^ RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA E SCIENZE AFFINI RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA E SCIENZE AFFINI PUBBLICATA PER CURA DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA E DIRETTA DA FRANCESCO ed ERCOLE GNECCHI ANNO xxm - 1910 - voL. xxni MILANO TlP.-EoiTRICE L. F. COGLIATI Corso P Romana, N. 17 19IO. PROPRIETÀ LETTERARIA SOCIETÀ iNUMISMATlCA ITALIANA Presidente Onorario S. M. VITTORIO EMANUELE III Re d'Italia Presidente Conte Conini. NICOLÒ PAPADOPOLl Senatore del Reg-no. Viee -Presidenti GNECCHl Comm. Francesco - GXECCHI Cav. Llflf. Ercole Consiglieri GAVAZZI Cav. Giuseppe. MOTTA Ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana. RICCI Dott. Serafino, Conservatore nel R. Gabinetto Numismatico di Brera in Milano {Vice-bibliotecario della Società). RUGGERO Comm. Magg. Gen. Giuseppe. VISCONTI March. Cav. Carlo Ermes. Angelo Maria Cornelio, Segretario. CONSIGLIO DI REDAZIONE DELLA RIVISTA PEL 1910. Gnecchi Francesco e Gnecchi Ercole, Direttori Gavazzi Giuseppe — Motta Emilio — Papadopoli C. Nicolò Ricci Serafino — Visconti M. Carlo ErmilS. FASCICOLO L APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA xcv. L'OPERA DELETERIA DEI RESTAURATORI SUI MEDAGLIONI. (Tavola I) Pur troppo è naturale che gli oggetti traman- datici dall'antichità ci siano pervenuti in istato più o meno infelice di conservazione e in modo speciale gli oggetti destinati all'uso comune, al passaggio da una mano all'altra, quali sono le monete. È raro il caso che una di questa sia stata perduta o nascosta appena uscita dalla zecca e che abbia continuato il suo lungo riposo fino a noi; la massima parte, e specialmente quelle di bronzo, dimostrano d'avere avuto una più o meno lunga circolazione, e portano i segni di una vita lunga e attiva che ha attraver- sato tutte le ingiurie del tempo. Poco male quando si tratta di monete comuni; essendocene pervenute molte, è facile fare una scelta, scartando le peggiori; ma quando si tratta di pezzi rari, come i medaglioni, ognuno sa quanto limitata ne fosse la coniazione e gli esemplari che arrivarono fino a noi sono così scarsi, che nessuno va respinto, ma tutti debbono o dovrebbero essere religiosamente conservati da ogni serio raccoglitore. Se di ciò solo si trattasse, il mio non sarebbe che un vano rimpianto e nulla di più inutile che 12 FRANCESCO GNECCHI rimpiangere un male irrimediabile. Il peggio si è che, fino dai primi tempi in cui si incominciò a rac- cogliere, la serie dei medaglioni che, per la sua ra- rità, pel suo interesse e pel suo pregio artistico, forma la parte aristocratica della collezione romana, attirò di preferenza l'attenzione degli amatori i quali, mal sapendo rassegnarsi alla normale deplorevole conservazione di questi pezzi, concepì il vano desi- derio di migliorarh. Tale desiderio, per quanto as- surdo, trovò subito incisori compiacenti, piti o meno capaci, pili o meno coscienziosi, più o meno eruditi in numismatica che leggermente se ne assunsero l'incarico e iniziarono l'arte civilmente vandalica del restauro.... E qui il rimpianto, se vano pel passato, può riescire utile per l'avvenire e mi auguro che le mie parole, confortate dagli esempi che sto per ad- durre, possano riuscire efficaci. Il restauro è sempre cosa difficilissima e peri- colosa e, se talvolta s'impone pei monumenti che minacciano rovina — limitatamente alla statica — o per oggetti d'arte i quali, per la materia di cui sono formati, accennano a deperire — limitatamente alla conservazione — è assolutamente un non senso per gli oggetti costituiti di materia solida e resi- stente, come il marmo e il metallo. Una statua esposta per parecchi secoli alle intemperie ha necessaria- mente perduto il primitivo splendore ; l'acqua, il gelo, il sole l'hanno corrosa, striata, frammentata anche in parte, ne hanno infine consunta la primi- tiva superficie. Ebbene, che si direbbe di uno scul- tore che si ponesse in mente di ridurla a nuovo? Si griderebbe, e ben a ragione, alla pazza profana- zione e ognuno converrebbe nell'esecrazione di quel lavoro inopportuno e sacrilego, che, toglierebbe alla statua ogni pregio d'antichità, che distruggerebbe anzi completamente un'opera antica, producendone l'opera deleteria dei restauratori sui medaglioni 13 una moderna, per la quale non sarebbe certo man- cata altra materia. Eppure questa profanazione che tocca i limiti dell'inverosimile è precisamente quella cui molti ra- rissimi e pregevolissimi medaglioni furono sottoposti da un vandalico bulino che ebbe la stolta pretesa di aiutarU e migliorarli. L'enormità della cosa non s'è punto capita nei tempi antichi e poco si capisce anche oggi, e la colpa d'oggi è assai più grave di quella d'un tempo, perchè la gravità di una colpa è sempre proporzionata all'ambiente in cui essa viene prodotta. La bella trovata del bulino restauratore dei bronzi antichi la dobbiamo al secolo decimosettimo, a un periodo cioè nel quale il rispetto all'antico non era sentito, in un periodo in cui l'arte decadente si sovrapponeva allegramente ai capolavoro del tre- cento e del quattrocento, in cui gli ornamenti casti- gati e classici del rinascimento o dell'età gotica ve- nivano mutilati o soppressi per cedere il posto alle dehranti volute del barocchismo ; a un periodo nel quale gli artisti non avevano scrupolo di demolire il colosseo per costrurre le chiese di Roma e i pa- lazzi dei principi romani. Dato tale ambiente, lo sfregio che si faceva subire ai medaglioni col re- stauro può essere da noi nello stesso tempo deplo- rato e compatito ; ma all'epoca nostra, in cui tutto si informa al massimo rispetto dell'antico, nessun compatimento può essere commisto alla deplorazione, e r ignominioso delitto di lesa antichità non può piìi trovare alcuna attenuante. Già altre volte nella Rivista e altrove ho de- plorato questo guaio, e l'amico Laffranchi ha rinca- rato la dose nel Bollettino di Numismatica. Ma lo studio che in questi ultimi anni feci dei medaglioni, le ripetute visite ai principali Musei d'Europa, le 14 FRANCESCO GNECCHl moltissime impronte che ho radunato, mi hanno data l'amara persuasione che il danno arrecato dai sedi- centi amici dell'arte e della scienza col restauro è assai superiore a quello che generalmente si suppone. La quantità dei monumenti da costoro sciupati è incredibile ; tutti i Musei ne sono infestati, e oserei dire che forse un terzo dei pezzi esistenti offrono in grado maggiore o minore le traccie di questa vo- luta e irrimediabile deturpazione. Vale dunque la pena di tornare sull'argomento e di tentare di far entrare in tutti la persuasione che il lavoro dei restauratori non è che un lavoro negativo e deleterio, non ad altro consacrato che a diminuire il valore originario o ad annullarlo com- pletamente. Un pezzo antico, per quanto consunto, è sempre un documento e perde tanto del suo valore quanto è il lavoro che gli si fa intorno. Molle volte i tipi o i caratteri di un medaglione antico sono tanto consunti che ben poco rimane di visibile e la classificazione ne riesce assai difficile ; ma i confronti con altri simili, se non identici, aiutano e bene spesso ne fanno raggiungere la completa identificazione. Ciò accade però quando la consun- zione è naturale, quando cioè è dovuta unicamente alla lunga circolazione. Allora il poco che ancora rimane è genuino e vi si può fare assegnamento ; mentre invece, quando il medaglione è passato per le mani del restauratore, non c'è più mezzo di rin- tracciare la verità. Netti sono i tipi, chiare le leg- gende ; ma non è più il documento antico che vi parla, bensì chi lo interpretò prima di voi, il restau- ratore. E chi ci assicura che la sua mano abbia se- guito scrupolosamente le indicazioni originali? Troppe volte, anche in buona fede, essa seguì invece le in- dicazioni fallaci del cervello che la guidava e vi fece risaltare quel tipo o quella lettera che l'artista l'offra deleteria dei restauratori sui medaglioni 15 a ragione o a torto suppose dovesse esservi in ori- gine. E troppe volte mancò anche la buona fede e i tipi nuovi si crearono per inganno. Così ci rimasero molti monumenti con tipi al- terati o fantastici, con leggende scorrette o impos- sibili, con date false o sconcordanti e perfino con attribuzioni cambiate, monumenti che per conseguenza hanno perduto ogni pregio artistico, ogni valore sto- rico e non possono che indurre alla confusione e all'errore. A prova di tali asserzioni varranno alcuni esempi che scelgo fra i molti che potrei produrre, esempi che aggiungo agh altri parecchi già interpo- latamente segnalati nella nostra Rivista, non escluso l'ultimo appunto mio sul Medaglione senatorio, dai quali risulterà con tutta evidenza come nel caso no- stro l'arte del restauratore abbia prevaricato, esor- bitando dalla sua missione. E qui voglio spiegarmi ben chiaramente onde non essere frainteso e non avere dei lagni da chi punto non intendo colpire. So benissimo che gene- ralmente le monete di scavo vengono alla luce in- gombre non solo di terriccio, ma bene spesso di incrostazioni minerali e di ossidazioni metalliche, dalle quali rimangono deturpate e talvolta sono rese addirittura irriconoscibili. Queste materie eterogenee vanno levate. Levar queste però non vuol dire in- taccare il metallo che costituisce la moneta e alte- rare la superficie primitiva. Distinguiamo bene tra ripulitura e ritoccatura. È un'arte la prima lodevo- Hssima e mi inchino a chi la sa praticar bene, come ve ne sono ; ma io non avrò mai parole abbastanza roventi per stigmatizzare la ritoccatura, anche quando non arriva al punto cui si giunse negli esempi che scelsi come i più tipici. l6 FRANCESCO GNECCHI Antonino Pio. — I pochi medaglioni (poco più di una trentina) del Museo Nazionale di Napoli, quasi tutti prove- nienti dalla Collezione Farnese, sono in gran parte — più della metà — più o meno gravemente ritoccati. Ne scelgo uno tipico, il cui rovescio e così descritto nel Catalogo di quel Museo: " L'Imperatore a sinistra colla mano su di un " timone appoggiato a un globo, l'altro braccio proteso. Da- " vanti a lui una figura virile che, piegato a terra il ginoc- " chio, trae qualche cosa da una cesta „. La descrizione, per quanto riferisca fatti e atteggiamenti che non si sanno spie- gare, non fa che rispecchiare fedelmente la scena che il ro- vescio offre e non è ad attribuirsi alcuna colpa al Fiorelli se descrisse quello che aveva sotto gli occhi. Avrebbe però fatto bene ad avvertire che quanto gli appariva era opera di bulino moderno ; questo è evidente tanto al diritto che al rovescio del medaglione. lo pure dal Catalogo del Museo di Napoli avevo ripro- dotto nella mia serie di medaglioni la descrizione più su ci- tata; solo, quando me ne venne spedita l'impronta, vi ag- giunsi: " medaglione rifatto „. Ma quando più tardi mi arri, varono le impronte del Gabinetto di Parigi, mi si offerse la pietra di paragone in un medaglione, il quale per quanto in pessime condizioni di conservazione, è però allo stato vergine di ritrovamento. Confrontando i due rovesci, mi avvidi chiara- mente come si trattasse del medesimo conio, qui genuino, là travestito. E il medaglione di paragone è quello col ro- vescio : " NAVIVS L'Augure Navio inginocchiato a de- " stra in atto di rompere una pietra al cospetto di Tarquinio " che gli sta davanti. Dietro Tarquinio un'altra pietra „. (Cohen 392/567). Vedasi alla tavola come avvenne la trasformazione. Il n. I è l'esemplare di Parigi, il n. 2 quello di Napoli. La leg- genda del rovescio, forse perchè incompleta e incomprensi- bili, venne soppressa completamente. Tarquinio venne ca- muffato da Antonino e, non sapendosi che fare della pietra cubica che gli stava accanto, la si trasformò in un globo.... ovale. Per dare un significato a questo globo inventato e per occupare nello stesso tempo la mano sinistra dell'impe- ratore, si inventò anche un timone, abbassando il fondo. Non L'OPERA DELETERIA DEI RESTAURATORI SUI MEDAGLIONI 17 sapendosi poi indovinare l'atteggiamento dell'Augure che spezza la pietra, lo si convertì in un personaggio qualsiasi che trae qualche cosa da una cesta o che qualche cosa vi ripone. E con ciò un rarissimo medaglione, che offriva anche una variante nel diritto con quello di Parigi, avendo il busto corazzato, rifatto dall'uno e dall'altro lato, fu ridotto a un pezzo di metallo senza valore ! Marco Aurelio. — Un medaglione di Marc'Aurelio che ha sede nella mia collezione, ma che non l'onora punto, porta il rovescio GERMANICO AVG- IMP VI COS Ili col trofeo germanico, quale si vede sul grande e sul medio bronzo ; ma, mentre il diritto, un po' ritoccato nelle lettere, è genuino nella figura di M. Aurelio e permette di ritenere il pezzo autentico, il rovescio è completamente rifatto. Può darsi che sotto il rozzo lavoro posteriore esistesse appunto quel ro- vescio che ora vi si vede, e il medaglione sarebbe affatto nuovo; ma chi potrebbe giurare che il nuovo rovescio non sia una completa invenzione moderna fatta ex novo su di un rovescio affatto differente? (n. 3 e 4). Un secondo medaglione di M. Aurelio (n. 5 e 6) ap- partiene attualmente al Museo Vaticano e proviene da una collezione Vitali infestata come nessun'altra mai dalla peste del restauro. Porta al diritto una rozza testa di M. Aurelio colla leggenda : M AVREL ANTONINVS AVG-- Al rovescio due cavalieri e la leggenda : PROF AVG-. Basta osservarne la riproduzione per vedere come il tipo sia stato grossolanamente ritoccato o, diremo meglio, rifatto sia al diritto che al rovescio, tanto che dell'antico si può dire non rimanga più nulla. Venne rispettata la leggenda del diritto? Quello rappresentato al rovescio è il tipo originario, oppure è falsato, E la leggenda PROF AVG è originaria? Chi lo sa? Faustina Juniore. — 1 Musei di Napoli e di Madrid si contendono il palio del ritocco su di un medaglione di Faustina juniore; ma è Madrid che porta la palma. Appartiene al Museo di Napoli un medaglione di Fau- stina rappresentante al rovescio Cibele assisa in trono fra due leoni col timpano e un ramo di pino. Alla sua destra. l8 FRANCESCO GNECCHI accanto al sedile Ati col pedo e la siringa e alla sua sini- stra un albero da cui pendono due timpani „ (n. 7). Il medaglione è tutto ritoccato a bulino ; ma pure lascia supporre che la rappresentazione sia originale in tutti i suoi particolari, armonici come disegno e distribuzione, razionali come concetto (i). Ma osserviamo l'esemplare di Madrid (n. 8) dove l'artista, oltre che rinnovare, s'è presa anche la licenza col suo bulino di togliere e d'aggiungere a suo piacere. Ati è completamente scomparso; ma la sua gamba e la parte cen- trale del suo corpo hanno costituito una gamba del trono o per meglio dire hanno contribuito a formare uno sgan- gherato sostegno di detto trono, il quale ha così perduto ogni forma; l'albero è pure scomparso, il ramo di pino venne trasformato in un fascio di spighe con un papavero, per for- mare il quale l'artista approfittò di uno dei timpani che sta- vano appesi all'albero e di cui il secondo venne radiato. E non ho ancora finito. Cibele, spaventata da tanto massacro, ha volto sdegnosamente la testa e s'è preso un torcicollo!... L'artista s'è permesso anche questo nuovo abbellimento e lo fece con arte squisita!... Credo che con questo medaglione raggiungiamo il colmo della profanazione. Eppure anche qui si trattava di due esem- plari varianti pel diritto; quello di Napoli portava la leggenda FAVSTINA AVG PII AVG FIL, mentre quello di Madrid por- tava quella pili semplice FAVSTINA AVGVSTA. Due esemplari unici, di cui uno ha perduto la metà del suo valore e l'altro l'ha perduto completamente! Coni modo. — Il Medagliere Fiorentino non va esente — come del resto nessuno al mondo — dalla peste del ri- tocco nei pezzi più pregevoli; ecco la trasformazione avve- nuta in un medaglione di Commodo. Le figure n. 12 e 13 rappresentano il medaglione originale (i) E a conferma della esattezza del tipo, accennerò che il mede- simo rovescio si trova in un medaglione di Lucilla appartenente al Museo di Parigi, il quale è pure rovinato dalla ritoccatura, tanto che l'albero coi timpani vi fu completamente radiato (v. tav. I, n. 9) e si trova final- mente in un medaglione di Faustina madre ove fece la sua prima ap- parizione, pure appartenente al Museo di Parigi. L'esemplare è assai logoro, ma vergine e qui il tipo può essere studiato in tutta la sua genuinità. l'opera deleteria dei restauratori sui medaglioni 19 di Commodo (esemplare di Madrid) coi rovescio di Ercole a riposo che tiene per una zampa posteriore il leone nemeo. Si osservino invece le figure n. io e 11. Queste rappre- sentano l'esemplare del Medagliere Fiorentino, nel rovescio del quale un ignoto artista ha mutato non solo il genere dell'ani- male; ma al posto del capo ha collocato... la parte posteriore; per eseguire la quale operazione, approfittò dell'ingrossamento e del rilievo che formavano la criniera del leone. Ora essa vuol rappresentare, pare, la groppa di un cavallo; con quale significato e con quale relazione coli' Ercole, bisognerebbe domandarlo all'artista incisore... che fortunatamente per lui non tramandò il suo nome e il suo indirizzo ai posteri... Né lo scempio si ferma al rovescio. Al diritto il bravo restauratore ebbe un certo riguardo per la bellissima testa di Commodo ornata dalla pelle del leone ed, essendo questa la parte meglio conservata della moneta, non credette ne- cessario migliorarla. Ma la leggenda era consunta. Se si fosse degnato di consultare un esemplare simile — colle rappresentazioni d'Ercole ce ne sono parecchi — avrebbe trovato che doveva essere: L AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVG- PIVS FELIX ; invece preferì farne una nuova di pianta, nuova nelle monete di Coramodo, completamente di sua in- venzione e ve la scrisse con mfelicissimi caratteri : IMP CÀES M AVRELIVS COMMODVS ANTONINVS PIVS. La nuovissima leggenda sarebbe da aggiungere alle molte di Commodo, se non portasse in sé il marchio della poca intelligenza numismatica di chi la compose, il quale di- menticò di mettervi il titolo d'Augusto! Decenzio. — Nell'antica collezione Fontana esisteva un medaglione di Decenzio dato per inedito, il quale corrispon- deva alla seguente descrizione : B' — MAG- DECENTIVS NOB C Busto diademato a destra in costume militare armato d'asta e di scudo. 13" — VICTORIA AETERNA AVGG- (in giro) NOSTR (al- i'esergol. Vittoria che cammina a sin. con una palma e si rivolge a Decenzio che essa conduce per mano. Cohen lo riporta sulla fede del Catalogo Fontana al n. IO della sua prima edizione e 24 della seconda. 20 FRANCESCO GNECCHI Ora il medaglione venne in mie mani e, come quello di M. Aurelio più sopra citato, appartiene alla mia collezione interessando solo sotto il rapporto delle alterazioni. Con un ritocco goffo e ordinario, il medaglione è alterato da ambo i lati. Al diritto non solo venne aggiunto il diadema, che non esiste mai né sui medaglioni né sulle monete di De- cenzio ; ma venne convertito in uno scudo il globo niceforo ; per ottenere il quale nobilissimo scopo, venne pure oppor- tunamente accorciata la leggenda, terminandola con NOB C in luogo di NOB CAES come vi stava scritto in origine. Al rovescio po], alla leggenda VICTORIA AVG-VSTORVM, forse perchè consunta e illegibile o più probabilmente per farne un pezzo nuovo e inedito, vi venne s.ostituita l'altra: VICTORIA AETERNA AVGG NOSTR, occupando anche lo spazio origina- riamente libero dell'esergo. Le figure 14 e 15 rappresentano il medaglione originale, quelle n. 16 e 17 il medaglione alterato. E qui mi fermo ; ma la brutta lista potrebbe avere una lunga continuazione. Credo che i pochi esempi citati possano bastare a eccitare il disgusto in tutti gli amici della scienza, dell'arte e dell'anti- chità in genere e a muovere una santa crociata contro tanta profanazione. Un indizio confortante, che lascia supporre come tale idea incominci a farsi strada, s'è visto alle ul- time vendite, nelle quali i pezzi ritoccati nessuno li ha voluti se non a prezzi meschinissimi in confronto ad altri anche di cattiva conservazione, ma nello stato vergine di ritrovamento. Solo quando i raccoglitori si decideranno a rifiu- tare in modo assoluto ogni pezzo ritoccato, si per- suaderanno per forza i restauratori che il loro tempo potrebbe facilmente trovare un impiego migliore. Francesco Gnecchi. I diversi stili nella monetazione romana VI. GLI ASSI ED I DUPONDI COMMEMORATIVI DI AUGUSTO E DI AGRIPPA. Nessun imperatore ebbe quanto Augusto Tonore di essere ricordato dopo la morte da così innume- revoli monete commemorative d'ogni zecca, epoca, e metallo. Subito dopo la sua scomparsa — apparente- mente a scopo religioso ma effettivamente a scopo politico onde circondare di novello prestigio la per- sona del Cesare — gli furono decretati gli onori dell'apoteosi e venne annoverato tra gli dei. Il miglior mezzo al quale appigliarsi per propa- gare il culto della nuova divinità, non poteva essere che la diffusione della sua effìgie divinizzata mediante le monete: perciò quasi tutte le zecche dell'impero, da Emerita in Spagna ad Alessandria in Egitto, co- niarono monete in onore del Divo Augusto; ed an- che dopo Tiberio i suoi successori emisero monete commemorative oppure di restituzione per onorare il fondatore dell'impero. Tutta questa numerosissima categoria compf ende un materiale cospicuo, utilissimo a chi volesse stu- diarlo con criteri più numismatici di quanto è stato fatto sinora ; io però attualmente non intendo stu- diare che una piccola parte di esso, quella notis- sima serie di bronzi i quah non recando alcun dato epigrafico per stabilire l'epoca esatta della loro co- 22 LODOVICO LAFFRANCHI niazione, vennero attribuiti in blocco al regno di Ti- berio, laddove io potrò provare che essi spettano a tre regni distinti. Per analogia tratterò anche degli assi di Agrippa i quaU, anziché nell'epoca comunemente accettata, fu- rono coniati nientemeno che sessantacinque anni dopo! Non intendo più dilungarmi in soverchie dimo- strazioni verbali, l'evidenza della mia tesi dovendo scaturire dal confronto delle monete (vedi tav. II) che io metto sott'occhio ai lettori, poiché nella man- canza assoluta di altri dati, unico elemento per questo studio é l'esame dello stile e dell'arte caratterizzante le monete stesse, sopratutto riguardo alla maniera con cui sono rappresentate le effigi. Le monete che per la loro fattura appaiono co- niate subito dopo la morte di Augusto (14 d. C.) sono i due assi al tipo della folgore (Coh. n. 249) e dell'aquila sul globo (Coh. n. 247) che mostrano un'arte ancora grossolana simile a quella degli assi di Augusto, e di Tiberio Cesare coniati nel 11 d. C; esse sarebbero le vere monete di consacrazione, come dimostrano i loro tipi del rovescio. Le monete successive non sono più di consacra- zione ma bensì soltanto commemorative, perché i loro tipi non alludono più all'apoteosi. L'asse al tipo della Livia seduta (tavola II, n. 3, 4) fu coniato l'anno successivo (15 d. C.) con- temporaneamente alle prime monete di Tiberio Au- gusto (tav. II, n. 5, 6) non solo perché entrambi recano un'identico tipo, ma più specialmente perché l'effige dell'asse di Augusto e quella dell'asse di Tiberio sono identiche ed appaiono come il risultato di una medesima maniera artistica la quale o per deficienza o per altra ragione ci ha regalata un'unica effige che non é di Augusto né di Tiberio, quantun- que contenga i tratti di ambedue combinati assieme. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 23 Al periodo 16-22 a C, io non credo errata l'at- tribuzione dei dupondi col tipo del tempio rotondo ") (Coh. n. 251) e della Vittoria volante collo scudo in cui S P Q R (Coh. n. 242). Ma di tutte le monete com- memorative coniate durante il regno di Tiberio, le migliori nei riguardi dell'arte sopratutto per l'esecu- zione delle effigi sono certamente quelle coi tipi dell'^m Pacis (PROVVIDENT) e della corona di quercia (Coh. n. 252). Dalle somiglianze stilistiche io de- duco che esse vennero emessi contemporaneamente alle note monete di Livia coniate nel 23 d. C, sulle quali essa personifica la Pietà, la Salute o la Giu- stizia, monete che unitamente a quelle di Druso Ce- sare devono ritenersi commemorative. Con queste terminano le monete commemora- tive senza data emesse durante il regno di Tiberio: rimangono a descriversi quelle coniate sotto i regni di Cahgola e di Claudio. Al regno di Caligola appartiene il dupondio seguente : S' — DIVVS AVGVSTVS testa radiata a sin. fra le lettere S C (tav. II, n. 9). 9 — CONSENSVS SENAT ET EQ ORDIN P Q R. Augusto seduto a sin. (tav. II, n. 10). Il confronto coU'asse di Caligola (tav. II, n. 8) mostra chiaramente una medesima maniera artistica, la quale toglie ogni dubbio circa l'attribuzione a questo regno, ma se ciò non bastasse, abbiamo an- che un dato epigrafico che suff'raga tale attribuzione : la leggenda del diritto, la quale mancando della qua- (i) I dupondi con questo tipo sono generalmente di un modulo legger- mente maggiore del solito, non però come quello dei GB. I GB con questo medesimo tipo sono assolutamente delle falsificazioni moderne di cui però un'esemplare, ritenuto autentico, venne pagato 1500 marchi ad una recentissima vendita in Germania ! 1 1 24 LODOVICO LAFFRANCHI lifica di Pater dimostra che questa moneta venne emessa dopo la morte di Tiberio, poiché certamente esso non avrebbe trascurata tale qualifica che ricor- dava la sua adozione da parte di Augusto. Al Museo Nazionale di Napoli esiste il seguente medio bronzo di Augusto descritto dal Fiorelli (n. 4098) dal Cohen (n. 268, 1/ ed."") e dal prof. Cabrici nei Contributi citati più avanti : ,ì)' — Identico al suddescritto. ^ — SPQR SIGNIS RECEPTIS, scudo in cui CLV ados- sato ad un lituo e due giavellotti disposti a croce ; a destra un'aquila legionaria, a sinistra un'insegna militare. (Tav. II, n. 15). Ho sempre dubitato dell'autenticità di questa moneta, primo : perchè essa riproduce esattamente il tipo dell'argento n. 264, cosa inaudita a quest'epoca, ove i tipi dell'oro e dell'argento nulla di comune hanno con quelli del bronzo; secondo: perchè essa esisterebbe in un unico esemplare mentre, come è noto, tutte le varietà di monete del divo Augusto da me già descritte sono comunissime. Ma dacché, per la cortesia del prof. Ciulio De Petra — Regio sopraintendente del Museo sud- detto — potei avere un calco della moneta stessa, il dubbio si è mutato in certezza; però esaminando il modello con attenzione ho constatato che non si tratta di una moneta interamente falsa ma bensì di una falsificata, cioè di un esemplare mal conservato del MB precedentemente descritto (tav. II, n. 9, io) il cui rovescio venne rifatto di sana pianta con grande abilità da un falsario del secolo scorso (vedi tav. II, n. 15) prendendo a modello il denaro di Cohen n. 264. La mistificazione si avverte maggiormente os- servando gli avallamenti prodotti dal tarlo, visibilis- 1 DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 25 simi nel calco. Mentre, logicamente, l'ossidazione o tarlatura avrebbe dovuto far scomparire i rilievi nella parte colpita, dal calco vediamo che le lettere della leggenda seguono le sinuosità degli avalla- menti, e ciò prova che esse furono aggiunte quando la moneta era già tarlata, da una mano moderna. Ed anche il sempHce confronto di essa colle altre monete della tavola II ci mostra subito — ad onta degli sforzi del falsario — le incongruenze stilistiche ed artistiche di questa falsificazione; però quantunque la mistificazione sia evidente per chi abbia solo un po' di pratica delle monete, non dob- biamo meravigliarci della poca avvedutezza di quei dotti autori che 1' hanno descritta per autentica, per- chè costoro l'avranno osservata coll'occhio dell'ar- cheologo e non con quello del numismatico. In nu- mismatica ci vuole l'occhio miope onde scrutare mi- nutamente le monete, mentre l'occhio presbite serve agli archeologi per osservare da lontano i quadri ed i monumenti. All'occhio numismatico, nessuna misti- ficazione resiste neanche se essa è talmente colossale da comprendere interi ripostigli. Tornando all'argomento, per la medesima ra- gione di cui alla moneta precedente non può appar- tenere al regno di Tiberio il dupondio col diritto simile al precedente (tav. II, n. 13) ma col rovescio DIVA AVGVSTA al tipo di Livia seduta cogH attributi di Cerere (tav. II. n. 14). Questa moneta sia per lo stile che pel tipo il quale ricorda il dupondio di Claudio al rovescio CERES AVGVSTA dev'essere asse- gnato al regno di costui ('). (i) Erano già scritte queste righe quando mi accorsi che il prof. Ca- brici nel suo lavoro : Contributo alla storia della moneta romana da Augusto a Domiaiano nella Rivista Ital. di Num., 1895, attribuisce questa moneta al regno di Claudio, trascurando però di farci conoscere il motivo. 20 LODOVICO LAFFRANCHI Come ho promesso, dai MB di Augusto passo a quelli di Agrippa, ove riesce veramente sbalordi- tivo il fatto che i numismatici i quali se ne occupa- rono non abbiano avvertita l'enorme differenza che passa tra queste beUissime ed artistiche monete (tav. II, n. 11-12) e gh orribili assi di Augusto col nome dei monetari L. Surdinus (tav. II, n. 1-2) Plotius Rufiis, Gneo Piso, ecc., i quali secondo l'opi- nione sinora prevalente sarebbero contemporanei di esse. Certamente molti, anche novellini saranno ri- masti colpiti da questa differenza, ma nessuno avrà osato mettere in iscritto i suoi dubbi per tema di urtare contro quegli illustri numismatici avvezzi a far pompa delle loro cognizioni.... mitologiche, i quali sdegnano abbandonare il loro Olimpo archeologico, mitologico, metrologico, ecc., per abbassarsi ad os- servare minutamente la battuta delle monete. Costoro avrebbero risposto trionfalmente che siccome gli assi di Agrippa ricordano il terzo con- solato da lui assunto nel 27 a. C, devono senz'altro ritenersi coniati in quest'anno, qualunque sia il loro stile ! ! Ma la nuova scuola numismatica si ribella a tale semplicismo archeologico, ed io proverò che gli assi di Agrippa non sono ordinarie monete co- niate mentre egli era in vita, l'anno 27 a. C. e nem- meno nel periodo 27-12 a. C. come ritiene il Cohen, ma sono invece monete commemorative emesse molti anni dopo in tutt'altra occasione. Già da parecchi anni mi ero formato questo convincimento ed attendevo l'occasione propizia per scriverne quando mi cadde sott'occhio un articolo del col. Voetter sulle monete ibride (0 nel quale il (i) Vedi Monatsblatts di Vienna, n. 24, 25, 26, 1908. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 2^ valente numismatico viennese accennando al fatto che non esistono monete ibride prodotte dalla com- binazione dei conii di Agrippa con quelli di Augusto che recano il nome dei monetari, mentre invece sono numerose quelle nelle quali ai conii di Agrippa sono associati quelli di Tiberio, di Caligola e persino di Claudio, ne concludeva che gli assi di Agrippa de- vono esser stati coniati sotto Tiberio o Caligola. Al Voetter spetta quindi la priorità nella trat- tazione di questo argomento; però io non ho rinun- ciato a trattarne a mia volta per due ragioni : i.^ Perchè le prove che mi hanno indotto a ne- gare l'attribuzione delle monete di Agrippa al regno di Augusto sono differenti da quella, validissima, esposta dal Voetter ; confesso che questa così sem- plice e persuasiva non mi era mai passata per la mente ; 2.^ Perchè rimane ancora a stabilirsi con esat- tezza se le monete in questione furono coniate da Tiberio o da Caligola, ed io mi prefìggo la dimo- strazione che esse furono emesse da quest'ultimo. Ho già accennato alla enorme differenza di stile che esiste tra gli assi di Augusto e quelli di Agrippa; però neanche le monete di Tiberio, per la loro fat- tura, si possono paragonare a questi ultimi; invece il confronto degli assi di Agrippa (tav. Il, n. 11-12) con quelli di Caligola (tav. II, n. 7-8) e col dupondio del Divo Augusto (tav. II, n. 9-10) ci mostra una medesima maniera ed un identico stile, talché si può afifermare con certezza che esse sono il prodotto di una medesima arte e di un identico artefice, il quale necessariamente lavorò sotto Caligola alla cui ini- ziativa si deve la coniazione degli assi colTeffìge di Agrippa. E questa coniazione non deve meravigliarci se 28 LODOVICO LAFFRANCHI ci fermiamo a considerare il tatto politico di Caligola del quale testimoniano le monete commemorative. Egli salendo al potere senza alcun merito per- sonale, ed anzi preceduto da cattiva fama, cercava di costituirsi una solida base, vantando le beneme- renze della sua famiglia, come più tardi fecero anche Claudio e Vitellio. Perciò affinchè i romani non di- menticassero che egli era il nipote del Divo Augusto ed il figlio di Germanico e di Agrippina, fece co- niare le monete^ a tutti note, colle loro effigi. Ma a queste monete commemorative dobbiamo d'ora in- nanzi aggiungere quelle di Agrippa e ciò non deve meravigliarci perchè egli era avo (^) di Cahgola e data la sua fama e la riconoscenza che gli serbavano i romani costui doveva considerarlo come il suo piìi grande antenato. Un'altra prova sulla quale intendo richiamare l'attenzione dei lettori, perchè veramente positiva, è fornita da un ramo sinora trascurato dalla numisma- tica: lo studio delle contromarche, del quale per me- rito principalmente di R. Mowat si incomincia ad apprezzare l'utilità. Non è questa la sede opportuna per trattare del significato che possono avere le contromarche impresse sulle monete imperiali tanto più che gli stu- diosi non sono d'accordo, io perciò non devo accen- nare ad esse se non per farne risultare il valido aiuto nelle ricerche cronologiche. E di questa utilità il caso delle monete di Agrippa è una dimostrazione evidente. ■ Infatti le contromarche venivano impresse sulle monete dell' imperatore precedente, e perciò Claudio marcò delle sue iniziali TI • CLAV • IMP, TIB • CL • IMP e (i) Agrippina, sulle monete commemorative, porta il titolo di M(rtra) F{iiia) figlia di Marco Agrippa. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA' 29 TI • C • A (i) contemporaneamente agli assi di Caligola quelli coll'effige di Germanico, e ciò non può sem- brare straordinario perchè anch'essi sono noti come coniati da Caligola, ma contromarcò anche quelli di Agrippa e ciò sarebbe veramente straordinario se non si ammette che queste sono anch'esse coniate da Caligola. Ciò ammesso, tutto si spiega, conside- rando che siccome Claudio intendeva contromarcare l'intera emissione dagli assi, coniati durante il regno di Caligola, non poteva trascurare quelli coll'effigie di Agrippa, mentre invece trascurò quelli di Tiberio e di Augusto che precedono il regno di Caligola, Infine per esaurire tutte le prove in favore della mia tesi accennerò — quantunque ormai superflua — a quella data dalle monete coloniali di Caesaraugusta in Spagna. Com'è noto le monete municipali spagnuole. recano il nome dei duumviri, magistrati che rimane- vano in carica solo uno o due anni, perciò durante il regno di un imperatore i nomi dei magistrati cam- biano continuamente e si succedono in ordine cro- nologico. È quindi evidente che se vediamo il nome dei medesimi duumviri, oltre che sulle monete di un'im- peratore anche su quelle coll'effige di alcuni perso- naggi della sua famiglia, ciò dimostra che queste e quelle sono coniate assieme e provengono da una medésima emissione, ordinata dai medesimi magi- strati. Precisamente a Caesaraugusta i^) abbiamo mo- nete coniate sotto Caligola, che portano il nome dei magistrati : TITVLLO ET MONTANO ovvero SCIPIONE ET MONTANO; queste monete ad eccezione di quelle del Divo Augusto che recano il fascio di fulmini, sono (i) Vedi Mowat: Countremarkes of Claudi us I neWa Numismaiic Cro- nicle del 1909. {2) Vedi Delgado : Nuevo metodo, ecc. ■^O LODOV[CO L AFFRANCHI caratterizzate dal solito tipo del sacerdote che guida l'aratro tirato dai buoi, ovvero dalle grandi lettere CCA nel campo e presentano le seguenti effigi : Divo Augusto G B Delgado tav. XCVIII, n. 35-36 Caligola GB » » GII , n. 74-75 e CHI, n. 88 Germanico MB » » Gì, n. 65 Agrippina MB » » GII, n. 68-69-70 Agrippa MB » » XGIX, n. 41-42. É evidente che questa emissione di Gaesarau- gusta non è che una servile imitazione di quella romana, e prova in modo inconfutabile la contempora- neità di ambedue, tanto più che in entrambe, le mo- nete di A grippa sono caratterizzate dalla testa a sini- stra colla corona rostrata^') e la leggenda M AG-RIPPA LF COS III. E qui si presenta la prova capitale dell'im- possibilità che queste monete siano coniate nel 27 a. G. all'epoca del terzo consolato: infatti a questa epoca la città di Gaesaraugusta non esisteva ancora poiché venne fondata verso il 20 a. G. Ora il mio compito ha raggiunto la conclusione e da essa balza una considerazione evidente: quella che le monete all'effige di Agrippa sono in gran maggioranza emesse dopo la sua morte, giacché oltre a pochissime monete coloniali non furono co- niati mentre egli era in vita che i rari denari ro- mani del triumviro Sulpicius Platorinus sui quali però l'effige é accompagnata da quella di Augusto; men- tre invece vennero coniati dopo la sua morte oltre alle monete da me accennate anche i comunissimi bronzi della colonia di Nemasus — per il titolo di Pater Patriae di Augusto che data dal 2 a. G. — (i) II Delgado dice festa laureata, ma io credo si tratti di un errore causato dalla cattiva conservazione delle monete. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 3I ed anche, a mio parere, i denari emessi a Roma da Cossus Lentulus che, nel loro stile, io assegnerei al medesimo anno della morte di Agrippa (12 a. C.) attribuendo anche alla loro emissione un carattere prettamente commemorativo. VII. LE OMONIMIE NEI SEGNI DI ZECCA. Quantunque ora tra i numismatici sia finalmente — ed era tempo — penetrata la convinzione che lo studio dei segni di zecca delle monete imperiali sia tutt'altro che trascurabile, pochi si sono formata un'idea esatta di ciò che — numismaticamente — significa una zecca del periodo imperiale. Siccome queste zecche noi le conosciamo esclu- sivamente collo studio delle monete, senza l'appoggio di alcun documento, il concetto della zecca imperiale a noi dell'epoca presente, deve richiamare non tanto il luogo ove naturalmente è avvenuta la coniazione quanto la maestranza d'artefici che nella fattura dei conii usava una sua speciale maniera rivelata ai no- stri occhi dalle peculiarità dello stile ('>. Perciò una zecca può aver cambiato sede più volte conservando i medesimi artefici ed il medesimo stile, come ci provano le monete coniate in principio del IV secolo coi nomi delle città di Carthago. di Ostia e di Arles. Queste monete ci insegnano che quando nel 308 — sotto Massenzio — scompare la sigla di Carthago, appare quella di Ostia, la quale a sua volta scompare nel 313 — sotto Costantino — (i) È da queste peculiarità che si distingue l'arte antica dalla mo- derna e che, ad onta della loro abilità nel ritoccare le monete vengono smascherati i falsari di Roma, specialisti nel confezionamento delle varietà inedite, illustrate da taluni direttori di Musei. 32 LODOVICO LAFFRANCHI per essere sostituita da quella di Arelate, sempro monete che per la loro fattura mostrano in modo indiscutibile di essere opera della medesima mae- stranza d'artefici, per cui si può affermare con sicu- rezza che siamo di fronte ad una sola zecca la quale per motivi politici a noi ignoti peregrinò in tre città distinte. Similmente avvenne per la zecca aperta a Tes- salonica nel 295 da Diocleziano, la quale verso il 303 fu traslocata a Serdica, e non ritornò a Tessalonica che nel 308 sotto Licinio, come dimostrano l'iden- tità dello stile ed il succedersi delle emissioni. Ma dove maggiormente si deve apprezzare l'importanza che può assumere lo studio degli stili è nei casi di omonimia delle iniziali di zecca, come : T che indica egualmente Ticinuni, Treviri o Tessalonica, S Siscia o Serdica, K Kizico o Karthago, ecc. Di questi casi io ne presenterò alcuni che si verificano su monete d'oro del III e del IV secolo. Vero è che talvolta la iniziale è preceduta o seguita dalle lettere P Percussa, S Signata o Sacra, M Moneta che aiutano nella distinzione a seconda che esistono o non, ma la confusione è sempre possibile. La sigla s C, ad esempio, figura su un aureo di Tacito (tav. III, n. 7-8), poi scompare per non riap- parire che con Diocleziano e Massimiano. 11 colon- nello Voetter credette di poter assegnare tutti questi aurei alla zecca di Siscia <'); ma io ho potuto accer- tare che esse non appartengono a questa zecca e che anziché ad una sola debbono assegnarsi a due zecche distinte. L'aureo di Tacito col rovescio Roma Aeterna (tav. Ili, n. 7-8) non mostra affatto lo stile della zecca di Siscia, caratterizzato specialmente dalla forma (1) Vedi Voetter : Num. Zeitschrift, 34 Band, 1902. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 33 peculiare della lettera M cogli angoli superiori smus- sati e tondeggianti (tav. Ili, n. 1-2-3-4-5), ^^ presenta invece identità di stile coll'antoniniano di Tacito (tav. ITI, n. 6) e coU'aureo di Probo anch'esso al ro- vescio Roma Aeterna (tav. II, n. 9-10) appartenenti alla zecca di Serdica. È quindi a questa zecca che devesi assegnare l'aureo in questione; anche se non si potesse am- mettere che le lettere S C sono l'abbreviazione di S{erdt)C{a), lo stile basta a levare ogni dubbio. In quanto agli aurei della tetrarchia che pre- sentano le medesime lettere, essi mostrano così evi- dentemente una maniera affatto differente da quella degli aurei di Tacito da persuaderci che contraria- mente all'opinione del Voetter, debbono assegnarsi ad un'altra zecca, e cioè a quella di Cizico. Infatti confrontando gli aurei in questione con tutto il gruppo che per le affinità stilistiche io as- segno alla zecca di Cizico (0 si vede chiaramente che gli aurei con S C non sono che una parte inse- parabile di tutto il corpus delle monete di questa zecca, la quale sulle sue monete d'oro soltanto ec- cezionalmente segnava il suo nome colle sigle K Ki- zicits^ C Cizicns ed S C Signata Cizicns? Ecco un elenco quantunque incompleto degli aurei suddetti da Floriano alla tetrarchia : IMP e M ANNIVS FLORIANVS AVG VICTORIA 6H0TTICA {sic!) da un catalogo) IMP C M AVR PROBVS AVG VIRTVTI AVCVSTI (i) Vedi a tav. Ili, n. 14 il diritto di un comunissimo antoniniano della zecca di Cizico (R) Concordiae Militutn da confrontarsi coU'aureo alla medesima tavola, n. 17. 34 LODOVICO LAFFRANCHI IMP PROBVS AVG PRINCIPIS IVVENTVTI IMP C M AVR CARVS P F AVG (tav. Ili, n. ii) VICTORI (sici) AVG j^ "CT ("• ^2) NVMAERIANVS (sici) NOB CAES VICTORIA CAESARIS ^ M AVR CARINVS NOB CAES PRINCIPIS IVVENTVTI — VICTORIA CAESARIS j^ IMP C NVMERIANVS P F AVG ADVENTVS AVGG N N ^ (n. 13) IMP M AVR CARINVS P F AVG ADVENTVS AVGG N N ^ (n. 13) IMP C C VAL DIOCLETIANVS P F AVG (n. 15) VICTORI (sic/) AVG VIRTVS AVG MARTI VLTORI ROMAE AETERNAE lOVI CONSERVATORI ORBIS lOVI CONSERVATORI idem 5p FATIS VICTRICIBVS (Gnecchi) (n. 16) idem gp (n. 18) IMP C C VAL DIOCLETIANVS AVG (n. 17) VIRTVS AVG Marte Pacifero (Gnecchi) FAT!S VICTRICIBVS gp (n. 18) IMP C M A V MAXIMIANVS P F AVG (n. 19) CONCORDIAE MILITUM ^ (n. 20) IMP C M A MAXIMIANVS AVG CONCORDIAE MILITVM se VIRTVTI ERCVLIS 3^ L'attribuzione alla zecca di Cizico degli aurei di Floriano e Probo, è comprovata specialmente dalla forma peculiare della lettera V col vertice rivolto a destra come sugli antoniniani che tutti gli specialisti sono d'accordo nell'assegnare alla medesima zecca. I DIVERSI STILI NELLA MONETAZIONE ROMANA 35 Sotto Caro e Carino, questa peculiarità tende a scomparire, ma rimane sempre la somiglianza sti- listica cogli antoniniani ; ed in quanto agli aurei in questione con SC l'identità della loro fattura con quella degli aurei di Carino e cogli altri di Diocle- ziano toglie ogni dubbio circa la loro attribuzione alla zecca di Cizico (^). Un'altro caso di omonimia ci presentano gii aurei colla sigla PT. Questa sigla che sulle monete di rame significa Prima Ticinum^ sugli aurei cambia significato, poiché il P non è numero d'officina ma bensì l'iniziale della parola Percussa, ed in questo caso dobbiamo distinguere ?{ercussa) T{revm) da P{er- a issa) l{iciniini). Gli aurei della tetrarchia colla sigla PT furono coniati a Treviri dal 295 al 298 circa : DIOCLETIANVS P F AVG (n. 21) MAXIMIANVS P AVG (n. 24) lOVI CONSERVATORI HERCVLI VJCTORI lOVI CONSERVAI VIRTVTI AVGG (n. 25) lOVI CONSER AVGG (n. 22) IO VI TVTAT AVGG yn. 23) Durante questa coniazione Ticinum usava la sigla SMT (tav. II, n. 26-27) che durò sino alla chiu- (i) Dopo la riforma di Diocleziano, questa zecca coniò degli aurei aventi al diritto le semplici teste rivolte a des. od a sin. colle leggende Diocletianus Augusius, Maximintis Augiisttis ed al rovescio i tipi: Vir- tiìti Hercttlis, Cos 11, Cos 111 (Imp. a cavallo) Concordia Atigg N N. Cansttl P P Proconsul e qualche altro. Di tali aurei, prima rarissimi e conosciuti in pochi campioni mal conservati, figurano ora numerosi esemplari a fior di conio sui cataloghi di vendita. Questi esemplari che quantunque impeccabili nelle forme stilistiche, sono a rilievo assai più secco e tagliente del solito, talché assomigliano piuttosto a monete il'argento che non a monete d'oro, si asseriscono rinvenuti ad Abukir. Io però credo che, come elemento di studio siano da preferire quelli mal conservati, che da molli anni giacciono nei musei e nelle collezioni. 36 LODOVICO LAFFRANCHI sura della zecca verso il 326, però, eccezionalmente il seguente aureo costantiniano esiste contempora- neamente con PT e con SMT: CONSTANTINVS P F AVG (n. 28) RESTITVTORI LIBERTATIS (tav. Ili, 11. 29, 30). Chiuderò accennando ad un terzo caso di omo- nimia : la sigla SMA sull'aureo di Massimino II ?/ — XX MAXIMINl AVO entro corona appartiene alla zecca di Alessandria mentre tutte le altre monete d'oro da Caro a Licinio con questa sigla apparten- gono ad Antiochia (^\ Milano, Dicembre ipop. L. Laffranchi. (i) Vedi VoETTER : lovii ed Herculi nella Numism. Zeitschrift di Vienna, 1901. Della moneta paparina del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia e delle zecche di Viterbo e Montefiascone. {Continuazione e fine, vedi fase. III-IV, 1909). Dopo questo periodo di autonomia Comunale sotto la suprema autorità della Chiesa, la zecca di Viterbo non rimase inoperosa. Francesco Di Vico, Prefetto di Roma, durante il dominio che esercitò fra il 1375 ed il 1387 in questa città ed in quasi tutto il Patrimonio, coniò moneta in suo nome. Questa moneta*" fu pubblicata per la prima volta da Giulio Porro nella Rivista Nu- mismatica edita a cura di Agostino OUvieri (2) e nulla avrei da aggiungere alla dotta dissertazione del chiaro autore se non dovessi rettificare un errore nel quale egli è incorso nell' interpretare le quattro lettere che si leggono fra i bracci della croce nel rovescio della moneta. ^ — • S • LAVRENTIVS. Mezzo busto del Santo sopra la graticola. I^ — + DE VITERBIO. Croce con le iniziali F. A. V. P. fra i bracci dalla croce. Testa di aquila nel giro. Bolognino, arg. gr. i,oo. — Collezione Martinori. (i) Si trovava allora questa moneta nella coli. Trivulzio in Milano. (2) ^5/1 1864, voi. I, pag. 175. 38 EDOARDO MARTINORI Egli infatti interpreta le quattro iniziali F. A. V. P. Francisciis A Vico Praefectus mentre si debbono leg- gere: FRANCISCVS ÀLMAE VRBIS PRAEFECTVS perchè tale era il titolo ereditario dei Di Vico; e così troviamo che si firmava Francesco in tutti gli istromenti che ci sono pervenuti; ed egualmente viene nominato nelle bolle papali e negli atti pubblici ('). Oltre al bolognino d'argento Francesco emise il quattrino. ^' - + S. LAVRENTIVS. Croce. Testina d'aquila nel giro. '^ — + DE • VITERBIO. Grande p fra due bisanti nel centro e testina d'aquila nel giro. Mistura gr. 0,805. — Raccolta di S. M. il Re. Questa moneta fu per la prima volta pubblicata da Camillo Brambilla ^^\ Tanto il Porro che il Bram- billa ebbero notizia di queste coniazioni dal Bussi che nella sua Istoria della città di Viterbo (3) la ri- cavò alla sua volta da una cronaca manoscritta di luzzo Covelluccio il quale ci lasciò détto che nel 1386 « il Prefetto eòe Toscanella et Montalto et fé baciare in Viterbo la moneta, cioè Bolognini da dui soldi con SANCTO LORENZO e la grata et quartoni colla crocie, et P da l'altro lato ». Il Contelori (4) asserisce anch'egli di aver avuto (i) Calisse, / Frefetti di l^ico, doc. 158, 159, 161, 182, 189, ecc. (2) Brambilla C, /ìlire annotazioni ntimismaiic/te. Pavia, 1870, pa- gine 65, VI, tav. II, n. 5. (3) Bussi, op. cit., pag. 214. (4) De Prae/ecto Urbis liber. Roma, 1631, pag. 19. DELLA MONETA PAPARIXA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 39 qualche notizia sul diritto che il Prefetto aveva di coniare moneta, ma confessa che nelle sue diligenti ricerche non gli è riuscito che di vedere un nummo « qui Viterbij, dum ea forte Urbs in illius diiione esset cusus dicitur ». Di questo nummo ce ne dà un disegno, che qui riporto; ma che, a mio avviso, non è mo- neta ma tessera, di epoca incerta, emessa in Viterbo, come lo dimostra il leone impressovi ; ed apparte- nente certamente a qualcuno dei Prefetti. I sei pani che circondano il leone stanno a ricordare il tri- buto giornaliero che i fornari della città dovevano a quel magistrato. Dei membri della famiglia Di Vico non fu il solo Francesco a coniare moneta. Prima di lui un altro Di Vico, anch'egli famoso per le sue contese con la Chiesa, ci ha lasciate, come testimonianza della sua potenza, due monetine di sommo interesse storico e numismatico che, per essere state coniate dalla zecca di Viterbo, entrano nella cerchia del mio lavoro. ,Q' _ + .s. LAVRENTIVS. Busto del Santo. I^ — + COMES ANGVI^c. Croce. Denaro, Mistura, gr. 0,400-0,430. Raccolta della R. Accademia dei Fisiocritici di Siena. 40 EDOARDO MARTINORI La prima notizia di questa moneta si ha da Vincenzo Bellini nella sua Novissima dissertatio (0, attribuita da lui a Pandolfo conte dell'Anguillara, che fu Podestà di Viterbo nel 1275. È una supposizione non convalidata da docu- menti, che lascia campo a molte riflessioni. Infatti uno studio accurato dell'epoca e dei documenti mi hanno indotto a crederla troppo superficiale. Oltre al fatto che i Podestà di Viterbo, specie all'epoca di Pandolfo d'Anguillara, erano eletti dal Papa che si protestava sempre il vero ed assoluto sovrano della città, il non trovare sulla moneta ne il nome ne il titolo di Podestà mi fanno credere er- rata l'opinione del Bellini (2). Ne posso egualmente convenire con il parere espresso dal Lisini, quando, trattando di una inedita moneta del conte Rosso degli Aldobrandeschi (3), accenna a questa degli Anguillara, e la considera coniata dallo stesso Pandolfo nel suo feudo. L'indi- cazione del luogo di emissione ci viene costantemente data in modo indiscutibile dal nome del Santo Pro- tettore; e tutti sanno che S. Lorenzo è protettore di Viterbo e non di Anguillara. La moneta esce indubbiamente dalla zecca vi- terbese, e non è da attribuirsi a Pandolfo II del- l'Anguillara, Podestà nel 1275. Vediamo se, appoggiandoci alla storia, noi po- tremo uscire dall'imbarazzo. (i) Ferrariae, 1774, pag. 97. (2) Il chiaro autore della Storia della città di Viterbo tante volte ci- tata in questo mio lavoro, da me interpellato in proposito così mi ri- spondeva : " Io non posso capacitarmi come mai un podestà del 1274 o 1275 potesse porre il suo nome sulle monete che si coniavano sotto il suo governo „. (3) Di lina nuova zecca dei conti Aldobrandeschi. Rivista Italiana di Num., a 11. vili, pag. 205. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI 5. PIETRO 4I Nel lavoro del prof. Calisse sopra i Prefetti Di Vico trovo un documento (*) del marzo 1244, nel quale fra i testimoni in un diploma dato da Fede- rico II, in Acquapendente, trovasi Pietro Prefetto di Roma conte dell'Anguillara. Questo Pietro è il terzo di questo nome appar- tenente alla famiglia Di Vico ; e fu investito del feudo dell'Anguillara da Federico il dopo che questi ne aveva spogliato Pandolfo I che da ghibellino si era fatto guelfo. Vale la pena di tratteggiare brevemente questo periodo storico che concerne i fatti enunciati. I Di Vico aspiravano per tradizione di famiglia alla preminenza, e, se fosse stato possibile, alla do- minazione sopra tutto il Patrimonio di Tuscia; e perciò era poco conciliabile questo loro intento con l' amicizia e fedeltà alla Chiesa. Si sottomettevano quando il loro tornaconto lo richiedeva. Infatti nella circostanza che papa Innocenzo III appena eletto a Pontefice, nel 1198, onde riconquistare alla Chiesa tutti i diritti e privilegi dei quali a pòco a poco era stata spogliata, volle sottrarre al popolo di Roma il diritto di nomina del Prefetto urbano, il padre di Pietro fece ampia soggezione al Pontefice e questi per rimunerarlo rese ereditaria nella famigha dei Di Vico la carica di Prefetto urbano ^^\ Ma poco durò la fede del Di Vico. Nel 1210 lo ritroviamo nel campo imperiale all'assedio di Viterbo e poi alla Corte di Ottone che risiedeva in Monte- fiascone (3). (i) Calisse, op. cit., doc. n. 43 ; ed anche Huillard, Hist. dipi. Frid., II, VI, 166. (2) Vedi il giuramento di fedeltà dato da Pietro II De Vico a In- nocenzo III in Theiner, Codéx dipi., I doc. 535. (3) BòHMER, Regesta imperii Insbruch (1881-82), I, n. 451. 42 EDOARDO MARTINORI La caduta di quell'Imperatore coinvolse anche la fortuna del Di Vico; e per qualche tempo non si hanno più notizie di lui, ne della famiglia. Non possiamo perciò precisare l'epoca della investitura di Pietro III. Infatti il primo accenno a questo pre- fetto è quel documento, del quale ho fatto parola, che ce lo presenta col titolo di conte deirAnguillara. Sappiamo peraltro come Pandolfo I, cui spettava di diritto questo titolo, dopo aver patteggiato per l'Im- peratore, preso dai Romani a Ronciglione nel 1243, fu fatto prigioniero e condotto in Roma. Quivi ei dovette pentirsi e far omaggio al papa. Federico li per punirlo investì del suo feudo il fido Pietro di Vico che il documento suaccennato ci fa conoscere trovarsi al seguito dell'Imperatore. Ne deve ciò far meraviglia a chi rammenti quanto spesso i beni di un disertore venissero dati come premio ai fedeli (0. E potente doveva essere questo Pietro se le due parti contendenti se ne disputavano l'amicizia. Che mentre Federico lo beneficava, Innocenzo IV gli faceva giungere promessa che se fosse ritornato a lui non solo lo avrebbe perdonato ma ancora con- fermato nei suoi beni e negli onori. A questo Di Vico dobbiamo perciò assegnare questa monetina col titolo di conte dell'Anguillara la quale egli fece coniare, per certo, dalla zecca di Viterbo, in seguito a privilegio ottenuto da Fede- rico II il quale solo pochi anni prima lo aveva di già concesso al comune. (i) Ecidi P,, Le cronache di Viterbo, ecc. Arch. della R. Soc. rom. di Stor. Patr., voi. XXIV, pag. 310. DELLA MONETA PAPARLNA DEL PATRIMONIO DI S PIETRO 43 J' — + PETER D' VICO. Croce nel campo. 9^ — + PREFET' VRB'. Busto del Prefetto con una rosa nella mano destra. Den. Mist. Il Lisini, cui debbo il calco di questa interes- sante moneta, ce ne diede una prima notizia nell'ar- ticolo già citato. L'unico esemplare conosciuto andò sventuratamente perduto, mentre si spediva a Roma per illustrarlo negli atti della R. Società Romana di storia patria. Il chiaro autore non esita a crederla di quel Pietro dei Prefetti Di Vico « che fu parente e rivale di Pandolfo II conte dell'Anguillara Po- destà di Viterbo fra il 1274 ed il 1275 ». Accenna dunque a Pietro IV Di Vico secondo la genealogia che di questi prefetti ci ha dato il prof. Cahsse ^^l Abbiamo già veduto trattando delle vicende storiche del Patrimonio quanta parte importante abbia avuta questo personaggio e come sia stato continuamente in lotta con la Chiesa e con gli uffi- ciali della curia papale. Non risulta che questo Pietro abbia mai avuto dal Pontefice l' investitura della ca- rica prefettizia ed il Contelori non lo riporta nem- meno nel numero dei Prefetti. Pietro IV, erede dello zio Pietro III, che mo- rendo sulla fine del 1262 non aveva lasciati eredi diretti, voleva succedergli anche nella prefettura di Roma. Ma Papa Urbano IV vi si oppose energica- mente; ed ai 17 di febbraio del 1263 scriveva a (i) Op. cit, pag. 590. 44 EDOARDO MARTINORl Guido de Pileo Rettore del Patrimonio che impedisse tale successione, e tale era il malanimo del Ponte- fice verso quel Di Vico che nell'anno successivo bandì una crociata contro di lui « usurpatore dei beni della Chiesa ». Pietro era il capo intorno al quale si erano riuniti tutti i ghibellini della Tuscia; e sappiamo come egli si trovasse anche nell'assalto che questi diedero alla città di Roma. È vero però che, declinata la stella di Manfredi, voltò casacca e fece soggezione a Carlo d'Angiò; anzi si battè per esso nell'assalto di S. Germano; ma poco dopo lo ritroviamo a fianco di Corradino, cui era andato a render omaggio al suo ingresso a Roma; e ferito alla battaglia di Tagliacozzo, venne a morire in Vico nel dicembre del 1268. Come poter assegnare a questo Pietro, sempre ribelle alla Chiesa, questa monetina, che oltre a portare il titolo di Prefetto della città del quale non fu mai investito dal Papa, ostenta anche il dono della rosa d'oro che il Pontefice era solito donare al Prefetto in premio della sua fedeltà alla Chiesa ? I documenti che si riferiscono a Pietro IV, non portano mai aggiunto al nome il titolo di Prefetto. Urbano IV lo chiama nelle sue lettere publicum Ecclesiae hostem et proditorem nequissimum (0 ed ai 30 maggio del 1264 scrive al vicario di Carlo d'Angiò che discacci dal castello di Vico Petrum De Vico perfidum Ecclesiae proditorem (2). Ne meno Clemente IV, dopo pacificatosi con Pietro, volle concedergli quella investitura; e nel codicillo famoso del testamento del Di Vico riportato dal Bussi (3) il pubbhco notaio si limita a chiamare (i) Calisse, op. cit., doc. 50, an. 1264. (2) Calisse, op. cit., doc, 51. (3) Bussi, op. cit., doc. 22. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 45 il testatore nobilis vir; neanche dopo assoluto dalle censure; e rientrato perciò nel grembo della madre Chiesa, gli fu dato il titolo che gli avrebbe spettato quale ereditario in quella famiglia. Infatti Giovanni arcivescovo di Bari nel diploma col quale assicura di aver per commissione del ve- scovo di Viterbo assoluto dalle censure Pietro Di Vico lo chiama semplicemente Dominimi Petnmt De Vico <^). Escluso dunque che a questo Di Vico possa as- segnarsi quella moneta, non ci rimane che esaminare se ad un altro Pietro, prima o dopo del quarto, sia più logico attribuirla, cioè a Pietro III o a Pietro V. Aveva pensato che non sarebbe stato temerario sup- porla coniata da quest'ultimo, che la storia ci de- scrive come devoto alla Chiesa, insignito formal- mente dal Papa della carica di Prefetto, e che in tale qualità accompagnava Bonifacio Vili nel suo ingresso in Roma il giorno della sua incoronazione. Ma una circostanza di fatto ci riporta ad epoca anteriore. Il Lisini trovò questa moneta unitamente a molte altre di mistura, a grossi tornesi e ad altre del senato, non che a denari Senesi, Perugini, Vi- terbesi u che non venivano più avanti del 1250 o del 1260 ». Se questa moneta fu coniata anteriormente a tali date non ci rimane che attribuirla allo stesso Pietro III, del quale abbiamo già studiato la moneta col titolo di Comes Anguillarie. Infatti questo Pre- fetto venne a morire nel 1268; e, come abbiamo già osservato in addietro, si servì del privilegio che aveva avuto la città di Viterbo (e forse egli stesso), da Federico II per emettere moneta nella quale oltre al nuovo titolo concessogh dall'Imperatore si ritro- vasse quello ereditario della sua famiglia. (i) Bussi, op. cit., doc. ai. 46 EDOARDO MAKTINORI L'ostentare nella moneta il dono della rosa d'oro è spiegabile quando si sappia che se Pietro fu du- rante la sua fortunosa carriera sempre ostile alla Chiesa, vi fu un periodo nel quale al Papa riusci staccarlo da Federico. Questi infatti, giustificandosi pubbhcamente sullo scorcio del mese di luglio 1244 per la sua con- dotta avversa al pontefice, fra le altre colpe gli rim- provera quella di avergli tolto il Prefetto ed i suoi seguaci recipiens praefectum et quosdam seguaces suos cum terris eorum qui omni tempore imperli fuit et di- gnitatem ab imperio recipit ('). E forse in questo periodo di soggezione alla Chiesa che il Prefetto deve aver, ottenuto dal Papa in segno di conciliazione l'omaggio della rosa d'oro della quale ci fa pompa nella sua moneta, che in ordine di tempo dobbiamo assegnare ad una emis- sione di poco posteriore a quella del titolo di conte dell'Anguillara. Queste due monetine sono, perciò che ho detto, contemporanee o di poco anteriori ai Viterbini dei quali ho parlato in addietro. Urbano VI rappacificatosi con i Viterbesi dopo l'uccisione di Francesco Di Vico ed il ricupero dei beni della Chiesa, emanò nel 1388 un decreto di amnistia, contenente importanti concessioni, fra le quali la libera amministrazione delle proprie finanze, e nell'anno successivo concesse loro la facoltà di coniare moneta. Il documento, che si riferisce a queste conces- sioni e che riporto in appendice (2), parla di sole (1) HuiLLARD, Hist. dipi. Fred., II. t, VI, pag. 219. (2) V. Dofcumento n. Vili in appendice. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 47 monete d'argento quariim singule valeant unum Bo- logninum comuniter in alma Urbe cnrrentem (Questi bolognini correnti in Roma sono quelli fatti coniare da Gregorio XI (^) ed anteriormente da Urbano V (2). Urbano VI non coniò bolognini in Roma ; ed il grosso citato dal Cinagli al n. 9 della pagina 35 è d'in- dubbia fabbrica Avignonese. Osservo incidentalmente come i n. 9-12 delle monete attribuite da questo autore ad Urbano V non portano nome di papa; e credo siano state coniate durante l'interregno che seguì la morte di Urbano). I viterbesi non profittarono subito di quella con- cessione, e lo fecero solo nel 1390, quando, nello scisma famoso che tenne per tanti anni divisa la Chiesa, la città di Viterbo patteggiò per l'antipapa Clemente VII (3); essi coniarono al suo nome i bolo- gnini ed anco moneta piccola. ^^' — + CLEMEN • PP • VII. Mitria papaie o triregno. F^ — + VITERBIO • VEIA • (4) Croce e due punti negli spazi. Bolognino arg. gr. 1,12-1,15. — Gabinetto Vaticano. CiN., p. 36, n. II. (1) Ci.NAGLi, pag. 34, 11. 6-12 (2) Gin., pag. 32, n. 7, 9-13. Per il valore dei bolognini vedi il Ga- RAMPi, appendice n. XXI. (3) Pinzi, op. cit., pag. 438. (4) Veia. Questa denominazione che apparisce per la prima e forse unica volta unita al nome di Viterbo, credo debba attribuirsi alla leg- genda o tradizione popolare che voleva essere sorta Viterbo dopo la distruzione di Velo. Nel medio evo la città fu detta Vegentia od anche Veiuzsa. Vedi I'Oriou Francesco, Viterbo e suo territorio nel Giornale 48 EDOARDO MARTINORI ^ - + CLEM PP VII • Mitria papale. ^ ~ + VITERBIO VEIA. Croce. Mistura, gr, 0,500-0,750. — Coli. Martinori. — Gab. Vaticano. CiN., p. 36, n. I^, tav. I, n. 29. Il 27 luglio dell'anno 1430 i Priori del comune di Viterbo emisero una ordinanza per la riduzione dei denari piccioli i quali in grande quantità si rice- vevano in città di qualunque conio fossero per il valore di un denaro, e ne andavano ventuno per un bolognino. Avendo i Rettori dei mercanti dichiarato che la corrisposta giusta dovrebbe essere di due piccoli per ogni denaro, eccettuati i denari « che si fanno ora in Urbe (cioè in Roma) ove è il leone » ed i denari « prima d'ora » coniati in Viterbo, che si devono spendere come il solito, cioè uno per uno, fu ordinato che « tutti gli altri si debbano spendere due per un denaro sotto pena di 25 ducati d'oro o più ad arbitrio dei signori priori » (^X Questi denari della Urbe con il leone sono cer- tamente quelli coniati dal senato romano come fra- zione del romanino e riportatici dal Cinagli a pag. 21, Arcadico, 117, 118, IX. Fazio degli Uberti (morto nel 1367), nel libro terzo del suo Dittamondo, al canto X così si esprime : Seguita or che di Viterbo io dica Che nel principio fu Veiuzza detta E fu infili che Roma i fo' nemica : Vuoisi anche che Vela si chiamasse anticamente il fiumicello oggi detto Leia che si gitta nel Marta a ponente di Viterbo, (i) V. doc. in appendice n. IX. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 49 n. 56-61. Infatti il n. 60 porta lo stesso segno di zecca che trovasi sulle monete di Martino V (141 7- 1431), cioè la frusta (^\ Lo che dimostra come la moneta del Senato correva contemporaneamente a quella papale sotto il pontificato di Martino V (1417- 1431) e fino alla riforma della moneta introdotta da Eugenio IV nel 1432 (2)^ e che la zecca di Roma non aveva ancora cessato di coniare moneta sena- toria. Per ciò che riguarda i denari che, come dice il documento « era stati fatti prima d'ora in Viterbo », non saprei a quali riferirmi. Gli ultimi in ordine di data usciti da quella zecca, dei quali possiamo documen- tare la coniazione, sono quelli già descritti di Cle- mente VII e di Francesco Di Vico. Ma non posso credere che queste monete coniate in epoca di ri- bellione e defezione potessero essere ancora tollerate sotto il dominio restaurato della Chiesa. Dobbiamo perciò supporre che si tratti degli antichi denari Viterbini fnimiti dei quali ci siamo già occupati e che continuavano ad aver corso in quella città. L'anno 1439 il rettore del Patrimonio, Bartolo- meo Vitelleschi pubbHcò una tariffa delle monete che vi dovevano avere corso legale. Desta interesse il leggere le varie denominazioni della moneta cor- rente ed il suo valore, non che l'elenco di tutte le località che costituivano il così detto Patrimonio di S. Pietro (3). Addì IO febbraio 1456 i Priori emisero altro bando sul corso dei quattrini romani e sulle monete fiorentine senesi e pisane ed altre erose o combuste (i) Questo segno appartiene allo zecchiere Domenico Gherardini di Firenze. (2) V. Garampi, op, cit., doc. XXIII e lo stesso a pag. 28, nota a. (3) V. doc. in append., n. X. 50 EDOARDO MARTINORI Stabilendone il valore i^\ È interessante questo do- cumento per essere il primo finora conosciuto che fa menzione dei quattrmi romani <2). Per circa un secolo rimase chiusa la zecca di Viterbo. Nel 1474 il Comune fa istanza a papa Sisto IV perchè conceda di battere moneta nella zecca della città. Debbo alla cortesia del prof. Pinzi, il noto autore della storia della città di Viterbo e solerte bibliote- cario della Comunale di quella città, la nozione di due documenti inediti che si riferiscono alla domanda Tuno, ed alla concessione l'altro di questa battitura di monete. Nel primo documento (3) il Comune domanda al Papa che stante la penuria della moneta e la pros- simità dell'anno del giubileo (4) venga concesso alla città di Viterbo di coniare stib cuneo ipshis Comuni- tatis baiocchi quattrini e denari. Nel secondo (5) troviamo una Promissio pensionis prò domo zecche dalla quale ci risulta che fu chia- mato all'ufficio di zecchiere Mariotto di Giovanni Mattei di Foligno sopranominato Mencio della zecca. La zecca fu aperta presso la chiesa di S. Croce dei Mercanti ove ora trovasi il Seminario Vescovile. 