquilla, anzi nel
più completo disordine.
Nell'agosto 884 Radelchi dovè lasciare il go-
verno tenuto per tre anni circa e prendere la via
dell'esilio, scacciato dai suoi sudditi malcontenti e ri-
voltosi che vollero in suo luogo Aione, fratello di
lui ^3). Del breve periodo di quel regno abbiamo
la seguente moneta :
Cr) Erchbmperto, n. 38, 39.
(2) Epistola 41, Jov. vili. — Epistola 22 (scomunica gli Amalfitani).
(3) Erchemperto, n. 48, 49.
ffi
490 MEMMO CAGIATI
1 . Danaro.
EV ~ Nel campo, in monogramma cruciforme, RADELSH
PRIN.
^ - + SCA MARIA Nt^l centro, in njonogramma cruci-
turnie, MIH('''^/ Archangelus) {vedi ftg-). K. M
A. S.iiiihmi, Le Miisée, pag. 30.
*
* *
AiONE li (884-890). Audace e valoroso, ambizioso
ed attivo, Aione II tentò di risollevare le sorti del
principato, risvegliando nei longobardi quel senti
mento d'orgoglio nazionale che li avesse resi soli-
dali e forti contro ogni tentativo d'invasione nemica.
Alla testa dei principi che lo seguirono attaccò i
greci spinti contro Benevento dalle mene del ven-
dicativo Gaiderio, si impadronì di Bari nell' 888
ed alleati a se i saraceni potè insieme ad essi scon-
figgere le truppe imperiali speditegli contro da
Leone VI. Abbandonato poi da quei principi che
per intrighi e per gelosie gli divennero contrari, im-
poverito di forze, dovè restituire Bari e tornarsene
affranto e sconfortato in Benevento, dove poco tempo
dopo morì lasciando alla mercè dei cortigiani l'erede
suo figliuolo Orso, un bambino di dieci anni su cui
il trono doveva precipitare.
Di Aione II non abbiamo che il seguente denaro
di scarso peso, dal Sambon giustamente chiamato
un triste campione della monetazione longobarda
emesso in quel periodo di guerre incessanti.
I. Denaro.
Jà" — Nel campo, in monogramma cruciforme accostata da
quattro globetti : AIO PRI.
LA ZECCA DI BENEVENTO 49I
9 — Croce, su tre gradini, accostata dalle lettere A — CO
{vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Miisée, pag. 31.
Orso (890-891). La morte del princij)e Aione
procurava una maggiore opportunità a Leone, l'in-
novatore deir impero d'Oriente, di tentare la con-
quista della Longobardia minore e Gaiderio non ri-
stava dal consigliarla. Il 13 luglio 891 un poderoso
esercito condotto da Simbatico accerchiava le mura
di Benevento ed il 18 ottobre la città era presa ;
Siponto e molte altre terre erano intanto già cadute
in potere dei bizantini.
Che ne avvenne di Orso si ignora U), come si
ignora se fossero state coniate monete in quei pochi
mesi che il governo fu tenuto in nome dello sven-
turato fanciullo.
Dominazione greca (891-895). Sullo scorcio del
IX secolo quelle terre, che la potenza dei forti e
valorosi normanni, debellatrice dei saraceni, dei
greci, dei longobardi, doveva riunire poi in un solo
regno, erano divise in tanti piccoli Stati <*;, n
principato di Salerno era governato da Guaimario,
che gì' imperatori d'Oriente, Leone ed Alessandro,
avevano assicurato in quel dominio e Capua obbe-
diva ad Atenolfo che aveva discacciati i suoi fratelli
(i) Catalogus Regnum Long, et Ducum Benev. — M. G. H. SS. RR.
LL. et Ital., 494. — Cron. Salem., e. 143, 144, 542, 543. — Antiales Be'
ttevenlani, an. 892, p. 174. — Lupus Prolospata, an. 891, p. 53. — Leone
Marsic, l. I, e. 49, 615. — Cod. Dipi. Cav., doc. CUI, I, 131. — Di Meo,
V. 50.
(2) GiANNONE P., Historia civile del Regno di Napoli, voi. II, lib. VII.
492 MEMMO CAGIATI
Landolfo e Landone ; buona parte delle Puglie e
della Calabria era passata sotto la dominazione dei
greci che mandavano patrizi e strateghi a governare
le varie città sottomesse ; Gaeta col suo piccolo du-
cato parimenti ai greci si appartenne, mentre il du-
cato di Napoli era rimasto autonomo ed indipendente
ma in confini molto ristretti, giacche distaccato da
Amalfi era sottoposto al governo di un duca che
riconosceva la sovranità dell' Impero greco. La città
di Benevento, trecentotrent'anni dopo da che i lon-
gobardi l'avevano tolta ai bizantini, ricadeva sotto
l'antico dominio ed i greci vi esercitavano un go-
verno così duro e tirannico che i cronisti del tempo
ce li descrivono quali dominatori più perfidi dei sara-
ceni, più crudeli delle bestie feroci.
Ristretto ed impicciolito, a beneficio di Salerno
e di Capua, il principato beneventano sotto i greci
fu dapprima governato per un anno circa da Sim-
batico, che ne aveva conquistata la Capitale, poscia
per altri tre anni da Giorgio, patrizio imperiale, in-
viato come governatore da Leone VI. Di questo pe-
riodo non si hanno monete beneventane perchè quella
dal Borgia attribuita a Giorgio Patrizio noi credemmo
classificare tra quelle del duca Gregorio.
*
Guido di Spoleto (895-897). Chiamato da suo
cognato Guaimario riuscì a Guido, figliuolo di Gui-
do Il di Spoleto <') (non già, come alcuni storici vo-
gliono, quel Guido che per il favore di Stefano V
fu vincitore nell'acerba lotta con Berengario, indi
l'acclamato imperatore d' Italia) di sorprendere ed
espellere nell'agosto 895 la guarnigione greca che
custodiva la città dei longobardi e fu così che i
(l) ErCHEMPERXO, 11. 79.
LA ZECCA DI BENEVENTO 493
greci perderono Benevento, mentre i beneventani, che
per sottrarsi al duro giogo dei bizantini avevano con
gioia accolte le schiere liberatrici di Guido di Spoleto,
dovettero subire per due anni il dominio di questo prin-
cipe straniero ('> che non battè moneta in Benevento.
* »
Interregno (897). Distratto da altre imprese e
costretto a ritornare a Spoleto, Guido deliberò di
cedere il principato di Benevento a Guaimario e
lasciò frattanto nell'SQy la città sotto la reggenza
del vescovo Pietro '^).
Frementi e concordi nel rifiutarsi a sottoporre
la città, avversa a dominare, in servitù del principe
di Salerno, i beneventani, acclamando il vescovo
Pietro, chiedevano l'autonomia del principato; quando
poi ebbero la nuova che Guaimario già si incamminava
alla volta di Benevento per prenderne possesso, ad
ostacolargli la strada incaricarono Adalferio, castaido
d'Avellino, nipote del nobile beneventano Roffrido.
Si vuole che questi fattosi incontro a Guaimario gli
offrisse ospitalità e profittasse poi nella notte deireb-
brezza in cui il principe convitando era caduto per
fargli cavare gli occhi dai suoi sgherri e che Guai-
mario fosse costretto a tornarsene con i suoi a Sa-
lerno a dolersi della mala ventura <3). Di questa dove-
vano poi profittare nel 901 i salernitani, stanchi del
malgoverno e della perfidia del cieco loro signore,
per deporlo dal trono, innalzando in sua vece il figlio
di lui, che fu Guaimario II '4).
(1) Anon. Sa/ern., e. 151 e seg.
(2) A. Sajìbon, Recueil des monnaies^ ecc. in : Le Musée, op. cit.,
pag. 32.
(3) Anon. Sa/ern., e. 152.
(4) Leges Bajoariorum, t. II. " non invalidum Ducem suo et regno
* ab filio dejici, sed Ducem viribus animi corporisque constantem, atque
" non caecum, vel non surdum, vetabant ,.
4-94 MEMMO CAGIATI
Il chiarissimo Arturo Sambon attribuisce al breve
periodo d' interregno con Pietro Vescovo la seguente
moneta, di cui possediamo un esemplare perfetta-
mente uguale anche per peso, a quella che si con-
serva nel R. Museo di Torino, la quale sembra battuta
a nome della città che era devota della Vergine Maria.
I. Denaro.
B — + BENEBENTV Nel campo croce latina accostata
dalle lettere A — Cu.
^ — + SCA MARIA Nel campo croce a sei aste {vedi
CoU. Cagiati.
*
* •
Radelchi II REINTEGRATO (897-900). Il 31 marzo
897, dopo dodici anni di esilio, Radelchi II era resti-
tuito da sua madre, l'imperatrice Ageltrude, al prin-
cipato che Alone gli aveva tolto ^^), ma, semplice e
dappoco, neanche in questo secondo periodo di regno
egh seppe accattivarsi l'animo dei suoi sudditi, ai
quali divenne presto odioso, specie per le crudeltà
che egli lasciava commettere in suo nome dal feroce
Verualdo suo favorito ministro.
Crebbero i disordini in Benevento nelle mani
di una aristocrazia sediziosa e d'un popolo corrotto,
molti cittadini abbandonarono la loro patria. Capua
li accolse, Capua che Atenolfo portava alla mag-
giore grandezza, sicché delle sollevazioni contro Ra-
delchi, della intelligenza che correva tra i congiu-
(i) Chron. i>aleru., e. 148, 545. — Atinales betteven/tint, all'a. 898,
174. — Cod. Dipi. CaiK, doc. CX, I, 138. — Di Meo, V, 84.
LA ZECCA DI BENEVENTO 495
rati rimasti in città e quelli che in Capua si erano
rifugiati, trasse profitto Atenolfo, che con i suoi ar-
mati una notte sorprese Benevento, prese d'assalto
il Palazzo, in cui Radelchi tranquillo dormiva, e si
impadronì dell'avversario, mentre nobili e popolo,
malcontenti ed esiliati, lo salutavano festosamente
come principe di Benevento").
Il Sanibon <2) ci dice che fu probabilmente sotto
la dominazione di Atenolfo di Capua che si conia-
rono in Benevento, ultime monete, queste d'argento
che qui appresso riportiamo, aventi per tutta iscri-
zione il nome della Santa Vergine, simigliante alle
monete che si battevano a Capua in quel periodo
col nome di Atenolfo e di suo figlio Landolfo, simi
glianti anche a quelle che furono battute da Lan-
dolfo li e del Pandolfo I Testa di ferro.
(Tipo A).
i. Mezzo denaro {^).
i* — Nel campo SCA sotto tre globetti.
1> — Nel campo MAR soito tre globetti {vedi /ig.). R. M
A. Snmbnp, Le Musée, pag. 32.
(Tipo B).
2. Idem,
B' — Nel campo in due linee SAN | TA.
1^ — Nel campo in due linee MA ■ I RIA {vedi fig.). R. M
A. Sambon, Le Musée, pag. 32.
(l) Chron. Solerti., e. 152. 153, 154, 547. 548.
(a) A. Sambon, Recueii des monnates, ecc. in: Lt Musie, op. cit., p. 32.
4g6 MEMMO CAGIATI
Trasferita che fu la sede del principato in Ca-
pua, alla potenza di Benevento seguì la potenza di
Capua (^) ; Atenolfo da castaido aveva saputo fab-
bricarne la fortuna ed esserne principe saggio, valo-
roso e liberale; la costante successione dei principi
longobardi, che ebbero il princi])ato di Benevento
riunito al contado di Capua (2), andò sino al 16 giu-
gno 1072 giorno in cui, con la morte di Arrigo in
Sicilia, si estinse.
Da circa tre secoli Arichi dormiva nella tomba
e da più tempo si era spezzata la lancia di Autaii,
quella lancia con cui si vuole fosse percossa la co-
lonna miliaria sulla riva di Reggio indicata a limite
del dominio longobardo. All'antica ed insuperata
gloria di questo dominio presto rispose l'eco di una
nuova civiltà che si ripercosse di monte in monte in
guisa fatidica ; a pie del Volturno fu stretta la inspe-
rata federazione dei principi normanni e si combat-
terono le lotte che diedero al Mezzogiorno d'Italia
quella autonomia ed egemonia che portarono ai primi
germi di un regno italico.
Posilipo, Novembre 1916.
Memmo Cagiati.
(1) O. Rinaldo, Memorie istorie he della fedelissima città di Capua,
toni. II, e. I.
(a) Principes beneventanorum et cnpuanorum (Pellegrino Par., V),
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ITALIANA
XXII.
NUOVO ELENCO DELLE ZECCHE ITALIANE
MEDIOEVALI E MODERNE.
Quando, nel 1906, pubblicai in questa Ri'Asta^^^
r Elenco delle Zecche italiane accertate, probabili*
ed apocrife, secondo le ultime ricerche, aggiungevo^
che quella serie avrebbe certamente subtto « non;
poche variazioni ed aggiunte col progredire degli
studi e delle scoperte ».
Ora, infatti, dopo dieci anni da quell'epoca, le
aggiunte, le modificazioni e gli spostamenti, richiesti
dai nuovi studi hanno modificato sensibilmente quel-
l'Elenco, tantoché non mi sembra opera inutile pre-
sentarne ora ai Lettori uno nuovo, che sia» per
quanto mi è possibile, l'ultima parola degli studiosi
sull'argomento.
Ora sono in corso delle pubblicazioni, q^ali il
(I) E. Gnecchi, Appunti di Numismatica Italiana: XX. Le zecche-
italiane medioevali e moderne {Rn>ista italiana di numismatica, igité,
fase. II, pag. 229-238).
49^ E. GNECCHI
Corpus Nummonim ^^), le Monete del Reame delle Due
Sicilie^^\ e altre, specialmente di autori napoletani,
che porteranno certamente nuove modificazioni e ag-
giunte a questo Elenco. Ebbene, se ne farà un terzo,
un quarto, e si continuerà, da chi lo potrà, a tener
dietro ai nuovi trovati della scienza. Si sa bene che
questi lavori sono sempre perfettibili, sempre natu-
ralmente soggetti a modificazioni, ma l' importante è
di poter dare oggi il risultato esatto e completo delle
ricerche fatte fin qui sull'argomento.
Ho creduto compilare tre Elenchi di Zecche
italiane, distinti nel modo seguente :
I. — Zecche accertate e generalmente ammesse,
ossia quelle, di cui si conoscono monete effettive, e
quelle poche di cui fu con documenti accertato in
modo indiscutibile l'esistenza, quantunque gli studiosi
non siano ancora riusciti a distinguere con sicurezza
le monete in esse prodotte. Inutile il dire che, desi-
derando fare un Elenco sicuro delle vere Zecche ita-
liane, mi sono studiato di vagliarle col massimo ri-
gore, e farne una attenta selezione , lasciandone
da parte un certo numero, che pure taluni vorreb-
bero comprese fra quelle accertate. In questo Elenco
(i) Corpus Nummorum Italicorum. Primo Tentativo di un Catalogo
Generale delle monete medioevali e moderne coniate in Italia o da ita-
liani in altri paesi. — Di quest'opera poderosa del nostro Augusto So-
vrano sono usciti, dal 1910 ad oggi, sei volumi. Essi comprendono:
la Savoia; il Piemonte colla Sardegna e le zecche d'oltremonti di Casa
Savoia; la Liguria e la Corsica; le zecche minori della Lombardia;
Milano; la prima parte della zecca di Venezia, dalle origini a Marino
Grimani.
(a) Cagiati Memmo, Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo 1
d'Angiò a Vittorio Emanuele li. Napoli, 1911-1916 (con disegni nel
testo). Di quest'opera sono usciti finora n. 9 fascicoli. I primi cinque
illustrano la zecca di Napoli ; il sesto, il settimo e l'ottavo, le Zecche
minori del Reame di Napoli, e il nono, la prima parte della Zecca di
Messina.
LE ZKCCHE ITALIANE 499
però i Lettori troveranno cinque nomi di zecche
(e precisamente quelle di Antignate, Cantù, Covo,
Sovana e Valenza) contradistinte da un asterisco (*).
Sono zecche che non ho osato levare dall' Elenco,
perchè sembrano ormai accettate dalla generalità,
ma che, a mio parere, condiviso anche da altri,
non avrebbero ancora tutti i titoli richiesti per ap-
partenere con sicurezza a quella prima categoria,
ed esigerebbero nuovi studi, nuove ricerche per
esservi comprese di pieno diritto. All'avvenire l'ap-
pello definitivo sulla bontà della loro causa.
IL — Zecche probabili. Di questa categoria fanno
parte :
a) I nomi di città o terre, che ottennero pri-
vilegi o diritti di zecca, ma delle quali finora non
apparve alcuna moneta che possa essere loro con
certezza attribuita.
b) I nomi di luoghi, a cui fu da qualche au-
tore assegnata una data moneta, sulla quale però
occorrono nuovi studi perchè tale attribuzione sia
generalmente e definitivamente approvata.
III. — Città terre, alle quali erroneamente si
attribuì una zecca.
Il sistema migliore e più razionale sarebbe stato
quello di distribuire gli Elenchi secondo le varie re-
gioni, come vediamo ora praticato nel Corpus Num-
morum, e in tutte le opere più recenti. Ma io ho
creduto opportuno di ripetere questi Elenchi in or-
dine alfabetico, perchè tutti, e specialmente i princi-
pianti, possano confrontarli colle Tavole sinottiche del
Promis ^^), col Saggio di bibliografia dei Fratelli Gnec-
(i) Vincenzo Promis, Tavole sinottiche delle monete battute in Italia
o da italiani alPestero, dal sec. VI a tutto l'anno 1868. Torino, 1869. in-4.
500 E. GNECCHI
chi ^^^ e coir ultimo Elenco, già accennato, del 1906,
tutti lavori conapilati in ordine alfabetico, e rendersi
conto, a colpo d'occhio, delle modificazioni e delle
aggiunte che mano mano vi si sono susseguite.