11 Covelluzzo nella cronaca manoscritta già ci- tata ricorda la emissione della nuova moneta dicendo et fu facta la zecca, hactuti carlini et quactrini belli con uno lioncino sotto san Piero et l'altro lato Parme (i) V. doc. in appeii., n. X'. (2) Equivalevano a quattro piccioli. (3) V. doc. in appendice n. XII. (4) Nel 1475 fu indetto il giubileo che aveva luogo ogni venti- cinque anni. (5) V. doc. in app. n. XIII. DELLA MONETA PAPARINA DEL I ATRIMONIO DI S. PIETRO 5I del Papa et anco piccoli belli. Et stette la zecca ad Sancta erode in casa Giovambattista Dellititare. Durò circa due andi (anni) et fnnne levata via perchè era dannosa alla città di Viterbo *'). Dobbiamo dunque al Covelluzzo la descrizione di queste monete che il Cinagli ci ha riportate nel suo lavoro ^'^\ ma descritte erroneamente sulla fede dello Scilla (3), il quale, scambiando il leone per una lupa, così ne discorre : « più rara degli altri è il giiilio con i due Santi e sotto la lupa con Romolo e Remo in segno di essere battuto in Roma, simile impronta si vede anche in un quattrino con la figura di S. Pietro ». Non vi ha dubbio che si tratti del carlino e del quattrino che qui presento ove, specie nel primo, si osserva benissimo il leone e l'albero di palma che stanno a rappresentare l' emblema della città di Viterbo. !>' • SISTVS PP ® — ® QVARTVS. Stemma in com- passo. R: — • S PETRVS ® — ® S PAVLVS. I due Santi in piedi in basso un leoncmo con la palma. Carlino arg. (4), gr. 3,60. — Gabinetto Vaticano, gr. 3,12. — Rac- colta di S. M. il Re. Gin., p. 61, n. 14. (1) Buàsi, op. cit., pag. 278. (2) CiNAGy, op. cit., pag. 61, n. 14, e pag. 62, n. 38. (3) Scilla, op. cit., pag. 26, n. 7 e pag. 58, n. 4. (4) Nei capitoli delia zecca di Roma del 1475 sono chiamati anche grossi papali d argento. V. Gakampi, doc. XLIV. 52 EDOARDO MARTINORI B' — . SIXTVS ^ — ® PP llll. Stemma in un circolo. ^ — • SANTVS ® — * PETRr. Il Santo in piedi: sotto un leoncino. Quattrino. Mist. gr. 0,98. — Coli. Martinori. CiN., p. 62, n. 38. B' — • SIXTVS • - • PP • llll. Stemma. ^ — • SANCTVS • ® • PETRVS : • Mezza figura di S. Pietro. Picciolo. Mist. gr. 0,47-0,65. — Gabinetto Vaticano. CiN., p. 63, n. 39-41. Ma oltre a questi carlini, quattrini e piccoli, la zecca di Viterbo coniò sotto Sisto IV altre due mo- nete che si staccano completamente dal tipo della moneta romana e portano invece dell'emblema del Comune libero l'impronta del santo protettore della città. ^^ ^ — • SIXTVS PP llll. Stemma in compasso. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 53 ^' — • S LAVREN' — D. VITERB. Il Santo a mezza figura con la graticola in basso. Bolognino (i). Arg., gr. 0,940. — Coli. Martinori. ]& — Idem. Come sopra. ^ — Idem. Come sopra: solo la graticola resta a sinistra del Santo. Quattrino (2), gr. 1,175. — Collezione Martinori. Per il valore di queste monete il Garampi ci presenta i capitoli della zecca di Roma del 1475 (3), dai quali si rileva che : 11 Grosso papale o Carlino d'argento doveva es- sere del pJeso di grani 77, 41/179 cioè grammi 3,855 e contenere oncie 11 e 3 denari di argento fino per libbra ove entravano in peso n. 89 e mezzo. I Bolognini d'argento dovevano pesare grani 18 3/4 cioè grammi 0,9375 e contenere oncie 9 34 di argento fino per libbra ove entravano in peso n, 369. II Quattrino pesava grani 24 cioè grammi 1,200 ed era di rame con solo 20 denari e mezzo di ar- gento per libbra. Sei quattrini valevano un bolognino. Il Picciolo pesava grani 12 cioè grani 12 cioè grammi 0,600 e conteneva 5 1/2 denari di argento fino per libbra e ne andavano 4 per un quattrino. (i) CiNAGLi, pag. 62, n. 31 (erroneamente mezzo grosso). (2) CiNAGLi, pag. 63, n. 49. (3) Garampi, op. cit., dee. XLIV. 54 EDOARDO MARTINORl B' ^ . IVLIVS • Il • PONT • MAX. Una rovere nel campo. I^ — • S. PETRVS APOSTOL — D. V. ai lati della figura del Santo. Quattrino. Mistura, gr. 1,200. — Coli. Martinori. B' — IVLIVS PAPA. In due righe (i). ^ — D. V. Chiavi decussate e triregno. Piccolo, gr. 0,400. — CiNAGLT, p. 75, n. 79. Sotto il pontificato di Giulio li (1503-1513) fu- rono coniati quattrini (2) e piccioli •'3) che portando nel campo del rovescio le due iniziali D. V. sono stati variamente attribuiti. Lo Scilla pretende siano state coniate nella zecca di Urbino, mentre lo Zanetti crede che le due iniziali si debbano interpretare per DE VRBIVETERE e perciò le dette monete assegnare alla zecca di Orvieto. Ma errano ambedue. 11 ducato di Urbino ai tempi di Giulio II coniò moneta al nome dei duchi Guidobaldo l da Monte- feltro (1500-1508) e Francesco Maria 1 della Rovere (15081513). E perciò che riguarda la zecca di Or- vieto conviene notare come vi sieno monete coniate sotto lo stesso pontificato di Giulio li con le iniziali D. O- che meglio si prestano per essere lette DE ORVIETO. Io credo, perciò che ho detto sopra, che non (i) Non posso presentare il facsimile di questa moneta, non ho potuto trovarla in alcuna collezione. (2) CiN., pag. 75, n. 75-77. (3) Id. n. 79. — Il Garampi ci riporta nel doc. LXII i capitoli del 1508 nei quali ira le altre monete si parla delia coniazione di questi quattrini e piccioli. - DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 55 si possano interpretare diversamente che DE VITERBIO contrariamente a quanto è stato fino ad ora creduto. Lo stesso dicasi della monetina di Leone X (^) con il D. V. dallo Scilla spiegato per DVCATVS VRBINI. Leone X spogliò Francesco Maria del suo stato per investirne il proprio nepote Lorenzo de Medici, ma non coniò moneta col nome proprio ma sibbene con quello del Medici stesso. Infatti il Papa non incorporò il ducato ai beni della Chiesa, ma, investendone il nepote, intendeva elevarlo al principato dell'Italia di mezzo, cercando di ottenere per esso anco la cessione di Parma e Piacenza (2>. Col nome di Viterbo troviamo che sotto il pon- tificato di Pio VI (1775-1799) furono emesse monete di rame da 5 baiocchi comunemente dette Madon- nine ; da 2 1/2 baiocchi o Sampietrini e mezzi baiocchi. Dopo la pace di Tolentino il pontefice Pio VI stretto da bisogni finanziari, esaurite tutte le altre risorse, concesse a molti privati il diritto di zecca nelle varie città dello stato pontificio, ed egli stesso fece coniare in Roma e nelle zecche provinciali mo- neta erosa e plateale di mistura e rame. Non tutte le monete che portano il nome di quelle città dobbiamo ritenere realmente coniate da zecche proprie. Molte sono coniate nella zecca di Roma. Abbiamo documenti che provano essere state date concessioni per apertura di zecca in Ancona, Bologna, Fermo, Perugia, Ron- ciglione, Sanseverino, Spoleto e Terni, ma non siamo egualmente sicuri che la zecca di Viterbo sia stata riaperta da Pio VI per coniare le monete di rame (1) CiN., pag. 86, II. 121. (2) Gregorovius, S/oria del/a città di Roma, IV, pag. 474 e segg. 56 EDOARDO MARTINORI che portano il nome di quella città (^). Nel registro « lettere n del comune ritrovasi una lettera del giorno 28 dicembre 1794, colla quale i priori doman- dano al card. Altieri il ripristino della zecca che Viterbo aveva avuto nel sec. XV. I motivi addotti erano la penuria della moneta erosa e Tincaglio [sic) delle cedole. Il giorno 13 settembre del 1795 si tornava a chiedere facoltà di battere moneta di rame. Finalmente il giorno 2 dicembre dello stesso anno il cardinale rispondeva che il tesoriere si era mostrato propenso ad accordare il conio della moneta di rame. Il decreto di concessione peraltro non si ritrova e perciò non possiamo con certezza asserire che la zecca di Viterbo fosse stata realmente aperta. Nella speranza che ulteriori ricerche possano farci meglio conoscere le vicende di quell'operoso periodo delle zecche pontificie, pubbHco le tre mo- nete che portano il nome della città di Viterbo e sono : La Madonnina da baiocchi 5. D' — Nel giro PIVS PAPA SEXTVS ANNO XXIII - 1797. Nel campo BAIOC • CINQVE VITERBO In tre linee. (i) Fra le condizioni che il papa metteva nei capitoli per l'apertura di queste nuove zecche era quella che " tanto le pile, quanto li balzi o tasselle, che lo zecchiere farà incidere per le varie specie di monete, debbano farsi incidere dall'incisore della Reverenda Camera Apostolica *o della Zecca Pontificia „. E questa la ragione per la quale in quasi tutte queste monete di rame di Pio VI troviamo le iniziali T. M. (Tom- maso Mercandetti) che era il maestro incisore della zecca di Roma. DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO Dr S. PIETRO 57 9 — SANCTA DEI GENITRIX. Busto della B. V. con nimbo e cif. T. M. Rame, gr. 13,750. — Cinagli, 429, 430 (i). Il Sampietrino da baiocchi 2 1/2. B' — s. P. APOSTOLORVM PRINC-. busto di S. Pietro con le chiavi in mano. 9* — BAIOCCHI OVE E MEZZO VITERBO 1796. Rame, gr. 16,75-8,00. — Cinagli, 489-494 (2). Il mezzo baiocco. B' — PIVS SEXT P. M A XXIII. Arme. 9 — MEZZO BAIOCCO VITERBO 1797. Rame, gr. 4,00. — Cin., 632, 633. Il valore di queste monete non fu costante; ma andò sempre diminuendo, e con decreto del cardi- ci) Il n. 429 del Cinagli porta le cifre S. A. che non ricorre in alcun altra moneta. (2) Oltre alle differenti varietà di conio abbiamo gli anni 1796, 1797, 1798, con pesi variatissimi. 58 EDOARDO MARTINORI naie Camerlengo in data 31 dicembre 1801 esse fu- rono completamente abolite (0. Due ultime monete ho creduto meritino di es- sere illustrate fra quelle che si riferiscono alle zecche del Patrimonio; e sono quelle conosciute col nome di Madonnine dell' incendio di Ronciglione. Alcuni autori le credono coniate nella zecca di Viterbo; come il Tonini nella sua « Topografìa gene- rale delle Zecche Italiane» (Firenze, 1809); altri in Roma. Il Cinagli (2) ci spiega le tre iniziali che tro- vansi nella moneta C. A. G. per quelle di Carlo Antonio Garofolini di Viterbo <^3), ed aggiunge che il conio fu lavorato nel settembre del 1799, dietro auto- rizzazione del Generale Tedesco comandante la pro- vincia di Viterbo. Ora, sapendo come gl'incisori della zecca di Roma in quel tempo fossero Tommaso Mercandetti, che ha firmato quasi tutte le monete (1) Posseggo il decreto di riduzione emanalo il io febbraio 1800 dal comandante generale militare e politico dello Stato Romano per Fer- dinando IV don Diego Naselli, e da quello ricavo quanto segue: " ri- guardo poi a quelle di rame, siccome per la Loro sproporzione e dise- guaglianza, subir non possono una così egual riduzione (si riferisce alle monete di mistura) si dispone, che le Ma:lonnine siano ridotte a baj. uno e mezzo; ed i S. Pietrini, gli Alberetti, e i due baiocchi Papali, posteriori all'anno vigesimo del Pontificato dell' im mortai Pio VI, si ri- ducano a baj. uno, rimanendo nell'antico valore i Baiocchi da due, an- teriori al vigesimo anno del pontificato, come pure lutti i Baiocchi sem- plici, ed i mezzi Baiocchi di ogni specie. " Quelle però delle Zecche Provinciali essendo d'inferior valore dovranno subire una maggior riduzione, e perciò le così dette Madon- nine di tali Zecche dovranno ridursi al valore di un baiocco, e li così detti San Pietri parimenti coniati nelle zecche provinciali, si ridurranno a mezzo baiocco „. (2) Cinagli, op. cit., pag. 407, nota 6. (3) Del Garofolini si ha memoria in un verbale del di 23 marzo 1798, nel quale figura nella qualifica di orefice stimatore degli argenti che furono confiscati dal governo francese alla Cattedrale di Viterbo. DELLA MONKTA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 59 di rame di Pio VI e della repubblica romana, e Gio- vanni Amerani, che incise il rarissimo scudo d'ar- gento di Ferdinando IV nel 1800, dobbiamo inclinare a credere che realmente nella zecca di Viterbo siano state coniate le due monete commemorative dell'in- cendio di Ronciglione che qui presento. FEDELTÀ RELIGIONE. Busto della B. V. con nimbo. * L'INCENDIO DI RONCIGLIONE ANNO 1799. C. A. G. Veduta dell'incendio di Ronci^iione. Arg. gr. 20,750. — Coli. Martinori (i). — Gin., p. 407, n. 3. Lo Stesso conio in rame. Madonnina da Baj, 3, rame, gr. 17,200. — Coli. id. Gin., p. 407, n. 4. }>' — FEDELTÀ E RELIGIONE C- A G. Busto della B. V. con nimbo. H — BAIOCCHI TRE RONCIGLIOE (sic) 1799. In quattro linee. Madonnina, rame gr. 15,650. — Coli. id. (i) Il Cinagli la riporta come un mezzo scudo, ma io credo sia mo- neta commemorativa o meglio una prova in argento della Madonnina da Baj. 3, se si trattasse realmente di moneta equivalente ad un mezzo scudo il suo peso non dovrebbe superare gr. 12,750. 6o EDOARDO MARTINORI L'episodio dell'incendio di Ronciglione vien nar- rato da un giornale dell'epoca la Gazzetta di Roma n. 84 in data de' 13 termifero (luglio). A. VII Repub- blicano (1799); e nel n. 85 in data 16 id. viene ri- portata la relazione del gen. Valterre al gen. Garnier che credo valga la pena di riprodurre testualmente. VALTERRE Generale di Brigata Comandante nel Dipartimento di Cimino Al Generale di Divisione GARNIER Comandante l'Annata F'rancese stazionata nel lerritorio Romano. Vi rendo conto, o mio Generale, che conformemente alle vostre istruzioni mi son portato sopra Ronciglione, dove ho attaccato l'Inimico, il quale si era trincerato con otto pezzi di Cannone. Egli mi oppose una resistenza terribile e so- stenuta da un foco violento che durò dalla punta del giorno sino al mezzo giorno. Era tanto più difficile lo sboscarli, che ogni casa presentava una Fortezza, sostenuta non solo dagli Insorgenti Forastieri, ma ancora dai cattivi soggetti di questa città che vergognosamente si erano sottoposti, ed uniti alle loro bandiere. Invano cercai di richiamarli al loro dovere con una intimazione, che loro indirizzai a questo effetto ; la loro ostinazione, l'animosità con la quale si difesero mi ob- bligò, per rendermi padrone di questa Piazza di bruciare molte case, dove questi scellerati si erano racchiusi e dalle quali lanciavano un fuoco continuo. I morti vi hanno trovato il castigo dovuto ai loro enormi delitti. Vi sono stati bru- ciati. Un gran numero, che non posso citarvi nel momento, morde la polvere. La città cede alla fine al coraggio dei bravi sotto Officiali e soldati. Essa è presa. Tre bandiere sono state tolte e prese da un sotto Officiale. Io ve lo invio ed egli stesso ve le presenterà, scortando i cannoni, che vi fo condurre attesa la loro inutilità, per eseguire i vostri or- dini, i quali saranno puntualmente osservati. Riducendo questa ribelle città al suo dovere, penso di dare un esempio alle altre Comuni, che, come essa, sono DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 6l cadute in questa abominevole reazione. Esse tremino. La nostra vendetta è più veloce del fulmine. L'attacco di questa piazza è stato sì vivo, e la resistenza sì ostinata che malgrado tutti gli sforzi dei Capi, è stato im- possibile l'impedire nell'azione il saccheggio di qualche casa. Vi ho perduto 25 uomini. Domani ve ne rimetterò la nota come ancora di quelli che si sono particolarmente distinti. Salute e rispetto. Valterre. Dopo la capitolazione delle truppe francesi e l'entrata in Roma dell'esercito Napolitano la zecca di Roma coniò una moneta commemorativa col nome di Ferdinando IV in tre tipi differenti due dei quali riportati dal Cinagli, pag. 407, n. i, 2; sono scudi d'argento. Il terzo è un mezzo scudo che servasi nel Gabinetto Numismatico al Vaticano che al posto del nome del re porta DEFENSORl RELl&IONIS. Il conio di tutte queste monete è di Giovanni Amerani juniore, e furono coniate sui primi dell'anno 1800. La moneta commemorativa della difesa e con- seguente incendio della Città di Ronciglione porta la data del 1799 e a quanto asserisce il Cinagli sulla fede di un manoscritto dell'epoca lasciato da Antonio Salvaggi, fu coniata nel mese di settembre di quel- l'anno. Non ho elementi per controllare la notizia; ma debbo notare come la capitolazione e la succes- siva occupazione dello stato pontificio da parte delle milizie Napoletane e Tedesche non fu definitiva che sul finire del 1799; e perciò la data del settembre sembrami prematura. Roma, Aprile 19 tg. E. Martinori. 62 EDOARDO MARTINOKI PARTE TERZA. Documento I — Marzo 1266. (Vedi 1909 a pag. 422) Clemente IV, papa. In nomine Dni. amen. Anno eiusdem nativitatis MCCLXVI, tempore Clem. p. IIII, mense martis die III infrante indie. Vili. Ad honorem Dei et gloriose virginis Marie et omnium sanct .... etc. Scindici Comunis Viterbii .... concesserunt Magistro Tagliapane factionem, fabricationem et incussionem monete grosse et minute in civitate Viterbii, cum cunctis pactis et conditionibus etc. Margherita di Viterbo Tom. VII p. 4 n. 63. Documento II — Maggio 1278. (Vedi 1909 a pag. 425) Nicola III, papa. Instrumentum obligationis factae per Sindicum Viterbien- sem de pactis servandis in accessu curiae Viterbium. Ex lib. Privileg. Tom. I fol. no. Item promitto quod cursus monete pa- parinorum inhibeatur in Viterbio et current ibidem Corto- nenses Perusini et alie monete ilHs equivalentes quosque dns. papa aliam monetam equivalentem vel aliam, secundum eius beneplacitum, duxerit ordinandum. Item promitto quod Florenus auri prò XLVIII soHdis et dimidio Corton. recip. Turonensis grossus de argento prò LVII den. Corton. AquiHnus prò XXXVIII DELLA MONKTA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 63 den. Cort. et Venetus prò XXX Cort. recip., et duo Veneti prò uno Turon. gr. : Romaninus grossus prò IIII sol. et dim. Cortonensibus recipietur, intelligatur de Romanino qui valet XXVIII Paparinos A. Theiner. Codex dipi, domini teporalis S. Sedis. Doc. CCCLIX. Documento III — Anno 1321. (Vedi 1909 a pag. 433) Giovanni XXII, papa. Rectori et thesaurario patrimoni! B. Petri in Tuscia, ut ex Consilio comitatum faciant cudi monetam novam papa- rinorum. Reg. A. V. par. I de Curia fol 63. lohannes episcopus etc. Venerabili fratri Guittoni Epi- scopo Urbevetano, Patrimonii beati Petri in Tuscia Rectori, et dilecto fìlio magistro Faydito Guirandonis, Canonico ec- clesie de Capdrato Salatensis diocesis, eiusden patrimonii Thesaurario, salutem etc. Fidelium Patrimonii beati Petri in Thuscia paternis desiderantes affectibus commodum et aug- mentum libenter illa, quantum cum deo possumus, promo- vemus ut nocumentis occurramus eorundem. Cum itaque diversitas monetarum, que in Patrimonio ipso, sicut acce- pimus relatibus fidedignis habetur, magnam sepius confu- sionem inducat et ex hoc fideles ipsi non levia dampna fre- quenter incurrunt; discretioni vestre per apostolica scripta comittimus , quatenus Universitatum Patrimonii supradicti super hoc communicato Consilio novam monetam paparinortim in eis cudi liga et pondere faciatis, de quibus prò communi utilitate fidelium eorundem videritis expedire. Datum Avinione Kalendis Aprilis Pontificatus nostri anno quinto. Theiner. T. I, p. 504, Doc. DCLXIV. 64 EDOARDO MARTINORI Documento IV — Maggio 1334. (Vedi 1909 a pag. 430) Giovanni XXII, papa. Rectori et thesaurario patrimonii ut prò commodum eiusdem provinciae monetam paparinorum cudi faciant. Reg. An. XVIII. Secr. ep. 1427, fol. 275. lohannes Episcopus etc. Dilecto filio Magistro Philippe de Cambarlhaco Basilice principis Apostolorum de Urbe, Capellano nostro, Rectori, ac Sthefano Lascoutz ecclesie B. Marie Maioris Pictavensis Canonicus Thesaurario Patri- monii beati Petri in Tuscia, salutem etc. De fidelitate vestra plenam in domino fiduciam obtinentes faciendi cudi monetam paparinorum juxta ligam et pondus solito si et ubi vobis, publica partium illarum utilitate pen- sata, expedire videbitur, cum assensu et Consilio Venerabilis fratris nostri Angeli Episcopi Viterbensis, plenam et liberam vobis tenore presentium concedimus facultatem. Volumus autem, quod nichilominus Cameram nostram semel in sin- gulis quatuor mensibus de summa quam interim cudi fece- ritis certificatis plenarie et distincte. Datum Avinione XXII Kalendas Maii, Pontificatus no- stri anno decimo octavo. Theiner. T. I, p. 606. Due DCCLXXVII. Documento V — 6 Agosto 1334. (Vedi 1909 a pag. 430) Giovanni XXIF, papa. (Est.) Ioannis XXII et Benedicti XII. Patrimonii B. Petri in Tuscia solutiones stipendiatorum et aliorum notabilium ad R. Cam. Ap. spectantium ab anno 1331 ad 1336. N. 118. (N. 46, agosto 6). Dedi Angelutio Peponis mercatori de Urbeveteri quem rector et ego fecimus venire ad Montem flasconem prò deliberando cum eo de moneta fienda, sicut DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 65 habueramus in mandatis a dno. nro. papa; qui Angelutius erat expertus in talibus, prò labore suo et expensis. I florenus. M. Antonelli. Notizie Umbre tratte dai registri del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia. Perugia 1904. p. 32. Documento VI — Anno 1337. (Vedi 1909 a pag. 433) Benedetto XII, papa. Rectori et thesaurario Patrimonii ut si utilitati reipublicae expedire cognoverint, monetam novam ibidem cudi faciant. Reg. An. Ili Secret ep. 143. Benedictus Episcopus etc. Dilectis filiis Magistris Hugoni Augerii Canonico Narbonensis Rectori, et Hugoni Cornuti Decano Rupefortensis Carnotensis diocesis ecclesiarum, The- saurario Patrimonii beati Petri in Tuscia non solum expe- diens, sed necessarium fore dignoscitur quod nova moneta cudatur ibidem, non (nos?) cupientes utilitati subdictorum providere super hiis, et de vestre discretionis et fidelitatis industria gerentes in domino fiduciam specialem, ut si Con- silio fidelium expertorum in talibus, de quibus nobis vide- bitur, adhibito, et alias previa deliberatione matura id no- stris et ecclesie memorate honoribus subditorumque ipso- rum utilitatibus cognoaveritis expedire , faciendi cudi mo- netam auctoritate nostra in eodem Patrimonio sub debitis lege ac pondere, sicut ibidem fieri extiti consuetum, plenam vobis concedimus tenore presentium facultatem. Volumus autem, quod super modo et forma cussionis, legis ponderis et cursus monete huiusmodi et aliis, que circa hoc duxeritis ordinanda, per istrumenta publica inde conficienda Cameram nostram curetis efficere quantotius certiorem. Datum Avinione VI Kal. Julii, Pontificatus nostri anno tertio. Theiner T. II p. 20 Doc. XXXIX. 66 EDOARDO MARTINORI Documento VII — Anno 1338. (Vedi J909 a pag. 433) Benedetto XII, papa. • Die XI mens. iul. 1338 de mandato domini capitanai Patrimonii tradidit dominus Hugo thesaurarius Ser Checo magistri Petri de Senis qui de mandato dicti domini capi- tanai et supradicti thesaurarii venerai de Senis ad eorum mandata prò moneta cudendo iuxta (mandatum) eisfactum per dominum nostrum quod possint facere cudi monetam in Patrimonio et reversus de Senis venit apud Montemflasco- nem primo die mensis Maii et continue stetit usque ad XI. diem mensis julii ad expensas thesaurarie cum uno equo et uno famulo, et Angelus de Urbeveteri cum uno famulo per unum mensem, et pacta nobiscum fecit de cudenda moneta retenta delibacione usque ad mensem prò suis operibus . . . quibus corecit et expensis suis eundo et redendo X floren. Arch. Vat. Introit et exit n. 154 e 166 (Documento inedito comunicatomi dall'Av- vocato Antonelli di Montefiascone). DocuMENio VIII — Marzo 1389. (Vedi a pag. 46) Urbano VI, papa. Viterbiensibus, ut monetas argenteas cudi facere possint. Ex orig. in Comunis Viterbiensis Archivio osservato. Urbanus episcopus etc. Dilectis filiis Comuni nostre Ci- vitatis Viterbiensis fidelibus nostris, salutem etc. Vestre de- votionis sinceritas, quam ad nos et Romanam gentis eccle- siam, promeretur, ut tam Communitatem vestram, quam etiam Civitatem nostram Viterbiensem singularum gratiarum prerogativis prosequamur. Hinc est, quod vestris in hac parte supplicationibus inclinati, devotioni vestre auctoritate apostolica de specialis dono gracie tenore presentium indul- gemus quod in Ci vitate predicta monetas argenteas quarum singule valeant xinum Bologninum communiter in alma Urbe currentem libere et licite cudi facere valeatis; sic tamen DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 67 quod omnia et singula emolumenta, que exinde provenient, Camere apostolice integre prò eius supportandis oneribus adplicentur. Nulli ergo etc. Si quis etc. Datum Rome apud Santum Petrum XIIII Kal. Martii Pont, nostri anno undecimo. Theiner. II Doc. DCL. Documento IX — 27 Luglio 1430. (Vedi a pag. 49) Martino V, papa. Reductio monete picciulorwn denariorntn. Magnifici domini Priores .... habito colloquio cum Recto- ribus Mercatorum super multitudine denariorum parvulorum^ sive picciolorum, que in magna quantitate recipiuntur in ci- vitate Viterbii, et hoc est quod omnis denarius cuiuscumque conii expenditur hic prò denario I, et dantur tantummodo vigintiunus prò bononieno, facia declaratione per prefatos Rectores Mercatorum quod correspondat debito si dantur duo picciuli prò uno denario, exceptis dettar ii seu picciulis qui fiunt nunc in Urbe, videlicet ubi est Leo, et picciulis qui hactenus facti fuerimt in Viterbio; commiserunt et manda- verunt prefati domini Francisco et Petro tubiceris et bampni- toribus Comunis, quatenus vadant per loca pubiica et con- sueta diete civitatis, et in dictis locis, sono tube premisso bampniant et preconigent quod omnis persona in dieta civi- tate et districtu et comitatu, expendiens picciidos, debeat solvere duos picciidos prò uno denario, et sic recipere, exceptis denariis qui nunc fiunt in quibus est Leo, et denari qui fuerunt hactenus fabricati in Viterbio, quod expendantur more solito, videlicet unus prò uno ad penam XXV ducato- rum auri et plus arbitrio dominorum priorum. Archivio di Viterbo. Riforme, Voi. IV, p. 15. Questo documento inedito mi è stato gentil- mente comunicato dal Cav. Pinzi di Viterbo. 98 EDOARDO MARTIN ORI Documento X — Anno 1439. Tariffa (i) di moneta pubblicate nel Patrimonio di S. Pietro nell'anno 1439. Bartholomeus (2) Dei et apostolice Sedis gratia episcopus Cornetan. et Montis Flasconis in provincia Patrimonii B. Petri in Tuscia, ac terris specialis commissionis generalis Rector, universis et singulis Potestatibus, Vicariis, ceterisque ufficia- libus, necnon communitatibus et universitatibus communita- tum, locorum, terrarum infrascriptarum, salutem et nostrorum obedientiam mandatorum. Nil nobis optabilius existimantes et convenientius, quam Superioris mandata, que non absque misterio facta esse censentur, exequi ; vobis omnibus et sin- gulis infrascriptis simul et separati notificantes ordinem jam pridem datum in monetis recipiendis et expendendis a reve- rendissimo in Christo patre et domino nostro domino Iohanne(3) Cardinali Fiorentino Apostolicae sedis Legato etc. tenore presentium mandamus, quatenus receptis presentibus in terris et locis vestris publice banniri et preconizzari faciatis ex parte et mandato prefati Domini, quod de cetero et ab hac ora in antea monete infrascripte locum habeant, debeantque expendi solvi et recipi modo inferius, ut sequitur, adnotato; videlicet : BoLOGNiNo ROMANO, quattro CinquiniiA). BoLOGNiNO AQUILANO et altri forestieri, tre Cinquini e tre Denari. (1) Estratto dai libri delle Riformazioni delle città di Orvieto dal- l'anno 1439. (2) Bartolomeo Vitelleschi, nipote del Cardinale, fu creato Vescovo di Montefiascone e Corneto nell'anno 1438 e morì nel 1463. (3) Giovanni Vitelleschi da Corneto Arcivescovo di Firenze creato Cardinale del Titolo di S. Lorenzo in Lucina a dì 9 agosto dell'anno 1437, e morto a dì 11 aprile del 1440. (4) " Siccome quattrini appellavansi quelle monete, che contene- vano il valore di 4 piccioli denari, così cinquini si dissero altre, che ne portavano cinque della moneta corrente. Sicché il Bolognino Romano era a moneta Paparina o sia del Patrimonio Sol. i e den. 8, l'Aquilano sol. I den. 6; il nuovo Papale sol. 2 den. io; la Celle Aquilane sol. 2 den. 6; i Grossi della Colonna (di Martino V) sol. 8 den. 2; i Carlini DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 69 Grossi de la colonna di peso, quattro Bolognini, tre Cin- quini e tre Denari. Carlini o vero Grossi papali di peso, vintisei Cinquini l'uno; sono Bolognini Romani 61/2. Ducato veneziano o vero Ducato nuovo con Tarme di PP Eugenio. Bolognini settanta Romani o vero Carlini dieci, Bolognini cinque. Ducato romano e altri Fiorini di camera, Carlini dieci e Bolognini tre ovvero Bolognini settanta otto. Bolognini marchisciani e Celle aquilani, sei Cinquini l'una. Bolognini novi papali di PP Eugenio, Cinquini sei ^ Denari quattro l'uno, li quali Bolognini dall'uno de Canti sono scolpiti della figura di S. Pietro, e dall'altro duo chiave cruciate. (Nomi delle località soggette al governo del Patrimonio): Civitas Urbevetana cum cumitatu „ Reatina „ „ Narnia „ „ Interampne „ „ Amelia „ „ Ortum „ Balneoregium , Civitas Castellana * Castrum Utriculi „ Collis Scipionis „ Stronconum „ Calvi „ Lugnanum „ Bassanum Bassanellum o Grossi Papali sol. io den. io; il Ducalo Veneziano, e il nuovo di Eugenio IV da Boi. 70 Romani, lire 5, sol. 16 den. 8; il Fiorino di Ca- ntera o sia Ducato Romano di Boi. 68, lire 5, sol. 13 den. 4. Il Carlino poi o Grosso Papale era moneta Romana del valore di Bolognini 6 % Romani. Il Bolognino valeva in Roma 16 den. Provisini e nel Patri- monio 20 den. Paparini „. 70 EDOARDO MARTINORI Castrum Surianum „ Juglianellum „ Gallesii „ Vitorchianum „ Alvianum „ Mugnanum. Estratto dall'opera del Garampi. Doc. XXIV. Documento XI — io Febbraio 1456. (Vedi a pag. 50) Calisto III, papa. Bando dei Priori del Comune di Viterbo. quod quicumque mercator sive alius quicumque monetam accipiens seu expendens, secundum hunc ordinem dare et accipere debeat; Quadrantes sive Quatrinos romanos veteres et bonos prò quatuor denariis tradant et recipian. Alios vero tam florentinos et sanenses, quam pisanos et alios quoscumque erosos sive combustos prò duobus tantum denariis expeiidantur, et si aliter quisque faciat dampnum luet et jacturam. Archivio di Viterbo, 1456 (Questo brano di documento mi è stato fornito dal cav. Pinzi, Bibliotecario della Comunale di Viterbo). Documento XII — 28 Ottobre 1473. (Vedi a pag. 50) Sisto IV, papa. Il Comune di Viterbo ai 28 ottobre 1473 inviò per mezzo di ambasciatori un memoriale al papa in cui si diceva: dignetur S. V. attenta maxima penuria monetarum et vicinitate anni lubilei, auctoritatem et faculta- tem concedere vestre civitati Viterbii, cudendi, seu cudi fa- DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 7I ciendi baioccos^ quatrinos et denarios in ipsa civitate, sub cuneo ip^ius Comunitatis Archivio di Viterbo (Riforme XVIII, fol. 164) (Anche questo brano di documento mi è stato comunicato dal sullodato Cav. C. Pinzi). Documento XIII — 22 Giugno (1474). (Vedi a pag. 50) Sisto IV, papa. Reformationes Comunis Viterbii Voi. XIX, fol. 59 retro Die XX Junii MCCCCLXXIV. Promissio pensionis prò domo zecche de XV ducatis papalibus. Magnifici Domini Priores populi Civitatis Viterbii, pariter congregati ad invicem in lovio fontis palatii eorum solite re- sidentie attendentes quod alias in camera apostolica institu- tum et ordinatum fuit, una cum oratoribus viterbiensibus, quod in civitate Viterbii fieret incussio pecuniarum sive zecca» cum hoc quod Comunitas Viterbiensis, ex evidenti utilitate et comodo ipsius percipiendo ex confectione diete zecche, suis expensis contribueret et solveret pensionem domus in qua fieri contingeret: sitque quod super huiusmodi negocio fuerint facta plura concilia et tandem reformatum, quod dieta pensio solveretur per communitatem prout melius fieri po- terat ; habentes ipsi Magnifici Domini Priores super ea fa- cultatem et arbitrium providendi de dieta pensione ex forma Consiliorum supra factorum, et maxime Consilii reformati prout constat in presenti libro ad folium 23; averentes adhi- buisse omnem diligentiam ad reducendam dictam pensionem ad minorem numerum quem potuerint: idcirco, cum domus et apothece prò ministerio reperte sint per ministros ipsius zecche et maxime per infrascriptum Mariottum, licet prò maxima pensione, ad presentem interrogationem petitionem et requisitionem ipsius Mariotti lohannis Mathei de Fulginia, magistri diete incussionis zecche^ vice et nomine omnium aliorum suorum sociorum et ministrorum diete zecche; pre- 72 EDOARDO MARTINORl fati mag-nifici Domini Priores ex autoritate dicti Consilii et vice et nomine Comunitatis eidem Mariotto presènti, reci- pienti et stipulanti vice et nomine omnium prefatorum, pro- miserunt dare et solvere et cum effectu numerare prò omni pensione ad quam teneretur Comunitatis prò domo diete zecche ad annum futurum immediate succedentem et inceptu- rum a die quo contingerit domum quam dixerunt inv'enire ipse Mariottus et socii illic introire et laborare, ducatos quin- decim papales, solvendos et tradendos prò dieta pensione in fine anni cui de jure et facto venerint solvendi, de introitibus diete Comunitatis prò solutione dictorum XV ducatorum, in bona et valida forma, omni meliori modo via jura et forma omni meliori modo via jura et forma quibus magis et melius promictere et facere potuerunt, cecundum dispositionem et facultatem quam habent ex forma dicti alias super ea re red- diti et reformati Consilii ; presentibus ad predicta Reverendo patre Magistro Thoma Abisciolati, fratre ordinis sancti Au- gustini, et Francisco Ioannis lacubutii, de Viterbio testibus. (Questo documento inedito mi è stato comuni- cato egualmente dal Cav. Pinzi). LA ZECCA DI PIN BROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA^^^ CENNI STORICI PRELIMINARI. La terra Pinerolese tolse il nome dai pini che la coprivano tutta quanta e di cui rimane anche altro vestigio nel comune di Pinasca, mentre il pino nello stemma di Pinerolo, figura solo dai tempi di Ema- nuele Filiberto, in cui fu posto sopra le fasce che sole appaiono negli antichi sigilli del Comune. La città, in origine, dovette essere una rocca eretta contro le scorrerie dei Saraceni che annidavansi nelle Alpi : la sua fondazione va quindi posta nel secolo X, sebbene forse già prima di tal epoca esi- stesse qualche minuscolo villaggio attorno alle due chiesette di San Maurizio e di San Donato. Fu do- minio degli Anscarici donde passò per via di donne alla Casa Arduinica dei marchesi di Torino. Nel 1064 la contessa Adelaide di Susa vi fondò sulla sinistra del Torrente Lemina un'abbazia, dove è oggi ancora la chiesa del nuovo comune di Abbadia Alpina, da essa appunto denominato. Adelaide, sua sorella Im- (i) Intitolo di proposito cosi questo mio lavoro; perchè non sempre la zecca di Pinerolo battè per i principi di Acnja soltanto, come ne at- testano ad es. le emissioni in detta città ordinate da Amedeo VI il conte Verde; e non sempre i principi d'Acaja risiedenti per oltre 120 anni in Pinerolo, batterono ivi le monete loro, ma spesso, ed anzi le migliori monete coniarono, come vedremo, in Torino, in Chambery e altrove. 74 RICCARDO ADALGISIO MARINI milla, e sua nuora Agnese lasciarono abbondanti ricchezze a quest'abbazia, che dichiararono signora di tutta la valle del Chisone. Gh abati poi infeudarono Pinerolo ad altri rami anscarici di cui alcuni si dis- sero, dai paesi circostanti, Piossasco, Porte, Briche- rasio, Cavour; ma un ramo, il principale, si chiamò Di Pinerolo e originò a sua volta i Bersatori, i Caponi, i Gilli, i Massapori ed altre famiglie illustri nel luogo. I signori di Pinerolo ne costituirono poi il Co- mune omonimo, sotto la protezione ed autorità del- l'Abate ; il conte Amedeo III di Savoja vi ripose piede e dominio nel 1131, ma al tempo di Carlo, vescovo di Torino, questo ambizioso volle che l'ab- bazia fosse alle sue dipendenze e l'ottenne, con pa- recchie altre del Piemonte, dall' imperatore Federico Barbarossa. Umberto III e Tommaso I di Savoia riebbero Pinerolo, ma saltuariamente; che, il riacquisto definitivo della città doveva essere opera del conte Tommaso II, il quale nel 1243 preparavasi all' im- presa negoziando pohticamente con l'abate Alboino e coi signori circostanti; nel 1244 assaliva e vinceva alla Marsaglia — località poco distante da Pinerolo — gli eserciti combinati di Pinerolo, Moncalieri e Torino, ed allora soltanto sedici signori pinerolesi si unirono ad una trama che diede finalmente il luogo a Savoja. I. — I successori di Tommaso III. A Tommaso II morto nel 1259, avrebbe dovuto succedere, secondo l'ordine di primogenitura, il figlio Tommaso III. La corona invece passò allo zio Pietro II, e poscia nel 1268 a Fihppo 1, già arcivescovo di Lione. Amedeo e Ludovico, fratelli minori di Tommaso III, lasciata Pinerolo, passarono in Savoia alla corte dello zio, del quale attesero alla successione, non avendo LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 75 quegli prole mascolina; Tommaso III, invece, rimasto nel suo Piemonte, del quale era signore, sposò nel 1274 Guia di Borgogna, dalla quale ebbe cinque figli. Nel 1275 acquistò dagli abati di Santa Maria la valle ed il castello di San Martino ; nel 1280, d'accordo col Comune, acconsentì che fossero riveduti gli statuti del 1220, riguardo ad alcune materie legi- slative, di cui egli per il primo dimostravasi rigido osservante. A somiglianza dei suoi antecessori tentò con ogni mezzo di riacquistare la Marca di Adelaide e di Oddone. Nel 1272 ridusse a ferma obbedienza i signori di Piossasco, ch'erangli sempre stati ritrosi e contumaci; nel 1280 guerreggiò contro il Castel- lano di Cavoretto, vincendolo, e prendendone il ca- stello; Guglielmo VII. il grande ed infelice marchese di Monferrato, da lui fatto prigioniero per agguato gli rese Torino. Non aveva ancor raggiunto i tren- t'anni, che morte immatura lo colse. La vedova sua Guia di Borgogna, passò in Savoja, ed il governo del Piemonte fu affidato ad un luogo-tenente Vicario Generale e ad un Giudice generale. Morto pure nel 1285 il conte di Savoja Filippo I, la corona sarebbe spettata adunque al primogenito di Tommaso III; ma il fratello di questi, Amedeo, che da tempo erasi cattivato l'animo dei signori e del clero transalpino, seppe così ben destreggiarsi, che occupò le fortezze e fu riconosciuto conte di Savoja, col nome di Amedeo V. Questi diede al fra- tello Ludovico il paese di Vaud con movenza feudale; ai nipoti, figli di Tommaso III, lasciò il Piemonte, ritenendone frattanto il governo con pieni poteri. Adunavasi perciò il 24 maggio 1286 in Giaveno il primo Parlamento subalpino, composto di Nobili, Castellani e Deputati di varie città ad ascoltare, per mezzo del luogo-tenente generale Aimone di Boczosel, il rescritto di Guia di Borgogna, cedente al cognato, 76 R CCARDO ADALGISIO MARINI per lei e per i figli, ogni diritto sulla Savoja, appa- gandosi della signoria delle terre piemontesi. I Nobili della Borgogna, congiunti di sangue cogli orfani di Tommaso III, protestarono vivamente contro la mala fede di Amedeo V. Ma il conte, appena il giovane Filippo, primogenito di Tommaso III, uscì di minore età, sottopose la vertenza a tre arbitri, a patto che nulla innovassero intorno alla- Savoja, al paese di Vaud, Val d'Osta e Val di Susa, strade aperte d'Italia. Il IO dicembre 1294, gli arbitri sentenzia- rono che la regione subalpina, sotto il vincolo feu- dale verso i conti di Savoja, spettasse al principe Filippo, da Rivoli in giù, e questi dovesse provve- dere di decoroso appannaggio i quattro suoi fratelli minori. FiHppo, altro non potendo compiere contro la prepotenza dello zio, a malincuore approvò il lodo arbitrale, ed allora Amedeo V mandò ai Nobili, ai Castellani ed ai Comuni di riconoscere ed ubbidire al novello signore del Piemonte. II. — Filippo I d'Acaja. Cenni storici. — Entrò questo giovane principe in Pinerolo il 13 febbraio 1295 accompagnato dal marchese di Saluzzo, dal suo consiglio e da una co- mitiva di castellani e gentikiomini. Suo primo pen- siero fu di conoscere i possedimenti e i popoli suoi ; visitò perciò tutte le terre, conducendo seco un orso pel sollazzo. Il 24 febbraio, in RivoH, notificava nuo- vamente l'accordo con Amedeo V, ed i vassalli gli giurarono fedeltà; il 18 marzo, ritornatosene a Pine- rolo, pranzò coi frati nel convento di San Francesco, convitati i sapienti ed altri illustri cittadini. 11 ban- chetto, servito a sue spese, fu gratuitamente fornito della verdura e degli erbaggi, dai Francescani, come rilevasi dai conti di tesoreria. Celebrò poscia la I A ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 77 Pasqua ed invitò i nobili ed i notabili alla sua mensa, rallegrata da giullari venuti da Asti, Saluzzo e Monferrato. Inviò nell'anno istesso i fratelli Pietro ed Amedeo all'Università di Bologna, che essi fre- quentarono attivamente. Lo Stato subalpino soggetto a Filippo compo- nevasi delle città di Pinerolo e di Torino, e delle terre di Collegno, Alpignano, Pianezza, Druent, Gru- gliasco, Cavorretto, Moncalieri, Castelvecchio, Cari- gnano, Vigone, Villafranca, Miradolo, Perosa, Ma- cello, Frossasco e Cumiana. Gli era poi dovuta fedeltà feudale dai signori di Piossasco, Alpignano, Trana, Bruino, Baldissero, Piobesi, Vinovo, Virle, Torre, Bobbio, Airasca, Casalgrasso, Lombriasco, Bricherasio, Mombrone, Scalenghe, dai signori della Valle di San Martino e di Luserna, e dai marchesi di Romagnano. Filippo si fissò in Pinerolo città cen- trale del dominio suo, dimorando dapprima nel vec- chio castello, elevandone poi nel 1318 uno nuovo, alquanto sotto alla spianata di S. Maurizio, e che tuttora esiste, deteriorato dal tempo e da infelici ri- storazioni. Pinerolo rimase così per 123 anni, e cioè dal 1295 al 1418, la capitale dei dominii dei principi di Savoja-Acaja. Nel 1299. colfapprovazione del principe, si chia- rirono e definirono i capitoli ambigui degli Statuti sopra le cavalcate guerresche, stabilendo definitiva- mente che gli uomini di Pinerolo dovevano com- porre un piccolo esercito ad arbitrio del principe, in tutte le terre al di qua e al di là del Po, e oltre la Dora per venti miglia, e per quaranta giorni ogni anno, sia d'inverno che d'estate. Ed il Comune, di questo privilegio, si dimostrò sempre in ogni tempo geloso custode. In Roma, nel febbraio 1301, Filippo sposava Isabella di Ville-Hardouin, erede del principato di 78 RICCARDO ADALGISIO MARINI Acaja. Nel marzo gli sposi erano già ritornati a Pi- nerolo, e si preparavano al viaggio nel lontano e contrastato principato greco, ove dimorarono per circa tre anni con fortuna incerta, e donde ritorna- rono in Italia nel 1304. Nel 1308, per accordi inter- venuti, Filippo, che per l'eredità della consorte aveva assunto il titolo di principe d'Acaja, cedette questo principato a Carlo II re di Napoli, ricevendone in cambio la contea d'Alba negli Abruzzi; ma Roberto, successore di Carlo II, non mantenne fede al trat- tato del padre ; perciò Filippo riprese i suoi diritti e il titolo di principe di Acaja e della Morea ch'egli ed i suoi discendenti più non tralasciarono. FaUitogli il disegno di farsi Signore di Asti, dove era stato Capitano del popolo, e riaprendosi nel- l'animo suo la piaga del torto patito nel 1294, quando fu sentenziato il famoso lodo arbitrale, egli si appellò ad Arrigo VII di Lussemburgo, sceso in Italia nel 1310 per cingere la corona imperiale. Arrigo lo co- stituì suo Vicario imperiale in Vercelli, Novara, Pavia e Piemonte, ma non gli diede soddisfazione alle querimonie contro Amedeo V, al quale anzi confermò il dominio. Così le relazioni fra i due rami sabaudi parvero, per forza più che per reciproca deferenza, raddolcirsi in seguito a nuovi ed improv- visi avvenimenti. Diffatti Roberto, re di Napoh, che all'arrivo dell'imperatore, in Italia, erasi mosso a viso aperto contro di lui, riaccese tutto ad un tratto la guerra in Piemonte, non sì tosto che Arrigo morì (131 3). Amedeo V, allora, o per coscienza o per timore che il nipote si voltasse alla parte del re, gli cedette spontaneamente la metà di Ivrea, il Canavese ed altre terre che il giovane nipote era stato obbligato anni prima a restituire. Filippo di Acaja, in questi frangenti, si dimostrò qual'era, prin- cipe accorto e battagliero. Ora stringendo ora rom- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 79 pendo amicizie e leghe, poco in siffatta materia scrupoleggiava, mirando di raggiungere con ogni mezzo, anche non onesto, l'intento suo di sogget- tarsi l'intero Canavese, rendersi signore di Chieri e di Asti e far sue quante più terre Angioine potesse. Così vennero in suo potere Savigliano ed altri vil- laggi. Rotte le ostilità col marchese di Monferrato, gli prese Chivasso ; il marchese di Saluzzo gli giurò fedeltà per Carmagnola, Racconigi e Revello ; e fe- deltà pure gli giurarono il conte di Biandrate per San Giorgio, e il signore di Rivalta per Orbassano. Se non che Monferrato, Saluzzo, Re Roberto di Na- poli e gli Astigiani nel 1333 si strinsero in formi- dabile lega contro di lui, e in Torino, per la perfida condotta del prevosto della cattedrale , Giovanni Zucca e di un beccaio, suo compHce, si congiurò di aprire le porte ai nemici e dar loro la città. Ma Fihppo d'Acaja non si lasciò sgomentare: mosse intrepido contro i collegati e affrontatili presso Poi- rino in frazione Tegerone, li disfece spaventosamente. Scopertasi poi in buon punto la congiura di Torino, il beccaio fu giustiziato, e il prevosto Zucca fuggì. Ma nel 1334, le forze della Lega, essendosi ri- fatte, vollero rimettersi della patita onta, ed avvan- zono più gagliardi di prima contro Filippo. Questi H teneva destramente a bada, quando infermò : riti- ratosi in Pinerolo, vi moriva il 23 settembre di quel- l'anno vivamente compianto dal popolo. Fu sepolto nella chiesa di San Francesco, dove un'iscrizione sulla sua tomba, dice soltanto : Antio domini ijj4 die 2j y.'"-'' obiìt ili."' Dr Pìulippus de Sahaiidia prin- ceps Achayae et Pedemontiiim. Di carattere aperto, franco e giovale, quasi po- polaresco, egli soccorse gh umili e non disdegnò mai di venir in soccorso della sventura ove il po- polo suo vi si fosse trovato. Tenne splendida corte. 8o RICCARDO ADALGISIO MARINI circondandosi di uomini sapienti, di giullari e mene- strelli, e ricevendo spesso nel castello personaggi augusti ; così accolse splendidamente nel 1296 Ste- fano duca di Borgogna, nel 1325 Giovanna di Sa- voia, figlia di Amedeo V che andava sposa all' im- peratore greco Andronico Paleologo, e nel 1333 il re di Boemia Giovanni di Lussemburgo, con un se- guito di trecento baroni. Durante il regno di Filippo, abbiamo le prime notizie sugli inquisitori contro i Valdesi, i quali per altro non risiedettero in Pine- rolo, avendone il principe ed il comune vietata l'in- troduzione. L'odioso tribunale accendeva i roghi in vai di Luserna e d'Angrogna. Filippo d'Acaja ha il grande merito di avere convocati, per il primo a Parlamento i rappresentanti dei Comuni nel 1316 e 1322; in due adunanze del 1328 si deliberò sopra le foggie del vestire e dell'adornamento personale, per utilità e comodo di tutte le terre del Principe. Ma per i Pinerolesi, memorabile deve essere l'anno 1322 nel quale, avendo i cittadini chiesto a Filippo di essere franchi e liberi, e le terre sciolte da ogni gravezza feudale, il principe accoglieva benignamente la petizione e concedeva il desiderato affrancamento. Ebbe Filippo numerosa figliuolanza, legittima e naturale. Dalla prima moglie Isabella di Villa-Har- douin, mortagli nel 131 1, una sola figliuola sposata al barone Rinaldo de la Forest signore di Maleval. Della seconda, Catterina di Vienna, sposata nel 1312 (e rammentasi che per le feste di questo matrimonio, Filippo trattenne come ostaggi in Pinerolo alcuni gentiluomini di Vercelli e di Novara, che non vo- lendo pili riconoscerlo come vicario imperiale, ave- vano cessato d'inviargli alcune provvigioni, le quali furono poi obbligate forzatamente a dare se vollero liberi gli ostaggi), ebbe il nostro principe sei fem- mine e cinque maschi: Giacomo, successo poi al LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 8i padre nel principato; Amedeo, Edoardo e Tommaso, vescovi in Moriana, Tarantasia e Torino; e Aimone, investito di Viliafranca, Cavallermaggiore e Cumiana. che non lasciò discendenza ; è sepolto nella chiesa di S. Francesco, insieme con sua moglie Donna Mencia del Carretto. Delle sei femmine, cinque si accasarono onorevolmente, ed una, Isabella, fu ba- dessa delle monache Clarisse di San Giacomo in Pi- nerolo. Ebbe poi ancora quattro figli naturali : An- tonio, che portò il cognome materno di Coqui e che visse oscuramente ; Lantelmo, investito di Collegno ed Altezzano, che fu l'origine della linea Savoja- CoUegno, estintasi nel 1598 ; Francesca che andò sposa ad Antonio Bocciardi signore di Merceruto nel marzo 1316 e Beatrice sposa a GugHelmo Petiti, nobile di Viliafranca, entrambe dotate dal padre di 500 lire viennesi. LE MONETE. La prima volta che Filippo d'Acaja batte mo- neta si è nel 1297, due anni dopo aver preso pos- sesso del Piemonte. In tal anno. Tu di ottobre, egli Grosso di Piemonte. Zecca di Torino, (i) ^ - + PHILIPPVS • DE SAB' ^ - P I H 1 1 1 L + RED 1 MON 1 TEN 1 SIS (i) Per l'attribuzione delle monete dei Principi d'Acaja, alle varie zecche — attribuzione ch'io desumo dai contrassegni — vedi il mio studio : Zecche e Zecchieri di Savoja. Milano, Cogliati, 1909. 82 RICCARDO ADALGISIO MARINI concede a Durando Carrérie di Avignone, che con- temporaneamente è maestro di zecca in Susa, di battere, per due anni, in Torino, al suo conio ed al marco di Lione, denari d'argento detti grossi di Pie- monte, uguali a quelli che contemporaneamente bat- teva lo zio suo Amedeo V in Savoia, e denari pic- coli, simili a quelli già coniati dal prozio Filippo, Viennese piccolo. Zecca, di Torino. :B' - + PHILIPPVS I^ - + DE : SÀBÀVDIA col rimedio, nei grossi di tre grani sulla bontà e di un pezzo sul peso, e nei piccoli di due grani sulla bontà e di due pezzi sul peso. Il Carrérie si ob- bligò di dare al principe per ogni marco di moneta grossa emessa, due soldi viennesi, e per ogni marco della piccola, otto denari. Questi viennesi altro non erano che i piccoli danari, corrispondenti ai debili secusini, dei quali imitavano anche il conio un pò Altri viennesi. Zecca di Torino. Leggenda ut sitpra. LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 83 variato mettendosi nel diritto in luogo del fiore a sei foglie, una stella a sei raggi. Altri denari conosconsi di Filippo, tra i quali uno simile ai precedenti, ma di conio più largo e del peso di 20 grani, che corrisponde ai danari pic- Viennese da venti grani. Zecca di Torino. Leggenda ut supra. coli bianchi di Amedeo V. Il suo piccolo tornese poi è un'imitazione di quelli di Filippo il Bello re di Francia e deve essere stato battuto certamente dopo Tornesi del Principe. Zecca di Torino. ^ - ■¥ PHILIPP PRICES 91 - + TORINVS CIVIS il 1301, cioè dopo il matrimonio suo con Isabella, leggendosi in esso Philippus Princeps^ titolo che prima di quell'epoca egli mai usò, adoperando solamente quello di mtles, come osserveremo nei suoi sigilli ; nel rovescio poi fu messo, come nei tornesi dì Fran- 84 RICCARDO ADALGISIO MARINI eia, il nome della città Torinus Civis, cioè civitas colla solita stella a sei raggi. Di questo piccolo tor- nese abbiamo anche la metà detta obolo, di lega più bassa e del peso di grani ii. Obolo. Zecca, di Torino. Leggenda ui supra. Varie adunque furono le monete coniate da Fi- lippo in Torino ; ma nei conti dei ricevitori del pub- blico denaro in Piemonte, di quegli anni, ne vien menzionata maggiormente una sola, e cioè il denaro piccolo detto anche Viennese debile, e comunemente viennese del principe o filippone, la qual moneta andò a mano a mano peggiorando sì che nella seconda metà del secolo XIV più non era in corso. Rarissimo poi è oggidì a trovarsi il piccolo de- Tornese detto di Grecia (Battuto a Clarenza?). /B" - + PHSDSABP-ACHE 9 - + DE CLARENCIA naro tornese battuto probabilmente in Grecia da Fi- lippo, nei tre anni della sua permanenza in Acaja ; portante nel diritto la croce patente con + PHS • D • SAB • P • ACME, e nel rovescio un castello tornese colla leggenda DE CLARENCIA. LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA I SIGILLI. Di questo principe conosciamo tre sigilli assai ben conservati; li descrisse anche il Promis, ma di- sordinatamente, come sarà facile di constatare allo studioso. Il primo del 1294, quando Filippo non era ancor principe d'Acaja, è un signeto di cera rossa collo scudo appuntato e con la croce. Leggenda: + S{igne- tum) PHILIPPI DE SABAVDIA. Fu rinvenuto in una do- nazione fatta da Filippo e dal fratello suo Pietro, a nome anche degli altri fratelli, a favore di Ludovico di Savoja signore di Vaud, di tutti i vassalli, feudi, fedeltà ed omaggi acquistati già dal padre loro nelle terre e giurisdizioni assegnate a Ludovico da Ame- deo V conte di Savoia. Nell'atto è detto : in cuius rei testimonium nos philippus et petrus sigilla nostra prò nobis et Amedeo fratre nostro qui sigillum non habebat presenti littere duximns apponenda. L'atto fu compiuto in Pierrechàtel in crastiniim beati andree apostoli. Amia domini M° CC° nonagesimo quarto. Il secondo del 131 3 è tondo, di cera rossa e mostra uno scudo appuntato colla croce attraversata da un bastone in banda; lo scudo in un campo di 86 RICCARDO ADALGISIO MARINI splendori, entro ad un circolo, posto in mezzo a due cornici composte l'una di quattro semicerchi l'altra di quattro archi moreschi ; vagamente intrecciate in- sieme con lunette nei vani. Leggenda : S (igillum) • PHILIPP D. SABAVDIA. Detto sigillo trovasi in una con- venzione stipulata tra Amedeo V conte di Savoja, Filippo I d'Acaja e il vescovo di Ivrea Alberto per la reciproca difesa delle loro persone, degli onori e delle ragioni che loro spettano nella città di Ivrea. La presenza dei sigilli è cosi indicata: in quorum omnium testimonium presentes fecimus sigillorum no- strorum appensione munire. Detta convenzione fu fatta in episcopali palacio y por egie. sub anno domini MCCCXIII indicione XI . die sabbati primo mensis decembris. Il terzo infine, pure del 1313, è il più bello dei tre, grande, tondo, col contrasigillo di cera rossa. Rappresenta un guerriero a cavallo, armato di tutto punto, tenente nella destra la spada sguainata e nella sinistra lo scudo, sul quale è inciso il solito stemma dei principi d'Acaja. Il guerriero ha l'elmo ingrati- colato, cimato da pennacchio, come la testa del ca- vallo; è coperto di gualdrappa, segnata questa a sua volta dalla croce in due luoghi. Leggenda: S.{igillum) PHlU{ppi de StìijBAVDIA • IVIILIT(/5 et /n)NCIPIS • ACAYE. 11 contrasigillo è uguale al secondo sigillo de- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 87 scritto più sopra, e porta la leggenda: S. ?H\L\( ppi d)E SABAVDIA • MILIT. Trovaronsi entrambi in una sentenza arbitra- mentale profferta dal vescovo di Parma Papiniano ed altri arbitri, colla quale si definiscono alcune dif- ferenze insorte tra Filippo ed Amedeo V. In tale sentenza si dice che iam arbitratores qiiam partes fe- cerunt sigillorum suorum appensione munire, e questo nell'anno rniUesimo tercentesimo iertio decimo, die XX mensìs decembris in ecclesia sancii martini de alpignano taurinensis diocesis. 88 RICCARDO ADALGISIO MARINI Delle due mogli di Filippo I, Isabella di Villar- duin e Catterina di Vienna ci sono pure noti i si- gilli. Quello di Isabella è grande, ovale, col contra- sigillo. Vi è rappresentata in una nicchia cimata di merli, una donna velata, forse la principessa stessa, tenente nella sinistra un fiore. Sopra l'arco son di- sposti due scudetti con la croce ancorata d'Acaja. Leggenda : S. YSABELLE. PRIPISSE. ACHAYE. Nel contra- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 89 sigillo c'è invece lo scudo appuntato colla stessa croce ancorata, cimato dallo stemma di Acaja. At- torno vi si legge: + S. SECRETV. YSABELLE. PNCIPISSE. ACHAYE. Entrambi furono rinvenuti in un atto di do- nazione fatto nel 1303 da Filippo ed Isabella alla loro figlia Margherita, allora in fasce, dei castelli e delle appartenenze di Cariteina e Bussoletto per usu- fruirne sua vita naturai durante. L'atto è del 1303, giorno 24 del mese di dicembre. Il sigillo, piccolo di Catterina di Vienna è del 1337, vale a dire dell'ultimo anno di reggenza della principessa per il figlio Giacomo, allora diciottenne. Mostra lo scudo appuntato e partito al 1° di croce caricata di bastone in banda per Savoja-Acaja; al 2° di delfino spasimante per Vienna. Leggenda : S.{tgil- liim) K;<7/)ERINE {loco t;)IANESIO. Trovasi in un assegno fatto da Caterina a favore di Nicolò e Francesco Bersatori di fiorini 509 d'oro annui sopra le rendite di Cavour, per goderne sino all'intiero pagamento di fiorini 6849 a loro già imprestati. III. — Giacomo e Filippo li d'Acaja. Cenni storici. — Giacomo, nato nel 1319, era quindicenne appena quando Filippo I morì, ed ebbe lo stato sotto la tutela e la cura della madre Cat- 90 RICCARDO ADALGISIO MARINI terina di Vienna (Delfinato). Le condizioni politiche in quei giorni erano tristi e perigliose più che mai ; le milizie della lega scorrazzavano liberamente per il Piemonte e le città venute di recente in devozione, tentennavano nella fede loro; l'erario poi stavasi esausto a tal segno che Catterina qualche volta im- pegnò tazze d'argento e gioielli per aver carne dal beccaio. In Savoja, ad Amedeo V (m. 1323) e ad Odoardo (m. 1329) era successo Aimone, che udita la morte di Filippo, corse in Pinerolo e il 28 set- tembre 1334 diede al giovinetto Giacomo V investi- tura, presenti i delegati del Comune e i Nobili che gli giurarono obbedienza, nella chiesa di San Mau- rizio. Aimone conosciute le gravità che travagliavano lo Stato del quindicenne cugino, negoziò colla lega nemica e conchiuse la pace ad onorevoli condizioni. Mortagli la madre nel 1337, Giacomo prese a governare da sé lo Stato, ed Aimone conte di Sa- voja nel 1339, con splendido apparato, lo armò ca- valiere ; il comune di Pinerolo, in tale lieta circo- stanza, gli donò duecento settanta fiorini d'oro. Ma la concordia fra i cugini non durò a lungo. Sul finire del 1339, Chieri essendosi data a re Roberto di Na- poli, ed al principe Giacomo, questi ne chiese il consentimento al conte di Savoja, che lo diede a patto che il principe rinunciasse al condominio di Ivrea sti- pulato con Amedeo V. Di qui, la ruggine del prin- cipe, non mai spentasi nell'animo suo, neanche quando Chieri, al calare della fortuna angioina, si sottrasse alla loro ubbidienza, donandosi a lui e al conte di Savoja. Fino al 1357, e cioè nei primi vent'anni del suo regno, le sorti del secondo principe d'Acaja non fu- rono tristi od avverse; ma nell'ultimo decennio di vita e di regno, furono purtroppo famosi i con- flitti col conte Amedeo VI di Savoia e lugubri i dis- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVO.IA-ACA.IA 9I sensi col figlio primogenito Filippo. Giacomo citato al Consiglio di Corte per certe regalie da lui inde- bitamente esercitate, non vi badò punto, cavalcò contro Ivrea, e vi entrò forzatamente. Il Consiglio Comitale sentenziò che il feudo d' Ivrea spettava soltanto ed unicamente al conte di Savoja, Amedeo VI, detto il Conte Verde ; questi, con buon nerbo di milizie, scese dalla Savoja per ricondurre il cugino a pili miti propositi, e salvaguardare i proprii diritti sul Canavese. Giacomo non tenne il campo: si umiliò e venne a composizione (1357). Ma due anni dopo, nel 1359, insorse di nuovo e di nuovo si impugna- rono le spade. Amedeo VI entrò in Pinerolo, dove parte della cittadinanza tenne fede al principe, parte invece plaudì al vincitore. Lantelmo. fratello natu- rale e Ugonino, nipote di Giacomo, trinceratisi nella torre di Bellosguardo, non arresero la rocca ne per minacele ne per preghiere, se non quando giunsero lettere di comando di Giacomo stesso Ugonino ebbe confiscati i suoi feudi e più r.on li potè ricuperare. Giacomo campeggiò per alquanti mesi ; infine il 5 marzo 1360 si arrese al Conte Verde. Fu pri- vato allora del dominio movente dal conte, e per pochi giorni tenuto in cortese prigione; ma nel 1363 Amedeo \1 lo restituiva nel paterno retaggio, ag- giungendovi di sua spontanea donazione le terre di Busca e Pianezza. Giacomo d'Acaja si ammogliò per ben tre volte. La prima sposa. Beatrice d'Este, gli morì nel 1339, appena celebrate le nozze. La seconda. Sibilla del Balzo, sposata nello stesso anno 1339, ebbe in dono dal comune pinerolese un ricco vasellame d'argento. Vedovo di questa nel 1355, sposò Margherita di Belgioco nel 1362. Da Sibilla ebbe Filippo II d'Acaja, che il padre costituì erede dell'intera signoria del Piemonte ; da Margherita, ebbe Amedeo e Ludovico 92 RICCARDO ADALGISIO MARINI che effettivamente successero al padre. Questi seb- bene fosse non ancora quarantaquattrenne, conqui- stato dalla moglie giovane e piacente, e dalle ca- rezze infantili dei due bimbi, prima revocò la dona- zione fatta a Filippo, indi per testamento del 1366 gli assegnò Vigone ed alcune altre terre con mo- venza feudale dal fratellino Amedeo, primogenito di Margherita. Filippo, giustamente adirato si ribellò al padre, e con bande di avventurieri tedeschi ed in- glesi, corse e disertò le terre a furore. Giacomo, sgomento, si rifugiò a Pavia soggetta al marchese di Monferrato; mentre Margherita e i bimbi fatta spargere ad arte la voce della loro fuga, vi rimasero nascostamente in Pinerolo. Filippo allora, o per ri- morso o per timore del Conte Verde reduce dalla spedizione d'Oriente, corse a Pavia, supphce al ge- nitore, il quale concesso il perdono, ritornò a Pine- rolo; quivi infermatosi, se ne moriva nel maggio del 1367, in età di circa 48 anni. Sepolto in S. Fran- cesco presso il padre, sulla sua tomba fu deposta quest'iscrizione, errata nelle date: Anno D"' ij 66 die 77 marta ob.' IH""" Z)."' DJ"' Jacobus de Sabaudia prin- ceps Achayae et Pedemontium. Il principe, invece, morì, come già dissi, nel 1367 nel mese di maggio. La principessa vedova. Margherita di Belgioco, vistosi allora il regno, seriamente minacciato dal fi- gliastro, fatalmente si lasciò accecare da insano di- segno; togliere a tutti i costi, di mezzo, il pericoloso Filippo e assidero sul trono di Giacomo il giovinetto Amedeo, designato dal padre. A tal fine, accusato il figliastro di ribellione presso il Conte Verde, questi gli istruì un processo in Rivoli, dove Filippo perso- nalmente si presentò. Vane furono le scuse, vane le difese del proprio diritto; il giovane principe, l'erede legittimo, per linea di primogenitura, del signore del LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 93 Piemonte, trasportato nel castello di Avigliana, ve- niva miseramente trovato annegato nel lago grande, in una gelida mattina dell'ottobre 1368. Fu ucciso a tradimento o si annegò volontariamente? Questa tra- gedia fosca nella Real Casa di Savoja, getta pur troppo un'ombra tristissima sulla figura della ma- trigna, ed una macchia vermiglia sulla verde assisa di Amedeo VI, Chi scrisse ebbe più volte ad occuparsi negli studi suoi, di questo periodo avventuroso, di questa simpatica e balda figura di principe, così ingiusta- mente accusato, cosi debolmente difeso dagli storici stessi. Ma la storia non penetra nelle lotte ango- sciose di un'anima, non ne comprende spesso lo strazio ; Filippo II d'Acaja non fu ribelle, non fu reo! Egh nella storia piemontese del trecento cam- peggia come una splendida figura di soldato e di principe, conscio dei suoi diritti e dei suoi doveri ; egli che vede rubarsi da un bambino, per gli amori tardivi del padre, il trono che per donazione già gli era stato designato, non tentenna in arti subdole, volgari, ma procede risoluto, terribile ed audace per le terre del Piemonte dimostrando il suo diritto sa- crosanto, e la malafede d'una matrigna inviperita e crudele. La mancanza assoluta fino ad oggi, di do- cumenti riguardanti la morte di Filippo II, è un ben triste indizio per lo storico indagatore, che avvalora il sospetto spontaneo d'un assassinio anziché d'un decesso naturale. Di più, il fatto che il suo corpo è sepolto nella chiesa di San Pietro in Avigliana — dove una croce tuttora visibile sulla pietra del pavimento indica una tomba principesca e sabauda (0 — anziché (i) La croce sabauda scolpita sulla pietra è identica alla croce che vediamo impressa sulle monete del tempo ; ma la povera tomba deve già essere stata purtroppo profanata, sapendosi da lutti che il pavi- mento della chiesa fu rialzato assai dal livello primitivo. 94 RICCARDO ADALGISIO MARINI nella chiesa di San Francesco di Pinerolo, ove ri- posano i suoi ascendenti, è di per se altro indice della perfidia di Margherita di Belgioco, che neppur morto — o da lei assassinato ? — volle vicino l'odiato e nobilissimo principe. Giacomo, che oltre ai figli legittimi n'ebbe uno naturale, Antonio della Morea, signore di Busca, tenne egli pure bella e numerosa corte, visitata da principi e da menestrelli che frequenti ivi conveni- vano. Ma durante il primo periodo del suo regno, non tutte le imprese tentate gli furono favorevoli. Serbava malanimo contro gli angioini, che al padre Filippo I, avevano fraudata 1' Acaja, accendendo brighe e contese dolorose ; perciò ne volle trarre, malauguratamente per il proprio prestigio, scandalosa vendetta. Nel 1351, quando Roberto di Durazzo, re- duce di Francia, traversava il Piemonte, egli, appo- stati al varco alcuni uomini, lo fece catturare e chiu- dere dapprima nel castello di Cumiana, poi in quello di Moncalieri, e da ultimo nel Pinerolese. Molte e gravi le rimostranze delle Corti e dello stesso Ame- deo VI ; il papa minacciò, ma siccome le minacele furono vane, dannò il dominio all'interdetto, e sco- municò il principe e il figliuol suo nominatamente. Da ultimo Carlo IV imperatore, inviò a Pinerolo il suo legato Sicomoro dei Pomeri con ampli poteri e con ordini energici : Giacomo allora addivenne a miglior consiglio, liberò il prigioniero e lo consegnò al messo imperiale, dopo otto mesi di carcere. LE MONETE. Il principe Giacomo d'Acaja battè indubbiamente in Pinerolo la sua bella moneta d'argento corrispon- dente a 12 viennesi, collo scudo, nel diritto, della croce di Savoja, caricata d'un bastone posto in banda, LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACATA 95 e nel rovescio il busto d'un vescovo aureolato colla leggenda : Sanctus Donatus^ principale protettore della Denaro di 12 viennesi. Zecca di Pinerolo, ^ - lACOB'. D. SAB. PRIC ACH. R) SANTVS DONATVS città di Pinerolo. La qual leggenda, secondo quanto osserviamo generalmente nella numismatica medioe- vale, indica che la moneta fu battuta in questa città. Di Giacomo esiste pure un altro denaro coli' ini- ziale del suo nome nel diritto (/ = lacobus), denaro chiamato fortis domini principis in ordinato della città di Torino del 5 dicembre 1355, circa il corso delle monete, nel quale dicesi corrispondere a denari vien- nesi 2 / . Forte del principe. Zecca di Torino. ^' - I I ACOBVS : D : SABAVD ^ - PRINCES ACHAIE Un diploma dell'imperatore Carlo IV del feb- braio 1355, pubblicato già dal Guichenon, riconferma al principe il diritto di battere moneta auri et argenti seti alteriiis metal/i ; inutile concessione, perchè già il padre suo Filippo I s'era valso di tal privilegio; ma forse Giacomo procurossi questo diploma per sottrarsi anche in ciò alla dipendenza del conte di Savoja. 96 RICCARDO ADALGISIO MARINI É poi probabile ch'egli battesse anche denari viennesi peggiori di quelli già emessi nel 1330 dal padre suo, poiché ne abbiamo cenno nel conto del 1347 del Castellano di Caselle, e in altro del 1351 del Castellano di Ciriè ; ma ninno di questi viennesi è a noi pervenuto; seppure i nominati in detti conti, non siano stati, come opino, i viennesi di Filippo, ormai scadentissimi ed in via di consumazione. I SIGILLI. Di Giacomo d'Acaja ci è noto finora un piccolo sigillo avente dentro una cornice lo scudo appuntato col solito stemma principesco, ornato di quattro teste di leone. Leggenda : + lACOBI DE SABAVDIA PRINCIPIS ACHAIE. Questo sigillo fu ritrovato in un atto di ces- sione fatta da Giacomo a favore di Amedeo VI di Savoia dei diritti spettantigli sopra Beinasco, Piobesi e Vinovo, in seguito ad arbitramenti, del 1294 e 1319, mediante 4500 buoni fiorini d'oro. L'atto fu com- piuto il 19 settembre 1355. Sibilla del Balzo, seconda moglie di Giacomo, mostra in un suo sigillo, lo scudo solito, partito al i'' della croce ancorata d'Acaja, al 2° di una stella a varii raggi, arma della Casa del Balzo. Tro- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINXIPI DI SAVOJA-ACAJA 97 vasi in una cessione fatta da Giacomo e da Sibilla a favore di Aicardino, Guglielmo e Giovanni di Lu- cerna della gabella, del pedaggio, della leida e cu- rarla della Perosa e sua valle, da tenersi da essi sino all'intera soddisfazione di 321 fiorini d'oro al detto principe imprestati. La cessione è del 26 gen- naio 1342. Di Filippo II di Acaja, primogenito di Giacomo, ci fu conservato un sigillo piccolo assai, colla solita croce di Savoia-Acaja. Attorno leggesi stentatamente: + S. P(///')LIPI D. SABAVDIA PRmC{ipis) (Acaje). Ci fu tra- mandato in un atto di promessa fatta da Filippo di rendersi a Chambery il 2 gennaio 1368, secondo l'ordine ricevuto da Amedeo VI conte di Savoja per sentire la dichiarazione e il giudizio del medesimo sopra le differenze vertenti rispetto all'eredità di Giacomo di Savoja suo padre; il qual giudizio egli Filippo, promette di osservare inviolabilmente. L'atto di promessa porta la data di Vigone, 3 dicembre 1367. «3 98 RICCARDO ADALGISIO MARINI IV. — Reggenza dì Amedeo VI il Conte Verde. Giacomo, morendo, nominò tutore dei tre figli Amedeo, Ludovico e Maria, dei quali il primo aveva solo quattro anni — Amedeo VI il conte Verde. Questi per dieci anni, tenne presso di se alla Corte di Savoja i tre bimbi, e amministrò lo stato dei pu- pilli, vale a dire il Piemonte, con animo retto e di- sinteressato. Durante questo decennio di tutela, il conte Verde fu in Pinerolo nel 1367, nel 1369 e 1370. Vi convocò gli Stati nell'aprile 1369 e nel marzo 1375 ; condusse a termine le fortificazioni della città, e nel 1374 sancì una legge contro il lusso, massimamente delle donne, alle quali proibì, se non erano mogli di cavalieri e di dottori, di vestire altri panni fuorché la lana e di portar perle nei capelli, nei cappucci, nei bottoni e nei mantelli. Erano per- messi soltanto gli anelli. Durante questa sua reggenza in Piemonte, Ame- deo VI di Savoia, concesse a Giovanni Pagani di Lucca, di battere in Pinerolo vel alibi infra terram nostrani vel districtum ubi dixerinms vel viderimus, e sinché gli fosse piaciuto: i.° — fiorini di buon peso, in quibns florenis sit imago sancii johannis baptiste ab una parte et cum uno parvo escuceUo de armis nostris iuxta caput iniaginis sancii iohannis et erit scriptum ab illa parte circumcirca Sanctus Johannes Baptisia ; ab alia vero parte erit unus flos lUii ad similitiidinis floris Florentiae et erit scriptum circumcirca Amedeus Comes Sabaudie; 2." — al marco di Genova, grossi, in quibus erit ab una parte Jlavellus seti sijmera et arma nostra et scriptum circumcirca Sabaudia: ab alia vero parte erit crux armorum nostrorum in losangiis et erit scriptum circumcirca Amedeus Comes; 3." — mezzi grossi colle stesse leggende e tipi dei grossi; 4.'' — denari da sei e da tre viennesi; 5." — viennesi. Il LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 99 Pagani continuò a battere in Pinerolo sino al 1377, nel qual anno essendosi egli reso colpevole di assas- sinio — quod interfecit laurencium garcionis — se ne fuggì da Pinerolo ed i suoi beni furono corifiscati dal Conte. V. — Amedeo d'Acaja. Cenni storici. — Amedeo d'Acaja fu dichiarato maggiorenne nel 1378 e ricevette l'investitura dello Stato suo, dal conte Verde, il 25 febbraio di quel- l'anno. Guerreggiò spesso contro i marchesi di Sa- luzzo che si dimostravano teneri alla Francia, e gli contendevano la superiorità feudale; contro i mar- chesi del Monferrato, Del Carretto e contro i vi- sconti di Milano, cavalcando ora contro i Tuchini del canavese, ora nel Mondovì e nella riviera di Ponente. Nel 1396 si impadroniva di Mondovì colla forza; e mentre il principe era occupato in tal impresa, Facino Cane, con un manipolo di feroci avventurieri, avvanzava su Pinerolo, fra le devastazioni delle terre e le lagrime dei contadini. Amedeo allora arruolò nuove forze ; Facino già era entrato in Osasco e stavasene per comparire a Miradolo, quando il prin- cipe coi suoi, in aperta campagna, terribilmente lo sconfisse. Insieme con il conte Rosso (Amedeo VII di Sa- voia, successo nel 1383 al padre) carezzò il disegno del riacquisto dell'Acaja in Grecia; negoziarono en- trambi coi Visconti e col papa, ed essendo gli am- basciatori greci venuti in Pinerolo, si decise che nel marzo 1402 Amedeo d'Acaja sarebbe partito per la Grecia. Ma improvvisamente il conte Rosso morì (1401) e l'impresa oltremarina fu abbandonata. Ame- deo convocò frequentemente gli Stati in Pinerolo ; RICCARDO ADALGISIO MARINI nel 1380 sposava Catterina di Ginevra, ed in tal occasione i cavalieri pinerolesi recatisi incontro agli sposi erano vestiti di bianco, di rosso e di verde, i tre colori che poi divennero nazionali. Dalla con- sorte ebbe soltanto quattro femmine, e non prole maschile, per cui il dominio passò a suo fratello Lu- dovico. Le quattro figlie furono: Bona, nata in Pi- nerolo nel 1390 e mancata probabilmente bambina; Margherita, sposata, dodicenne appena, in Pinerolo, nel 1403 al marchese Teodoro II di Monferrato ; Catterina, morta ancora in fasce e Matilde, sposata nel 1417 al duca di Baviera, Ludovico III. Amedeo d'Acaja cessò di vivere il 7 maggio 1402; fu sepolto in San Francesco, colla solita iscri- zione : Anno D'" 1402 die 7 maij obiit D. D. Ame- deus de Sabandia princeps Achayae et Pedemontium. LE MONETE (0. Amedeo d'Acaja cominciò a battere in Pinerolo nell'anno 1378, quando cioè divenne maggiorenne e prese le redini dello stato; ma la maggior parte delle sue monete uscirono dalla zecca di Torino, come verremo dimostrando. In Torino coniò il fiorino d'oro di piccolo peso, di denari 2.8, simile a quello di Amedeo VII del 1383, quantunque in esso non si legga nome proprio alcuno; ma una prova esauriente che detto fiorino d'oro sia del terzo principe d'Acaja, sta nel leone (i) Il Perrin nelle sue opere sui Musei di Chambery e di Annecy, presenta esemplari di monete di Amedeo e Ludovico d'Acaja, che il Promis non ricorda. Facendo tesoro delle suddette pubblicazioni, inclu- diamo in quebto studio parecchie di quelle monete, osservando per altro che non diversificano in nulla nel tipo, nella leggenda e nella pasta; ma nei contrassegni soltanto, spesso impercettibih'. Le varianti sono tre. LA ZECCA DI P.NEROLO E DEI PRIN'CIPI DI SAVOJA-ACAJA lOI nascente che si vede sopra lo scudo dell'arme, il qual cimiero Amedeo fu il primo ad usare, e nella Aureo di Amedeo d'Acaja. Zecca di Torino. B' — APRINCEPS- ACHAYE r^ - S lOHANNES • B- croce ancorata d'Acaja che sta infine della leggenda del rovescio. E opera dello zecchiere Giovanni di Rezeto da Moncalieri, che battè in Torino e in Cham- bery nel 1389-91 ed era tenuto al pari di un altro grande artefice, Matteo di Bonaccorso Borgo, in grande considerazione dal conte Rosso. Giovanni di Rezeto ha per contrassegno i punti aperti, come os- serviamo pure in altre monete del principe. Ricono- sciamo poi facilmente la zecca di Torino, dal Sanctus Johannes, impressovi nel rovescio, il qual santo è appunto il protettore dell'augusta città. Grosso. Zecca, di Pinerolo. ^ ^ PRINCEPS • ACHAIE • DNS • MONTE • R{egalis) (0 PRINCEPS • ACHAIE • ETC • (i) 11 Promis interpreta falsamente DNS " MOREE • invece di DNS • MONTE ' R(egalis). RICCARDO ADALGISIO MARINI 11 grosso di Amedeo è simile nel diritto, ed uguale nella bontà e nel peso al grosso di Savoja prescritto per la zecca di Nyon nel 1391; è opera, a parer mio, di Matteo II Bonaccorso Borgo, il quale in quell'epoca trovavasi appunto maestro alla zecca di Nyon. Suoi contrassegni sono la stella, ed anche i punti aperti. Il grosso, il mezzo grosso, ed il quarto, io ritengo coniati in Pinerolo da zecchieri di altre zecche, espressamente chiamati. Il grosso dovette essere coniato nel 1396 per commemorare la conquista di Mondovì fatta da Ame- deo sul marchese di Monferrato. È perciò che nella leggenda del diritto leggiamo Dominus Monteregalis e cioè Signore di Mondovì. Mezzo Grosso. Zecca di Pinerolo. B' - AMEDEVS " DE o SABAVDIA iji - + DEI ;; GRA ;; princeps ;; ach o etc L'imitazione poi delle monete del conte di Sa- voja si riconosce anche in altre monete del principe: nel mezzo grosso, collo stesso cimiero e col nome Quarto di Grosso. Zecca di Pinerolo. ÌQ' - PRIiN • + AMEDEVS : D : SABAVDIA Ij/ - + PRINCEPS ; ACH : ETC ^ LA ZUCCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA I03 di Amedeo, si cercò d'imitare quello di Amedeo Vili del 1392 ; e ciò valga pure per il quarto di grosso, nel quale si leggono le lettere PRIN [princeps) in luogo del solito FERI, e osservasi la croce d'Acaja nel ro- vescio, vale a dire la croce ancorata. Sia il mezzo grosso che il quarto, sono conio di Giovanni da Re- zeto di Moncalieri, per i contrassegni ch'essi portano. Il forte, ha nel suo diritto due SS che forse vo- Forte. Zecca di Pinerolo. B' - SS + amed:: de::sàbavd' i^ - princeps :; achai o etc :: gliono indicare Sabaiidia e che furono messe a dop- pio, credesi, per meglio riempire il campo; è uguale nel peso e nel titolo al vero forte di Amedeo VII, ordinato nel 1390. È opera pure del Rezeto. Amedeo d'Acaja battè poi uno scudo d'oro con croce cari- cata dal bastone di banda, e la corona sovrappo- stavi rassomiglia ad un triangolo con tre croci agli angoli, come vedesi in alcune monete bizantine. La leggenda del diritto è + Auiedeus de Sabattdia Prin- ceps Achayae, etc; quella del rovescio + XPVS Rex venit in pace deus. Con lettere patenti del 6 aprile 1403, il principe volle riformare la sua moneta multis motis jiistis ratioìiibus et caiisis novam fabricare et fa- bricari facere monetam : et iam pridem fabricatas tam sub nostris quam alterius nominibus recudere et ad de- bitiim rationis restringere. Secondo la tariffa unita a queste lettere patenti, si riconosce che questa nuova moneta si migliorò di un quarto, essendovi detto che I04 RICCARDO ADALGISIO MARINI 18 grossi di essa devono bastare per uno scudo buono del re (di Francia), mentre della vecchia ne occorrevano 24. Furono poi indubbiamente battute in Torino altre tre monete di Amedeo d'Acaja e cioè il grosso Grosso. Zecca, di Torino. x<^ r:^-^ ^''y^ -^^ - NV> /©" - A • DE • SAB • PRC • ACH • L> - + S ?, JOHANNES o BAT' X che pesa circa denari due, un po' meno cioè di quello ordinato da Amedeo Vili nel 1400 e più di quello del J405 ed ha un San Giovanni Battista in piedi; il mezzo grosso che pesa denari 1.8, ma è Mezzo Grosso. Zecca di Torino. B" - AMEDEVS :^ D oSABAVD' r> - PRiNCEPS ;; achaie ;; etc più fino di quelli di Savoia di questi anni ed in esso il corpo del santo vedesi solamente dai due terzi in su ; la terza moneta è un forte col busto del pre- cursore col capo circondato d'aureola, e pesa come LA ZECCA DI PINEROLO eTdEI'pRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA IO5 quello di Amedeo Vili del 1405, ma è di miglior lega. La croce di Sant'Andrea in fine delle leggende poi è il contrassegno per distinguere indubbiamente Forte. Zecca, di Torino. D' - AMEDEVS ;; D o SABAVD' ^ - PRiNCEPS :; ACH ;; etc ; le monete di Amedeo da quelle degli altri principi. Tutte e tre queste ultime monete appartengono alla suddetta nuova monetazione ordinata il 6 aprile del 1402 e sono opera a mio giudicio di Matteo di Bo- naccorso Borgo, il quale era di quel tempo zecchiere rinomatissimo alla corte sabauda, maestro di zecca in Chamber}', e che usava per contrassegni sulle monete egli pure due punti aperti ed un segno so- migliante alla croce di S. Andrea. I SIGILLI. Un sigillo di Amedeo d'Acaja. del 1379, rappre- senta il solito scudo, sormontato da un elmo chiuso cimato di leone nascente e sostenuto da due mostri col corpo d'uccello e colla testa di drago. La leg- genda, assai guasta, pare dicesse S. AMEDEI • SABAV- 14 io6 RICCARDO ADALGISIO MARINI DIE • PRINC ACHAIE • ET • MOREE. Trovasi in lettere pa- tenti di Amedeo, di concessione a favore del comune di Pinerolo della facoltà di imporre una gabella di soldi quattro per cadauna soma di vino straniero; patenti promulgate da Torino il giorno 8 novem- bre 1379. Un secondo sigillo di questo principe raffigura un leone o griffone alato in riposo che tiene fra le zampe la bandiera stemmata di Savoja-Acaja, ed ha la testa chiusa entro un elmo cimato di leone na- scente. Il campo è seminato di piccole croci. Leg- genda : + S. AMEDEI DE SABAVDIA PRINCIPIS ACHAYE. È posto m lettere di Amedeo, colle quali questi con- cede al comune di Pinerolo tre capitoli, fra cui quello dell'esenzione dalKobbligo delle cavallerie durante il pagamento del tasso concessogli da quel comune. La concessione è data a Pinerolo il giorno 6 giu- gno 1383. Un suo terzo sigillo infine, molto guasto, lascia ancor vedere lo scudo appuntato ed inclinato colla LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACA.IA IO7 solita croce, tenuto da due grifoni, sormontato da elmo chiuso e cimato di leone nascente. Pare anepigrafo. Trovasi in un accordo seguito a mediazione del re di Francia e dei duchi di Berri, Borgogna e d'Orléans, con cui vennero definite le differenze insorte tra Bona di Borbone e Bona di Berri, ava la prima, e l'altra madre di Amedeo YUl conte di Savoja : nel qual accordo, seguito in Cham- bery il giorno 8 maggio 1393, Amedeo d'Acaja, in- sieme con molti altri duchi, figurò come testimonio. VI. — Ludovico d'Acaja. Cenni storici. — Nato nel 1364 passò la gio- vinezza fra gli studi e il mestier dell'armi, ben lungi dal pensiero di succedere un giorno al fratello nella signoria del Piemonte. Si dimostrò di spirito assai accorto nella guerra napoletana del conte Verde, nei negoziati per la spedizione greca divisata nel 1391 e nel comporre le discordie di Savoja per la tutela del successore del conte Rosso. Nel 1410 guerreggiò contro il marchese di Sai uzzo che gli negava la su- periorità feudale, e gli prese Pancalieri; nel 141 1 il marchese di Monferrato gli riconosceva il possesso della città di Mondovì ; e nel 1412 l'imperatore Si- gismondo lo creava suo Vicario imperiale in Piemonte e conte Palatino. Nel 1415 egli ampliò il sepolcreto di famiglia nel coro della chiesa di San Francesco; vi I08 RICCARDO ADALGISIO MARINI innalzò sopra, un monumento onorevole di belle dimen- sioni, ancora ricordato in una visita pastorale del 1584. A circa quarant'anni, un anno dopo la morte del fratello, e pare per sola ragione di Stato, egli sposava nel 1403 Bona di Savoja figlia del conte Rosso, dalla quale pur troppo non ebbe figli maschi legittimi, che potessero succedergli. In occasione di questo suo matrimonio si rammenta che in Torino ebbero luogo armeggerie e tornei nella piazza del castello, che il principe fece allargare ed abbellire, riedificandovi il castello già murato da Guglielmo VII di Monferrato sopra l'antica porta Pretoria, oggi Palazzo Madama. Ludovico, di carattere melanconico, ombroso, intollerante di contraddizioni, non sempre seppe reggere lo Stato con mano benigna; ma a lui devono gli studiosi essere grati per le valide istitu- zioni che volle fondare: l'Università di Torino lo illustra e celebra come suo fondatore ; sul colle di Santa Brigida, presso Pinerolo, edificò poi la grande Certosa che venne ofììciata dagh Agostiniani. Egli decedeva in Torino il 14 dicembre 141 8, dopo quin- dici anni di regno. Trasportato in Pinerolo, fu posto nel sepolcreto di San Francesco, da lui innalzato ai suoi antecessori. L'iscrizione errata quanto al giorno della morte dice : Anno D'" 1418 die 2 Decembris ob. lllmm jj jj l^iidovicus de Sabandia princeps Achajae et Pedemontium. Ludovico aveva avuto da una donna di Napoli, ove aveva guerreggiato nel 1382, un figlio naturale cui diede il proprio nome, e che investito di Racconigi, Pancalieri e Cavour fu maresciallo di Savoja, gran Collare dell'Annunziata, e capostipite del ramo Savoja Racconigi. LE MONETE. Niun documento ci rimane relativo alla zecca di Ludovico d'Acaja, fino al 1418, nel qual anno LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 109 egli nomina maestro alla zecca di Torino lo zec- chiere Giovanni da Masio d'Asti. Varie sono le mo- nete a noi pervenute di questo principe : quelle aii- Quarto di grosso. Zecca, di Pinerolo ? B' — + LVDOVICVS • D • SABAVDIE P - + PRINCEPS- ACHAIEET • teriori al 141 8, sono 'guarii di grosso collo scudo della croce caricata di bastone posto in banda nel Quarto di grosso. Zecca, di Pinerolo ? B' — + LVDOVICVS :; ol: sabavd' • ^ — + PRINCEPS ;; ACHAIE o ETC • diritto e colla croce trifogliata di San Maurizio nel Quarto digrosso. Zecca, di Pinerolo? B' — + LVDOVICVS : D : SABAVD • I^ — + PRINCEPS : ACHAIE : ET rovescio, ed eguali nel peso a cfuelli di Amedeo Vili del 1405 ; forti coli' iniziale del suo nome nel campo, no RICCARDO ADALGISIO MARINI Forte. Zecca di Torino (i). 3' - L + DE o SABAVDIA H - + PRINCEPS o ACH' e del peso di grani i8; viennesi colla croce d'Acaja e del peso di grani i8, come quelli ordinati dal Conte Viennese. Zecca, di Torino. 1^ + LVDOVICV • D • SB PR I IN 1 CE I PS nel 1405 ; ed oboli viennesi da 32 per grosso con- simili ai viennesi, ma di lega più bassa e del peso di grani 13. Obolo. Zecca di Torino. B—L + VDOVICVS P — + DE • SABAVD • Coniò pure il fiorino d'oro di piccolo peso uguale a quello di Amedeo Vili del 1399 ; nel diritto il principe è rappresentato a cavallo, armato di tutto punto, con la leggenda Ludovicus de Sabaudia e nel (i) Posso attribuire indubbiamente alla zecca di Torino queste tre monete, per i contrassegni ch'esse portano di Bonaccorso Borgo, zec- chiere anche a Torino nei primi anni del quattrocento, dove aveva bat- tute già monete di Amedeo d'Acaja (vedi a pag. 105). LA ZFCCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA ACAJA III rovescio un elmo sormontato dal cimiero di leone nascente con la leggenda Princeps Achaye, eie. Tutte queste monete sono anteriori, come già dissi, all'anno 1418, nel quale, addi 7 agosto, il prin- cipe nominava maestro alla zecca di Torino, Giovanni De Masio d'Asti, concedendogli di coniare mezzi Mezzo grosso. Zecca di Torino. B' - + LVDOVICVS • D SABAVD R) - PRINCEPS • ACHAIE • ET grossi a denari 4.8 argenti principis, ed a pezzi 125 al marco di Troyes, col rimedio di un grano nella bontà e di tre pezzi nel peso. Detti mezzi grossi già lavoravansi dal maestro Martinetto Mercieri di Chieri, che fu predecessore e poi anche successore del Di Masio, trovandosi ri- portata nel conto di questo zecchiere una somma pagata al Martinetto per una quantità di pasta d'ar- gento che ancora teneva e vendè alla zecca, e per la quale Ludovico avevagli accordato sul diritto di signoraggio, per ogni marco di fino, tre grossi di più del prezzo tossato. Dallo stesso conto del Di Masio apprendiamo pure che era guardia della zecca tale Marchetto di Cavorelto, pagato annualmente con 50 fiorini di stipendio e che la casa ove trovavasi la zecca, era proprietà di Catalano de Cordano, bor- ghese di Torino, il quale l'affittava per l'officina alla pigione annua di 12 fiorini; per verificare poi la bontà delle monete, prima di emetterle, chiamavasi da Chieri a Pinerolo, Nicolò de Subrino, aurifabbro. RICCARDO ADALGISIO MARINI Il 2 novembre 1418 Ludovico d'Acaja ordinava ancora forti di Savoia, chiamati nel Piemonte patac- chi, a denari 1.4 ed a pezzi 208 il marco ; e vien- Patacco. Zecca di Torino. ^ — L + VDOVI : CVS : 9* - + DE SABAVD : nesi pure di Savoja, chiamati forti, a denari i ed a pezzi 288, corrispondenti nei peso e nella bontà a quelli battuti quasi contemporaneamente da Ame- deo Vili. Viennese forte. Zecca, di Torino. ^ — + PRINCEPS 9* — + ACHAIE : ETC : Il principe Ludovico essendo mancato il 12 di- cembre 1418, con tal giorno fu sospesa la battitura dei suoi denari, e la zecca di Torino rimase chiusa fino al luglio 1419, quando venne riaperta dal duca Amedeo Vili di Savoja. I SIGILLI. Di Ludovico di Savoia, ultimo principe d'Acaja, ci pervennero cinque sigilli. Il primo del 1393 è un vero capolavoro del ge- nere ed io non mi crederei arrischiato nell'attribuirlo LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA 113 all'opera di Giovanni da Rezeto, che insieme al Matteo di Bonaccorso Borgo fiorì nobilmente, di quei tempi, nell'arte monetaria presso i sabaudi. Ha lo scudo appuntato, colla croce caricata di bastone, cimato d'aquila spiegata nascente e tenuto da due leoni co- ronati. È chiuso in una cornice di quattro archi more- schi, posti in croce, aventi negli angoli orizzontali le lettere S. (sigtlìum) L. {Ludovici) S- (Sabaudie). La leg- genda è SICylLLVM DOMINI LVDOVICI D. SABAVDIA. Trovasi in un assegno fatto da Ludovico (allora nel 1393 sol- tanto sire di Viri), a Giovanni di Bueve, castellano di Viri e Castelnuovo, di 400 fiorini d'oro di picciol peso sulle rendite di detti luoghi, e ciò in restituzione di al- trettanti statigli dal Castellano imprestati. L'assegno fu firmato in Chambery il giorno 8 agosto 1393. Il secondo sigillo ha l'area occupata dallo stemma d'Acaja colla leggenda : {Sigillum) LyD(ovtci). DE • SA- •5 ZI4 RICCARDO ADALGISIO MARINI BAVDIA. Sta nell'atto di erezione in primogenitura fatta da questo principe in capo di Ludovico suo figlio naturale, dei castelli e luoghi di Racconigi e Miglia- bruna, erezione compiutasi in piacenti loco il 23 feb- braio 1414. 11 più grande dei cinque è il terzo sigillo, assai curioso nella sua fattura. Nel campo, su terreno se- minato di piante vedesi un cavaliere armato, con elmo chiuso e cimato di leone nascente, coronato, da cui scende un manto svolazzante seminato di 'piccole croci. Il cavaliere ha nella destra la spada sguainata, nella sinistra uno scudo arrotondato con croce in- graticolata a losanghe, seminate di crocette ; l'ampia gualdrappa che ricopre il cavallo nell'atto del ga- loppo, è pure segnata in due luoghi colla stessa croce. Dalla parte posteriore del collo del cavaliere pende un correggiuolo lavorato di piccole croci, si- LA ZKCCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA II5 mili a quelli di cui sono attraversate tre rotelle che vedonsi disposte in giro nel campo. La leggenda, ora molto sciupata, era questa : {Sigillmn) LVDOVICI DE • SABAVDIA • PRlNClP(/5) {Acha)^^ ETC. Questo sigillo trovasi nella donazione fatta dal principe a Ludovico, suo naturale, di cinquemila fiorini d'oro, in paga- mento dei quali gli concesse la castellania di Cavour, da tenersi da esso sino all'intera soddisfazione di detta somma. L'atto fu compiuto in Pinerolo il 12 giugno 1417. Il quarto porta nel campo il solito stemma, e la leggenda S. LVD. PRINCIPIS • ACHAYE. Lo troviamo in una rimessione fatta da Ludovico alla comunità di Racconigi dei residui da ess'a dovutigli, alla ri- serva di quel che doveva per la dote della nipote sua Matilde e per la porzione di fiorini mille cinque- cento stati imposti sopra tutte le sue terre per tre mesi, pel sussidio della guerra ; il che si fa mediante fiorini d'oro mille duecento. Rimessione fattasi in Pinerolo il i luglio 1417. Il quinto sigillo infine, mostra il solito scudo sormontato in profilo da elmo chiuso, cimato di leone nascente, coi lambrecchini segnati di crocette, e te- nuto da due angeli in lunga tonaca, nel campo se- ii6 RICCARDO ADALGISIO MARINI minato di croci. Leggenda: {Sigillum) LVDOVICI + + + DE + + + SABÀVDIA + + + PRINCIPIS + + + ACHAYE. Fu ritrovato nell'atto di assicurazione fatta da Ludovico della dote e delle rendite dotali della moglie Bona di Savoja, sulle terre, giurisdizioni, beni e rendite di Carignano, Villafranca, Perosa, Val San Martino, e sui molini di Moncalieri. L'atto si compì nel Castello di Vigone il i8 febbraio 1418. (Il Promis non attri- buisce data a questo sigillo. Io la posso stabilire detraendola da documenti della famiglia mia). Bona di Savoja, moglie dell'ultimo principe di Acaja, non ci ha tramandata che una bolletta collo scudo partito al 1° dello scudo di Savoja-Acaja ; al 2° di croce semplice per Savoja. La leggenda, visibile per una parte soltanto, dice : S L (= sigillum) bona de sabavdia e la parte guasta doveva probabilmente contenere primi- LA ZECCA DI PINEROLO E DEI PRINCIPI DI SAVOJA-ACAJA II7 pisse Achaje. È impressa in calce ad un rescritto di grazia da lei concesso a certo Pietro Bontempo della Perosa, dal quale riscuoterà soltanto due terzi dei sessanta soldi cui detto Pietro era stato condan- nato. E tal rescritto è in data di Carignano i8 feb- braio 1432. Tutti i sigilli dei principi e delle principesse di Acaja trovansi : i° negli Archivi di Corte, categoria Principi del sangue. Trattati diversi. Tutele e Reggenze, Matrimoni, Provincie e Città di Pinerolo e di Sa- luzzo; 2.° nell'Archivio della città di Pinerolo, cate- goria prima; 3.° nell'Archivio della Cattedrale di To- rino. Credetti bene di completare il mio studio sulla zecca di Pinerolo e dei Principi che vi dimorarono per cento e ventitré anni, coli' illustrare anche i si- gilli da loro usati in ogni documento ufficiale e pri- vato di loro vita. Giacche è fatto indiscutibile che per lo studioso delle dottrine numismatiche, la sigil- lografia è sussidio e direi quasi luce che quelle il- lumina e spesso richiara: come la moneta è opera di artefice illustre, così il sigillo del principe è so- vente il complemento che l'artefice vuol attribuire all'opera sua. Sotto Amedeo e Ludovico di Acaja noi possiamo facilmente constatare la finezza e l'ele- ganza di lavoro sia nelle monete che nei sigilli: anzi i tipi che servono per le une sono riprodotti iden- tici, ma ingranditi, negli altri : donde la necessità di collegare insieme i prodotti della stessa arte per degnamente illustrare qualsiasi zecca medioevale e moderna. Novembre i^og. Dott. Riccardo Adalgisio Marini. 1 l8 RICCARDO ADALGISIO MARINI BIBLIOGRAFIA (*) Zanetti. — Raccolta delle monete e secche d'Italia. Bologna, 1775-80. Promis Domenico. — Sigilli dei principi di Savoja. Torino, 1834. „ „ — Monete dei Reali di Savoja. Torino, 1841. „ „ — Monete del Piemonte inedite o rare. Torino, 1852. „ „ — Monete del Piemonte (supplemento). Torino, 1866. pROMis Vincenzo. — Tavole sinottiche delle monete Italiane. Torino, 1869. Trésor de Numismatique et de Glytique, ecc. Parigi, 1830-40. Garrucci Raffaele. — Studi sulle monete dell'Italia antica e medioevale. Roma, 1885. Tonini. — Topografia generale delle zecche Italiane. Firenze, 1869. MuoNi. — Elenco delle zecche d'Italia dal Medioevo insino a noi. 2.» edi- zione. Gazzetta Numismatica. Como, 1885. Bazzi e Santoni. — Il raccoglitore di monete italiane. Camerino, x886. Carutti Domenico. — Storia della città di Pinerolo. Pinerolo, 1893. Alliaudi C. — M. S. in Biblioteca Civica di Pinerolo. Datta. — Storia dei principi d'Acaja. Torino, 1831. Caffaro P. — Storia della chiesa Pinerolese. Bibl. Civ. Pinerolo. „ „ — Notizie e Documenti. Bibl. Civ. Pinerolo. Bollettiuo storico subalpino. Anno I. Pinerolo, 1896. Studi Pinerolesi della Società storica subalpina. Pinerolo, 1899. Perrin a. — Catalogue du Musée de Chambéry. Chambéry, 1883. Rivista Italiana di Numismatica. Anno I. Milano, 1888. Marini R. A. — Zecche e zecchieri di Savoia in Riv. Hai. di Num., 1909. (*) Escludo di proposito le opere del Muratori, dell'ARGELATi e del Bellini dalle quali atttinsero tutti gli storici posteriori e che per la loro mole non sono di facile e pronta consultazione. LES SEQUINS VÉNITIENS contremarqués de caractères arabes Les numismates ont remarqué depuis un certain temps l'existence de sequins de Venise pourvus de poingonnages arabes à peu près identiques. Nous pu- blions ci-dessous comme exemple un sequin frappé au nom du Doge Pascal Cicogna entre 1585 et 1595, contremarqué à une date ultérieure. ^ — Le Doge à genoux recevant l'étendard des mains de Saint Marc. Lég. : PASC • CICON • Entre la téle du Doge et cette inscription, contremarqué contenant des lettres arabes. I^ — Le Christ nimbé entouré d'étoiles et de la legende accoutumée. Poids: gr. 3,50. — Collection P. Bordeaux. PAUL BORDEAUX Pous tàcher d'arriver à l'interprétation de ce poingonnage, deux questions doivent étre examinées successivement : i.° Quel est le sens de rinscription arabe? 2.° Pendant quel espace de temps cette con- tremarqUe figure-t-elle sur ce genre de numéraire ? L'examen de cette dernière particularité doit permettre de découvrir les raisons, qui ont amene à marquer ainsi certaines pièces d'or. § ^• Mr. Aliotte de la Fuye, dont la compétence est connue en matière de langues orientales, a bien voulu nous renseigner sur l'interprétation des lettres arabes contenues dans la contremarque. Celles-ci constituent le mot arabe: Cahh, qui signi- fie: bon, correct, authentique. Ce sens doit vraisembla- blement ètre applique au metal de la pièce, et aboutit à la traduction suivante: or pur. Mr. de la Fuye avait cru au premier moment pouvoir lire: Sadj, qui veut dire : legai. — ou bien : Sarab, qui se traduit par : pur. Mais il estime préférable la lecture et l'interpré- tation de : Cahh. Cette hésitation témoigne que, s'il existe quelques légères diversités de formes de lettres sur certains poingonnages, les mots arabes distincts susceptibles d'étre lus se rapprochent sensiblement les uns des autres comme expression et comme idée. Pour nous, qui sommes moins versés dans la connaissance des langues orientales, nous sommes frappés de ce que, quelle que soit celle de ces diverses lectures LES SEQUINS VENITIENS 12 1 qui soit jugée préférable, le sens se trouve le mème: or pur, vérifié, régulier. Cette idée peut avoir été emise normalement aussi bien par l'ordre supérieur d'un gouvernement orientai que par des changeurs arabes dans le but d'indiquer que la libre circulation de la pièce est acceptée, parce qu'elle est un nu- méraire d'or pur. Mr. le general Ruggero a eu l'obligeance de nous signaler que la collection de S. M. Victor Emmanuel III possédait pourvus de cette contre- marque les sequins des Doges ci-après : 1. Nicolò Da Ponte 1578 2. Leonardo Donato 1606 3. Jean Pesaro 1658 4. Domenico Contarini 1659 5. Luigi Contarini 1676-1684 6. Jean II Cornaro 1 709-1 722 Le sequin dessiné plus haut, et qui remonte à 1590 environ, se place comme date entre le pre-»- mier et le deuxième de ceux qui viennent d'étre précisLS. D'autre part Mr. le Comte Papadopoli nous a appris que la plupart des sequins ainsi poingonncs figurant dans sa collection ou rencontrés par lui, ap- partiennent au Doge Domenico Contarini (1659- 1675) ou à des Doges du mème siècle. Ces faits démontrent que l'apposition de cette contremarque a été effectuée au début du XVII? et qu'elle a commencé peut-ètre dès la fin du XVIP siècle. D'après les arabisants, la forme des caractères arabes concorde avec l'apparence courante de ceux usités au début du XVIIP siècle. 16 122 PAUL BORDEAUX Ce point acquis, il convient de rechercher les faits historiques notables survenus entre les Otto- mans et les Vénitiens au cours de cette période de temps. Deux guerres importantes appellent l'attention: i.° En 1645, les Turcs commencèrent le siège de Candie, qui appartenait ainsi que le surplus de l'ile aux Vénitiens. Cette lutte dura vingt-quatre ans avec des péripéties diverses. Finalement en 1669, les troupes du Sultan s'emparèrent de Candie et la Créte fut définitivement perdue pour la République de Venise. 2.° En 17 14 la Porte déclara la guerre aux Vénitiens, qui occupaient la Morée et la Grece. Elle conquit peu-à-peu tonte cette contrée, oìi les espèces vénitiennes circulaient en quantité. Elle finit par soustraire complètement ces deux pays à la domi- nation de la Serenissime République. La Grece et la Morée furent englobées pour un siècle dans l'Em- pire ottoman. Un premier point de vue permettrait de sup- poser que les Turcs devenus maìtres de pays où les sequins vénitiens étaient la monnaie courante, Client prescrit de les contremarquer officiellement pour en faire continuer provisoirement le cours chez le peuple conquis. Mais d'une part, le gouvernement ture, qui est despotique et exclusif, n'est pas cou- tumier de mesures telles qu'un poinconnage éma- nant de son autorité pour permettre à une monnaie étrangère de circuler ouvertement sur son territoire. Il préfère laisser plus de liberté sur ce point aux changeurs et à l'initiative commerciale de chacun. D'autre part, Mr. Svoronos le distingue conservateur du Musée d'Athènes, consulte par nous, a déclaré n'avoir pas encore rencontré de sequins ainsi con- tremarqués dans des tróuvailles de monnaies faites en Grece. 11 a ajouté que les collections publiques ou LES SEQUINS VENITIENS I23 privées d'Athènes ne contenaient pas de sequins poin- connés, tels que ceux sur lesquels nous appelions son attention. Ce fait, qui a une importance incontestable, prouve que les sequins recueillis dans les collections italiennes et frangaises proviennent plutòt des pays du Levant que de la Grece méme. Nous sommes par suite amenés à considérer l'apposition de la con- tremarque comme réalisée non pas en Grece, mais plus probablement en Asie mineure, ou d'une fagon generale dans les pays orientaux soumis à la puis- sance turque. Considérant cette dernière présomption plus exacte et plus sùre, nous avons été frappés de la corrélation existant entre la contremarque apposée sur certains luigini d'argent en Asie mineure à la fin du XVII^ siècle et celle constatée sur les sequins en question. Nous espérons avoir établi récemment d'une fagon probante que certaines pièces de 5 sols d'ar- gent à l'effigie de Louis XIV avaient été poincon- nées de caractères arabes à la fin du XVIP siècle par des changeurs, que les Turcs avaient installés dans ce but en un certain nombre de ports du Le- vant U). Chardin, voyageur francais, énonce qu'au cours de pérégrinations qu'il fit dans le Levant pendant la période de temps en question, il constata que : « Les Turcs envoyèrent des changeurs dans tous les ports du Levant pour visiter Fargent qiioyi appor- tati. .. lls décrièrent tout le coin altère sans exception et ne laissèrent cours qu'aux bonnes pièces de 5 sols (2) „. (i) R. N. F. 1905. Procès-verbaux de la Société fran^aise de Numi- smatique, p. XXXIX. (2) Voyage de M.f le Chevalier Chardin en Perse, imprimé chez Mazure à Paris, 1723. Voi. i, p. 20 à 24. 124 PAUL BORDEAUX Cette mention, rapprochée de la contremarque arabe: Ha MS a, signifiant : cinq, retrouvée sur cer- tains luigini, prouve que les changeurs chargés de: « visiter l'argent » c'est à dire le numéraire, se sont estimés autorisés par là-méme à \^ apposer une con- tremarque pour montrer que la pièce avait été vé- rifiée et qu'elle pouvait désormais circuler comme telle en Asie mineure. La conséquence qui s'impose est que ces changeurs ont du se croire autorisés à agir de méme pour inspecter les espèces d'or ap- portées en Asie mineure après les événements de guerre signalés précédemment. A la suite de la prise de Candie et du surplus de la Créte, aussi bien qu'à la suite de la conquéte de la Morèe et de la Grece, les Turcs victorieux se sont emparé des sequins vénitiens qu'ils ont trouvés en quantité dans les diverses contrées à eux soumises, soit par violence, soit comme conséquence normale de la prise de possession du pays, de la perception des contributions de guerre et des impots. Leurs navires sont revenus avec ce butin dans les ports d'Asie mineure d'oli ils étaient partis. Ils ont trouvé installés dans les diverses villes mari- times du Levant les changeurs en question, qui par application des principes et usages en vigueur de- puis plusieurs années ont visite et vérifié le numé- raire nouvellement introduit. Les changeurs ont re- connu les sequins importés en Asie mineure comme étant de l'or bon, de l'or pur. Ils ont constate ce fait par le poingonnage explicite, qui figure sur les sequins, dont nous avons donne le relevé. Les pièces ont ensuite circulé ainsi contremarquées pendant un temps plus ou moins long dans le Levant, jusqu'à ce qu'elles aient été refondues par des monnayeurs turcs ou par des orfèvres locaux, ou plutòt jusqu'à ce qu'elles aient été rapatriées dans leur pays d'ori- LES SEQUINS VÉ.N'ITIENS I25 gine. En effet quand la paix eut fini par étre con- clue, les négociants de Venise reprirent le chemin des ports levantins pour y vendre leurs marchan- dises, et ils rapportèrent en échange les sequins anciens poingonnés, qui se trouvaient dans le pays. Mr. le comte Papadopoli nous a signalé qu'une partie notable des sequins contremarqués achetés par lui à Venise ou revenus en cette ville à un moment quelconque provenaient des échelles du Levant. Cette explication permet de comprendre l'ab- sence de sequins vénitiens poingonnés dans les trou- vailles faites en Grece, aussi bien que dans les col- lections du pays, et d'autre part la présence de ces mèmes sequins dans les collections de Venise et d'Italie, d'oli certains exemplaires ont pu transiter jusqu'en France. Elle donne en ménie temps la clef du mutisme complet des historiens grecs sur cette que- stion après la conquète ottomane, mutisme sur lequel Mr. Svoronos avait appelé notre attention. Ce numé- raire poinconné ne circulait pas en Grece, mais seule- ment en Asie mineure. Heureusement pour les nu- mismates, Chardin a voyagé au début du XVIIP siècle dans les Echelles du Levant. Il a rendu compte scrupuleusement de ce qu'il a vu les changeurs faire sous ses }eux pour ne laisser cours qìCaux bonnes pièces. La collection de M."^ le comte Papadopoli contient un sequin faux pourvu de la mème contre- marque. Ce fait special ne contredit en aucune facon rinterprétation qui vient d'ètre fournie. A toutes les époques les faussaires, qui ont fabriqué des monnaies de mauvais aloi, ont copie aussi bien celles qui étaient poinconnées que celles qui ne l'étaient pas. Notre collection renferme des exemplaires faux de pièces portant en mème temps des contremarqués, faites la plupart du temps au moment de la création de la monnaie falsifiée ou exceptionnellement parfois après. T26 PAUL BORDEAUX Nous pouvons citer comme exemples : i.° des pièces de 28 stuivers fausses, contremarquées de: HOL, des diverses provinces hollandaises et notamment de Groningue, datant elles aussi de la fin du XVIP siècle; 2.° des spécimens faux de piastres espagnoles de Charles IV, contremarquées du petit buste de Geor- ges III Toi d'Angleterre à la fin du XVIIP siècle ; 3.° des spécimens de piastres espagnoles fausses de Ferdinand VII, contremarquées en Amérique au cours de la guerre de l'Indépendance. Les faus- saires, calquant les pièces en circulation mettent le mème soin, dans quelque pays que ce soit, à imiter aussi bien la contremarque que le type primitif. Nous espérons nous ètre approché dans la me- sure possible de Tinterprétation véritable à donner de la contremarque apposée sur les sequins vénitiens à la fin du XVIP et au début du XVIIP siècle. Nous souhaitons que quelqu'érudit découvre un jour dans une lettre des Recteurs des provinces vénitiennes d'outremer, ou dans quelque livre de raison de négo- ciant levantin un texte, qui confirmera les conclu- sions déduites par nous dès maintenant du récit de voyage du francais Chardin. Paul Bordeaux. VARIETÀ INEDITA di una lira di Emanuele Filiberto DUCA DI SAVOIA (Collezione Cora) (i) ^^ - * EM • FILIB • D • G • DVX • SAB • P • PED • 1571 • A • Bnstw del tlura a tiestra. Ij» — INSTAR OMNIVM nel campo in due righe se- parate da punto centrale in ghirlanda di quercia; sotto A. Argeftto. Lira. Peso grammi 12,29. Ottima conservazione. È questa una varietà inedita della lira pubbli- cata dal Prcmis ^2) al n. 36 della tavola XXV, che non porta nessun segno monetario, di quelle descritte dal Rabut (3) e dal Perrin '4) che portano i segni di zecca rispettivamente P {Ciamberì), T {Torino), V [Ver- celli) e da quella illustrata da Vincenzo Promis <5) al n. 15 della tavola II, che ha il segno N {Nizza) nel- Tesergo e nel giro il titolo COM • NICIE. La nostra (1) La pubblicazione di questa lira precede quella di altre monete e varietà inedite della collezione Cora, che sarà inclusa nel prossimo fascicolo della Rivista. (2) Promis Domenico: Monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841. (3) Rabut Francois : Notice troistème sur queiques monnaies inédiles de Savoie, Emmanuel Philibert, n. 2; — Notice cinquième, E. Phil. n. 5. (4) Perrin André : Catalogne dn médallier de Savoie du Mnsée ifAn- necy, n. 147/11, 148/12. Chanibery, 1885; de C/iamòery, n. 330/36, 331/37, 332 ''38. Chambery, 1883. (5) Promis Vincenzo : Monete di zecche italiane inedite o corrette. Me- moria quarta. Torino, 1882. 128 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI lira infatti porta un nuovo segno monetario A finora sconosciuto, che da alcuni numismatici, con cui ebbi parola al riguardo, vorrebbe attribuirsi ad Aosta, mentre io cercherò di dimostrare che ciò può essere messo in dubbio. Sotto Carlo II e nei primi anni del governo di Emanuele Filiberto erano invalsi gravi abusi nel conio monetario, specialmente per le moltephci va- rietà di monete allo stesso conio ed allo stesso nome ma a varia bontà, per modo che erane derivato con- fusione nel commercio e danno allo stato ed ai pri- vati. Era quindi necessaria ed urgente una radicale riforma nel sistema monetario : a questo scopo Ema- nuele Filiberto aveva stabilito di ridurre ad un solo tipo le due monete denominate di Piemonte e di Savoia, epperciò aveva con l'ordinanza del 20 aprile 1561 abolito il grosso e ripristinata la lira d'argento buono (^). Con questa ordinanza seguita da quella del 29 settembre si commetteva la coniazione della Hra anzidetta alle zecche di Torino, Asti, Vercelli, Ciam- berì e Borgo in Bressa ; con quella del 13 maggio 1562 si estendeva a tutto lo stato e finalmente con l'ordinanza del 14 aprile 1564 anche alla zecca di Nizza. Ora se si osserva che la zecca d'Aosta (^^ dopo l'anno 1559 rimane inoperosa fino al 1568, che da (i) Con l'ordinanza del 20 aprile 1561 per le provincie subalpine e con quella del 29 settembre per le provincie d'oltremonti era stabilito che la lira da 3 per scudo doveva essere in bontà a denari io grani 18 (circa grammi 13,7664) ed in peso pezze 19 1/2 dovevano corrispondere ad un marco (chilog. 0,245896) ossia ogni pezza doveva pesare denari 9 grani 22 granolti 8 e 8/29 (circa grammi 12,7182) e contenere di fino denari 8 grani 21 granotti 12 e 12/29 (circa grammi 11,3723). (2) Cfr. CuNiETTi : Un forte inedito di Carlo Emanuele 1 duca di Sa- voia battuto nella zecca d'Aosta, in Bollettino Italiano di Numismatica, a. 1909, pag. 177. VARIETÀ INEDITA DI UNA LIRA DI E. FILIBERTO I29 quest'anno fino al 1570 non si battono in essa che soli grossi e che dal 1570 cessa nuovamente dall'es- sere in esercizio fino al 1575, come mai può attri- buirsi ad Aosta la sopradescritta lira ? Ma v' ha inoltre che soltanto con l'ordinanza del 19 gennaio 1575, con cui si riapre la zecca d'Aosta, viene sti- pulato il contratto col maestro Tommaso Campa- gnano per la battitura di pezze di lire d'argento a bontà di denari io e grani 18 di fino, in peso di denari 9 e grani 22 cadauna e di pezze 19 e 7, al marco. Ordunque è verosimile che questa lira, battuta in virtù di una tale ordinanza, porti una data di quattro anni anteriore, giacche sulla nostra vi è il millesimo 1571, mentre anche ne! 1562, allorché si estese a tutte le zecche la nuova monetazione l'of- ficina d'Aosta era tuttora chiusa ? Di fronte a queste obbiezioni che naturalmente emergono dall'esame dei documenti relativi alla bat- titura delle nuove monete di Emanuele Filiberto, lo scrivente azzarderebbe l'opinione che la lettera A al termine della leggenda del diritto e ripetuta nel- Tesergo del rovescio possa volere indicare Asti, es- sendo questa zecca allora in attività e compresa nell'ordinanza del 1561. Ne mi si opponga che per comprovare le mo- nete astesi di Emanuele Filiberto sia necessario il titolo COMES AST • nella leggenda; giacche questo titolo venne bensì conservato dal duca anche sulle monete coniate dopo la morte del padre, cioè dopo il settembre 1553, ma indi venne pure ommesso e sostituito dal segno o dall'iniziale della zecca o dello zecchiere, analogamente a quanto praticavasi presso le altre officine dello stato ^0. (i) Cfr. Promis D. : Monete della Becca d'Asti. Torino, 1853. 17 130 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI Contuttociò io non intendo affatto di formulare un giudizio positivo in inerito alla zecca che possa avere battuta la moneta in questione, e, pur mante- nendo il dubbio, lascio ad altri di provare se la mia congettura abbia o meno ragione di essere. T. Colonnello Alberto Cunietti-Cunietti. STUDI SDLLA NDMISMATICA DI CASA SAVOJA Memoria X. Le monete di Carlo Alberto per la Sardegna. L'Opera del Promis sulle monete di Savoja (0 edita nel MDCCCXLI, sotto il regno di Carlo Alberto, non con- templa tutte le monete di quel re, che regnò ancora otto anni. E non solo va detto questo per il quantitativo di ogni moneta che il sovrano continuò a far battere fino al giorno della sua abdicazione; ma ancora per altro tipo speciale, che si adottò da lui dopo la pubblicazione dell'opera del Promis, e che né l'autore né il di lui figlio Vincenzo ebbero occa- sione di riprodurre. Per la quantità definitiva delle monete si incaricò altro scrittore di stendere il supplemento, e dare nota particolare dell'oro e deW argento (^); ed io spero presto poter dare un elenco dettagliato (come feci per le monete di Vittorio Ema- nuele II) con le aggiunte e rettifiche opportune. Per i tipi, non abbiamo, che io sappia, che un disegno supplementare; e ciò per la serie erosa, unica serie da ag- giungere alla monetazione di Carlo Alberto (3). * (i) Domenico Promis. Mone/e dei Reali di Savoja, edite e illustrate Torino, MDCCCXLI, Tip. Chirio & Mrina. (2) Cav. Dùtt. Gerolamo Dell'Acqua. // re Carlo Alberto e il suo ingresso in Pavia il 29 marzo 1848. Pavia, 1898-99, tip. Fratelli Fusi. (3) Solone Ambrosoli. Aliante Numismatico Italiano. Manuale Hoepli. Anno 1906, pag. 359, n. 860, 861, 862. 132 A. F. MARCHISIO Il Promis, nelle tavole LXXX e LXXXI, dà il disegno delle nove monete allora in corso di Carlo Alberto, e cioè delle pezze in oro da L. loo, 50, 20 e io, e delle pezze in argento da L. 5, 2, i. Cent.' 50 e 25, che furono rispettiva- mente coniate nelle sole due zecche allora in attività, di Ge- nova e di Torino. II Dell'Acqua (pag. 71) parla bensì delle monete di rame, ma senza dirne il quantitativo di emissione, aggiun- gendo che non si trovano i conti nei Verbali dell'Archivio di Stato. Per più anni ho insistito nella ricerca di codesti Ver- bali, smarriti nella congerie di milioni di carte dell'Archivio di Finanza, giacente, dopo molte peripezie, nel locale detto dei Martiri; e finalmente, grazie all'impegno dell'archivista nob. avv. Paolo De Rege di Donato, il quale succeduto ai Dossena ne continuò l'opera immane di ordinamento, i Ver- baH furono trovati, classificati, e mi furono tosto comunicati; per cui ho la soddisfazione di qui darne dettagliato resoconto. Le monete di rame di Carlo Alberto sono tre, e tutte tre per la Sardegna: da Cent." 5, da Cent.' 3 e da Cent.' i; con queste tre monete terminò la serie monetaria di quel Sovrano. STUDI SULLA NUMISMATICA DI CASA SAVOIA I33 Ecco, prima d'ogni altra cosa, il disegno e la descri- zione delle tre monete : i. & — Nel campo, scudo di Savoja, appuntato e co- ronato, colla croce accantonata dalle quattro teste di moretti. Intorno, REGNO DI SARDEG-N'A Sotto, F., e testina d'aquila <0. P — Nel campo, in tre linee: 5 CENTESIMI 1842. Contorno liscio. Diam. mill. 24. Peso, gr. 5. 2. /B' — Nel campo, scudo di Savoja, appuntato e co- ronato, colla croce accantonata dalle quattro teste di moretti. Intorno, REGNO DI SARDEGNA Sotto, L., e testina d'aquila (2). ^ — Nel campo, in tre linee: 3 CENTESIMI 1842. Contorno liscio. Diam. mill. 20,50. Peso, gr. 3. 3. /B' — Nel campo, scudo di Savoja, appuntato e co- ronato, colla croce accantonata dalle quattro teste di moretti. Intorno, REGNO DI SARDEGNA Sotto V., e testina d'aquila (3'. IJl — Nel campo, in tre linee: 1 CENTESIMO 1842. Contorno liscio. Diam. miil. 15. Peso, gr. 1. Lunghe discussioni, lungo carteggio, e ogni sorta di pe- ripezie ebbero a precedere e accompagnare la coniazione e l'emissione di codeste monete; forse non si ha esempio di monetazione cotanto laboriosa, quanto codesta, limitata ed efììmera. I piccoli affari in Sardegna correvano male, specialmente per deficienza di moneta erosa e spicciola. La vecchia era (i) La F. è l'iniziale dell'incisore Ferraris, e la testina d'aquila è il segno della zecca di Torino. (2) La L. è l'iniziale dell'incisore Lendy, e la teatina d'aquila è il segno della zecca di Torino. (3) La V. è l'iniziale dell'incisore Veglia, e la testina d'aquila è il segno della zecca di Torino. 134 A. F, MARCHISIO ritirata in buona parte, o corrosa ; non si era sostituita. Un puntiglio di falso amor proprio metteva in una specie di contrasto l'isola e la terraferma; quella, reclamando una moneta propria, e questa offrendo, come a sorella, la pie- montese. Le carte d'Archivio abbondano di lettere, memorie, istanze, proposte e repliche, perchè S. M. Carlo Alberto si decidesse a concedere una battitura erosa per la Sardegna. Una busta, che ho esaminato, conservata nell'Archivio, e che venne fuori con il resto, è piena di campioni di biglietti a mano e a stampa, piombi, tessere, sigilli, dischi di cuoio e altri oggetti, che avevano nell'isola circolazione fiduciaria e che furono spediti a Torino per testimoniare la necessità di pensare a un pronto provvedimento. Alcuni vegliardi di quella terra nobile e forte sono certo ancora in grado di rammentare e attestare l'arenamento del piccolo commercio in quel tempo. All'appagamento del desiderio della Sardegna si oppo- nevano, e sorgevano impreviste a ogni pie sospinto, ragioni di varia indole, e non senza peso; e la buona volontà di tutti passava in seconda linea. Quando si venne a concretare un efficace provvedimento, daccordo con molte esigenze che qui sarebbe inutile riferire, quando già si era officiosamente stabilito che la Sardegna avrebbe avuto monete decimali da 5, 3 e i centesimo, e si erano preparati i tondini, tre incisori pretesero aver l'inca- rico del lavoro, e ognuno di essi aveva titoli e ragioni per essere esaudito; e siccome appunto tre erano le monete sta- bilite, si venne dall' Eandi alla conclusione di appagare tutti e tre i pretendenti (Ferraris, Lendy e Veglia) assegnando, con lettera 7 gennaio 1841 a ognuno la sua parte, e stabi- lendo che il Ferraris preparasse i tipi di tutte e tre le mo- nete mediante la sua macchina di riduzione, e quindi facesse, la matrice e i punzoni per la pezza da Cent." 5 ; Nicolao Lendy facesse matrice e punzoni per la pezza da Cent.' 3 e Veglia facesse altrettanto per la pezza da un centesimo. Prodotto divisibile in parti uguali. Ciò definito, sorse nuovo inconveniente. Il cav. Luca Podestà, direttore delle Officine monetarie, scriveva l'S gen- naio 1842 all'Amministrazione Centrale delle R. Zecche, di- STUDI SULLA NUMISMATICA DI CASA SAVOIA I35 chiarando non potersi assolutamente assumere la coniazione, per causa di malattia. Così non la pensavano alla Segreteria di Stato, ove una lettera dell' Eandi, in data 29 gennaio 1842 significava avere il Podestà declinato l'incarico della urgente monetazione erosa, e ciò nonostante la convenzione 18 set- tembre 1839, artic. 18, e così pure avere fatto il sig. Bat- tilana, rappresentante del Podestà. Sembrava essere la vera causa il poco compenso che offeriva a entrambi una mone- tazione erosa, e limitata. L' Eandi, messo in angustie, aperse trattative coi mac- chinisti Meynardi e Piana, i quali si mostrarono pronti a eseguire senz'altro tutta la coniazione. Non restava allora che dare legalità all'emissione; e Carlo Alberto, con R. Editto 26 novembre 1842, n. 99, con- trofirmato Di Villamarina (i) fra altre disposizioni stabiliva fossero coniate ed emesse le monete da 5, 3 e i centesimo per la Sardegna, di rame puro, in quantità non fissata, e del peso rispettivo di 200 al Cg. per le pezze da Cent.' 5. con tolleranza di 5 pezze in più o in meno; di 33373 al Cg. per le pezze da Cent.' 3, con tolleranza di dieci pezze in più o in meno; di 1000 al Cg- per le pezze da Cent." i, con tolleranza di venti pezze in più o in meno. Portare le monete da una parte l'arme di Savoja, e dall'altra il valore. Farsi in piombo l'impronta da rimettere agli Archivj. E più sotto ne dettagliava il peso come segue : Per i pezzi da Cent.' 5, denari 3, grani 21, granotti 17, e in peso decimale grammi 5. Per i pezzi da Cent." 3, denari 2, grani 8, granotti 5, e in peso decimale grammi 3. Per i pezzi da Cent.' i, denari o, grani 18, granotti 18, e in peso decimale grammi 1 (2), (i) Pes di Villamarina, Cav. dell'Annunziata, Generale d'Armata, Primo Segretario di Stato per gli affari di Sardegna. (2) V. Raccolta dei Regi Editti, Manifesti ed altre provvidenze di Ma- gistrati ed Uffizi, pubblicati rtelPanno 1842, voi. VI, serie V. Torino, Speirani & Ferrerò, pag. 529 e segg. 136 A. F. MARCHISIO Ho detto che S. M. non aveva fissato il quantitativo della nuova monetazione. Di Villamarina, come da sua let- tera precedente all'editto (in data 14 agosto 1841), avrebbe voluto che si coniassero 6 milioni di pezze, di cui 2 milioni da 5 Cent.', 2 milioni da 3 Cent.' e 2 milioni da i centesimo. All'atto pratico risultò più conveniente scemare alquanto il numero di 2 milioni ciascuna per le pezze da 5 e da i cen- tesimo, e portare la diminuzione in aumento ai 2 milioni delle pezze da 3 Cent.'; e così fu eseguito, venendo a com- piere, con 37 coniazioni, tutta la stabilita monetazione, con un totale di pezze di poco inferiore ai 6 milioni consigliati, come si può riscontrare nel prospetto che qui avanti ri- porto (i). La prima coniazione porta la data 7 marzo 1843 6\ fab- bricazione; 7 marzo 1843 di emissione; 8 marzo 1843 di de- liberazione^ e fu per pezze da 5 Cent.', che uscirono quindi via via interpolate colle altre, partendo immediatamente per r isola cui erano destinate. Il cav. Eandi, lieto del conseguito intento, ne diede comunicazione al R. Segretario di Stato, con lettera 9 marzo 1843. La totale coniazione ebbe termine, con pezzi da i cen- tesimo, il I marzo 1844, come risulta da altra lettera del- l' Eandi, sotto la data corrispondente, e porta le date i marzo, I marzo e 20 marzo 1844, rispettivamente per la fabbrica- zione, emissione e deliberazione. Relativamente poche furono le pezze rifiutate, e l'unica data è il 1842 per tutte le monete. (i) Ecco, per chi ha vaghezza di conoscerlo, il preventivo di spese per detta monetazione : a) Aquisto del rame : Per ogni Cg L- 3>- Dazio per Cg „ 0,40 Trasporti e accessori, per Cg „ 0,10 Lavorazioni preliminari, per Cg , i, — Totale, per Cg. L. 4,50 b) Coniazione : Per ogni 5 Cg. di pezze da C 5 ... L. 0,32 V w M w w II » 3 • • • n *^>4*^ « n » » » n » ^ • • • Il 0,00. STUDI SULLA NUMISMATICA DI CASA SAVOIA 137 PROSPETTO GENERALE i Pezze da: Cent."-' 5 Cent."" 3 1 Cent."' 1 Valore I 12,289 614,45 2 — 17,270 — 518,10 3 — — 10,220 102,20 4 49, '7° — 2,458,50 5 — 37.580 1.127,40 6 — — 20.030 200,30 7 48,009 — — 2.400,45 8 — 36,161 — 1,084,83 9 — — 40,550 405,50 IO 30,388 — — 1.519,40 II — 68,985 — 2,069,55 12 — — 42,237 422,37 '3 106,272 — — 5-3«3.6o H — 167,713 — 5 "31,39 15 — — 124.737 ' -247.37 16 206,862 — 10,343,10 17 — 114,447 — 3,433,41 18 — — 94032 945,32 19 138,857 — 6,942,85 20 — 263,348 — 7,900,44 21 — ' 20,293 202,93 22 216,850 — — 10,842,50 23 — — 226,330 2,263,30 24 217,023 — — 10,851,15 25 — 409,694 — 12,290,82 26 — — 141,769 1,417,69 27 187,153 — — 9.357.65 28 — — 166,383 1.663.83 29 — 499,215 — 14,976,45 30 — — 167,347 1,673.47 31 — 385.587 — 11,567,61 3^ 3»7,o'9 — — 17,350,95 33 — 36.331 — 1,089,93 34 — — 656027 6,56527 35 285,204 — — 14,260,20 36 — 132,614 — 3.978,42 37 221,718 2,217,18 Totale N. 1,845,096 2,168,945 1.932,673 176,649,88 Ricapitolazione. Pezze da 5 Cent.' N. 1,845,096 =: L. 92,254,80 „ 3 „ „ 2,168,945 = „ 65,068,35 " » 1 » . 1,932,673 — , 19,326,73 Totale N. 5,946,714 =: L. 176,649,88 Torino, ij Dicembre iQog. A. F. Marchisio. UN " MEZZO GROSSO „ DI PAPA CLEMENTE XII Il 12 luglio 1730, dopo circa quattro mesi e mezzo di sede vacante, la Chiesa romana ebbe il suo pontefice nella persona del fiorentino Lorenzo Corsini, che prese il nome di Clemente XII. Il conclave apertosi il 3 marzo fu laboriosissimo ed assai agitato e basta leggere le corrispondenze che in quella oc- casione mandarono ai loro governi gli ambasciatori e gli inviati presso la corte papale per convincersi come nell'ele- zione del successore di Benedetto XII più che altro abbiano predominato gli intrighi, le astuzie, le sorde ire e gli inte- ressi dei componenti il sacro collegio e delle diverse po- tenze d'Europa. Clemente XII, salito al soglio pontificio perchè i cardi- nali divise da brighe, partiti ed antipatie non avevano potuto accordarsi su altro nome, non godè, anche pel fatto che fin da principio si circondò di prelati fiorentini, le simpatie dei cardinali e dell'alto clero e neppure quindi del popolo ro- mano legato in quei tempi da troppo vivi interessi con la curia pontificia. Il papa inoltre non solo volle intorno a sé fiorentini, ma li colmò anche di grandi benefici, il che non gli giovò davvero ad accattivarsi le simpatie dei romani, animati al- lora più che adesso da un forte e male inteso spirito di campanilismo. Tali antipatie, fomentate da chi ne aveva interesse, det- tero esca allo spirito satirico innato nel popolo romano ed una prova se ne ebbe nella seconda metà del 1739 in occa- sione dell'uscita dalla zecca di alcuni " mezzi grossi „ di papa Corsini. 140 AUGUSTO TELLUCCINI A Clemente XII in vero non riuscivano nuove simili manifestazioni ostili, già nel 1735 un'altra sua moneta aveva offerto l'occasione ad una pasquinata consistente, però, solo neir interpretazione satirica della leggenda del rovescio. In quest'ultimo anno erano infatti comparsi dei " giuli „ o "paoli,, recanti nel diritto la leggenda: CLEMENS XII P. M. AN. V. e per impronta il ritratto del papa col camauro, nel rovescio poi l'altra leggenda: A. A A. F. F. RESTITVTVM COMMERC. e per impronta una ghirlanda di lauro con ar. metta di monsignor Casoni, presidente della zecca pontificia. Quest'ultima leggenda, che va spiegata così: AVRÒ AR- GENTO AERE FLANDO FERIVNDO RESTITVTVM COMMERCIVM, e che secondo il Monti (i) devesi ritenere accennasse al gran numero delle monete battute sotto il papato di Clemente XII, fu dalla mordace lingua di Pasquino interpretata cosi: AVETE AVVTO ABBASTANZA FIORENTINI F (2). La satira, però, non andò oltre la sua espresssione verbale per quanto triviale. Lo scherzo venne ripetuto nel 1739 e questa volta in modo che ne restò traccia sopra alcuni dei " mezzi grossi „ usciti in quell'anno dalla zecca. Ecco la descrizione della moneta, secondo il Cinagli, della quale non ci è stato dato di prendere visione : V©' — CLEM. XII. P. M. A. IX. Nel campo arma inquartata di Bologna. I^ — NON EST PAX. In cartella (s). In verità il significato di questa seconda leggenda era un po' oscuro: nell'anno precedente il trattato di Vienna aveva posto fine alla guerra di successione di Polonia e quindi il motto parve per lo meno strano, avendo la moneta veduto la luce proprio in un momento in cui l'Europa go- deva di una certa tranquillità e pace. Sicché la leggenda, che secondo il Monti sarebbe stata tolta dal salmo XXXVII, 4 {Non est pax ossibus meis a facie (i) Monti Achille. Scritti in prosa ed in versi. Imola, 1882, II, 55. (2) Op, cit,, ibid. (3) Cinagli. Monete e medaglie pontificie. UN " MEZZO GROSSO » DI PAPA CLEMENTE XII I4I peccatorum nteortim) (i), fece sbizzarrire parecchio gli inter- preti. Ce lo attesta anche il Cancellieri (2), il quale tra l'altro dice che : " da' belli umori si fecero sopra questo motto cu- riose riflessioni „ ed accenna vagamente al fatto che tali monete vennero ritirate dalla circolazione, senza dirne, però, il motivo. Ora è chiaro che questo ritiro non potè aver luogo pel semplice fatto che il senso oscuro della leggenda aveva offerto materia di satira ; una ragione più seria dovè esserci stata e questa noi abbiamo rilevata sfogliando, per altri studi, la corrispondenza del rappresentante diplomatico del re di Sardegna a Roma. Rinvenimmo adunque una lettera (^3> che il conte di Ri- vera, ministro plenipotenziario presso la corte pontificia, scrisse il 15 agosto 1739 al segretario particolare di Carlo Ema- nuele III. La lettera accompagnata da un esemplare del " mezzo grosso „ in parola, informava che l'oscuro motto, dato l'at- trito esistente tra la curia pontificia ed il papa, non solo era (1) Monti. Op. cit., II, 74-75. (2) Cancellieri Francesco. Il mercato, il lago delf acqua vergine ed il Palazzo Panfiliatto nel Circo Agonale detto volgarmente Piazza Navona. Roma, MDCCCXI, pag. 122, nota. (3) Lettera del conte di Ri vera ministro plenipotenziario a Roma al De Caroli, segretario particolare di Carlo Emanuele III. Roma, 15 agosto 1739. " Dalla nuova battitura di queste zecche essendo usciti certi mezzi grossi col motto non est Pax, come vedrà dall' inchiuso che le mando nell'annessa cartuccia, alcuni malevoli avendo preso ad inferire dal sudetto motto che non vi sia pace tra questi Ministri di S. S. e nel Sagro Collegio, ed altri pili temerariamente a mettere dei punti tra la lettera P. e A. e la lettera A. e X. della parola PAX, ed a inter- pretare così tutto il motto non est Papa anno decimo. Si è presa qui la pessima risoluzione di dar a sì fatta inezia quella dote che non meritava, e di ritirare i sudetti mezzi grossi usciti nuovamente dalle zecche, il che ha fatto crescere di valore in modo che uno di detti mezzi grossi si cambia presentemente contro uno scudo anche tra i più volgari ed infimi della plebe, etcc. „. Lettere ministri. Roma, mazzo 193, Arch. Stato Torino. 142 AUGUSTO TELLUCCINI Stato interpretato nel senso che mancasse la pace fra i com- ponenti del sacro collegio e fra questi ed il pontefice, ma perfino che l'autorità di Clemente XII fosse sopraffatta dalle ingerenze della cricca fiorentina da cui era attorniato e di questa interpretazione sarebbero prova alcuni punti incavati fra le lettere della parola PAX, in modo che il motto tutto appariva così: NON EST P. A. X., ed era interpretato: non c'è papa nell'anno decimo, ossia che il papa c'è di nome, ma ha solo valore il volere dei fiorentini che lo circondano. Il conte di Rivera ci fa sapere che appunto questa al- terazione determinò l'ordine di ritirare le monete infirmate, il quale ritiro per oltre ne intensificò la ricerca, non solo da parte dei nemici che il papa contava nella curia e nell'ari- stocrazia romana ; ma anche da parte dei " più volgari ed infimi della plebe „ tanto che il loro valore andò crescendo fino a farle pagare uno " scudo „ ciascuna. Il ministro giustamente osserva che ad una simile inezia venne dato soverchio peso e noi, convenendo in ciò, non ci siamo indotti a parlarne per l'importanza della cosa in sé, ma pel semplice desiderio che, se taluno degli esemplari al- terati figura in qualche collezione numismatica, se ne sappia l'origine e la ragione storica. Agosto, 1909. Augusto Telluccini, VARIETÀ La medaglia d'oro a Camillo Boito, Luigi Cavena- ghi, Alfredo d'Andrade. — Fra le varie e belle medaglie incise l'anno scorso dallo Stabilimento Johnson sono riuscite elette per fattura e a noi doppiamente care per le persone onorate, in Milano, quelle decretate e per pubblica sotto- scrizione offerte in omaggio al grande architetto e maestro comm, Camillo Boito e al grande pittore Luigi Cavenaghi, restauratore, nel senso vero della parola, del Cenacolo Vin- ciano alle Grazie. Di quella all' illustre architetto Alfredo d'Andrade non abbiamo copie, ma abbiamo tratto la ripro- duzione dal medaglione fuso che Bistolfi e Calandra gli pre- pararono, imitando le prim.e medaglie italiane del Quattro- cento e del Cinquecento. La medaglia d'oro a Camillo Boito. — Il modello del ritratto fu eseguito dallo scultore Luigi Secchi, che vi im- presse la cara immagine in modo sapiente ed elegantissimo. Il rovescio non ha ornamenti, ma nella sua classica forma la semplice epigrafe dedicatoria, nella quale il prof. Francesco Novati riassunse i meriti e l'occasione della cerimonia. Il cav. Angelo Cappuccio curò l'incisione con la sua ben nota valentìa. 