A un certo numero di zecche accertate ma meno
conosciute o di recente scoperte, a tutte le zecche
probabili, e a tutte quelle erronee ho aggiunto la
relativa indicazione bibliografica, scegliendo di pre-
ferenza le pubblicazioni più recenti, le quali na-
turalmente riassumono le opere precedenti, le com-
pletano, ne confutano gli errori, presentano insomma
il risultato dei vari studi fatti intorno ad esse. Cosi
ognuno potrà con facilità conoscere le ragioni che
hanno consigliato di collocare una data zecca in una
categoria piuttosto che nell'altra.
Un vivo ringraziamento debbo qui tributare ai
vari amici che mi aiutarono con qualche suggeri-
mento nella compilazione di questi Elenchi, e uno
specialissimo all'egregio e carissimo amico e collega,
fl cav. Memmo Cagiati, il quale ebbe la bontà di
rivedere da cima a fondo il piccolo lavoro, miglio-
randolo con numerose correzioni ed aggiunte, spe-
cialmente per quanto riguarda le zecche dell'Italia
Meridionale, nelle quali Egli è maestro.
Sarò sempre grato a tutti coloro che vorranno
farmi conoscere il loro parere sul piccolo lavoro, e
accennarmi le inesattezze, in cui fossi per avventura
incorso. Ne farei tesoro per un'altra eventuale com-
pflazionje.
(i) Francesco ed Ercole Gnecchi, Saggio di BiblÌQgrq/ia . numisma-
tica delle zecche italiane medioevali e moderne. Milano, 1889, in-8.
LE ZECCHE ITALIANE 50I
I.
Zecche Italiana.
ÀCQUABELLÀ.
Promis Domenico, Monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841 ; vo-
lumi II, in-4.
Rabut Francois, Denier de l'évcché de S.' Jean de Maurienne frappé
à Aigiiebelle au XI siede {Mém. et Documents de la Sociéti d'hisloire
et et archeologie. Chambery, 1859, in-8, tomo 3.»).
Corpus Ntimmorum Italicorum. Primo tentativo di un Catalogo ge-
nerale, ecc. Voi. II, pag. 429, tav. XLI, 19.
ACQUI. I ALBA.
Maggiora- tergano £., Sopra due nuove zecche (Alba e Pontestura
in Piemonte), inedite. Asti, 1873.
Corpus, voi. II, pag. 3 e 4, tav. I, 8.
ALBERA.
Promis D., Monete inedile del Piemonte. Tonno, 1866, pag. 30, 31,
tav. III.
Corpus, voi. II, pag. 4, tav. I, 9 e io.
ALESSANDRIA. 1 AMABILIS (Abbazia di Casa-
ALOHERO. I mabilej.
Samòon A., Follis de l'abbaye de Saint Maxime. Recueil des mon-
naies de l' Italie Meridionale depuis le VIII siècle jusqu'au XJX [Le
Musée, Reviie if Art, Paris, 1909).
Sambou G., Repertorio Generale delle monete coniate in Italia o
da Italiani all'estero dal sec. V al XX nuovamente classificate e de-
scritte. Parigi, I912.
AMALFI.
AMATRICE.
ANCONA.
* ANTIGNATE.
Muotti Dom., Officina monetaria di Giovanni II Bentìvoglio nei ca-
stelli di Antignate e Covo (ducato di Milano) {Periodico di numism. e
sfragistica. Firenze, 1869, voi. II).
Corpus, voi. IV, pag. 1-9, tav. I, 1-13.
502 E. GNECCHI
ANTIOCHIA. AREZZO.
ANTIVARI. ARQUATA.
AOSTA. ASCOLI.
AQUILA. ASTI.
AQUILEJA. ATRI.
V. Lazari, Zecche e monete degli Abruzzi. Venezia, 1858.
Idem., Monete inedite degli Abruzzi {Rivista della Numism. antica e
moderna, pubblicata dall'Olivieri, voi. I, pag. 33-41, tav. I, V-VIII).
Cagiati Menimo, Le monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I
d'Angiò a Vittorio Emanuele II. Parte II. Le zecche minori del Reame
di Napoli. Fascicolo VI, 1913, pag. 69-71, fig.
AVI&LIANA.
Promis D.f Monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841.
Marini R. A., Zecche e zecchieri della Real Casa di Savoia. Con-
tributo all' opera del Promis {Rivista italiana di numismatica, 1909,
pag. 206-207, fig.).
AVIGNONE. I BARI-
BARDI. I BARLETTA.
Sambon A., Monnajage de Charles I d'Anjou dans l'Italie meridionale.
(Annuarie de la Société de Numismatique. Paris, 1891).
Cagiati M., Le Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. VI,
pag. 77-82.
BELGIOJOSO.
BELLINZONA.
BELMONTE.
BENEVELLO.
Promis V., Monete di Gio. Battista Falletti, conte di Benevello. To-
rino, 1888, in-8, con i tav.
Corpus, voi. II, pag. 49-50, tav, V, 18-20.
BENEVENTO.
Sambon A., Recueil des monnaies, ecc. Benevcnt, in Le Musie, ecc.
Sambon G., Repertorio, ecc.
Cagiati M., La zecca di Benevento {Rivista Ital. di Numismatica,
fase, II, IH, IV, 1915 ed in corso di pubblicazione).
BERGAMO. I BIELLA.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., I909, fase. II,
pag. 231-232).
BOLOGNA. I BORGO DI BRESSA.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909.
pag. ao8-9ii).
LE ZECCHE ITALIANE 503
BORGOTARO.
Pigorini Luigi, Memorie storico-numismatiche di Borgotaro, Bardi
e Compiano. Parma, 1863.
Catalogo Coli. E. Gnecchi, I parte, pag. 32, num. 609, tav. IV.
BOSA.
Spano Gio., Sopra due monete sarde della zecca di Bosa (Periodico
di num. e sfrag., anno V, pag. i-li, tav. I, i e a).
Corpus, voi. II, pag. 4.^437, tav. XLI, 22.
BOZZOLO
BRESCELLO
BRESCIA.
BRINDISI.
BUSCA.
CAFFA.
CAGLIARI.
CAMERINO.
CAMPI.
CAMPOBASSO.
CANDIA.
» CANTU'.
Gavazzi Giuseppe, A proposito delle monete di Giancarlo Visconti
{Riv. il. di num., 1888, fase. II, pag. 225-228).
Ambrosoìi Solone, La zecca di Cantù e un codice della Trivulziana
{Riv. il. di num., 1904, fase. IV, pag. 475-478, fig.).
Corpus, voi. IV, pag. 88, tav. Vili, 15.
CAPUA.
Cagiati M., Il " cavallo „ per Capua (Riv. it. di num., 1914, Caso, lll-
IV, pag. 411-418, fig.).
Idem, Le monete dei Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. VII, 1915,
pag. 1 17-123, fig.
CARMAGNOLA.
CARPENTRASSO.
CASALE.
CASTELDURANTE.
CASTELLEONE.
CASTELSARDO.
Spano Giov., Memoria sopra una moneta finora unica di Nicolò
Boria. Cagliari, 1868.
Corpus, voi. II, pag. 477, tav. XLIV, 17.
CASTEL SEPRIO.
Jeckltn Fritz, Il rinvenimento di monete longobarde e carolingie
presso Ilanz, nel Cantone dei Grigioni. Cividale del Friuli, 1907, pag. 14-
16, tav. I, 15-21.
Corpus, voi. IV, pag. 89-90, tav. VITI, 17 e 18.
CASTIGLIONE DEI PEPOLI (già dei gatti).
Promis V., Sulle monete di Castiglione dei Gatti. Torino, 1881, fig.
5Q4 £• GNECCHI
CASTIGLIONE DEL LAGO.
Tonini F. P., La crazia e il quattrino di Ferdinando De Medici,
principe di Castiglione del Lago {Periodico di num. e sfrag., Firenze,
anno I, pag. 17-22, tav. II, 1-4).
CASTIGLIONE DELLE STIV.RE CATANIA.
CASTRO.
Rossi Umberto, Le monete di Catania {Gazzetta numistn. di Como,
anno II, n. 3, pag. io e 11; n. 4, pag. 13 e 24).
Sambon A., Le monnayage d'Artale d'Alagon à Catane (1377).
{Revue Numismatique, anno 1913).
Sambon G , Repertorio, ecc.
CATANZARO.
Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. VII,
pag. 125-129, fìg.
CATTARO. I CEVA.
CEFALONIA. | CHAMBERY.
Promis D.y Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909,
pag. 201-206, fig.).
CHIARENZA. | CHIUSI.
CHIETI. I
Bellini Vincenzo, De monetis Italiae, etc, tomo li pag. 93, i; t. Ili,
tav. IX, I.
Pizzetti, Zecca di Chiusi ed antichità toscane. Siena, 1798.
Catalogo Coli. Gnecchi, I parte, pag. 53; tav. VI.
CHIVASSO. I CISTERNA.
Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 20-23,
tav. Ili, 32; tav. IV, 33 e 34.
Corpus, voi. II, pag. 213-214, tav. XVIII, i4-i6,
CIVITADUCALE.
Lazari Vincenzo, Zecche e monete degli Abruzzi. Venezia, 1858,
pag- 36-37. tav. IV.
Cagiati M., Le monete, ecc., fase. VII, pag. 143-140.
CIVITAVECCHIA.
COCCONATO (V. PASSERANO),
COMPIANO.
CORFU'.
COMO. I CORNAVIN.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909, pa-
gina 2a4-aa6, fìg.).
LE ZECCHE ITALIANE 5^5
CORREG&IO. I CORTEMIGLIA.
CORTE. ! CORTONA.
Bellini Vincenzo, De monetis Italiae medii aevi. etc. Tomo II, pa-
gina 36, n. I.
Catalogo Coli. E. Gnecchi, I parte, pag. 59, n. 1121.
NB. Riguardo al Tremisse attribuito a Cortona, vedasi Kuns C,
Il Museo Bottacin, ecc. {Periodico di num. e sfrag. di Firenze, voi. Il,
pag. 77, in nota e voi. Ili, pag. 26 e 27).
* COVO (vedi antignate). | CREMA.
Kunz C, Miscellanea numismatica italiana. I. Della zecca di Crema.
Venezia, 1867, tav. annessa n. i, 2 e 3.
CREMONA. I CUNEO.
CREVACUORE. | DAMALA.
Schlumberger E., Numismatique de FOrient latin. Paris, 1878, in-4,
avec Supplenient, 1882 (con tav.).
DEGO.
Giorcelli Giuseppe, Una zecca piemontese medioevale sconosciuta
{Bollettino ital. di num. e di arte della medaglia, Milano, 1905, fase. Il,
pag. 19-22).
Ricci Serafino, La nuova zecca di Dego (Ponzone) {Boll. il. di nu-
mismatica, ecc., 1905, fase. II, pag. 22-24).
Corptis, voi. III, pag. 1-3, tav. I, n. 1-4.
DESANA. ; DOGLIANI.
Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 28-32,
tav. IV, 37.
Grillo Guglielmo, Ripostiglio di monete medioevali. Monete inedite
di Milano, Dego. Una nuova zecca sconosciuta {Boll. it. di num., ecc.,
1909, pag. 11-12, fig.).
Corpus, voi. II, pag. 275, tav. XXV, 14.
DOMODOSSOLA.
Vernaaaa de Freney, Monete del vescovo di Novara, conte d'Ossola,
1790, in-8.
Coire Pietro, Monete novaresi, 1882, tav. I, 9.
Corpus, voi. II, pag. 275-276, tav. XXV, 15 e XLVII, io.
DONNAZ.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista ital. di num., 1909,
pag. 219-220, fìg.
«4
5o6
E. GNECCHl
FERRARA.
FIRENZE.
FOGLIA VECCHIA.
FORLÌ'.
FABRIANO.
FAENZA.
FAMAGOSTA.
FANO.
FERMO.
Burriél Antonio, Vita di Caterina Sforza Riario, contessa il' lincia
e signora di Forlì. Bologna, 1795, voi. 3, in-4, con tav.
Gnecchi Ercole, Appunti di num. italiana. Un quattrino di Caterina
Riario Sforza, signora di Forlì {Riv. ii. di num., 1905, pag. 493-498, fig.).
FORTE URBANO.
Promis D., Monete di zecche italiane inedite o corrette. Torino,
1867, tav. II, 29.
FOSDINOVO. I GARFAGNANA.
FOSSOMBRONE.
FRINCO.
FULIGNO.
GAETA.
Promis D
GAZZOLDO
GENOVA.
j GEX.
Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di num., 1909,
pag. 231).
IGLESIAS (v. VILLA DI chiesa).
GORIZIA.
GUARDIAGRALE.
GUASTALLA.
GUBBIO.
INCISA.
ISERNIA.
Sambon A., Monete napoletane inedite, ecc., {Riv. Hai. di Num.,
anno 1901.
Idem, I tornesi falsi di Ferdinando] d'Aragona coniati a Napoli, ecc.,
in " Supplemento „ del Cagiati, anno HI, n. 5, 6 e 7.
Cagiati M., Le mon. del Reame delle Due Sicilie, fase. VII, p. 179-181.
NB. Dai documenti pubblicati dal Sambon risulta accertata la
coniazione di tornesi in questa zecca ; solo tìnora non fu dato agli stu-
diosi di distinguere questi tornesi da quelli ufficialmente coniati al tem/xì
di Ferdinando I nelle diverse zecche del Reame.
IVREA.
LANCIANO.
Sambon Arturo, Di alcune monete inedite di Alfonso I e Ferdi-
nando I, re di Napoli, e di due officine monetarie del Nafioletano sinora
sconosciute. Zecca di Lanciano {Riv, il. di num., anno V, 1892, p. 350-353.
Cagiati M., Le mon, del Reame delle Due Sicilie, fase. VII, p. 183-186.
NB. Anche su questa zecca l'Autore produce alcuni documenti pub-
LE ZECCHE ITALIANE
507
blicati dal Pansa che ne provano ad esuberanza l'esistenza, quantunque
non si conoscano ancora monete effettive in essa prodotte, e si conclude
che " possiamo ritenere fra le accertate la zecca di Lanciano, a cui
" speriamo si possano presto attribuire quelle monete di sua fabbri-
" cazione, le quali, cosa strana ed inesplicabile, non è stato possibile
* finora agli studiosi di distinguere ,.
LECCE.
Frola Carlo, Sulla zecca di Lecce (Supplemento all'opera: Le mo-
nete del Reame delle Due Sicilie, ecc., anno III, 1913, pag. 37 e 38).
Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili»
pag. 187-196, lìg.
LECCO.
LEPANTO.
LESINA.
LIVORNO.
LOANO.
LODI.
LUCCA.
MACCAGNO.
MACERATA.
MALTA.
MANFREDONIA.
MANOPPELLO
Lazari V., Zecche e monete degli Abruzzi, ecc.
Cagiali M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
pag. 20I-204, fig.
MANTOVA
MASSA DI LUNI&IANA.
MASSA DI MAREMMA.
MASSA LOMBARDA.
MATELICA.
MERANO.
MESOCCO
MESSERANO.
MESSINA.
METELINO.
MILANO.
MILETO.
MIRANDOLA.
MODENA
MONACO.
MONCALIERI.
Promis D.f Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. [Riv. il. di num., 1909, p. 224).
MONCALVO. I MONLUELLO.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista Hai. di num., 1909,
pag. 226-227, fig.).
MONTALCINO.
MONTALTO.
MONTANARO.
MONTEFIASCONE.
Martinori Edoar.^ Della moneta paparina del Palrimonio di S. Pietro
in Tuscia e delle zecche di Viterbo e Montefiascone {Riv. il. di num.,
1909, pag. 379-438. fig- ; 1910, pag. 37-72, fig.).
5o8
E. GNECCHI
MONZA.
MURATO.
MUSSO.
NAPOLI.
NASSO.
NICOSIA.
NIZZA
NOVARA.
NOVELLARA.
NYON.
Marini R. A., Zecca e zecchieri, ecc. (Rivishi i/al. di num., 1909,
pag. 226-227, fig.).
OREZZA.
Corpus, voi. Ili, pag. 601-602, tav. XXIX, I0-12,
PARMA.
PASSERANO.
PAVIA.
PERA.
PIACENZA.
PIETRA SAVINA.
ORTONA.
ORVIETO.
PADOVA.
PALERMO.
PALMANOVA.
Schlurnberger E., Num. de l'Orient latin.
PERGOLA.
PERUGIA.
PESARO.
Ambrosoli S., Di alcune nuove zecche italiane (Atti del Congr. Int.
di Roma, 1904, pag. 184).
San Rome Mario, Una moneta inedita di Pietra Gavina. Milano,
1915 {Riv. It. di Num., 1915, fase. III-IV, pag. 377-380).
PIETRACASTELLO.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. II. di Num., 1909, p. 221.
PINEROLO.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista It. di Num., 1909.
pag. 222, fig.).
Idem, La zecca di Pinerolo e dei principi di Savoia- Acaia (Rivista
it. di num., 1910, pag. 73-118, fig.).
PIOMBINO. POMPONESCO.
PISA. PONTE D'AIN.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
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Ambrosoli S., Il ripostiglio di Lurate-Abbate {Riv. il. di ntuu., a. I,
1888, pag. 18-22, tav. II, n. I e 2).
PORCIA.
Atnbrosolt S., Lo zecchino di Porcia (Rivista ila/, di num., 1897,
pag. 159-169. fig).
RAGUSA.
RAVENNA.
RECANATI.
REGGIO EMILIA.
RETEGNO.
RIMINI. i ROVEGNO.
Olivieri A.. Monete, medaglie e sigilli dei principi Doria, ecc. Ge-
nova, 1858.
Corpus, voi. II, pag. 389, tav. XLV, 20.