14 f VARIKTÀ Diametro, mill. 66. /^' — Busto di Camillo Boito di profilo a sinistra entro Torlo rialzato. Nel rilievo, in basso del busto, in carattere corsivo Ltagi Secchi. Più sotto, se- guendo l'orlo ondulato del busto, S. Johnson — A. C. INC. 1^ — Entro Torlo rialzato del tondo, eguale a quello del diritto, l'epigrafe in dodici linee: A [ CAMILLO boito ! architetto scrittore i maestro i nel xlviii anno | di qvel glorioso insegna- mento i che volente abbandona | discepoli | Amici Colleg-hi | divotamente | consa- crano XXI MARZO MCMIX — La medaglia d'oro poggiava sopra un magnifico dado di lapislazzuli con ornamenti floreali a cesello del Lomazzi, su disegno delTarch. Sommaruga, Essa fu offerta a Camillo Boito in una solenne cerimonia al Palazzo di Brera, che ebbe luogo il 21 marzo dell'anno scorso, nella quale, alla presenza delle Autorità, Tardi. Broggi, presidente del Comitato, il sen. Colombo, il prof. Vir- VARIETÀ 145 gilio Colombo parlarono dei meriti sommi del Boito come letterato, come architetto, come critico d'arte, ma soprattutto come maestro, il cui maggior titolo fu per ben quarantotto anni d'insegnamento quello di sviluppare nel miglior modo possibile le attitudini personali dei suoi allievi, lasciandoli poi liberi di seguire in arte quelle tendenze a cui ciascuno si sentiva preferibilmente chiamato. Pervenne al Boito in quell'occasione anche la meda- glia della Regina Margherita con la dedica : A Camillo Botto — architetto — onore deWarte italiana — Margherita di Savoia. La medaglia d'oro a Luigi Cavenaghi. — Per espri- mere in qualche modo tangibile l'ammirazione degli artisti e degli intendenti d'arte, per dare un segno duraturo di gratitudine di tutto il popolo colto, ma specialmente di quello milanese per la resurrezione abile e giudiziosa che il Cave- naghi fece del Cenacolo Vinciano, arrestandone l'agonia non solo delle squamette di colore cadente, ma anche di tutta la tonalità del colore, deperito e coperto di polvere e di muffa, un Comitato pensò di offrire al restauratore una gran me- daglia d*oro, che gli fu infatti presentata in una solenne e austera cerimonia del luglio scorso, nel Refettorio stesso delle Grazie, dove il Cavenaghi lavorò. Parlarono in quell'oc- casione il sen. Luca Beltrami e il sindaco comm. Bassano Gabba; rispose, modesto e schietto come sempre, il festeg- giato, ringraziando tutti per l'aiuto e l'incoraggiamento con- cessigli (i). La medaglia d'oro fu incisa nello Stabilimento Johnson e condotta a fine con cura speciale dal valente nostro cav. An- gelo Cappuccio. Il modello del diritto, che porta il busto (i) Fu in quell'occasione offerta al Cavenaghi anche una pergamena coi nomi di tutti i sottoscrittori. Più tardi, in autunno, l' Università Po- polare milanese nello stesso Refettorio, consegnò al Cavenaghi la sua sigla d'oro destinata ai benemeriti nelle lettere e nelle arti, e parlarono in suo onore il cons. prof. Ricchieri e il prof. Serafino Ricci. 19 146 VARIETÀ dell'artista, è stato eseguito dallo scultore Danielli, ed è somigliantissimo, più di quello che non appaia dalla ripro- duzione zincografica che qui si aggiunge. Sul rovescio, con felice pensiero, fu riprodotta esattamente una ghirlanda d'alloro e di frutta, quella che lo stesso Leo- nardo da Vinci dipinse nella piccola vela sopra la Cena, e la ghirlanda chiude un'epigrafe latina, incisiva nella sua bre- vità, che in certo qual modo proclama Luigi Cavenaghi sal- vatore del Cenacolo Vinciano. Diametro mill. 66. ^ — Nel campo, busto del prof. Luigi Cavenaghi a sin. Intorno, lungo l'orlo liscio, in latino, il nome e co- gnome: ALOYSIVS CAVENAGHI. ^ — In una corona di alloro, di palme, di frutta, stretta da nodi a intervalli, l'epigrafe latina in quattro linee: COENACVLO VINCIANO I AB INTERITV | EREPTO I AN • DOM • MDCCCCVIII. La data si riferisce alla fine dell'esecuzione del lavoro, sullo scorcio del 1908. Mai medaglia d'oro fu data per causa e per opera più VARIETÀ 147 degna. Infatti il Cavena^hi fece sul capolavoro del Leonardo vera opera di salvazione, e, come disse Luca Beltrami nel discorso d'onore, opera d'artista benedettino, ch'egli compì disinteressatamente, con trepida reverenza. In confronto dei precedenti restauratori, che usavano strati di colle sovra la pittura e poi ritoccavano, il Cavenaghi si è limitato a pas- sare dei fissativi sotto alle squame di colore rialzato, costrin- gendole a riaderire all'intonaco, impedendo così un'ulteriore polverizzazione del colore stesso, e quindi la morte definitiva del Cenacolo. Non avendo poi voluto aggiungere il benché minimo ritocco, che per lui sarebbe stata una profanazione, egli ha passato appena qualche leggera tinta a tempera nelle lacune di colore lasciate dalle croste cadute, ove era troppo visibile il crudo e stonante strato di intonaco bianco. Auguriamoci per noi, per l'Italia e per l'arte che la riacquistata vivezza di tutto il Cenacolo duri e si mantenga al grado confortante presente, mercè le cure assidue e vi- gilanti che al grande malato e il Cavenaghi stesso e i com- petenti e le autorità tutrici non risparmieranno né oggi, né mai! La medaglia cToro ad Alfredo d'Andrade. — L'anno scorso furono fatte solenni feste anche al grande architetto che ormai é torinese, se non di famiglia, di residenza e di adozione; e fu una vera festa dell'arte. Si trattava di rico- noscere con un pubblico omaggio il cinquantennio di opera d'artista e di architetto erudito, che prestò e che presta tut- tora Alfredo d'Andrade alla conservazione, allo studio, alla illustrazione dei monumenti nazionali, e specialmente pie- montesi. Perciò, per iniziativa di artisti e di archeologi del Pie- monte, si onorò degnamente lo strenuo difensore delle sue glorie artistiche e chi curò più di tutti la conservazione e il restauro delle rimanenti vestigie di un'epoca passata. Gli fu apposta in suo onore una lapide sulle mura di quel Castello di Fénis, che deve al d'Andrade il suo risorgere alla luce della storia e dell'arte, e gli si offerse una medaglia d'oro. Noi la riproduciamo qui da un calco, che devo alla gen- 148 VARIETÀ tilezza del mio chiaro amico dott. Rovere e alle cure della Società Piemontese di Archeologia e d'Arte in Torino, poiché di questa medaglia non si fecero né copie, né riproduzioni. Due artisti ammiratori e amici del d'Andrade, Leonardo Bistolfi e Davide Calandra, si accordarono per fare opera degna dell'artista, e vi riuscirono. La medaglia, che ha sul diritto il ritratto del d'Andrade, presenta sul rovescio una figura allegorica dell'arte cavalleresca nel periodo dei ca- stelli medioevali, una castellana del Castello di Fénis, la quale reca appunto sulle mani il modello di questo come fu restaurato dal d'Andrade. Diametro mill. 100. Testa di Alfredo d'Andrade a sin. In giro, ad arco, la leggenda: ALFREDO • DE • ANDRADE • PED • ET • VARIETÀ 149 LIG • MON • RESTITVTORI Neil' esergo, ad arco sotto il taglio del ritratto OPVS. L. BISTOLFI 1^ — Giovane donna in abito da castellana gradiente a sin., che reca sulle due mani il modellino d' un castello medioevale. Nel campo la data divisa 19 — 09 Sotto la prima parte della data, in due righe: OPVS- D • CALANDRA Sotto, una rosetta. La fine del nome (al genitivo CALANDR/E) è co- perto dalle vesti. I due artisti vollero rinnovare nella loro medaglia l'opera del Rinascimento, scegliendo il sistema della fusione per imi- tare maggiormente le medaghe italiane del Quattrocento e del Cinquecento. 150 VARIETÀ L'allusione del rovescio non poteva essere più oppor- tuna, poiché, oltre il restauro delle mura cesaree d'Aosta, della Casa del Senato di Pinerolo, della Porta Palatina di Torino, del Palazzo Madama, di San Michele alla Chiusa, oltre gli assaggi e gli studi del teatro romano di Torino, si sa che dobbiamo soprattutto ad Alfredo d'Andrade se giù, all'aprirsi della valle d'Aosta, ridono al sole gh affreschi di Fénis, di quel bel maniero medioevale d'arte nostra, e l'epi- scopale Castello di Pavone fiero inalza nuovamente le sue torri e il Castello di Verrès rammenta a noi non meno le pagine poetiche del Giacosa che l'opera intelligente e assidua dell'architetto-artista, innamorato dell'arte italiana e geloso delle sue glorie più pure. Serafino Ricci. La medaglia commemorativa del centenario di Ugo Foscolo a Pavia. — Togliamo dal Bollettino (n. io, 1909 ; n. 2, 1910) che, con l'appoggio del Comitato per le onoranze centenarie ad Ugo Foscolo, i signori cav. dott. Gerolamo Dell'Acqua e Mario Ghisio, segretario del Comitato stesso, hanno preso l'iniziativa e attendono all'attuazione del conio di una medaglia d'argento commemorativa del centenario della dimora e dell'insegnamento di Ugo Foscolo a Pavia. Oltrecchè dal lato artistico, questa medaglia interesserà notevolmente gli amatori numismatici, perchè, per benevolo consentimento del Municipio di Firenze, sarà riprodotta l'ef- figie del Foscolo, quale appare nel busto originale ch'egli aveva donato alla " donna gentile „, e che si conserva in Palazzo Vecchio a Firenze. Inoltre se ne conieranno 100 esemplari soltanto e il conio sarà donato al Civico Museo di storia patria di Pavia, appena ultimata la riproduzione delle cento medaglie. Ogni medaglia costa L. 12 per esemplare numerato. Ecco la prima lista dei sottoscrittori: Prof. Filippo Salveraglio, bibliotecario della R. Univer- sità] di Pavia. — Prof. dott. Serafino Ricci, direttore del R. Museo Numismatico di Brera. — Ing. Carlo Clerici, Mi- lano. — Sig. Ettore Scarpa, Treviso. — Sig. Francesco Re, Pavia. — Comm. Federico Johnson, Milano. — Sig. Edoardo VARIETÀ 151 Mattoi, Milano. — Conte Antonio Cavagna Sangiuliani, Pavia. — R. Galleria, Museo e Medagliere estense, Modena. — Cav. Antonio Sellenati, Genova. — Conte cav. Filippo Sa- limbeni, direttore del Museo Civico di Modena. — Avv. Carlo Belli, Pavia. — Adrien Blanchet, direttore della Revue Nu- mismatique, Parigi. — Avv. Giuseppe Maselli-Campagna, Bari delle Puglie. — Franz Toply v. Hohenvest, Gratz (Austria). — Museo Civico di storia e d'arte, Trieste. — Civico Museo Ala Ponzone, Cremona. — N. J. de Liwan y Hendra, direttore del Gabinetto Numismatico di Madrid. — Museo Leone, Vercelli. — Maggiore Raffaello Mondini, Pa- lermo. — Cav. dott. Giovanni Poggi, direttore del R. Museo Nazionale, Firenze. — Dott. C. Domanig, conservatore delle " Kunsthistorische Sammlungen „ della Casa Imp. di Vienna. — Società Pavese di Storia Patria, Pavia. — Comm. Fer- dinando Comotto, direttore capo divisione al Ministero della Real Casa, Roma. — Sig. Marcello Migone, Genova. — Prof. On. Roberto Rampoldi, deputato al Parlamento, Pavia. — Prof. Rocco Cantoni, Milano. — R. Medagliere Nazionale di Brera, Milano. Salone internazionale per la Medaglia alT Esposi- zione internazionale e universale di Bruxelles nel 1910. — Nel gruppo II delle Belle Arti all'Esposizione di Bruxelles, nella classe 9.^, che comprende la incisione in medaglie, fu or- ganizzata una sezione speciale internazionale riservata agli artisti medaglisti. Fu incaricato specialmente il barone Al- fonso de Witte, in collaborazione con il sig. C. Buls, quali presidenti della Società olandese-belga degli Amici della me- daglia artistica^ di compilare il Regolamento e di prendere gli accordi opportuni con il Comitato esecutivo dell'Espo- sizione internazionale: essi si aggregarono come segretario il sig. V. Tourneur, della direzione del Medagliere annesso alla R. Biblioteca del Belgio. Riferiamo qui per esteso la circolare di invito con le norme opportune per la spedizione e la collocazione delle medaglie che si desidera di esporre: I. — L'exposition generale des Beaux-Arts, installée dans les salles et galeries du Palais du Cinquantenaire, s'ouvrira vers le i** Mal 1910 et sera clòturée vers le 15 novembre suivaat. 152 VARIETÀ 2. — Le compartiment attribué à la médaille comporterà trois salles contigiies aux sections FrarKjaise et Belge. 3. — Cette exposition speciale sera soumise à toutes les disposi- tions arrétées pour l'aménagement et la surveillance diurne et nocturne de l'ensemble de l'exposition. Les salles avec tentures, tapis, velums, etc, seront mises gratuite- ment à la disposilion des exposants. Les exposants devront piacer leurs médailles dans des cadres vitrés, destinés à étre suspendus aux parois des salles. 4. — Aucune commission ne sera per^ue sur le montant des ventes d'oeuvres d'art. Les prix des objets pourront étre indiqués au secréta- riat qui les communiquera aux amateurs éventuels et prétera ses bons offices pour la conclusion des transactions. 5. — Le gouvernement belge accorde la gratuite de transport aller et retour aux ceuvres des artistes belges. Tous les colis destinés à la sec- tion de la médaille, munis d'étiquettes spéciales délivrées par le secré- tariat seront adressés à M. Lambotte, commissarie adjoint du groupe li. Ils devront parvenir au Ministère des Sciences et des Arts avant le 15 avril 1910. La commission de l'exposition assumerà la réexpédition des envois individuels et prendra à sa charge les frais de réemballage et de tran- sport de ceuxci. 6. — Les envois seront annoncés par un bulietin dressé au moyen des formules fournies aux intéressés. Celle-ci devront étre renvoyées à M. A. DE Witte, 55, rue du Tròne, à Bruxelles, avant le 15 mars 1910. 7. — Les exposants de la section de la Médaille participeront aux récompenses générales de l'exposition. Des jurés effectifs et suppléants seront désignés spécialement pour la classe de gravure en médailles, tant par le Gouvernement Belge que par les Gouvernements étrangers, proportionellement au nonibre des exposants. Il sera mis à la disposition du Jury International des Beaux-Arts, délibérant en séance plénière, cinq médailles d'or d'une valeur intrin- sèque de deux mille francs chacune, qui seront décernées aux auteurs des oeuvres les plus remarquables dans les quatre classes indifférem- ment: peinture, gravure, scuipture et gravure en médailles, architecture. Les jurys de cliaque classe décerneront ensuite des médailles d'argent et de bronze. 8. — Les artistes exposants ayant accepté les fonctions de mem- bres du Jury seront mis hors concours. A titre exceptionnel et sur la demande de leurs commissaires, des exposants ou des compartiments entiers pourront étre déclarés hors concours par décision du Commissaire belge pour les Beaux-Arts. Les demandes de mise hors concours devront étre déposées avant le commencement des opérations du Jury. La mise hors concours sera formulée dans les termes suivants: " Hors concours, non participant aux récompenses „. VARIETÀ 153 Les artistes exposants auront droit à une carte d'entrée person- nelle et gratuite valable pour la section des Beaux-Arts pendant toute la durée de l'Exposition. Cette carte sera munie de la photographie du porteur ainsi que de sa signature. Elle devra ètre exhibée à toute ré- quisition. Les exposants artistes du Groupe II et les membres des Jurys de celui-ci obtiendront, sur présentation de leur carte permanente délivrée par le Commissariat des Beaux-Arts, libre entrée à l'Exposition du Solbosch. 9. — Le Gouvernement belge ni le conseil d'administration de la Société anonyme de l'Exposition de Bruxelles ne pourront ètre rendus responsables d'aucune avarie, accident ou voi dont les objets exposés pourraient avoir à souffrir. 11 est d'ailleurs loisible aux exposants de faire assurer leurs oeuvres directement et à leurs frais. 10. — Le Commissariat décline toute responsabilité en ce qui con- cerne les erreurs ou omissions qui pourraient ètre commises au catalogne. 11. — Les artistes, par le seul fait de l'admission de leurs oeuvres à l'Exposition, adhèrent sans réserve au règlement ainsi qu'aux dispo- sitions et mesures d'ordre qui pourraient ètre promulguées ultérieure- ment. Bruxelles, le 15 Janvier iqio. Le Commissaire, du Groupe II E. VERLANT. Le Commissaire adjoint, du Groupe II P. LAMBOTTE. Ripostiglio di Garlasco. — Nei mesi scorsi giunse alla Sovraintendenza archeologica di Pavia, e per mezzo della Prefettura di Pavia al Medagliere Nazionale di Brera^ un tesoretto di 131 pezzi d'oro e d'argento rinvenuti a Gar- lasco (Lomellina), Esaminati dalla Direzione del Medagliere, si riconobbe constare delle seguenti monete : Monete d'oro : i zecchino del doge Pietro Gradenigo (1289-1311) e due genovini del periodo di Corrado imperatore; Monete (inargento : i grosso, o matapan, di Giovanni Dandolo (1280-89), i di M. Morosini (1249-53), ^ ^i Pietro Gradenigo (1289-1311), i denaro di Cremona con S. Imerio (II Repubblica) e i di Parma, comune, con S. Ilario, i sca- ligero di Verona (1259-1329), i grosso di Pisa, sotto l'Im- peratore, 2 fiorini di Firenze, i soldo o ambrosino della i.^ Repubblica di Milano, un quarto di tornese, 7 tornesi di 154 VARIETÀ Filippo il Bello, 3 tirolini del conte Mainardo e 2 denari di Costanza di Sicilia. Inoltre s'aggiungeva un gruppo di ben cento grossi e denari corrosi dal tempo, e quasi indecifrabili, di Milano, Pia- cenza, Cremona, Pavia e di altri comuni medioevali del pe- riodo di Enrico VII fino a Comune libero inoltrato. La metà del ritrovamento, che spettava allo Stato, fu dall'On. Dire- zione delle Antichità e B. Arti, donata alle collezioni del Museo Numismatico di Milano e l'altra metà fu dalla Dire- zione stessa del Museo acquistata, affinchè non andasse di- spersa, togliendo ogni pregio topografico, archeologico e numismatico al ripostiglio. Un tesoretto di monete medioevali e moderne fu rinvenuto a Pandino (Crema), e consta di ventisei monete d'oro italiane, molto ben conservate, di cui alcuna note- vole, e più di duecento monete d'argento. Non sono state ancora classificate e ne riparleremo. Il Museo di Lodi fece domanda per poterle acquistare ed esporre poi a incremento della collezione numismatica locale. Tesoretto rinvenuto a Carpionano. — Per opera della Sovraintendenza archeologica e della Prefettura di Pavia si cercò, a mezzo dei Carabinieri di Carpignano e di Torre del Mangano, di reintegrare il tesoretto colà rinvenuto e contenente, oltre molti oggetti antichi di oreficeria, anche varie monete. Vennero ritirati presso il Gabinetto Archeolo- gico dell'Università un cerchio in filo d'oro, un anello d'oro con monogramma, un anello d'oro con inciso un piccolo or- nato, un anello d'oro con incisa una piccola testa e con questi oggetti due solidi d'oro d'Onorio, e tre semisolidi, pure d'oro, di Onorio. Altre tredici monete, che non furono finora identificate, e tutte d'oro, sono state ritirate da vari privati, che si erano divisi fra loro il contenuto del tesoretto. Daremo particolari maggiori non appena li riceveremo. S. Ricci. VARIETÀ 155 Per i raccoglitori di carta-moneta. — Dall'egregio numismatico, sig. Giorgio Pflumer di Hameln, riceviamo un appello a favore di un genere di collezione, che pure meri- terebbe l'attenzione dei raccoglitori, ma che da noi fu pur troppo sempre trascurato, quello della cartamoneta. Di questo articoletto, che fu già pubblicato in varii periodici esteri, diamo volontieri una libera traduzione, nella fiducia ch'esso possa ottenere quei risultati che l'autore si ripromette. * Già da oltre trent'anni, l'ora defunto sig. L. Clericus, di Magdeburgo, assiduo raccoglitore di cartamoneta, aveva col mezzo di energici articoli pubblicati in varii periodici, tentato di far rivolgere l'attenzione degli amatori su questo genere di collezione pur troppo caduto in dimenticanza, quantunque si tratti di documenti della più alta importanza storica, politica ed economica. Ma quei suoi appelli rimasero finora pressoché inascoltati e non riuscirono a far nascere dell'interesse intorno a questo ramo della numismatica. Vi sono tuttora pochi raccoglitori, i quali sono riusciti a metter insieme un' importante collezione di carta-moneta, riordinata e classificata con metodo scientifico. Per poter riunire questi raccoglitori in stretta relazione e rendere poi possibile fra loro il commercio e il cambio, sarebbe forse opportuno che essi formassero una specie di associazione per potersi affia- tare fra loro, tutelare i loro interessi, ed esercitare in una cerchia più vasta la loro propaganda, allo scopo di dar mag- gior impulso a questa loro specialità. Così le loro collezioni ne avrebbero un sensibile incremento, e in sèguito a ciò l'interesse dei negozianti comincerebbe a rivolgersi anche a questo genere finora trascurato. " Quando si considerano, a mo* d' esempio, la carta- moneta emessa sotto Law al tempo di Luigi XY in Francia, gli assegnati sotto Luigi XVI e le altre emissioni consimili {Bons des Communes) al tempo della Rivoluzione, quelle della invasione in Olanda sotto Pichegru e delle varie rivo- luzioni della Polonia, la carta-moneta di necessità emessa dall'Italia e dall'Ungheria al tempo di Garibaldi e di Kossuth, quella di Magonza, Colberg, Erfurt, i prestiti forzosi italiani ed austriaci del 1848 e del 1870, gli antichi biglietti americani 156 VARIETÀ sotto la dominazione inglese nel secolo decimottavo e al tempo della guerra del 1864, nonché quelli della repubblica dell'America del Sud, della Spagna, del Portogallo, ecc., di leggieri si comprende quanto una tale collezione possa es- sere interessante e della più grande importanza sotto l'aspetto storico. " Se questo appello fosse accolto favorevolmente dai rac- coglitori di cartamoneta, mi sarebbe caro averne da loro qualche comunicazione, e questo per addivenire, se possibile, alla progettata Associazione, che potrebbe far fiorire e pro- sperare questo nuovo genere di collezione. * Giorgio PflìImer „. Ci permettiamo di aggiungere che il Bollettino di Nu- mismatica e di Arte della Medaglia si occupò qualche volta della cartamoneta in Italia, pubblicando lavori del socio sig. Isaia Volontà di Milano. Anche la Rivista pubblicò un lavoro del Volontè nel fascicolo-omaggio in onore di Solone Ambrosoli (a. XXI, 1908) sulla Carta-moneta italiana. Vendita Erbstein. — Il giorno 18 prossimo aprile avrà principio a Francoforte sul Meno, presso la Casa Adolf Hess Nachfolger (Mainzer Landstrasse 49), la vendita al pubblico incanto della quarta parte della gran collezione numismatica del Cons." Julius Erbstein di Dresda. Questa serie conterrà circa mille numeri di monete italiane, con parecchie rarità. Finito di stampare il 25 marzo 1910. Achille Martelli, Gerente responsabile. FASCICOLO II. IL MEDAGLIONE D'AGRIGENTO (TAVOLA IV). Nel numero di febbraio 1908 del periodico ar- tistico di Parigi Le Musée {Bulletin Numismatiqiie)^ il dott. A. Sambon pubblicava un articolo nel quale, giudicando da alcuni esemplari falsi , metteva in dubbio l'autenticità di tutti gli esemplari conosciuti del decadramma di Agrigento. 11 signor E. J. Seltman rispondeva nello stesso giornale sostenendo l'autenticità dell'esemplare di Monaco, e l'articolo veniva riprodotto nel fase. IV della Niimismatic Chronicle del 1909. Crediamo utile farlo conoscere anche ai lettori della nostra Rivista, tanto più che all'articolo primitivo ora venne fatta un'aggiunta dall'autore stesso in seguito all'impronta avuta dell'esemplare del Barone Pennisi di Fioristella. Onde meglio comprenda la questione chi ne è digiuno, facciamo precedere in lingua originale il testo dell'articolo Sambon che diede luogo alla po- lemica, poi segue la risposta di Seltman e la nuova aggiunta voltata in italiano dal testo inglese. La Direzione. l6o E. J. SELTMAN Dal Giornale Le Musée (BuUetin Numìstnatique), feb- braio 1C108, pag. p e IO. Plusieurs auteurs croient à l'authenticité des décadrachmes d'Agrigente, et il nous faut rappeler, à propos de ces pièces, ringénieuse hypothèse de RI. T. Reinach : enchàssées au centra de coupes d'argent, leur legende, AKPArAI, aurait fait eroine à Pline qu'un artiste Acragas avait ciselé des coupes d'argent. Mais tous ces décadrachmes nous paraissent une création du commencement du XVIIl^ siècle ; aucun ne pro- vient d'une trouvaille connue et leur dessin offre des détails bizarres ; le quadrige du revers, semblable à celui d'un té- tradrachme d'Agrigent de la collection de Luynes (comparez aussi une monnaie de Gela), est libre dans l'espace au lieu de poser sur la ligne de l'exergue; l'action des chevaux est d'une violence affectée et la disposition des jambes dé- fectueuse ; la position du char est irréelle et méme une partie du char n'existe pas ; l'aurige pose sur l'axe des roues et son manteau est enroulé en guise d'écharpe ; le crabe mal dessiné semble fuir l'approche du quadrige vieto- rieux ; Tinscription est écrite d'une fa9on hésitante; le lièvre que les aigles déchirent repose sur un rocher qui a un aspect de linge froissé. Il existe quatre exemplaires de cette pièce. L'un d'eux au Cabinet de Munich depuis 1845 (ancienne collection Longo) est cité dans tous les ouvrages ; un autre, au Cabinet de France, est celui qui a servi de modèle à Becker; comme sur les monnaies de ce faussaire, on y lit la legende XKPAPAI; le troisième, dans la collection Pennisi (poids : 43 gr. 15) est une légère variété de la pièce précédente, ayant AKPATAI au lieu de XKPAPAZ et serait refrappé sur un décadrachme antérieur (le Démarétion ?) ; le quatrième, au Cabinet de France depuis 1826, d'un dessin très mediocre, est manifes- tement faux. A. Sambon. IL MEDAGLIONE d'aGRIGENTO i6i Dalla Numismatic Chrooicle, igop, pag )^j e segg. Incomincerò dicendo che io ho sempre creduto all'autenti- cità della moneta di Monaco (n. i) e che vi credo più che mai. Delle altre io non conosco che le due di Parigi e sono con Lei d'accordo nel ritenerle false. L'una di esse, benché sia coniata (n. 3), è di fabbrica così grossolana, che facilmente si giudica l'opera di un falsificatore. L'altra (n. 2) è fusa su di un esem- plare genuino ora sconosciuto, o forse perduto, e posso ag- giungere che poco tempo fa, ho inteso da un esperto cono- scitore, l'esistenza di un altro medaglione d'Agrigento, quan- tunque egli non abbia creduto dirmi il nome del possessore. Ella mi ha osservato che condannare la moneta di Pa- rigi vuol dire condannare anche quella di Monaco, perchè il lato della quadriga è prodotto dal medesimo conio in am- bedue ; e che solamente la prima era stata coniata colla leg- genda errata XKPAfAZ. e la seconda col conio corretto. Quando in seguito esaminai l'esemplare di Parigi, fui colpito dalla sua losca apparenza, cosi poco rassicurante che mi la- sciava assai perplesso. Il supposto X piuttosto che una let- tera mi sembrava una sbavatura della fusione, quasi come l'apparente A dietro la testa dell'auriga. Quando ebbi a mia disposizione un'impronta della moneta, potei assicurarmi, mediante accurato confronto coH'impronta di Monaco, che il decadramma parigino — se coniato — deve essere stato prodotto dal medesimo conio dell'altro. Misurai allora accu- ratamente con un compasso le distanze fra certi punti nelle due monete, e questo ne fu il risultato : Monaco Parigi (Tav. IV, n. lì (Tav. IV, n. 2) Dalla punta del becco dell'aquila alla punta dell' artiglio diritto del granchio mill. 31,5 mill. 30,7 Dalla punta del naso dell' auriga a quella dell'unghia destra del primo cavallo mill. 28,2 mill. 27,5 Dalla punta dell'orecchio del ca- vallo di destra alla radice della coda di quello di sinistra . . mill. 28,5 mill. 27,8 l62 E. J. SELTMAN E la prova si può ripetere sulle riproduzioni nella ta- vola IV. Non v'ha quindi ombra di dubbio che l'esemplare di Parigi è fuso, e il metallo s'è ristretto nel raffreddarsi. Ma per ritornare alla moneta del Museo di Monaco, ri- guardo al suo aspetto generale, io asserisco che essa accon- tenta ogni esigenza. Sia l'orlo che il tondino mi appaiono perfetti sotto ogni riguardo. I caratteri pure sono ben defi- niti e taglienti come debbono essere. La seconda lettera della leggenda venne accidentalmente collocata un poco più bassa delle altre dall'incisore; ma è supponibile che un fal- sificatore l'avesse così collocata per evitare il sospetto? Una considerevole parte della superficie è coperta da una fina e dura patina d'ossidazione di un grigio delicato, e una si- mile patina io non l'ho mai vista su di una moneta falsa. In tutti i casi di imitazione che mi sono capitati, o il pezzo era coperto di una ruvida crosta, oppure la patina era su- perficiale e facilmente intaccabile. Sulla moneta di Monaco furono prese, a quanto m'assicura il Direttore della Colle- zione Reale, molte impronte nel corso dei parecchi anni nei quali essa fu uno dei principali ornamenti del Museo bava- rese, e la patina rimane sempre intatta. La sua genuinità è poi provata da un'altra circostanza, quantunque apparente- mente leggera. In un punto, in cima all'ala dell' aquila più vicina la superficie fu corrosa e si ruppe. Il piccolo buco così prodotto offre la forma delicatamente tagliente e con- vincentemente irregolare che risulta da un lento processo naturale, non da un mezzo artificiale. Sfortunatamente riesce ottuso anche nella migliore impronta. Permetta ora che mi riferisca al confronto dello stile con qualche altra moneta della zecca d'Agrigento. Le ec- cellenti riproduzioni nelle " Monete dell'antica Sicilia „ di Hill possono servire allo scopo. Nella tavola VII di quel- l'opera troviamo due tetradrammi n. 17 e 18 (n. 4 e 5), del medesimo periodo. Il secondo col nome di Stratone ha il tipo delle due aquile come il nostro medaglione. Il disegno e il lavoro sono eguali in ambedue, solo che la roccia sotto il lepre ha una forma più allungata nella moneta più pic- cola. Le aquile a prima vista appaiono un po' meno delica- tamente disegnate e finite nella moneta più grande, ma, os- IL MEDAGLIONE d'aGRIGENTO 163 servando accuratamente, ci si accorge che tale impressione non proviene che dalle maggiori proporzioni, e usando una lente che ingrandisca il tetradramma alla misura del deca- dramma il lavoro sembra identico sulle due monete. Forse si è ecceduto nel valutare la bellezza di questo disegno. Al- meno io debbo confessare una preferenza pel tipo di una aquila sola come p. es. nella tavola VII di Hill, n. i6 (n. 6). Guardando alla figura di AKPArAZ nell'altro lato della mo- neta, io mi sento immediatamente colpito dalla estrema so- miglianza delle sue fattezze con quelle dell'auriga nella mo- neta n. 5 e riconosco le medesime sembianze nello Scilla dell'altra moneta n. 4. Possiamo noi attribuire tutto ciò al semplice caso? O dobbiamo invece concludere che questi tre conii furono fatti dal medesimo artista? Ella ha supposto che questo medaglione può essere il lavoro di un incisore di duecento anni fa. Esso potrebbe, così, dopo d'essere stato svolto come una concezione origi- nale, essere stato fatto senza la diretta intenzione d'ingan- nare. Ma a ciò vi sarebbe naturalmente l'obbiezione del peso che è quello di un decadramma attico, ossia di un pezzo di 50 litre. Questa considerazione mi porta all'aspetto dell'evi- denza interna in favore del medaglione, e mi permetta al- cune osservazioni sotto questo punto di vista. Io mi sono arbitrato di asserire che non sono estrema- mente impressionato del merito artistico del gruppo delle aquile ; ma ammiro tuttavia il disegno della quadriga. Infatti io non ricordo altra moneta nella quale il soggetto della corsa sia trattato con eguale potenza e verità. Su monete più piccole i disegni di carri in corsa, per la incessante ri- petizione, diventano quasi convenzionali. E del resto il pic- colo campo doveva essere d'ostacolo ai disegnatori per un soggetto cosi complicato. V'è però un certo numero di mo- nete del buon periodo che mostra, quantunque meno perfet- tamente, la caratteristica movenza del voltare dei cavalli. Per rendere più chiaro il mio pensiero, mi permetta di toc- care alcuni punti elementari onde mettere meglio sotto gli occhi dei lettori come un greco auriga guidava il suo * tiro a quattro „. Gli antichi, per quanto ne sappiamo, non conoscevano 164 E. J. SELTMAN il sistema di riunire diverse redini in una sola. Ma le loro redini, erano più corte e più leggere di quelle di un '' tiro a quattro „ moderno, coi cavalli appaiati due a due, e il conduttore aveva ambedue le mani piene dacché doveva te- nere quattro redini in ciascuna. Nella sinistra teneva le quattro corrispondenti al lato sinistro del morso, le altre nella de- stra. Così le redini, eccettuate le due estreme, si incrocia- vano l'una l'altra, come appare dal seguente disegno. 4." Cavallo 3." Cavallo 2." Cavallo ' ," Cavallo L'impulso naturale sarà stato, io suppongo, di prendere dapprima le redini sinistre nella mano sinistra e sopra queste le altre nella mano destra. Ciò avveniva al momento che il conduttore saliva sul carro, il quale, quando lo sport era al- tamente sviluppato, doveva essere costrutto con tutti i requi- siti per la leggerezza, la mobilità e la speditezza, col solo posto pei piedi del guidatore e un punto d'appoggio per le ginocchia. Essendo tanto piccolo e leggero, per chi guardava di fronte rimaneva nascosto dai cavalli, come appare dalla nostra moneta e difatti soltanto due o tre leggere curve ac- cennano al carro. Raccolte le redini, l'auriga prende la sua posa nel carro e trova il suo equilibrio. Con quattro redini in ciascuna mano è naturale che non possa maneggiare una frusta. Al segnale, dà la voce ai cavalli, scuote le redini e il carro parte. Non sarà certamente stato facile mantenere l'equilibrio durante la corsa, avendo un così piccolo punto d'appoggio, e l'antico auriga può paragonarsi al cavallerizzo da circo, che galoppa guidando due cavalli, sui quali sta, con un piede su ciascuno. Il punto più difficile è quello della vol- tata, momento scelto dal nostro incisore. Finché cammi- IL MEDAGLIONE d' AGRIGENTO 165 nava diritto l'auriga non aveva che tenere le sue mani di- stese ; ma ora sta voltando a sinistra, e la voltata doveva essere comandata da una curva dalla mano sinistra girata verso destra colle quattro redini sinistre, fino al punto da raggiungere il braccio destro. Il cavallo di sinistra avrebbe sentita la chiamata più forte, gli altri mano mano più de- bolmente, e il tirare della mano sinistra sarebbe necessa- riamente stato assecondato dal cedere della destra. Tutto questo è appunto quello che è mostrato nella moneta e credo impossibile fissare meglio e più evidente- mente in una miniatura il movimentato particolare. Quanto alla mancanza della linea convenzionale sotto i cavalli e il carro, a me sembra che l'artista ebbe ragione di ometterla. L'illusione della voltata sarebbe stato guastato da una linea orizzontale. Mi pare infine che vi sia un'altra e più intima signifi- cazione di questo tipo, perchè, precisamente come la dea MEZZANA e l'eroe TAPAZ simbolizzano la Repubblica sulle mo- nete delle rispettive città, così il giovane AKPAPAZ (Lessico della Mitologia di Roscher, voi. I, pag. 213) adorato nella sua città come figlio di Giove e di una ninfa del mare — come indica l'aquila al disopra di lui e il granchio di mare al disotto — rappresenta lo stato e i suoi cittadini. Il tipo in tal modo sembra rappresentare la glorifica- zione della comunità, l'apoteosi dello stato. Ma AKPAFAZ è nominato di passaggio da soli due autori poco conosciuti e meno letti, Stefano Bizantino e Eliano Retore ; quindi la possibilità di una falsificazione, sia pure di duecento, ovvero più anni sono, colla concezione di un fatto tanto intimo, mi sembra esclusa. Il dott. Habich di Monaco ultimamente fece una notevole conferenza riferendosi sotto diversi punti di vista al tipo come " Epifanio „ del figlio del Cielo e del Mare. E. J. Seltman. r66 E. J. SELTMAN APPENDICE Un^ altro Medaglione autentico d'Agrigento. Posteriormente alla pubblicazione qui sopra, per la gen- tile intromissione del comm. Francesco Gnecchi, ho potuto avere l'impronta del Medaglione appartenente alla collezione del Barone Pennisi di Fioristella, Previamente il proprietario mi aveva favorito la fotografia di questo e di altro meda- glione da lui posseduti. In uno di questi esemplari, rico- nobbi una seconda riproduzione della falsificazione del n. 3 della nostra tavola. Mandai le fotografie al Conservatore del Gabinetto di Monaco ed esse furono riprodotte nella Blàtter fur Mùnzfreunde (i). Quando feci la spedizione a Monaco espressi la mia opinione, che, quantunque uno dei Medaglioni fosse falso, l'altro mi sembrava genuino, e la mia impressione fu fortu- natamente corroborata dall' impronta della moneta. Questo pezzo, da molti anni nella collezione Pennisi, fu per la prima volta pubblicato dal prof. A. Salinas (2). Tutti i numismatici e specialmente quelli d'Italia, saranno soddisfatti vedendo che la sua autenticità deve essere stabilita al pari di quella dell'esemplare di Monaco. Non è necessario ripetere gli argomenti già noti ; ma non saranno fuori di luogo alcune nuove osservazioni. È stato detto che il decadramma del Barone Pennisi fu riconiato su di un decadramma anteriore, forse sopra yn " Demareteion „ (3). Per quanto io possa giudicare dall'impronta, non inclino a credere che esso sia riconiato. Si vedono alcune striature nel campo; ma null'altro, e queste sono di solito dovute ad altre cause. D'altronde, nel caso lo si volesse supporre falso, (i) Febbraio 1910, pag. 4373. (2) Le monete delle antiche Città della Sicilia, tav. Vili, n. 6. (3) Le Musée (Bulletin Numismatique), febbraio 1908, pag. io. IL MEDAGLIONE d' AGRIGENTO 167 sarebbe difficile ammettere che un falsificatore avesse vo- luto usare allo scopo un pezzo così raro come un " De- mareteion „. 10 ho ammesso che il lato della quadriga è identico nell'esemplare di Monaco ^e in uno di quelli di Parigi (vedi n. 2); solo che questo si è un poco ristretto in seguito alla fusione. II medesimo lato della quadriga è parimenti identico in quello di Monaco e in quello Pennisi ; ma, ambedue es- sendo coniati, le distanze tra diversi punti nelle due monete sono, come me ne sono accertato colla massima cura, esat- tamente le stesse. 11 lato delle aquile nelle due monete è prodotto da conio differente ; ma qui l'esemplare Pennisi concorda con quello di Parigi, colla riserva che quest'ultimo presenta ancora il proporzionale restringimento come sull'altro lato. Cosi: N. 7 PeoDisi N. 2 Parigi Dall'occhio dell'aquila più vicina al naso del lepre mill. 27,7 mill. 26,5 Dalla cima dell'ala sinistra del- l'aquila più lontana all'estremità della coda dell'altra aquila . . mill. 33.5 mill. 32,— Dalla base del rostro dell'aquila più lontana all'articulazione della gamba destra del grillo . , . mill. 24.5 mill. 23,3 I due soli esemplari genuini finora conosciuti sono dun- que stati prodotti da tre conii differenti, ossia dal medesimo diritto e da due rovesci. L'esemplare di Parigi (n. 2) è fuso su di un originale proveniente dai conii di quello Pennisi (n. 7). Ora sarebbe in- teressante sapere : Dove si trovi il terzo medaglione genuino. E. J. Seltman. Intorno a due bronzi semionciali da restituirsi alla gente Rubria -B* — Testa di Ercole barbato, cinta di diadema, volta a sin., con clava prominente sul collo ; sopra la clava, nota S del Semis. 9 — Cerbero tricipite gradiente a dr., con la coda ter- minante in testa di dragone; sotto, RVB. Il tutto dentro circolo periato. (AE., mm, 22, gr. 5,81). Il primo a pubblicare questa moneta fu il Se- stini, il quale la descrisse cosi: ^ — Caput Plutonis barbatum, laureatum, pone S. ^ — MARVB (littera MA in nexu) ; nota semissis S (i). Egli la conobbe, per comunicazione avutane dal Millingen, sopra un esemplare frusto; e ritenne do- (i) Sestini D. Classes generaUs. Edit. 2.» Florentiae, MDCCCXXI, pag. 12; — Id. Descriz. di molte medaglie antiche greche esist. in più musei, ecc. Firenze 1829, pag. 3 e tav. I, n. 7. 170 GIOVANNI PANSA versi attribuire a Marrubium^ capitale dei Marsi, si- tuata sulla sponda orientale del Lago Fucino. Ebbe anche notizia di un'altra moneta analoga del Museo Chaudoir, in cui ravvisò la clava prominente sul collo, mentre al posto di Cerbero credette scorgere un grifo (^). Il Millingen nell' esemplare da lui posseduto, il fort mal conservée »», e comunicato al Sestini, af- fermò d'avere osservato un punto davanti a RVB, preceduto da un vestigio di lettera; ma non bastan- dogli l'animo di assicurare una leggenda a quel modo, propose semplicemente che dovesse riscontrarvisi il nome d'un magistrato della famiglia Rubria (2). Tale proposta ebbe conferma da un tipo analogo della collezione De Luynes, ricordato anche dal Garrucci, in cui questi lesse nettamente RVB in campo liscio, senza antecedente prenome (3). Però lo stesso Gar- rucci aveva altra volta rimproverato al Sestini d'aver confusa la nota S con quello ch'egli reputava il lem- nisco del diadema ; inoltre sull'esemplare del Kir- cheriano, oggi non più esistente, aveva creduto rav- visare con tutta chiarezza la lettera C- davanti a RVB ; « et C- litteram habet ante RVB sat dare expres- sam n (4). L' Imhoof-Blumer, in precedenza del Garrucci, aveva pubblicata la stessa moneta da lui posseduta (AE. 21 milL, gr. 5,90) con le sole lettere RVB nel- l'esergo (s); e tale leggenda oggi si può dire con- ci) Descriz., ivi. (2) Millingen J. Considerai, sur la Numism. de l'ancien Italie. Flo- rence, 1841, pag. 233. (3) Garrucci. Le monete dell'Italia antica. P. II, pagina 59, ta- vola LXXVII, 2. (4) Garrucci. Sylloge Inscr. latin. Augustae-Taurin. MDCCCLXXVII, pag. 139. — Id. Le monete, ecc., loc. cit., tav. cit., n. i. (5) Imhoop-Blumer. Monnaies grecques. Amsterdam, 1883, pag. 13, INTORNO A BUE BRONZI SEMIONCIALI I7I fermata dairaltro esemplare ben conservato della mia collezione, che produco più sopra, sul quale non è lecito più esprimere alcun dubbio, leggendo- visi chiaramente RVB, senz'altro. Non va taciuto che alcuni numismatici avreb- bero attribuita quella moneta, con l'iscrizione così ristabilita, ai Rttbasiini dai quali, per conseguenza, sarebbero state coniate monete a leggenda latina (i). Ma la congettura non trovò seguito. La proposta più accettabile parve quella del Millingen, di ripor- tarsi, cioè, ad un magistrato della famiglia Rubria, tanto più che la stessa attribuzione converrebbe ad un triente di uniforme leggenda, cosi descritto dal- l' Imhoof-Blumer (loc. cit.) sopra due esemplari iden- tici della collezione Waddington e del Museo di Co- penhaghen (2) : ^ — Testa di Cibele turrita, a dr., dietro, nota • • • • del triente. P — Leone aggruppito a dr.; col piede sinistro sollevato davanti; dietro, una stella a otto raggi; all'esergo RVB. 11 tutto in circolo periato. (AE. mm. 19, gr. 5,85). (i) Ivi. Secondo l' Imhoof-Blumer, il bronzo in quistìone servì di prototipo alla falsificazione dell'asse di Pesaro pubblicato dall' Eckhel, dal Carelli e, prima di tutti, dall'Olivieri (Ved. Mommsex-Blacas. Hist. de la monn. rom., Ili, 211, n. 2). (2) L'esemplare appresso riportato è quello della collez. Waddington, oggi del Gabinetto delle medaglie di Parigi. Ringrazio il sig. A. Dieu- donné, segretario di quel Gabinetto, d'avermene favorito un calco. 173 GIOVANNI PANSA Come ho detto più sopra, l'iscrizione RVB ap- posta su queste monete ha fatto dubitare che potes- sero riferirsi a qualche città dipendente o alleata di Roma. Trattandosi però di nominali di bronzo della pili recente riduzione e con caratteri latini, non si ha riscontro di alcuna città che incominci con RVB, la quale abbia avuto relazione con Roma, sia come colonia, sia come comunità federata e autonoma con diritti ristretti di cittadinanza. Bisogna, per con- seguenza, escludere dal tenore di queir iscrizione qualsiasi riferimento a località determinata. Il tipo di Cerbero, comune ad alcuni pezzi di argento di Cuma e dell' Etruria, è notevole special- mente sopra un altro bronzo semionciale di Capua (^), molto assomigliante al nostro, perchè congiunto esso pure alla figura di Ercole nel diritto. In quasi tutti i monumenti figurati dell'antichità le rappresentazioni di Cerbero sono legate alle avventure di Ercole i^K Cerbero, animale mostruoso, si presenta sotto il du- plice aspetto di cane a tre teste e di serpente a tre code. La sua natura in origine era quella di serpente, anzi il serpente Hades (>''jwv "aiSou), secondo un testo d' Ecateo, citato da Pausania (3). Diventò poscia cane, anzi passò a simboleggiare il cane quale divinità in- fernale, preposto a guardia dell'inferno, l'animale cui Itvent rubigine dentes, secondo Ovidio (4); dal cui furore rabido derivava il flagello della golpe, cioè della ruggine {robigo) ai campi. Cerbero è la perso- nificazione del cane ; ed Omero appunto mette un cane di guardia all' Èrebo (s). U ingens ianitor ài Viv- (i) Garrucci. Le monete, ecc. P. II, pag. 88 e tav. LXXXVI, 28. Sambon a. Les monnaies antiq. de F Italie, 1904» "• 1044. (2) RoscHER. Lexicon, s. v." Képpepo^. (3) I", 25, 5- (4) Metam. VII, 776. Cfr. Martial (lib. V, ep. 9), « Robiginosi dentes ». (5) Jliad. vili, 368. Cfr. Pausan, III, 25. Intorno a due bronzi sémionciali 175 gilio conviene a tutti i cani in genere e si applica al cane di guardia (^\ Secondo un testo di Palé- phato (2), i cani più feroci discendevano da Cerbero, il quale non è che la personificazione del cane con l'attributo di ferocia, nel senso sopratutto dei mali che apporta. Ora io penso che qualche personaggio della gente Rubria avesse appunto voluto esprimere sulle monete la figura di Cerbero come tipo parlante della famiglia, innestandolo al ricordo delle Robigalia, feste istituite da Numa in onore di Robtgus o Riibigus, specie di Marte rustico dei Sabini, invocato per scongiurare il flagello della ruggine (lat. robigo, rad. robus = rubrus = rufus) del grano e delle biade (3). Fra le vittime propiziatorie di Rubigus erano i cani ; e gli si offrivano le cagne rosse simboleggia nti ap- punto il fuoco, ossia gh ardenti calori della cani- cola (4). Per tale ragione il rito stava in relazione con Sirio {canis major), ossia col periodo canicolare. Si noti pure che il cane presso gli antichi signi- ficava il colore rosso (rubrum), cioè la porpora; e le medaglie di Tiro da cui la porpora derivava, por- tano raffigurato il cane di Ercole f>>. Il rito delle Robigalia aveva grande analogia con l'altro detto sacrificium o augurium canaiHum, a cui si proce- deva da una porta di Roma detta Catularia (6). (i) ViRG. Aentid. VI, 400, 395, 471 e seg. ; Vili, 296 (janttor Orci). Cfr. Hesiod. Theog. 769 e seg. — Soph. Oedip. col. 1569. — Sexec. De ira. III, 37. — Plaut. Poenul., V, 4, 65 e seg. — Petron. 72. — Apul. Mei. 90. (2) De incredib., 40. (3) Cfr. WissowA G. Religion und Kultus d. Roemer. Munich, 1902, I. 4. pag- 20 e seg. — Preller-Jordan. Ròmische Myth. Einleitung, ecc. II, pag. 44, n. 2. (4) Sulla quistione dei demoni dei cereali, fra cui principalmente il cane, ved. Maxxhardt. Mythologische Forschungen, 1884, pag. 107 e seg. (5) Cfr. PoLLuc. Onomast. lib. X, § 146. (6) WissowA cit., pag. 162 e seg. «3 Ì74 '\ GriqVAt^NI PansA. Pa siffatte circostanze appare fondato il sospetto che uno degli antenati della famiglia, un Rubriiis, fosse stato appunto il flamen Qiiirinalis, ossia il mi- nistro che interveniva negli atti principali del culto ♦ di Rubigus (0. Ne il sospetto deve farci meraviglia. Regola generale dei monetieri, sotto la Repubblica, era quella di apporre sulle monete ricordi storici e leg- gendarii delle varie famiglie, rappresentarvi qualche emblema allegorico o tipo parlante che alludesse al nome del personaggio al quale la moneta apparteneva. Questi emblemi o tipi allegorici hanno sovente il carattere di veri giuochi e indovinelli fondati sopra scambio di lettere, ovvero di bisticci di parole. Il Lenormant, il Longpérier ed il Babelon (2) hanno ri- marcate parecchie di queste stranezze dovute alla moda aristocratica di quei tempi, a quella specie di falsificazioni nobihari, di carattere etimologico, che lo stesso Cicerone in più luoghi deride (3). Come dal cinghiale (^?) presero il nome gli Hosidii, dal ca- vallo (>4àX7;Yi) i Calpurnii, ecc., così da Cerbero, ossia • dal cane che simboleggiava la porpora, il rosso, do- vettero prendere nome i Rubri. Si noti davvantaggio che dal murex, specie di conchiglia da cui si rica- (1) OviD. Fast. IV, 907-8: Flamen in antiqitae lucum Robiginis ibat Exta canis flammis, exta daturtts ovis. (2) Lenormant Ch. Revt4e Numism., 1842, tom. VII, pag. 245. Long* PÉRiER. Ouvres pubbl. da G. Schlumberger, li, pag. 289. Babelon. De' script, hist, d. monnaies de la Rep. rom. Introd,, pag. XLVII e seg. (3) Cfr. Pais e. Stor. di Roma, toni. I, p." I. Torino, 1898, pag. 65, Sulle falsificazioni etimologiche dei Pinarii, il cui nome si metteva in rapporto col gr. necvàv (Serv. ad Aen. VIII, 270) mette sull'avviso Ci- cerone. Pais, ivi, pag, 655, n. i. Sulle altre stranezze intorno all'origine dei Titii, Petronii, ecc., ved. Pais, ivi, pag. 277, 286 e 398. INTORNO À DUE BRONZI SEMIONCIALI 175 vava la porpora, nacque il tipo parlante, l'animale araldico delle monete di L. Furio Purpureo (^'. Parlando di animali araldici, è da notarsi il capro o becco sui denarii di P. Cornelio Cetego H appunto perchè Ceteghiis, con soppressione dell'aspi- rata, equivaleva a Ethego, nome frigio che soleva di- notare quell'animale, come ingegnosamente ha con- getturato il Lenormant <3). Non mancano tipi parlanti d'animali anche fra i nomi delle città ù). Si potrebbe anche sospettare che da uno dei soliti capricci etimologici fosse derivato ai Rubrii lo stemma parlante rappresentato dal cane Cerbero. Presso gli antichi K^ép^epo; equivaleva a Kpeo^ópo;^ quasi 'pso^po; (con soppressione dell'aspirata), assonante a Riibrus (5). È noto, del resto, come questi scherzi di parole non avevano leggi determinate e fisse, ma spesso toglievano motivo da semplici assonanze. La testa di Cibele, che si osserva sull'esemplare della collezione Waddington, è allusiva certamente alle funzioni urbane dell'edilità; infatti la presenza di quella divinità sulle monete richiama i ludi Me- galenses, soliti a celebrarsi in onore di lei, chiamata Mater magna. A quelle feste istituite nel 550 (204 a. C.) gh edili erano incaricati di presiedere (6). Per tale ragione la testa di Cibele si vede quasi sempre sulle monete coniate dagli edili curuli, come quelle (i) Cfr. Scarpus (Pinaria) = xdpRoc (mano), dall'insegna della mano. Babelon, ivi. (2) Lenormant, ivi. Babelon, ivi. (3) Babelon, ivi e 1, 384. (4) Cfr. Abe/lio, nome di città (=r Caòalius, senza l'aspirata), col tipo parlante del cavallo sulle monete (Babelon, ivi). (5) Myl/togr. Vatic. I, n. 57: " Unde Cerberus dicitur quasi Kpso^ópo!; i. e. cameni vorans „. Cfr. Schol. Hesiod. Theog., 311. (6) Marquardt. Roemische Staatsverwaltung, III, pag. 352. Babelon, DescriptioHj l, 526. 176 GIOVANNI PANSA di M. Pletorio Cestiano, P. Furio Crassipede, A. Plau- tio e M. Volteio. È assai probabile che un antenato dei Rubrii avesse rivestito l'ufficio di edile e se ne fosse voluta celebrare la memoria sulle monete. Si avverta che l'immagine di Cibele e quella del leone sono sim- boli africani (^) e potrebbero costituire il ricordo di qualche impresa militare o coloniale compiuta in Africa da un antenato della gente Rubria. L'allu- sione, in tal caso, spetterebbe a quel Rubrio ricor- dato da Plutarco, il quale fu tribuno del popolo, in- sieme a C. Gracco, nel 631 (123 a. C.) e propose di fondare una colonia romana a Cartagine (2). Sulmona, 22 marzo ipio, Giovanni Pansa. (i) Cfr. un aureo della CesHa in Babelon, ivi, I, 340; II, 260. (2) Plutarco. C. Gracch., io. Babelon, ivi, II, 405. ZECCA DI CHIVASSO IL FIORINO D'ORO ed un GROSSO di Teodoro I inedito o poco conosciuto Uno studio storico sulla zecca di ChivASSO e le sue prime monete. Sono cinque le monete di Teodoro I Paleologo, marchese di Monferrato, attualmente conosciute, vale a dire il matapane ed il soldo piccolo imperiale pub- blicati da Domenico Promis nel 1858 (^); il fiorino d'oro fattoci conoscere da Morel-Fatio nel 1866 (2) ; una varietà del soldo piccolo imperiale edito da Um- berto Rossi nel 1883 <3); per ultimo il bel tornese illustrato da Solone Ambrosoli nel 1888 ^4\ e, col grosso che ora presento al pubblico, ascendono a sei. Di esse quattro furono pubblicate in Italia, e lo studioso può facilmente procurarsi le opere, che le il- (i) Vedi Domenico Promis. Monete dei Paleologi marchesi di Monfer- rato. Torino, Stamperia Reale, MDCCCLVIII. (2) MoREL Fatio. Revue Numisntatique Belge, 4.* serie, tom. IV. Monnaies inédites des marquis de Montferrat, 1866. {3) Umberto Rossi. Monete inedite del Piemonte nella Gazzetta Nu- mismatica di Como, 1883. (4) Solone Ambrosoli. Ripostiglio di Lurate Abbate nella Rivista Italiana di Numismatica, 1888. 178 GIUSEPPE GIORCELLI lustrano; invece il fiorino venne edito nella Rivista Numismatica Belga^ la quale più difficilmente può essere consultata. Perciò io ne do ora il conio e la descrizione, essendo certo di far utile ai cultori della Numismatica. cosa gradita ed Fiorino d'oro di Teodoro I di Monferrato. Oro, peso gr. 3,40. i^ — Nel mezzo S. Giovanni Battista in piedi ed in fac- cia ; intorno S- lOHA-NNES • B. Alla fine della leggenda vedesi un chiodo con la testa a punta. \^ — Nel campo un grosso giglio fiorentino, ed in giro + THEOD • MARKO. Grosso di Teodoro I inedito o poco conosciuto, Argento, peso gr. 1,1800, mancante nella parte destra. & — Nel campo vedesi una croce ornata nelle braccia e fiorata nella estremità, ed inclinata come quella di Sant'Andrea, accantonata da puntini pieni. In giro a sinistra + TEODORVS, piccolo scudetto aleramico ; manca la dicitura a destra. p — Nel mezzo scorgesi un santo mitrato e nimbato, seduto di faccia, il quale tiene nella mano destra alzata le sante chiavi, e nella sinistra il pastorale; Intorno S. PET-RVS- ZÉCCA m CHiVASSO I^ Questo pezzo ha molti punti di rassomiglianza col grosso di Giovanni I Paleologo uscito dalla zecca di Chivasso e pubblicato nella Rivista Ital. di Num. dell'anno 1909 dal chiarissimo signor Generale Giu- seppe Ruggero. Lo storico monferrino Benvenuto S^n Giorgio nella sua Cronaca faceva menzione di queste due monete, e ne dichiarava la bontà scrivendo che : « il fiorino d'oro di Teodoro era di liga di caratti ven- tiquattro meno un grano di rimedio al peso di Fio- renza. La moneta di argento (grosso) era di liga di denari undici e mezzo manco due grani di rimedio, di peso di soldi diecisette sopra il marco, e di ri- medio denari sei. Dei fiorini d'oro (Teodoro) doveva avere soldi trenta per ogni centenaro e della mo- neta d'argento denari dieciotto d'imperiali per ogni marco w '^*. Domenico Promis, il patriarca della Numisma- tica subalpina, giovandosi delle suddette informazioni e senza aver veduto i due nummi, ne stabiliva il peso, cioè che quello del fiorino era di gr. 3,538 e quello del grosso di gr. 1,200. Infatti il suddetto fiorino, il quale, come scrisse Morel-Fatio, non è un fior di conio, vale a dire è di mediocre conservazione, pesa gr. 3,40 ed il grosso, mancante a destra, pesa gr. 1,180 (2). Benché il San Giorgio ci avesse fatto conoscere la bontà del fiorino e del grosso, ed il Promis avesse (i) Vedi Cronica di Benvenuto Sax Giorgio. Cavaliere Gerosolimi- tano. Torino, MDCCLXXX. A spese di Onorato Rossi, libraio, pag. 124. (2) Il matapane di Teodoro pesa gr. 1,547, ed il tornese gr. 3,980 perciò il presente grosso, il quale per il peso si approssima di più alla moneta descritta dal Sangiorgio, deve essere ritenuta per la vera mo- neta d'argento dal medesimo indicata. l8ó GIUSEPPE GIORCELLt dato il peso dei medesimi, tuttavia il fiorino rimase inedito fino al 1866, ed il grosso fino ad oggi (i). Pur troppo la storia della zecca di Chivasso non è ancora ben studiata, ed è tuttora inquinata da parecchi errori, che ora io mi propongo di chiarire e di rettificare. Se non che per raggiungere questo scopo, in mancanza di sufficienti documenti, fa me- stieri ricorrere alla storia e studiare le vicende dei primi anni del dominio del marchese Teodoro I. Oggidì si crede che la zecca di Chivasso sia stata aperta nell'anno 1307 colla coniazione del soldo piccolo imperiale del marchese Teodoro I, e questo è un errore. Si crede parimente che il soldo piccolo impe- riale fatto battere da Manfredo IV marchese di Sa- luzzo col titolo di marchese di Monferrato sia uscito dalla zecca dopo Tanno 1310, cioè dopo il famoso decreto dell'imperatore Arrigo VII, e questo è un secondo errore. Così si crede pure che il fiorino ed il grosso di Teodoro I siano stati lavorati nel 1336, e questo è un terzo errore (2). Vediamo cosa ci narra la storia. È cosa notoria che Chivasso dal principio del UGO fino all'anno 1435 fu la capitale del Monferrato e che la Chiesa Abbaziale di Santa Maria di Lucedio fu la necropoli dei marchesi monferrini. Giovanni I aleramico, marchese di Monferrato, trovandosi colpito da grave e pericolosa malattia nel castello di Chivasso, e non avendo prole dalla sua consorte Margherita di Savoia (3), volle regolare con (i) Domenico Promis. Monete dei Paleologi, pag. 12. (2) Domenico Promis. Op. cit. (3) Figlia di Amedeo V conte di Savoia. tECCA DI cmvAsso l8l un testamento la successione del suo Stato, e nel giorno i8 gennaio del 1305, in lunedi, dettava a Facio dei Ricoboni di Chivasso, notaio marchionale, le seguenti disposizioni testamentarie. Chiamava a succedergli i suoi figli postumi, maschi o femmine, che potessero nascere dalla marchesana Margherita. in mancanza di suoi figli postumi voleva che la successione spettasse a sua sorella Violante, con- sorte air imperatore di Costantinopoli Andronico il vecchio, ovvero ad uno dei suoi figliuoli. Qualora Violante ed i suoi figli non volessero accettare la eredità, egli la concedeva ad Alasina. altra sua sorella, vedova di Poncello Orsino, figlio di Urso, principe romano, ed ai suoi figliuoli. Nel caso che neppur essa volesse o potesse ve- nire a prendere il possesso del Monferrato, questo doveva spettare all'altra sorella Margherita, vedova di Giovanni infante di Spagna e di Castiglia, .ovvero al suo figliuolo. Per ultimo, se nessuna delle sue sorelle o dei loro figli acconsentiva al suo volere, allora dichiarava suo erede il marchese di Saluzzo Manfredo IV. In pari tempo affidava il compito di governare il marchesato, ed all'uopo difenderlo, fino all'arrivo del lontano erede, e di proteggere il medesimo in seguito, a Filippone Langosco conte Palatino di Lu- mello. Capitano del popolo e del Comune di Pavia, al detto Comune, ed a Manfredo di Saluzzo suddetto. Il marchese Giovanni aveva scelto questi Reg- genti dello Stato e Protettori del suo erede, perchè essi erano stati suoi buoni e fedeh alleati nelle guerre degli ultimi anni antecedenti, ed avevano sempre tenuto con lui una corrispondenza di salda e leale amicizia ; perciò sperava che essi avrebbero con- servato identici sentimenti verso il suo erede. Pur troppo vedremo che le sue speranze furono deluse. 102 Giuseppe giorcellì Il marchese Giovanni chiudeva per sempre gH occhi assai presto, probabilmente, come vogHono alcuni scrittori, nel seguente giorno 19 di quel mese, gli si fecero solenni funerali, e la sua salma venne condotta all'Abbazia di Lucedio e tumulata nella chiesa di Santa Maria, la quale racchiudeva già le salme dei suoi predecessori. Molto probabilmente il marchese Giovanni era stato vittima di una di quelle terribili polmoniti, le quali dai medici sono chiamate fulminanti, e che sono assai frequenti nella regione subalpina, specialmente nel mese di gennaio, e che in pochi giorni mandano gU ammalati all'altro mondo. Quindi la sua morte era naturale. Tuttavia i suoi sudditi non potevano darsi pace nel vedere il loro principe, di anni 28, forte, robusto ed abituato alla dura vita delle armi, scendere così rapidamente nella tomba. Sorse allora in alcuni il sospetto che la pronta sua morte fosse stata procurata e che ne fosse autore il maestro Ema- nuele da Vercelli, archiatro marchionale, il quale, aveva diretto la cura unitamente ad altri quattro medici, cioè a maestro Alberto da Bergamo, mae- stro Alberto da Vercelli, maestro Calderara, e mae- stro Francesco Jnglesio. Per la intensa affezione, che i monferrini portavano al marchese Giovanni, il so- spetto di avvelenamento fece rapida strada nel cuore dei sui sudditi e destò in essi tanto sdegno contro il supposto avvelenatore, che una folla di chivassini, pazza per l'ira, andò a cercarlo, e, trovatolo, lo tru- cidò trapassando il suo corpo con una infinità di ferite. Anzi, se dovessimo prestar fede a quanto narra Guglielmo Ventura, cronista astese contempo- raneo <^^) e ripetono Benvenuto San Giorgio (2) e Ga- (i) Guglielmo Ventura. Cronicae Astense. (2) Benvenuto San Giorgio. Cronaca del Monferrato. ZECCA DI CHn^ASSO 183 leotto Del Carretto cronisti monferrini, alcuno di quei furibondi volle mangiare della carne di quel disgra- ziato (0. Io non so prestar fede a questo atto di antro- pofagia, ma se il fatto ebbe luogo, esso dimostra ad un tempo due cose, cioè il grande affetto che i mon- ferrini portavano al loro principe perduto, e la bar- bara ignoranza che allora regnava in questo Stato. Del resto sullo scorcio del medesimo secolo alla Corte di Savoia veniva giustiziato il medico cu- rante di Amedeo VII conosciuto col nome di conte Rosso, perchè incolpato di avere ucciso il principe col veleno. Dei tre Reggenti dello Stato e Protettori del lontano erede, eletti dal marchese Giovanni nel suo testamento, il comune di Pavia ed il conte Filippone Langosco, impegnati nelle continue guerre fratricide dei Guelfi e Ghibellini, che in quei tempi dilaniavano r Italia Superiore, non poterono occuparsene gran fatto, e lasciarono tale compito al marchese di Sa- luzzo, il quale invece vi attese subito con zelo ed energia, nutrendo in petto dei secondi e malvagi fini. Delfino e Carlo Muletti, diligenti storici saluz- zesi, narrano che il marchese Manfredo IV, ve- dendo il vasto e florido stato di Monferrato es- (i) Cronaca del Monferrato in ottava rima del marchese Galeotto DEL Carretto del terziere di Millesimo, con uno studio storico sui mar- chesi del Carretto di Casale del dott. Giuseppe Giorcelli, pag. 194 : Un medico chiamato Emanuelle Autor de la sua morte fuò imputato; Costui de la città fuò de Vercelle ; Et fuò a furor di popul trucidato, En mille luochi lacera la pelle Dalli huomini et villan del Monferrato, Et di costui la perforata carne Se dice che un di lor volse mangiarne. 184 GIUSEPPE GIORCELLI sere vacante, ed il futuro padrone essere un ra- gazzo lontano e sconosciuto dalla popolazione mon- ferrina , concepì ben presto il pensiero di farlo suo, accrescendo con tale acquisto il suo Stato, anzi portandolo a segno di essere il più vasto ed il più po- tente in Piemonte. Però, siccome la cosa non era tanto facile, e poteva incontrare delle serie difficoltà, perchè i monferrini, affezionati e fedeli ai loro passati signori, avrebbero potuto opporsi energicamente a questa sua aspirazione, così Manfredo, scaltro simulatore, si trattenne per un po' di tempo dal lasciar com- prendere il suo pensiero e la sua cupida voglia. Esso intanto studiava il modo di amicarsi tanto i feudatari quanto i Comuni, dimostrandosi in ogni cosa molto compiacente, ed in ogni occasione molto generoso, concedendo feudi e privilegi, esenzioni e prerogative, e reggendo il Monferrato con zelo, giustizia e beni- gnità. Egli compose presto gli interessi della vedova marchesa Margherita e le restituì la dote cedendole le terre ed i castelli di Lanzo, Ciriè e Caselle. Acco- modò una controversia coi vercellesi, i quali preten- devano di avere degli antichi diritti su Trino, me- diante un arbitrato del conte Filippone Langosco e Guido Della Torre signore di Milano, i quali pub- blicarono la loro sentenza nella terra di Pontestura. Si comprende quindi che il marchese Manfredo aveva interesse di ritardare l'arrivo dell'erede del marchese Giovanni, di modo che quando i gentiluo- mini e le autorità monferrine lo sollecitavano a ra- dunare l'assemblea generale dello Stato, come era consuetudine, sempre quando si dovevano trattare importanti affari della Marca, per procedere alla ese- cuzione del testamento del defunto marchese con eleggere e mandare una ambasceria all' imperatrice Violante, Manfredo cercava ora con un pretesto, ora ZECCA DI CHIVASSO 185 con un altro, di dilazionare detta convocazione. Fi- nalmente, vedendo svilupparsi una mormorazione viva e sorgere un forte malcontento per questa sua tergiversazione, dovette cedere ed indire la convo- cazione dell'assemblea generale per il giorno 9 marzo nel luogo di Trino. Vi intervennero in grande numero tanto i feu- datari quanto i delegati dei Comuni liberi. Il Comune di Pavia era rappresentato da Ruffino di Mede conte Palatino di Lumello e da Simone di S. Nazaro, mandati ambasciatori di quel Comune. Il conte Fi- lippone Langosco mandò Riccardino suo figlio. L'assemblea decise di nominare una ambasceria, la quale dovesse andare alla corte di Costantinopoli a portare all'imperatrice Violante la notizia ufficiale della morte di suo fratello Giovanni marchese di Monferrato, comunicarle il tenore delle 'sue disposi- zioni testamentarie, pregarla di accettare l'eredità per se o per uno dei suoi figliuoli; nel caso afferma- tivo che dovesse prestare subito al designato erede il giuramento di fedeltà a nome della popolazione mon- ferrina. Venendo poi alla formazione dell' ambascieria, furono eletti i seguenti nobili e prudenti personaggi, cioè Nicolino bastardo di Monferrato ('', Uguccione Peluco giudice, Ameoto da Prata notaio, che trova- vansi presenti ed accettarono il mandato, il nobile e magnifico signore Albertino San Giorgio dei conti di Biandrate e frate Filippone da Pinerolo deirOr- dine dei Minori osserv^anti, che erano assenti, ma che accettarono essi pure l'onorifico incarico. (i) Era figlio naturale di Guglielmo VII, laureato in ambe le leggi, erudito ed assai pratico nei maneggi politici. Esso godeva un grande prestigio in Monferrato per le numerose cariche da esso lodevolmente coperte. l86 GIUSEPPE GIORCELLI L'atto fu redatto dal notaio Jacopino de Labora da Parma. A questi personaggi eletti nel comizio di Trino vennero aggiunti parecchi altri per rendere piìi nu- merosa, più decorosa, e piti autorevole l'ambascieria. Questa pochi giorni dopo partiva dal Monferrato e si dirigeva a Genova per imbarcarsi sulle navi di quella Repubblica e far vela verso Costantinopoli. In quei tempi i genovesi avevano quasi il mo- nopolio del commercio col Bosforo, col Mar Nero e colla Tauride, dove convergeva quasi tutto il com- mercio dall'interno dell'Asia coU'Europa. Col trattato conchiuso nell'anno 1261 in Anfeo i genovesi ave- vano ottenuto la facoltà di trafficare in tutto il Mar Nero e colla Tauride e di fondarvi delle colonie. Di pila i genovesi, avendo prestato aiuti agli imperatori greci di Costantinopoli, ottennero anche da essi quei privilegi e quei favori, che furono go- duti dai veneziani durante la dominazione degli im- peratori latini in Costantinopoli. Per tah concessioni ora i genovesi trafficavano liberamente in tutte quelle parti ed i loro navigli solcavano frequentemente quelle acque. L'ambascieria monferrina, giunta a Costantino- poli, fu ricevuta e trattata da quella corte con grande benignità e molti onori. L'imperatrice Violante ac- cettò l'eredità del fratello Giovanni con l'assenso dell'imperatore Andronico, e siccome essi avevano tre figliuoli, Giovanni, Teodoro e Demetrio, così ten- nero con loro il primogenito Giovanni destinato alla successione paterna nell'impero, e concedettero il Monferrato al secondogenito Teodoro, il quale, seb- bene in allora non avesse se non 14 anni, tuttavia per il suo eletto ingegno e per il suo grande amore per gli studi, prometteva di riuscire un ottimo prin- ZECCA DI CHIVASSO iS? cipe. L'atto dì concessione e di investitura è ripor- tato da Benvenuto San Giorgio. Con l'investitura era raggiunto lo scopo della ambascieria, i genitori del marchesino Teodoro ave- vano già formata la corte che doveva accompagnarlo ed assisterlo nella presa di possesso del Monferrato, erano già persino allestite le navi, che dovevano partire per Genova, anzi i viaggiatori stavano per salirvi , quando approdarono a Costantinopoli dei messaggieri provenienti dal Monferrato e latori di lettere , le quali annunciavano che la marchesa Margherita aveva avuto dei sintomi di gravidanza, e consigliavano di ritardare la partenza dell'erede fin dopo il parto, potendo accadere che la ve- dova di Giovanni fornisse un erede naturale della Marca monferrina. Questa notizia sorprese e morti- ficò gli ambasciatori, sorprese ed irritò la corte, e tanto gli uni quanto l'altra rimasero perplessi sul da fare. Il San Giorgio, che narra questo fatto, non dà il nome dell'autore delle lettere, ne quello dei messaggieri, che le portarono. Passata la prima im- pressione l'imperatrice voleva licenziare l'ambasciata ed attendere gli avvenimenti, quando Giacomo di Santo Stefano, uno dei gentiluomini aggregati, il quale aveva compreso i disegni ambiziosi del mar- chese Manfredo, chiese di parlare e disse : non es- sere vera la notizia recata dai nunzi, ma che tutto era arte di Manfredo marchese di Saluzzo, il quale con detta finta e simulata gravidanza voleva ritar- dare l'andata dell'erede, ed illudere detti oratori, ac- ciocché, ritornando loro senza effetto, più colorata- mente si potesse occupare lo Stato caduco e vacuo di erede. Pregava Sua Maestà a volersi contentare che essi oratori dimorassero a Costantinopoli per tanto spazio di tempo, che potessero mandare uno di loro in Monferrato ad esplorare con diligenza lo GIUSEPPE GIORCELLI Stato della predetta Margherita, ed aspettare il ritorno e la risposta, parendogli che le cose dal canto di Sua Maestà e dal canto loro procederiano più con- sultamente, quando la Maestà Sua fosse contenta di concedere loro tempo per mandare a certificarsi della verità (0. Queste parole parvero così assennate che r imperatore e l' imperatrice acconsentirono alla fatta proposta. Partirono tosto da Costantinopoli alcuni di quei monferrini e si recarono in patria ad appurare il vero stato delle cose, ed al loro ritorno nella capi- tale bizantina riferirono che non solo la gravidanza della marchesa Margherita era una invenzione del marchese di Saluzzo, ma che questo principe aveva occupato il Monferrato, che lo governava da vero padrone, ed aveva assunto il titolo di marchese di Saluzzo e di Monferrato, che però una grossa parte dei feudatari e dei Comuni liberi era rimasta fedele al principe Teodoro, ed aspettava con impazienza il suo arrivo. Allora vennero sollecitati i preparativi della par- tenza e Teodoro con una numerosa comitiva com- posta di greci e di monferrini saliva sulle navi e si avviava alla volta di Genova. Però, siccome si era perduto molto tempo nelle suddette vicende, così Teodoro non arrivò a Genova se non in principio dell'anno 1306. Allorquando Manfredo IV vide partire gli am- basciatori, pensando che fra non molto sarebbero ritornati con un figliuolo di Violante a prendere pos- sesso del Monferrato, sentì più acuti gh stimoli del- l'ambizione e della cupidigia, e cominciò le ostilità con mandare a Costantinopoli le note lettere, e poco dopo, gettata la maschera della finzione, prese il ti- (i) Sono parole della Cronaca di Benvenuto San Giorgio, pag. 89-90. ZECCA DI CHIVASSO 189 tolo di marchese di Saluzzo e di Monferrato, occupò militarmente i luoghi forti, e prese a governare lo Stato da vero padrone. Di più, per meglio dimostrare il suo libero possesso della Marca, fece coniare in Chivasso, capitale del Monferrato, una monetina, cioè un soldo piccolo imperiale, in suo nome e col titolo di marchese di Monferrato ('). In pari tempo il saluzzese volle giustificare il suo operato presso i suoi nuovi sudditi e presso i principi vicini. Primieramente cercò di dimostrare che egli era il legittimo erede di Giovanni dicendo che i mar- chesi di Saluzzo discendevano dal marchese Aleramo come quelli di Monferrato, che perciò egli era il congiunto più prossimo del defunto Giovanni. Sog- giungeva che, siccome il Monferrato era un feudo mascohno, così nessuna delle sorelle di Giovanni poteva pretendere la sua eredità. Se non che, se era vera la consanguineità dei marchesi di Saluzzo con quelli di Monferrato, non era vero che il Monferrato fosse un feudo unicamente mascolino, mentre era invece anche femminino, e le donne potevano succe- dere. Infatti la corte di Giovanni doveva ben cono- scere la qualità feudale della Marca monferrina, e certamente Giovanni non avrebbe lasciato il suo marchesato alle sorelle se non fosse stato ben certo che le medesime erano atte alla successione ^^K Per dar ragione della coniazione della suddetta monetina e farla credere legale e legittima, Manfredo fece trarre una copia di un decreto dall'imperatore Federico li, col quale concedeva ai marchesi di Sa- (i) Domenico Promis. Monete dei Paleologi, pag. 14 ove dà il di- segno della moneta. (2) Carlo Muletti narra che Manfredo aveva anche fatto spargere la voce che V imperatore Alberto lo aveva autorizzato ad impossessarsi del Monferrato. Menzogne sopra menzogne. «5 ■Ì9<^ GIUSEPPE GlORCELLl luzzo il diritto di zecca, facendo ridurre tale copia in forma di un istrumento regolare coll'autenticazione di tre notai pubblici (^). La copia porta la data delli 20 novembre dell'anno 1306 e per noi è un impor- tantissimo documento. Ora, siccome si cerca di giustificare le proprie azioni quando le medesime sono compiute, così è cosa naturale il credere che la monetina di Man- fredo IV sia stata battuta prima delli 20 novembre 1306, la quale constatazione riuscirà assai opportuna, a suo tempo, per rettificare un errore, il quale da molti anni dura nella storia della zecca di Chivasso. Benché il marchese di Saluzzo avesse occupato tutto il Monferrato, se ne facesse chiamare marchese, ed avesse per ostentazione aperto zecca in Chivasso .capitale dello Stato, tuttavia cercò di poterlo con- servare mediante alleanze e promesse di aiuto dei principi vicini. Primieramente si rivolse al conte di Savoia Amedeo V proponendogli la ricognizione di ambedue i marchesati, di Saluzzo e di Monferrato, colla con- dizione che glie ne desse V investitura feudale, e lo soccorresse validamente colle sue truppe nella di- fesa dei due Stati, qualora venissero attaccati (2). Amedeo non rifiutò, ma quando il saluzzese gli ri- chiese dei soldati coi quali presidiare alcuni luoghi forti in Monferrato, egh non si mosse. Ciò vedendo Manfredo entrò in trattative con Carlo II re di Napoli e conte di Piemonte. Questo principe volendo riacquistare le città e le terre pie- (1) Questo documento è stato pubblicato dal dotto numismatico sa- luzzese, avv. Orazio Roggiero, nella sua importante monografia : La secca dei marchesi di Saluzzo nel volume di studi saluzzesi edito dalla Tip. Chiantore Mercaralli in Pinerolo, 1901. (2) Vedi Carlo Mascaralli. Op. cit. ZECCA DI CHIVASSO 191 montesi che erano state possedute da suo padre Carlo I, avev'a mandato Rinaldo di Leto, abbruz- zese, quale suo Senescalco, cioè generalissimo, con un corpo di truppe provenzali per conquistarle. L'im- presa del Senescalco riusciva prosperamente, ed in breve tempo esso s' impadroniva di una gran parte dell'antico Stato angioino in Piemonte; in quel mo- mento assediava Cuneo, della quale città era padrone lo stesso Manfredo, il quale, essendo occupatissimo nelle cose di Monferrato, si curava assai poco della sua difesa. Il saluzzese fece proporre al Senescalco che avrebbe ceduto al re Carlo non solo la città di Cuneo e le altre sue terre, che un tempo erano possedute dai provenzali, ma che di più avrebbe fatto ricogni- zione dell'intiero Monferrato al re, ricevendone poi la investitura dal medesimo, purché si stabilisse fra di loro un'alleanza per la quale il re dovesse dargli valido aiuto, qualora esso venisse assaHto da qual- che nemico. Una proposta così grassa venne subito accettata dal Senescalco e poi ratificata dal re, per ordine del quale poco dopo il Senescalco mandò dei riparti delle sue truppe a presidiare con quelle del mar- chese le piazze forti di Moncalvo, Vignale e Lu. Come si vede, era tale e tanta l'avidità di Man- fredo di possedere il Monferrato, che si sottopose a condizioni non soltanto vergognose ma disastrose. Non ancora soddisfatto Manfredo si alleò anche coi fuorusciti ghibellini di Asti e con Filippo prin- cipe di Acaja, col patto che essi pure lo aiutassero in caso di guerra. Questi alleati mantennero la pro- messa, e noi vedremo in seguito che nella battagha di Vignale combattevano contro Teodoro anche i provenzah, i fuorusciti astesi e Filippo di Acaja in aiuto del marchese Manfredo IV. 192 GIUSEPPE GlORCEI.Lt Allorché Teodoro approdò a Genova colla sua comitiva in principio dell'anno 1306, il Comune ge- novese aveva subito delle mutazioni importanti nel suo sistema di governo. Prevaleva il partito dei po- polari, ed erano stati eletti due Capitani del Comune per dirigere la pubblica amministrazione, cioè Bar- nabò Doria, il quale si era separato dagli altri Doria, che erano tutti del partito degli ottimati, ed Opicino Spinola di Luccoli, esso pure staccatosi dai suoi parenti detti Spinola di piazza della fazione degli aristocratici. Siccome l'aura popolare sosteneva Opi- cino e lo rendeva troppo potente e quindi pericoloso, così alcuni del Consiglio vollero proporre qualche restrizione al suo eccessivo potere ; ma i popolari se l'ebbero a male, e prevalendo nel Consiglio il loro partito, presero la risoluzione di licenziare il Doria e di eleggere lo Spinola Capitano unico e perpetuo, rendendolo signore onnipotente della re- pubblica. Come si scorge, all'arrivo di Teodoro a Genova Opicino Spinola era all'apogeo del potere e godeva un grandissimo prestigio ed una immensa autorità in quella repubblica. Ora conviene anche notare che in questo tempo il marchese Manfredo, rimasto vedovo di Beatrice, figlia dell' infehce re Manfredi di Napoli, aveva spo- sato Isabella, figliuola del suddetto Barnabò Doria, e che aveva per tale matrimonio l'appoggio del par- tito patrizio genovese. All'arrivo di Teodoro a Genova i suoi consi- glieri compresero le gravi difficoltà, che si dovevano superare per ricuperare la contrastata eredità dello zio Giovanni. Infatti era bensì vero che una gran parte dei monferrini, aventi a capo Facino da Ottiglio, eran rimasti fedeli e favorevoli al giovane principe; ZECCA DI CHIVASSO I93 però ve ne erano parecchi capitanati da Guido di Cocconato, i quali, adescati dai favori del saluzzese, tenevano per il medesimo (^\ Di più, i luoghi prin- cipali, come Chivasso, Pontestura, Moncalvo, Vignale, Lu, e non pochi altri, erano presidiati dalle truppe saluzzcsi e provenzali ; soltanto pochi luoghi, come Casale e Trino, si erano sempre rifiutati a ricevere una guarnigione del marchese, il quale, per non ini- micarsi quelle popolazioni, non aveva insistito. Di fronte a questo stato di cose i consiglieri di Teodoro, non potendo disporre ne di molto danaro né di sufficiente soldatesca per tentare di entrare colle armi nel Monferrato, pensarono di ricorrere alle alleanze. Prima di tutto, vedendo che Opicino Spinola era ricchissimo ed onnipotente nel governo di Genova, proposero di combinare il matrimonio del marchese con Argentina, figlia di Opicino ; la proposta piacque e venne accettata dallo Spinola e da Teodoro, ed il fidanzamento venne conchiuso. Se non che, siccome le leggi non permettevano l'unione in matrimonio prima che i due fidanzati avessero raggiunto il sedicesimo anno di età, così la celebra- zione dello sposalizio dovette essere differito fino al mese di settembre di quell'anno, nel quale appunto Teodoro entrava nel sedicesimo anno. Frattanto Teo- doro rimaneva per tutto questo tempo in Genova, (i) Poi il marchese de Salucie tolse Vignai, Moncalvo, con Chivasso anchora, Et altre terre, donde assai se dolse La parte fida del paese: alhora Guidon da Cochonato co' soi volse Seguir Salucie subito in quel bora, Facin de Ottiglio et la parte Graffagna Albor faceva resistentia magna. Vedi Galeotto del Carretto. Cronaca del Monferrato già citata, pag. 191 colonna seconda. Gli aderenti a Teodoro erano cbiamati Graffagni. 194 GIUSEPPE GIORCELLI La deliberazione di procurare questo matrimonio fu, come vedremo in seguito, una vera provvidenza, che salvò il paleologo ed il suo Stato. Primieramente perchè il ricco e potente suocero ha potuto contro- bilanciare, anzi superare, l'appoggio che Barnabò Doria e il suo partito potevano dare a Manfredo IV. In secondo luogo, perchè lo Spinola col suo danaro procurò a Teodoro un corpo di soldati genovesi sotto il comando di Rinaldo Spinola di Luccoli, pa- rente di Opicino, il quale nelle guerre antecedenti aveva servito la repubblica genovese, e si era di- mostrato un abile capitano. In terzo luogo perchè, avendo Opicino dato un'altra sua figlia in moglie a Filippone Langosco, che già conosciamo, Teodoro ha potuto, per mezzo di questo suo cognato, avere l'aiuto del Comune di Pavia e dei suoi alleati. Ve- dremo inoltre che la saggia ed avveduta politica di Opicino Spinola salvò in critiche circostanze tanto Teodoro quanto il Langosco. Le nozze di Teodoro con Argentina ebbero luogo in principio del mese di settembre, e subito dopo la celebrazione del matrimonio il paleologo lasciò Ge- nova e prese le mosse verso il Monferrato, accompa- gnato dal conte Filippone, da Rinaldo Spinola già vicario del Comune di Genova ed ora eletto suo po- destà, da milizie pavesi, e da un corpo dei famosi ba- lestrieri genovesi, oltre a molti monferrini, che erano andati ad ossequiarlo a Genova e vi erano rimasti. Questa comitiva nel giorno 15 di settembre giungeva a Casale (B. San Giorgio), dove non erano mai stati ammessi i soldati saluzzesi, e dove fu ac- colto con vera gioia e festeggiamenti dalla popola- zione, che era lieta di avere per sovrano il figlio di un imperatore. Nel giorno successivo il marchese Teodoro no- tificava ai feudatari e alle Comunità del Monferrato ZECCA DI craVAsso 195 che era giunto a Casale, ed ordinava che essi, od i loro deputati, si recassero colà a riconoscerlo per loro principe e giurargli la fedeltà, comminando pene ai disobbedienti. Qui è importante che si prenda atto del modo col quale Teodoro si intitolava in questo suo ordine, perchè vedremo la stessa dicitura ripetuta in una moneta di questo principe, ed è la seguente : Theo- dorus excellentissimi domini imperatoris graecorum filius marchio Monti sferrati.... Malgrado l'occupazione saluzzese, per l'amore che portavano al defunto marchese Giovanni, ac- corsero numerosi, i feudatari ed i rappresentanti delle Comunità monferrine a Casale a prestare il loro omaggio ed il giuramento di fedeltà al nuovo sovrano. In pari tempo molti gentiluomini condus- sero a Casale dei drappelli di soldati . che val- sero ad ingrossare e rinforzare il piccolo eser- cito di Teodoro, il quale, ricevuti questi rinforzi, partiva da Casale ed andava ad assediare Pontestura, luogo assai vicino a Casale e presidiato da soldati saluzzesi. Ivi si trattenne fino a che i difensori si arresero, e gli abitanti gli giurarono la fedeltà, il che succedette nel giorno 21 del detto settembre (Ben- venuto San Giorgio). Allora i consiglieri di Teodoro, vedendo le diffi- coltà di procedere oltre nella ricuperazione delle terre monferrine colle armi, divisarono di agevolarne la via mediante un'alleanza col partito guelfo di Asti. Tale partito era ostile al marchese Manfredo IV, perchè oltre di essere entrato in lega cogli angioini, si era alleato altresì, come si è veduto, coi ghibeUini astesi, che erano bensì fuorusciti, ma, essendo molto ricchi, erano potenti, e dei quah parecchie famiglie abitavano in Monferrato, come quelle di Jacopo Guttuario, di En- rico Paletta, di Guglielmo Guarco, Folchetto Asinari, ìg6 Giuseppe giorcélU Giovanni Scarampi, Enrico Maccaluffo, Francesco Pallio e di parecchi altri. Già i soldati dei ghibellini astesi uniti con altri del marchese di Saluzzo ave- vano mosso guerra agli astesi guelfi, e già si erano impadroniti di parecchi castelli e terre dei guelfi, e si erano avanzati fin quasi alle porte della città. Perciò, per poter resistere ai loro nemici, i guelfi astesi avevano eletto Filippo principe d'Acaja per loro capitano per tre anni. Vedendo l'occasione propizia Teodoro fece pro- porre ai guelfi astesi di trattare con loro un'alleanza difensiva ed offensiva, ed essi, trovandosi in stret- tezze così pericolose, accettarono e per le trattative fissarono il giorno 29 dello stesso settembre, festa di S. Michele, e per il convegno la strada che da Galliano va a Grazzano. Teodoro nel detto giorno partiva da CaUiano e procedendo sulla detta strada incontrò i de- putati astesi al Ponte della Rotta, ove dopo breve di- scussione conchiusero la lega. Però gli astesi si riser- varono di presentare nel giorno successivo quel trattato all'assemblea generale, secondo le leggi della loro repubblica, per l'approvazione e ratificazione del medesimo. Anche questo comizio, malgrado la viva opposizione di Filippo d'Acaja divenuto geloso del monferrino, accettò la convenzione del Ponte della Rotta, e così Teodoro acquistò degli utili e potenti alleati. Gh astesi dovevano dargli un vahdo aiuto per poter vincere e cacciar dal Monferrato l'usurpatore; il monferrino, a sua volta, doveva aiutare gli astesi e difenderli dal marchese Manfredo e dai fuorusciti ghibeUini di Asti. Dopo questa convenzione Teodoro volle conti- nuare la sua impresa e riuscì ad avere Mombello e parecchie altre terre monferrine, i cui abitanti gli giurarono subito la fedeltà. Nell'ultimo giorno di novembre i suoi aderenti, ZECCA DI CHTVASSO I97 che trova vansi in Chivasso, riuscivano ad introdurre di notte in quella terra molti altri partigiani di Teodoro con alcuni soldati, e subito il popolo si sollevò in fa- vore del Paleologo obbligando i fautori del marchese di Saluzzo a partirsene e lasciare la terra ed il castello in potere dei fedeli a Teodoro, che gli giurarono su- bito la fedeltà nelle mani dei suoi ufficiali. In tale modo Teodoro divenne padrone della capitale del Monferrato. L'acquisto di Chivasso colmò di gioia il mar- chese Teodoro e tutto il suo partito, e li animò a proseguire con più coraggio la ben augurata impresa, mentre invece disanimò non poco il partito contrario, dal quale molti disertarono per passare nel campo del paleologo, che poco dopo ottenne di recare in suo potere anche Tonco ed alcune terre vicine. Nell'ul- timo giorno di dicembre Teodoro fece il suo ingresso colla sua corte in Chivasso, dove poi risiedette fino al giorno 24 di aprile dell'anno 1307 (B. San Giorgio). Domenico Promis opina che Teodoro durante questo suo soggiorno in Chivasso abbia fatto coniare il suo soldo piccolo imperiale, sia per provvedere al piccolo commercio, come per dimostrare che era padrone di diritto e di fatto del Monferrato e della sua capitale, come pure per contrapporre questa sua monetina a quella simile fatta battere l'anno antecedente dal mar- chese Manfredo IV col titolo di marchese di Monferrato. Intanto i suoi capitani continuavano la guerra e riuscivano ad impadronirsi di altre terre alla destra del Po, mentre Teodoro dava sesto alle amministra- zioni dello Stato. Stava molto a cuore a Teodoro l'acquisto di Mon- calvo, luogo assai forte per la sua posizione sopra un alto monte e per le valide sue fortificazioni, e che di più era assai importante perchè domina la strada, che da Vercelli va ad Asti. Siccome detto luogo aveva un 36 :^$é GIUSEPPE GiORCELLt grosso presidio di soldati saluzzesi e provenzali sotto il comando del principe Federico di Saluzzo, figlio del marchese Manfredo, la cosa era ardua ; ciò non di meno Teodoro volle tentare V impresa. Alli 6 di maggio accostavasi al luogo col mag- gior nerbo delle sue forze, ed in breve tempo occu- pava la terra, perchè i suoi aderenti gli aprirono una porta. Ciò ottenuto si accinse a battere il ca- stello colle numerose macchine, che aveva condotto seco e che presto pose in opera; tuttavia il castello re- sisteva e le cose andavano per le lunghe. Manfredo, avuta notizia dell'assedio di Moncalvo, se ne diede molto pensiero per la possibile caduta di queir importante piazza; perciò andò radunando le sue truppe, e mandò reiterati messaggi al Sene- scalco Rinaldo di Luto, supplicandolo caldamente di voler aiutarlo a soccorrere quella piazza. Acconsen- tiva il provenzale, ed unendo la sua soldatesca alla saluzzese, si avviava verso Moncalvo. Teodoro, il quale voleva evitare un grosso com- battimento, quando seppe che il Senescalco era giunto a Tonco, levò l'assedio e si allontanò da Mon- calvo. Così questo luogo tanto desiderato gH sfuggi dalle mani. Poco dopo, cioè quando Teodoro vide allonta- nati gli angioini, volle tentare altre imprese; volle impadronirsi di Vignale e di Lu, altri luoghi forti per posizioni e per fortificazioni, i quali dopo una non lunga oppugnazione si arresero coi seguenti patti, che sono riferiti da Benvenuto San Giorgio. Giurarono la fedeltà a Teodoro, e convennero che, se per l'ultima settimana di luglio di quell'anno esso Teo- doro non potesse discacciare il marchese di Saluzzo, il quale aspettavano con l'esercito suo, dai campi, dove si fermeria col predetto esercito, esse Comunità e uomini rimanessero in quello stato, che erano per ZECCA DI CH IV ASSO I99 l'avanti alla predetta fedeltà; et non venendo esso marchese di Saluzzo nel tempo del detto mese, ov- vero, essendo detto Teodoro così forte che, venendo il prefato marchese di Saluzzo, lo potesse discacciare fra dieci giorni dopo che gli sarìa data notizia della venuta sua, il giuramento di fedeltà da loro dato al prefato marchese Teodoro fosse fermo e dovesse durare perpetuamente <^). Dopo questo accordo Teodoro, prevedendo che all'arrivo del soccorso si sarebbe dovuto venire ad un combattimento decisivo, procurò di rendere più grosso e più forte il suo esercito. A tale scopo nel giorno 17 di giugno egli ema- nava da Mombello ai feudatari ed alle Comunità a lui fedeli l'ordine di dovere, per il bisogno di fare l'esercito generale per la difesa dello Stato, pre- sentarsi coi loro soldati nella pianura tra Casale, Sant'Evasio, Ticineto, Pomaro e Mirabello. vale a dire nella terra di Borgo San Martino, nell'ultima settimana di luglio per poter difendersi dai nemici e conservare il possesso di Vignale e di Lu, comminando gravi pene ai disobbedienti. Rinaldo di Leto, informato della convenzione di Vignale e del giuramento di fedeltà prestato da quegli abitanti a Teodoro, ed in pari tempo vivamente sol- lecitato dal marchese Manfredo, partiva colle sue truppe provenzali, con altre saluzzesi e dei ghibellini astesi, ed accompagnato dal principe Fihppo d'Acaja, il quale, disgustato dagli astesi guelfi, ora combat- teva contro i loro alleati, si avviò al soccorso di quelle due piazze pericolanti, ed andò ad accamparsi nella valle del Rotaldo al nord di Vignale. Teodoro a sua volta, ricevuti i chiesti rinforzi, si mosse da Borgo San Martino, e risalendo la parte (i) B. San Giorgio. Cronaca, op. cit,, pag. 95. 200 GIUSEPPE GIOR CELLI bassa della valle del Rotaldo, andò ad incontrare i nemici. Il suo esercito era inferiore per numero di soldati e meno disciplinato di quello del Senescalco, tuttavia il conte Filippone Langosco, il quale fun- geva da governatore del giovane marchese ed aveva il supremo comando delle schiere monferrine, deci- deva di venire al cimento delle armi. Però, quasi presago di quanto succedette, fece condurre Teodoro a Rosignano, luogo forte dèi Monferrato non molto lontano e ben fortificato ; quindi ordinò l'attacco. Narrano gli storici che i monferrini pugnarono vi- rilmente, tuttavia finirono per essere sbaragliati, ed il Langosco con altri capi venne fatto prigione men- tre cercava di salvarsi colla fuga. Il Senescalco mandò il Langosco e gh altri capi prigionieri a Marsiglia, dove trovavasi allora il re Carlo II, e questi destinò un castello di Pro- venza per dimora di quel conte, dove rimase fino alla sua liberazione. Non è a dire quanto grande fosse il dolore che colpì Teodoro nel vedere distrutto il suo esercito e captivo il suo governatore e cognato, e quanto grande fosse la gioia che provò Manfredo per la splendida vittoria di Vignale, la quale gli assicurava il possesso di quei luoghi forti. Pareva infatti che la posizione del paleologo fosse disperata e che il saluzzese do- vesse fra non molto riavere il possesso di tutta la Marca monferrina. Invece non trascorsero molti mesi che la sorte dei due rivali, che si disputavano il Monferrato, si è invertita, quella di Teodoro si rialzò e divenne trionfante, ed invece quella di Manfredo scese molto al basso e più non risorse. Tale cambiamento av- venne senza spargimento di sangue, ma per la sa- gace abilità politica di Opicino Spinola, il quale seppe ad un tempo ottenere la liberazione del suo ZECCA DI CHIVASSO 20I primo genero Filippone Langosco e la restituzione del Monferrato a Teodoro suo segondo genero. Ecco come si svolsero le cose. Il re Carlo II desiderava vivamente di avere risola di Sicilia già posseduta da suo padre, dalla quale i francesi erano stati scacciati crudelmente nei famosi Vespri siciliani. Per sollecitare i preparativi per quella agognata spedizione il re dimorava a Mar- siglia, e stava provvedendo il necessario naviglio e le occorrenti provvigioni. Lo Spinola, conoscendo la bramosia del re di rendersi presto padrone e vendi- carsi della Sicilia, concepì un capo d'opera di ac- corta politica, cioè propose a Carlo II l'aiuto di molte galere genovesi ben armate, però spesate poi dal re, col patto che il detto sovrano facesse met- tere in libertà il conte Filippone e gli altri prigio- nieri di guerra monferrini, e di più facesse conse- gnare ad esso Opicmo le piazze di Moncalvo, Vignale, Lu, ed altri luoghi monferrini presidiati dai soldati provenzali , che egli terrebbe per cauzione della dote di sua figlia Argentina. Il re accettò la opportunissima proposta dello Spinola, quindi diede ordine di porre in libertà i prigionieri della disfatta di Vignale e di rimettere le suddette piazze monferrine allo Spinola. Filippone cogli altri fu condotto per mare da Marsiglia a Ge- nova, donde ognuno si recò alla propria casa. Lo Spinola mandò a Marsiglia le promesse galere. A questo proposito, siccome gli storici affermano che la prigionia di Filippone Langosco durò sei mesi e la battaglia di V'ignale ebbe luogo negli ultimi giorni di luglio dell'anno 1307, così è cosa logica il credere che la liberazione di questi prigionieri abbia avuto luogo in principio di febbraio dell'anno 1308. Così pure nello stesso tempo, d'ordine del re Carlo II, il Senescalco Rinaldo ritirò le sue truppe 202 GIUSEPPE GIORCELLI dai luoghi del Monferrato, e li consegnò ai delegati di Opicino, il quale successivamente li rimise al ge- nero marchese Teodoro. In tale modo il paleologo divenne padrone di tutto il Monferrato. Ripeto che il matrimonio di Teodoro con Ar- gentina fu provvidenziale e che lo Spinola colla sua abile politica salvò ad un tempo i suoi due generi. Nel giorno io gennaio dell'anno 1309 i feuda- tari e le Comunità del Monferrato andarono a giu- rare nuovamente la fedeltà a Teodoro, riconoscen- dolo tutti per loro legittimo principe *^). Si comprenderà facilmente come il marchese di Saluzzo sia rimasto assai malcontento vedendosi pri- vato della città di Cuneo e degli altri luoghi, che egli aveva ceduto al re Carlo per ottenere il suo aiuto contro il paleologo e conservare in tale modo la Marca monferrina, ed invece ora, per opera del suddetto re, era ridotto a non possedere se non quanto avevano posseduto i suoi antenati, vale a dire il solo marchesato di Saluzzo. Infatti esso fece fare alte lagnanze alla corte del re Carlo, e questo sovrano, temendo che lo sdegnato ed irrequieto Manfredo non avesse a commettere dei disordini e dare luogo a guerre in Piemonte, compromettendo la sua impresa di Si- cilia, cercò di calmarlo e di soddisfarlo concedendogli parecchi grossi possedimenti nel regno di Napoli, ed ottenne il suo intento. Infatti Manfredo non solo non molestò più Teodoro ne altri, ma nell'anno succes- sivo 1309 propose al paleologo di unirsi in alleanza, ed a tale scopo gh mandò i suoi delegati per trattarla. Il disegno del re Carlo di muovere guerra alla Sicilia e di conquistarla, che gli stava tanto a cuore, non è stato mandato ad effetto perchè la morte lo (i) In questo anno Teodoro raggiungeva il diciottesimo anno, e quindi, diventato maggiorenne, assumeva il governo del suo Stato ed i suoi sudditi gli rinnovarono il giuramento di fedeltà. ZÉCCA DI CHIVASSÓ 2C^ colpì nel giorno 5 di maggio del 1309, ed il re Ro- berto, che gli succedette, per allora non pensò a quella impresa, essendo distolto dalle gravi novità insorte in Provenza ed in Piemonte. Quivi il mar- chese Manfredo , udita la notizia della morte di Carlo II, mise in non cale i trattati che aveva con- chiuso col medesimo, e cercò di ricuperare colle armi le città e le terre che egli aveva ceduto nel 1306 al re angioino. Roberto venne in persona in Piemonte con un corpo di soldati per difendere le sue ragioni ed i suoi possedimenti. Alli IO di giugno dell'anno 1310 il re giungeva a Cuneo, e, come narra Carlo Muletti, gli abitanti di quella città si sottomisero a lui di buon grado, come pure quelli di Caraglio, e di Busca ; si impadronì poi colle armi di Mondovì, Savigliano, Possano e Cherasco, nei quali luoghi e città il marchese di Sa- luzzo, vantando dei diritti, aveva posto dei presidii suoi. Manfredo non riusciva nel progetto di unirsi in alleanza col marchese Teodoro, ma volendo ambedue togliere ogni germe di discordia, convennero di no- minare degli arbitri e di dare loro amplissimi poteri per far cessare ogni dissidio. Il compromesso venne firmato nel primo giorno di luglio dell'anno 1309. Senonchè, sopravvenuti i suddetti motivi di guerra, il progetto della lega andò fallito. Il re Roberto, dato assetto alle cose di Piemonte, che per amore di brevità io ometto, lasciò questa regione per attendere agli altri suoi domimi. Ed ecco venire in scena nuovi personaggi e cose nuove in Piemonte. Arrigo VII, conte di Lucemburgo, era eletto a pieni voti re dei romani nel giorno 25 novembre dell'anno 1308, ma la sua elezione fu soltanto pub- bhcata nel giorno 27 di detto mese. Nell'anno 1310 esso volle scendere in Italia col 204 GIUSEPPE GIORCELLl lodevolissimo proposito di portare la pace e la con- cordia fra le città della penisola. Alli 22 di ottobre scendendo dalle alpi giungeva a Susa accompagnato da Amedeo V conte di Sa- voia e suo cognato e da numeroso seguito ; poco dopo entrava in Torino, dove fu accolto con grandi onori e molte feste da Filippo principe d'Acaja e dagli abitanti. Accorsero a Torino per ossequiarlo il conte Filippone Langosco conte palatino di Lumello, il marchese Teodoro di Monferrato, il marchese Man- fredo di Saluzzo, e molti feudatari e delegati di co- munità, desiderando tutti di patrocinare altresì i loro interessi presso quel sovrano. Presentaronsi pure a lui numerosi fuorusciti piemontesi, lombardi, e di altre provincie. Partendo da Torino l'imperatore passò a Chieri e quindi si recò in Asti. In questa città nel giorno 25 novembre l'impe- ratore concedeva a Teodoro l'investitura del mar- chesato monferrino. In quell'atto, riportato dal San Giorgio, non si fa cenno del diritto di zecca. Nel- l'istrumento di questa investitura figura presente Opicino Spinola, il quale probabilmente in quella occasione si era recato presso Teodoro per ben consigliarlo onde ottenere i favori di Arrigo VII. In esso sono pure nominati come presenti il conte Lan- gosco e Cassone della Torre arcivescovo di Milano con molti altri signori. Quando Arrigo prese commiato da Asti prose- guiva per la via di Casale, Vercelli e Novara, onde recarsi a Milano, dove nella chiesa di Sant'Ambro- gio l'arcivescovo Cassone, nel giorno 6 di gennaio 1311, gli poneva sul capo la corona reale alla pre- senza del conte Amedeo V di Savoia, di Filippo principe d'Acaja, di Teodoro marchese di Monfer- rato, di Manfredo marchese di Saluzzo, e di molti altri alti personaggi. ZECCA DI CHIVASSO 205 Nell'anno 1311 alli 21 di ottobre l'imperatore Arrigo, continuando la sua lenta marcia e sempre coir intento di pacificare gli animi degli italiani, en- trava in Genova, ed in quella città volle che Man- fredo di Saluzzo e Teodoro di Monferrato si ricon- ciliassero serenamente e sinceramente, sentenziando che in pegno della loro pacificazione Manfredo ri- cevesse dal monferrino le terre di Mombarcaro, Ca- merano ed alcuni altri luoghi, e di più la rinuncia di ogni suo diritto su Cortemiglia, Dogliani, Monchiero, Ormea, Cagno, Loesio e Saleggio. Ambedue i mar- chesi accettarono questi patti e li giurarono (Cfr. Mu- letti Carlo). Teodoro continuò a seguire l'imperatore nel suo viaggio ; a Roma assistette alla sua incorona- zione avuta dalle mani del pontefice Clemente V nella Basilica Lateranense nel giorno 29 di giugno del 1312. Partiva Arrigo da Roma il 20 luglio e si dirigeva verso la Toscana, dove ebbe scrii contrasti coi fiorentini, che egli perciò pose al bando. In quella circostanza l'imperatore concedette al fedele Teodoro la facoltà di far coniare dei fiorini d'oro simili a quelli rinomati di Firenze, e ciò per far dispetto ai fiorentini, i quali erano molto gelosi di tale moneta, che per la sua bontà era accettata su tutti i mercati, ed essi perciò non volevano che fosse imitata dalle altre zecche. Arrigo VII cadde ammalato, e, ritiratosi nel 1313 a Buonconvento presso Siena, cessava di vivere alli 24 di agosto di quell'anno. Passiamo ora in rivista le prime monete coniate in Chivasso collo scopo di far rilevare alcuni errori su di esse che esistono tuttora, e dimostrare come devono essere corretti. 2o6 GIUSEPPE GIORCELLl In primo luogo occupiamoci del piccolo soldo imperiale di Manfredo IV marchese di Saluzzo. Ho dimostrato colla scorta del documento pub- blicato dal chiar. avv. Orazio Roggiero che quella unica monetina di quel marchese, fattaci conoscere da Domenico Promis, venne battuta nell'anno 1306, mentre i numismatici la credono col Promis coniata dopo l'anno 1310. Manfredo nel 1306 era padrone di tutto il Mon- ferrato, ed era così persuaso di poterlo conservare che aveva assunto il titolo di Marchio Saluciarum et Montisf errati . Quindi era cosa naturale che anche su quella monetina facesse porre il suo nome col titolo di Marchio montisf errati. Invece nell'anno 1310 la sorte di Manfredo era assai mutata, ed esso non po- teva più aspirare al possesso del Monferrato. Però, perchè le mie parole siano meglio comprese, fa me- stieri di ricordare al lettore le parole del famoso bando dell'imperatore Arrigo VII contro alcune zec- che piemontesi (^l Scendeva questo imperatore in Italia, come ab- biamo veduto, nell'anno 1310 nel mese di ottobre, ed alli 7 di novembre emanava un decreto col quale ordinava che . . . nec . . . persona presumat dare, nec recipere, nec portare imperiales factos in Clivassio, in yporeya, in Incixa, in Ponzono et in Curtemilia, nec nullum marchexanum, tyrollinum, russinum, factos in dictis monetis .... Ora dalla dicitura di questo decreto risulta che nell'anno 131 o in Chivasso si erano già fabbricati degli imperiali, dei tornesi (marchexani), dei matapani (russini) e dei tirolini. Siccome questo decreto non nomina gli impe- ci) Vedi il lavoro del cav. Quintilio Perini. La Grida di Enrico FU Imperatore. Rovereto, tip. Roveretana, 1901. ZECCA DI CHIVASSO 207 riali di Manfredo IV di Saluzzo, così il Promis cre- dette che in quell'anno non fossero ancora battuti, ma bensì lo fossero dopo quell'anno. A questo proposito io faccio osservare che quel decreto non colpisce separatamente le monete di questo o quel principe, ma contempla in massa le monete di ciascuna zecca anche emesse da diversi signori. Si spiega quindi il perchè, avendo Manfredo fatto coniare i suoi imperiali in Chivasso nel 1306, e Teodoro parimente i suoi imperiali nella stessa zecca nel 1307, essi sono tutti compresi e banditi colle pa- role imperiales factos in Clivassio. Anzi, a mio avviso, il silenzio di Arrigo VII sulla monetina di Manfredo è una prova indiretta, è vero, ma non senza valore, che essa usci dall'officina di Chivasso, imperocché, se fosse stata battuta in Saluzzo od in altro luogo saluzzese o monferrino, sarebbe stata nominata nel decreto suddetto. Ora io chiedo al lettore, il quale ha veduto nei cenni storici sopra esposti che Manfredo nel 1308 aveva perduto tutto il Monferrato per la convenzione fatta da Opicino Spinola col re Carlo II di Napoh, — che nel 1309 esso trattava con Teodoro di unirsi in alleanza, — che nel 1310 Arrigo dava a Teodoro l'investitura della Marca monferrina, e che nel 1311 Manfredo e Teodoro confermavano la pace fra di loro in Genova alla presenza dell'imperatore e della sua corte mediante compensi territoriah, se dopo tutto ciò si possa logicamente credere che Manfredo dopo il 1310 potesse nutrire ancora la velleità di far coniare una moneta in suo nome quale marchese di Monferrato. È pure opinione del Promis, vista la straordi- naria rarità degli imperiali di Manfredo, che questo marchese ne abbia fatto battere assai pochi. Ciò può essere ; però è pure cosa probabile che, quando Teo- 208 GIUSEPPE GIORCELLI doro ottenne il possesso del Monferrato, abbia fatto ritirare e distruggere le monete del suo avversario, ed in tale modo abbia contribuito a renderle così rare. Dei soldi piccoli imperiali di Teodoro ne ab- biamo due varietà, una pubblicata da Umberto Rossi aventi nel rovescio su tre righe le parole Mon \ ti- sfe I rati, come gli imperiali di Manfredo IV, e se è vero che Teodoro abbia fatto battere i suoi imperiali nel 1307 per contrapporli a quelli del saluzzese, non è improbabile che allora, cioè nel 1907, abbia ordi- nato questa emissione. Con l'uso frequente di questa monetina molte subirono corrosioni, altre andarono perdute, riuscendo troppo rare ed insufficenti ai bi- sogni del piccolo commercio ; allora Teodoro ne or- dinò la seconda emissione e queste nel rovescio hanno l'ultima i mancante, leggendosi Mon \ tisfe \ rat. Ciò avvenne tra il 1325 ed il 1330. Credesi comunemente che Teodoro abbia aperto la zecca di Chivasso abusivamente, perchè era figlio di un imperatore. La cosa ha bisogno di spiegazione. Certamente Teodoro per la sola quahtà di es- sere discendente da un imperatore non aveva il di- ritto di zecca, e quindi avrebbe agito in modo abu- sivo. Se però noi invece consideriamo che gli im- periah di Costantinopoh avevano, senza dubbio, il diritto dì zecca in ogni punto dei loro dominii, e perciò anche in Monferrato, quando esso divenne loro proprietà, e che nel dare a Teodoro il possesso sovrano del Monferrato, gli accordarono tutti i di- ritti della sovranità, compreso quello della moneta, dobbiamo conchiudere che la coniazione della mo- neta di Teodoro era un atto legale e non abusivo. Così pure, esaminando l'investitura data dall'impe- ratore Arrigo a Teodoro nel 1310, troviamo che ZECCA DI CHIVASSO 209 neppure essa fa motto del diritto di zecca, perchè appunto era compreso fra le prerogative della so- vranità. Perciò Teodoro continuò la lavorazione nella sua zecca di Chivasso, credendo di averne il diritto. Dunque il marchese Teodoro coniò legalmente. ■ Abbiamo veduto che l'imperatore Arrigo nella sua venuta da Roma in Toscana, essendo malcon- tento dei fiorentini, accordò a Teodoro la facoltà di battere fiorini d'oro del conio di quelli pregiati di Firenze. Quest'atto non è una concessione generale di battere qual si voglia moneta, cioè non è una concessione di zecca, ma riflette il solo fiorino fio- rentino, per fare dispetto e danno a quella repub- blica, la quale, gelosa della bontà della sua moneta, che era accettata su tutti i mercati, aveva ottenuto da un imperatore il privilegio che nessuna zecca po- tesse imitarla. Arrigo pel noto motivo derogò all'an- tica prerogativa, e fece la suddetta concessione al principe monferrino in premio della sua fedeltà. Per- ciò quest'atto non può essere ritenuto quale conces- sione di zecca. Allorquando nel 1306 Teodoro entrò in Mon- ferrato trovò nella regione subalpina e nelle Pro- vincie vicine essere, per così dire, di grande moda i tornesi. Infatti in Francia il re Filippo il bello fa- ceva battere tornesi col motto TVRONVS CIVIS; Filippo principe d'Acaja ne coniava in Torino col motto TORINVS CIVIS; altri in San Sinforiano Amedeo V conte di Savoia, in Cuneo il re di Napoli Carlo II, ed in Asti ne uscivano tre varietà. Questi tornesi, lavorati molto bene e della dovuta bontà, erano assai pregiati ed accettati sui mercati del Piemonte e di fuori. È quindi cosa naturale il pensare che anche Teodoro, volendo provvedere al commercio del suo Stato con monete grosse, abbia prescelto il tornese, 210 GIUSEPPE GIORCELLI e questa sia la seconda moneta fatta da lui coniare nella zecca di Chivasso. Questa opinione è rincalzata dal seguente fatto. Teodoro nel suo primo atto di governo, cioè quando nel settembre del 1306 an- nunciò da Casale ai suoi sudditi il suo arrivo in Monferrato, ed ordinò ai feudatari ed alle Comunità libere di recarsi a Casale a riconoscerlo ed a pre- stargli il giuramento di fedeltà, incominciò il suo primo ordine colle seguenti parole: Theodoriis excel- lentissimi domini Graecorum imperatoris filiiis. Ebbene, nel tornese di Teodoro pubblicato da Solone Ambro- soli troviamo nel diritto la medesima dicitura, cioè nel giro interno : THEODORVS ed in quello esterno : EXCELLET • I : IMPATORIS GRECO • FILIVS (i). Si direbbe che il decreto gli servì di presentazione ai sudditi ed il suo tornese di presentazione al mondo commerciale. Teodoro non tardò molto a far battere anche il matapane, moneta parimente pregiata e molto usata in quei tempi, fatta ad imitazione del matapane ve- neto, e della quale si hanno oggidì molti esemplari. Il bando di Arrigo comprendeva anche il tiro- lino, ma di questa moneta battuta in Chivasso finora, per quanto io so, non se ne conoscono esemplari. Però dal decreto viene dimostrato che questa moneta nel 1310 era già fatta e correva nel com- mercio. Svolgiamo ora la questione del vero motivo che spinse l'imperatore Arrigo a lanciare il suo decreto. Dai pili si crede che la cagione sia dovuta alla deficiente bontà delle monete colpite. Ciò si può am- (i) Vedi Sol. Ambrosoli. // Ripostiglio di Litrate Abbate, luogo citato. ZECCA DI CHIVASSO 2ll mettere per i soldi piccoli imperiali, che sono vere meschinità, non però per le monete grosse, impe- rocché gli esemplari delle medesime, che pervennero sino a noi in buona conservazione, quali il tornese di Lurate Abbate ed i molti matapani, sono ben la- vorati, ed hanno la debita bontà. Altri portano opinione che tali monete siano state bandite perchè furono coniate senza l'autoriz- zazione imperiale. Questa opinione è distrutta dal fatto che Filippo principe d'Acaja, padrone di uno Stato di fresca formazione, ha battuto tornesi e ma- tapani in Torino senza concessione imperiale, e dette monete non furono comprese nella Grida; mentre invece Ivrea, benché avesse ottenuto la facoltà di zecca dall'imperatore Federico II, vide le sue monete colpite da Arrigo. Potrei citare altri esempi simili. Perciò a me pare che si debba cercare il vero motivo nella politica, cioè che Arrigo abbia voluto con quell'atto di rigore intimorire il partito guelfo naturale nemico dell'impero, ed obbligare i guelfi a riconoscere la sua autorità imperiale, e giurargli la fedeltà. Infatti il più direttamente colpito fu il mar- chese Teodoro nella sua zecca di Chivasso, perché, oltre che proveniva da stirpe imperiale straniera, nell'anno 1306 aveva contratto alleanza coi guelfi di Asti, i quali nel 1307 combatterono coi monferrini nella infausta battaglia di Vignale, come pure era sempre stato in termini ostili coi ghibellini astesi fuorusciti. Ma quando Teodoro recossi ad ossequiare Arrigo, egli lo prese in grazia, lo dichiarò legittimo padrone del Monferrato escludendo Manfredo di Sa- luzzo, e glie ne diede l' investitura. Inoltre allorché, come si é detto, nell'anno 1312 l'imperatore Arrigo, malcontento dei fiorentini, e vo- lendo far loro dispetto e danno, concedette a Teo- 212 GIUSEPPE GIORCÈILI doro la ambita facoltà di far coniare dei fiorini d'oro al conio di quelli di Firenze, derogando al loro privi- legio per il quale in nessuna zecca si poteva battere simili fiorini. Gli astigiani guelfi pararono il colpo mandando sollecitamente ad Arrigo una solenne ambascieria di dodici dei loro più insigni cittadini ad ossequiarlo e dichiarare di essere pronti a far pace coi ghibellini fuorusciti, come l'imperatore voleva, e forse, o senza forse, portarono con loro delle grosse somme di da- naro per il sovrano e per i suoi ministri, i quali ne avevano sempre sete, ed in tale modo la loro zecca fu salva. Dopo la morte dell'imperatore Arrigo, avve- nuta, come si sa, nel 1313 a Buonconvento di Siena, Teodoro fece ritorno in Monferrato e vi risiedette fino all'anno 1316, nel quale decedeva l'imperatrice Violante sua madre, ed esso correva a Costantino- poli per consolare l'afflitto suo padre. Colà giunto vi si fermò fino all'anno 1319 per aiutare suo padre a difendersi dai nemici, i quali lo molestavano da più parti. Nel 1319 faceva ritorno al suo marchesato prendendo Ja via di Venezia. È cosa logica il supporre che Teodoro al suo ritorno in Monferrato nel 131 3 abbia approfittato della concessione imperiale, ed abbia ben presto fatto battere dei fiorini d'oro nella zecca di Chivasso, vale a dire fra l'anno 1313 od il 1316, nel quale tempo risiedette in Monferrato. Non si può quindi ammettere l'opinione di Do- menico Promis, cioè che il fiorino d'oro di Teodoro sia uscito dalla zecca di Chivasso nell'anno 1336, vale a dire 24 anni dopo la onorifica concessione dell'imperatore. ZECCA DI CHIVASSO 213 Vero è che Benvenuto San Giorgio nella sua Cronaca tratta del fiorino all'anno 1336, ma non di moneta coniata allora, bensì della bontà delle mo- nete di Teodoro battute in altri tempi. Infatti egli scriveva : « le monete che ai tempi del predetto marchese Teodoro e sotto il suo nome ed insegne sue, si fabbricavano, così d'oro come d'argento erano della bontà et peso infrascritti ». Come si vede, le parole del San Giorgio non distruggono la supposi- zione che i fiorini d'oro in discorso abbiano avuto origine nel tempo da me sopra fissato. Il marchese Teodoro dopo il suo ritorno da Costantinopoli, vedendo che i suoi soldi piccoli im- periali non bastavano più per il minuto commercio, ne fece fare una seconda emissione, probabilmente di quelle pubblicate da Promis. Nel 1338, il marchese Teodoro usciva di vita e lasciava lo Stato al suo figlio Giovanni. Riassumo dicendo che da quanto venne esposto parmi si possa legittimamente dedurre : 1.° Che la zecca di Chivasso venne aperta nel 1306 da Manfredo IV marchese di Saluzzo, il quale fece in essa coniare il suo soldo piccolo im- periale, sua unica moneta, col titolo di Marchio Mon- tisferrati. 2° Che la zecca di Chivasso fu poi continuata da Teodoro paleologo, il quale nel 1307 vi fece bat- tere il suo imperiale e poscia altre monete negli anni successivi. 3.° Che fra l'anno 1308 ed il 1310 vennero in essa lavorati i tornesi, i matapani, e forse anche i tirolini contemplati nel bando di Arrigo. 214 GIUSEPPE GIORCELLI 4.° Che fra gli anni 1313 e 1316 furono in detta zecca creati i fiorini d'oro. 5.° Che fra gli anni 1319 e 1330 venne fatta la seconda emissione degli imperiali. Pur troppo queste deduzioni non sono basate sopra documenti indiscutibili; ciò non di meno non si può negare che abbiano dei criteri di grande probabilità nello svolgimento dei fatti storici di quei tempi. Casale Monferrato, igio. Dott. Giuseppe Giorcelli. MONETE E VARIETÀ INEDITE della COLLEZIONE CORA {SECONDA SERIE) CARMAGNOLA Lodovico II marchese di Saluzzo (1475-1504). ^ — + LVDOVICVS • M • SALVTIAR' • Busto a sin. con berretto, dietro circoletto con punto centrale. 91 - SANCTVS • CONSTANTIVS ® Scudo inclinato e coro- nato, sormontato dall'aquila nascente colle ali spiegate e colla testa coronata e volta a sinistra, ai lati ^ L ^ - ® M. Argento. Testone. Peso gr. 7^3. Ottima conservazione, É questo uno splendido testone che varia sen- sibilmente da quelli pubblicati dal Roggiero e dagli 2X6 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTÌ-CONIETtI altri illustratori delle zecche dei marchesi di Sa- luzzo (^). Infatti in questo si osserva nel diritto un glo- betto con punto centrale dietro il busto del marchese, forse segno monetario : nel rovescio poi si nota nello scudo l'assenza del cimiero e dei lambrecchini, essendovi solo la corona marchionale, come si ri- scontra nel conio dei ducati illustrati al n. 3 della tav. I del Roggiero. Inoltre la corona è assai inclinata a destra e l'aquila nascente e le iniziali L. M. [Ludovicus Mar- chio) pendono pure nella stessa direzione della co- rona, ne vi ha nella leggenda sigle di zecchiere. Ma quello che più specialmente colpisce in questa moneta si è l'esiguità del peso, grammi 7,53, pur essendo di perfetta conservazione quasi a fior di conio, mentre il peso del testone è in media di grammi 9,500 ; e non saprei come spiegare tale ano- malia se non attribuendola ad irregolarità od abuso per parte degli zecchieri, cosa assai comune in quei tempi anche nelle zecche di maggiore importanza. (i) Roggiero Orazio. La zecca dei marchesi di Saluzzo. Pinerolo, 1901. — LiTTA Pompeo. Famiglie celebri italiane. I marchesi di Saluszo. Milano, 1819-68. — Muletti Delfino. Memorie storico-diplomatiche ap- partenenti alla città ed ai marchesi di Saluzzo. Milano, 1829-33. MONETE T VARIETÀ INEtJITE DELLA COLLEZIONE CORA ±T'J CASALE Vincenzo I Gonzaga duca di Mantova e marchese di Mon- ferrato (1587-1612). Di questo duca che riformò il suo sistema mo^ netario sulla base di quello di Milano, presento an- zitutto un magnifico ducatone '^). B' - . . VINC • D • G • DVX • MAN llil • ^E • MON • FER • Il • Busto a s. corazzato con colletto rivoltato e le insegne del Toson d'oro ; sotto • 1603 • ^ - ' PROTECTOR • • NOSTER • ASPICE • S. Giorgio a cavallo rivolto a d. in atto di brandire il troncone della lancia, la cui estremità spezzatasi, è rimasta confitta nelle fauci del drago ; nell'e. • CASAL • Argento. Ducatone. Peso gr. 30,76. Ottima conservazione. S. Giorgio, che figura promiscuamente tanto sulle monete di Mantova quanto su quelle di Casale, sugh scudi di Vincenzo I e di Ferdinando II e sul testone di Carlo II, ha nel nostro pezzo un'impronta tutta particolare e ben diversa da quella che si ri- (i) Il ducatone valeva 15 reali, lo scudo d'argento del Monferrato 12 reali e il reale 9 grossi. 21 8 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI scontra negli altri ducatoni finora pubblicati. In questi vedesi la solita effigie del Santo a cavallo in atto di trafiggere il drago; invece nel nostro il Santo ha già compiuto tale azione, giacché l'estremità della lancia appare spezzata e infissa nella bocca del drago, mentre il Santo brandisce il troncone della lancia stessa. Ciò costituisce una caratteristica ben definita di questa moneta, la quale varia inoltre nelle leggende. Infatti i ducatoni pubblicati nelle Monnaies en argent du Cabinet de Vienne (^) presentano : T. B' - VINCD:GDVXMANIIII TMONFERII Busto a d. corazzato con colletto alla spagnuola. 9* - • PROTECTOR : • : NOSTER • ASPICE • S. Giorgio a cavallo rivolto a d. in atto di trafiggere il drago, sotto il cavallo, fra questo e il drago, 1603; nel- l'e. • CASAL • 2. ^ - VINC • D : G • DVX • MANT • illi • T • NION • FER • Il Busto a d. corazzato con colletto rivoltato. 9* - * PROTECTOR + NOSTER + ASPICE + 1591 ^ San Giorgio e. s. ; nell'e. * CASAL * E quello pubblicato da Promis (2) : ^ - VIN • D : (t • DVX • MAN • IMI • "E • MON • FÉ • Il • Busto a d, corazzato e con colletto alla spagnuola. P - PROTECTOR • NOSTER • ASPICE • S. Giorgio a ca- vallo rivolto a sin. che trafigge il drago, sotto 1588 CASAL- 11 ducatone sopra illustrato deve appartenere a quelli battuti dal maestro Giuseppe Campo nell' ul- (i) DuvAL et Froelich. Monnaies en argent du Cabinet de Vienne, pag. 449. (2) Promis Domenico. Monete di zecche italiane inedite o corrette. Me- moria terza. Torino, 1871. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 219 timo appalto che ebbe di questa zecca prima della morte del duca Vincenzo I. L'altra moneta che presento di questo duca si è il mezzo ducatone. ^ - VINCENTIVS • D : G : DVX • MÀNT • UH Busto a des. con colletto rivoltato. 9 - + DOMINE PROBASTI * CASAL * Mazzo di verghe d'oro in un crogiuolo fra le fiamme, sulla base di esso vi è la data 1592. Argento. Mezzo ducatone. Peso gr. 15^5. Ottima conservazione. \J impresa del crogiuolo appartiene al marchese Francesco li e daterebbe, secondo il Giovio (O, dalla battaglia di Fornovo, ossia dal 1493. Questo mar- chese, essendo capitano generale del Senato Vene- ziano, venne da invidiosi accusato di avere in quella giornata voluto sedere sopra due selle, cioè di avere servito la repubblica di Venezia, combattendo valo- rosamente, e nel tempo stesso suo cognato Lodo- vico Sforza, temporeggiando dopo la battaglia in- vece di fare l'inseguimento del nemico. Ma essendo egli riuscito a giustificarsi chiarissimamente, adottò per impresa un crogiuolo al fuoco pieno di verghe d'oro col motto della sacra scrittura PROSASTI ME (1) Giovio Paolo. Raggionamento sopra i motti e i disegni d'arme e d'amore che comunemente chiamano Imprese, pag. 23. Milano, 1559. 220 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI DOMINE ET COCtNOVISTI, a cui egli sottintedeva ancora SESSIONEM MEAM. 'Quest'impresa, adottata poi anche dai succes- sori di Francesco II, servì a Vincenzo I per com- porre la collana del suo ordine cavalleresco del Re- dentore. Il nostro mezzo ducatone è una varietà di quello pubblicato nelle Monnaies en argent du Cabinet de Vienne che porta : ^ — VINC ■ D • G • DVX • MAN • IMI • ET • MON • FER • Il • Busto e. s. 91 — + DOMINE PROSASTI : * CASAL • Crogiuolo e. s. colla data 1595. nonché di quello pubblicato da Papadopoh (0 : ^' — • VIN • D • G- • DVX • MAN • llll ET MON • FER • Il • Busto a s. ^ — DOMINE PROSASTI l-S-PO (La leggenda è in- terrotta da piccoli arabeschi). Crogiuolo e. s. Il peso della moneta descritta da Papadopoh, che è di grammi 15,39 quasi uguale a quella da noi illustrata, conferma vieppiù il dubbio di questo illustre nummografo, che cioè il Promis (2) abbia con- fuso il pezzo da 6 lire con quello da 3 lire, il quale ultimo è appunto il mezzo ducatone di cui si tratta. (i) Papadopoh Nicolò. Monete inedite della raccolta Papadopoli in Rivista Italiana di Numismatica, a. 1896, pag. 357, n. 5. (2) Promis Domenico. Monete di zecche italiane inedite o corrette. Me- jnoria terza, pag. 138. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 221 DESANA Giovanni Bartolomeo Tizzoni conte (i) (1525-33). B' — ® BONFÀCIS BARTIC Stemma inquartato i e 4 di Monferrato, 2 di Sassonia, 3 di Bar. 9 — ® CRISTVS • INPERAT Croce patente incorniciata. Rame. Sesino. Contraffazione del sesino di Bonifacio II Paleologo marchese di Monferrato. Peso gr. 0,650. Discreta conservazione. Come tutte le piccole zecche, o per dire meglio, come tutti i tirannelli dei primi secoli dell'evo mo- derno, i conti di Desana si segnalarono essi pure nell'alterare e contraffare le altrui monete; giacche, non essendo i redditi sufficienti ai loro bisogni, ac- cresciuti ancora dalle frequenti loro non liete vicende, per fare denaro in ogni guisa, oltre ad aggravare di taglie e balzelli i miseri loro sudditi, ricorrevano al mezzo della zecca. Infatti la zecca di Desana nel non lungo periodo di sua esistenza, circa un secolo e mezzo, non solo lavorò senza interruzione, ma produsse annualmente dai 600 agli 800 e fino ai 1000 scudi in oro, somma assai rilevante, se si tiene conto del valore della moneta in quei tempi e della poca vastità ed importanza del feudo di Desana. (i) Cfr. Gazzera Costantino. Memorie storiche dei Tizzoni conti di Desana e notizia delle loro monete in Memorie della R. Accademia delle scienze di Torino, a. 1842, serie II, tomo IV. — Gandolfi Gio. Cristo- foro. Delle memorie storiche dei Tizzoni conti di Desana in Rivista Li- gure, fase. 6.°, giugno 1843. — Promis Domenico. Monete della zecca di Desana. Torino, 1863. 22^ T. COLONNELLO ALBERTO CUNÌETTI-CONIEtTI Questa zecca sembra essere stata aperta dal conte Ludovico II Tizzoni, dei quale ci rimangono numerose monete, e che ebbe questa terra infeudo dall'imperatore Federico IV con investitura delli 8 luglio 1485, senza che però risulti fosse incluso il diritto di moneta. E che Ludovico II sia stato il primo ad usare della zecca sembra verosimile, in quanto nessuna moneta si conosce dei predecessori, mentre da esso comincia la serie dei nummi desanesi, che seguita ininterrotta fino all' ultimo conte Curzio Francesco, la cui vedova vendette poi nel 1693 il feudo al duca di Savoia Vittorio Amedeo II. Ludovico, morto nel 1525, aveva nominato suo successore il figlio quartogenito Giovanni Bartolo- meo, valendosi del diritto concessogli dall'impera- tore Massimiliano di potere nominare a successore quello fra i suoi discendenti stimato più idoneo al governo del feudo. Ma nel frattempo Desana era stata usurpata da stranieri quali un Malevesche ed un Tayles, un Pietro Bérard signore della Faucaudière ed infine da un novarese Filippo Tornielli conte di Brionna, i quali, sul principio del secolo XVI dopo la calata dei Francesi in Italia e dopo la vittoria di Marignano, occuparono a viva forza il feudo e poi, l' uno dopo l'altro, ed anche più d'uno insieme, se lo godettero quali signori, abusando di ogni diritto, compreso quello di zecca. Questa usurpazione durò circa quindici anni, cioè dal 1515 fino al novembre 1529, epoca in cui il feudo di Desana fu dal Bérard, che, insieme al Tornielli, se lo disputava, venduto al duca di Sa- voia Carlo II, il quale lo restituì al suo legittimo signore, il conte Giovanni Bartolomeo Tizzoni. . Questo conte fino dal 1523 aveva fatto una MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 223 convenzione cogli zecchieri Maffeo e Francesco de Clivate, per la stampa di monete nella zecca di De- sana, ma a nome del padre : le altre monete col nome di Giovanni Bartolomeo furono battute dal 1525 al 1533 anno della sua morte, e in questo pe- riodo la zecca fu assai attiva. Ma le monete di questo conte vennero emesse per un valore di gran lunga superiore al valore reale, cosicché colla grida del 1529 furono dal duca di Savoia Carlo II bandite dall'avere corso nei suoi stati le monete di Desana dei Tizzoni ; la qualcosa non impedì peraltro che si continuasse da codesti signori nell'ignobile industria (^\ E non soltanto la moneta era scadente per la qualità del metallo, sibbene era ancora contraffatta a quella dei maggiori stati, allo scopo di agevolarne il corso, mistificando le popolazioni coll'abusare della loro ignoranza e buona fede. Così vediamo monete contraffatte al tipo di Savoia, di Saluzzo, del Monferrato, della Svizzera e dei Trivulzi. Il sesino sopra illustrato è una prova di quanto abbiamo esposto. In esso l'astuzia giunse al punto di lasciare integralmente lo stemma Paleologo con- traffacendo, anzi falsificando, l'analogo sesino di Bo- nifacio Il marchese di Monferrato, contemporaneo di Giovanni Bartolomeo Tizzoni (^\ (i) Né poteva essere diversamente se si considera l'esempio rife- rito dal Cazzerà, che fa conoscere come dal io ottobre 1619 al 21 giu- gno 1621 furono coniate 306 doppie, 89 doppioni, 165 ungari e 180 fio- rini, mentre lo zecchiere doveva pagare un fitto di 200 doppie all'anno, che aumentò poi ancora fino a 1000 scudi. E non solo gli ebrei e i banchieri, ma persino alcuni principi e grandi signori ricorsero alle zecche feudali per avvantaggiarsi delle grosse alterazioni monetarie. (2) Bonifacio II fu signore del Monferrato dal 1518 al 1530 e G. Bar- tolomeo Tizzoni fu signore di Desana dal 1525 al 1533. 224 T' COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI -CUNIETTI Nel diritto della moneta descritta si osserva il nome erroneamente compilato di Bonifacio seguito da quello abbreviato del conte di Desana, e lo stemma identico eccettochè nel quarto di Sassonia è ommessa la corona in banda, che vedesi nelle mo- nete genuine dei Paleologi. Nel rovescio poi è stata posta la medesima croce patente incorniciata come nei sesini di Bonifacio II e del predecessore Gu- glielmo II e solo si è snicchiato un nuovo motto CRISTVS INPERAT, non mai usato dai Paleologi, ma che si incontra in una moneta di Gian Giacomo Tri- vulzio e in qualche denaro anonimo di Venezia. L'esimio nummografo generale Ruggero (^) ha pubblicato un sesino simile a quello sopradescritto, meno la leggenda del diritto che è BONIFACIV... MAR..., mentre quella del rovescio è identica, salvo l'orto- grafia, CRISTVS IMPERAI : tale moneta attribuisce al marchese Bonifacio II, non essendovi nessun segno che possa, come nella mia, farle dare altra attri- buzione. Così pure il Maggiora-Vergano (2) pubblicò una contraffazione di questo sesino con lo stesso tipo e la stessa ommissione della corona nel quarto di Sas- sonia, ma le leggende sono assai diverse, portando nel diritto BONVM EST COt\ Jìdere IN DOmino, e nel ro- vescio PRIN... SACRI ROmani \Mperu. Siccome non si riscontra nessun nome di principe od altro segno particolare che possa indicare da chi sia stata co- niata la moneta, l' illustre autore l'attribuisce a zecca incerta. (i) Ruggero Giuseppe. Annotazioni numismatiche italiane, XVIII. Monete o/ella collezione privata di 5. M. il Re, inedite, poco note o corrette in Rivista Ital. di Nttmism., a. 1908. pag. 566. (2) Maggiora-Vergano Ernesto. Monete inedite dei Paleologi mar- citesi del Monferrato in Rivista Numism. Hai., voi. II, a. 1866, pag. 20. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 225 Ma è ovvio che la moneta da me sopra illu- strata non possa ascriversi ad altra zecca se non a Desana, portando in modo perspicuo nel giro della leggenda BARTIC di seguito al nome ad arte contraf- fatto BONFACIS, verosimilmente per trarre in inganno, quasi si trattasse di una moneta genuina di Boni- facio di Monferrato. Ed a conforto della mia congettura giunge ben opportuna la scoperta recentemente fatta dall'avvo- cato Orazio Roggiero '^) di un sesino contraffatto a quello di Francesco li Sforza per Milano e che at- tribuisce a Bartolomeo Tizzoni. SAVOIA (AOSTA). Carlo II duca di Savoia (1504-53). ^ — Crocetta di S. Maurizio KROLVS ^ Il ^ DVX nodo di amore SABAVDIE ^ IX Busto a destra barbato e con berretto. 9 — Crocetta di S. Maurizio NIL^DEST^TIMENTI^ DEVM ^ AVG • P • N • V Scudo di Savoia coronato con punto nel centro della croce; ai lati FE-RT; lo scudo poggia su di una doppia linea orizzontale sotto cui vi è il millesimo 1552. Argento. Testone. Peso gr. 8,92. Ottima conservazione. (r) Roggiero Orazio. Contraffasione del sesino di Francesco II Sforza emessa dai Tizzoni a Desana in Bollettino Italiano di Numismatica e di arte della medaglia, a. 1909, pag. 175. 226 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTICUNIETTI Confrontando questa moneta con l'analoga illu- strata da Promis ^0 al n. 62 della tav. XX appare tosto come nella nostra il ritratto del duca abbia l'aspetto più vecchio e stanco e colla barba più lunga, il berretto è di foggia alquanto differente e più piccolo e il vestito è più accollato e allacciato in modo diverso. Nel rovescio varia pure da quella di Promis, giacche in questa la corona è differente per forma e per particolari, la croce è priva del punto centrale e la leggenda è NIL ^ DEEST ^ TIMENTI- BVS ^ DEVM ^ N • V • La zecca d'Aosta, che era in esercizio sul finire del secolo XIV, come risulta da un conto del mae- stro Matteo di Bonaccorso Borgo nel 1394, non sembra abbia avuto lunga durata, poiché non se ne trova più notizia fino alla metà del secolo XVI. Neil' occupazione fatta da Francesco I re di Francia nel 1536 della Savoia e di mezzo Piemonte, la valle d'Aosta era rimasta libera. Una delle con- seguenze di quell'invasione fu la completa pertur- bazione nella monetazione di Savoia, la chiusura di tutte le antiche zecche meno una (Vercelli) e l'aper- tura di nuove officine in località scampate all'inva- sione stessa (2). Così fu che con ordinanza- del 25 ottobre 1549 si riapriva la zecca d'Aosta e, nominandone zecchiere il maestro Nicola Vialardo che durò in carica fino al termine del regno di Carlo II ed ancora al prin- cipio di quello di Emanuele Filiberto, si ordinava la battitura di scudi, testoni, grossi, quarti e forti. Dall'estratto di conto della guardia della zecca d'Aosta dal 1549 al 1552 risulta essersi battuti al (i) Promis Domenico. Monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841. (2) Cfr. Ladé. Conlribution à la numismatique des ducs de Savoie^ pag. 23. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 227 1° agosto 1551 marchi io di testoni, che sono appunto queUi di cui Promis ci dà il disegno al n. 62. Nell'ordinanza del 23 maggio 1551 veniva sta- bilita la specie di monete da battere che erano quelle stesse indicate nel conto anzidetto, ma dal conto delle monete emesse da questa zecca nel 1552 non consta che si siano battuti testoni, ma soli forti, quarti, grossi, pezze da 4 grossi e scuti d'oro. Onde è da inferirsi che il testone sopraillustrato appar- tenga appunto a quella emissione di io marchi fatta nel 1551. SAVOIA (TORINO) Vittorio Amedeo I duca di Savoia (1630-37). ^ - V • AMED • D • D : G : G • DVX SABAVDIE • P • PED Stemma in scudo ovale, coronato, inquartato ed ornato, circondato dal collare della SS. An- nunziata. 9 — BENEDIC H>EREDITTATI TV/E II B. Amedeo in piedi con scettro nella d. e scudo nella s., nel- l'esergo * S * 5 * . Mistura. Pesza da j soldi. Peso gr. 5,55, Buona conservazione (leggermente ribattuta). Varia da quello illustrato da Promis al n. 7 della tavola XL per la forma dello scudo, che nel nostro, come appare dal disegno, è ovale, anche gli 22^ T. COLONNÈLLO ALBERtO CUNIEtXI-CUNIÈTtl arabeschi che contornano lo scudo sono di diversa foggia e nella leggenda del diritto si nota l'assenza del millesimo. Ciononostante ritengo che debba appartenere alla stessa emissione del 1632 portando ancora la corona aperta, mentre nelle emissioni successive si riscontra la corona chiusa o reale. Carlo Emanuele II duca di Savoia E Maria Cristina di Francia tutrice e reggente (1638-48). ÌB' — CHR • FRAN • CAR • EMAN • DVCES SAB Busti accol- lati del duca e della duchessa a d,, sotto in car- tello di sette piccoli lobi il millesimo 1641. P — P ® P ® PEDEMON * REG-ES ® CYPRI Scudo ara- bescato , coronato ed inquartato , nell' esergo ® 1642 ® É questa una quadrupla perfettamente identica a quella illustrata da Promis al n. 13 della tavola XLV, ma che presenta l'anomalia di portare due date diverse, cioè quella dell'anno 1641 nel diritto e del 1642 nel rovescio. Vittorio Amedeo II duca di Savoia (1684-1713). re di Sicilia (i 713-18). RE di Sardegna (1718-30). Di questo sovrano presento due monete inedite: ^ — Vie • EM • Il • D • G • DVX • SAB Busto giovanile a d. I^ — REX • CYPRI -PRIIM • PEDE Scudo inquartato e co- ronato, ai lati 16 — 83; nell'esergo in targhetta S-20. Argento. Lira da 20 soldi. Peso gr. 6,07. Ottima conservazione. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 229 È questa una curiosa varietà della lira illustrata da Promis C^) al n. 7 della tav. LV, per avere il nome del duca scritto erroneamente EM. invece di AM. Non saprei proprio come spiegare tale anomalia se non per un errore di zecchiere, errore che sem- bra- tanto più strano in quanto si tratti di una mo- neta di dimensioni abbastanza appariscenti da non rendere possibili quegli errori o ghiribizzi, che fa- cilmente si riscontrano nelle monetuzze fabbricate da artefici ignoranti od inetti. Vittorio Amedeo era uscito di minorità nel 1680, anno in cui era stato concesso allo zecchiere An- tonio Calcaterra di poter battere le lire e le altre monete coi nuovi conii dall'effigie del solo duca, conii coi quali si continuò la battitura anche negli anni 1681, 1682, 1683 e 1684, epoca del termine della reggenza (2). Scaduto il contratto col Calcaterra, fu il 19 di- cembre 1682 pubbHcato l'appalto della zecca ; ma nessuna utile offerta essendo stata fatta, fu rinno- vato il contratto col medesimo zecchiere per sei anni, cioè fino a tutto il 1688. La moneta che sopra abbiamo descritto appar- tiene appunto a quelle battute dal Calcaterra durante questo contratto ed è allo stesso conio preciso di quelle delle battiture sopra enumerate. 2." Ben più interessante è la seconda che illu- striamo, pur essendo moneta di poco conto per es- sere un pezzo da due denari, per il titolo di Re di Sicilia nella leggenda del diritto. (i) Promis Domenico. Le monete dei Reali di Savoia. Torino, 1841. (2) Marchisio Alfredo Federico. Studi sulla numismatica di Casa Savoia. Memoria III. Alcune monete inedite di Vittorio Amedeo II in Ri- vista Ital. di Numism., a. 1902, pag. 353. 230 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTl ^' — + • Vie • AM • D • G • SIC • lE • ET • CY • R • D • SA • ET • MF • P • PE Croce piena. I^ Anepigrafico — Corona reale accostata da due rosette, disotto nodo d'amore e sotto questo il millesimo 1718. Rame. Due denari. Peso gr. 1,25. Buona conservazione. Il trattato di Utrecht conchiuso Tu aprile 1713 poneva le basi di un nuovo ordinamento politico fra i sovrani di Europa e con esso veniva al duca di Savoia confermato il possesso delle antiche Pro- vincie già accordategli dall' impero, cioè il rimanente del Monferrato e il paese fino alla Sesia ed inoltre gU veniva conferito il titolo di re, che la Spagna gli concedeva in un con l'isola di Sicilia. Ma pochi anni dopo, ossia nel 1718, gli Spagnuoh, per istiga- zione specialmente del cardinale Alberoni, ripren- devano la Sicilia che, pel trattato di Londra del 20 agosto dello stesso anno, passava all'imperatore Carlo VI e Vittorio Amedeo veniva con l'isola di Sardegna mal compensato della patita usurpazione. La monetina sopra illustrata, che porta la data del 17 18 e il titolo di Re di Sicilia potrebbe forse appartenere alle ultime emissioni latte prima della perdita di quest'isola, od anche dopo; giacche si deve osservare che quel titolo fu da Vittorio Amedeo conservato anche sopra monete di date assai poste- riori. Ed invero il valente nummografo e collezio- nista avvocato cav. Marchisio (^) ha fatto conoscere (i) Marchisio A. F. Opera cit., pag. 351. MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 23I una doppia d'oro, sulla quale al titolo di Re di Si- cilia è accoppiato il millesimo 1722; opina quindi che sia una moneta di pretensione ossia di protesta per parte del re contro l'offesa fattagli dal trattato di Londra ; in altri termini che Vittorio Amedeo abbia voluto continuare ancora a porre il perduto titolo di Re di Sicilia a protesta dei suoi lesi diritti. Il prelodato scrittore soggiunge che forse non solo in questa moneta, ma in altre d'ogni metallo il sovrano affermò la sua pretesa, ne dispera egli stesso presentarne le prove. Ed a questo riguardo sono lieto di dichiarare che il cav. Marchisio mi ha gentilmente autorizzato a presentare ora una prova palpante del suo asserto colla seguente moneta, testé venuta ad accrescere la sua bella e ricca collezione. ^ — ® Vie • AM D & • SIC • lE • ET • CY R • D • SA ET • MF • P • PE; nel campo 1722 — SOLDI — VNO in tre righe in ghirlanda d'alloro (le foglie nel senso delle sfere dell'orologio). 9* — Anepigrafìco — Croce piana con corona alle estre- mità e croce di S. Maurizio agli angoli. Mistura. Soldo. Peso gr. 1,79. Ottima conservazione. Promis al n. 37 della tavola LX illustra il soldo di Vittorio Amedeo II col titolo di Re di Sicilia ma con la data del 17 17 ; epperciò questa moneta del cav. Marchisio che forma il paio con la doppia doro già da lui illustrata, non può se non confermare e convalidare sempre più la sua ipotesi. Ma ritornando al pezzo da due denari col titolo di Re di Sicilia, bisogna convenire che era affatto sconosciuto al Promis e che tale moneta rimase quindi inedita. Infatti il nostro sommo nummografo sabaudo ha pubbhcato al n. 9 della tav. LVI il pezzo da due 232 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI denari battuto anteriormente- al trattato d'Utrecht ed al n. 38 della tav. LX, quello battuto con ordi- nanza del IO maggio 1725 (i). Ma il fatto che anche nella modestissima collezione dello scrivente trovasi un pezzo da soldi uno col titolo di Re di Sicilia e il millesimo 1718 mi farebbe ritenere piuttosto che tanto questo quanto il pezzo da due denari della collezione Cora in discorso, appartengano entrambi all'ultima emissione fatta prima del trattato di Londra e non siano quindi, come le due suaccennate monete possedute dal cav. Marchisio, da annoverarsi fra le monete di pretensione o protesta. TORINO Filippo di Savoia principe d'Acaia (1297-1334). ^ — ' PHILIPPRICES — S • IO • TORIN II santo in piedi con libro nella s., che consegna un vessillo crucifero al principe pure in piedi, lungo l'asta in colonna "p'cs. ^I — Il Redentore nimbato seduto in trono con libro ap- poggiato sul ginocchio sinistro; ai lati IC — XC. Argento. Grosso matapane, contraffazione veneta. Peso gr. 2,15. Buona conservazione. È una varietà inedita del grosso pubblicato da (i) Il n. 9 della tavola LVI di Promis è : ^' - * Vie • ANI • Il • D • G • D • SAB • P • PED • REX • CYP Croce piana. ^ — Anepigrafico. Corona reale accostata da due rosette, al di- sotto nodo d'amore, e sotto questo il millesimo 1680. Il n. 38 della tavola LX è : ^ - * Vie • AM • Il • D • G • SAR • lE • ET • CY • R • D • SA . ET • MF • P • P • e. s. ^ — C. s. col millesimo 1725* MONETE E VARIETÀ INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 233 Promis al n. 19 della tav. II t" la cui leggenda è: PHILIPVS- - SIOTORI. Filippo nato da Tommaso III di Savoia nel 1278, appena uscito dalla minore età, era stato costretto, in compenso dei suoi diritti di primogenitura, ad accontentarsi di ricevere, come in feudo od appa- naggio, quella parte di terre subalpine che, sotto il nome di signoria del Piemonte, era in allora posse- duta dai conti di Savoia. Egli non cominciò quindi a qualificarsi del titolo di principe, se non dopo il suo matrimonio celebratosi il 1301 con Isabella figlia ed erede di Guglielmo di Villehardouin principe di Acaia e della Morea, Questo grosso fu battuto a Torino certamente dopo quell'epoca, giacche è una contraffazione dei matapani veneziani che avevano corso ed erano assai apprezzati in Oriente. T.-Colonnello Alberto Cunietti-Cunietti. (i) Promis Dobienico. Monete inedite del Piemonte. Supplemento. To. rino, 1866. LE BASI METROLOGICHE del sistema monetario più antico dell'Italia Media ^'^ INTRODUZIONE. Le basi di tutti gli antichi sistemi di peso si fondono sulle norme antkhissime quali furono formate in Babilonia e più tardi anche nella Fenicia. Nella determinazione di queste norme la metrologia è giunta a risultati conclusivi. Ma, sic- come si manca ancora di un manuale che riunisca in modo sinottico questi risultati, così il materiale metrologico solo in piccola parte potè giovare alla ricerca numismatica, perchè disperso in moltissime pubblicazioni e in parte anche diflScil- mente accessibile. Si era però già giunti ad accorgersi, da parte dei me- trologi, del fatto che le norme di peso e di misura babi- lonesi-fenicie nella loro peregrinazione verso i paesi occiden- tali si erano conservate più pure nell'Italia Media, che pas- sava più tardi per la prima volta alla monetazione, che non nella regione ove predominava il mondo ellenico, contenente anche l'Italia Meridionale e la Sicilia, dove, appunto, in sè- guito alla introduzione di diversi sistemi monetari, più di tre secoli prima già era avvenuta una più forte alterazione e mischianza di quelle prime norme originarie. Perciò la ricerca metrologica, per le indicazioni rimaste più volte ancora incerte intorno ai pesi effettivi delle diverse (i) Questo lavoro apparve la prima volta l'anno scorso nella Zeit- schrift fur Nuniismatik, voi. XXVII. Berlin, W. Pormetter, 1909. 236 E. J. HAEBERLIN sorti monetali dell'Italia Media, non era in grado di fissare con certezza la diffusione geografica di determinati sistemi ponderar!, appartenenti a queste sorti per le singole regioni dell'Italia Media. E contemporaneamente la numismatica si trovava nella posizione doppiamente sfavorevole di mancare da un lato di un chiaro prospetto dei progressi della metro- logia, dall'altro lato di non poter ancora disporre di un ma- teriale di peso che le avrebbe reso possibile, a mezzo di una determinazione fissa del piede di misura, di ottenere chiarezza sulla divisione delle singole serie di monetazione deiritaha Media secondo i determinati sistemi di peso. Quanto al materiale monetario di cui si fa questione, si tratta da un lato delle monete d'oro e d'argento dell' Etruria, di Roma e della Campania, dall'altro lato delle numerose serie del denaro pesante di bronzo dell' Italia Media. Nei riguardi di quest' ultimo si potè almeno stabilire finora, col mezzo di un lavoro innovatore del Dòrpfeld (i), che a base della prima serie librale romana, come peso di unità o asse, non v'era la libra romana di gr, 327,45 come era stato prima ammesso ; ma la libra detta osco-latina, che è più leggiera dell'altra di un sesto. Questa determinazione formò la base sicura per tutti i progressi susseguenti nella conoscenza specialmente dei rapporti monetari romani più antichi. Rimase invece oscuro, tanto ora quanto prima, su quali norme di peso rimanessero posati i sistemi monetari delle altre regioni dell'Italia Centrale, cioè quelle del Lito- rale Adriatico, formato dall' Apulia, dal paese dei Vestini e del Piceno, inoltre dall'Umbria e dall' Etruria. Il desiderio di chiarire definitivamente questi rapporti metrologici, che parevano a mala pena spiegabili, mi diede da molti anni occasione di registrare tutto il materiale di monetazione pesante esistente nei pubblici musei e nelle col- lezioni private maggiori di Europa : oltre 10.000 pezzi. Tale materiale fu pesato e se ne fecero riproduzioni in calco per la illustrazione delle tavole del mio lavoro di im- minente pubblicazione, l*Aes Grave. (i) Dòrpfeld. Metrologische BeitrUge. IV. Das italische Maass-System nelle Mitteilungen d. arch. Inst., in Athen, 1885, pag. 289-312. LE BASI METROLOGICHE DELL IT AL L\ MEDIA 237 In quest'opera saranno indicate unitamente la lista dei pesi in extenso; per il presente scopo basta che, parlando delle singole serie di monetazione, io renda noti i risultati più importanti delle mie ricerche metrologiche, per render pos- sibile una orientazione preliminare in questo punto quali pesi originari dal lontano Oriente abbiano servito di base alle monetazioni delle singole regioni dell' Italia Media. Ma per questo scopo è però opportuno in prima linea che si incominci ad osservare il sistema ponderano creato in Babi- lonia, tanto per la semplicità della sua costruzione, quanto, non meno, per la multiformità delle sue variazioni, alle quali si unì una ulteriore modificazione supplementare nella Fenicia. I. I sistemi originari babilonesi e fenicii. Già nel terzo secolo a. C. esisteva, appunto come nei nostro odierno sistema metrico, quale base del sistema di formare il peso da un cubo di una data lunghezza lineare ripieno d'acqua. Il cubo d'acqua della decima parte di un metro, cioè il decimetro, dà il litro del peso di un chilogrammo. In Babi- lonia fu formato un cubo dalla decima parte del doppio braccio, cioè dalla lunghezza di un palmo, e la capacità di tale cubo divenne l'unità di peso, cioè la mina pesante. Una osservazione più profonda e progredita condusse a questo, di fissare la misura dello spazio e del tempo se- condo un medesimo principio di divisione. Questo principio è il sexagesimale, inalza la unità media — qui la mina — a sessanta grandi unità, cioè a un talento, e la divide nel me- desimo tempo in sessanta piccole unità, cioè spezzati (Schekel, steli) o in greco stateri. Il talento contiene quindi in propor- zione 3600 stateri (i). (i) Così nella misura lineare è il braccio doppio, che, moltiplicato 60 volte, equivale al Sossos; a sua volta suddiviso in 60 parti, equivale al pollice. Il circolo si divide in 360 gradi. Lo stesso dicasi per la misura 238 È. J. HAEBÉRLIN Un carattere però del sistema babilonese è questo, che ogni unità di peso ha vicino a sé un'altra unità di peso più leggiero : quindi vanno costantemente parallele fra loro due serie di pesi di cui una è doppia nel peso dell'altra, cioè ; a) il talento pesante e il talento leggiero ; b) la mina pesante e la mina leggiera ; e) lo statere pesante e lo statere leggiero. Questo è il sistema originario babilonese per pesare tutti gli oggetti che si desidera e da questo provengono poi, per pesare specialmente oro e argento, due sistemi se- condari. La Babilonia mancava certamente ancora di monete, eppure possedeva già un sistema ponderarlo molto complesso, basato su entrambi i metalli preziosi, secondo il rapporto dell'oro all'argento di i : 13 '/a- Entrambi i pesi secondari o pesi di valuta si distinguono dal peso primario o comune, rispetto alla loro divisione fra loro, in quanto per il rap- porto dello statere alla mina fu abbandonato il principio sessagesimale ; cioè non 60, ma 50 stateri formavano una mina, pur rimanendo fisso che 60 mine formassero un ta- lento ; cosicché il talento di valuta contiene non 3600 sta- teri, ma solo 3000. Siccome poi nel sistema dell'oro la piccola unità, cioè lo statere d'oro o di valuta, rimane uguale di peso allo sta- tere ponderarlo, cosi la mina d'oro e il talento d'oro riman- gono rispettivamente solo cinque sesti della mina e del ta- lento penderarl. Un po' meno semplice si compose la formazione del peso dell'argento. Siccome dieci stateri di argento dovevano essere eguali in valuta a uno statere d'oro, però entrambi i metalli non erano in rapporto di i : io, ma, come già si os- servò, nel rapporto di i : 13 7*. così non poteva il peso del- l'argento essere eguale a quello dell'oro, piuttosto doveva il peso dello statere d'argento essere moltiplicato per 13 V3 e divisa la quantità di peso che ne veniva per io. del tempo, poiché il giorno si distingue, essendo due volte duodecimale, in 24 ore, l'ora in 60 minuti, il minuto in 60 secondi, quindi l'ora in 3600 secondi. Anche questo si fonda sull'antichissimo sistema babilonese, e bastò alle richieste di tutti i secoli trascorsi da allora a oggi. LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 239 Da ciò risultò per lo statere d'argento d'essere i volta Vs il peso dello statere d'oro ; in altre parole lo statere d'oro stette allo statere d'argento come 3 : 4. Perciò per una mina ponderaria toccavano 60 statere di valuta d'oro, ma solo 45 di valuta d'argento, e per tutte le grandezze ponderane il peso in valuta d'argento riusciva ad essere di cinquanta stateri per la mina, di 60 mine per il talento, più pesante di un terzo del peso di v-aluta d'oro. I tre talenti stanno perciò fra loro nel rapporto che il talento ponderano è uguale a 60, il talento di valuta d'oro uguale a 50, ma il talento di valuta d' argento eguale a 66 "/a mine ponde- rane ; il che si può anche spiegare così, che il talento pon- derano è nella proporzione di 60 mine ponderarle, 72 di va- luta d'oro, 54 di valuta d'argento. Se con ciò il sistema fosse esaurito, si avrebbe il risul- tato che nel peso commerciale in genere, come in entrambi i pesi di valuta per l'oro e per l'argento, si avrebbero in tutto sei serie di pesi, e rispettivamente per ciascuno una serie leggiera ed una pesante- Ma il numero delle serie dei pesi babilonesi esistenti è ben maggiore, e raggiunge almeno il numero di ventiquattro. Questo proviene da ciò, che nel pa- gamento dei tributi presso i gran Re babilonesi, specialmente anche m periodo più tardo presso i gran Re persiani, come pure presso il clero, i servigi venivano pagati con una quota che era ora più ora meno elevata in confronto dei pesi ori- ginari. Ed è questo il gran merito che ebbe C. F. Lehmann, d'essere stato il primo a riconoscere il peso originale, la così detta norma comune (D e a distinguere di essa tre differenti (i) La nortna comune fu la prima volta citata dal Lehmann ne| suo discorso tenuto il 16 novembre 1888 presso la Società archeologica di Berlino {SUstwgsberichie, 1888, n. 5, pag. 23 e segg.; Wochenschrift fftr Klassische Philologie, 1888, n. 5, pag. 1552 e segg,). Gli altri lavori fondamentali del Lehmann sono : Ubtr altbabylonisches Maass und Gè. wicht und deren Waitderung (Verhanjlungen der Berliner anthropolo- gischen Gesellschafr, 1889, pag. 248-328). — Das altbabylonische Maas- und Grwichtssystem als Grundlage der antiken GewichtsMunzund Maass- systeme (Actes du 8 Congrès International des Orientalistes tenu 1889 à Stockholm et à Christiania, Section sémitique {b), pag. 167-249; pa^ 240 E. J. HAEBERLIN norme elevate. A due di queste egli diede il nome di norma regale, alla terza quella di norma regale ridotta. Su questo punto era assodato che si trattasse di eleva- menti dei pesi orig-inarì a Vao ^ ^ V24 '" entrambe le piene forme della norma regale. Meno sicuro era il fatto per la norma ridotta, per la quale pareva si trattasse di una sot- trazione di una particella pel conio da i fino a i Vs "/o della norma regale. Che però una simile riduzione non si presentasse, ma che si trattasse piuttosto di un grado ulteriore dell'elevazione in sé stessa per esempio a '/se. tu poi rilevato dallo Hultsch nei suoi Gewichte des Alterthums (Lipsia 1898, pag. 69 e seg.)' A questa interpretazione si associò poi anche Lehmann stesso nel lavoro Gewichte aiis Thera (1901) ; ma con 1' av- vertenza che l'elevazione del peso potesse forse limitarsi a V^^. Ma poiché Lehmann non diede più séguito a una simile avvertenza, ma nella sua tabella dei pesi delle mine {Hermes voi. xxxvii) accolse solo l'elevazione del peso a Vso» Va* e Vse come norma elevata A. B. C, così é sufficiente anche per la numismatica il limitarsi a queste tre sorti di norme elevate, tanto piìi che la differenza dell'aumento del peso da 7,36 ^ V40 sarebbe stata quasi impercettibile per la piccola unità, cioè per lo statere. La cognizione di questi differenti modificazioni del peso babilonese é tanto per la metrologia, quanto per la numi- smatica di importanza ugualmente grande. Dapprima si sapeva solo di una unica norma, cioè di di quella che frattanto è stata riconosciuta come norma ele- vata al Vse (^)- gine 1-83 nell'estratto. Leida, 1893. Relazione al Congresso). A questi lavori si deve aggiungere il seguente : Die Enslehung des Sexagesimalsy- stetns bei dert Babyloniern e gli altri : Ueber die Besiehungen zwischen Zeitund Raiiynmessung bei den Babyloniern (Verhandlungen der Berliner anthropologischen Gesellschaft, 1895, pag. 411 e seg. e pag. 433 e seg.). — Zur 'AO-Tivaitov reoXtxsia (Hermes, voi. XXVII, 1892, pag. 533-556). — Gewichte aus Thera (Hermes, voi. XXXVl, 1901, pag. 113-133; qui sta la tabella delle misure citata sopra nel testo. (i) Così anche altro, ancora presso 1' Head, nella sua Historia nu- morum, Introd. xxxvi, deve essere citata secondo lo stato d'allora LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 24I Ma finché nella metrologia non si capì di fare quelle divisioni che ora sono acquisite alla scienza, era impossibile di riuscire a sicuri pesi normali in riguardo alle singole an- tiche valutazioni. Percettibili differenze fra generi di valuta- zione tra loro analoghi furono spiegate con oscillazioni in più o in meno dalle coniazioni, oppure per nulla spiegate, e le indicazioni fluttuavano in misura rilevante al disopra dei singoli pesi normali. Dobbiamo innanzi tutto alle verifiche del Lehmann gli elementi sicuri del computo. Ora s'aggiunge ai pesi babilonesi ancora un altro sistema ponderano, cioè un peso speciale per l'argento formatosi in Fenicia alquanto diverso. Il luogo originario di questo peso abbraccia la Siria insieme e la Palestina. Vi era qui la tendenza di dimi- nuire lo statere d'argento babilonese troppo pesante, per la necessità di un commercio più sviluppato, mentre per lo statere d'oro più leggiero si limitava alla quota babilonese anche nel territorio fenicio. Certo fu anche in Fenicia formato il peso dell'argento 13 Vs volte quello dell'oro; la divisione però del quanti- tativo d'argento che ne risultava si faceva non per decimi, ma per quindicesimi. Siccome quindi nel sistema fenicio tornano sul conto dello statere d'oro non io ma 15 stateri d'argento, così lo statere fenicio per l'argento riesce solo Vs dello statere di argento babilonese. Anche nel sistema fenicio 50 stateri di argento formano la mina d'argento, 60 di queste mine for- mano il talento d'argento. Conforme a ciò, quindi, il talento fenicio d'argento conta '/, di quello babilonese. È quindi eguale a 44 Va mine pon- derarle babilonesi, oppure, diversamente espresso, il talento ponderano babilonese contiene 11 mine fenicie d'argento. Già questi difficili numeri di rapporto caratterizzano il ta- della scienza (1887, un anno prima della trovata del Lehmann dell.i norma comune), come base dell'antico peso monetario, una unica spe- cie di mina di 15600 grani (loio grammi := mina pesante) e rispet- tivamente di 7800 grani (505 grammi rr mina leggiera). Questo peso corrispondeva alla mina ponderaria babilonese della norma C, aumen- tata di Vs* (la Tabella 4» del testo susseguente), quale lo Head allora considerava inoltre anche come mina d'oro. 242 K. J. HAEBERLIN lento fenicio d'argento come un fattore non conforme al si- stema babilonese. Nel resto, le basi babilonesi del sistema di un talento pesante e di uno leggiero, di una norma qua- druplice (cioè quella comune e almeno tre altre aumentate) per ciascuno di loro valeva anche per la Fenicia; cosicché con l'aggiunta di 8 serie fenicie alle 24 babilonesi il numero delle serie originarie dei pesi viene inalzato a 32. Dalla costruzione teorica dei sistemi dobbiamo ora ri- volgerci alla determinazione delle grandezze di peso che ne sono derivate. Perciò si domanda , quale via sia da percorrere per giungere a tal fine? Lehmann ha fondato i suoi computi numerici su pesi effettivi, di pondera esistenti tanto nel lavoro pel Congresso degli Orientalisti (1889), quanto anche nella sua 'AS-rjvaiwv rio);tT6ia (1892), e perciò ha distinto per ciascuna singola sorte di mina fra i pesi mas- simi e quelli della media. Il suo procedimento era esatto e il più dimostrativo dal punto di vista metrologico. I pesi medii e i loro maxima davano infatti valori così approssi- mativi, che il vero valore poteva essere considerato come fissato il pili approssimativamente possibile. Ma questo approssimativo non può essere sufficiente per la numismatica, poiché noi desideriamo nella numisma- tica pesi esatti e determinati fino al centigrammo; soprat- tutto un tale desiderio è giustificato per il territorio dell'Italia Media, le norme ponderane del quale sono l'oggetto della presente indagine. Tanto più doveva riuscire giustificato, poiché parve fondata l'opinione, che sotto l'ordinamento ro- mano i vari pesi regionali dell' Italia Media, provenienti da origine babilonese- fenicia, fossero posti tutti fra loro in rela- zioni determinate e immutabili di valore. Io battei una via diversa da quella percorsa dal Lehmann nei precitati scritti, quando io uscii nel considerare un peso come base del computo, il quale, come difficilmente qualsiasi altro, é pie- namente determinato quanto alla sua valuta, cioè la nuova libra romana di gr. 327,45. Siccome infatti questa libra, come vedremo, corrisponde a un centesimo del talento leggiero babilonese di norma co- mune, così mi si offriva per quest'ultimo la valuta di gr. 32745, per la sua mina C/eo) quello di gr. 545,75 (cfr. Tabella 9 b). LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 243 Lehmann neWHermes (voi. XXVII, pag. 546] pone questa mina in media di gr. 545,8, alla cifra massima di gr. 547,7; dal che, moltiplicando per 60, si ha per il talento una diffe- renza da gr. 32748 a 32862, quindi una possibilità di errore di ancora 114 grammi. Allora tentai il computo anche partendo da un altro peso, cioè dalla mina attica, che nel suo ammontare di gr. 436,60 non si determina meno esattamente della nuova libra romana. Ma siccome la prima alla seconda sta come 4 : 3, così 75 mine attiche pesavano lo stesso come 100 libre romane nuove, e ne venne quindi il risultato importante che sulla base della mina attica (75 X 436,60 gr.) il talento d'argento babilonese leggiero della norma comune si computa al peso esattamente eguale come secondo la nuova libra romana, cioè in gr. 32745. Da ciò, però, sorse il fatto importantissimo e confermato da tutte le esperienze susseguenti, che era falsa la mia prima ipotesi, secondo la quale i pesi locali dell'Italia Media avreb- bero trovato sotto l'ordinamento romano la loro norma de- finitiva, anche deviando in qualche piccola parte dai pesi originari babilonesi e fenici. La completa concordanza dell'ottenuto risultato del com- puto dai pesi greci ed italici mi dava piuttosto la prova nu- merica che le norme ponderarle originarie babilonesi e fe- nicie, parte nelle grandezze originali, parte in grandezze de- rivate percentualmente si erano esattamente mantenute fino ai centigrammi durante tutta l'antichità in ogni tempo e in ogni luogo. S'aggiungeva inoltre la prova che neanche in Italia non ebbe luogo in alcun modo un nuovo ordinamento suppletivo romano, che determinasse in modo definitivo i pesi, e quindi noi siamo autorizzati, appunto su le norme ponderarie «i noi conosciute dell'Eliade e di Roma, a fondare il computo esatto dei pesi originari babilonesi e fenici. Così i valori ottenuti dal Lehmann con esattezza ap- prossimativa dei pesi babilonesi ottennero per la prima volta appunto con questo mezzo la loro conferma, in parte anzi una maggiore precisione. Per la prima volta dopo questa verifica mi fu noto che Lehmann stesso, nel suo ultimo la- :à44 E. J. HAEBÈRLIN voro Gewichte aus Thera, già nel 190 1 aveva battuto il me- desimo cammino e aveva computato i pesi definitivi della sua tabella delle mine allora pubblicata appunto partendo dalla mina attica e dalla nuova libra romana. E con ciò si otteneva l'accordo più confortante per le quote normali ri- sultanti d'ambe le parti ; -e questi metodi di computo si de- vono quindi considerare esatti. Con questi alle mani noi acquistiamo nel talento leggiero d'argento babilonese della norma comune di gr. 32745 un punto interamente sicuro di partenza pel computo di tutti gli altri pesi sia babilonesi, sia fenici. Con la guida di questo computo, bisogna uscire ormai dai numeri già citati propor- zionali. Poiché, siccome, secondo questi, il talento di peso leggiero babilonese di norma comune è uguale a 54 mine d' argento leggiere babilonesi della medesima norma di gr. 545,75, così si ha per lo stesso l'ammontare di gr. 29470,50 (v. tabella i b). Inoltre, poiché il talento d'oro babilonese sta al talento d'argento nel rapporto come 3 : 4, così il talento leggiero d' oro babilonese della norma comune pesa ^/^ del corrispondente talento d' argento di gr. 32745, cioè gr. 24558,75 V. (tabella V b). Dei talenti della norma comune rimane ancora il talento leggiero d'argento fenicio : esso sta a quello babilonese come 2:3, e si computa in proporzione gr. 21830 (v. tab.* XIII b). Dei talenti leggieri della norma comune si hanno col raddoppiamento i talenti pesanti della medesima norma, men- tre i talenti pesanti della norma elevata furono ottenuti per mezzo dell'aggiunta nel computo di V20» V24 ^ Vsc ^i P^si della norma comune, Lehmann si è limitato nelle sue tabelle {Hermes, voi. 27, pag. 546-548 e così nel voi. 36 a pag. 113) a notare i pesi delle mine; questo bastò per il fine metrolo- gico, per la ragione che dalla mina come da ciascun altro nominale i rimanenti membri della serie dei pesi potevano essere determinati in séguito a un semplice conto; però si deve ammettere che una indicazione fatta contemporaneamente al- meno dei pesi degli stateri avrebbe agevolato la conoscenza dei rapporti nei quali le mine stanno coi pesi monetari. Ora le tabelle seguenti corrispondono a questo fine ul- ♦ tenore : esse mirano a darci nel corso ulteriore della dimo- LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDU 24S Strazione la chiave per trovare facilmente i pesi dei talenti, delle mine, degli stateri e delle dramme, quali noi riscon- triamo nelle varie regioni dell'Italia Media. Queste grandezze di peso sono quindi da accogliere nelle tabelle tutte insieme ; anzi ci si deve aggiungere an- cora un ulteriore fattore, che certamente in Italia per la prima volta divenne importante, cioè la mezza mina, poiché un importante risultato di questa ricerca sarà la nuova de- terminazione che, eccettuati gli assi etruschi, tutte le libre italiche di rame (cioè assi) assumono il carattere di mezze mine di determinati talenti babilonesi, e rispettivamente fe- nici. Gli stateri e i mezzi stateri pesanti corrispondono nella monetazione al tetradramma e alla didramma: i pezzi uguah di peso leggiero formano la didramma e la dramma. Solo in singole serie la dramma viene formata dal quarto dello statere leggiero. I pesi vengono citati in generale fino ai centigrammi, i milligrammi vi sono aggiunti solo per stateri e mezzi stateri ; però anche qui solo nel primo decimale, inoltre, nei valori elevati, se si tratta di 5; i milligrammi da 134 rimangono trascurati nei nominali più alti ; da 6 a 9 invece sono inalzati al centigramma piij vicino. Le tabelle quindi si presentano come segue: I. — Talento ponderano babilonese. A. Norma comune. — Tabella I. Talento . . . Mina = Veo ^i ta- lento. . . . Vj mina . . . Statere = Veo di mina . . . Vi statere . . a) pesante 58941,00 gr. 982,35 V 491.175 « 16,372 „ 8,186 „ h) leggiero 29470,50 gr. 491.175 » 245o9 » 8,186 „ 4»093 n Nella mina pesante di gr. 982,35 sta compresa tre volte la nuova libra romana di gr. 327,45 ; la mina leggiera di gr. 491,175 forma uno dei pesi antichi più diffusamente usati sotto il nome di nToXe(i«t/CYi (xvà, iTaXixìiavx, etc. 3» 246 E, J. HAEBEULiN B. Norme regali. — Tabella II. Forma A. Aumento di V^o =- gr. 2947,05 (1473-525 gr.). a) pesante b) leggiero Talento .... 61888,05 gì'- 30944,025 gr Mina = 7go di ta- 1031,47 }) lento 515.73 ;; Vg mina .... 515.73 n 257.87 » Statere = Veo di mina .... 17.19 » 8.595 « Va statere . . . 8.595 n 4.297 . Tabella III. — Forma B. Aumento di V^, = 2455,875 gr. (1227,94 gr.). a) pesante b) leggiero Talento .... 61396,875 gr. 30698,44 gr. Mina =- Veo di ta- lento 1023,28 n 511.64 „ Vs mina .... 511.64 » 255.82 „ Statere == Veo di mina .... 17.05 n 8,527 „ V2 statere. . . . 8,527 n 4,264 „ Tabella IV. — Forma C. Aumento di '1^^ = 1637,25 gr. (818,625 gr. Talento . . . Mina = Veo di ta- lento. . . . V2 mina . . . Statere = Veo di mina. . . . V2 statere. . . a) pesante 60578,25 gr. 1009,64 „ 504,82 „ 16,827 „ 8,414 „ b) leggiero 30289,125 gr. 504,82 „ 252,41 8,414 „ 4,207 „ Questo talento prima del Lehmann valeva per la metro- logia come la sola forma del talento ponderano babilonese. LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 247 2. — Talento babilonese d'oro. I suoi valori sono eguali allo statere ponderario nello statere; nella mina e nel talento corrispondono solo a "/« della mina e del talento ponderarì, poiché valgono solo per 50 stateri, non per 60 sul conto di una mina. A. Norma comune. — Tabella V. Talento . . . Mina = Veo ^^ ta- lento. . . . 7. mina . . . Statere = '/so di mina. . . . Vs statere. . . a) pesante 49117.50 &»*. 818,625 n 409*31 V 16.372 , 8,186 „ h) leggiero 24558.75 gr. 409-31 n 204,66 , 8,186 „ 4.093 • Nella mina d'oro pesante di gr. 818,625 la libra osca- latina di gr. 272,875 è tre volte contenuta : il suo tressis torna nella serie latina della ruota nel peso della mina d'oro pesante, quale un nominale monetario effettivamente fuso. La mina d'oro leggiera forma ancor oggi la libra russa (Cfr. Lehmann, Hermes, voi. 27, pag. 546). B. Norme regall — Tabella VI. Forma A. Aumento di 7,^ = 2455.875 gr. (1227,94 gr.). a) pesante h) leggiero 51573.375 gr. 25786,69 gr. Talento . . . Mina == 7«o di ta- lento. . . . 7, mina . , . Statere = 7,„ di mina. . . . */, statere . . 859.56 r, 429.78 n 17.19 n 8,595 » 429.78 ., 214,89 „ 8,595 » 4.297 y, 248 E. J. HAEBERLIN Tabella VII. — Forma B. Aumento di 72* = 2046,5625 gr. (1023,28 gr.). a) pesante b) leggiero Talento .... 51164,06 gr. 25582,03 gr Mina = Veo di ta- lento .... 852,73 » 426,37 „ Vz mina .... 426,37 „ 213,18 „ Statere = Vso di mina 17.055 j> 8,527 „ Vs statere . . . 8,527 „ 4,264 „ Tabella Vili. — Forma C Aumento di Vg^ = 1364,375 gr. (682,1875 gr.). i) leggiero Talento . . . Mina = Veo di ta- lento. . . . Vg mina . . . Statere = V50 di mina. . . . 72 statere . . a) pesante 50481,875 gr. 841,36 „ 420,68 ,; 16,83 » 8,414 „ 240*937 gì- 420,68 ,; 210,34 M 8,414 n 4,207 » 3. — Talento babilonese d'argento. Esso forma il punto di partenza di tutto il computo pre- sente sulla base della nuova libra romana di gr. 327,45, di cui il centumpondium rappresenta il talento d'argento leg- giero della norma comune. Il peso d'argento è formato dalla moltiplicazione dello statere d'oro per 13 Vs diviso per io. Quindi uno statere d'oro di gr. 8,18625 X 13 73 =" ^09, 15 gr. d'argento; divisi per 7io "^^ ^ statere d'argento di gr. 10,915. D'altra parte gr. 109,15 pesano 73, cioè sono un triente della nuova libra romana. LE BASI METROLOGICHE DELL' ITALIA MEDIA 349 A. Norma comune. ^ Tabella IX. Talento . . » Mina =- 7»o d> ta- lento. . . . V2 mina . . . Statere = V»o di mina. . . . 7, statere . . d) pesante 65490,00 gr. 1091,50 „ 545.75 n 21,83 » 10,915 „ h) leggiero 32745,00 gr. 545'75 n 272,875 , 10,915 „ 5.458 « La mezza, mina del talento leggiero == gr. 272,875 è la libra osca-latina (romana antica); il suo terzo = 90,95833 gr. forma la libra egiziana [Deben oppure Ten), la centesima parte della quale = 9,09583 gr, corrisponde all'oncia egiziana [Kite oppure Ket); il triente romano antico di gr. 90,96 pesa quindi una libra egiziana (cfr. la serie osca ponderaria nel e. IV). B. Norme regali. — Tabella X. Forma A. Aumento del 7,^ = gr. 3274,50 (gr. 1637,25). Talento . . . Mina = 760 di ta- lento. . . . 7, mina . . . Statere = 750 di mina. . . . 78 statere . . a) pesante 68764,50 gr. 1146,08 „ 573.04 « 22,92 „ 11,46 „ b) leggiero 34382,25 gr. 573.04 y, 286,52 „ 11,46 n 5»73 » Tabella XI. — Forma B. Aumento di 7,, = 2728,75 gr. (1364.375 gr.). Talento . Mina = 7«„ lento. . 72 mina . Statere = 7i mina. . 7» statere dita- di a) pesante 68218,75 gr. 1136,98 , 568,49 „ 22,74 ii»37 *) leggiero 34109,375 g:r. 568,49 n 284,25 , 11.37 » 5.685 „ 250 E. J. HAEBERLIN La decima parte dell'etrusco statere d'argento pesante di gr. 11,37 ne forma la libra, ossia lo scripulum di gr. 1,137 identico al sesterzio romano. Tabella XII. — Forma C. Aumento di Vg^ = gr. 1819,167 (gr. 909,583). Talento Mina = * lento. . . Va mina . . Statere = '/s mina. . . Vs statere di ta- di a) pesante 67309-17 gr. 1121,82 „ 560,91 „ 22,436 „ 11,218 „ y) leggiero 3365408 gr. 560,91 ., 280,455 n 11,218 „ 5.609 „ Lo statere di gr. 11,22 è quello persiano d'argento, la sua metà è di gr. 5,61 il siglos medico. Quando nella metro- logia si parla senz'altra aggiunta, della mina babilonese leg- giera d'argento, si tratta di regola della norma elevata a V36» cioè della mina di gr. 561. 4. — Talento fenicio d'argento. Quella quantità d'argento di gr. 109,15 che è formata dallo statere d'oro moltiplicato per 13 '/s tanto nel sistema fenicio quanto in quello babilonese (cfr. sopra al paragr. 3.) non viene diviso in io parti nel sistema fenicio, come nell'altro ma in 15 parti, donde si diede poi il peso di gr. 7,27 Va per lo statere fenicio d'argento della norma comune. Siccome questo statere pesa 7,3 dello statere babilonese d'argento, ma anche il sistema fenicio certamente forma la mina di 50 stateri e il talento di 60 mine, così tutti insieme i pesi fenici dell'argento riescono eguali ai '/:{ dei babilonese LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 251 A. Norma comune. — Tabella XIII. Talento . . . Mina — Veo d^ t^* lento. . . . Vj mina . . . Statere = V50 d' mina. . . . 7, statere . . a) pesante 43660,00 gr. 727.67 „ 363.83 n 14.553 » 7.276 „ b) leggiero 21830,00 gr. 363.83 « 181,92 „ 7*276 n 3.638 . B. Norme regali. — Tabella XIV. Forma A. Aumento di 7jo = 2183 gr. (1091.50 gr.). Talento . . . Mina = Veo di '^" lento. . . . Vj mina . . . Statere = V50 d* mina. . . . Vj statere . . a) pesante 45843.00 gr. 764.05 n 382,025 „ 15.28 „ 7.64 „ b) leggiero 22921,50 gr. 382,025 . 191.013 » 7.64 » 3.82 , Tabella XV. — Forma B. Aumento di 724 "= 1819,167 gr. (909,58 gr.). L'aumento del talento pesante (tabella XIII) di 7*4 da- rebbe esattamente un talento di gr. 45479,167, con una mina di gr. 757,98 ; ma siccome la mina in seguito è sempre ci- tata di gr. 758, così è stato posto nella tabella l'ultimo va- lore e pel talento il computo di gr. 45480. Talento . . . Mina = Veo di ta- lento. . . . 72 mina . . . Statere = 750 di mina. . . . 7, statere . . a) pesante 45480,00 gr. 758,00 „ 379.00 „ 15.16 „ 7,58 , b) leggiero 22740,00 gr. 379.00 „ 189,50 , 7.58 . 3.79 n ^52 È. j. haeberlIn La mezza, mina del talento pesante è la libra dell'Italia Orientale (picena) di gr. 379. La mina pesante di gr. 758 appare nel quincusso di una serie di assi etruschi leggieri (con ruota e àncora) come effettivo nominale monetario fuso. Tabella XVI. — Forma C. Aumento di Vse = S^- 1212,78 (gr. 606,39). a) pesante Talento . . . Mina == Veo di ta- lento. . . . V2 mina Statere = mina. . V2 statere V50 di 44872,78 gr. 747,88 „ 373,94 ,; 14,96 „ 748 « b) leggiero 22436,39 gr. 373,94 « 186,97 „ 7,48 » 3,74 „ Che aumenti di peso del genere di quelli qui trattati siano potenziabili, Lehmann lo ha già dimostrato in Hermes^ voi. 36,. in occasione dei Gewichte aus Thera con vari esempi; egli spiega precisamente a pag. 129 e seg. anche la valuta da lui dichiarata come Kleinasiatisch-Karthagisch cioè dell'Asia Minore e cartaginese, con la dramma di circa gr. 3,90 per mezzo di un tale doppio aumento di peso. Se alla mina d'argento pesante fenicia della norma re- gale B (ved. tabella XV) di gr. 758, già aumentata di Vz*» si aggiunga di bel nuovo un aumento di 7«4, 1^ mina che così ne esce è dal Lehmann portata nel luogo citato (pag. 130) a gr. 789,48, sulla tabella a gr. 785,2. Se poi al talento pe- sante della tabella sopraccitata XV di gr. 45480 si aggiunge un aumento di Va* "on di questo talento, ma, come io ritengo giusto, del talento della norma comune, secondo la tab. XIII, si eleva il talento della norma comune per Vg* e se ne ottiene la seguente serie ponderarla. LE BASI METROLOGICHE DELL'iTALIA MEDLA 253 Tabella XVII. — Aumento di secondo grado per Vs* della nonna comune = gr. 3638 (gr. 1819). Talento . . . Mina = Vso di ta- lento. . . . Vi mina . . . Statere = Vso di mina. . . . 7s statere . . a) pesante 47298,00 gr. 788,30 „ 394.15 » i5»766 „ 7.883 , b) leggiero 23649,00 gr. 394.15 • 197.07 » 7.883 „ 3.942 „ Con questa valutazione, che è molto diffusa sulla spiag- gia del Mar Mediterraneo, ci incontreremo anche in Italia e precisamente col nome di focese (invece di cartaginese o dell'Asia Minore). Cfr. pag. 60 e nota 2. IL Alterazioni dei sistemi originari. Mentre già in Babilonia si erano allontanati dal sistema sessagesimale, che regnava sul talento ponderano (60X60 = 3600) per i pesi di valuta dell'oro e dell'argento, tanto che mina e statere furono posti nel rapporto di 50 : i (60 X 50 =-= 3000), nel successivo prospetto della formazione ponderaria fenicia fu più volte estesa quest'ultima norma anche al rap- porto del talento alla mina (50X50 = 2500). Così invece di un modo di computo decimale misto fu introdotta per tutta in- tera la serie ponderaria una divisione basata sulla pura norma decimale. Questo importante progresso era rimasto finora inav- vertito nella metrologia : ma occorre tenerne conto, perchè è indispensabile per ben comprendere un gran numero di valutazioni greche e italiche. Questa alterazione- si deve ormai rilevare allo scopo di determinare le valute che si incontrano nell'Italia Media per quei pesi originari babilonesi e fenici, che direttamente furono 33 254 É. J. rtAEBÈRLIN accolti, e precisamente in modo che si incontrino parte nella distribuzione originale, e parte in quella modificata. Come osservazione generale si deve considerare su questo punto che per i paesi occidentali, e certamente tanto per l'Italia quanto per la Grecia, occorrono alla nostra osservazione in realtà per la maggior parte talenti leggieri originari. Questo si collega col fatto che nel periodo progredito di un com- mercio sviluppato, i pesi piccoli fiarono fatti risaltare in con- fronto di quelli grandi. Questo particolare diede occasione a ciò che nel computo del denaro si venne alla diminuzione del peso delle dramme (0, alla divisione della dramma in oboli, jytre e via, dicendo nel sistema metrico si giunse in Grecia e in Italia a sostituire il braccio asiatico con la misura del piede, che è solo Vs fino a V2 <^i quello. Con la sola eccezione del talento fenicio pesante d'ar- gento, della norma regale B (tabella XV), il quale, del resto, rappresenta già una diminuzione di quello babilonese fino a */g, si tratta sempre e dapertutto di talenti leggieri, che furono accolti nell'Italia Media e che divennero la base della monetazione, specialmente anche nella fusione della moneta pesante. Per rendere possibile un paragone completo, pongo nelle seguenti tabelle entrambi i generi di divisione dei ta- lenti reciprocamente in 60 e in 50 mine ; ripeto poi, per quel che riguarda la divisione sessagesimale, i numeri già contenuti nelle tabelle precedenti. A. Talento babilonese leggiero d'argento, della norma co- mune di gr. 32745 (cfr. tabella IX). Nella sua alterazione decimale questo talento, (di cui la mezza mina sessagesimale risulta la libra oscalatina di gr. 272,765) diventa il centumpondium della nuova libra ro- mana di gr. 327,45. Sarà compito della metrologia il provare (i) Lo sviluppo avvenuto in Roma mostra questo progresso in modo caratteristico. Roma battè in argento dal 335 a. C. didrammi dtl nuovo piede campano di gr. 7,59; dal 312 a. C. didrammi del piede di sei scru- poli di gr. 6,82; dal 268 a. C. denari di gr. 4,55, i quali furono diminuiti dopo il 241 a. C. a gr. 3,90, da Nerone in poi a gr. 3,41. LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 255 se la divisione cinquantenale anche di questo talento abbia avuto luogo già nella Fenicia, o se piuttosto si compì in Italia dietro modello fenicio. Anche se nessun documento letterario o materiale (pesi) si potesse citare in conferma della prima alternativa, è da considerare tuttavia tale divi- sione come verosimile, in quanto che per la norma regale elevata B (vedi tabella XI), secondo la susseguente suddivi- sione B, sta fissa la divisione cinquantenale del talento già verificatasi nella Fenicia, la norma comune poi in ogni luogo corre parallela alla norma regale, in modo che le variazioni dell'una si devono costantemente riferire anche all'altra. Tabella XVIII. a) 60 mine Talento . . gr. 32745,00 Mina = 7,0 di talento . , 545- 75 Vj mina = 7j„ di tal." „ 272,875 Statere = V^^ • di mina. . „ 10.915 V2 statere . . „ 5,458 b) 50 raiae &»*• 32745.00 = Vso tal.» „ 654,90 ^^ /lOO » r> 327»45 = Vso mina , 13.10 6,05 Quali mezze mine dell'uguale talento stanno quindi qui la libra osca-latina come Viso del talento, e la nuova libra romana come Vioo del talento rispettivamente ; mentre, ac- canto alla leggiera mina babilonese d'argento delia norma comune di gr. 545,75 a Vg^ la (xvà iyopaix attica di gr. 654,90, a Vso risale alla medesima origine. B. Talento babilonese leggiero d'argento della norma re- gale B di gr. 34110 (cfr. tabella XI). Nelle tabelle precedenti secondo il computo più esatto torna il numero 34199,375 gr.; io mi servirò in sèguito per il frequente ripresentarsi di questo talento del numero arro- tondato 341 IO. La divisione cinquantenale è mostrata nella metrologia 256 E. J. HAEBERLIN per divisione fenicia. Di questa tratta Nissen n^W Handbuch der class: Alterthunis-Wissenschaften, voi. I, sec. ediz. 1892, pag. 860, in paragone con l'indicazione dei pesi a pag. 846. Nissen lo indica talento siriaco^ certamente senza che il lettore possa immaginare che si tratta di un talento origina- riamente babilonese modificato in Fenicia (Siria) solo nei rap- porti della sua divisione. Tabella XIX. «) 60 mine b) 50 mine Talento . . gr. 34110,00 gr- 34110,00 Mina = Veo di talento . . w 568,50 - V50 tal." « 682,20 V2 mina = 7i2o di tal.° n 284,25 — /lOO „ n 341.10 Statere == Vso di mina . . » 11.37 = '/so mina » 13.644 Va di statere » 5.685 » 6,822 74 di statere n 2,842 n 3.411 La mezza mina cinquantenale di gr. 341,10 forma il peso di un asse quale si presenta nel territorio campano-apulo ; io propongo per essa la denominazione libra italica in op- posizione alla libra italica orientale di gr. 379. Bisogna inoltre tener calcolo del quarto di statere in questa tabella. Esso forma nell' Etruria nel sistema sessagesimale con gr. 2,842 il grave pezzo d'oro di 50 libre, nella Campania, nel sistema cinquantenale con gr. 3,41 la dramma romano- campana di 3 scrupoli di gr. 1,137 identica a 3 litre (un de- cimo) dello statere pesante etrusco d'argento di gr. 11,37 (cfr. le osservazioni alla tabella XI). C) — Su una analoga modificazione si basa la forma- zione della valuta più antica (la più pesante) eginetica, la mina della quale fu citata dal Lehmann di gr. 672,6 conte- nuta in Hermes, voi. 37. Si tratta qui della alterazione del talento leggiero babilonese d'argento della norma regale C, di gr. 33654,58 in un talento di cinquanta mine (cfr. tab. XII). LE BASI METROLOGICHE DELI. ITALIA MEDIA 257 Tabell A XX. «) 60 mine *) 50 mine Talento . . gr. 33654,58 gr. 33654.58 Mina = 7.0 di talento . . » 560,91 = 7so tal.» n 673,09 7, mina = '7»o di tal.o n 280,455 =3 /lOO » n 336.545 Statere = 75» di mina . . n 11,218 = 750 mina n 13.46 7, statere . . n 5.609 n 6,73 Questa alterazione non ha certamente alcun rapporto con l'Italia dove il talento elevato ad '/36 non ha trovato al- cuna diffusione ; ma però era importante, in causa della posteriore connessione, la prova che in Grecia i pesi ba- bilonesi già erano stati accolti nella divisione cinquantenale durante il periodo eginetico, fin dal tempo più antico. Le tabelle precedenti XVIII-XX mostrano la prima ma- niera della alterazione del peso. Il talento rimane in entrambe le serie il medesimo ; ma tutti i nominali inferiori del si- stema sessagesimale stanno a quelli del sistema cinquante- nale nel rapporto di 5:6. Un secondo modo di alterazione sta in ciò, che non dal talento, ma dalla mina si incomincia, cioè dalla mina sessagesimale di un talento si forma un nuovo talento di 50 mine, più leggiero di un sesto in confronto del talento originario di 60 mine, mediante la moltiplicazione per 50. Questa alterazione deve essere stata ripresa se non già in Fenicia, verosimilmente in Italia con il D) — Talento pesante d'argento fenicio della norma regale B (cfr. Tabella XV) di gr. 45480. Si può presumere questo, perchè la mezza mina di questo talento forma una libra italica, cioè la libra dell'Italia orientale già citata di gr. 379, e quella, centuplicata, nota col nome di centwnpondmm veniva formata alla foggia delle libre italiche, come speciale grandezza ponderaria di 100 libre. In tal caso sorgono due serie, le quali sono fra loro dif- ferenti solo nel talento, mentre nel complesso degli spezzati 258 E. J. MAEBERLIN sono eguali; poiché la mina, quantunque sia in una parte duode- cimale, in un'altra decimale, in entrambe le serie eguale di peso. Tabella XXI. «) 60 mine h) 50 mine Talento . . gr. 45480,00 gr. 37900,00 Mina = Veodi talento . . n 758,00 -= 7.0 tal.o M 758,00 Vg mina = 7ì2o di tal.° » 379,00 /ioo n » 379,00 Statere = 7,o mina . . . tt i5»i6 = Vso mina » 15-^6 V2 statere. . » 7.58 » 7,58 '/< statere » 3>79 » 3.79 Nel quarto di statere di gr. 3,79 impareremo a cono- scere la dramma nuova campana, sul piede della quale sono battute le didramme più antiche romano-campane di gr. 7,58. Viceversa può esser formato da una mina cinquantenale in sèguito a moltiplicazione per 60 un talento più pesante di un quinto. Anche questo processo si può spiegare così: esso deriva dalla moltiplicazione per 60 della mina cinquantenale di gr. 682,20 (tab. XIX b) appartenente al talento di gr. 341 io, un talento fenicio di gr. 40931,25 più pesante di Vs (cfr. Nis- sen, op. cit., pag. 846 e 860 : talento di 40,92 kgr.). Per tal modo, il processo è benissimo potenziabile, poiché nulla vi è contro il fatto di dividere questo nuovo talento a mina ses- sagesimale di nuovo in 50 mine di 818,625 gr. e di moltipli care queste a loro volta per 60, cosicché noi giungiamo al talento d' oro pesante babilonese della norma comune di gr. 49117,50 (tab. V a). Questo esempio dimostra l'intimo accordo dei rapporti di cambio esistenti nell'organismo degli antichi pesi. In ri- guardo a ciò sarà importante per la metrologia di poter se- guire la questione quando e dove tali alterazioni di peso abbiano avuto luogo, poiché si deve togliere le basi vere e proprie nella storia delle relazioni commerciali fra i paesi del Mondo antico dalla prima della migrazione dei sistemi (li peso dall'Oriente verso l'Occidente e dall'indicazione dei Le bASI METROLOGICHE DELl'iTALLA MÈDIA 250 modi diversi di procedura che essi provarono nei nuovi ter- ritori di loro residenza. Un esempio importante per questo riguardo si può an- cora rilevare, che veramente per l'Italia è solo di secondaria importanza, ma però appare opportuno per riuscire ad ot- tenere definitiva luce sulla questione molto dibattuta, ma non mai abbbastanza esaurientemente risoluta, intorno all'origine della mina euboica attica solonica di gr. 436,60 e del sistema monetario attico che si basa su essa (tetradramma 17,464 gr. — didramma 8,732 gr. — dramma 4,366 gr). Ora si passa quindi al E) — Talento fenicio leggiero d'argento della norma comune di gr. 21830 (tab. XIII b) che più tardi fu conosciuto sotto il nome del talento monetario tolemaico. Che la mina euboica di gr. 436,60 si sia sviluppata da questo talento secondo il principio dell'impiego della mina sessagesimale in una cinquantenale lo mostra il prospetto qui sottostante, poiché in fatto stanno fra loro reciprocamente entrambe le serie come segue : Tabella XXII. «) 60 mine h) 50 mine Talento . . Mina = 7,0 di gr. 21830,00 gr. 21830,00 talento . . n 363.83 = %o tal.'' n 436,60 7s mina = Vjso di tal.° Tetradramma rt 181,92 — /lOO „ n 218,30 = V25 mina Didramma = n 14.553 = 7» mina n 17,464 750 di mina Dramma = » 7,266 >/ — '60 n » 8.732 V 100 di mina n 3,638 '/ — 100 » » 4.366 La serie che si vede qui sopra non poteva rimanere in Grecia nella norma Z», perchè colà doveva assolutamente essere fissata sulla base che il talento si forma da 60 mine divise in 100 dramme. In sèguito a ciò sorse dalla mina cinquantenale di gr. 436,60 un nuovo talento sessagesi- 200 È. J. HA EBERLIN male più pesante di Vs, cioè l'euboico, adottato più tardi da Solone per Atene, di gr. 26196. Questo talento, invece del talento di gr. 21830, subentrò con spezzati o pezzi divisori che rimangono intatti in cima della serie b. Così la serie si mostra ormai come segue : Talento 26196 gr. — Mina = Veo = 436,60 gr. — Dramma = Veooo : 4.366 gr. Siccome la divisione di un talento in 50 mine è contro l'uso greco, così si può accogliere con certezza il fatto che il talento di gr. 21830, quando dalla Fenicia venne verso l'Eubea, non fu qui allora primamente diviso in 50 mine, ma che tale divisione, già in uso prima in Fenicia, sia avvenuta durante il tragitto dalla Fenicia (Cipro, Creta) all'Eubea. Inoltre, quel fatto dimostra che all'Eubea appunto si debba l'alterazione doppia della mina cinquantenale di gr. 436,60 a un talento sessagesimale di gr. 26196. Fa presumere inoltre che Solone per Atene adottò un sistema ponderarlo che era pronto, completo, quando egli fece introdurre ad Atene in luogo della valuta eginetica (quella juniore), nell'anno 594 a C, il nuovo sistema ponderano e monetario che da lui ebbe nome. La vera derivazione della valuta euboica è stata finora travisata, poiché non era stata data la dovuta attenzione all'importante fattore della mutazione dei talenti originari sessagesimali in tali di 50 mine. Accanto alle valute delle mine furono soprattutto presi in considerazione i pesi dei talenti in modo non del tutto suf- ficiente. La comunanza regolare (ch'è assai suscettibile di ec- cezione) (i) dell' origine delle mine derivanti da un solo e medesimo talento e nella proporzione tra loro del 6:5, fu posta su una base facilissima in sèguito alla presente con- siderazione. Dove questo rapporto si presenta nell'ambito greco e romano dei sistemi derivati, si raccomanda costan- (i) Così stanno fra loro nel rapporto di 6:5, p. es., anche la mina ponderarla babilonese e la mina babilonese d'oro (gr. 491,17 e gr. 409,31), non già perchè basate sull'eguale talento, ma perchè per l'eguale peso del suo statere di gr. 8,186, la mina ponderarla è formata di 60 stateri e la mina d'oro solo di 50. LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 20 1 temente pel suo tentativo di chiarire la mina più pesante di entrambe, cioè la mina derivante dalla modificazione stessa delle proporzioni. E in primo luogo si raccomanda di esperi- mentare quella questione di una eventuale comunanza di ori- gine, prima che si debba allargare la veduta verso mine ancora più difficili, nelle quali il peso in questione può es- sere contenuto come grandezza divisionaria. Così Lehman {Hermes, voi. 27, pag. 549) fu trascinato su una strada falsa circa la derivazione della mina euboica di gr. 436,60 in questo, che egli attribuì al rapporto di questa mina con quella babilonese d'argento di norma comune di gr. 545,75 = 4:5 una importanza che non gli spettava. Certamente si deve con lui assentire che le basi di tutte le mutazioni di norma debbano essere ricercate per regola nel- l'ambito mercantile e di politica commerciale; ma nel caso presente del cambiamento della norma, che è a base della mina euboica, Lehmann cercò quelle basi in un territorio errato, egli le cercò nell'Eubea, e precisamente in un inal- zamento del prezzo locale del rame, mentre, secondo la trat- tazione qui esposta, la così detta mina euboica non fu for- mata nell'Eubea e nemmeno da una diminuzione della leg- giera mina babilonese d'argento, ma piuttosto per mezzo del commercio fenicio fu introdotta nell'Eubea in una forma già adottata (0. Come conferma della giustezza di questo concetto s'ag- giunse anche un altro fatto importante da tenere in consi- (i) Lehmann, al luogo citato (1892) pensava certamente che la mina attica fosse sorta in questo modo, che gli Eubei e specialmente i Cal- cidesi, ai quali doveva importare di veder prezzato uno dei principali prodotti della loro isola, il rame, al massimo prezzo possibile, abbiano inalzato il valore del rame 1/5 di più di quanto andava nel corso nor- male e abbiano stabilito il rapporto dell'argento al bronzo sulla norma di 96 : I invece di 120 : 1. Se Lehmann avesse ora continuato nel suo testo nel modo se- guente : " Fin qui per una mina babilonese d'argento di gr. 545,75 erano pagate 120 mine di rame di egual peso; di poi la medesima mina di argento aveva soltanto il valore di 96 mine di rame di gr. 545,75, op- pure di 120 mine di rame, ma solamente del peso di gr. 436,66 „ : in tal caso la sua supposizione, erronea in realtà secondo la mia convin- zione, almeno quanto al computo sarebbe stata corretta. Le 120 parti 34 202 E. J. HAEBERLIN derazione. Si sa che la metà della mina di gr. 436,60 esisteva nella Sicilia come libra vetustissima di rame del peso di gr. 218,30. L'uso di questa libra nell'isola risale ad un periodo di tempo molto avanti la riforma di Solone, e corrisponde al- l'uso italico di formare la libra di rame dalla mezza mina babilonese, e rispettivamente fenicia in un periodo che in di rame che ora si riteneva, erano 120 mine del peso attico. Ma così come Lehmann continua, la sua argomentazione diviene un errore di computo. 10 cito il passo relativo, parola per parola, mettendo fra parentesi i valori numerici dimenticati dal Lehmann. Il passo suona così : " In questo caso non sarebbe più la mina leggiera d'argento delia " norma comune (gr. 545,75) l'equivalente del talento pesante d'argento " (che pesa 120 volte) in bronzo (gr. 65490); ma al suo posto sarebbesi " avuto un valore di 4/5 della mina d'argento della norma comune " (cioè il peso di gr. 436,60 d'argento), e viceversa la mina d'argento " della norma comune (gr. 545,75) avrebbe anche solo il valore di 4/5 " del pesante talento d'argento in rame (cioè gr. 52392) di rame) „. 11 computo dell'ultima frase che incomincia con " e viceversa „ è giusto, poiché gr. 545,75 : gr. 52392 fanno = 1:96. AI contrario tutto ciò che è detto prima significa l'opposto di quello che Lehmann vuol dire, poiché, se un talento di rame di gr. 65490, che costava prima gr. 545,75 di argento, ora si può avere per gr. 436,60 di argento, non sarebbe già, come Lehmann vuole che risulti, aumentato il prezzo di 1/5, ma piuttosto diminuito altrettanto (forse più giustamente di 1/4), cioè il prezzo del rame sarebbe disceso dal rapporto di i : 120 al rapporto 6,05. Il fatto che questo talento pesasse appunto una volta e mezza il talento monetario, può benissimo aver dato occa- sione opportuna a Solone di porlo pel peso degli oggetti pili pesanti, accanto al talento monetario. In ultima analisi il rapporto dei due talenti di i V, : i sta in ciò che peso di argento babilonese e fenicio stanno fra loro nel rapporto di I V2 : I ; ma il talento commerciale attico deriva dal leggiero babilonese, invece il talento monetario dal talento fenicio leggiero d'argento della norma comune (cfr. tab. IX ^ e XIII ^). {Continua) E. J. Haeberlin. Trad. dal tedesco del Prof. Doti. Serafino Ricci. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI Fritze (von Hans)-Gaebler (Hugo). Nomistna: Untersuchun- gen auf dem Gebiete der antiken Mùnzkunde. Berlino, Mayer u. Moller, 1909, pag. 42 e 3 tavole, 4.' puntata. È uscito il IV fascicolo di questa importante pubblica- zione periodica, di cui già la Rivista altre volte si è occupata, e che nei fascicoli precedenti trattò delle monete di Terina, di Beroia, delle monete autonome di Abdèra, delle Amaz- zoni sulle monete greche e delle statue di Asklepios in Pergamon. 11 IV fascicolo contiene un lavoro dello Hill, del British Museunt di Londra, sulla coniazione alessandrina della Fe- nicia e due altri lavori del von Fritze, l'uno sulle monete autonome di Ainos, considerate nel loro sviluppo cronologico, l'altro sul culto di Attis in Cizico. La tavola di quest'ultima ricerca, che è la terza del fa- scicolo, contenendo la statua di Attis, mostra chiaramente la riproduzione di essa, come tipo universalmente conosciuto sulle monete di Cizicos. Fritze (von Hans). Die MUnzen von Pergamon. Berlino, Kònigl. Akademie, 1910, pag. 108, con 9 tavole. Il valente e attivissimo prof. dott. Fritze von Hans, che è già direttore insieme col Gaebler dell'accreditato periodico 268 BIBLIOGRAFIA Nomisma, sopraccitato, riunì in un solo lavoro, che vide la luce nelle Abhandlungen der Kònigl. preuss. Akademie der Wissenschaften, Berlino, di quest'anno, tutte le monete di Pergamo, dividendo l'importante lavoro in due grandi classi : i.^ le monete precedenti all'Impero ; 2,.^ le monete coniate durante il periodo imperiale. Precede una introduzione storica riassuntiva, e seguono gli indici esplicativi delle singole tavole. Altherr (d/ Hans). Das Mùnzwesen der Schweiz bis zum Jahre l'^gS, auf Grundlage der eidg. Verhandlungen und Vereinbarungen. Berna, Stampli, 1910, pag. xii-432. Il volume presenta uno studio serio e poderoso, ben pensato e ben distribuito. Dopo la dedica ai prof. Oncken, Woker, Ludwig Stein, d."^ Strickler, e dopo una opportuna prefazione dell'editore, l'autore introduce l'argomento, facendo un buon riassunto storico della monetazione svizzera dai tempi più antichi della popolazione celtica-gallica fino ai nostri giorni. La materia vien poi trattata in quattro capitoli : I capitolo. — Convenzioni monetarie fino all'anno 1425. Der Rappenniunzbund. II capitolo. — Trattati e decreti delle Tagsatzungen. Ili capitolo. — Conferenze e riunioni dei singoli Cantoni. IV capitolo. — Conclusione. Seguono appendici con tabelle ed indici utilissimi alla ricerca. Willers (Heinrich). Geschichte der ròmischen Kupferprà- gung von Bundesgenossenkrieg bis auf Kaiser Claudius, nebst einleitendem Uberblick iiber die Eutwicklung des antiken Miinzwesens. Lipsia Berlino. Teubner, 1909, pa- gine xvi-228 con 18 tavole illustrative e 33 figure nel testo. Ora che gli studi sulla numismatica antica romana, spe- cialmente pei lavori dello Haeberlin (tradotti in questa Ri- bibliografìa 269 vista dal prof. Serafino Ricci), dello Szoutzo, del Sambon, del Willers, dello Hill, del Bahrfeldt volsero le menti a comple- tare l'opera audace e dotta del Babelon sulla monetazione della Repubblica romana, ma specialmente nel periodo più antico, questo libro di Heinrich Willers giunge in tempo op- portuno a rischiarare le menti degli studiosi sulla intricata questione delle origini, delle alterazioni, delle modificazioni della monetazione antichissima di Roma. Ci riserviamo di studiare attentamente il volume in un lavoro di confronto con gli studi di altri specialisti; ma per ora lo presentiamo al pubblico nella sua integrità. Il volume abbraccia quattro parti fondamentali, che si svolgono dopo la introduzione dello stesso Willers nell'ordine seguente : I parte. — Sguardo introduttivo sullo sviluppo del- l'antica monetazione. II parte. — La monetazione romana del bronzo dal piede semiunciale, dall'Sg fino all'Si a. C. Ili parte. — La coniazione militare del bronzo al tempo delle lotte per il dominio assoluto. IV parte. — La coniazione senatoria del bronzo nel periodo del primo Impero. Si chiude il libro con la descrizione delle tavole e con gli indici dei triumviri nionetales e degli zecchieri, nonché con gli indici di argomento, che riescono utilissimi. Forrer (L). Biographical Dictionary of medallists, coiti, geni- and seaL-engravers, mit-masters, etc. ancient and modem with réferences to their ivorks (B. C. 500. A. D. 1900). Londra, Spink a. Son, 1909, voi. IV. Siamo lieti di presentare il quarto volume dell'opera interessante, ben condotta e utilissima alle discipline numi- smatiche e medaglistiche dell'illustre numismatico Leonardo Forrer, uno dei più dotti e più attivi numismatici d' Europa. Con questo quarto volume l'autore ci conduce dalla lettera M alla lettera Q, e quindi già alla metà passata dell'opera, quantunque alcune lettere susseguenti occuperanno buona parte di altri volumi. 