RODI.
ROMA-
RONCIGLIONE.
RONCO.
SALERNO.
SAN GENISIO.
ROVEREDO.
ROVIGO.
SABBIONE! A.
Promis D.y Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Rivista Ital. di Num., 1909,
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SAN GIORGIO. SAN MAURIZIO D'AGAUNO.
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Promis D., Monete del Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di Num., 1909,
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SAN SEVERINO. | SAN SEVERO
Ruggero Giuseppe, Un lorncse di San Severo {Riv. II. di Num., 1903.
pag. 434-430, fig.).
Cagiali M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc. Fase Vili,
pag. 229-234, fig.
5IO E. GNECCHI
SAN SINFORIANO D'OZON.
Proinis D, Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di Num., 1909,
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Caiicich A. R., Breve cenno di una moneta finora unica dei conti
di Santa Fiora (Boli, di num. Hai, Firenze, anno II, pag, 26, tav. Ili, 3.
Idem, Di una inedita e finora unica moneta dei conti di Santa Fiora
(Boll, di num. il., Firenze, anno II, pag. 39-40).
Milanesi E. Di una moneta battuta dai conti Aldobrandeschi di
Santa Fiora (Per. di num. e sfrag., voi. I, 1868, pag. 110-120, tav. VI, 11).
SANTHIA'.
Promis D., Monete dei Reali di Savoia.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. (Rivista Hai. di num., 1909,
pag. 231-232).
SASSARI.
SAVOIA.
SAVONA.
SCIO.
SCUTARI.
SEBENICO.
SEBORGA.
SIENA.
SINIGAGLIA.
SIRACUSA.
Samòon, Catalogo della Coli. Sambon. Monete dell'Italia Meridio-
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SOLFERINO. SORA&NA.
SORA. SORRENTO
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presentate nel 1839 all'Accademia Pontaniana (Aiti dell' Acc. Poniaii.,
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Samòon, Cat. delia Coli. Sambon, pag. 44, tav. IV, n, 531.
* SOVANA.
Lisini Alessandro, Di una nuova zecca dei conti Aldobrandeschi
(Riv. it. di num., 1895, pag. 205-208, fig.).
SPALATO.
SPOLETO.
SULMONA.
TAGLIACOZZO.
TASSAROLO.
TERAMO.
SUSA.
Savtni Francesco, Il Comune Teramano. Roma, 1895, P^g- 24^'
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Cagiati 71/., Le monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
pag. 279-284 fig.
LE ZECCHE ITALIANE 5II
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TERNI. TINO.
TICINO.
Srhhtmberger E., Num. de l'Orient latin.
TIVOLI. I TOCCO.
Cagiali M., Monete del Reame delie Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
pag. 28V287, fio;.
TORINO. TRESANA.
TORRI&LIA. TREVISO.
TORTONA. I TRIESTE.
TRAU'. ' URBINO.
TRENTO. * VALENZA.
Ambrosoli S,, Di una nuova zecca Lombardo-Piemontese {Rìt. Uni.
di num., 1901, fase. IV, pag. 383-386).
VASTO. I VAUD.
Promis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 14-16,
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Idem, Monete di zecche ital. inedite. Torino, 1868, pag. 7, tav. I, 3.
VENEZIA. I VENTIMI&LIA (o gerace).
Grassi-Grassi Antonino, Le monete di Ventimiglia (Boll, di num.
ed arte della med., 1903, n. 5-6, fig.).
Idem, Ancora delle monete di Ventimiglia (Boll., ecc., 1903, n. 9-10,
P'ig- 95-99. fig-)-
Ambrosoli S., Le monete dei conti di Ventimiglia {Riv. it. di num.,
1903, pag. 437-444)-
Grassi- Grassi A., Per la zecca di Ventimiglia {Riv. Uni. di num.,
1908, fase. MI, pag. 341-342).
VERCELLI. I VERGA&NI.
Olivieri A., Monete e medaglie degli Spinola, ecc., Genova. 1860,
pag. 141142 e il documento XVIII, tav. XIV, 2.
Gnecchi Ercole, Uno Scudo di Gian Battista Spintila, principe di
Vergagni {Riv. it. di num., 1903, fase. II, pag. 187-189, fig.).
Corpus, voi. II, pag. 427-428, tav. XLI, 16-18.
VERONA.
VICENZA.
VILLA DI CHIESA.
VITERBO.
VITTORIA.
VOLTERRA.
ZANTE.
ZARA.
512 E. GNECCHI
Zecca Incerta.
VARCE {Varsi, Varzi, Varzo, Barzó).
Ruggero Giuseppe^ Annotazioni numismatiche italiane. Zecca in-
certa, sec. XIII {Riv. it. di num., 1908, fase. IV, pag. 575-576, fig.)-
Grillo Guglielmo, Ripostiglio di monete niedioevali. Monete inedite
di Milano, Dego. Una nuova zecca (Boll. il. di num., 1909, fase. I,
pag. 12-13, H-)-
Corpus, voi. II, pag. 423, tav. XLI, 7.
II.
Zecche Italiane probabili.
ACAJA.
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ACRI.
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in Accon, Tyrus und Tripolis (Num. Zeiischriff^ 1879, pag. 237).
Schlumberger G., Num. de l'Orient latin.
AIX-LES-BAINS.
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ANNECY.
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LE ZFCCHF. ITALIANE 5I3
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Schlumherger E., Numismatique de l'Orient Latin. Paris, 1878. ir,-4,
avec Supplement. 1882 (con tavola).
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AVELLA.
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CARPI.
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Gnecchi F. ed E., Saggio di bibliograha nuiiiismaiica delie zecche
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66
5t4 E. GNECCHl
CASTEL VELTRAJO.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr.. ecc.. pag. 63.
CASTROeiOVANNI.
Sambon G., Repertorio, ecc., pag. 129. — L'A. si giova dell'opyera
ancora inedita del dott. A. Sambon e delle osservazioni dell'Amari.
CATABIASCO.
Gnecchi F. ed E., Saggio di bibliografia num., ecc., pag. 66.
CHARLEVILLE (carlopoli).
Amhrosoli .S., La zecca franco-italiana di Charleville o Carlopoli
{Riv. it. di num., 1903, fase. I, pag. 87-90, iìg.).
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Perini Quintilio, A proposito della zecca di Finale dei marchesi
Dei Carretto {Boll, it, di num., 19TI. pag. .51-53).
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LE ZECCHE ITALIANE 515
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Cagiati AI., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc.. fascicolo VII-
pag. 153-157. fig->-
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Olivieri A.. Monete, ecc., dei princijji Dulia, pag. 25.
GEMONA (vedi aquileja).
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Schlumberger £., Num. de l'Orient latin.
GINEVRA.
Proinis D., Monete dei Reali di Savoia.
GORRETO.
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GRAVEDONA.
Promis K, Monete di zecche italiane inedite o corrette. Torino,
1882, tav. V, 48.
NB. Né a noi, ne ad alcuno dei nostri amici, che interpellammo in
proposito, fu mai possibile vedere un esemplare indiscutibilmente auten-
tico di questa moneta. Perciò, fino a prova in contrario, ho creduto
opportuno di mantenere il nome di questa zecca nella categoria delle
probabili.
GRONDONA.
Olivieri A., Monete, ecc.. dei principi Doria, pag. 25.
IMOLA.
Zanetti G. A., .Manoscritto esistente alla Braidense, voi. XIV.
LACCIO.
Olivieri A., Monete, ecc. dei principi Doria, pag. 23.
LATISANA.
Fuselli Alberto, Archeografo triestino, 1891.
MARCIANA.
Zanetti G. A., Nuova raccolta delle monete, ecc., voL II, pag. XL.
5l6 E. GWECCHI
MEDE
Ambrosoli S., Di alcune nuove zeci.he italiane {Atti del Congr. Int.
in Roma. Ivi, 1904, pag. 184).
MILLESIMO.
Ambrosoli S., Il ripostiglio di Luratc-Abbatc {Riv. it, di nam., 1888,
fase. I, pag. 15-24, con i tav.).
MODON.
Schlumberger E , Num. de l'Orient latin.
MONDONDONE.
Aìnbrosoli S., Di alcune nuove zecche italiane {Atti del Congr. Int.
di Roma, pag. 184).
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Proniis D., Monete inedite del Piemonte. Torino, 1866, pag. 38-4J.
MONTEBRUNO
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MONTECCHIO.
Tonini F. P., Topografia delle zecche italiane, pag. 47.
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Ltsini A., Le monete e le zecche di Volterra, Moutieri, Berignone
e Casole (Riv. it. di num., 1909, pag. 253-302, tìg. e pag. 439-467).
NEOPATRA.
S.hlninberger E., Num. de l'Orient latin.
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Grassi-Grassi Antonino, I Chiaramonte e le loro monete. Una zecca
quasi sconosciuta {Boll. it. di num. e di arte della med., 1904, fase. III.
pag. 27-32; fase. IV, pag. 37-41, tìg.).
Ricci Serafino- Grassi-Grassi A., Intorno alle presunte nionett^ mi
Chiaramonte {Boll., ecc., anno 111, 1905, pag. 38-39).
NOCETO.
Zanetti G. A., Nuova raccolta delle monete, ecc., tomo III, pag. 8,
in nota; IV, pag. 417-418, in nota; V, pag. 27 e 28.
NOVELLO.
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LB ZECCHE ITALIANE 5I7
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Idem, Catal. della coli. Sambon, 1897, P^g- 33' ^^^- ^» 3^-
ORISTANO.
Spano G., Catalogo della raccolta archeol. Sarda del cav. G. Spano.
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PISTOJA.
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e 8 in nota, col disegno del tremisse longobardo.
Kuns C, lì Museo Bottacin, ecc. {Periodico di num. e s/rag., vo-
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PIZZO.
Cagiati M., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
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PONTESTURA.
Maggior a- Vergano E., Sopra due nuove zecche (Alba e Pontestura
in Piemonte) inedite. Asti, 1873.
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PRATO.
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Sambon A., Gillax d'inféodation de Robert d'Anjou frappée a Prato
en Toscana {Revue Niimismatique, Paris, 1912).
REG&IO CALABRIA.
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pag. 217-223. fig.
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5l8 E. GNECCHI
RI&LIONE.
Franco A., Appunti di num. toscana, ecc. Firenze, 1903.
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Prumis V., Tavole sinottiche delie monete, ecc., pag. xvi.
ROCCAFORTE.
Olivieri A., Monete e medaglie degli Spinola. Genova, 1860,
RODIGO.
Rossi Umberto, Le monete di Rodigo {Gazselia unni., anno I, n. 9,
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Ambrosoli S., Zecche minori dei Gonzaghi nella Raccolta Ambro-
soli {Gazzetta Num., a. IV, n. 5-6, pag. 37).
ROMENA.
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SALUZZO.
Promis D., Monete dei Paieológhi marchesi di Monferrato. Torino.
1858, pag. 14, in nota,
SAN MARTINO DELL'AR&INE.
Ambrosoli S., Zecche minori dei Gonzaghi nella raccolta Ambrosoli
(Gazzetta imm., anno IV, n. 9, pag. 68-69).
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SANTA CROCE.
Gamurrini G. F., Monete inedite medioevali con l'epigrafe SCA •
CROCE {Period. di num. e s/rag., voi. 1, pag. 121-125, tav. IV, i).
SANT'JACOPO (VAL DI SERCHIO). r
Franco A., Appunti di num. toscana, ecc. Firenze, 1903.
Ruggero Gius., Annot. num. ital. XII. Monete battute in campo da
P'iorentini e da Pisani (Riv. it. di num., J907. pag. 402-403, fig.).
SANTO STEFANO D'AVETO.
Olivieri A., Monete, ecc., dei principi Doria, pag. 23-24.
SARTENA.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliog. num., ecc. Milano, 1889, p. 344.
SASSOLA.
l^ermigltoli G. B., Della zecca e delle mon. perugine. Perugia, 1816.
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LE ZECCHE ITALIANE 519
SIGNÀ.
Mossagli £>., Della zecca e delle monete di Lucca nei secoli di
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parte II, tav. IX, 3 e 4).
SPEDALUZZO.
Franco A., Appunti di num, toscana, ecc. Firenze, 1903.
TEANO.
Fusco Salvatore, Tavole di monete dei Reame di Napoli e Sicilia
presentate nel 1839 all'Accademia Pontaniana {Atti dell' Acc. Pont., vo-
lume IV. pag. 13, tav. IV, 8).
THIERRENS.
Marini R. A., Zecche e zecchieri, ecc. {Riinsta ital. di num., 1909,
p;ig. 217-219).
TIBERIADE.
Fromis V., Tavole sinottiche, ecc., pag. 221.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografìa num., ecc., pag. 377378.
TODI.
Caucich A. R., Di un documento della z.rca di Todi (Bull, di num.
italiana^ anno II, n. 2, pag. 14 e 15).
TORRE DELL'ANNUNZIATA.
Calciati M. Monete del Reame dtllc Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
pag. 296.
NB. Non si può ancora accertare questa zecca sino a quando gli
ultimi studi annunziati dal Cagiati non abbiano detta l'ultima parola.
TRICERRO.
Cora Luigi, .Appunti di num. piemontese. Tricerro {Riv. il. di tium.,
1914, pag. 51-56, fig.).
TUNISI.
Sambon A., Monete d'oro coniate da Carlo I d'Angiò a Tunisi {Ri-
vista it. di num.. 1893, fase. Ili, pag. 341-346. fig.),
UDINE (vedi aquileja).
Liruti C, Della moneta propria e forestiera, ecc.
VENNE.
Marini R. A. Zecche e zecchieri, ecc. {Riv. it. di num., 1909, p. 221).
VOLANO (Porto Volano).
Sambon G., Repertorio, ecc., pag. 61. n. 374.
520 E. GNF.CCHI
III.
Città e Terre alle quali erroneamente
Sì attribuì una Zecca.
ALESSIO.
Gnecc/ìi F. ed £"., Saggio di Bibliogr. mini., ecc., pag. 6 e "].
ARBOREA.
Idi 111, idem, pag. 15.
ARCEVIA.
Anselmi Anselmo, Una zecca sconosciuta {Bull, di num. e sfrag-
Camerino, 1887, ^ol. Ili, pag. 91-92).
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 15.
BASTIA.
Promis F., Tavole sinottiche, ecc , pag. xvii.
BECCARIA.
Brambilla Camillo, Monete di Pavia. Ivi, 1883, pag. 335.
Gnecchi F. ed E.., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 26-27.
CALDIERO.
Idem, idem, pag. 50.
CELLAMARE.
Idem, idem, pag. 69.
CHIERI.
Idem, idem, pag. 73.
COSENZA
Cagiati M., Le monete del Reame delle Due Sicilie, fascicolo VII,
pag. 147-152, lìg.
DEGAGNA.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 100.
DULCIGNO.
Idem, idem, pag. 106.
LE ZECCHE ITALIANE S*^
ELBA.
Idem, idem, pag. io6.
ESTE.
Idem, idem, pag. 107.
LAVAGNA (vedi messerano).
Idem, idem, pag. 156.
LOMBARDORE (vedi montanaro).
Promis D., Monete degli Abbati di S Benigno di Fruttuaria. To-
rino, 1870, pag. IO, in notn.
LORETO
Sclìweilser F. Moneta inedita autonoma eli Loreto (Schweitzer, No-
tizie peregrine di num. e (farcheol.^ decade VI, pag. 19, tav. I, aK
Kunz C, Il Museo Bottacin, ecc. {Fermdico di uttwistu. e sfrag^.,
voi III, pag. 160.
È tempo ormai di far giustizia della zecca di Loieto e ài ra^i^ria
defiiiinvamente dal novero delle zecche italiane. La moneta, che do-
vrebbe rappresentarla, e che è una volgare falsificazione, fu pubbli-
cala dnlln Schweitzer in quelle sue Notizie peres^rine, dove sono rac
colti altri cinielii dello stesso genere, e da allora venne riprodotta in
tutte le bibliografìe.
LUCO.
De P0irii 6'., Tesorelto di denari lornesi trovalo in Napoli (Attt
della Regia Accademia di Lettere e Belle Arti. Napoli, 1886).
Cagiati M.^ Le monete del Re^nie delle Due S.c,l»e, tuscicoii; VII,
pag. 197-199.
LUGANO (vedi Ticino).
Gneccht F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 169-170.
LUNL
Olivieri A., Della zecca e delle monete battute in Luni nel medio
evo {Rivista delia num. aut. e mod. Asti, vii. I, pag. 69-73, t^v. U, §)•
MARCiASO.
Remedi Angelo, Un otlavetto della manhesa di Ponzaneilo e Mar-
ciaso {Bull, di HHm. itai. Firenze, anno II, 1867-68, pag. 4, tav. I, 3.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliografìa num., ecc., pag. 184,
MARTINENGO.
Idem, idem, pag. 184.
522 E. GNECCHI
MASEG-RA (vedi Beccaria).
Brambilla Camillo, Monete di Pavia. J?'/, 1883, pag. 335.
Gnecchi F. ed £".. Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 26-27.
MEDOLE.
Idem, idem, pag. 190.
Schweiizer F.y Notizie peregrine, ecc., decade III, pag. 84.
MELFI.
Gnecchi F, ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 190.
METAURO.
Idem, idem, pag. 200-aoT.
MOLFETTA.
« Idem, idem, pag. 220-221.
MONFERRATO (vedi casale).
Idem, idem, pag. 226.
MONTEFELTRO (vedi Urbino).
Idem, idem, pag. 232.
MONTE SANTA MARIA.
' Carli G. li , Delle monete e dell'istituzione delle zecche d'Italia, ecc.
Mantova, 1754, voi. I, pag. 215.
Gnecchi F. ed £., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 232.
MURANO.
Idem, idem, pag. 234-235.
NAPOLI DI ROMANIA.
.Idem, idem,- pag. 246.