35 270 BIBLIOGRAFIA Come già fu annunciato sulla Rivista presentando alcuni dei volumi precedenti, l'ordine del Dizionario è alfabetico ge- nerale, comprendendo i nomi dei medaglisti e affini di tutto il mondo antico medioevale e moderno in ordine di iniziale. Questo quarto volume contiene lo studio di alcuni dei più illustri artisti esecutori o illustratori di medaglie, che assume il carattere di singole monografie, già per sé pregevolissime, inserite nel volume, come per Melioli Pietro di Milano, Pi- sanello, Pistrucci, Pillon, Ponscarme e altri. S. Ricci. Cesano (Lorenztna), Denarius. Roma, 1909, in-8 gr., pag. 49 (estratto dal Dizionario epigrafico di antichità romane, II, pag. 1623-167 1). Maestri {A.), Zecca, di Mirandola : moneta inedita del duca Ales- sandro I Pico (1602- 1637). Modena, tip. G. Ferraguti, 1909, in-8 fig., p. io. Rizzoli (Z,.), Le più antiche medaglie del Petrarca. Padova, Società Coop. tip., 1909, in-8, pag. 12. Pennisi di Fioristella (barone S.), La " Messenion d'oro „. Discorso letto all'Accademia degli Zelanti e PP. dello studio di Acireale. Acireale, 1909, in-8, pag. 20 e ili. [trattasi del celebre pezzo della collezione Strozzi, pagato 22,000 lire]. Crety (avv. Fr), Guida pei numismatici ossia del modo di distin- guere le monete antiche autentiche dalle contraffazioni moderne. Lecce, Bortone, 1910, in-8, pag. 68. Ricciardi {Eduardo), Medaglie del regno delle Due Sicilie, 1735-1861. Napoli, Detken & Rocholl, 1909, in-8, pag. 56 con 15 tavole. Donini (don Cesare), Polengo. Note storiche. Treviglio, Messaggi, 1909, in-8 [A pag. 27 e seg. Indizi numismatici]. Onoranze per il III Centenario di S. Carlo Borromeo e per il giu- bileo sacerdotale di mons. Rodolfo Majocchi, 5 aprile 1910, in-8 allun- gato. Pavia, Rossetti [A pag. 48 tavola della medaglia commemorativa del 25." di sacerdozio di mons. Majocchi]. Catalogue general de monnaies, médailles et jetons. La Revolution. Louis XVI roi constitutionnel (de 1789 au 21 janvier 1793). Paris, Ca- binet de numismatique, E. Boudrau, 1909, pag. 348-94. Blancìtet {A.), La jambe huinaine de Sinope (In Florilegium ou re- cueil de travaitx cférudition dédies à Monsieur Melchior de Vogiié, 1909, pag. 59-64) [Moneta relativa al culto dionisiaco]. BIBLI OGRA FI A 2 7 1 Adminisiraiion des ntonnaies et médailles. Rapport au Ministre des finances. Ouatorzième année 1909. Paris^ inipr. Nationaie, 1909, in-8, pag. XXXU-331 e 4 tav. Rappaport (E.\ Mùnzen und Medaillen von Halberstadt, Quedlinburg und Regenstein, in 8. Berlin, 1909. Kóhler {ÌV.), Personifikationen abstrakler Begriffe auf ròmischen Munzen. Inaugural-Dissertation, in 8. Kónigsberg, 1910. Schròter (£".), Die Mùnzen und Medaillen des Weissenfelser Herzogs- hauses. Ein Beitrag zur Geschichte des Herzogtums Sachsen-Weissen- fels und des Furstentums Sachsen-Querfurt. l Teil. Programm der Oberrealschule Weissenfels a. S., 1909, in-4, pag. 32. Schrotter (von />.), Beschreibung der neuzeitlichen Munzen des Erzstifts und der Stadt Magdeburg 1400-1682. Magdebtirg, Baensch, 1909, in-4, P3g» X-I7I e 36 tav. Willers (H.), Geschichte der ròmischen Kupferpragung vom Bundes- genossenkrieg bis auf Kaiser Claudius. Nebst einleitendera Ueberbhck ùber die Eniwicklung des antiken Munzwesens. Leipzig, Teubner, 1909, in-8, pag. xvi-228, con ili. e 18 tavole. Rossberg (prof, d/ K.), Die Zwei-Fùnf-und Dreimarkstucke deut- scher Reichswàhrung. Ein Taschenbuch fur Sammler. 3.'* Auflage. Leipzig, Zschiesche und Kòder, 1910, in-8, pag. 36. Haffner (/4.), Das Geld und die Reichsfinanzreform. Berlin, Putt- kammer & Muhlbrecht, 1909, in-8, pag. 86. Luschin von Ebengreuih {A.), Zur Geschichte des Denars der L^x Salica (In Festgabe " Historische Aufsàtze „ pel prof. Carlo Zeumer. ÌVeimar). Luschin von Ebengreuth (A.), Umrisse einer Munzgeschichte der altòsterreichischen Lande im Mittelalter. JVien, Graz, Leuschner und Lubensky, 1909, in-8, pag. 54 e tav. Kttbiischek {W.), Ausgewàhite ròmische Medaillons der kaìserlichen Munzensammlung in Wien. Aus dem Iliustrationsmaterial der Bande I-XI des u Jahrbuches der Kunstsammlungen des a. h. Kaiserhauses neu hrsgegeben. Wien, A. Schroll & C, 1909, in-8, pag. vi-50, ili. con 23 tav. Luschin von Ebengreuth (d.' Arnold), Der Denar der Lex Salica [Sep. Abdruck aus Sitzungsberichte der Kais. Akademie der Wissen- schaften in Wien, Bd. 163], in-4. Wien, 1910. Fiala {Ed.), Mùnzen und Medaillen der welfìschen Lande. Das neue Haus Braunschweig zu Wolfenbùttel, 6 Band, II Teil. Wien, Fr. Deuti- cke, 1909, in-4 e tav. Claeys {Prosper), Les médailles gantoises modernes (1792-18921 Gand, Vyt, 1909, in-8, pag. 390. 272 BIBLIOGRAFIA Vannérus (/.), Inventaìre des empreintes de sceaux existant aux archives de l'Etat à Anvers. Eekeren-Donk, imp. Van Hoeydonck, 1909, in-8, pag. 44. De ,Witte (Alph.), Le graveur Théodore- Victor Van Berckel. Essai d'un catalogue de son oeuvre. Lòwen, 1909. Catalogne du Cabinet numismatique de la fondation Teyler à Har- lem, 26 édit, Harlem, Loosjes, 1909, in-8 gr., pag. 518 e 24 tav. Boni (G. D.), De munt vat het Koningrijk" der Nederlanden en van des zelfs Kolonien van 1813 tot heden. Amsterdam, 1909 e tav. [Pub- blicazione per la nascita della principessa Giuliana d'Olanda]. Altherr {Hans), Das Miinzwesen der Schv^^eiz bis 1798 [Dissertation]. Bern, Stampili, in-8, pag. iv-86. Schumilow (P. F.), Monete rare dell'impero russo dalla fondazione della Russia al 1910 [in lingua russa]. Kasan, 1909, in-8, pag. ix-162. Hill (G. 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Un forte inedito di Carlo Emanuele I, duca di Savoia, bat- tuto nella zecca d'Aosta. — Donati (Giovanni). Dizionario dei motti e leg- gende delle monete italiane [cont.]. — Varia: [Congresso internazionale di numismatica a Bruxelles], Anno Vili, n. I, gennaio I9I0. — Il Circolo numismatico milanese e il suo Bollettino al principio dell'ottavo anno di vita. — Dattari (Giannino). Motivi di tecnica antica. — Ricci (S.). Storia ed arte sulle monete e sulle medaglie: Conferenze di numismatica. — Coen (Maurizio). Medaglie e place hette delle strade ferrate: Transalpina austriaca. — Notizie varie: [Congresso internazionale di numismatica in Bruxelles. — Aste e cata- loghi di vendita]. — Necrologio. — Elogio di benemerenza a Maurizio Coen. — Vendite: [Clerici & Hamburger]. N. 2, febbraio 1910. — Dattari (G.). Motivi di tecnica antica [cent]. — Ricci (S.). Storia ed arte sulle monete e sulle medaglie [cont.j. — Donati (G.). Dizionario dei motti e leggende delle monete italiane [cont N.-0\. — CuNiETTi-CtwiETTi (A.). Alcune varianti di monete di zecche italiane [Avignone, Castiglione delle Stiviere, Correggio, Messina, Pe- saro, Rodi]. — Medaglistica: [Placchetta in onore di Michelangelo. — Medaglia in onore di Ugo Foscolo]. — Varia. — Necrologio: [Giacomo Tropea]. — Vendite: [Hamburger & Clerici]. N. 3, marzo 19 IO. — Haeberlin (E. J.)-Ricci (Serafino). Conclusioni prospettiche del sistema monetario antichissimo di Roma: I. Sistema di Mommsen; II. Sistema esatto. — Laffranchi (Lodovico). Osservazioni numismatiche. — Perini (Q.). Tesoretto di monete medioevali. — Mon- DiNi (Raffaello). Da Marsala al Volturno [Medaglie]. — Vendita della Collezione Erbstein a Francoforte sul Meno. — Altre vendite. N. 4, aprile 1910. — Dattari (Giovanni). Motivi di tecnica antica [cont. e fine]. — Mondini (Raff.). Da Marsala al Volturno. Medaglie [cont.]. — Notizie varie: [L'esposizione della Società numismatica ame- ricana di New-York; Lavori pubblicati su Pisanello ; Vendite a Parigi ed a Monaco]. — Bibliografia. Rassegna Numismatica. Roma. Anno VII, n. I, gennaio 1910. — Leììu(F.). La circolazione monetaria romana nelle Provincie. — Dattari (Giovanni). L'oscillazione del peso delle monete di Roma. — Balletti (prof. Andrea). Un sigillo e alcune tessere della zecca di Reggio nell'Emilia. — Rassegna bibliografica. — Varietas. 274 BIBLIOGRAFIA N, 2, marzo 1910. — Cesano (dott, Lorenzina). Di un sesterzio ine- dito di L. Hostilius Saserna e del culto di Diana in Roma. — Lenzi (F.). La circolazione monetaria romana nelle Provincie. — Rizzoli (d/ L. jun.). Monete medioevali rinvenute a Sarcedo {Vicenza), ioij-ij2j. — Rassegna bibliografica. — Varietas. N. 3, maggio 1910. — Gamurrini (G. F.). Delle monete d'Arezzo bat- tute nel ijjo. — Dattari (Giovanni). Motivi di tecnica. — Rassegna delle vendite [La vendita della collezione Hartwig]. — Rassegna bibliografica. — Varietas. — Necrologio: [prof. Giacomo Tropea]. Revue Numismatique. Parigi. Quatrième trimestre, 1909. — Soutzo (M.-C). L'U, le Qa et la mine, d'après M. Thureau-Dangin. — Villenoisy (F. de) & Frémont (Ch.). Le carré creux des monnaies grecques. Évolution des procédés de fabrication. — DiEUDONNÉ (Ad.). Numismatique syrienne. Uaigle d'Antioche et les ateliers de Tyr et d'Emèse. — Foville (J. de). Monnaies grecques de la collection Valton. Asie Mineure. — Mowat (R.). Abrasion d'une contre- marque de NércTn. — Caillet (L.). Compie de Jean de Vaulx, maitre de la monnaie d'Amiens {1436 n. sf.). — Chronique. — Necrologie: MM. Chaplain, G. Dupré, Duruflé, Perrin du Lac, Lalanne, Zay. — Bulletin bibliographique : Comptes rendus, Revue des livres et périodiques. — Procès- verbaux de la Société fram^aise de numismatique. Premier trimestre, 1910. — Thureau-Dangin (Fr.). Observations sur les système métrique assyro-babilonien [réponse à M. Soutzo]. — Allotte DE LA FuYE (Col.'). Monnaies incertaines de la Sogdiane et des contrées voisines. — Castellane (C" H. de). Sou d'or de Vempereur Gratien frappé à Sirmium en jjS, — Blanchet (Adr.). Les dernières monnaies d'or des empereurs de Byzance. — Prinet (Max). Sceau d'Eon de Pont- chàteau {1218). — Béchade (J.-L.), La forme Caturcis sur les monnaies de Cahors. — Chronique. — Bulletin bibliographique. — Procès-verbaux de la Société fran^aise de numismatique. Revue belge de numismatique. Bruxelles. Première livraison, 1910. — Mori de Sa Majesié Léopold li, Roi des Belges. — JoNGHE (B. de). Deux deniers lossaius frappés à Hasselt. — Alvin (Fred.). Denier noir inédit de Jean de Heinsberg, évéque de Liège {1409-14JS). — GiLLEMAN (Ch.) & Werveke (A. van). Numismatique gantoise. Les jetons scabinaux au XV IP et au XVI IP siècles [suite et fin]. — Bernays (Ed.) Monnaies ardennaises inédites. — Witte (A. de). 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Stroehlin. — Trouvaille [à Saint-Aubin]. — Bibliographie: Comptes-rendus et notes bibliographiqius. Bibliographie ntéthodique. — Société suisse de numisma- tique [XXX^ assemblée generale, tenue à Aarau le 11 septembre 1909J. Supplément à la Revue Suisse de Numismatique, t. XII et XIII, 1909. Médailles suisses nouvelles. Franl). Ancora del Pisanello. — In una sua terza nota Pisanus pictor, negli Atti dell' Istituto veneto di scienze e lettere (t. LXIX, disp. 2.'), il prof. G. Biadego colla scorta di nuovi documenti, dimostra che il Pisano non soltanto nel 1439 (come si è già ritenuto fin qui), ma già dal 1425 era ai ser- vigi del marchese di Mantova. (i) Interessante descrizione in Trivulsiana : Fondo Belgiojoso, cor- rispondenza d' Este-Savoja, cart. n. 57. 292 . VARIETÀ Un lavoro sui segni d'onore italiani. — Riceviamo e pubblichiamo. Il signor Hermann v. Heyden, Gran Ciam- bellano di S. A. R. il duca di Sassonia-RIeiningen, tenente colonnello a riposo, annunzia un suo lavoro, stampato a Wiesbaden {Alexandrasirasse , 20) intitolato Ehrenzeichen [Kriegsdenkzeichen, Kerdienst- Diensialterszeichen, Retiiings- medaillen) und Abzeichen in Konigreich Italien, etc. Tradotto in Italiano torna così : Segni d'onore [segni commemorativi di guerra, contrassegni di merito e di anzianità, medaglie per salvataggi) e distintivi del Regno d'Italia. L'opera com- prende anche gli ex Stati italiani: Sardegna, Lombardia, Ve- neto, Parma, Modena, Lucca, Toscana, Due Sicilie, Stato della Chiesa, nonché della Santa Sede e della Repubblica di San Marino. Vi sono aggiunte 16 tavole illustrate e il testo tedesco e italiano. Pel " Corpus „ dei Medaglioni Romani. — Il sotto- scritto trovandosi ormai al termine del suo lavoro sui " Me- daglioni Romani „ e, dovendone incominciare la stampa, ri- volge un ultimo appello ai Signori Conservatori di Musei e Raccoglitori privati, pregandoli di volergli segnalare quei pezzi che ultimamente fossero entrati nelle loro collezioni o che in qualunque modo non gli fossero stati finora comuni- cati, e ne anticipa i più sentiti ringraziamenti. dev.° Francesco Gnecchi Via Filodrammatici, io - Milano Finito di stampare il 25 giugno 1910. RoMANENGHi ANGELO FRANCESCO Gerente responsabile. FASCICOLO III. APPUNTI DI NUiMISMATICA ROMANA XCVI. DI VN BRONZO COLLE EFFIGI di FILIPPO FIGLIO e di TRAJANO DECIO RECENTEMENTE TROVATO A ROMA M'era stato annunciato da Roma il ritrovamento d'un Gran Bronzo portante le due teste di P'ilippo figlio e di Trajano Decio. Era storicamente possi- bile tale combinazione di teste, finora sconosciuta? Ecco il primo problema che si affacciava e che si poteva studiare e tentare di risolvere anche prima di vedere la moneta, perchè una soluzione negativa 296 FRANCESCO GNECCHI l'avrebbe senz'altro condannata. Se invece la solu- zione avesse dato un risultato di possibilità, sarebbe stata l'autenticità della moneta che avrebbe detta la parola definitiva. Ma il pochissimo che trovai anche nei migliori libri, almeno in quelli alla mia portata, circa la morte dei Filippi e l'avvento al trono di Trajano Decio, mi ispirò la felice idea di ricorrere a qualcheduno che più di me si fosse specializzato nella storia romana imperiale e coi vecchi autori e mi rivolsi al prof. At- tilio Profumo, che già conoscevo come persona al- trettanto gentile quanto colta ('\ È a lui quindi che devo l'erudizione che sfoggerò in questo appunto. Sono due le versioni intorno al nostro momento storico, che si riferisce alla seconda metà dell'anno 249. La prima, quella della morte di Filippo padre a Verona durante la battaglia di Verona e dell'ucci sione di Filippo figlio a Roma per opera dei Pre- toriani, dopo giunta la notizia della sconfitta e della morte del padre. La seconda, quella dell'uccisione dei due Filippi padre e figlio a Verona durante la battaglia. FONTI DELLA PRIMA VERSIONE Catalogo imperiale Vindobonense Imperia Càesarum (Cronografo del 354). Fra il 324 e il 336. " Duo Philippi... Occisus senior Veronae, " iunior Romae in castris praetoriis „. (1) E già ebbi occasione di parlarne a proposito del medio bronzo Neroniano dalla leggenda MAC. AVO., ove il Profumo (cf. il suo Le fonti e i tempi dell'incendio Neroniano, Roma, 1905) scorge rappresentata, e a me sembra giustamente, la celebre Dowus aurea di quell'imperatore (/?. /. di Num., XIX, 1906, pag. 256). DI UN BRONZO COLLE EFFIGI DI FILIPPO FIGLIO, ECC. 297 Aurelio Vittore * Caesares „ (28) (epitomato). Seconda metà del IV sec. anteriore a Teodosio. " His actis, filio Urbi relieto, ipse {il padre\ ■ quanquam debili per aetatem corpore, " adversum Decium profectus , Veronae " cadit, pulso amissoque exercitu. Queis ■ Romae compertis, apud castra praetoria ' filius interfidtur ». Aurelio Vittore * Epitome „ (28) (fonte principale, ma con altre fonti più antiche e più recenti). Idem. * ... Veronae ab exercitu interfectus est, * medio capite supra ordines dentìum prae- * ciso. Filius autem eius, Caius Julius Sa- " turninus, quem potentiae sociaverat, Ro- * mae occiditur, agens vitae annum duo- " decimum „. Eutropio " Breviarium ab Urbe condita „ (IX, 3). A. 364-378, Valente imperatore. " Ambo deinde ab exercitu interfecti sunt, " senior Philippus Veronae, Romae iunior ». Eusebio " Chronicon „ nella recen- sione di s. Girolamo. (Olymp. 258). 380. ■ Philippus senior Veronae, Romae iunior * occiditur ,. Orosio * Historiarum adversum Paganos „ (VII, 20). 417-418. * ... Philippus ... imperator creatus, Phi- * lippum filium suum consortem regni fe- " cit... Ambo tamen quamvis diversis locis, ■ tumultu militari et Decii fraude, inter- " fecti sunt .. 298 FRANCESCO GNECCHI Cassiodoro " Chronicon „ ricopia s. Girolamo. 519. FONTI DELLA SECONDA VERSIONE ZoziMO " 'IffTOpta? véa; „ (I, 22) (Ediz. Reitemeier-Heynius). 450-500. " Ubi concurrissent exercitus, altero no- " mine multitudinis {quel/o di Filippo), al- " tero ducis superiore {quel/o di Deció) ; " complures a Philippi partibus ceciderunt; " inter quos et ipse cum filio, queni Cae- " saris dignitate cohonestaverat , caesus « fuit „. Giorgio Cedreno (il quale però è di valore testimoniale minimo, e qui dipende principalmente da Zosimo). 1057- " Interfectus est Philippus una cum filio, " contra Decium prò Christianis propu- " gnans „. ZoNARA " Xpovixóv „ (XII, 19) Ediz. Corpus Hist. Byzant., 1868. 1 1 12. Decio costretto dalle legioni della Mesia a cingere la porpora imperiale, ne scrive a Filippo promettendogli : " Ubi Romam " venerit, positurum esse insigna imperii. " Quod Philippus non credens, bellum ei " intulit; commissoque praelio, in prima " acie dimicans, una cum filio Philippo * cecidit „. Per valore testimoniale (cronologico e critico) le fonti con la prima versione vincono quelle con la seconda; e la vittoria è salda grazie al Catalogo DI UN BRONZO COLLE EFFIGI DI FILIPPO FIGLIO, ECC. 299 Vindobonense del 354, ch'è scritto in Roma e che non dista dal fatto in esame, avvenuto nella seconda metà del 249, se non di circa ottant'anni. Ma altre due ragioni critiche vengono a rinfor- zare il valore della prima versione. Poiché Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica parla minutamente ed a lungo di Filippo padre come del primo imperatore romano che fu di sentire cri- stiano benché non abbia osato ricevere il battesimo (VI, 34), noi possiamo arguirne che la indicazione della morte dei due Filippi nella redazione Geroni- miana (380 circa) del Chronicon possa essere stata propria anche dell'originale testo di Eusebio. Ora Eu- sebio (265-340) lo ha scritto non molto dopo il 325 a cui si arresta. L'altra è che la seconda versione non deve aver presa radice da testi di molto più antichi di quelli che l'apportano, di Zosimo; probabilmente da testi epitomati che hanno dovuto aver corso special- mente in Oriente. Infatti, ad es., la redazione armena del Chronicon di Eusebio ha: Philippus ciim filio in- terficitur; ed il Catalogo imperiale Vaticano, dell'anno 700 circa a giudizio del suo editore Roncalli (1787), non ha che : Philippus regnavit annos V interfectus est ab exercitu, Verottae. La versione che deve con tutta sicurezza critica essere accolta come vera è la prima, quella della morte di Filippo padre nella battaglia di Verona e della morte - di ben poco posteriore - del figlio in Roma per opera dei Pretoriani e proprio nei loro Castr'a dell'Esquilino (ove è ora la chiesa di Santa Croce in Gerusalemme e l'attiguo anfiteatro Castrense). Vi fu dunque tra la morte del padre e quella del figho un breve intervallo. Di quanto ? Non si hanno dati per determinarlo. Il figlio Filippo, o all'approsimarsi della cam- 300 FRANCESCO GNECCHI pagna finale, od al giungere della notizia della morte del padre, ha cercato rifugio ed appoggio (aveva dodici o tredici anni) rinchiudendosi nei Castra Praetoria. Non vi è dunque nessuna impossibilità storica contro il fatto che da qualcuno (o Senato, o Prefetto del Pretorio, o Prefetto Urbano, od altra autorità reggente in realtà il governo), appena giunta noti- zia della morte del padre Filippo, si sia tentato un passo per salvare il trono al figlio: coll'acclamare a Decio seniore come ad Augusto e collega del (vi- vente) Augusto Filippo juniore ; riconoscimento di Decio quale Augusto , a cui sarebbe stata data forma legale e pubblica per l'appunto col battere subito moneta. E tale riconoscimento nella Urbe, molto proba- bilmente ignoto a Decio stesso, avrà potuto fornire il pretesto all'ammutinamento dei Pretoriani, sia per la tema di passare come nemici del novello impera- tore, sia per la speranza di maggiori donativi impe- riali ; e così i partigiani troppo zelanti del figlio Filippo sarebbero stati la causa del precipitare la sua morte. Concludendo adunque : la probabilità d'una conia- zione normale - cioè col gradimento di Decio - d'una moneta ai due Augusti Decio seniore e Filippo ju- niore, non sembra ammissibile. La probabilità invece d'una coniazione eccezionale (e quindi giunto a noi un unicum) - tentata da qualche autorità per salvare Fi- lippo juniore- sembra non solo ammissibile, ma grande (anche per ragioni d'ambiente politico che qui non è dato sviluppare). Fin qui non ho fatto che seguire e riprodurre quasi letteralmente quanto il prof. Profumo ebbe la bontà di scrivermi, assumendosi lui stesso l'incarico di fare l'articolo in vece mia, del che mi è grato rendergli pubbliche grazie. DI UN BRONZO COLLE EFFIGI DI FILIPPO FIGLIO, ECC. 30I Ma egli termina la sua epistola con queste as- sennate parole : « L'impossibilità storica per una siffatta conia- u zione d'eccezione non si ha. Ne consegue che è « la moneta che dovrà stabilire che tale coniazione « d'eccezione ha avuto luogo in realtà. E dunque u al di lei valore numismatico, egregio commenda- « tore, che è affidata la risoluzione del problema. u La moneta è autentica in modo sicuro? è in- u dubbia ? Se tale sicurezza salda non si può avere, « la sola probabilità, per quanto grande la si voglia, u è insufficiente per un particolare così nuovo e u così irhportante ». Ora la moneta è giunta finalmente da Roma ed è entrata a far parte della mia collezione. A giu- dizio non di me solo, ma di quanti T hanno veduta, la sua autenticità è assolutamente indiscutibile. Non è bella, non si presenta bene, ma nessuno ha tro- vato possibile il menomo dubbio. Ira moneta poi non è solamente autentica; ma ha un altro partico- lare che aggiunge ancora qualche peso alla verità delle supposizioni fatte, alla eccezionalità e quindi alla estrema scarsezza della coniazione. Non è una moneta coniata, come le molte altre simili, originariamente a due teste, bensì una moneta riconiata. È un bronzo di Filippo juniore, sul cui rovescio venne ristampato un conio colla testa del nuovo imperatore Decio. Ciò è assai facilmente riconoscibile, sia dalla depres- sione della testa di Filippo, pel colpo ricevuto dalla nuova coniazione, sia per gli avanzi del primitivo rovescio che ancora appaiono abbastanza visibili at- traverso la testa di Decio, sia infine per la leggenda di quest'ultimo non completamente riescita sull'antica. Il fatto della riconiazione accenna per se stesso ad 39 302 FRANCESCO GNECCHI una coniazione frettolosa e indica come questa sia stata non solo eccezionale, ma quasi clandestina (poi- ché ristretta alla sola città di Roma) e quindi estre- mamente limitata. La moneta ha quindi un deciso valore storico e agli storici l'abbandono perchè potrà forse fornire qualche lume a un periodo assai poco noto. Quarto al Mare, luglio ipio. Francesco Gnecchi. LA MONETAZIONE DEGL'ITALICI durante la Guerra Sociale nel suo valore storico e nel carattere simbolico SOMMARIO. — L'imitazione del denaro romano e lo scopo ch'ebbe presso gl'Italici. — La " Sponsio Caudina , sui denaro di Ti. Veturio e la solennità del giuramento affermata dagl'insorti sulle monete. — La Fides e le sue personificazioni. — Il nome Italia allude alla confederazione e non alla capitale Corfinio. — Le monete con la pretesa ambasciata degl'Italici a Mitridate. — Valore simbolico di esse ed assenza d'ojjni carattere storico. — Probabile esistenza dell'archetipo da cui furono imitate. — Caratteristiche differenziali fra i tipi originali e quelli derivati. — If genio armato dell'Italia. — La personificazione del re Italo, l'eroe mitico e l'eponimo della stirpe italica. I tipi monetarii della confederazione italica du- rante il periodo della Guerra Sociale sono abba- stanza conosciuti e costituiscono, nella maggior parte, tante imitazioni del denaro romano C^* Le rappre- sentanze di questa specie di monetazione-protesta (unica eccezione al divieto imposto dai romani , di coniare in metallo nobile) furono scelte fra quelle della serie repubblicana che meglio si prestavano ad esprimere le intenzioni dei confederati, le loro ([) Una bibliografìa sulle monete dei sucii italici durante la Guerra Sociale, è data dal Drexler (in Lexicon del Roscher, s. v.» " Italia ,). Oltre agli studi pili recenti di A. Sambon {Les tnonn. antiques de l'Italie, 1904, I, 2. pag. 105 e seg.; pag. 125 e seg.), può vedersi l'erudito lavoro della prof.» L. Cesano (Z.* monete degl'Italici durante la Guerra Sociale, in Bullett. della Comni. Archeol. Cont. di Rotna, 1908, fase. III, pp. 2B27-239). 304 GIOVANNI PANSA aspirazioni e l'importanza dei successi ottenuti ^'\ Ma più che circostanze di carattere storico, determinato, prevale in essa l'idea di esprimere, per via di simboli, alcuni speciali sentimenti da cui gl'insorti erano ani- mati nella loro lotta suprema contro Roma: il sen- timento della fratellanza, quello della fedeltà e del- l' osservanza religiosa del giuramento , del culto verso il genio tutelare della patria e via dicendo. Lo spirito di queste imitazioni, come verrò a dimo- strare, consiste sopratutto nell'avere applicato ai tipi imitati una significanza tutta diversa da quella che primitivamente essi avevano, nell'aver fatto uso di un concetto, d'una rappresentanza storica, di un simbolo qualunque consacrato dal nemico sulle mo- nete per sfruttarlo a vantaggio proprio, modifican- done il significato o la sostanza. Così e non altri- menti può spiegarsi quella specie d'imitazione ser- vile praticata dagl'insorti italici, la quale altro scopo non avrebbe dovuto avere che quello della irrisione e del disprezzo contro l'avversario, le cui virtù eroiche, simboleggiate sulle monete, gl'Italici intesero riven- dicare a se stessi, adattando il contenuto simbolico delle monete stesse ai convincimenti proprii. Quello scopo tuttavia non dovette essere disgiunto dall'altro di volersi rendere propizie le divinità da cui quelle virtù dipendevano; e sotto questo aspetto non andò lungi dal vero l'Avellino, quando immaginò che lo spirito di quelle imitazioni fu di dimostrare che la protezione delle divinità di Roma, effigiate sulle mo- nete, era passata agl'Italici H Questa supposizione (i) Sulle varie congetture intorno allo scopo di quelle imitazioni, ved. Cesano in op. cit., pag. 239. (2) Avellino F. M. Opuscoli diversi. Napoli, 1833, II, 18. La conget- tura dell'Avellino fu riconosciuta esatta anche dal Cavedoni e da altri (Cavedonl Ragguaglio dei precipui ripostigli, ecc., pag. 185. Carelli, Ital. vet. numisiii. iab. CCl, pag. 115. — Bullett. Archeol. Napolct., a. VI, pag. 75. Bullett. Arch., 1850, pag. 201). LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 305 ha il SUO fondamento nell'antico costume, secondo il quale nelle guerre s' invocavano le principali divinità del nemico per deciderle, con promesse e voti, ad abbandonare il popolo che proteggevano >, in cui la deessa, sotto apparenze femminili, è cinta di lauro e pre- senta carattere molto affine a quello dei denari italici. A Roma la Fides era una delle divinità più sacre e rispettate ^2). ed era d'interesse particolare per le nazioni e città che stavano in relazione con i Romani, non solo per la sua natura intrinseca, ma sopratutto per necessità politica. Il suo tempio, sotto la Repubblica, era situato sul Campidoglio, in prossimità di quello di Giove ; ed era il locale dove i trattati federali si tenevano pubblicamente esposti. Un testo di Valerio Massimo descrive T imma- gine della Fides nell'atto di protendere il braccio destro, quasi in segno di protezione <3). Questo gesto è certamente convenzionale e po- trebbe essere stato costituito dal vecchio, motivo greco delle monete del III sec, coniate in Aetolia ed a Locri, con la Fides (^lCT^) avente il braccio proteso nell'atto d'incoronare Roma (4>, Le quali mo- nete furono imitate dai Romani, come può vedersi sui denari di C. Poblicio Malleolo e M. Nonio Su- fenas, e poi dagl'Italici per riflesso di questi ultimi (s). (i) Babelon, Descript., II, * Licinia „, 23, 24. (2) Serv. ad Aen. XI, 134 : « Apud maiores magna erat cura Fidei » con l'aneddoto che segue. (3) Val. Max., VI, 6, i. — Cfr. Saguo-Darkmberg, Dictionn. d. antiq. grecq. et rom., s. v.o " Fides ». — Intorno alle rappresentazioni della Fides, ved. Graefe H., De Concordine et Fidei imaginibus. Saint-Péter- sbourg, 1858. (4) P00LE, Brit. Mus. Cat. (Italy), pag. 365. — Percy-Gardner, Ivi ( Thessaly to Aetolia), pag. 194 e pi, XXX, 3. — Garrucci. Monete, ecc., II, tav. CXII, 31, 32, — M1LLINGEN, Cons , pag. 69. — Cfr. Preller, Ròm. Myt., pag. 225. — Haeberlin, Der Roma iypus (in Corolla Numis., pi. VI, n. 9). (5) Babelon, Descript., Il, Poblicia, 2, 3, 4, 5 ; Nonia, i. — Bompois, Types monét., pi. I, fig. 7. — Friedlander, Oskische Munzen, tav. X, 14, 15, 16, — Garrucci, Monete, tav. XCI, io, 11, 12, 13, 14. — Carelli, Ital. vet. num., tab. CCI, pag. 115. 3l6 GIOVANNI PANSA Nelle imitazioni, tuttavia, il tipo della Fides sembra cedere a quello della Vittoria (^'. Ma il gesto carat- teristico di protendere il braccio e d'incoronare, fu mantenuto lungamente anche sotto l'Impero. Una moneta di Settimio Severo rappresenta l'Imperatore in atto di sacrificare a Giove, coronato da una donna in piedi che gli è situata accanto. Non si potrebbe avere ragione della leggenda Fìdei militum di questa moneta, senza riconoscere ch'è appunto la Fides la donna in piedi nel suo antichissimo gesto conven- zionale (2). Il concetto della fedeltà e dell'importanza re- ligiosa del giuramento a me sembra che venisse affermato dagl' Italici anche sopra gli altri tipi imitati in cui si vedono i Dioscuri (ved. tav. VI, n. 23 a 26), tratti dagli originali di C. Servilius m. f. e di L. Ju- lius Caesar (3». I Dioscuri sono divinità guerriere, protettrici delle armate, invocate specialmente nei casi di pericolo (4>; ma per il loro attaccamento fra- ternale, erano i naturali simboli della fedeltà <^5). Come numi preposti al commercio, agli scambi, al corso delle monete, rappresentavano la buona fede ed il ri- spetto al giuramento, il quale appunto si faceva sotto le formole Edepol e Mecastor, invocandoli personal- mente (^). Per concludere sul carattere dei tipi d'imitazione finora esaminati, si osserva in essi ribadito sempre (1) Secondo Pisone (ap. Macrob., Saturn., Ili, 2) alla Vittoria si applicava il nome di Vitula (Mommsen-Blacas, op. cit., II, pag. 423, nota i). (2) Cfr. in Saglio-Daremberg, Dictionn. cit., s. v.° cit. (3) Babelon, Descrip., Il, Servilia, i e Julia. (4) DioD. Sic, Vili, 32, 56. — Apollon. Rhod, Argonaut., IV, 284, (5) Plutarch., De fratr. am.y 11. (6) AuL. Gf.ll., vi, 6. — Si scriveva Edepol, quasi deus Pollux; op- pure Aedepol, quasi per aedem Pollncis, secondo altri. Ved. Albert Maurice, Le cuUe de Castor et de Pollux en Italie, chap. VI, 28. LA MONETAZIONE DEGl' ITALICI 317 ristesso concetto: quello della fedeltà e dell'impor- tanza religiosa del giuramento. Ho affermato più sopra che la moneta coi due personaggi nell'atto di stringersi la destra non ri- flette alcuno degli episodi della Guerra Sociale, come da tutti si è creduto, ma è un tipo derivato da un archetipo forse perduto. È nota la scena rappresentata sul rovescio di quella moneta e sono pure noti i pareri espressi al riguardo. Il Borghesi, seguendo la spiegazione proposta dall' Eckhel e dal Visconti, crede ravvisarvi il famoso abboccamento di Siila con Mitridate, in cui fu con- chiusa la pace tra loro ; e quindi rimanda la moneta all'anno 669 o al seguente <^'. La esclude, per con- seguenza, dal novero delle monete della zecca degli Italici. Il Cavedoni propone, invece, di riscontrarvi lo sbarco di Mario dall'Africa; ed a lui si associa il Lenormant, mentre il Friedlander, il Mommsen ed il Garrucci pensano che si tratti del colloquio tenuto da Mitridate con uno degl'Italici, ossia della famosa ambasciata che questi gli mandarono per sollecitarne l'aiuto (2). 11 Borghesi però aveva in precedenza esclusa la scena di quel colloquio sulle monete, allegando come il passo di Diodoro, che si cita in proposito, parla bensì dell'ambasciata, ma soggiunge che essa (i) Borghesi, Ouvres complètes, I, 374 e seg., II, 273. — Bulleit. del- l' Istit. Archeol., 185 1, pag. 61-63. (2) Caa-edoni (in BulUtt. dell' Istit. Archeol., 1843, pag. 144). — Le- NORMANT Fr., La mormaie, etc , II, pag. 296 e seg. — Frikolantìer, Oskische tnumen, pag. 83. — Mommsen-Blacas, Hist de la monti., II, 422, lett. g. — Garrucci, Le monete, ecc., II, pag. 104, 106. 4« 3l8 GIOVANNI PANSA non ebbe per risultato che promesse vane e senza costrutto; per cui sarebbe strano che se ne fosse me- nato vanto sulle monete. Il Garrucci tuttavia si affretta a spiegare che pure non avendo avuto alcun risultato quel colloquio, è in- dubitato che i legati degl'Italici riportarono promesse dal re; e fino a che durò la speranza che fossero mantenute, essi potettero benissimo aver fatto stam- pare le monete in memoria dell'avvenimento, sopra- tutto per rialzare il morale dell'esercito. A questo ragionamento dei dotto gesuita non vi sarebbe altro da opporre. Lo strano però si è che volendo egli offrire del suo convincimento una prova sicura, ricavandola dalla stessa composi- zione del soggetto, crede di affermare, sopra l'esame degli esemplari vaticani, che la figura di destra, prossima alla nave, è proprio quella di Mitridate, perchè ha il capo cinto delle anassiridi <^). Nella per- sona di fronte poi ravvisa una figura muliebre, con corona o diadema sul capo; e soggiunge trattarsi dell'Italia in atto di colloquio col re del Ponto. Quanto sia fantastico questo esame del Garrucci, può vedersi dalle fig. 31 e 32 della tav. VI, ricavate da esemplari conservatissimi dei Gabinetti di Berlino e di Parigi. Ognuno, osservandole, si convincerà che il capo del personaggio di destra è nudo e, a quanto sembra, con capelli ricciuti. Forse i riccioli furono scambiati con le anassiridi dal Garrucci. Così pure no- terà come la figura di destra non è muliebre, non ha corona o diadema sul capo e, molto meno, il petto così turgido da far sospettare l'esistenza di quelle che al Garrucci parvero mammelle femminili. Trattasi evi- dentemente di due guerrieri romani vestiti di tunica (i) Il Friedlànder (op. cit., pi. X, 13) ed il M.mimseii (op. cit., loc. cit.) vi scorgono, invece, un diadema. LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 319 e di sago ; di essi il primo reca a traverso l'asta con la mano sinistra e stende la destra al compagno di fronte, la cui sinistra è poggiata sul parazonio. il Babelon <'> rileva da tutta questa scena lo sbarco di Mario ritornante dall'Africa; e stima che il tipo adottato allora dagli Italici in onore di Mario, fu sei anni dopo ripetuto da Siila per celebrare il suo sbarco a Brindisi, nell'anno 83 a. C. Tutto l'equivoco prodottosi intorno a questa singolare moneta proviene dalla controversa esistenza del denaro sillano pubblicato per la prima volta dall'Orsino <2). Si presume che questi abbia scambiati i segni numerali posti all'esergo del denaro italico, con l'epigrafe SVLLA IMP. Non è il caso di ripetere quanto scrissero in proposito il Friedlander, il Mommsen, il Bompois, il Garrucci e da ultimo il Dressel e il Bahrfeldt per rifiutare quella moneta inscritta col nome di Siila e restituirla agli Italici con tutti gli esemplari anepi- grafi che se ne conoscono ^*. Che tali esemplari appartengano agl'Italici, sem- bra fuori di dubbio; ma che essi costituiscano, come si vuole, un tipo originale e non derivato da un arche- tipo romano, ritengo non potersi assolutamente am- mettere. Con questo io non intendo affermare la reale esistenza del nummo pubblicato dall'Orsini ; ma nem- meno escluderla. (i) Descript., I, 407. — Id., Mélanges, t. I, pag. 195 (Extr. de la Rev. des Ètud. grecq.j t. II, 1899). (2) Famil. rom., pag. 72. — Moreix. Thesaurus, II " Cornelia , tab. V, 2. — Babelon, Descript., I, " Cornelia ,. (3) Friedlander, op. cit., pag. 83 e seg. — Mommsen-Blacas, Hisl. cit, loc. cit. — Bompois, op. cit., pag. 105-107. — Garrucci, Monete, ecc^ pag. 104 e seg. — Dressel {Zeitschrift fùr Num., XIV, 1887, pag. 172). — Bahrfeldt M., Nachtràge utid Berichting. sur ihCiittekittide der rótti. Repub., etc. Wien, 1897, I| pag- 93- 320 GIOVANNI PANSA Due ordini di considerazioni mi sembrano qui necessari, ed andrò in prosieguo a svilupparli : i.° — Le rappresentanze non sono insolite, come si è detto, nelle serie repubblicana ; per cui, volendo anche escludere l'esistenza del denaro at- tribuito a L. Cornelio Siila, bisognerebbe pensare ad un archetipo diverso e più antico. 2.° — Le rappresentanze stesse sono tutte romane é non costituiscono affatto un episodio della Guerra Sociale. Esse furono copiate dagl' Italici, come quelle delle altre monete di cui si è parlato più sopra, per il simbolo che contenevano della dexterarum junctto, cioè della fratellanza, della fedeltà e della concordia, sentimenti carezzati dagl'Italici stessi, come si è dimostrato. Innanzi tutto è da premettere che ne ragioni di opportunità, ne di cronologia ci vietano di credere alla reale esistenza del denaro pubblicato dall'Orsino. Se i tipi anepigrafi, che tutti conosciamo, si dovessero attribuire a L. Cornelio Siila, come dapprima si era fatto, incorreremmo nell'equivoco lamentato ; ma essi appartengono agl'Italici e non sarebbero che imita- zioni. Bene hanno fatto il Friedlàndler, il Mommsen, il Garrucci, il Dressel ed il Bahrfeldt a restituire agli ItaHci quelle monete ; ma male, secondo me, a di- sconoscerne l'archetipo nel denaro sillano a cui pre- starono fede il Borghesi, il Cavedoni, il Lenormant e da ultimo il Babelon, secondo il quale « il n'y a aucune bonne raison de douter ». Il dubbio si è fatto strada soltanto perchè si è voluto attribuire a L. Siila l'iniziativa d'avere imitato il denaro degl'Italici che si pretende coniato molti anni innanzi, come si è detto, per celebrare lo sbarco di Mario dall'Africa; e quando si è riflettuto alla conseguente assurdità derivatane, che cioè Siila avrebbe copiato in ogni LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 32I SUO particolare un denaro degl'insorti prima ancora della completa pacificazione dell'Italia. Si comprende bene che ciò non avrebbe mai potuto aver luogo. Ma la questione deve invertirsi. Non è già Siila che avrebbe imitato; bensì, gl'Ita- lici. Se lo sbarco di Siila a Brindisi, di ritorno dal- l'Oriente, avvenne nel 671 (83 a. C), e se a questa epoca si ascrive il denaro controverso, ben potevano gl'insorti averlo copiato subito dopo. Infatti la mo- netazione di costoro da tutti è ammesso che abbia potuto durare, sebbene stentatamente, fino all'anno 82, cioè fino alla sconfitta definitiva data a Ponzio Tele- sino da Siila presso porta Collina. All'anno 82 a. C. non si ha difficoltà di ascrivere l'imitazione dell'altro denaro itaUco, anepigrafo (ved. fig. 29 e 3o\ con la biga, il quale avrebbe avuto per prototipo i denari di C. Licinius e. f. ('). Entriamo ora in merito delle due considerazioni premesse. La rappresentanza del denaro controverso non è insolita nella serie romana, repubblicana. Si co- nosce un altro tipo analogo ; ed è un aureo della gente Minatia, coniato nella seconda guerra di Spagna (709, a. C. 45-46), rappresentante Gneo Pompeo fi- glio nell'atto di sbarcare e di stringere la mano al genio della Betica, il quale mantiene pure l'asta di traverso, come nel denaro sillano (2): (i) Babelon, Dtscript., II, Licinia, i6. — Sambon A., Les monnaies antiq. de F Italie, 1904, I, n. 241. — Merimé, Médailles italioies de la guerre sociale {Rev. Num., 1845, pag. 77). (2) Babelon, Descript.^ II, Pompeia, io. — Bahrfeldt. Nachtrdge, etc, 322 GIOVANNI PANSA Tranne lievi differenze di particolari, il contenuto di questa moneta è perfettamente analogo a quello di cui ci occupiamo. Il motivo, se così può chiamarsi, vie riprodotto esattamente; ed è motivo tutto ro- mano, come l'altro della Poblicia.('), in cui per dino- tare lo sbarco, si osserva, in luogo di porzione della nave, la sola prora su cui è poggiato il piede di Pompeo. Questo secondo motivo, con la semplice prora, diventò più comune nella numismatica repub- blicana ed anche imperiale perchè meno complicato del primo con la presenza della nave. Non si può dire, per evidente ragione di tempo, che questo tipo della Minatia sia stato l'archetipo del denaro italico e nemmeno fare il caso inverso. Ma allora perchè il motivo si ripercuote dall'una all'altra delle due monete senza potersi ammettere la reci- proca imitazione fra esse? Per la semplice ragione che dovette esistere l'archetipo comune, che nessuno vieta credere sia stato appunto il denaro di L. Siila. Se il denaro degl'insorti fosse stato una creazione particolare e non un tipo imitato, noi avremmo do- vuto riscontrare nei personaggi della scena il co- stume sannitico, come sulle altre monete originali degl'Italici, e non il romano, che invece vi si osserva. Sembrerà questa una considerazione troppo sottile, trattandosi di ravvisare particolari assai minuti che potrebbero essere sfuggiti alla riflessione dei mone- tieri. Ma nel fatto non è. La monetazione degl'Ita- lici, sebbene di stile energico, alcune volte rozzo e senza grazia, altrettanto è precisa in quei particolari che le conferiscono carattere proprio ed originale. I, pag. 212 e seg., e taf. X, n. 226. — Com'ebbe a riconoscere I'Eckhel (D. N. V., V, pag. 282), Io stile di questa moneta è spagnuolo. Cfr. Cavf.doni, Saggio, pag. 113. — Mommsen-Blacas, Hist , cit., Il, pag. 536 e seguenti. (i) Babelon, Ivi, n. 9. — Bahrfeldt, Ivi, loc. cit. e taf. X, n. 225. LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 323 Per convincerci, prendiamo ad esaminare la differenza che passa fra le figure di un tipo imitato e quelle di un tipo non imitato. Uno dei pili comuni, certamente non imitato, è quello del guerriero stante in piedi, con elmo cre- stato sul capo e paludamento sulle spalle, il quale raccoglie davanti a se con la sinistra decorata di duplice armilla. Egli sostiene il gladio nella vagina ed appoggia la destra ad un'asta con la punta in giù. mentre calca col piede sinistro un oggetto del quale si distinguono due prominenze globose. Dal lato de- stro è il toro accosciato (ved. tav. V, n. 12 a 15). Questo denaro è uno dei pochi che ha i tipi caratteristici della lega e non è d'imitazione. Nel toro giacente quasi tutti riconoscono il toro del ver sacrum sannita, mentre sul guerriero armato le opi- nioni, come vedremo, sono discordi. Ad ogni modo tutti convengono, qualunque sia la personificazione di esso, che trattasi d'un guerriero in costume sanni- tico. Uno dei segni caratteristici di tal costume sa- rebbero le armille o i braccialetti {torques brachiales) costituiti da una lunga elica di bronzo, piatta o ci- lindrica, che i guerrieri sanniti portavano infilati nel- l'osso dell'omero e che vediamo riprodotti sulla nostra moneta. L'uso di questi braccialetti era comunissimo nel Piceno e nell'Italia meridionale, com'è dato scor- gere dagli avanzi che si trovano infilati ai bracci dei guerrieri nelle tombe aufidenati e altrove *'\ Più originale ancora era la forma delle corazze presso i Sanniti, costituite da tanti dischi o phalerae raccomandati fra loro e alla cintura per mezzo di cinghie <2). Queste corazze che erano una vera spe- #(i) Mariani L., Aufidena. Ricerche archenl. e stor. nel Sannto set- tentr. (Estr. d. Monum. ant. pubbl. per la R. Accad. dei Lincei, voi. X, 1901, pag. 94). (2) Petersen, Roemische Miiheil., 1896, pag. 265. — Mariani cit., pag. 141 e seg., 150 e 182. 324 GIOVANNI PANSA cialità dei guerrieri appartenenti alla regione sanni- tico-sabino-picena ('), parmi di ravvisare anche sui personaggi delle nostre monete (v. tav. V, n. sop. cit.), e sono rappresentate da quei molteplici punti o dischetti che facilmente saranno stati scambiati con le mammelle o le pieghe muscolari del torace. Anche il Friedlander ed il Mommsen hanno riscon- trata la corazza nei personaggi delle monete in questione e specialmente sulla moneta riportata alla tav. V, n. 16, dove si scorge il guerriero accanto al trofeo a cui sono sospesi diversi clipei ^^). È evidente, dunque, che la figura di queste mo- nete è un guerriero in costume sannitico, il quale non ha niente di comune coi guerrieri delle altre monete imitate, come quelle della « sponsio Cau- dina » e della pretesa ambasciata a Mitridate, i quali sono prettamente in costume romano ^3), vestiti cioè di semplice tunica e cinti del parazonio, oppure col sago sopra le spalle. 11 Cavedoni bene li chiamò Imperatores sago indutos. (i) Per la forma delle corazze sannitiche a dischi o phnlerae, ved. la statuetta di bronzo esist. al Louvre (Longpérier, Bronzes nntiq., n, 93). — Un'altra corazza a dischi, proveniente dalle Puglie, trovasi nel museo di Karisruhe (Schumacher, Bronz v. Karlsruhe, tav. Xlll, 14. pag. 138, 713). — Cfr. inoltre Walters, Bronz. Brit. Mus., pag. 350, 2845 (Ruvo). — Rappresentazioni di corazze sannitiche a dischi sui vasi dipinti del- l' Ital. Merid., ved. ap. Fiorelli, Vasi rinvenuti a Cuma, tav. XII. (2) Friedlander, Oskische Miimen, tav. XI, n. 5, — Mommsen-Blacas, Htst., cit., II, pag. 422., B. lett. f. (3) Nell'asta o insegna militare piantata a terra accanto al perso- naggio genuflesso che sostiene la scrofa nelle monete con la " sponsio „ si è creduto ravvisare qualche segno che contradistinguerebbe il tipo originale sannitico di quelle monete L'Avellino {Ital. vet. numism., etc, Ad. voi. I, suppl. pag. 4) nota sul vertice di essa " quid incertum orbiculari figura impositum „; in qualche altro esemplare " ad hastani teniam ailigatur, quasi vento agitata,,; e conchiude: " Hoc signorum genere peculiari usi ergo videnlur Samnhes, diversis aliquanto, uti et inox videbimus, Romani ». Il Mérimé {Revt4e Numism. cit., t. X, pag. 93, 103) vi scorge invece un toro di prospetto nell'atto di lanciarsi. LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 325 Un'altra particolarità che, di fronte a tutto il resto della scena del preteso colloquio, non mi sem- bra trascurabile, è la forma della nave da cui sbarca il guerriero di destra. Della nave si osserva soltanto la parte anteriore, col rostro di forma arrotondata e non a becco allungato come quello delle navi greche. Se si fosse trattato di Mitridate, non si sarebbe ripro- dotta la nave romana a becco rotondo, ma quella greca a becco allungato o sporgente. Da tutte le circostanze esaminate si rende evi- dente la differenza che passa fra i tipi originali della monetazione italica e quelli derivati o copiati. A questi ultimi deve ascriversi, senza dubbio, il denaro con la pretesa scena del colloquio, il quale non ri- flette alcuno degli episodii della Guerra Sociale, come finora si è supposto. L'archetipo di questa moneta, ripeto, è certamente romano e gl'Italici se ne avvalsero soltanto per il suo contenuto simbo- lico, il congiungimento delle destre, al quale, come si è già detto, attribuivano molta importanza per il carattere e lo scopo della loro impresa. Nel tipo più comune ricordato sopra, cioè del guerriero posto in atteggiamento di vigile riposo, accanto al toro ('), l'Eckhel, il Cavedoni, il Merimé, (1) Il Fiorelli (Calai, del Mus. Nasion. di Napoli. Monete greche, I, parte prima. Napoli, 1870, pag. 17, n. 712) afferma che il guerriero di alcune di queste monete, ov'è raffigurato il trofeo con i clipei sospesi (ved. tav. V, fig. 16, 17), mantiene legato con le funi il toro giacente. Anche l'Olivieri (Dissert. Corion., t. II, pag. 66) aveva ravvisato su qual- che esemplare " taurum catena iiligatum ,, spiegando che con ciò si volle rappresentare qualche colonia latina soggiogata dai Sanniti. L'os- servazione esatta dei tipi esclude tutti questi particolari. 326 GIOVANNI PANSA il Garrucci e A. Sambon <•) hanno ravvisato un ri- cordo della prima immigrazione sabellica nel Sannio, sotto la guida del toro. L'Eckhel chiamò Marte ita- lico il guerriero ^^\ mentre il Merimé, il Sambon ed altri lo considerarono quale duce o rappresentante della gioventù sabella, nell'atto che guida, sotto la picca di Marte, i nuovi coloni alla conquista delle terre. Il Cavedoni in quella figura vede piuttosto la personi- ficazione di Comio Castronio, il conduttore della pri- mitiva gioventù sabina (3). Il Millingen (4) e, dietro le sue traccia, il Muller(5) riscontrarono nell'ignoto guer- riero la personificazione dell'Italia; forse meglio, se- condo il Friedlander ^^\ il genio armato dell'Italia. L' etnico della stirpe sannita è scritto in carat- teri oschi {Safinim) e vuol essere il genitivo plurale Samnitum (ved. tav. V, n. 15). Non è il caso d'indagare quale degli scrittori citati abbia dato nel segno, trovandoci nel campo astratto delle congetture. Quello che v'ha di posi- tivo e conferisce una certa significanza a queste mo- nete, è la presenza del toro, quello stesso animale che, come emblema della gente itahca, troviamo (1) EcKHEL (D. N. V, t. I, 106). — Cavedoni (ad Carell. Num, Hai. vet., 202, 27, pag. 117). — Merimé, Médailles italioies de la guerre sociale {Rev. Numism., 1845, pag. loi). — Garrucci, Le monete, ecc., II, pag. 103. — Sambon A., Les monnaies, etc, I, 2, pag. 106. (2) Intorno al Marte del ver sacrum dei Sabini, Piceni, Sanniti ed altri popoli della confederazione italica, cfr. Strab., V, 4, 2. — Plin., Hist. nat., Ili, Ilo. — Fest. Epit., pag. 212. Per il Piceno e la Sabina, ved. le iscriz. in C. I. L. IX, 4108, 4502, 5060. (3) Cavedoni, in Bullett. Archeol. Napolit., V, pag. 6-7. Anche il no- stro Carmelo Mancini, in una breve digressione sulla prima curia della Guerra Sociale, nel descrivere l'archigete degli Oschi divinizzato, pre- senta il toro dei denari italici accosciato ai piedi di Comio Castromio (7/ linguaggio simbolico della regina delle epigrafi osche, in Alti della Societ. Real. di Archeol. di Napoli, 1899). (4) Recueil de quelques médailles grecques, etc, pag. 28-31, n. 2. (5) Handb. d. Arch. d. K*, pag. 662, 403. (6) Op. cit., pag. 72. LA MONETAZIONE PEGL ITALICI 327 pure raffigurato neiratto di abbattere con le corna la lupa romana (ved. tav. VI, n. 27 e 28). Il nome Viteliti, corrispondente ad Italia, è stato, infatti, usato dalle stirpi enotriche per indicare se stesse e la creduta discendenza da quell'animale Ellanico as- seriva che il nome d'Italia non era d'origine greca, ma derivava dalla parola ausonia « vitulos ». che in- dicava il vitello; e Gellio soggiunge: « Boves graeca vetere lingua 'UoCkni vocitati sunt » <' . Queste derivazioni riflettono il così detto feno- meno del totemismo, per cui un popolo trae le sue origini dall'animale preferito che ne determina anche il nome <2). Secondo l'opinione più diffusa, il nome u Italia » derivò dal mezzogiorno della penisola, lungo Te coste bagnate dal Jonio. Esso indicava il popolo indigeno dei Vituli o Vitelli, di quelle genti, cioè, che pervenute dal ver sacrum, riconoscevano il loro totem nel toro *3). Senza attribuire al personaggio delle nostre mo- nete una significanza troppo ristretta ed unilaterale. (i) Pais e., Sior. della Sicilia e della Magna Grecia. Torino, Clausen, 1894, pag. 35 e seg. (2) NissEN, lialische Landeskunde, I, pag. 62. — Pajs, op. cit, pag. 37, not. 2. Dalla presenza del toro sulle monete dei confederati italici il Romanelli fu tratto a derivare l'origine e il nome di Vitulano, l'attuale paese situato alle falde del monte Taburno. Egli scrive che dopo Cor- finio, la città capitale della confederazione italica fu stabilita dov'è ora Vitulano; e quivi si salvarono gl'Italici dopo il primo insuccesso (cfr. Vak- Nuca, l^/or. d'ital., I, 56. — Corcia, Storia delle Due Sicilie, I, 351). (3) Pais, Ivi., pag. 416. In un esemplare della collezione Blacas, col tipo del toro in atto di sopraffare la lupa, si legge Vitelliu, con gemi- nazione della /, in cambio di VUeliu. (Mommsen-Blacas, Hist.^ cit., ^I> psg- 53I1 not. 2). — Lo stesso in altro esemplare della collez. San- tangelo del Museo Naz. di Napoli (Fiorelli, Cai. Mus. Naz. di Napoli. Collez. Santatig, Ivi, 1866, pag. 8, n. 509). — Altra variante è VITELIVD (MioNNET, Descript., t. I, pag. 227, n. 199), — Dell'altra leggenda Italia si notano pure alterazioni, come Eitelia, Httelia e Vutelia in un esem- plare ricordato dal Minervini (Del monte Vulture, tav. IV, 14). 328 GIOVANNI PANSA io penso doversi ritenere come il genio in astratto della schiatta italica e, più precisamente, il genio armato. A questa personificazione del genio armato del- l' Italia fa riscontro quella del fondatore o archigete della stirpe italica, che parmi ravvisare sopra un'altra moneta di cui fino ad oggi si è trascurato l'esame. L'Avellino fu il primo a descriverla (i), ma inesatta- mente, come appresso fecero il Friedlander, il Momm- sen, il Garrucci ed il Sambon (2). Della moneta si conoscono due soli esemplari del Museo di Berlino e del Gabinetto delle medaglie di Parigi (ved. tav. VI, n. 33 e 34). Un terzo appar- tenuto alla collezione Maddalena, venduta a Parigi nel 1903, passò in quella di A. Lobbecke, venduta pure a Monaco nel maggio di quest'anno <5). Comu- nemente esso viene descritto così: ^ — Buste de femme casquée , à gauche ; dans le champ I. R) — Personnage couvert d'une peau de lion, arme d'une épée et tenant une lance dans la main gauche ; il pose la main droite sur la téte d'un taureau dont on ne voit que la partie antérieure. Dai due fac-simili riprodotti, ognuno può scor- gere che il personaggio non è armato di spada, la quale forse è stata confusa con le strisele o i ritagh della pelle che pendono dai fianchi e dalle spalle. Così pure l'animale coricato non è già un (i) Opusc. II, pag. 16, n. 19. (2) Friedlander, op. cit., tav. IX, n. 23. — Mommsen-Blacas, Hist.., cit., II, pag, 421, lett. d, — Garrucci, Ivi, pag. 105. — Sambon A., Les monnaies, etc, I, n. 242. (3) Collection Maddalena. Monn. de l'Italie antiq., etc. Paris, 1903, n. 63. — Ved. cat. n. XXVI dell' Hirsch {Sammlungen Griechis. und Rótnisch. mùm., etc. Mtìnchen, 1910, taf". I, n. i). LA MONETAZIONE DEGL ITALICI 33O toro, ma si accosta alla figura d'un lupo. Infatti non ha corna taurine, ma semplicemente orecchie. Anche A. Sambon sull'esemplare della collezione Madda- lena intravide la figura d'un lupo. Quello che poi a me sembra evidente, è che l'or- digno tenuto in mano non è un'asta, cioè il saunion sannita delle altre monete, ne un pedum pastorale, ma uno scettro o bastone di comando (scipio), il cui orna- mento terminale consiste in un gruppo non bene de- terminato, che ha l'aria d'un pomo lemniscato. Non si tratta dunque d'un guerriero, ma di una di- vinità o d'un eroe mitico il cui attributo della regalità è rappresentato dallo scettro. Gl'indumenti leonini si addicono bene ai primi re pastori, ch'erano anche eroi mitici. Le vesti, infatti, con cui l'arte figurata dell'epoca classica ricopriva i personaggi regali della favola, semidei ed eroi, erano appunto le spoglie di animali. Gli eroi omerici sono tutti rivestiti di pelli (0. Virgilio descrive Enea coverto di pelli di leone (2) ; ed il costume anche degli antichi re pastori dell'Ar- cadia consisteva nel coprire il capo di pelli ^3). Ora io penso che il mitico personaggio della nostra moneta sia appunto l'archigete o xt^tt.? della stirpe italica, cioè Italo, il primo re pastore e legi- slatore dell'Italia, il cui ricordo si è voluto dagli insorti ravvivare sulle monete per omaggio alle an- tiche loro tradizioni. Italo, l'eponimo della schiatta, secondo la favola, dette il nome all'Italia; e italioti primitivi furono quegh cileni della Magna Grecia che con quel nome indicarono il paese da essi colonizzato ed incivilito, dalle sponde di Reggio fino a Locri e successiva- (i) BucHHOLz, Die Homer Realien, I, 2, pag. 150-153; 160, 167; II, 2, pag. 263. — Helbig, U Epopèe homèrique, pag. 248 (traduz. Trawinski). (2) Aen^ II, 722. (3) Cfr. Stat., Theb., Ili, 303. 33° GIOVANNI PANSA mente a Taranto ; dal fiume Laos fino a Posidonia, presso il Silaro ^^K Il nome d' Italioti e la discendenza da Italo ri- vendicarono a se le forti stirpi sabelliche durante la Guerra Sociale, quando cioè contrapposero alla ca- pitale Roma il nuovo Stato italico da essi rinno- vato. La leggenda di un Italo, re dei Sanniti, sorse appunto dalle antiche relazioni fra questi popoli e gl'Italioti, le quali terminarono con la conquista delle terre e delle città da parte di quelle stirpi forti e potenti (2;. Italo, primo re e legislatore, non fu un perso- naggio storico, bensì mitico, come Minosse col quale Aristotile lo paragona. Egli era un gran re, autore d'un vasto regno formato in parte con le arti della persuasione, in parte con la guerra. Aristotile lodava le leggi da lui date alle stirpi enotriche e ne riconosceva l'alta antichità. E quelle stirpi erano appunto gli Opici, il più antico strato della schiatta enotrica, da cui derivarono i Sabelli. La leggenda d' Italo era molto diffusa fra i San-- niti e come re pastore egli era paragonato a Za- leuco, la cui tradizione, sorta in Locri, ha con quella d' Italo molte attinenze (3). Nella lupa coricata dovrà riconoscersi Roma, se- condo il concetto politico dei confederati, espresso nell'altra moneta in cui si scorge quell'animale so- praffatto dal toro, emblema della stirpe sannitica. (i) Pais e., Ricerche stor. e geograf. siill'ltal. antica. Torino, 1908, pag. 416. (2) Pais E., Stor. della Sicil. e della Magna Grecia, pag. 37. — Il valore storico della leggenda dell'impero d'Italo è stato largamente studiato dal Nissen {Ualische Landeskiinde, I, pag. 60 e seg.), dall'HEis- TERBERGK {Uber den Nnmen Italien, Freiburg, 1881) e dal Pais (op. cit., Append. II, pag. 387 e seg.). (3) Pais, op. cit., pag. 389, 390, 417. LA MONKTAZIONE DEGl' ITALICI 33I L'immagine della lupa non risponde tanto alle tradizioni classiche dei romani, quanto al titolo di- spregiativo di lupi rapaci dell'italica libertà, che loro attribuirono gì' insorti quando piombarono su Roma guidati da Ponzio Telesino '^>. Italo nell'atto di stendere la mano minacciosa sulla lupa coricata a' suoi piedi, avrà dovuto simbo- leggiare, secondo la mente dei confederati, il genio della stirpe italica nella sua lotta suprema di eman- cipazione e di conquista contro Roma. Giovanni Pansa. (i) • Adesse Romanis ultimum diem, eniendam delendamque Urbem nunquam defuturos, raptores Italicae libertatis, lupos, nisi silva, in quani refugere solerent, esset excisa ,, Vell. Paterc, lib. II, cap. 27. IMITAZIONE DELLO ZECCHINO VENEZIANO FATTA DA GUGLIELMO ENRICO D'ORANGE (io«o-i^oa) u On trouve en numismatique de fréquents exem- a ples de larcins de types. Les Princes d'Orange « sont incontestablement ceux qui ont le plus use et a abusé du droit que les Seigneurs du moyen-age u s'étaient arrogé de copier les espèces de leurs « voisins. Il n'y a guère de type ayant quelque u vogue, qu'ils n'aient imité w. Ho creduto bene co- minciare con queste parole del Poey d'Avant *'), che mi dispensano dall'aggiungerne altre, questo breve articolo destinato ad illustrare una novella prova della facilità con cui i principi d'Orange imitavano le altrui monete; abitudine, se non molto lodevole, certo assai lucrosa e diffusa della quale abbiamo esempi ben noti e frequenti anche in Italia. Il pezzo entrato da poco nella mia raccolta, dove trovansi numerosi e interessanti esempi di imi- tazioni specialmente di monete veneziane, ha in tutto l'aspetto di uno zecchino della Repubblica di Ve- (i) Poey D'Avant Faustin. Monnaies Féodales de France. Paris, 1860, voi. II, pag. 385. 43 33+ NICOLÒ PAPADOPOLI nezia, come appare dalla riproduzione e dalla de- scrizione : -B' — Un Santo in piedi con aureola porge la bandiera a una figura genuflessa vestita come il doge di Venezia: lungo l'asta della bandiera sono disposte verticalmente le lettere DVX, dietro la figura in- ginocchiata la leggenda, che comincia in alto a destra: GVIL • HENR proseguendo in basso a si- nistra D * G. e poi con lettere disposte vertical mente dal basso in alto PRAV. S. {PRwceps AVr^- stenstS)- 9( — Figura del Redentore entro elissi di perline, con i6 stelle a sei punte, sette per parte, una in alto e una in basso della figura ; la leggenda circolare comincia a destra in alto: SOLI DEO HONO RET GLORIA. Oro, diam. mill. 21, peso gr. 3,37. Questa moneta appartiene senza dubbio a Gu- glielmo Enrico d'Orange che assunse il principato nel 1650. Infatti il Poey d'Avant <') ne pubblicò una poco dissimile, che egli però non vide, avendone tratta notizia e disegno dal Duby (^). Anche il Duby non conobbe l'esemplare pubblicato e ne trasse a (i) Id. ibid, pag. 410, tav. CI, n. 6. (2) Duby Pierre-Ancher Tobiésen. Tratié des Monnoies des Barons. Paris, MDCCXC, tom. II, pag. 209, tav. suppl. VII, n. 9. IMITAZIONE DELLO ZECCHINO VENEZIANO 335 sua volta il disegno dall'opera di F. A. Joachim <*) che non mi fu possibile di consultare. Così mi limito a dare il fac-simile del disegno del Duby, dal quale meglio che dalla descrizione, potranno rilevarsi le notevoli differenze che passano tra l'esemplare che fu del Joachim e non so dove ora si trovi, e quello che io pubblico per la prima volta. Il Duby disse giustamente trattarsi di una imi- tazione dello zecchino veneziano , mentre il Poey d'Avant, omettendo questa indicazione essenziale, finì col dare una descrizione erronea, scambiando per una mitra il berretto dogale e la figura del Re- dentore per quella della V'ergine. Questi autori non aggiunsero altre notizie in proposito, e ciò è naturale, perchè delle imitazioni è diffìcile rinvenire memorie se non indirette. Queste io credevo di poter trovare seguendo il filo condut- (i) Joachim Jkan-Fkancois. Das neu eroefuete Miimcabniet darinen tnerkrvurdige xmd vrele bishero noch nirgends initgetheille gold-tind Sil- bermùnzen su finden die richieg in Kupfer abgebildet., beschrieben tind erlaeutert werden. Nurnberjr, 1761-1773, voi. Ilf, pag. 36. Dò l'indicazione di quest'opera dal Répertoit e des Sources imprimées de la Numtsmatique Fratifaise par A. Engel et R. Serrure. Paris, 1887, tom. I, pag. 393-394, e la citazione dal Duby. Non ho trovato questo libro nelle biblioteche di Venezia e nem- men » in quella Braidense ove ne fece ricerca per me l'egregio prof. Se- rafino Ricci. 336 ' NICOLÒ PAPADOPOLI tore datomi da alcuni documenti pubblicati già dal Padovan ('). Girolamo Bon, Residente veneto a Zurigo, con lettera del 26 maggio 1646 spediva al Senato veneto uno zecchino, come campione di una partita di cin- quecento simili capitata colà dalle parti di Sciaffusa e San Gallo. Esso appariva falsificato perchè, fra le altre caratteristiche, nella leggenda il nome del Doge Pasquale Cicogna cominciava con una F anzi che con una P. Fattone il saggio nella zecca di Venezia, fu trovato di bontà inferiore, perchè peggio di fino carati 76 per marca, e ne venne constatata la evi- dente falsificazione. Nel dar notizia di ciò al Resi- dente, il Senato instava perchè avvertisse i signori di Zurigo onde provvedessero a impedirne la circo- lazione e usassero le dovute diligenze anche per il castigo dei colpevoli. Il Residente replicò il 14 luglio che anche colà si era riconosciuta la falsità di tali zecchini, ed erano stati severamente proibiti non solo a Zurigo ma anche negli altri Cantoni Svizzeri: soggiungeva poi che difficilmente si sarebbe potuto raggiungere il castigo dei colpevoli perchè pareva che queste monete uscissero dalla zecca di Grange e da quella di un particolare Signore del territorio di Milano. Da questa narrazione parevami di poter con- cludere che probabilmente lo zecchino con la leg- genda FASCALIS CICONIA, di cui però non mi è mai capitato alcun esemplare, fosse opera dei principi d'Orange. E parevami di vedere in ciò una ripeti- zione di quanto era avvenuto due secoli prima con i Gran Maestri di Rodi e di cui dò notizia in una mia comunicazione al Congresso Internazionale di (1) Padovan Vincenzo. La Nummografia Veneziana, Sommario do- cumentato. Venezia, 1877, pag. 331-332. IMITAZIONE DELLO ZECCHINO VENEZIANO 337 Numismatica di Bruxelles (^'. Vale a dire che, giunto a notizia del principe d'Orange il risentimento della Repubblica per la contraffazione della propria mo- neta, egli, o meglio i suoi successori, avessero pen- sato al modo di non rinunziare al lucro derivante dalla emissione degli zecchini, sostituendo alla con- traffazione la imitazione che, in generale, si tollerava più facilmente per il fatto che non era passibile di persecuzione quale moneta adulterata e falsificata. Mi pareva anche di poter spiegare il silenzio dei documenti successivi con la situazione politica della Repubblica Veneta che, trovandosi allora impegnata nella gravissima guerra di Candia, traeva dall'Olanda navi e milizie e non aveva interesse a disgustare i principi d'Orange che potevano impedirle o ren- derle difficile il rifornirsi di uomini e di navi ne' loro stati. Presi però in esame i documenti originali pub- blicati dal Padovan, ho trovato che nella stampa fu omesso un breve tratto del dispaccio del Residente delli 14 luglio 1646, tratto che modifica notevolmente le conclusioni alle quali ero pervenuto. Dopo aver detto che gli zecchini « si sono seueramente prohi- « biti non solo qui, ma a San Gallo, Berna, Sciaf- « fusa e Basilea, e che nella Dieta Generale di Bada « sono stati avvertiti tutti gli altri Cantoni, perchè u possano fare il medesimo; come seguirà certa- u mente » soggmnge : « e ristesso essere pur seguito u di a/cmie altre monete d'oro trouatesi mancanti del u domito valore, delle cui stampe mando qui aggiunto u Pessempio » ^^l Per fortuna Fesempio inviato dal Re- (i) / primi zecchini dei Gran Maestri dell'Ordine di San Giovanni di Gerusalemme in Mémoires du Congrès International de Numismalique et d'Art de la Médaille. Bruxelles, 1910, pag. 349-358. (2) R. Archivio di Stato in Venezia, Senato Dispacci di Zurigo^ filza n. 45. 