ÓRCIANO.
Kuns C, 11 Museo Bottacin, ecc. {^Periodico di nuwis. e sfrag., vo-
lume III, pag. 35.
Gnecchi F. ed £"., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 257.
PONZANELLO.
Remedi A., Un ottavetto, ecc. (Bull, di nunt. Hai., Firenze^ anno II,
pag. 4, tav. I, 3.
LE ZECCHE ITALIANE 523
ROCCA CONTRADA (vedi arcevia).
Anselmi Anselmo^ Una zecca sconosciuta {Bull, di num. e sfrag..
Camerino, 1887, pag. 91-92.
SAN BENIGNO DI FRUTTUARIA (vedi montanaro).
Promis D., Monete degli Abati di S. Benigno di Fruttuaria. To'
rino. 1870.
SAN GALGANO.
Tonini, Topogr. delle zecche italiane, pag. 57.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., pag. 336.
SAN LERINO (vedi seborga).
Rossi Gerolamo, La zecca di Seborga {Gazsetia num. di Como,
anno I, n. 4, pag. 17-18).
Idem, idem, Il Principato di Seborga e la sua zecca {Gazz. num.,
anno VI, 11. 4-5, pag. 3B-40).
SAVELLO.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 345.
SUTRI.
Bramlnlia C , Tremisse inedito al nome di Desiderio re dei Lon-
gobardi. Pavia, 1888, tìg.
Jecklin Fritz, Il rinvenimento di monete longobarde e carolingie
presso Ilanz, nel Canton de' Grigioni. dvidale del Friuli, ìgo-], pag. 14
e 15, tìg-
TARANTO.
Gnecchi F. ed E , Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 374-375.
TOLMEZZO (vedi aquileja).
Muoni D., Elenco delle zecche d'4talia dal medio evo inaino a noi.
Como, 1886, in-8, pag. 61.
TORRE DEL GRECO.
Cagiati M., Monete del Reame delle Due Sicilie, ecc., fase. Vili,
pag. 289-396.
TORTOLI.
Gnecchi F. ed E., Saggio di Bibliogr. num., ecc., pag. 384.
TRINO.
Idem, idem, pag. 393.
fc54 E- «NECCHl
VALDITARO (vedi bardi e compiano).
Gnetchi F. ed E., Saggio di Bibliografia, eccu, pag. 396.
VALLETTA (vedi malta).
Idem, idetn, pag. 396.
VIGEVANO (vedi mesocco).
Mazzuchelli Pietro, Intomiazione sopra le zecche e le monete di
G. G. Trivulzio, marchese di Vigevano, ecc. (Rosmini, dcW Istoria 'in-
torno alle inilitari impresi 'e alla Vita di G. G. TrivìtlSìo, Milano, 1815,
in-4, tomo 11, pag. 345-380, con 4 tavole).
Gnecv/ii F. ed E., Le monete dei Trivulzio. Milano, 1887, in-4 ('^o"
8 tavole).
Riassunto generale.
Zecche italiane N. 267
„ ,, piobabili > 87
^ „ apocrife .... „ 46
E. XjNfeCCHl.
UN TORNESE INEDITO DI RENATO D'ANGIÒ
Dopo le pubblicazioni del Pansa ">, del Sam-
bon <2) e del Cagiati <3) sui tornesi di Renato d'Angiò,
per Sulmona, si è ritenuto che gli unici esemplari
esistenti fossero soltanto i seguenti :
1. y RENATVS D G • REX Croce in circolo di perline.
ì^ — • DE • SVLMONA • 1 Castello sormontato da un giglio.
Museo di Brescia (4).
2. J ' — * RENATVS • D • G • R • simile al precedente.
I^ — DE • SVLiyiOWA • I simile al precedente.
Collezione Saiitboo.
Ora, invece, un terzo tipo di tornese sulmonese,
pure di Renato d'Angiò, è stato da me scoperto, ed
è entrato nella piccola collezione del Museo di Pie-
dimonte. Esso è sconosciuto ai numismatici, e manca
in tutte le collezioni, non esclusa quella di Sua
Maestà il Re.
(i) Cfr. G. Pansa. Saggio Ut una bibliografia della zecca medioevale
degli Abruzzi in Supplemento all'opera : Le Monek del Reaute delle Due
Sicilie a cura di M. Cagiati, anno JII, n. 3-4.
(2) Cfr. A. Sambon, Le mone/e di Renalo ifAngio coniale nel Reame
di Napoli in Suppl. cit.. anno IV, n. i.
(3) Cir. M. Cagiati, Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I
d'Angiò a anturio Emattntk li, fase. VHI, Napoli, I916.
(4) L'esemplare venne scoperto dal sig. dott. Prospero Rizzini,
Direttore del Museo di Brescia, come assicura il Pansa.
526 R. MARROCCO — UN TORNEbE INEDITO DI RENATO d'aNGIÒ
Eccone l' indicazione :
/B' — • RENATVS * • REX simile al precedente.
R) — • DE • SVLMONA • I simile al precedente.
Come si vede, la leggenda nel diritto del tor-
nese da me scoperto, varia da quelle degli altri due
oltre pel fatto che la crocetta non precede il nome
di Renato — come nell'esemplare del Sambon —
ma perchè nella leggenda stessa mancano le lettere
D • G • {Dei Gratta), che sono negli esemplari cono-
sciuti. Nel rovescio, poi, della moneta conservata a
Piedimonte, va notata un'altra variante, che ha anche
particolare interesse, e cioè mentre sotto la base del
triangolo simboleggiante il Castello vi sono — negli
indicati tornesi — tre piccolissimi cerchietti: uno al
centro e gli altri due sotto gli angoli opposti, nel
nostro tornese, invece, i cerchietti sono soltanto due,
posti sotto i rispettivi angoli della base.
La scoperta, intanto, di questo nuovo tornese
di Renato d'Angiò, per la zecca di Sulmona, ha, se-
condo me, non poca importanza storico-scientifica,
perchè ritengo che il medesimo sia stato il primo
della ristretta serie sulmonese, appunto per la man-
canza delle lettere D • G -, innanzi citata, le quali sa-
rebbero state aggiunte soltanto nella successiva co-
niazione, quando cioè Renato d'Angiò volle — usan-
dole — indicare l'origine della sua sovranità per
favore divino.
Piedimonte d'Alife.
Raffaello Marrocco.
La Zecca di Trìpoli d^Occidente
sotto il dominio dei Caramanli
In una recensione dell'opera di M/ Valentine <*),
pubblicata nel 2.*' fascicolo di questa Rivista, ab-
biamo fatto qualche accenno alla monetazione della
Reggenza di Tripoli sotto gli ultimi principi Cara-
manli ed alla ripercussione che su di essa ebbero
gli avvenimenti storici e le condizioni particolari in
cui la Reggenza ebbe a trovarsi negli anni che pre-
cedettero la restaurazione ottomana Avendo avuto,
in seguito, l'opportunità di raccogliere dà documenti
inediti e precisamente dai registri dei rapporti con-
solari o di corrispondenza dell'epoca, esistenti nel-
l'archivio di questo Castello e da altri scritti, anche
inediti, altre notizie dettagliate ed importanti sul-
l'argomento, riteniamo opportuno ritornare sulle ca-
ratteristiche della monetazione tripolina dei Cara-
manli, mantenendoci per ora sulle linee generali e
facendo ricorso con una certa frequenza (che spe-
riamo non sembrerà eccessiva trattandosi di storia
poco nota e particolarmente interessante per noi
italiani) alla storia della regione, nel periodo preso
in esame.
I) \V. H. Valentine, Modern Copper Coins of the Muhammadan
Sintfs. London, igii.
528 GUfDO CIMINO
Per quanto sia scritto nel « Libro Vecchio » re-
datto dai Prefetti Apostolici della Missione France-
scana (^) che « l'anno 1709, la sera del 21 ottobre
« incominciò la ribellione di Tripoli contro Khalil
« Pascià e durò sino ai 30 detto », il periodo dal
1709 al 171 1 non è preso in esame negli annali della
Tripolitania del Feraud f^) e nelle memorie del rab-
bino Abram Chalfun (3) che sono concordi nell'atte-
stare che solo nel 171 1 Ahmed Caramanli, capo
della cavalleria ottomana, si fece proclamare Pascià
di Tripoli, riuscendo, con molti doni e dopo fiera
strage di capi ostili, a farsi riconoscere anche dal
sultano Ahmed III U). E poiché l'anno 1711, col quale
quindi si deve ritenere iniziata a Tripoli la domina-
zione della famiglia dei Caramanli, corrisponde al-
l'anno 1123 dell'Egira, possiamo cominciare coiraf-
lermare che la monetazione della prima dominazione
turca si chiude (in base agli elementi finora posse-
duti) e per quanto riguarda il rame, col tipo de-
scritto dal Valentine ai nn. 19 e 20 e al n. 3 che,
come abbiamo visto nel precedente articolo, è stato
erroneamente assegnato ad Ahmed i. Il quale tipo,
nel gran numero di varietà possedute dallo scri-
vente, porta sempre la data 1115 dell' E. che è la
data di assunzione al trono di Ahmed III e deve ri-
tenersi anche data di coniazione, non essendo an-
cora usato il sistema al quale abbiamo già accen-
nato, di segnare cioè l'anno di assunzione al trono
(i) Ricopiato dall'originale manoscritto dal P. Costanzo Bergna di
Cantù nello scorso anno 1915 e gentilmente concessoci in lettura.
(a) Pubblicati nella Revue Afrkaine. e già citali.
(3) Citate nel precedente articolo.
(4) Si ritiene che la differenza di date non inficii l'attendibilità delle
due ultime fonti, giacché la rivolta alla quale accenna il " Libro vec-
chio „ seuìbra sia stato un movimento diverso da quello che pose
Ahmed Caramanli a capo del Paese.
LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 529
sul diritto e l'anno di regno sul rovescio. Il primo
tipo posteriore all'anno 1711, da potersi assegnare
quindi alla nuova dominazione dei Caramanli è, pel
rame, quello da noi già descritto, che porta nei tre
segmenti di cerchio tracciati intorno ad un triangolo
la data 11 34 corrispondente all'anno 1721. E, per
ora, pare sia l'unico tipo fatto coniare nel rame da
Ahmed Caramanli. Non si conoscono monete d'ar-
gento o d'oro.
Ad Ahmed Caramanli che, secondo quanto scrive
il Feraud, si tolse la vita il 4 novembre 1745 per
aver perduta la vista, successe il figlio Mohammed
che rimase al potere circa 10 anni, dal 1745 al 1754
(1157-1168 a. H.), e sotto il quale la pirateria co-
miiìciò a prendere quello sviluppo che ebbe a pro-
vocare di tanto in tanto l'intervento delle navi euro-
pee nella rada di Tripoli. Non si conoscono monete
coniate in questo periodo.
11 24 luglio 1754 muore Mohammed Caramanli
e gli succede il primogenito Ali, uomo di debole
carattere che non riesce ad esercitare alcuna auto-
rità per dirimere le beghe e le contese sorte tra i
suoi tre figliuoli: Hassen, il bey. Ahmed e lusuf, i
quali subiscono invece l'autorità della madre Leila
Halluma o Leila Chebira (la signora grande, come
popolarmente veniva designata), donna di grande
prestigio e fermezza che ci vien fatta conost:ere nella
sua vita più intima e nelle sue relazioni con il nu-
meroso stuolo di principi e principesse dimoranti nel
Castello, da una dama inglese, la cognata del con-
sole britannico dell'epoca fO, in uno scritto pieno tli
attrattive e di notizie preziose *2). \\ pascialato di Ah
(1) Lady Mary Wortlhey, cognata del console Richard Tully.
(2) II libro è intitolato : Tripoli au XyUl sifc/e - Sociétécfes éditions
Louis Michaud. Paris.
«7
S^O GUmo CIMINO
fu un periodo di torbidi politici e di discordie inte-
stine. Nell'anno 1790, il 20 luglio (1204 dell* E.)
lusuf, terzogenito del Pascià, uccide con due colpi
di pistola, in presenza della madre, il primogenito e
cioè il be}^ Hassen, ed ancora oggi la tradizione ac-
cenna a questo delitto che provocò fiere lotte tra il
principe ribelle appoggiato da una parte del po-
polo e le truppe che ubbidivano al fratello Ahmed,
proclamato be}^ ed al vecchio Pascià Ali. La mone-
tazione di rame durante i 40 anni che vanno dal-
l'assunzione di Ali Caramanli all'anno in cui si rese
padrone di Tripoli Ah Borghul, comprende vari tipi
con numerose varietà, coniati col nome di sultani
diversi e precisamente: Othman III <^" (1168-T171 a.
H.; 1754-T757 a. d.) ; Mustafà III (1171-1187 a. H.;
1757-1773 a. d.) ; Abdul Hamid I (1187-1203 a. H.;
1773-1788 a. d.) e Selim III (1203-1222 a. H.; 1788-
T807 a. d.). Si conoscono monete di argento (la lega
è diventata già molto bassa) coniate in questo pe-
riodo col nome di Mustafà III (datate 1173), di Abdul
Hamid I (datate 1188) e di Selim III (datate 1203).
Un solo tipo di monete d'oro (il mahbub = a 4 lire
circa), coniato col nome di Abdul Hamid I e da-
tato 1187.
Approfittando del disordine regnante nella Reg-
genza, il 29 luglio 1793 (1207 deirE.) giunse con
una squadra a Tripoli, dichiarandosi inviato dal sul-
tano per ristabilire l'ordine ed insediarvisi come
Pascià, Ah Aghà o Borghul Gurgi (nello scritto di
lad}^ Wortlhey è indicato col nome di Ali ben Zoul),
capitano della marineria di Algeri. I Caramanli fug-
girono, ma accortisi più tardi della falsità del fir-
mano e riconciliatisi tra di loro, assediarono la città
(1) Col nome di questo sultano si conosce una sola monetina de-
scritta dal Valentine al n. 22.
LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 53I
per 14 mesi provocando una grave carestia ('). Il
29 agosto 1794 (1209 dell'E.) Ali Aghà vinse i due
fratelli Caramanli e questi furono costretti rifugiarsi
a Tunisi ove li aveva preceduti il vecchio padre
Ali. L'usurpatore regnò a Tripoli « da vero tiranno
« crudele '^2) „ fino al 19 gennaio 1795 (1209 dell'E.),
fino a quando, cioè, una flotta tunisina sollecitata
dal vecchio Pascià ed un esercito forte di 60 mila
uomini a disposizione dei due fratelli Caramanli, non
lo costrinsero a fuggire di notte « con 50 mila dia-
u voli n '3> dopo una strage di ostaggi e di altri cit-
tadini. Gli ebrei che erano stati particolarmente an-
gariati ne celebrarono la fuga ed istituirono una
festa, il 29 Tebat, nell'anniversario.
Nell'articolo precedente scrivemmo che non si
possedevano elementi per affermare con sicurezza
che durante questo periodo straordinario fosse stata
coniata moneta da Borghul Gurgi a Tripoli. Nel
Libro vecchio della Missione Francescana abbiamo,
posteriormente, trovato annotato a questo riguardo:
« In questo tempo che il perfido Ali Pascià gover-
« nava questa Reggenza che durò dopo la partenza
u del legittimo '4) 4 altri mesi e giorni 20, si pose
il a cuniare nuova moneta ». Ora esaminando atten-
tamente il materiale da noi finora raccolto, sebbene
non si trovi alcuna moneta che porti una data com-
presa tra il 1207 (29 luglio 1793) e il 1209 (19 gen-
naio 1795), periodo di dominazione di Ali Borghul,
si nota tra le monete che sono state coniate a Tri-
poli col nome di Selim III e con la data 1203, sia
di rame che d'argento, che alcune, pur conservando
(1) Libro vecchio della Missione Francescana già citato.
(2) Memorie di Abram Chalfun già citate.
(3) Libro vecchio già citato.
(4) Intendi dopo la partenza per Tunisi del bey legittimo Ahmed
Caramanli, sconfitto dall'usurpatore.
532 GUIDO CIMINO
il tipo delle altre coniate nella stessa data, si distin-
guono per la forma della scrittura e per il fatto che
il sin 1^1 della parola (^^i^^t (Tarabulus) è scritto
nella forma corsiva (scrittura ruq'ah) senza denti.
Senza volerlo dare come certo, è lecito supporre
che questi esemplari appartengano alla monetazione
del tiranno di Tripoli. Ne è di ostacolo la conside-
razione che (secondo quanto si fece osservare nel
precedente articolo) durante il sultanato di Selim III
non era generalizzato l'uso di indicare sempre sulle
monete la data di assunzione al trono del sultano,
perchè se, come scrivemmo, tale sistema non costi-
tuiva allora una regola assoluta, era qualche volta
usato. Ora può ben darsi che Ali Borghul lo abbia
adottato trascurando di segnare l'anno di regno. Se
cosi non fosse, si dovrebbe ammettere, volendo pre-
star fede all'annotazione del Libro vecchio, che nes-
suna moneta del tiranno ci sia capitata nelle ninni
tra il migliaio circa di esemplari esaminati. Un'altra
ragione che sembra sia favorevole alla nostra indu-
zione è che sulla monetazione d'argento la quale
presenta le caratteristiche accennate si trova per la
prima volta la formula 4.v.lu m\: (dama mulkah)^^) so-
stituita a quella »^vai jc- (azza nasrah) (2) che figura
nelle monete d'argento di Ah Caramanli coniate col
nome di Abdul Hamid le quali sono quindi quelle
immediatamente precedenti nell'ordine cronologico.
Tale cambiamento di formula potrebbe essere indice
di cambiamento di governo. La stessa formula si
ritrova, come vedremo nelle monete d'argento co-
(i) Che significa: [L)ioJ faccia duratui») il suo regiK» e corrisponde
all'altra frequcnlciiieute usata nella niunetazìone ottomana : kféallada
mtilka/i, [Iddio] renda perpetuo il suo regno.
(2) Che significa: [UioJ faccia gloriose le sue vittorie.
LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 533
niate da lusuf Pascià subito dopo Tespulsione di Ali
Borghul, ma soltanto nelle primissime coniate nel-
l'anno 12IO (nelle quali per altro il sin riprende
la sua antica forma), giacche viene posteriormente
abbandonata e sostituita dall'altra più generale :
^\ÌÀJ^ ^\ ^vLU> ^,^*J\ jUUj ^^,jJ\ ^;jlU-
(sultàn al barrain wa kha qàn al bahrain al sultàn
ibn al sultàn) <0.
Il di II giugno 1795, è scritto nel citato libro
della Missione Francescana, due ore dopo mezzo-
giorno, essendo Sidi Ahmed Caramanli uscito col
figlio per la Menscia (campagna), il fratello lusuf
fece serrare le porte, s'impadronì del Castello e si
fece Pascià. Ahmed Caramanli, temendo di essere
ucciso come il fratello Hassan, se ne fuggì riuscendo
dopo avventuroso viaggio a rifugiarsi a Malta e poi
a Tunisi. Il nuovo Pascià che tenne la Reggenza
dal 1795 al 1832 (1210-1248 dell' E.) fu. come si
disse, il più popolare principe della famiglia Cara-
manli. « Uomo non dico crudele, ma testardo, al-
« tiero e superbo che non porta rispetto ne a Con-
«< sóli ne a potenze italiane ne europee » è scritto
nel libro della Missione Francescana : « violento,
« energico, attivo » lo descrivono le Memorie del
rabbino Abram Chalfun.
Non è questo il luogo di tracciare la storia in-
teressante di questo periodo ; possiamo, per altro,
affermare, sintetizzando, che mentre nei primi anni
il tenore della vita nella Reggenza fu piuttosto ele-
vato e nella Corte vi fu anche del fasto essendo
cospicue le rendite dovute alla pirateria, ai balzelli
ed ai monopoli dei generi di prima necessità (ap-
(I) Che significa: Sultano dei due continenti, kha qan dei due mari,
sultano figlio di sultano.
534 GUIDO CIMINO
palti) che si cedevano dal Principe ai privati mercè
il pagamento di forti somme, negli ultimi vent'anni
ai torbidi politici ed alla graduale cessazione forzata
della pirateria corrispose un impoverimento generale
che non risparmiò la Corte, costretta per questo a
ricorrere a numerosi prestiti presso le varie potenze
europee ed i privati, nonché ad alcuni espedienti
tra i quali interessanti per noi quelli relativi alla
monetazione.
Le prime monete d'argento coniate da lusuf
Pascià sono senza dubbio quelle che portano la data
I2IO (anno che comincia il i8 luglio 1795). Esse
poco si discostano, nel tipo, da quelle che abbiamo
visto potersi attribuire ad Ah Borghul e sono di
poco superiori a quest'ultime per quantità di metallo
nobile. Conservano nel diritto la stessa leggenda
che più non si ripete negli anni successivi, e, nel
rovescio, ad eccezione della data e della forma della
scrittura, nulla presentano di nuovo. Solo il sin della
parola Tarabulus riprende, come s'è detto, la forma
normale usata in tutte le altre monete dei Caramanli.
Una ventina d'anni dopo si comincia già a tro-
vare nei documenti ufficiali (mancano quelli di data
anteriore) un esplicito accenno alla decadenza della
monetazione d'argento e di quella di rame. In una
relazione del console del re di Sardegna <'>, del 31
dicembre 1818 si legge : « I generi d' importazione
« potrebbero essere di maggiore conseguenza di
« quello che sono, ma la moneta locale, senza verun
« corso fuori del regno, deve necessariamente sta-
rt bihre una specie di equiHbrio tra l'importazione
« e l'esportazione ». Il che viene confermato in una
lettera del 5 novembre 1819 al Presidente capo del-
(i) Registro della corrispondenza col Ministro di Guerra e Marina
e col Presidente capo dell'Ammiragliato, dal 2 novembre 1816 al 2
aprile 1830.
LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 535
l'Ammiragliato : « questa piazza è ormai rovinata in
« materia di commercio a motivo della moneta di
« rame senza verun corso fuori di questa Reggenza ».
11 1824 (1239 dell' E.) il bisogno di denaro era ur-
gente. Dal registro dei rapporti dello stesso console
sardo si rileva come lusuf Pascià sollecitasse dal
re di Sardegna un prestito di loo mila colonnati di
Spagna. Il console trasmetteva, il 27 aprile di quel-
l'anno, la proposta con le seguenti considerazioni :
« 11 Pascià ha bisogno di una tal somma per dar
" corso all'operazione che si propone di fare onde
« stabilire il corso di sua moneta, il di cui valore,
« da sei mesi a questa parte, è diminuito della metà,
« correndo dapprima il pezzo Collonato [sic] a
u Reali ('^'> sei, ossia piastre di questo paese che sono
« di Billione [Biglione] e si è al presente elevato
« fino a dodici ». 11 console spiega che ciò era de-
rivato dalla necessità di provvedersi di cereali al-
l'estero, in seguito a che tutto il numerario d'argento
e d'oro (compresa la moneta estera di buona lega e
cioè colonnati o pezzi duri di Spagna e mahbub
turchi) u se n'era sortito », e dalla necessità di prov-
vedere ad un nuovo armamento, ma che si aveva
speranza di rialzare il corso della moneta locale,
mercè un'ubertosa raccolta in vista. In data 30 lu-
glio 1826, poi, lo stesso console accenna, in una
lettera, alla « alterazione della moneta ».
Questo stato di cose si aggrava allorché scoppia
la rivolta degli abitanti della Menscia, capitanati dal
nipote ex figlio di lusuf Pascià, Sidi Mohammed, fi-
gliuolo di Otman che si era rifugiato ed era morto
in Egitto. Tale lotta, le cui vicende si possono se-
(i) Queste piastre erano dette Real oppure Real sibilia ed equiva-
levano a due sibilie (sibilitin). La sibilia (ancor oggi si usa tra gli indi-
geni questa voce nei conteggi) valeva 60 centesimi.
536 GUIDO CIMINO
guire nei registri esistenti nell'archivio di questo
Castello, si inizia nei primi del 1832 (1247 dell' E.)
e non ha fine che il 26 maggio 1835 (1251 dell'E.)
quando cioè interviene nel conflitto la Porta. Negeb
Pascià riesce, mediante il noto stratagemma, ad as-
sicurarsi il bey di Tripoli, Ah, terzogenito del Pascià
(a favore del quale il vecchio lusuf, in istato di de-
menza, aveva abdicato il io agosto 1832 nella spe-
ranza di por fine alla lotta) e la dominazione diretta
del sultano di Costantinopoli sulla regione viene re-
staurata. Durante questi tre anni la carestia piti acuta
affligge la popolazione della città la quale è bloccata
dalla parte di terra dalle truppe di Sidi Mohammed
e, negli ultimi tempi, anche dalla parte del mare,
tirando i mortai dei rivoltosi sui bastimenti che la
rifornivano.
Il 25 febbraio 1832 il console G. Rossoni del
Granducato di Toscana scrive <^i) : « La moneta del
« paese viene ad essere totalmente screditata, che
« neppure 24 ore dopo sortita rimane nel suo va-
« lore pubblicato e non fa nuUameno di differenza
« sul momento che di 50 a 70 per cento di ribasso.
« Il Pascià, trovandosi nella più stretta necessità di
« pecunia, con la maggior parte degli arabi rivoltati
« contro di lui, senza poterli sottomettere ; indebi-
« tato da ogni parte senza risorse di sorta alcuna,
« per non volere attendere a coltivare le sue vaste
« terre, ed essendo evidente che Egli non può più
« attrarre qualche sollievo col mezzo della sua zecca,
« come ha avuto da più anni, si è ridotto a ven-
« dere sino li suoi pochi cannoni di bronzo, ma
« questo non servendole che per il momento, à ri-
« chiesto noi Consoli al Castello perchè gli dessimo
« un parere come poteva fare per far circolare la
(i) Copialettere (18JI-1836) del Consolato del Granducato di Toscana.
LA 2ECCA DI TRIPOLI d'oCCi DENTE 53/
u sua cattiva moneta; ed essendo andati e rispostoli
u ad una voce che formasse una Banca ove potersi
« cambiare la medesima alla stessa valuta da lui
« proclamata con altra buona di argento estera, ne
« lasciò l'incombenza ai detti Consoli che se vi erano
« degli Europei che volessero assumere l' impresa
u di detta Hanca gliene facessero il progetto, quale
« fu fatto, e che era il più [sic] migliore che mai
« si potesse dare, non solo per stabilire il credito
u della moneta locale, ma che avrebbe rianimato
« nell'istante il commercio in generale in questa
« Reggenza di cui ne ha tanto bisogno per solle-
« vare il suo popolo che parimenti si ritrova op-
« presso nella più estrema miseria; mail Hascià ha
« rifiutato detto progetto non tanto per riguardo
« della Zecca, che non sarebbe stato più in suo po-
« tere di fabbricare moneta, almeno per quel dato
« tempo che detto Bascià avrebbe sussistito, ma
u perchè non gli rendeva che piccola utilità. Per
« altro Egli bisogna che procuri altri mezzi per vi-
« vere se non vuole avere una rivoluzione anche in
« Città, che poco vi manca. Tale è lo stato in cui
u ci troviamo, che Dio ce la mandi buona ».
Da queste notizie ben si comprende quale po-
tesse essere la qualità delle monete fatte coniare in
quegli anni. Abbiamo accennato, nel precedente ar-
ticolo, all'episodio dell'ebreo che era stato punito dal
Pascià per essersi rifiutato di ricevere la moneta da
lui emessa. É interessante conoscerlo per intero come
ci viene narrato dallo Slousch che lo ha ricavato
dalle memorie del rabbino Abram Chalfun. « Dopo
« l'abolizione definitiva della pirateria lusuf Pascià
« si trovò a corto di risorse. Fu allora che egli ri-
« corse ad un sistema che è ancora caro ai sovrani
« marocchini. Fece coniare della moneta di bassa
« quaHtà che egli emetteva al corso del prezzo delle
68
53^ GUIDO CIMINO
« monete di argento puro. Inoltre appena la nuova
« moneta era messa in circolazione, egli si affrettava
u a metterla fuori corso, allo scopo di sostituirla
« con una nuova moneta di qualità ancora più bassa.
« Fu così che dal febbraio 1829 (1244 dell' E.) al
ti giugno del 1832 (1248 dell' E.) fu cambiata la qua-
« lità della moneta 11 volte. Naturalmente i sudditi
« degli Stati stranieri si rifiutavano di accettare la
« moneta al prezzo ufficiale, ma i sudditi del Pascià
" erano costretti ad accettarla sotto pena di morte.
« Un venerdì del mese di luglio 1831 (1247 dell'E.)
li un fruttivendolo ebreo, tale Inda Arbib, si rifiutò
u di vendere la sua mercanzia, avendo saputo che
« un ordine beylicale dichiarava fuori uso le monete
« messe in circolazione qualche settimana prima,
« fino alla domenica successiva, giorno di emissione
il della nuova. Il fruttivendolo fu arrestato, legato
« e coperto di miele perchè fosse assalito dalle
« mosche. Un suddito inglese Mordkai Angelo lo
« slegò e perorò la causa del disgraziato presso
« il Pascià ».
Un altro fatto, degno di nota e riguardante pure
la monetazione d'argento, del quale, per altro, la
scarsezza degli esemplari posseduti non permette di
dare una spiegazione sicura, è che oltre alle mo-
nete le quali sono state dorate evidentemente per
desiderio delle donne indigene che le hanno portate
al collo (^>, se ne trovano alcune, placcate in oro. le
quali per la dimensione, per la scrittura circolare
simile a quella delle monete d'oro dell'epoca coniate
a Costantinopoli e mai usata nelle monete d'argento,
fanno pensare ad una falsificazione di Stato, special-
mente perchè esse risultano coniate nell'anno 1243
(i) Accanto ad esse, infatti, si trovano quelle di tipo identico non
dorate.
LA ZECCA DI TRIPOLI D OCCIDENTE 539
dell'Egira (1827 a. d.), quando cioè la crisi economica
della Reggenza aveva raggiunto quel grado di cui
scrive il console sardo a proposito del prestito che
il Pascià desiderava contrarre col Regno di Sardegna,
e quando lo stesso console accenna (30 luglio 1826),
come abbiamo visto, ad una « alterazione » della
moneta.
Gli esemplari della monetazione aurea di tutta
l'epoca del dominio dei Caramanli sono assai rari
probabilmente perchè esportati nei tempi fortunosi
ai quali abbiamo accennato ed impiegati, posterior-
mente, a sostituire la materia prima per la fabbri-
cazione locale degli oggetti di ornamento. La lega
si mantiene buona (22 carati) sicuramente fino al-
l'anno 1218, essendo d'oro fino tanto il mahbub co-
niato da Ali Caramanli col nome di Abdul Amid I
nel 1187 dell' E. (1773 a. d.) quanto il doppio mahbub
coniato col nome di Selim III (portante da un lato
la data 1203 di assunzione al trono di detto sultano
e dall'altro l'anno di regno [15]) ed il piccolo mahbub
(con la sola data 1213) coniati entrambi da lusuf
Pascià. Un esemplare coniato da quest'ultimo, molto
più tardi, è invece di bassa lega (8 carati circa).
Esso porta da un lato la data dell'assunzione al
trono di Mahmud II (1223 dell'E.) e dall'altro Tanno
di regno che sembra sia il 13", per cui sarebbe stato
coniato nell'anno 1236 dell'Egira (1820 a. d.) e cioè
quando erano già cominciate a ripercuotersi sulla
monetazione le tristi condizioni economiche della
Reggenza.
La monetazione di rame di lusuf Pascià è va-
riata quant'altra mai, e comprende un numero straor-
dinario di tipi, varii per peso, disegno e dimensione^**.
Si può dire che a distanza di due o tre anni e, verso
(i ) Si va dalla monetina di 13 tnni. a quella di 40 ram. di diametro.
540 GUIUO CIMINO
gli ultimi tempi, annualmente ed anche più volte in
un anno, veniva mutato il tipo delle monete di rame.
Non è intendimento nostro di entrare per ora
in dettagli anche perchè non si hanno elementi si-
curi per quanto riguarda il valore e la denomina-
zione di ciascuna specie. Tale ricerca fornirà materia
per un futuro articolo.
Tripoli, Settembre H)i6.
Guido Cimino.
FALSIFICAZIONI
DI
MONETE ITALIANE
Dopo una sosta abbastanza lunga i nostri falsari hanno
ricominciato le loro imprese. Da un po' di tempo circolano
sul mercato numerose falsificazioni di monete italiane. Mi af-
fretto pertanto, appena constatato il fatto, a renderne edotti
i nostri Lettori, pregandoli caldamente di voler, alla loro
volta informarne quelli fra i loro conoscenti, che non vedono,
se non raramente, il nostro Periodico, e che potrebbero re-
star ingannati dall'abilità di quei messeri.
Le monete false ora messe in circolazione sono piuttoste
numerose. Finora ne ho vedute più di una ventina, e delle
nove più importanti che ho nelle mani, do qui in seguito la
descrizione e la riproduzione dal vero. Alcune di queste
sono assai ben fatte, e tali da trarre in inganno, non solo i
raccoglitori novizi, ma anche i più provetti. Sono tutte di
un tipo, e appartengono ad una identica fabbrica.
Questa volta i falsari, invece di ricorrere solo ai tipi di
monete rare, come quelle che descrivo, hanno pensato sag-
giamente di falsificarne molte comuni o di media rarità come,
ad esempio, degli Scudi di Vincenzo 1 per Casale, di Fer-
dinando Card, per Mantova, Scudi e Doppi Scudi di Parma
e Piacenza, ecc., ecc. Essi hanno giustamente calcolato che
i raccoglitori novizi acquistano di preferenza le monete di
poco costo, e che quelli provetti, all'atto di farne acquisto,
non le guardano tanto minutamente, non immaginando che
si siano falsificate tali monete.
Non si potrà mai abbastanza deplorare e stigmatizzare
questa vergogna delle falsificazioni. Oltre il grave danno
che queste producono in chi ne è vittima, finiscono col fargli
perdere la passione del raccogliere, e io potrei citare il caso
542 ERCOLE GNECCHI
di qualche mio amico, che, ingannato parecchie volte ne'
suoi acquisti, non volle più saperne, abbandonò le monete
e lo studio della numismatica, e si dedicò ad altro.
È deplorevole che la Legge assai (iifficilmente possa
colpire questi bricconi. Ma, se è diffìcile scovare gli autori
di queste falsificazioni, che si nascondono nell'ombra, non è
del pari difficile rintracciare quelli che le spargono sul mer-
cato. Io ne conosco parecchi, e potrei spiattellarne i nomi ;
ma, per ora, mi basta rivelare il peccato, e non mi sento di
far noti i peccatori. Ciò potrebbe forse avvenire, qualora
essi continuassero imperturbati nel loro criminoso commercio.
Ecco ora le nuove monete accennate.
AVIGNONE.
Clemente Vili (1592-1605).
1. Scudo.
i^' " CLEMENS ^ Vili ^ PONT # MAX ^ 1599 ^ Busto
del Pontefice a sinistra (sotto il busto numeri e
lettere illeggibili).
^ — OCTAVIVS : CARD D AQVAVIVA • LEGA AVENIO (Le
parole framezzate da gigli). Stemma Aquaviva.
(Tav. X, n. i).
FIRENZE.
OSSIDIONALE (1530).
2. Mezzo Scudo.
.^ — SENATVS • POPOLVS • Q • FLORENTINVS • Stemma
col giglio. Al di sopra una Croce.