338 NICOLÒ PAPADOPOLI sidente si conserva ancora dentro il dispaccio, dove un ])iccolo involto di carta contiene quattro impronte ottenute direttamente, almeno così pare perchè ri- sultano negative, dalle monete stesse. Due sono ca- vate da un doppio ducato di Filippo II di Spagna per il contado di Zelanda simile a quello semplice pubblicato dallo Heiss ('); la terza è di un Ongaro, o Bragone, come si chiamava a Venezia, delle pro- (i) Heiss Aloiss. Descripcion Getterai de las Munedas Hispatto-Cri- stianas. Madrid, 1869, toni. Ili, pag. 144-145, "• 186, tav. 181. IMITAZIONE DELLO ZKCCHINO VENEZIANO 339 vincie unite del Belgio del 1641 ; la quarta infine è parimenti di un Ongaro che non è ricordato ne dal Duby ne dal Poe}- d'Avant, ed è una prova novella della facoltà imitatrice delle monete altrui dei prin- cipi d'Orange. Al diritto porta il solito guerriero armato in piedi con la leggenda: FRED • HENR * ^ D. G. PRIN. AVR ♦, nel campo 16 45 ; al rovescio entro cartella ornata la leggenda in quattro linee : SOLI. D I EO. HO ; NOR. FT GLORI. Di fronte al contenuto del dispaccio che il Pa- dovan non credette di pubblicare integralmente per- chè forse non serviva allo scopo da lui propostosi, cadeva però la deduzione che lo zecchino di cui era parola nel dispaccio precedente e nella prima parte di questo, potesse con qualche certezza ritenersi uscito dalla zecca di Grange, alla quale pare logico debba riferirsi soltanto la moneta che porta segni 340 NICOLÒ PAPADOPOLI non dubbi della sua provenienza. In ogni modo, se non mi fu dato aggiungere notizie speciali relative al pezzo da me posseduto, ho la compiacenza di averne additato agli studiosi uno affatto nuovo che non so se esista in qualche raccolta. Rimane così anche una volta dimostrato come il campo delle imi- tazioni sia vasto e inesplorato tanto da poter dar luogo a scoperte inaspettate. Dallo studio diligente di esse possono i raccoglitori procurare notizie utili alla storia delle monete in generale, e a se stessi soddisfazioni e compiacenze ben apprezzate dagli ap- passionati cultori de' nostri studi. Nicolò Papadopoli. UN NUOVO MEDAGLISTA? (Peruzzo Bartolelli) Quando nel 1891 ^^) pubblicai una medaglia di Giovanni Peruzzo Dossa de' Bartolelli, diedi del per- sonaggio ivi rappresentato le notizie biografiche raccolte esaminando i Libri dei Consigli e alcune Miscellanee Genealogiche manoscritte esistenti nel- l'Archivio Comunale di Fano. Ora, a tanti anni di distanza, nei Libri della Referendaria dello stesso Archivio ho trovato molte altre notizie che lo ri- guardano: tralasciando quelle che si riferiscono al- Tesercizio del suo commercio di Aromatario e alle cariche pubbHche da lui sostenute, trascrivo qui sol- tanto le seguenti che, mi pare, lo presentino sotto un aspetto nuovo e interessante. 1465 die 7 Decembris A Peruzzo de Tomasso lib. 6 de boi. per una pigna grande de marmoro che lui a intagliata, et per oro che lui mise ad indorare il semenzone di dieta pigna, et per indo- ratura del penello, et de una croce in cima a la dieta pigna, et quatro arme lauorate ne le facie de dieta pigna se hano a meter in cima del tabernacolo facto sopra la fonte de lo condutto de fuor de porta magiore dove se ha a metere un nostra donna de Terra cotta. Tute sopradicte cose a fato decto Pe- ruzzo a tute sue proprie expese, monta in tuc.to lib. sei, etc. [Referendaria, voi. 21, car. 112 t.). (1) Una medaglia Fanese dei secolo XV, in Rivista Italiana di Nu- mismatica, anno IV, 1891, pag. 491-500 e anche in Proc'es-Verbaux et Mimoires du Congrès Ititernational de Numismalique de Bruxelles, ivi, Goemaere, 1P91, pag. 141-143. 342 GIUSEPPE CASTELLANI 1466 adi 4 de septembre Peruzzo de Thomasso boi. xx. per sua fatigha dee hauere perchè a intagliata una petra va sotto la maestà de la fonte... lib. I. [Ivi, voi. 22, car. 176). 1469 adi 2 de marzo Peruzzo di Thomasso per comandamento de li nostri magnifici signori Priori per sua manifatura de lo intagliare una arme de pietra messa a ponte vechio boi. dieci, etc. [Ivi, voi. 25, car. 133 t. e voi. 26, car. 151). Peruzzo di Thomasso de Bartholello lib. quatro de bolo- gnini per merito e pagamento de squadrare una petra et in essa scholpire o uero cauare lettere che vano sotto l'arme de la Santità de nostro S. che si pone sopra la porta ma- iore, etc. {Ivi, voi. 25, car. 134 e voi. 26, car. 178 t.). 1475 16 aprile A Peruzzo de Tomasso sol. 14 sono per uno caueretto agionto a le deputtatioq^ et per la scriptura de quello et per la miniatura et per la coperta de pelli et conciatura de dette deputtationi, etc. Al sud. lib. tre de bolognini sono per suo magisterio de una arma che lui a intagliato de la Comunità cum le chiavi di sopra messa a oro e argento per meterlla al mo- lino da l'olio, etc. {Ivi, voi. 33, car. 142 t.). adì 2 giugno 1475 A peruzzo de Tomasso sol. trentaotto per le infrascripte robbe tolte per far l'arma de la comunità nel dono fatto al S. mes. Constanzo, ciò è per el zondato sol. io, per oro e ariento sol. 13. e per magisterio sol. 15., etc. {Ivif voi. 34, car. 162). Questi documenti ci danno notizia della abilità di Peruzzo Bartolelli nel dipingere o miniare, abilità UN NUOVO MEDAGLISTA? 343 che ebbe comune col fratel suo Mario dottore in medicina, e quindi la conferma indiretta ma positiva di ciò che sapevamo soltanto da Antonio Costanzi, che egli fu autore di pregevoli carte geografiche o topografiche. Ma, oltre all'essere pittore o disegna- tore, egli, secondo queste note, fu anche scultore. Si tratta è vero di lavori di poca importanza: stemmi, iscrizioni e la pigna che doveva coronare la fonte posta fuori di Porta maggiore, sulla quale doveva anche essere posta una immagine di mezzo rilievo in terra cotta della Madonna. Questa però non fu modellata da lui ma da un altro artista, pittore e scultore, finora ignoto, maestro Norsino di Nicolò di Giovanni da Norcia, nipote di quel Giovanni di Antonio da Norcia che fu zecchiero sotto il Mala- testa (0. Sebbene oggi non sia possibile identificare i lavori di Peruzzo e quindi portare un giudizio sul loro valore, pure la figura singolare di questo dro- ghiere del quattrocento appare notevolmente ingran- dita e somigliante a quella di tanti valentuomini della nostra felice rinascenza che passavano dalla trattazione degli affari commerciali e di quelli del comune al maneggio del pennello e dello scalpello. Tutto questo però potrebbe importar poco, spe- cialmente ai lettori della Rivista, se dalle notizie tro- vate non mi fosse sembrato ragionevole derivare una ipotesi nuova. Per la squisita fattura della medaglia con la ef- figie di Peruzzo, e più ancora per la grande rasso- miglianza di essa con quelle di Sigismondo Mala- (i) Cfr. La zecca di Fano in Rivista Hai. di Num., anno XII, 1899, P^g- 33> 34> 146. Ecco l'annotazione del pagamento della Madonna: 146^, ly Decembr. A maestro Norsino depentore lib. die edotto de bolognini per una nostra Donna de Terra cotta di mezo rilievo la quale lui dee fare a la fonte del condutto de fuor a da porta magiare a tutte sue spese, etc. (Archivio Com. di Fano, Referendaria, voi. 21, car. 112 t.). 344 GIUSEPPE CASTELLANI testa lavorate e firmate da Matteo de' Pasti, io affacciai la supposizione che potesse essere lavoro di questo artista. Ora invece, sapendo che lo scolpire non era ignoto al nostro Peruzzo, più ragionevole e logico mi pare attribuire a lui medesimo la fattura della propria medaglia. Sarebbe questo un suo lavoro giovanile eseguito quando con tutta probabilità egli dimorò a Rimini, profittando della compagnia e degh insegnamenti dei tanti e valentissimi artisti che vi- vevano alla corte del Malatesta e lavoravano attorno al tempio Malatestiano. Ipotesi nuova, ma doverosa, perchè non si creda che onde sostenere la primitiva attribuzione, io taccia i documenti che possono servire, come nel caso presente, ad infirmarla. Il nostro Peruzzo potrebbe così entrare nel no- vero di quei medaglisti, dirò così occasionali, di cui tanti altri esempi abbiamo nel rinascimento. Perchè anche allora ben pochi facevano dell'arte della me- daglia l'unica loro professione. In ogni modo è certo che egli non può essere confuso con l'altro meda- glista fanese che aveva lo stesso nome di battesimo, Pietro da Fano. Questi, che segnava le sue opere Petrus domo Fani, lavorava fuori di Fano negli anni medesimi in cui Peruzzo vi dimorava; pare ancora che occupasse un posto subalterno alla corte di Man- tova (^), mentre Peruzzo fu sempre indipendente e non si allontanò mai da Fano dove esercitava il suo commercio di aromatario e coprì parecchie cariche pubbliche. G. Castellani. (i) G. Castellani, Notizie di Pietro da Fano Medaglista. Rocca S. Casciano, Cappelli, 1898, estr. dalla Rassegna Bibliografica dell'Arte Italiana, anno I, 1898, pag. 97-103. MEDAGLIA COMMEMORATIVA dell'assedio dì Casale nel 1630 Allorché il duca Vincenzo I Gonzaga pensò di munire Casale di una forte cittadella a difesa del Monferrato, fece a questa città un ben triste regalo, che doveva col tempo costarle non pochi danni e sacrifici. La fortezza non durò che un secolo; finita nel 1595, fu completamente rasa al suolo nel 1695; ma in questo frattempo parecchi assedi ebbe a so- stenere, nel corso delle lunghe lotte fra Spagna, Francia ed Impero, che si contendevano vivamente il predominio sulle cose d' Italia. Cinque furono questi assedi di Casale nel se- colo XVII; tantoché essa fu detta con ragione la città degli assedi. Di questi, il secondo, quello cioè del 1630, fu tra i più memorabili, non solo per la sua importanza storica, ma benanco pel modo con cui esso ebbe termine, e per l' intrepidezza mostrata dall'esercito e dai cittadini nella difesa. Sono ben note le cause e le vicende di questo assedio, che fu episodio nella lunga guerra di suc- cessione del Monferrato. Assedianti erano gli spagnuoli; e l'onnipotente ministro di Spagna conte Olivares, a riparare allo smacco toccato a don Gonzales di 34^ FLAVIO VALERANI Cordova, nell'anno precedente, sotto le mura di Ca- sale, aveva chiamato a dirigere il nuovo assedio il piti valente generale di Spagna, Ambrogio Spinola, genovese, già salito in grande fama nelle guerre di Fiandra. Questi, che venne posto al governo della Lombardia, con forte esercito occupò tosto molte terre del Monferrato; e, giunta la primavera, volle guidare egli stesso la nuova spedizione contro Casale. Vegliava però alla difesa un altro valoroso, Gio- vanni di Toiras, alla testa del presidio francese, il quale occupava non solo la famosa cittadella, ma anche la città e il castello. Coadiuvato validamente dai cittadini, egh seppe resistere ad un nemico che disponeva di forze di gran lunga maggiori. L'assedio, cominciato il 23 maggio, non ebbe termine che il 27 ottobre 1630. Ma l'esito non fu quale sperava lo Spinola; il quale, sempre vittorioso in tutte le sue imprese guerresche, sperava di poter chiudere la sua gloriosa carriera con la difficile conquista di Casale: se non che le fatiche del comando, e le tristi con- dizioni sanitarie del campo, in cui serpeggiava la peste, avevano scossa la malferma salute di lui già sessagenario. Era giunto il settembre; ne la città dava segno di arrendersi; quando il governo spagnuolo volle conchiudere una tregua di alcuni giorni tra le parti belligeranti. Questo fatto irritò vivamente lo Spinola, che invano si era opposto a quella tregua; epperciò sdegnato cedette il comando al marchese di Santa Croce (^). Verso la fine di ottobre, essendo giunti i soc- (i) Ammalato e in preda al più vivo dolore, il marchese Ambrogio Spinola si ritirò nel suo feudo di Caslelnuovo Scrivia, ove moriva sugli ultimi di settembre di quell'anno stesso. MEBAGLIA COMMEMORATIVA DELL ASSEDIO DI CASALE 347 corsi francesi, i due eserciti stavano per venire ad una battaglia decisiva. Gli assediati erano usciti fuori della città contro gli spagnuoli, che si erano avan- zati fin sotto le mura; quando Giulio Mazzarino, che col Nuncio Pancirolo, era stato inviato dal pontefice Urbano VITI a metter pace fra le due parti, riuscì a impedire il combattimento, e ottenne lo scopo suo di porre termine alla guerra. La pace che ne seguì, ridonò al duca Carlo Gonzaga di Nevers il ducato di Mantova e quello di Monferrato; però colla perdita di Alba, di Trino e di settanta altri comuni , che passarono al duca di Savoia. Intanto Casale fu salva; ne gli spagnuoli po- terono metter piede nella cittadella. A ricordare questa vigorosa resistenza, che onora tanto la città quanto i difensori, furono co- niate alcune medaglie, secondo l'uso vigente di non lasciar trascorrere qualsiasi fausto avveni- mento, senza perpetuarne, con questo mezzo, la memoria. In una pregevole monografia su questo argo- mento P. Bordeaux (0 annovera tre di queste meda- glie, esistenti nel Gabinetto delle med. di Parigi. Le due prime furono coniate in onore del Mazzarino, che fu l'apportatore della pace: e una di esse è assai conosciuta, e non difficile a trovarsi. Entrambe por- tano nel diritto il ritratto del Cardinale; e nel rove- scio la scena in cui le due armate stanno di fronte sotto le mura di Casale, mentre nel mezzo del campo il Mazzarino a cavallo sta agitando il cappello in atto di gridar: pace ^ pace. Nell'esergo trovasi scritto : Ca- (i) Le Maréchal de Toiras et les ntonnaies obsidionales de Casal par Paul Bordeaux. Paris, 1891. {Esir. de FAnnuaire de la Soc. de Numi- smatique). 348 FLAVIO VALER ANI sali i6)o. Ma evidentemente questa data si riferisce all'epoca e al luogo dell' avvenimento ; ne sta a in- dicare l'anno in cui fu coniata la medaglia, che per fermo è posteriore di molto al 1630. E questo per la buona ragione che il Mazzarino non fu creato car- dinale che nel 1642; mentre le due medaglie portano la scritta Julius Cardinalis Mazarinus. È da ritenere pertanto che egli, dopo la nomina al cardinalato, e successivamente al posto di primo ministro della reg- gente Anna d'Austria, abbia voluto con queste due medaglie ricordare un avvenimento che risaliva a parecchi anni indietro, e nel quale egli aveva avuto una parte così importante. Soltanto la terza medaglia è dedicata all'eroico difensore di Casale: e questa reca la data del 1634; quando, cioè, il Toiras era già caduto in disgrazia dell'onnipotente ministro Richelieu; al quale fatto pare che accenni la leggenda del rovescio Adversa coronant, come giustamente nota il Bordeaux (^). È noto difatti, che fu appunto in quell'anno che a lui venne tolto non solo il comando delle truppe in Italia, ma benanco ogni altra carica che aveva in Francia. Co- stretto a spatriare, il Toiras fu bene accolto a To- rino, ove la duchessa Maria Cristina lo colmò di benefizi; e Vittorio Amedeo I, allora vivamente im- pegnato nella guerra contro la Spagna, gli affidò un alto posto neir esercito. E fu combattendo presso a Fontaneto d'Agogna, che egli cadde, ucciso da un colpo di moschetto, il 14 giugno 1636. — Vittorio Amedeo vivamente addolorato per questa grave per- dita, ordinò in suo onore solenni funerali a Torino; e lo fece seppellire nella chiesa al Monte dei Cap- puccini. A queste tre medaglie che ricordano I' assedio (i) Bordeaux. Op. cit., pag. 360. MEDAGLIA COMMEMORATI^^Jw DELL'ASSEDIO DI CASALE 349 di Casale del 1630, vuoisi aggiungere una quarta non meno importante. Anche questa è in onore del Toiras; però non fu coniata negli anni disgraziati del maresciallo, ma assai prima, cioè appena firmata la pace o poco dopo. — Questa medaglia che non è inedita, perchè già descritta brevemente, e con alcune varianti, da Vincenzo Promis ^^\ è rara e poco nota ; e parmi perciò che meriti d'essere qui ricordata. Bromo, mill. 28, peso gr. 7,20. ^ — Busto del maresciallo di Toiras, volto a destra con collare, e medaglia ; colla leggenda : G-RATVM • avo • SOSPITE • COELVM. ^ — Pianta esagonale della cittadella di Casale, avente nel centro la scritta CASALE | SERVATO , ANNO I MDCXXX I OCT • XXVII in cinque righe, fra quattro rosette. All'intorno: PROPTER • FRATRES • MEOS • ET • PROXIMOS • MEOS • (2). V. Promis accenna a due esemplari di questo pezzo esistente nel medagliere reale di Torino, con (i) Tessere di Principi di Casa Savoia o relative ai loro antichi stati illustrate da Vincenzo Promis. Torino, 1879. {Mem. della R. Accad. delle Scienze, di Torino), pag. 32. (2) Devo la conoscenza di questa medaglia alla cortesia dell'egregio sig. magg. cav. Tommaso Maggiora- Vergano, degno imitatore dell'illustre suo padre negli studi di numismatica e di archeologia. 45 35° FLAVIO VALER A NI differenze nel rispettivo tipo : e benché la figura da lui pubblicata sia uguale a quella che ora presento, pure la descrizione non corrisponde; il che prova la duplice battitura, e in pari tempo dimostra che la sua descrizione si riferisce all'altro esemplare di cui non dà la figura. In essa Tepigrafe entro la pianta della fortezza, sarebbe sopra sei righe; mentre in questa mia è su cinque. Inoltre, secondo Promis, la medaglia che pende dal collo di Toiras è quella di S. Spirito di Francia; al contrario nella figura man- cano, non solo la colomba nel centro della croce, ma anche i gigli francesi nei quattro angoli ; epperò questa croce d' ordine cavalleresco non appartiene all'ordine del S. Spirito di Francia. Sapendo che Toiras fu da Luigi XIII creato maresciallo di Francia al suo ritorno d' Italia (prima era solo maresciallo di campo) e successivamente cavaliere di S. Spirito, il 12 aprile 1633, sorge na- turale la conseguenza, che la medaglia, o tessera, del Promis, che mostra il collare di S. Spirito, do- vette essere stata coniata dopo quell'anno ; cioè dopo che Toiras fu decorato di quell' ordine, che si con- cedeva appunto a chi aveva raggiunto 1' alto grado di maresciallo. Essa differisce perciò da quella che io presento; e sono appunto queste due lievi varianti nel conio che mi indussero a pubblicarla. Altro eccitamento a questa pubblicazione è che la presente medaglia è anche poco conosciuta in Italia e fuori, se potè sfuggire all'oculatezza di quel diUgente ricercatore che è P. Bordeaux; il quale, non conoscendo la monografia del Promis, benché edita molti anni prima, non fa cenno di questa me- daglia e riduce a tre sole quelle che ricordano l'as- sedio di Casale. Manca in questa l' indicazione dell' anno e del luogo della coniatura. Ma quanto all' anno, si può MEDAGLIA COMMEMORATIVA DELL ASSEDIO DI CASALE 35I affermare, come vedemmo, che essa fu coniata poco dopo l'assedio stesso; e certamente prima che Toiras tornasse in Francia. Quanto poi al luogo, il tipo me- daglistico, colla figura esatta della cittadella (che ri- corda qualcuno» dei pezzi ossidionali battuti dal Toiras col bronzo di un cannone) e lo stile enigmatico delle leggende latine, simile pure a quello delle note mo- nete dell' assedio, concorrono ad avvalorare la con- gettura, che la medaglia sia stata coniata in Casale stessa ; probabilmente dalla riconoscenza del duca, o della cittadinanza verso il benemerito difensore. Ed era giusto che venisse onorata degnamente la memoria dell' uomo, che con poche truppe, e mal- grado la peste e le privazioni d' ogni fatta, aveva saputo reggere vigorosamente a un lungo assedio contro un esercito numeroso, agguerrito, e guidato da uno dei migliori capitani del suo tempo. Questa resistenza non solo salvò la città dagli orrori del saccheggio, ma ebbe ben altre conseguenze politiche. Non è chi non vegga l' importanza dell'e- sito felice di quest' assedio, pensando che la caduta di Casale avrebbe trascinato seco pure quella dei Gonzaga-Nevers. In quell'anno medesimo era già caduta Mantova in mano agli imperiali, che ne avean fatto quello strazio che tutti sanno; e la famiglia du- cale avea dovuto ricoverarsi nel ferrarese. Se anche Casale avesse dovuto arrendersi, sarebbe cresciuto a dismisura il predominio spagnuolo in Italia; e colla cacciata di Carlo Gonzaga, i suoi due ducati di Man- tova e di Monferrato sarebbero caduti in pieno pos- sesso dei vincitori. Invece col trattato di Cherasco una parte sola del territorio monferrino venne in potere di Vittorio Amedeo I. È bene però aggiungere che quand'anche fosse avvenuta la caduta completa del duca, non avrebbero avuto a dolersene gran fatto i monferrini; i quali non 352 FLAVIO VALERANI furono più lieti sotto il governo della casa Gonzaga di Nevers, di quanto fossero stati sotto quello del ramo primogenito dei Gonzaga. E se 1' esito felice dell'assedio salvò al duca i suoi stati, non salvò Casale dagli assedi successivi, e d^gli orrori delle guerre che per lunghi anni ancora funestarono gra- vemente queste contrade. Doti. Flavio Valerani. Ripostiglio monetale del basso impero e dei primi tempi bizantini rinvenuto a Lipari Assieme ad una modesta raccolta di antichità liparee il Museo di Siracusa è venuto recentemente in possesso anche di un ripostiglio di n. 1745 monetine in bronzo imperiali, rinvenute nella piccola isola sul monte Rosa. Non è infre- quente in Sicilia la scoperta di peculi monetali dell'estrema decadenza romana; ma, per quanto a me consta, nessuno se ne è mai occupato, sia per l'antipatia che desta questo ma- teriale artisticamente negativo, al paragone delle magnifiche monete greche, sia per il sacrificio di occhi e di tempo che una accurata classificazione richiede (i). Eppure non è che dallo studio di codesti miseri gruppi monetali non emergano dati utilissimi per la storia economica e politica dell'isola, come, e più, per la numismatica, tutt'altro che ben definita, del massimo impero e dei primi bizantini. Infatti i minimi bronzi che vanno da Teodosio a Romolo Augustolo, e da Arcadi© ad Anastasio e Giustiniano abbracciano un campo, che si può dire quasi vergine; e le grandi opere del Cohen e del Sabatier ne danno appena dei saggi, ma non delle liste complete; e quanto ai primi bizantini sono stati com- pletamente negletti, non so perchè, anche dal Warwick Wroth nella sua eccellente opera sulle monete bizantine del Museo Britannico. E dunque un campo dove il numismatico armato di molta pazienza può non solo spigolare, ma mie- (i) Nelle Notizie degli scavi, 1909, pag. 61 descrissi sommariamente un tesoretto di n. 1545 pezzi del basso impero, rinvenuti all'ingresso di una catacomba in Siracusa. 354 PAOLO ORSI tere a larghe mani, scoprendo anche pezzi nuovi ed inediti. La difficoltà materiale di ben classificare quei piccoli pezzi li ha fatti trascurare anche per il fatto, che mentre l'argento e l'oro sono quasi sempre nitidi e di buona conservazione, il bronzo di minimo modulo è sconservato o di conio difet- toso. Di qui l'antipatia dimostrata per questo materiale dif- ficile e minuto, ma ricco di sorprese. L'analisi sommaria che io presento del ripostiglio di Lipari dimostra la verità del mio asserto; a malapena due decimi del ripostiglio poterono essere assegnati ai singoli imperatori, mentre gli altri otto decimi rimangono adespoti, pur essendo talvolta nitidi i ro- vesci, e le teste del diritto, ma non la corrispondente leggenda. Il ripostiglio consta tutto di monete di piccolo modulo, con schiacciante prevalenza di quelle di minimo modulo o modulo di quinario; basta già questo a designarne in via approssimativa l'epoca. E poiché il peculio abbraccia un ter- mine di tempo abbastanza lungo, è naturale che le monete più antiche sieno in uno stato meno buono di conservazione ; ma l'ostacolo principale alla loro classificazione rimane sem- pre quello della difettosa conservazione e coniazione, alla quale si aggiunge la presenza di abbastanza numerose ed orribili contraffazioni. Prima di qualsiasi commento propongo ora il quadro statistico della composizione del ripostiglio : — Pezzi inclassificabili, sebbene in maggioranza chiara la testa del diritto e la figurazione del rovescio . . . N. 1474 — Pezzi preimperiali (i bronzetto di Lipara, i di Carta- gine, I triumviro monetale repubblicano) „ 3 — Gallienus, 254-268 . . „ 2 — Claudiits GothicHs, 268-70 ... . » 3 — Constaniinus Magnus, 306-337 . „ 3 — Constantius II, 323-361 „ 8 — lulianus II Apostata, 355-363 . „ i — Valens, 364-378 . . „ 2 — Valentinianus I, 364-375 i ^ — Valentinianus II, 375-392 f — Aelia Ilaccilla, 381 „ i — Jheodosius I, 379-395 , ^_ — Theodosius II, 408-450 RIPOSTIGLIO MONETALE DEL BASSO IMPERO 355 Da riportarsi N. 163 1 14. — Magnus Maximtis, 383-388 i 15. — Eugenius, 392-394 i 16. — Arcadius, 394-408 13 17. - Honorius, 395-423 9 18. — Placid. Valentiniatius III, 425-455 . ...... i 19. — Galla Placidia -j- 450 . ,, 4 20. — Marciantis, 450457 24 21. — Avitus? 455-456 . . . , „ I 22. — Leo I, 457-474 „ I 23. — Adespote dei tempi di Teodosio li o successori con -f- o ^ in corona nel 5' » 59 Totale N. 1745 Quanto alla cronologia, lasciando in disparte il pezzo greco di Lipara, quello di Cartagine ed il romano repubbli- cano, il ripostiglio abbraccia due buoni secoli. È certamente strana cosa il vedere, come, data l'ignoranza della popola- zione e la decadenza profonda dei prodotti delle zecche con- temporanee, alia fine del V secolo si infiltrassero tra il nu- merario spicciolo circolante nel commercio, pezzi, sia pure eccezionali di uno, due, tre secoli a. C. Né ciò basta ; ho persino notato fi-a la massa delle inclassificabili una mezza dozzina di tondelli in rame assolutamente non impressi, ed altresì una piastrella rettangolare di minime dimensioni, pure non impressa. Ciò dimostra quanto fosse decaduta cosi la vigilanza dei funzionari preposti alla circolazione, come anche lo scrupolo e le esigenze del pubblico, che non andava troppo pel sottile nell'accogliere i piccoli pezzi correnti, co- munque essi fossero; la quale osservazione si avvalora anche per il numero non indifferente di orribili contraffazioni che fanno parte del peculio. Tutto ciò non desta meraviglia, ove si ponga mente ai tempi tristissimi, ai quali il tesoretto rimonta. Lasciando il pezzo di Odoacre, controverso, e di cui dirò più avanti, il termine più basso del gruzzolo è segnato dagli imperatori orientali Marciano e Leone I ; dunque il nascondimento av- venne alla fine del sec. V, cioè in pieno periodo vandalico. 356 PAOLO ORSI Ma l'assoluta assenza di monete di codesti barbari (0, se trova per un lato spiegazione nella loro grande rarità, dinota altresì che i Vandali, nel breve dominio che tennero sul- l'isola sino al 475, anziché pensare all'organamento econo mico del paese, segnarono la loro effimera signoria coi sac- cheggi, colle spogliazioni, colla ruina e la morte. Dal punto di vista puramente numismatico il ripostiglio si presta a diverse osservazioni. Mi si muoverà appunto di aver raggruppati i Teodosio I e II, i Valentiniano I e II; ma se parecchi dei pezzi appartengono con assoluta certezza al primo dei due imperatori, per molti altri non è agevole la differenziazione; da un esame accurato dei rovesci parmi però accertata la prevalenza cosi dei Valentiniani II come dei Teodosii II sui corrispondenti primi; ed a Teodosio lì spettano quasi tutti i pezzi adespoti del gruppo 23, che io ho costituito a parte per mero scrupolo di esattezza, essendo illeggibile il diritto. E poiché siamo nel campo degli incerti, non ho voluto tener conto di un Olibrio, perché troppo dubbio, e lo ho relegato nel primo gruppo. Ma alla figura 9 vedesi riprodotto un bronzetto nel cui diritto io leggo niti- damente ONAVI I tus ed ha il leone nel rovescio; il pezzo è inedito e nuovo, da aggiungere ai soli due esemplari in bronzo sin qui conosciuti di codesto principe (Cohen, I, voi. VI, pag. 513). Assai perplesso io rimango intorno al pezzo fig. 2, dove io leggo ODOVAC ; ma il p è così malandato che assai dubitativamente io vi scorgerei una fi- gura di guerriero. Se questo bronzetto non presentasse materia a troppe incertezze, tanto che l'ho escluso dalla lista, esso andrebbe aggiunto all'unico esemplare d'argento ed ai tre di bronzo dati dal Friedlander e dal Sabatier, Mon. Byz., I, pag. 196-197. (i) Nei 22 anni da pie trascorsi in Sicilia, e pur avendo avuto per le mani migliaia di monete rinvenute nelle provincie orientali, non rammento di essermi mai imbattuto in un conio vandalico. RIPOSTIGLIO MONETALE DEL BASSO IMPERO 357 Non difettano nel ripostiglio i pezzi rari; tali sono: la Aelia Flaccilla col 9 Cohen, I, voi. VI, pag. 463, n. 5 ; il Magnus Maximiis, nitidissimo col p Cohen, I, voi. VI, pag. 467, n. 15, e nell'esergo SMÀQ | ; VEngenitts col p Cohen, I, voi. VI, pag. 471, n. 9; il Plac. Valentinianus III col p Cohen, I, voi. VI, pag. 509, n. 36, avente però nel campo P — * e nell'esergo RM; la Galla Placidia col 9* Cohen, I, VI, pag. 491, n. 16, con la S nel campo ; bellis- sima la serie dei Marcianus col monogramma nitido. Saba- tier, I, pag. 135, n. 11, tav. VI, io, e colle officine mone- tali segnate nell'esergo CON, CAN, NIC, CY, alcune delle quali sconosciute; da ultimo il Leo I (fig. 7) nel tipo Saba- tier, I, pag. 133, n. 19-20, tav. VII, io 11. A questa non breve serie di pezzi rari molti altri, credo, se ne sarebbero aggiunti, se piìi chiare fossero state le leggende del diritto, ma nel dubbio ho dovuto relegarli nella massa delle inclas- sifìcabili. 358 PAOLO ORSI Dell'anarchia imperante nel periodo della divisione dei due imperii e nel secolo che segue approfittarono molti fal- sari; a ciò si prestava anche l'estrema miseria in cui era ridotta la monetazione erosa, da una parte, dall'altra la pro- fonda ignoranza delle plebi. La Sicilia nominalmente è an- nessa all'impero di occidente nel 395; ma vi imperarono in- termittentemente i Vandali per quasi mezzo secolo, pochi anni Odoacre, e poi per un altro mezzo secolo gli Ostro- goti. Vero è bensì che Roma cerca sempre riaffermare la sua signoria, ma i successi si alternano alle sconfitte, finché nel 550 essa è definitivamente soggetta a Bisanzio. Già da Onorio a Romolo Augustolo la monetazione occidentale, scarsa e deficente per quantità e qualità, rendeva necessaria per i bisogni del commercio la circolazione di moneta estera, cioè bizantina, ed è perciò che noi vediamo invaso il mer- cato siciliano dai conii orientali d'oro e di bronzo; e ciò anche nel periodo vandalico e gotico che ebbero moneta- zione assai ristretta. Questo stato di cose si riflette esatta- mente nella composizione del nostro peculio, dove vediamo i conii orientali aver corso accanto a quelli occidentali; ed attesa la scarsa produzione delle zecche occidentali, riman- gono sempre in circolazione in quantità enorme pezzi erosi, che datano da Costantino in poi. Questa reciprocità di corso non so se ammessa tassativamente per legge, fu certo im- posta dalle necessità del piccolo commercio e dalla consue- tudine inveterata. Per i grandi commerci valeva l'oro, al quale era stato mantenuto un piede comune nelle due parti dell'impero. Ma, come ho detto, l'ignoranza profonda delle plebi, e le condizioni politiche disastrose, favorirono più che mai l'opera dei falsari, che si dedicarono esclusivamente alla con- traffazione della moneta erosa, mentre i falsi dell'oro sono di una estrema rarità. Nel nostro ripostiglio quasi il 6 7o ^ costituito da orribili contraffazioni, di cui ho voluto presen- tare una serie di saggi evidenti ed istruttivi alle fig. i, 3, 4, 5, 6, 8, 10-13. ^' Sabatier (op. e, I, pag. 88 e seg.), si è oc- RIPOSTIGLIO MONETALE DEL BASSO IMPERO 359 cupato delle contraffazioni delle monete bizantine dovute agli Arabi, in un periodo cioè molto posteriore al nostro; ma i numerosi falsi dei secoli Va IV-V io credo non sieno stati ancora argomento di studio, e difficilmente si troverà chi voglia trattare questa spinosa ed antipatica materia. L'esame dei campioni che io propongo giustificherà gli epiteti pochi lusinghieri di cui io gratifico questi prodotti ; se la moneta erosa era già profondamente scaduta, i falsarii peggiorarono a mille doppi, ciò che già era di per sé brutto e difettoso ; sovente l'effigie del sovrano è scomparsa, od errata la leg- genda (0 ed i simboli del rovescio assumono forme barba- riche e mostruose; ogni tentativo di interpretazione e di classazione è reso impossibile, e manca il modo di determi- nare le officine. Tutto ciò mette a nudo nella sua desolante realtà la profonda decadenza dell'arte del conio in bronzo, la quale durerà sino ad Anastasio, a cui si deve la radicale riforma del piede monetale eroso, ed anche un notevole mi- glioramento dell'arte relativa. Ma prima di allora la monetazione erosa dei due imperii rispecchia esattamente le disastrose condizioni politiche, eco- nomiche ed artistiche, così dell'Occidente come dell'Oriente, ed il ripostiglio di Lipari ne porge una prova fedele, ond'è che l'ho ritenuto degno di una sommaria illustrazione. Siracusa, Luglio 191 o. Paolo Orsi. (i) Esemplari di Teodosio con THEODOSVS (sic) oppure con THEOSIVS (sic). LE BASI METROLOGICHE del sistema monetario più antico dell'Italia Media (Continuai. Ved. fase. II, pag. 2jS26s, 19 JO). III. I sistemi ponderar! babilonesi e fenici sono adottati nell'Italia Media. Intorno al tema dell' emigrazione dei pesi babilonesi e fenici verso l'Occidente mi sono già pronunciato in una con- ferenza stampata nei Berliner Mimzblàtter dell'anno 1908 a P^g"' 34 ^ segg., dal titolo : Roms Eintritt in den Welt- verkehr, cioè * l'entrata di Roma nel commercio mondiale „, dimostrata sulla base della sua monetazione, e a quel lavoro si può rimandare il lettore. Io dimostrai allora che vi sono tre sistemi ponderar!, i quali sono la base delle varie specie di monetazione dell'Italia Media tanto nel metallo nobile, quanto nel denaro pesante. Questa dimostrazione raggiunge e compie il fine della numismatica; di interesse esclusivamente metrologico sa- rebbe la prova se con ciò fossero esauriti i pesi locali del- l' Italia Media, oppure se, in rapporto con essi altri generi di pesi, che però erano rimasti senza influenza sulla moneta- zione, pure oltre a ciò fossero in uso in quel luogo. L'esame di tale questione sia ora qui affidato alla ricerca metrologica. Nelle proporzioni di quella relazione io non aveva l'occasione propizia per penetrare nei particolari del materiale numismatico con quella profondità senza la quale non è possibile una vera e propria dimostrazione. Questa ora si farà nel seguente lavoro. NB — A pag. 237 del fascicolo precedente leggesi per errore " terzo secolo av. C. „ invece di " terzo millennio av. C. „. N. d. R. 362 E. J. HAEBERLIN I tre generi di peso da prendere in considerazione, per la monetazione dell'Italia Media sono: 1° — Il doppio sistema di due talenti d'argento ba- bilonesi : a) il talento babilonese leggiero d'argento della norma comune di gr. 32745 (tab. gb e 18 ^) ; b) il talento babilonese leggiero d'argento delle norma regale 5 di gr. 34110 (tab. 11 ^ e igb); 2.° — Il talento di gr. 37900 (tab. 21 b) dedotto dal ta- lento pesante fenicio d'argento della norma regale B (ta- bella 15 a). ^° — Il talento ponderarlo leggiero babilonese della norma regale B di gr. 30698,44 (tab. 3). Ora esamineremo nei loro particolari la presenza di questi sistemi ponderar! nell'Italia Media col sussidio delle monete (i). (i) La conferenza sopraccitata fu tenuta il 17 settembre 1907 nella IV Sezione del Congresso dei Circoli storici e archeologici tedeschi in Mannheim. Il suo contenuto fu poi aumentato con ricerche ulteriori da me intanto compiute. Specialmente al luogo del n. 3 allora io computava il talento leggiero ponderarlo babilonese nella norma regale C ai pesi che sono a base della monetazione etrusca e lo considerava di gr. 30320, mentre è da valutare più giustamente di gr. 30289,12 in sèguito alla teoria di Hultsch da me nel frattempo accolta dell'elevamento a ^/^^ secondo la tabella 4 b. La sostituzione della forma B alla forma C devo a un avviso di Regling, che portò a questo lavoro l'interesse amiche- vole di sottoporlo a un esame nel suo primo abbozzo e di accompa- gnarlo nella restituzione con una serie di osservazioni di cui gli sono grato e che citerò al loro posto. Per il punto qui sopra citato Regling giunse alla conclusione che la serie leggiera degli stateri etruschi d'ar- gento nei loro risultati ponderar! meglio si adattassero allo statere nella norma regale B di gr. 8,527 (tab. 3 ò) che a quella della norma C di gr, 8,414 (tab. 4 ò). A questa conclusione io ho aderito ed è questo risultato di importanza tutt'altro che poco apprezzabile, in quanto che così la norma regale C (elevata a Vsa) rimane esclusa sopratutto dal- l'Italia Media, e vi rimangono solo pesi della norma comune, come la norma regale B (elevamento a Vg*)- Per maggiori particolari vedasi più innanzi al paragr. 3 di questo III capitolo. LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 363 I, — Il talento leggiero babilonese d'argento della norma comune di gr. 32745 e della norma regale B di gr. 34110. Questi due talenti, che entrambi stanno fra loro nel rap- porto di 24 : 25, non si dividono l'uno dall'altro nella loro trattazione. Le mezze mine del talento di gr. 32745, cioè la mezza mina sessagesima di gr. 272,875 (tabella 9 3) e la mezza mina quinquagesima di gr. 327,45 (tabella 18^) si pre- sentano in entrambe le libbre romane, quella leggiera, od osca-latina, e quella pesante o libbra neo-romana ; entrambe stanno fra loro nel rapporto di 5:6. Nella sua valuta in danaro pesante Roma ha impiegato la libbra osco-latina : a) per la serie librale della capitale (serie con la prora); b) per la maggior parte della serie di assi fusi per il Lazio nella sua zecca capuana; cioè per la serie latina della ruota, per la serie doppia dell'asse con la testa di Roma senza contrassegni, o con la clava d'ambe le parti, la serie leg- giera di Mercurio e di Giano (contrassegno della falce sul rovescio); infine la serie leggiera di Apollo (contrassegno foglia di vite sul rovescio). Anche la serie a calice della colonia romana Cales sembra basarsi su questa libra. L'emissione di tutte queste serie di assi cade nel periodo dal 312 fino al 286 a. C. La prima volta fra gli anni 286 e il 268 Roma usò per i La- tini e anche per il territorio sannitico assoggettato dopo il 290 due altri pesi di assi, cioè la libbra di gr. 327,45 sulla serie pesante Giano-Mercurio (senza contrassegno) e la libbra di gr. 341,10 (cioè la mezza mina quinquagesima del talento di gr. 34110 (tabella 19^) per la serie pesante dell'Apollo. Così pure dovrebbero basarsi sulla libbra di gr. 327,45 anche la maggior parte dei pezzi staccati del denaro pesante dell'Italia Media, che non possono essere ridotti in serie, i quali erano fusi dagli altri comuni del territorio latino che avevano diritto di zecca, e conseguentemente dovrebbero essere più recenti di quelle emissioni fatte sulla base della libbra leggiera. Ma siccome la libbra leggiera precede quella pesante nella monetazione, ne segue che l'adottare il suo 364 F.. J. HAEBERI.IN talento nel campo dell'Italia Media deve aver avuto luogo nella divisione originaria babilonese in 60 mine uguali a 120 libbre. Se poi già prima accanto a quello il talento fosse diviso anche in 50 mine o 100 libbre pesanti di gr. 327,45, oppure se quest'ultima divisione innanzi tutto abbia avuto luogo dalla susseguente considerazione di porre il peso romano in una relazione più comoda con il peso attico (80 libbre pesanti sono eguali al talento attico di gr. 26196; cfr. più innanzi a questo talento) non era finora possibile di assodare. La libbra leggiera prese il nome di libbra osca-latina, perchè essa coincide con un piede, di cui fu rilevata l'esi- stenza poi nel territorio osco (cfr. più innanzi), più tardi anche in alcune città del Lazio (i). Ma per il fatto che questa libbra era anche la libbra originaria di Roma, noi possediamo accanto alla prova tra- mandata dal peso degli assi con la prora, anche un docu- mento letterario dell'antichità, che rileva la presenza di questa libbra in Roma già dal principio del quinto secolo a. C, ma che finora però era stato incompreso, perchè non si sapeva porre a base della sua interpretazione le relative norme ponderane (2), Si tratta di un passo di Dionigi di Alicarnasso, libro IX, cap. 27, che tratta dell'imposizione di una multa di 2000 assi a T. Menenio Lanato. Questi, console l'anno 477 a. C, era figlio di Menenio Agrippa, del compositore di pace fra il pa- triziato e la plebe al tempo della secessione di questa sul Monte Sacro. Alla fine del suo consolato egli fu incol- pato, in causa della sua indecisione, della strage della gente Fabia nella battaglia contro gli Etruschi al fiume Cremerà. Ciò che Dionigi in quell'occasione dice sull'ammontare della multa è così importante sotto molti rapporti, che il passo abbisogna di una discussione speciale. (i) Così in Anagnia, Ferentino, Sera, Ardea, Lanuvio. Cfr. Nissen, di Iwan von Mùker, Haxdbuch dcs ktassichen Alierthuntsicissensc ha/le», voi. I, seconda ediz., pag. 885. (2) Una spiegazione errata, che deriva dalla libbra pesante, si ha in Hultsch Metrologie, seconda ediz., pag. 151, nota 2. LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 365 Il passo dice : 79) fu citata dallo Hultsch nel suo lavoro Gewichte, e poi dal Lehmann nella tabella delle mine [Hermes, voi. 36) e si è mantenuta in pra- tica fino ad oggi nel peso inglese detto Avoirdupoids = lib- bra di gr. 453,60; mentre il denaro di gr. 4,548, forma la dramma propriamente detta (Veooo) ^^ questo talento. Questo studio di confronto fa rilevare che il peso della libbra osca si incontra in sistemi differenti, ma che la sua propria origine può esser fatta risalire solo al talento di gr. 32745, nel senso che essa sia di questo la mezza mina sessagesimale, e che, secondo questa origine in relazione con la valuta eguale che si ottiene da altre grandezze ponde- rarle, si debba considerare come sicuro il suo peso in gr. 272,875. Si domanda inoltre quanto il ritrovamento dei pezzi mo- netari corrisponda all'opinione che l'asse librale romano equi- valga al pieno peso librale di gr. 272,875. In contrasto con le serie di denaro pesante latino, nelle quali gli assi in genere sono rari, il numero di essi nella serie con la prora della capi- tale è così abbondante, che il peso dovuto può essere ottenuto con ogni determinatezza. Le mie liste di pesi elencano più di iioo di tali assi. La regola fissata da Lehmann di ottenere in prima li- nea il peso normale di una sorte monetaria col prendere in considerazione i pezzi più pesanti, si raccomanda assoluta- mente per la specie di monete che furono aggiustate, come tecnicamente si dice " al pezzo „; cioè per l'oro e per le sorti più pesanti d'argento. Non è invece applicabile per quelle monete nelle quali l'aggiustarsi avviene " al marco ,, come era il caso, senza dubbio, del piccolo argento e so- prattutto del rame relativamente a buon mercato. Per una sorte di denaro pesante così copiosamente rap- presentata come la presente, la regola del Lehmann condur- LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 373 rebbe a una norma troppo alta, poiché con essa sono pre- senti naturalmente molti esemplari di pezzi monetati in più di quanto si dovrebbe. In fatto, il peso degli assi nella serie romana della prora scende fino a gr. 312; discende però in una serie ininterrotta fino a gr. 230 circa, fatta astrazione di alcuni pezzi che furon trovati occasionalmente di peso ancora più lieve di quanto dovrebbero. Con una simile specie monetaria solo il peso medio può dare la norma di misura esatta pel giudizio. Si può fissare esattamente la percentuale sino alla quale vada la maggior eccedenza di monetazione e la più forte diminuzione della medesima. Sta nella natura della cosa, che di fronte a un piccolo numero di pezzi troppo pesanti, stia un numero più grande di pezzi leggieri, poiché, per avere il peso giusto dei complesso, deve un numero maggiore di esemplari trovati mancanti controbilanciare un numero minore di esemplari troppo pesanti. L'esperienza insegna che il denaro pesante, computato ad asse, ha perduto, per l'uso, in generale da 5 sino a 9 grammi di peso, e certo più per quelle specie nelle quali predominano i piccoli nominali, poiché questi, per esempio, 6 sestanti o 12 oncie, presentano all'uso una maggiore su- perficie del singolo asse, meno per quelle specie dove gli assi sono molto rappresentati. Del resto, qui ci basta il risultato che gli assi con la prora nel numero maggiore di iioo da me elencati, anche allo stato presente del loro uso, presentano sempre un peso medio di gr. 267,62. Il che significa appena 5 grammi cioè non ancora il 2 7o P^r l'uso dei singoli pezzi ; tale favorevole risultato intanto si basa visibilmente anche su questo che si tratta quasi sempre, accanto ad un gran nu- mero di pezzi molto usati, di molti pezzi i quali, sepolti nei sarcofagi, non hanno molto sofferto per precedente cir- colazione. In sèguito a tale risultato, si può con tutta precisione dire che le emissioni librali della capitale si basano non su un peso di circa 269 gr. (Dorpfeld), ma su una libbra piena di gr. 272,875, e che quindi anche il loro peso non era di- minuito per una così detta imposta di coniatura. Inoltre in 48 374 E. J. HAEBKRI.IN questo stato delle cose si può determinare, che la libbra osca nel sopraccitato computo è congruente con la metà della mina leggiera d'argento della norma comune (tabella 9), e che quindi il talento relativo era stato accolto nell'Italia Media nella purezza della sua valuta originaria di gr. 32745. Ora volgiamo la nostra attenzione alla libra nuova ro- mana di gr. 327,45, che fu introdotta la prima volta nell'anno 268 a. C con la coniazione del denaro come parte essenziale di una grande riforma monetaria e ponderaria, la quale con- temporaneamente sostituiva per le misure di lunghezza il piede italico di mm. 278 col piede attico di mm. 297, e per le misure di capacità l'anfora fino allora di litri 21,830 con la nuova anfora del sistema attico di litri 26,196. Prima la nuova libbra era stata adoperata dai Romani solo nella pesante serie con Giano e Mercurio, la cui fusione cade negli anni 286-268 av. C. Dal prospetto di confronto nella tabella 18 la vexata quaestio sull'origine della nuova libbra, questione che finora non aveva incontrato una difficoltà insormontabile alla ricerca metrologica, trova la sua risposta nel modo più semplice e naturale. Essa è la metà della mina cinquantesima del talento d'argento leggiero babilonese della norma comune, come l'antica libbra era la metà della mina sessagesima del mede- simo talento. La nuova libbra pesa quindi un quinto più del- l'antica ed ha una derivazione comune. Con ciò cadono tutte le ipotesi ardite, con le quali si cercò finora di trovare la spiegazione della nuova libbra; cade specialmente anche l'ipotesi sopra contraddetta che la nuova libbra sia derivata dal talento attico come un suo ottantesimo; un errore che si trova anche nella mia Systematik, dove io stesso, in man- canza di miglior veduta, avevo indicato la nuova libbra an- cora come la libbra attica. Le mine cinquantesime del ta- lento leggiero d'argento babilonese nelle loro diverse varianti comportano i seguenti valori: 1. — Nella norma comune tabella 18 3 gr, 654,90 ; 2. — Nella norma regale A (-}- Vao) &•*• 687,65 ; 3. — Nella norma regale B {■{■ VgJ tab. 19 b, gr. 682,20 ; 4. — Nella norma regale C(+ Vss) tab. 20 A, gr. 673,09. LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 375 Di queste le mine n. i e 3 sono state in uso in Italia ; la metà del n. i è la libbra nuova romana di gr. 327,45 ; la metà del n. 3 è la libbra italica di gr. 341,10 (i). En- (i) La questione dell'origine della nuova libbra lancia fra altri anche il Nissen nella Metrologie, sec. ediz., pag. 887, senza però venire a una conclusione. II più vicino alla soluzione fu lo Hultsch, nella sec. ediz. della sua Metrologie a pag. 151 e segg., nella quale egli osserva che la libbra romana in sé stessa è determinata in modo sicurissimo, ma, quanto alla sua origine, è pochissimo chiara. Non sfuggì allo Hultsch, che la libbra romana rappresenti la metà della mina commerciale attica di gr. 654,90 ; giudicò anche rettamente quando egli stimò che entrambe le grandezze ripetano la medesima origine, ma si allontanò poi di nuovo dalla traccia giusta, quando egli ne cercò l'origine in una mina fenicia di gr. 672, la quale, secondo la sua opinione, a poco a poco si sarebbe abbassata a circa 655 gr. per mutati rapporti del valore dell'oro e dell'argento. La mina, che a lui oscillava dinanzi, è quella citata sopra, nel testo, al n. 4 della norma re- gale C, di gr. 673,09. Essa si scambia spesso con la mina n. 3 di gr. 682,20, e fu perciò tenuta per fenicia con questa, perchè l'ultima delle due fu dimostrata certo già fenicia, però senza che si sia potuto riconoscere che entrambe le mine non erano originariamente fenicie, ma che appartenevano piuttosto al sistema del talento d'argento babi- lonese alterato in Fenicia solo nel rapporto della sua suddivisione in 50 mine. Ma siccome per la prima volta più tardi (1888) la norma co- mune fu trovata da Lehmann, così non era possibile altrimenti che Hultsch (1872) dovesse cercare la spiegazione delia nonna regale C che fino allora solo a lui era conosciuta. Le determinazioni del Lehmann formarono da questo istante il fonda- mento incondizionatamente necessario, senza il quale, pure primamente con l'aiuto del principio che dovevasi ulteriormente spiegare della cin- quantesima divisione del talento, non era possibile giungere a risultati si- curi intorno l'origine e il computo delle grandezze ponderarle derivate. Ma poiché questo principio rimase a hii stesso celato, così neanch'egli poteva dare un computo esauriente sulla origine della nuova libbra romana. II suo tentativo di spiegazione (ved. Das alibabyl. Aiaass und Gewichtssystent, pag. 48) riposa piuttosto su una analoga presen- tazione, quale a noi s'affacciava già in rispetto alla mina attica (in Ri- vista Hai. di Num., 1910, nota i, pag. 261). Egli qui deriva la nuova libbra romana da una elevazione del prezzo del rame in confronto del prezzo dell'argento di i : 72, poiché pesa gr. 327,45 tre quinti della mina leggiera babilonese d'argento di gr. 545,75 (Computo = se 120 partf di rame di gr. 545,75 costavano finora una parte egualmente pesante di argento, così si ha per i : 72 solo 72 parti di rame di gr. 545,75, op- pure certamente 120 parti di rame solo del peso di gr. 327,40). Se la considerazione che per Roma, ancora povera del tempo più 376 E. J. HAEBERLIN trambe le libbre sono caratterizzate perciò come mezze mine e certamente come tali quali di norma babilonese in- variata. Quanto si fosse convinti in Italia di questo, lo si com- prende da ciò che anche nel sistema della nuova anfora di gr. 26196, introdotta in Roma l'anno 268, la 96^ parte di questa nel computo di litri 0,272875 = gr. 272,875 porta an- cora il nome hemina; ma questa hemìna, o mezza mina, è identica con l'antica libbra. Siccome però una mezza mina può esser solo la 100^ o la 120^ parte, ma non la 96^ parte di un talento, ne viene di conseguenza chiaro quanto il nome della mezza mina sia rimasto appiccicato a questo peso. Esso rimase in uso, quantunque rappresentasse non una mezza mina, ma quell'altra frazione (Vge) della nuova anfora. Cfr. per ciò la tabella molto utile dell'anfora nella metrologia del Nissen, nella 2.^ ediz., pag. 844. Così è senza dubbio fissato il carattere delle libbre, di cui finora si parlò come mezze mine. La ragione, però, per la quale nell'anno 268 Roma cambiò l'antica libbra con la nuova, eh© pesa un quinto di più del- l'antica, sta evidentemente nel tentativo di porre in facile rap- porto con le misure e i pesi del sistema attico mondiale il suo sistema di pesi e di misure, anche con la più assidua cura di mantenere la propria autonomia. Sono dunque ra- gioni politico-commerciali , le quali intanto spingevano a questa norma metrica Roma, che nel frattempo aveva rag- giunto il dominio sopra l'Italia. antico, l'argento fosse un oggetto di valore altissimo il quale colà non poteva esser a buon mercato più che non nel rtsto del mondo, se tale considerazione deve escludere questa ipotesi, non è in alcun modo am- missibile l'opinione del Lehmann che in Roma, con l'introduzione del piede sestantario dell'asse (268 a. C.) in luogo della norma 1:72 di nuovo fosse rappresentato direttamente il rapporto di entrambi i me- talli a 1 : 120. 11 Lehmann spesso ha in Klio (voi. VI, 1906, pag. 528) di- mostrato che la bilancia di Chiusi, conservata neW Antiquaritim di Ber- lino, nella cui scala il Lehmann al luogo citato riconosceva la prova di quel rapporto di 1:72, non può più dare questa prova dopo che Per- nice ne\\' Archeolog. Jahrbuch (XIII, 1908, pag. 74) pubblicò la lezione esatta della scala. Quanto si è citato può bastare a dare la spiegazione quanto ancora fino ad oggi fosse avvolta di fitto velo l'origine del peso più inrportante dell'antichità. LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 377 Per r introduzione di questa libbra le misure lineari e di capacità furono prese appunto dalle norme attiche. Il nuovo piede romano di mm. 297 è il piede attico, la nuova anfora di litri 26,196 s'accorda in peso con il talento attico. Nel resto, però, il sistema ponderano in sé mantiene la base romana fino allora usata del talento leggiero babilonese di argento della norma comune di gr. 32745, solo con la va- riante che questo talento, da questo momento in poi, invece delle sue 60 mine fino allora normali di gr. 545,75 fu diviso in 50 mine di gr. 654,90. Con ciò si era ottenuta una comoda relazione di com- puto coi pesi attici; la nuova mina romana di gr. 654,90 è identica con la mina attica del commercio, e la nuova mezza mina, oppure la libbra di gr. 327,45, è contenuta nel talento commerciale attico di gr. 39294, 120 volte (cfr. tabella 23); invece 80 volte nel talento monetario attico di gr. 26196. Sulla nuova libbra di gr. 327,45 si fonda anche l'ordi- namento monetario dell'anno 268 av. C. Il nuovo asse se- stantario è Ve <^' questa libbra, il denario ne è 7?!» '' " contrasto col sistema romano dell'asse, cioè col principio duodecimale fondato sul computo del rame. Questo sistema decimale subisce una modificazione solo alla fine, quando la dramma si divide non secondo il co- stume italico in 5 litre, ma piuttosto in 3 scrupoli di gr. 1,137 ciascuno (didramma = 6 scrupoli). Siccome noi in- contreremo di nuovo lo scrupolo nel suo territorio patrio, r Etruria, così diremo altro ancora intorno ad esso. Qui ri- mane solo da citare che Roma faceva coniare nella sua zecca di Capua anche didramme e dramme d'oro, oltre a un pezzo d'oro segnato col numero XXX (--= 30 assi librali) di 4 scrupoli (gr. 4,548), il quale si può intanto considerare pezzo anormale, in quanto esso non entra nella rimanente divisione decimale del sistema (essendo Vtsoo ^^^ talento). Il fatto infine che anche Volsinii coniava un pezzo d'oro d'egual peso di 4 scrupoli e il numero XX (20 dramme), inoltre pezzi d'oro di uno scrupolo col numero A (= 5 dramme) e dramme d'argento di peso normale di gr. 3,41 (segnate con I = I dramma) mostra che questa valutazione romano- (i) Napoli ■= gr. 346,60. — Haeberlin = gr. 328,64 e 326,40. — Pa- rigi = gr. 306,50. LE BASI METROLOGICHE DELL' ITALIA MEDIA 381 campana aveva servito di modello anche per una delle mo- netazioni più recenti dell'Etruria Meridionale (^). Con ciò veniamo all'Etruria. La valutazione romano- campana di tre scrupoli si adattava qui nella coniazione già citata volsinese al computo del paese, tanto più facilmente che in Etruria da tempo esisteva una valutazione d'argento fondata su base eguale. Si tratta con ciò di uno dei due sistemi etruschi per l'argento con Io statere di gr. 11,37, nel cui decimo, o litra si presenta la prima apparizione di valore dello scrupolo di gr. 1,137, che poi divenne una gran- dezza di valore così importante nel sesterzio romano. Questo statere porta nella numismatica il nome di per- siano-etrusco, mentre con ciò la mente è collegata al con- cetto di trattarsi di una imitazione dello statere coniato dai gran Re persiani nel peso normale di gr. 11,22. La differenza è visibile dalle tabelle 11 e 12. Lo statere persiano di gr. 11,22 appartiene alla norma del talento babilonese d'argento, inalzata a '/se» ^^ statere etrusco di gr. 11.37 invece alla norma elevata di Vs4 del medesimo talento ; per cui si può giungere solo a una con- fusione se la óenomìnazìone persiano venga mantenuta anche per lo statere di gr. 11,37 (2). In questo peso però la serie etrusca d'argento che qui ci occupa ne porta da un Iato la prova che il talento di gr. 341 IO, che noi abbiamo imparato già a conoscere in (i) Particolari maggiori sopra le monete d'oro precitate si leggono nel mio lavoro : Die jfmgste ttruskische und die àllesle rómische Goìdprà- gutig in Zeitschrift fftr Numismaiik, voi. XXVI, 229 e segg. (2) Nei primo abbozzo di questo lavoro, per non mutare la nomen- clatura fissa, avevo mantenuto per entrambi i generi dell'argento, cioè per lo statere di gr. 11,37 ^ P^*" 'o statere di gr. 8,53, di cui parleremo più tardi, le determinazioni, persiano ed euboico-siracusano, mentre io mi limitava ad osservare e ad indicare l'inopportunità di esse. Se- guendo un ammonimento del Regling, ritengo più esatto di rinunciare a queste indicazioni. Entrambe le serie sono babilonesi, e quella più leg- giera appartiene alla norma più elevata B del talento ponderano (ta- bella 3), quella più pesante, invece, all'eguale norma del talento d'argento (tabella 11). Con ciò si può parlare del piede d'argento etrusco leggiero e pesante, o entrambi i generi distinguere come stateri secondo la mina ponderaria babilonese e la mina babilonese d'argento. 49 382 E. J. HAEBERLTN Roma, nel Lazio, nella Campania e nell'Apulia, appartiene anche ai pesi locali accolti in Etruria; d'altra parte, che qui, in contrasto con la sua divisione romano-campana si divideva non in 50, ma in 60 mine, cioè che la sua divisione originaria babilonese fu lasciata immutata in Etruria, poiché lo statere di gr, 11,37 ^ la 50* parte della mina sessagesima di gr. 568,49 (cfr. tabella 11). Col piccolo numero dei pezzi d'argento allegati a prova, l'affermazione potrebbe parere arrischiata, che il suo peso nor- male importi gr. 11,37 ^ "^" 11,22, e lo sarebbe anche, se non fosse sostenuta in modo esauriente da due argomenti o consi- derazioni. La prima è anzitutto la considerazione teoretica che la litra dello statere d'argento senza dubbio rappresenti il modello dello scripulum romano, che si deve fissare sopra ogni dubbio nel suo peso di gr. 1,137; secondo cui lo sta- tere deve riuscire come il decuplo di gr. 11,37. Inoltre vi è la prova pratica che si deve trarre dall'oro etrusco, poiché tutte le monete d'oro etrusche coniate da un lato solo stanno parimenti secondo questo sistema, cioè come un quarto, un ottavo e così di seguito dello statere di gr. 11,37, ^ l'aggiu- statura dell'oro è già nell'antichità assolutamente così esatta, che si può trarre con sicurezza il piede monetale. Ora io dò le serie esistenti in oro e in argento del piede pesante etrusco d'argento con l'indicazione dei loro segni di valore e i loro pesi normali : A). — ORO. Segni di valore Specie In litre Esatte Arrotondate I. t = 7* stat.' = 50 litre = gr. 2,8424479 = gr. 2,84 2. AXX ^^ /s W = 25 „ = gr. 1,4212239 = gr.i,42 3- ^IIX ^^ / 1 6 » = 12 7^ „ = gr. 0,7106119 = gr.o,7i 4. X "^^ /2O » = IO „ = gr. 0,5684896 = g'-.o,57 5- 1 "^^ /so » = I litra =- gr. 0,0568489 = gr. 0,057 LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA. MEDIA 383 B). — ARGENTO. 6. XX = statere doppio di unità leggiera . = gr. 22,74 7- A = statere di unità pesante .... = gr. 11.37 8. X == statere di unità leggiera .... = gr. 11.37 9- A = mezzo statere di unità leggiera . = gr. 5,68 Se fra le rare monetine etrusche senza segno di valore si trovino effettivamente degli altri mezzi stateri di gr. 5,68 e inoltre litre di gr. 1,137, debbo rimanere indeciso tanto più, in quanto il peso delia litra può mostrarsi, dai pezzi grandi che abbiamo a disposizione, senza dubbio più esatto che se potessimo trarlo praticamente dai pezzi piccoli. Le notizie di peso che offriamo sono come segue : A. — Per Toro. Aggiunta al n. I. /B' — Testa di leone a dr. 1^ — Campo liscio gr. 2,83, apparteneva allo Strozzi (Il pezzo d'oro che pure si trovava nella collezione Strozzi con l'ippocampo a dr. e sotto A, è citato nel catalogo n. 529 con gr. 2,78; il suo numero di valore si riferisce a stateri). Aggiunta al n. 2. ^ — Testa di leone a dr. 9» — Campo liscio gr. 1,43, Firenze; gr. 1,39, Strozzi; gr. 1,38, Maffei, Volterra. — Inoltre; Pezzi con testa maschile o femminile a d. o a sin., col rove- scio campo libero: gr. 1,43, Firenze; gr. 1,42 e 1,40 già Strozzi. — Inoltre altri 5 pezzi di gr. 1,37 fino a scendere a 1,30. Aggiunta al n. j. fy — Testa di leone a dr. 5* — Campo liscio, gr. 0,72, già Strozzi. 348 E. J. HAEBERLIN Aggiunta al n. 4. ÌB' — Testa maschile a dr. ^ — Campo liscio, gr. 0,58 = 4 esemplari — gr. 0,57 = 5 esemplari — gr. 0,55 = 1 esemplare — gr. 0,53 =1 esemplare — gr. 0,52 = 2 esemplari. Aggiunta al n. j. ^ — Piccolo disco d'oro con • I • P — Campo liscio, gr. 0,06, già Strozzi. Questo elenco mostra che i pezzi più pesanti, i quali qui devono essere considerati come i rappresentanti più sicuri della norma, portano espresso il loro peso intero, mentre ai pezzi più leggieri nella regola occorre aggiungere qualche cosa per la perdita del peso proveniente dall'uso. Lo stesso risultato segue anche dall'argento, quantunque non con l'esat- tezza dell'oro. Aggiunta al n. 6. ^ — Polipo uscente da un'anfora. Il) — Campo liscio, gr. 22,61, Londra; gr. 22,56 e 21,41, già Strozzi (i). Aggiunta al n. 7. ^ — Statere con testa maschile a dr. o sin. (in parte Zeus? in parte Apollo). 1^ — Campo liscio, gr. 11,38, Parigi — gr. 11,36, Londra; poi 12 esemplari di gr. 11,24 ^^^ a gr. 10,42. Aggiunta al n. 8. Tipo della moneta come al n. 6 ; gr. 11,53, Volterra, Mu- seo Guarnacci (pesato da me). (i) L'esemplare del catalogo Strozzi, n. 542, tav. i, pesa gr. 21,41, come nel Gabinetto Num. di Berlino fu accertato in occasione di un invio per esame. La citazione nel catalogo gr. 22,56, dovrebbe riferirsi a un altro esemplare posseduto dallo Strozzi, ma forse venduto come duplicato: è riprodotto da Bompois nella Revue Archeol., 1879, tav. Il, 5 (la riproduzione mostra che non si tratta del pezzo venduto nell'asta del 1907) e pesava, secondo il Bompois, gr. 22. LE BASI METROLOGICHE DELL* IT ALLA MEDIA 385 Aggiunta al n, g. Tipo come al n. 6, gr. 5,80 ; citato n&WJahresbericht di Regling pel 1903-4 in Zeitschrift fùr Nitm., voi. 25, pag. 32 (secondo L. de Feis). Alla fine vi sono stateri pure appartenenti a questa serie colla gorgone alata al diritto, e la ruota arcaica al rove- scio in 3 esemplari di gr. 11,35 (Gotha); gr. 11,30 (Pa- rigi); gr. 11,13 (Londra, con la leggenda Thezi). mentre della sorta con la chimera (mezzo leone, mezzo serpente sul di- ritto, campo liscio al rovescio) non pare siano stati ancora riconosciuti esemplari che passino il peso di gr. 11. Come si deve attendere, per l' argento la norma di gr, 11,37 fu in parte oltrepassata, in un caso giunse fino a gr. 11,53. I numeri di valore dell'argento si riferiscono alla piccola unità dell'argento, la //"/ra, ma non all'asse, come era stato asserito all'ombra di una chiara conoscenza dei rapporti monetari etruschi da Deecke e da altri, poiché nessuno dei due sistemi d'argento etrusco ha da fare il meno possibile con Yaes grave appartenente a un'altra regione del paese. Tutte le ipotesi messe innanzi su questo argomento, come vedremo in sèguito, hanno condotto a conclusioni del tutto avventate. Così pure i numeri del valore dell'oro si riferiscono alle litre d'argento; ma come risulterà da una di- scussione della specie leggiera dell'argento etrusco, secondo un rapporto dell'oro all'argento di i : 15, essi si riferiscono a litre di gr. 0,85, non a scrupoli di gr. 1,137. La divisione dello statere in io litre è considerata comu- nemente sicula ; però ella si fonda, come dopo verrà citato, su una base più larga, cioè sul computo decimale in argento, computo generale che vige normalmente per questo metallo per tutta la penisola dell' Etruria fin verso la Sicilia. Perciò fu errato di chiamare siracusano lo statere etrusco leggiero di gr. 8,53, al quale si ascriveva il peso euboico (attico) di gr. 8,73, per la ragione che si divide in io litre; col medesimo diritto si potrebbe chiamare viceversa etrusco il sistema siculo. Della specie che ora qui ci interessa sorprende che gli 386 E. J. HAEBERLIN stateri del medesimo peso normale in gr. 11,37 portino l'in- dicazione delle litre, parte con A, parte con X (sopra n. 7, 8; nello statere doppio n. 6 con XX, nel mezzo statere n. 9 con a), e un analogo fatto troveremo anche per la specie leggiera di gr. 8,53. Questo ha la sua base in ciò, che l'accettazione del peso babilonese nell'Etruria era così piena che anche entrambi i talenti, il pesante e il leggiero, marciano l'uno presso l'altro. Infatti dalla tab. 11 si rileva che i pezzi d'argento di gr. 11,37 sono mezzi stateri del talento pesante e nello stesso tempo stateri pieni di quello leggiero. Gli stateri con il capo maschile e il numero di valore A dovrebbero essere considerati i più antichi di fronte alla specie con l'anfora e il pòlipo che sullo statere è segnata con X, sul doppio statere con XX, per le loro forme gra- ziose non possono appartenere a nessuna sorte di un pe- riodo molto remoto. Ma anche se questa ipotesi non dovesse essere dimostra- bile quanto allo stile, noi dovremmo, secondo esperienze di indole generale presupporre, che originariamente, cioè già nel periodo senza moneta, il peso pesante, e più tardi quello leggiero, formavano la base della valutazione, la cui influenza sulla moneta giunse ad esprimere in modo che il numero di valore A si riferisce a 5 scripula doppi di gr. 2,274, ^^ ^^' mero di valore X invece a io scripula semplici. Per la differenza di luogo possono entrambi i modi di valutazione col tempo essere rimasti l'uno vicino all'altro. Riguardo poi all'ipotesi, che nel sistema della valutazione dello scrupolo non lo scripulum semplice, ma quello doppio formi l'originaria unità d'argento, si aggiunge la considera- zione del fatto importante che questa unità rappresenta nel rapporto di i : 120 l'equivalente d'argento della libbra osca di rame di gr. 272,875. Il fatto che in Roma, secondo la notizia di Dionigi rife- rentesi all'anno 477 a. C, libbre di rame di peso osco erano pesi, secondo la norma comune del talento leggiero babilo- nese d'argento, ma numerati secondo la norma regale B, ci offriva la prova che in quella città l'argento stesse al rame nel tempo antico nella proporzione i : 125, e che una gran- LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 387 dezza d'argento di gr. 2,183 formasse l'equivalente nel valore della libbra di rame. La oscillazione del rapporto di entrambi i metalli, che è probabile anche per Roma dopo il 312 a. C. di i a 120, deve essersi compiuta da sé per tempo nel periodo intermedio e precisamente sulla base di influenze etnische. L'Etruria disponeva prima di Roma di una gran quan- tità di metalli nobili; qui poteva il prezzo dell'argento, es- sere inferiore a quello in Roma. Il periodo del principio della coniazione elrusca dell'argento fu in generale posto nella