1^ - lESVS REX • NOSTER • ET DEVS NOSTER Croce
con corona di spine. Nel campo N e Stemma.
(Tav. X, n. 2).
GENOVA.
Dogi Biennali (1541-1791).
3. Scudo della Beutdizionc.
& — * DVX * ET ^ OVB * REIP * GEN ^ Il Doge
a sinistra volto a destra inginocchiato davanti al
FALSIFICAZIONI DI MONEIE ITALIANE 543
Redentore benedicente ; dietro il Doge, due per
sene. All'esergo 16()1.
^ - + CONRADVS * Il * RO * REX * I * V * Stemma
di Genova coronato e fiancheggiato dai draghi.
(Tav. X, n. 3).
NB. — Questa falsificazione è una delle meglio riuscite, iinitando
a pei lezione il tipo rozzo v mal fatto di questo scudo di Genova.
MANTOVA.
ViNCFNzo I Gonzaga (1587-1612).
4. Quarto dì Scudo.
H' — VINCENTIVS • DVX MANTV/E • Busto corazzato del
Duca a destra, collo .scettro.
Ri — ET • MONTIS FERRATI II Aquila coronata collo
stemma in petto.
(Tav. X. n. 41.
MASSA DI LUNIGIANA.
Al.RERlCol CyBO (1559-1623).
5. Scudo.
P' ALBERICVS * CIBO * MALASP PRIN * MA * Busto
corazzato a destra, lesta nuda.
^ — + SVB * VKIBRA ik ALARVM * TVARVM Aquila bi-
cipite coronata collo stemma C^'bo in petto. Al-
l'esergo Ki-Ol e sotto: LIBERTAS.
(Tav. X. n. 5).
NAPOLI.
Carlo II e Anna Maria reggente (1674).
6. Tati.
f^' — CAROLVS II • D (7 HISPANIAR E • NEAP • E • C • REX
Busti accollati a destra di Carlo II fanciullo e
della madre. All'esergo : 167-1- e A H.
544 ERCOLE GNECCHl
IS> — ET • MARIAN : ElVS • MATER • REGN • GVB : Stemma
di Spagna sormontato da corona.
Tav. X, n. 6).
NB Nel Catalogo della Collezione Sambon, venduta nel 1897, questa
moneta era indicata come twicn
PISA.
Carlo Vili (1494-1495).
7. Bianco.
B' - * KAROLVS : REX : PISANORVM : LIB Stemma di
Francia coronato, fiancheggiato dalle lettere K L.
iji — • PROTEGE GO : PISAS • La Vergine seduta col
Bambino. Nel campo a sin., Croce pisana ; a d.,
una croce con un monogramma indecifrabile.
(Tav. X, n. 7). '
RAVENNA.
Leone X (1517-1521).
8. Giulio.
B' — • LEO • X • PONTIFEX • M • Lo Stemma Medici so-
stenuto da due leoni lampanti.
P — ECCLESIE • R • • S • RESVRE La Risurrezione. Ai
lati gli stemmi della Città e del card. Fieschi.
(Tav. X, n. 8).
ROMA.
Giulio II (1503-15 13).
9. Testone.
B' — • ^ • PAX • RO MANA • * • Lo stemma Dt^lla Ro-
vere, sormontato dalle chiavi e dal triregno.
I^ — • ALMA • ■ ROMA- I Santi Pietro e Paolo in piedi;
a sin., sigla dell' incisore.
(Tav. X, n. 9).
Ercole Gnecchi.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI
Ciccotti (E.). Vecchi e nuovt orizzonti della Numismatica e
funzione della moneta nel mondo antico. Società editrice
libraria, Milano, 1915, in-8, pag. 184.
Nel campo degli studi numismatici in Italia mancava an-
cora una trattazione, che in una sintesi accurata e chiara
presentasse agli studiosi i risultati di quegli studi metrolo-
gici, i quali, complessi nella materia e astrusi nella forma,
quasi monopolio degli studiosi di oltr'Alpe, costituirono in
questi ultimi decenni buona parte della produzione scienti-
fica nel campo della numismatica antica. Mancava inoltre un
libro che sintetizzasse, illustrandola al lume della storia ci-
vile politica ed economica, la complessa, vasta, importantis-
sima funzione della moneta dal suo primo apparire presso i
popoli del bacino orientale del Mediterraneo per tutto l'evo
antico, che nel campo economico illustrasse le tasi precor-
rittrici che avevano aperto la via a questa innovazione, la
cui importanza è appena oggi possibile di valutare adegua-
tamente, e le tasi successive che della moneta avevano co-
stituito, per l'enorme movimento della vita e morale ed eco-
nomica e politica che da quella avevano avuto il maggior
impulso, il mezzo di scambio più evoluto e perfetto quale
hanno adottato le età successive fino ai giorni nostri.
Questi due argomenti, in due capitoli densi di concetto,
da cui si irradia su due campi diversi tanta luce di vita, ha
trattato l'A. in un volume d'introduzione al voi. Ili della
Biblioteca di Storia Economica,
La via percorsa è stala certo lunga ed aspra, nella prima
parte, all'A., che di tutta la vasta, complessa e dibattuta
546 BIBLIOGRAFIA
questione metrologica presenta un largo riassunto, che ne
delimita e individua le varie fasi di evoluzione e di sviluppo
presentando le varie teorie nelle loro linee fondamentali.
Arida e insidiosa è la questione che ricerca le più an-
tiche origini, la genesi e la derivazione dei vari sistemi mo-
netari in uso nell'antichità classica. Tale problema sorto tardi
nel campo degli studi numismatici, fu posto chiaramente la
prima volta nella sua " Doctrina Nummorum veterum „ (vo-
lume I, p, XXIV, cap. IX), dall' Eckhel, il quale ne indicava
e precisava il metodo positivo, proponendo lo studio diretto
del materiale numismatico noto in luogo delle sole testimo-
nianze letterarie, ambigue, incerte quando non false, note ai
suoi tempi.
Per la prima volta poi tale quesito nell'opera del Bo^ckh
trovava un'ampia, geniale trattazione, ancor oggi degna di
studio, e poi si avviava alla soluzione attraverso ai lavori
ed alle ricerche sempre piiì larghe e complesse del Mommsen,
del Brandis, dell' Hultsch, del Lehmann-Haupt, dell' Haeberlin,
nelle controversie ardite e feconde del Weissbach, del Re-
gling, del Willers, del Ridgeway, del Warwich-Wroth, del
Tailor, dell'Aurés, del Thureau-Dangin, ecc., ecc.
Ho detto che la questione si avviava, alla soluzione ;
questa però, a dir il vero, non è ancora stata trovata, né at-
traverso e per mezzo dell'indirizzo unitario dato dal Brandis,
che riconduceva ai sistemi degli Egizi e dei popoli dell'Asia
Minore i pesi e le misure grecoromane, indirizzo il cui as-
sertore più profondo e convinto è il Lehmann-Haupt, poi
lo Haeberlin, indirizzo dunque che mirava a coordinare ed
unificare nelle origini i sistemi metrici ponderali, che pre-
vale sempre più e che lo Haeberlin ultimamente applicò a
spiegare i più antichi sistemi monetari dell' Italia centrale,
né invero attraverso il metodo comparativo ed induttivo inau-
gurato dal Ridgeway. Il quale estendeva l'indagine alle ori-
gini delle forme metriche e monetarie presso i più svariati
popoli anche moderni in istato di barbarie o di arretrata ci-
viltà, e coir aiuto dell* induzione ne traeva illazioni di ordine
più generale, e dichiarava empirica l'origine dei pesi e delle
misure.
Il secondo capitolo del lavoro è la parte più attraente
BIBLIOGRAFIA 547
e originale, direi geniale. L'A. vi tratta della funzione della
moneta nel mondo antico, e di questo argomento unilateral-
mente e superficialmente da altri appena toccato, l'A. svi-
scera tutto il vasto e complesso contenuto e ne risulta un
capitolo di un interesse speciale dal punto di vista sociale,
che permette al lettore di farsi un concetto di vita vera vis*
suta rispetto a quello che fu lo strumento tipico degli scambi
ed uno degli agenti più attivi della civiltà antica, uno degli
stadi più perfezionati ed il coronamento di tutto quel deli-
cato ed ingegnoso congegno che si realizzava nei sistemi
di pesi, di misure, come ottimamente dice TA. stesso. Il quale
ci illustra la moneta come il portato di un bisogno crescente
e del crescente uso degli scambi], e di una società svilup-
pata sino ad avere un potere regolatore più accentrato, come
la causa di un progresso più rapido ed intenso nell'economia
e nella struttura politico-sociale, come il risultato di una lenta
ed annosa evoluzione dell'economia della società, come l'e-
nergico propulsore verso forme più avanzate. Ancora tratta
l'A. dell'incremento delle forme iniziali dell'impiego frutti-
fero della moneta tesaurizzata, del sorgere del mutuo, del
concorrere del denaro a creare un diverso stato sociale, la
democrazia e poi la schiavitù, del modo di acquisto, di ero-
gazione e di investimento del denaro, della funzione e delle
conseguenze del suo impiego, della sua maniera di godi-
mento, della ripercussione infine del denaro nella vita sociale
e morale e sulla compagine economica famigliare. Ne viene
infine illustrato un altro lato del quadro complesso, cioè la
importanza della moneta nell'antichità, assai maggiore che al
presente, per l'inesistenza dei varii surrogati odierni, la lo-
calizzazione e lo sfruttamento delle miniere, la qualità e quan-
tità dei metalli monetati e in circolazione, il prezzo del de-
naro o interesse, il movimento degli affari, il cambio della
moneta e l'istituzione della banca, il credito pubblico, infine
il costo relativo della vita nei periodi successivi di quelle età.
Seppur talora o appena proposti o troppo brevemente trat-
tati, tutti questi problemi che riguardano l' immenso e pode-
roso movimento della vita antica nell'ambito dell'economia
sociale, problemi alcuni dei quali sono ancora per la vita
odierna di attualità ed insistentemente studiati, nella chiara
54^ BIBLIOGRAFIA
e sintetica trattazione dell'A. emergono per la prima volta
in tutto il loro vero valore, assumono aspetti e fisonomia pro-
pria illustrando un lato della vita antica dei più interessanti
e dei meno studiati e compresi.
In questo, come già nei vari altri lavori di storia eco-
nomica, quali ad es. " La retribuzione delle funzioni pubbliche
" civili nell'antica Atene ; L' interesse del denaro nell'anti-
" chità ; L'evoluzione della storiografia e la storia economica
* del mondo antico „, emerge quel profondo senso storico,
quel chiaro e dritto acume critico, quella vasta dottrina che
distinguono tutta la produzione scientifica del chiaro pro-
fessore di Storia antica dell'Università di Messina.
L. Cesako.
Burlington Fine Arts Club : Catalogue of a Colledion of
objects of British Heraldic Ari to the End of the Tudor
Period. — London, printed for the Burlington fine Arts
Club, 1916. Voi. di pag. XX-127, senza illustrazioni.
Data la scarsezza di documenti relativi al blasone e al-
l'arte araldica in generale, è interessante la consultazione di
questo Catalogo, quantuque non esca dal carattere di una
pubblicazione d'occasione per esposizione ; poiché fu compi-
lato da due competenti, Rev. E. E. Dorling e Mr. Mill Ste-
phenson, e perchè l' introduzione di Oswald Barron è un
buon saggio intorno all'araldica e alla sfra"^ istica inglese
dalle sue origini fino alla fine del periodo dei Tudor.
S. Ricci.
Galiani (Ferdinanch), Della moneta, a cura di Fausto Nicolitti. Bari,
Laterza, 1915, in-8, pp. 383 f" Scrittori d'Italia „, n. 73).
Istruzioni per la R. zecca in esecuzione del regolamento approvato
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/Va/o {Giuseppe), Problemi monetari e bancari nei secoli XVll e
XVIII. Torino, Soc. tip. editr. nazionale, 1916, in-4, pp. xiu-315 [" Docu-
* menti finanziari degli Stati della monarchia piemontese „, serie I,
voi. 3.»].
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assegnati rivoluzionari (Estr. Memorie della R. Accademia delle scienze).
Torino, Bocca, 1915, in-4, pp. 42.
Raccolta di medaglie antiche e moderne di proprietà Guglielmina
Pietro. Voghera, tip. Boriotti-Maiocchi-Zolla, 1915, in-8, pp. 16.
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Ake (Yale Orientai Series Researches, vo\.\\). New Haven and London,
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Sardis. Volume XI: .Coins. Part I, 1910-14, By H. W. Bell. Leiden
(E. J. Bri.!, 1916. Printed at the Oxford University Press, pp. xiu-124
e 2 tav.
550 BIBLIOGRAFIA
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(Serafino). La targa d'onore del " Corriere della Sera „ al senatore Luigi
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Membro corrispondente dell'Accademia francese. — Libri in vendita, ecc.
N. 4, I aglio-settembre. — Cortese (Alessandro). Scambio di leggenda
sopra un danaro di Caracalla. — Tribolati (Pietro). Alcune monete di
Solferino. — Gioppi (L.). La zecca di Montalto Marche [cont.]. — Donati
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vocabolario " La Moneta „ del Martinori]. — Omaggi al Circolo numi-
smatico milanese. — Necrologio (ing. Cario Clerici).
N. 5, ottobre-dicembre. — Gioppi (L.). Iconografia monetaria della
Magna Grecia. — Ricci (S.). Prima di licenziare il " Dizionario dei molti
e leggende delle monete italiane „ alla stampa e al pubblico. — Tribolati
(P.). // primo " Filippo „ di Maria Teresa coniato nella zecca di Milano.
— Gioppi (L.), La zecca di Montalto Marche [cont.]. — Notizie varie. —
Necrologio (Cliiara Dossato ved. Ricci, Luigi Rizzoli, Pompeo Monti).
Anno XIV, 1916, N. 1, gennaio marzo. — Gioppi (L.). Iconografia mo-
netaria della Magna Grecia [cont.]. — Lo stesso. La zecca di Montalto
Marche [cont.]. — Ricci (Serafino). Cronistoria del R. Gabinetto numisma-
lieo e Medagliere nazionale di Brera in Milano. Elenco dei fatti salienti
della sua storia. — Bibliografia delle opere di Pompeo Monti,
N. 2, aprile-giugno. — Gioppi (L,). Iconografia monetaria della Magna
Grecia [cont.]. — Lo stesso. La zecca di Montalto Marche [cent.]. —
Ricci (S.). Cronistoria del R. Gabinetto numismatico di Brera [cont.]. —
La DntEzioNE. Il geitone-moneta di guerra della Croce Rossa Italiana, do-
nato al Circolo Numismatico milanese. — Bibliografia (Atti e Memorie
dell'Istituto italiano di numismatica, voi. II. — Necrologio (Luigi Correrà,
Flavio Valerani).
N. 3, luglio-settembre. — Laffranchi (L.). Le monete guerresche di
un imperatore pacifista. — Gioppi (L.). La zecca di Montalto Marche
[cont.]. — Ricci (S.). Cronistoria del R. Gabinetto numismatico di Brera
[cont.]. — Notizie varie: [Recenti ritrovamenti di monete anticiie].
BIBLIOGRAFIA 551
Il Supplemento all'opera " Le Monete del Reame delle Due Sicilie da Carlo I
d'Angiò a Vittorio Emanuele II „, a cura dell'autore Memmo Cagiati. —
Anno V. Napoli, 1915.
N. 3-4, lagUo-dicembre. — Cagiati (Memmo). Commiato. — Correzioni
ed aggiunte ai fascicoli i-j dell'opera " Le monete del Reame delle Due
Sicilie „. — Indice generale delle annate J-V {ipii-ij) di questo Periodico
per nome di Autore. — Indice dei sommari delle annate I-V di questo
Periodico.
[Al Supplemento subentra il Bollettino del Circolo numismatico na-
poletano, organo di quell'associazione e pubblicazione trimestrale].
Revue Numismatique. Parigi.
Troisième trimestre, I91S. — Dieudonné (A.). Acquisitions du Cabinet
des médailles. Monnaies carolingiennes. — Hill (G. F.). Ntcolò Cavalie-
rino et Antonio da Incema. — Prinet (M.). Sceau attribué a la maré-
chaussée du duché de Bourgogne. — Le Hardelay (Ch.). Contribution à
l'étude de la numismatique vénitienne [fin]. — Documents monétaires du
r'egne de Henri II [suite]. — Octroi de bourses de jetons à Blois et à La
Rochelle au XVIII siede. — Chronique (Le eulte de Cybèle ; Zeus multi-
niamniaeus ; Numismatique de Chios ; Musées ; Numismatique de la
guerre; Prix de numismatique). — Bulletin bibliographique. — Procès-
verbaux de la Société fran^aise de numismatique.
Quatrième trimestre. — Dieudonné (A.). Les deniers de Juba II, roi
de Maurétanie. — Rilly (comte F. de). Quelques variétés curieiises de
fausses monnaies en France. — Lo stesso. Des monnaies faiisses dans la
numismatique franfaise. — Castellane (comte de). Écu d'or au nom de
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ments (La médaille des écrivains tombés au champ d'honneur; Docu-
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L'Anjou hist Mtiafto, Ber-
nardoni, 1847, ^ P^g- 9-12.
55^ VARIETÀ
" Le tasse, mercedi ed onorari dovuti ai notai ed agli
archivi notarili dell'antico ducato di Milano, per le copie,
estratti, ecc., degli atti notarili anteriori al i° novembre 1807,
epoca in cui venne attivato il tuttora vigente provvisorio
Regolamento sul Notariato 17 giugno i8o6, devono, pel di-
sposto dell'articolo 155 di detto Regolamento, misurarsi e
calcolarsi colle norme stabilite dalla suddetta Tariffa del Col-
legio de' Notari e Causidici di Milano approvata coli' I. R.
Rescritto 4 febbraio 1762.
E siccome dall'epoca dal 1300 al 1796 negli istrumenti
celebrati nel già ducato di Milano, il valore dedotto ne' ri-
spettivi contratti trovasi espresso in monete non solo da
lungo tempo fuori di corso, ma di cui persino venne gene-
ralmente dimenticata la denominazione; e ritenuta d'altronde
per gli archivi notarili la necessità di conoscerne la rispet-
tiva valutazione in confronto delle monete posteriormente
introdotte, onde potere giustamente calcolare l'onorario e le
tasse dovute per l'edizione delle copie di quegli istrumenti
antichi pei quali è prescritta una tassa proporzionale sulla
somma dedotta in contratto ; così credo opportuno di ripor-
tare qui alcune notizie, già state raccolte dal conte Giulini,
intorno tali monete antiche.
Ed innanzi tutto è d'uopo avvertire che alcune di dette
monete erano effettive ed altre puramente nominali.
Erano monete effettive d'oro .• l'ambrosino, il fiorino, lo
scudo e la doppia; da argento e rame: il soldo e sue frazioni,
il due-soldi e la lira di Milano. Erano poi monete nominali
la lira imperiale e la lira di terzuoli.
Ambrosino, moneta d'oro coniata in Milano nel 1315 col-
l'effigie di S. Ambrogio, del valore di una lira imperiale e
soldi dieci (v. lira imperiale).
Fiorino d'oro, corrispondente allo zecchino di Firenze
ed al gigliato. Nel 1254 il fiorino d'oro del peso di denari
due, grani ventiquattro corrispondeva a soldi venti, ossia ad
una lira imperiale e quindi a due lire di terzuoli (v. lira di
terzuoli).
Da quell'epoca al 1532 il valore di detto fiorino aumentò
sino alle lire cinque, soldi quattro imperiali, giusta la dimo-
strazione seguente :
VARIETÀ
559
//
fiorino
(Coro equ
(valeva
ad imperiali
Anno
Lire
Soldi
Denari
Anno
Lire
Soldi
Denari
"54
I
—
—
1442
3
4
—
1348
I
12
—
H5I
3
5
—
1398
I
16
—
1452
3
6
—
1405
2
I
—
1453
3
10
—
1406
2
2
—
1458
3
18
—
1409
2
6
—
1459
3
19
—
1411
2
8
6
1460
4
2
—
1412
2
12
—
1462
4
3
—
1427
2
15
—
1487
4
IO
—
1428
2
16
—
1490
4
II
—
1429
2
18
—
1508
4
13
—
1430
2
19
—
1520
5
—
—
1436
3
—
—
1532
5
4
—
«439
3
3
6
Scudo d'oro. Nel 1538 si sostituì al fiorino d'oro lo scudo
d'oro corrispondente a lire cinque e soldi dodici imperiali ;
era del peso di denari due, grani diciotto e del titolo di ca-
rati ventidue ; cosicché questa moneta era inferiore di due
carati al titolo del fiorino, il quale ritenevasi di oro puro,
ossia di carati ventiquattro.
Il valore di detto scudo aumentò nel 1557 sino alle lire
cinque e soldi sedici, e nel 1564 sino alle lire sei imperiali.
Doppia. Moneta d'oro coniata in Milano, del peso di de-
nari cinque, grani dieci, e del titolo di carati ventidue ; de-
nominata doppia perchè equivaleva a due scudi d'oro.
Dall'anno 1580 al 1723 il valore della doppia d'oro au-
mentò dalle lire dodici e soldi dieci alle lire ventiquattro
imperiah, giusta la seguente dimostrazione:
La doppia doro del peso di denari j, grani io corrispondeva
ad imperiali
Denari
Anno
Lire
Soldi
Denari
Anno
Lire
Soldi
1597
12
IO
—
1658
19
IO
1602
13
4
—
1663
90
—
1608
13
IO
~-
1665
20
IO
1650
16
8
—
1672
22
—
1652
18
—
—
1683
23
IO
1657
18
IO
—
1723
24
—
Il Soldo composto di dodici denari ; venti soldi forma-
vano una lira imperiale.
il Danaro. Dodici danari formano il soldo.
Il Sestino. Sesta parte di un soldo.
56o
VARIETÀ
Il Quattrino. Quarta parte di un soldo.
Il Sesino. Mezzo soldo.
Il Due-Soldi. Doppio del soldo.
La Lira di Milano, del valore di venti soldi, sostituita
nel 1723 alla lira imperiale.
Lira imperiale : era composta di venti soldi. Nel 1254
corrispondeva al fiorino d'oro; e da quest'epoca sino al 1723
la lira imperiale in corrispondenza a quella di Milano ebbe
a subire le seguenti variazioni :
La lira imperiale corrispondeva a milanesi
Anno
Lire
Soldi
Denari
Anno
Lire
Soldi
Denari
1254
15
8
—
1462
3
H
2
13IS
IO
5
4
1487
3
8
5
1348
9
12
5
1490
3
7
8
1398
8
II
I
1508
3
6
2
1405
7
8
2
1509
3
5
4
I406
7
6
8
1520
3
-—
—
1409
6
13
IO
1532
2
18
5
I4II
6
7
—
1538
2
2
IO
1412
5
18
5
1557
2
r
4
1427
5
12
—
1564
2
—
—
1428
5
IO
—
1579
18
4
1429
5
6
2
1602
16
4
f43o
5
4
4
1608
'5
6
1436
5
2
8
1650
8
4
1439
4
17
—
1652
6
8
1442
4
16
3
1657
5
I
1451
4
M
6
1658
4
7
1452
4
13
4
1662
4
—
1453
4
8
—
1665
3
4
1458
3
18
II
1672
I
9
1459
3
17
II
1683
5
—
1460
3
15
I
1723
—
—
Nel 1723 fu sostituita alla lira imperiale la lira effettiva
di Milano, per cui da quell'epoca in avanti, tuttoché si rin-
venga negli istrumenti rogati da' notai di Milano fatta men-
zione di lire imperiali, devonsi queste ritenere per lire mi-
lanesi di grida ; dicesi di grida onde escludere il valore che
le monete avevano nel corso abusivo.
Lira terzuola o di terzuqli. Questa era precisamente
la metà della lira imperiale, e conseguentemente per calco-
lare il valore della lira de' terzuoli ne' diversi tempi in re-
lazione alla lira di Milano, potrà servire di norma la prece,-
dente tabella di ragguaglio della lira imperiale, ritenuta l'av-
vertenza che questa era il doppio della lira terzuola ^.
VARirrA 561
Il Giglio di Firenze in una moneta bizantina. —
Nel numero maggio-giugno scorso della Monthly Numistnatic
Circular di Londra è descritta (col. 192, n. 38891) una mo-
neta di Giovanni Vili Paleologo, nel rovescio della quale,
ai lati del Cristo, sono riprodotti due gigli ornamentali come
quelli che formano il caratteristico emblema della città di
Firenze.
La moneta, assai rara per sé stessa, è una variante d'altro
simile esemplare donato dal conte di Salis al Museo Britan-
nico e descritta al n. 5 di quel Catalogo.
Ma l'importanza eccezionale della moneta nelle due va-
rietà, consistente in quel Giglio che vi si trova quale sim-
bolo, venne rilevata da Ugo Coodacre {Ntim. Circular, luglio-
agosto, col. 405), il quale, avvertendo che uno dei principali
avvenimenti del regno di Giovanni Vili fu il Concilio delle
Chiese riunito a Firenze nel 1439, si dimanda se in quel
giglio ornamentale si possa riconoscere il giglio di Firenze,
ivi riprodotto a commemorazione di quell'avvenimento.
Da parte nostra troviamo la supposizione non solo pro-
babile, ma quasi sicura e perciò l'abbiamo qui registrata,
pel fatto rarissimo e forse unico di una città italiana ricor-
data su una moneta bizantina. Aggiungeremo poi che Gio-
vanni Paleologo è già legato per altri vincoli all'arte e alla
numismatica italiana, il che rende tanto più naturale il fatto
accennato. L'imperatore d'Oriente era venuto in Italia ap-
punto nel 1439 pel Concilio di Firenze e in quell'occasione
vi aveva conosciuti i nostri artisti, fra i quali Vittore Pisano
da Verona, detto il Pisanello, il quale per lui modellò la sua
prima medaglia, iniziando col ritratto di Giovanni il Paleo-
logo quella splendida serie di medaglie che doveva dare
fama imperitura all'artista del quattrocento italiano.
Monete dei giuochi olimpici. — In una comunicazione
presentata all'Accademia di Iscrizioni e Belle Lettere, Er-
nesto Babelon dà notizie di una serie di monete commemo-
rative dei giuochi olimpici, nelle quali crede doversi ravvi-
sare le iniziali dei nomi d'illustri scultori del secolo V, quali
Dedalo, Alcamene, e Policleto. Sarebbe perciò provato che
questi insigni maestri non avrebbero disdegnato di dare l'o-
71
562 VARIKTÀ
pera loro anche a tal parte più modesta dell' arte, secondo
l'usanza che vediamo ripresa nell' età stessa del Rinascimento
da alcuni tra gli artisti più celebri.
iVledaglìe italiane. — Nel fascicolo di gennaio del Bur-
lington Magazine G. F. Hill illustra alcune medaglie italiane
del XIV e XV secolo di autori non ben definiti.
Ritrovo di monete al Gottardo. — Nel settembre 1916,
nelle vicinanze della vecchia strada mulattiera del Gottardo,
al disopra del ponte di Sprengi, nelle gole della Schòllenen,
alcuni ragazzi trovarono un certo numero di monete d'oro
italiane e spagnuole, della fine del secolo 16" e del principio
del 17**, quasi di certo andate perdute, da un mercante pas-
satovi di quei tempi. Trattasi di monete di Parma, Piacenza,
Mantova, Venezia, ecc. {Indicateur (T antiquités suisses, n.° 3,
1916, p. 254).
Zecche di Messerano e Crevacuore. — Il conte Mario
degli Alberti, di Torino, e il cav. Cesare Poma, di Biella,
si propongono di pubblicare tra breve un MS del cardinale
Carlo Vittorio Ferrerò della Marmora, del 181 1, su dette
zecche, che si conserva nell'Archivio del Palazzo Lamarmora
in Biella.
Il card. Lamarmora ebbe corrispondenza al riguardo
con molti numismatici del tempo suo, quali lo Zanetti, il
cav. Giorgio Viani, il cav. Vernazza, l'avv. Tidoni (di Palaja,
Pisa) e altri.
Si pregano i signori Numismatici che siano a conoscenza
di manoscritti e carte lasciati dal Cardinale o dai suUodati
Autori — non che quelli che abbiano raccolte di monete di
dette zecche o possano fornire sulle stesse qualche nuovo
elemento — di voler cortesemente porsi in comunicazione
col predetto Cav. Cesare Poma, Piazzo J4, Biella.
ATTI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Seduta del Consiglio 19 Novembre 1916.
(Estratto dai Verbali).
La seduta è tenuta in Via Filodrammatici, 10, alle
ore 147,.
I. — Proposto da Francesco ed Ercole Gnecchi, viene
nominato Socio Corrispondente il Cav. Avv. Guido Cimino,
Procuratore del Re a Tripoli.
II. — Il Vice-Presidente, Comm. Francesco Gnecchi,
legge al Consiglio una lettera dell' Ing. Brusconi, nella quale
si invita la Società a lasciar liberi, nel termine più breve, i
locali a lei accordati nel Convento delle Grazie, per il pro-
seguimento dei lavori di ristauro, in seguito ai quali ver-
ranno adibiti a Sede della Commissione per la Conserva-
zione dei Monumenti.
Tale diffida essendo preveduta nella lettera che accor-
dava l'uso provvisorio di quei locali alla nostra Società, a
questa non rimane che prenderne atto.
Il Consiglio ventilò varie proposte per sostituire i detti
locali e trovare alla nostra Società una Sede decorosa, pos
sibilmente stabile, ma al momento nulla si potè concretare,
e il Consiglio sarà nuovamente convocato, quando potrà es-
sere posto in discussione una proposta positiva.
564 ATJI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
III. — Si dà lettura dei seguenti doni pervenuti alia
Società :
Biblioteca Vaticana.
Carusi Enrico — Lettere inedite di Gaetano Marini : I. Lettere a Gui-
d'Antonio Zanetti. Roma, 1916.
Dieudonné A.
La sua pubblicazione :
Manuel de numismatique frangaise. — Monnaies royales fran9aise
depuis Hngues Capet jusqu'à la Revolu'ion. Paris, 1916, con tav. e fig.
nel testo.
Qnecctii Cav. Ufi'. Ercole.
N. 3 Cataloghi di vendita di monete (con tavole).
Laffranchi Lod.
Le sue pubblicazioni :
Le monete guerresche di un imperatore pacifista. Milano, i9i6(Estr.).
L'antro mitriaco di Angera e le monete in esso rinvenute. Milano,
1916 (Estratto).
Marrocco Raffaello.
La sua pubblicazione :
La monetazione Alifana. Benevento, 1915, fig.
Posteraro Dott. Luigi.
La sua pubblicazione :
Origine di Alife. Simbolismo delle sue tradizioni e della sua moneta.
Maddaloni, 1916, fig. (Estratto).
Ricci Prof. Dott. Serafino.
Le sue pubblicazioni :
Il R. Gabinetto Numismatico e Medagliere Nazionale di Brera in
Milano nella storia delle sue vicende e delle sue collezioni. Milano,
Crespi, 1916 (Estratto). Parte I ; Cronistoria del Gabinetio Numismatico
di Brera.
Rarità c^ arte delle monete veneziane. Milano, " F^a Sera „, 20 mag-
gio 1916.
Venezia nella storia della sua monetazione. Milano, " Perseveranza „,
'M maggio 1916.
Alle ore 16, esaurito l'Ordine del Giorno, la seduta è
levata,
COLLABORATORI DELLA RIVISTA
NELL'ANNO 1916
Memorie e Dissertazioni.
BoRRELLi Nicola
Bosco Emilio
Cagiati Memmo
Castellani Giuseppe
Cimino Guido
Dattari Giovanni
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
Laffranchi Lodovico
Marrocco Raffaello
MiRONE Salvatore
Motta Emilio
Palmieri Palmiero
PosTERARo Luigi
Cronaca.
Cagiati Memmo
Castellani Giuseppe
Cesano Lorenzina
Cimino Guido
Giorcelli Giuseppe
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
MaJER GlOVANNINA
Motta Emilio
Ricci Serafino
Rizzoli Luigi
ELENCO DEI MEMBRI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
E DEGLI
ASSOCIATI ALLA RIVISTA
PER l'anno I916
SOCI EFFETTIVI (*).
1. 'S. M. IL Rf.
2. S. M. LA Rfgina.
3. 'Arcali Dott. Cav. Francrsco — Cmnona.
4. Cagiati Avv. Cav. Memmo — Napoli.
5. *C;istfllaiii Prof. Giuseppe — Vcvezia.
6. Celati Avv. Luigi Agenore — Roma.
7. 'Ciani Dott. Cav. Giorgio — Trento.
8. Circolo Numismatico Milanese — Milano.
9. Circolo Numismatico Napoletano — Napoli.
10. Cora Luigi — Torino.
11. Cornaggia Gian Luigi (dei Marchesi) — Milano.
J2. Cosentini Avv. Cav. Benvenuto — Napoli.
13. Cramer Roberto — Milano.
14. Dattari Comni. Giovanni — Cairo (Kgitto).
15. Kasciotii Barone, Consigliere alla R. Ambasciata — Bucarest.
16. 'Fiorasi Colonnello Cav. Gaetano — Vicenza.
{*) I nomi segnati con asterisco sono quelli dei Soci Fondatori.
568 ELENCO DEI MEMBRI DKLI.A SOCIETÀ, ECC.
17. Gavazzi Dott. Carlo di Pio — Milano.
18. Giaj-Levra Avv. Antonio — Torino.
19. *Gnecchi Cav. Uft. Ercole - Milano.
20. *Gnecchi Comm. Francesco — Milano.
21. Grillo Guglielmo — Milano.
22. Hirscli Dott. Jacopo — Monaco di Baviera
23. Hirschler Cav. Alberto — Milano.
24. Jesurum Cav. Aldo — Venezia.
25. Johnson Stefano Carlo — Milano.
26. Laffranchi Lodovico — Milano.
27. Lazara (De) Conte Antonio — Padova.
28. *Marazzani Visconti Terzi Conte Lodovico Piacenza.
29. *Mariotti Sen. Dott. Comni. Giovanni — Parma.
30. Mattoi Edoardo — Milano.
31. Menchetti Nob. Andrea — Ostra.
32. *Motta Ing. Emilio — Milano.
33. *Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò — Venezia.
34. Puschi Prof. Cav. Alberto — Museo Civico di Antichità, Trieste
35. Ricci Prof. Serafino — Milano.
36. Rizzoli Dott. Cav. Luigi — Padova.
37. Ruchat Carlo — Firenze.
38. San Rome Mario — Milano.
39. Savini Cav. Paolo — Milano.
40. Strada Marco — Milano.
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 569
SOCI CORRISPONDENTI.
1. Ancona Martucci Giovanni — Lizzano (Lecce).
2. Balli Cav. Emilio — Locamo.
3. Belimbaii Piero — Firenze.
4. Bordeaux Cav. Paul — Neuilly.
5. Bosco Ing. Emilio Torino
6. Bourgey Etienne — Parigi.
7. Bruscolini Emilio — Castelnuox'o Val di Cecina.
8. Cahn E. Adolfo — Francoforte s. M.
9. Castellani Comm. Raffaele Magg, Gen. nella Riserva — Fano.
10. Cerrato Giacinto — Torino.
11. Cimino Avv. Guido — Tripoli d'Africa.
12. Cuni*rtti-Cuii etti Tt-n. Col. Barone C.«v. Alberto — Roma.
13. D'Alessandro Luigi — Vacri.
14. De' Ciccio Mario — Palermo.
15. Delaune René — Parigi.
16. Dell'Acqua Dott. Cav. Girolamo — Pavia.
17. Derege di Donato Nob. Dott. Paolo — Torino.
18. Egger Arminio L. — Vienna.
19. Fantaguzzi Ing. Cav. Giuseppe — A^lt.
20. Forrer L. — Bromley.
21. Fowler Prof. N. Harold — Cleveland.
22. Galeotti Dott. Arrigo — Livorno.
23. Gazzoletti Dott. Cav. Antonio — Nago.
24. Geigy Dott. Alfredo — Basilea.
25. Giorcelli Dott. Cav. Giuseppe — Casalmonferrato.
26. Haeberlin Dott. E. J. — Francoforte s. M.
27. Hess Adolf Nachfolger — Francoforte s. M.
28. Le Hardelay Charles — Rocqnencourt par le Chesnay.
29. Martinori Ing. Cav. Edoardo — Roma.
30. Massia Rag. Giovanni — Cuneo.
31. Nuvolari Francesco — Castel d'Ario.
32. Paulucci Panciatichi Marchesa M.* — Firenze.
33. Pausa Avv. Cav. Giovanni — Sulmona.
34. Perini Cav. Quintilio — Milano.
Ti
57° ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC.
35. Finto Avv. Gerardo — Venosa.
36. Pozzi Mentore — Torino.
37. Raserò Mario — Asti.
38. Santini Ing. Z- miro — Perugia.
39. Savo Doimo — Spalato.
40. Schiavuzzi Dott. Cav. Bernardo — Fola.
41. Simonetti barone Alberto — S. Chirico Raparo.
42. Società Svizzera di Numismatica — Ginevra.
43. Spink Samuele — Londra.
44. Stettiner Comm. Pietro — Roma.
45. Tribolati Pietro — Milano.
46. Vitalini Conim. Ortensio — Roma.
48. Witte (De) Cav, Alfonso — Bruxelles
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 57 1
BENEMERITI DELLA SOCIETÀ.
S. M. IL Re.
t Ambrosoli Dott. Cav. Solorif.
Cuttica de Cassine Marchesa Maura.
Cuzzi Ing. Arturo.
Dattari Comm. Giovanni.
Gnecchi Antonio.
Gnecchi Cav. Uff. Ercole.
Gnecchi Comm. Francesco,
f Gnecchi Comm. Ing. Giuseppe.
Hoepli Cornili. Ulrico.
Johnson Comm. Federico,
t Luppi Prof. Cav. Costantino.
Noseda S.* Erminia vcd. Boiiacossa.
f Osnago Enrico.
f Padoa Cav. Vittorio.
Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò.
ASSOCIATI ALLA RIVISTA.
Allocatelli Avv. Vittorio — Roma.
American Journal of Archaeology — Nuova York.
American Journal of Numismatics — Boston.
American Numismatic Association (The Numismatist) — Brooklyn
(Nuova York)
Ancona Martucci Giovanni — Lizzano.
Annales de la Société d'Archeologie — Bruxelles.
Arcari Dott. Cav. Francesco — Cremona.
Archivio Storico Lombardo — Milano.
Baglio \'assalIo Cataldo — San Cataldo.
Bahrfeldt Luogotenente Generale Max — Rastenburg.
Bari — Museo Provinciale.
572 ELENCO DEI MEMBRI 1>ELLA SOCIETÀ, ECC.
Barsanti Gino — Cecina.
Behrentz Ermanno — Bonn.
Bocca Fratelli — Roma.
Bocca Fratelli — Torino.
Bollettino di Archeologia e Storia — - Spalato.
Bologna — Biblioteca Municipale.
Bret Edoardo — Nimes.
Brockhaus F. A. — Lipsia.
Cagliari — Regio Museo di Antichità.
Cambridge — Fitz William Museum.
Cangiano Avv. Andrea — Benevento,
Capobianchi Prof. Cav. Vincenzo — Roma.
Carpinoni Michele — Brescia.
Cini Avv. Tito — Montevarchi.
Como — Biblioteca Comunale.
» — Museo Civico.
Cuzzi Ing. Arturo — Trieste.
D'Alessandro Luigi — Lanciano.
Deigton Bell e C. — Cambridge.
Detken e Bocholl — Napoli.
Domodossola — Collegio Rosmini.
Dressel Dott. Enrico — Berlino.
Engel Dott. Arturo — Parigi.
Firenze — Biblioteca Marucelliana.
Fioristella (Barone di) — Acireale.
Formenti Giuseppe — Milano.
Galleria Canessa — Napoli.
Genova — Biblioteca Civica.
Gentiloni Silverj Conte Aristide — Tolentino.
Guiducci Dott. Antonio — Arezzo.
Hiersemann Carlo — Lipsia.
Hoepli Dott. Comm. Ulrico — Milano.
Julius Hopkins — Baltimora.
Journal international d'Archeologie numismaltque — Atene.
Lamertin H. ~ Bruxelles.
Lione — Biblioteca dell'Università.
Loescher e C. — Roma.
Lopez- Vii lasante Antonio — Madrid.
Lussemburgo — Istituto Granducale.
Madrid — Biblioteca Nacional.
Maggiora-Vergano Cav. T. — Torino.
Magnaguti Rondinini Conte Alessandro — Mantova.
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 573
Magyar Numizmatikai Tàrsiilat — Budapest.
Mantova — Biblioteca Comunale.
Miani Mario — Milano.
Milano — R. Gabinetto Numismatico di Brera.
n — Biblioteca Braidense.
n — Biblioteca Ambrosiana.
Modena — R. Galleria Estense.
Molgatini Giacomo — Vanzone.
Mondini Magg. Cav. Raflfaello — Palermo.
Napoli — R. Museo di Antichità.
Niccolini Pietro — Ferrara.
Numismatic Chronicle — Londra.
Numismatische Zeitschrift — Vienna.
Nutt D. — London.
Palmieri Nuti Gap. Palmiero — Sovicille (Siena).
Panciera di Zoppola conti Camillo e Francesco — Zoppola.
Parisi Rosalia — Roma.
Parma — R. Museo di Antichità.
Paulon Luigi — Craiova di Rumania.
Pesaro — Biblioteca Oliveriana.
Piacenza — Biblioteca Passerini-Landi.
Pisa — Museo Civico.
Poma Comm. Cesare — Biella.
Quaritch Bernard — London.
Rapilly G. — Parigi.
Ratto Rodolfo — Milano.
Renner Prof. (V. von) — Vienna.
Revue fran^aise de Numismatique — Parigi.
Riggauer Dott. Prof. Hans — Monaco di Baviera.
Rivista di Storia Antica — Padova.
Rizzini Dott. Cav. Prospero — Brescia.
Roma — R. Accademia dei Lincei.
» — Direzione generale delle Antichità e Belle Arti.
» — Direzione della R. Zecca.
» — Biblioteca della Camera dei Deputati.
» — Gabinetto Numismatico Vaticano.
» — Museo Nazionale Romano.
Rosenberg e Sellier — Torino.
San Marco (Conte di) — Palermo.
Santamaria P. e P. — Roma.
Scacchi Prof. Cav. Eugenio — Napoli.
Scarpa Dott, Ettore — Treviso.
574 ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC.
Scoville Herbert — New-York.
Seltman E. J. — Berkhamsted.
Sforza Guido — Civita Lavinia.
Société d'Archeologie — Bruxelles.
Société R. de Nuniismatique — Bruxelles.
Strolin Teopisto — Schio.
Tonizza P. Giacinto — Beirut.
Torino — R. Biblioteca Nazionale.
» — R. Museo di Antichità.
Trento — Biblioteca Comunale.
Varese — Museo Archeologico.
Venezia — Ateneo Veneto.
» — R. Biblioteca Marciana.
» — Museo Civico.
Verona — Biblioteca Comunale.
Vienna — Gabinetto Num. di Antichità della Casa Imperiale.
Volterra — Museo e Biblioteca Guarnacci.
Washington — Smithsonian Institution.
Zeitschrift fiir Numismatik — Berlino.
Zurigo — Biblioteca Civica.
INDICE METODI CO
DEL l' ANNO I916
NUMISMATICA ANTICA.
(Memorif i: Dissertazioni).
Appunti di Numismatica Romana. F. Gnecchi:
CXI e CXII. La Fauna e la Flora nei Tipi monetali
(tav. I-IV) Pag. II
Idem, idem [Coniinitaztone e fine) (tnv. V-VI) . . . „ 159
La monetazione di Augusto (tav. VII). L. Luffranchi . „ 209
Idem, idem (tav. VIII-IX) „ 283
Le monete coniate in Catania in memoria dei " Pii Fratres „
S. Mirane , 223
La monetazione Alifana (fig.). R. Marrocco . . . . „ 299
Origine di Alife. Simbolismo delle sue tradizioni e della sua
moneta. L. Posteraro , 307
Il simbolismo della tnqueira in un didramma di Suessa Au-
runca (fig.). S. Mirane „ 321
I.e monete coniate in Sicilia per i mercenari tirreni S. Mirane. , 329
Nummi schyphati. G. Daitari „ 367
Topografia e Numismatica di Ibla Galeotis (fig.). S. Mirane. , 435
Le monete di Lòngane o Longone (fig.). S. Mirane . , 449
Il simbolismo pagano sulla moneta cristiana. N. Borrelli , 461
(Varietà).
Monete dei giuochi olimpici Pag- 561
NUMISMATICA MEDIOEYALE E MODERNA
(Memorie e Dissertazioni).
La zecca di Benevento (fig.). M. Cagia/i P^' 83
Idem, idem (fig.) .335
Idem idem (fig.), continuazione e fine , 471
576
INDICE METODICO DFXl'aNNO T916
Una imitazione di Moneta Senese (fig.). P. Palmieri
Contribuzione al " Corpus Numraorum Italicorum ,, (fig.)
P. Palmieri
Contraffazione inedita del tallero olandese (fig.)* E. Bosco
Lettere di Guido Antonio Zanetti ad Annibale degli Abbati
Olivieri Giordani di Pesaro {Contin. e fine). G. Cdslellam
Appunti di Numismatica italiana. E. Gnecchi:
XXII. Nuovo elenco delle zecche italiane medioevali e
moderne
Un tornese inedito di Renato d'Angiò. R. Marrocco
La zecca di Tripoli d'Occidente sotto il dominio dei Cara
manli. G. Cimino ........
Falsificazioni di Monete Italiane (tav. X). E. Gnecchi .
Pag, 121
127
« 249
» 371
497
525
527
541
(Varietà).
Il primo documento numismatico della guerra Europea. . P(ig. ^(^l
Rinvenimento di un tesoretto monetale a S. Costanzo presso
Fano. S. Ricci „ 268
I coni dei ducali sforzeschi donati al Museo del Castello di
di Milano 270
Per la storia dei ragguagli delle monete di Milano . . „ 557.
II Giglio di Firenze in una moneta bizantina . . . . „ 561
Ritrovo di monete al Gottardo . „ 5^2
Zecche di Messerano e Crevacuore ....... ivi
MEDAGLIE E SIGILLI.
(Memorie e Dissertazioni).
I medaglioni di Galeazzo Maria Sforza e di Bona di Savoia.
E. Motta Pag. 235
(Varietà).
La medaglia della Redenzione Italica. S. Ricci
La medaglia della Croce Rossa Italiana ai feriti per la Patria.
Francesco Raibolini, detto il Francia, incisore e medaglista.
Medaglie italiane
Pag.
150
266
272
562
NECROLOGIE
Luigi Correrà {M. Cagiati)
Luigi Rizzoli {L. Rizzoli jun.)
Flavio Valerani {G. Giorcelli)
Pompeo Monti
Pag. 129
« 135
. 142
» 144
à
INDICE METODICO DELL'aNNO I916
577
BIBLIOGRAFIA.
Cagiali {Memnto). Le monete del Reame delle Due Sicilie da
Carlo I d'Aiigiò a Vitt. Einamiele II, (fase. Vili, P^rte II)
Le zecche minori del Reame di Napoli (contili.). {E. G.) Pag. 147
Idem, idem (fase. IX, parte III). Le zecche siciliane (£. C). . 426
Donali (Giovanni). Dizionario dei Motti e Leggende delle
Moneie italiane (La Direzioue) I48
Corpus Nuntmoriim Itnlicorttm 150
Valentine (W. H ). La zecca di Tripoli d'Occidente (G .Cimino) „ 251
Ferrara {Salvatore). Le monete di Gaeta (G. Castellani). , 260
Le Hardeìay (C). Contribution à l'étnde de la numihniatiquc
vénitienne {S. Ricci) 264
Anson (L.). Numismata Graeca 266
" B.. {iettino del Circolo Napoletano „ (La Diresione) . . 417
Carusi (Enrico). Lettere inedite di Gaetano Marini. I. Lettere
a Guid'.Aiitonio Zanetii [E. G.) ^ao
Archivio Storico del Sannio Alifano ^22
Herrera {Adolfo) El duro (G. Majer) ....... 424
Blanchet {A.) et Dieudonné {A.). Manuel de Numismatiquc
fran9aise (S. Ricci) . . „ 427
Newell (Edivard T.). The dated Alexander coiiiage of Sidi-n
and .Alce (S. Ricci) ... 431
Ciccotli (L.). Vecchi e nuovi orizzonti della numismatica l
funzione della moneta nel mondo antico 545
Burlington Fine Arts Club (S, Ricci) , 548
Pubblicazioni diverse ivi
(Periodici di Numismatica).
Bollettino di Numismatica e di Arte della Medaglia . Pag.
Il supplemento all'opera u Le monete del Reame delle
Due Sicilie „
Revue Numismatiquc fran^aise
Revue suisse de Numismaiique
The Numismatic Chronicle ....
Spink & Son's Monthly Numismatic Circular
The Numismatist
Articoli di Numismatica in Periodici diversi
550
55»
ivi
552
ivi
ivi
553
554
MISCELLANEA
La vendita Ratti e la Collezione sfragistica al Museo Muni-
cipale di Milano (La Direzione) ...... Pag.
Il commiato dal pubblico del Supplemento ali-opera " Le Mo-
nete del Reame delle Due Sicilie „ di Memmo Cagiati
(S. Ricci) . „
153
154
578
INDICE METODICO DKLl'aNNO I916
Unione delle Collezioni Numismatiche di Milano
Opere premiate
Recensioni di opere numismatiche
Carteggio tra il Marini e lo Zanetti .
Manoscritti numismatici in Ambrosiana
Pesca dell'oro nel Po nel '400
Per Domenico Seslini .....
Collaboratori della Rivista per l'anno 1916
Elenco dei Membri della Società Numismatica Italiana e degli
Associati alla Rivista per l'anno 1916 . . . .
Pag.
156
„
269
„
tvi
«
ivi
„
ivi
„
271
»
272
»
565
567
Atti e Memorie della Società Numismatica Italiana.
Seduta del Consiglio 21 mag^-io ]gi6
Assemblea generale dei Soci 21 maggio iyi6
Seduta del Consiglio 19 novembre 1916
Pag. 273
- 275
.. 563
Finito di stampare il 5 gennaio 1917.
»»««4«««»»« ««»«««»»«< ♦«H»»»«»««»»«»<««»«M » ♦«»»»«»«»»W»»4»»<»
»«♦*♦♦•»*♦♦♦**»♦♦*'
RoMANENGHi ANGELO FRANCESCO, Gerente responsftbile.
TAVOLE.
R. I. di N.
Anno 1916
LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI
Tav. I
Aquila 1 a 8, -Ariete 9,10,-Pecora 15,-AgneIIo ll,.Asino 12, - Bove 13
Cane 14,16,18, - apra 17,19,20,22, - apricorao 22,24,25.
LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI
R. 1. di N.
Anno 1916
Tav. II
Cavallo 1 a 26.
R. I. di N.
Anno 1916
LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI
Tav. Ili
Centauro 1 ,H, - Cervo 2,11, - Cicogna 7, - Cinghiale 4,5,18, - Civetta 12,16,18,21, -
Coccodrillo 17, - Colomba 14,28, - Conchiglia 6,10, - Coniglio 8, Corvo 9,1W, - Delfino 20, -
R. I. di N.
Anno 1916
LA FAUNA NEI TIPI MONETALI ROMANI
Tav. IV
Leone 1 a 4,6, - Lepre 8, - Lupa 5,7,11,15, - Mula 13, - Pavone 10, - Pegaso 9, -
Sfinge 12, -Sirena 14, -Pantera 17, - Scrofa 16, -Serpente 18,2i-Toro 19,20,23,24.-
_*:•. o.T \ /:. Il <«.
R. I. di N.
Anno 1916
LA FLORA NEI TIPI MONETALI ROMANI
Tav V
Alloro I a 1 1,14, - Edera 13 - Frumento 12,15 a 22,24,25,27 a 29, - Giunco 26, - Palma 23.
LA FLORA NEI TIPI MONETALI ROMANI
R. i. di N.
Anno 1916
^/
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It;
Tav. VI
.'/j,^
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■)
' ., ^ il i» :i , '
24
>
/
Giunco 1,1-2 - Palma 2 a 9,1 1,23, - Quercia 13 a 17, - Ulivo 19, - Vite 18,20 -
1916
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA.
Tav. VII
Lodovico Laffranchi. - La Monetazione d* Augusto.
Parte IV.
1916
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA.
EFESO
Tav. Vili.
L. Laffranchi; La Monetcìzione d' Augusto.
Parte V.
1916
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA.
FRIGIA
Tav. IX.
L. Laffranchi; La Monetazione d* Augusto.
Parte V.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA.
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Tav. X.
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E. GNECCHI: Falsificazioni di Monete Itali
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CJ Rivista italiana di numisma-
9 tica e scienze affini
R6
V.29
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY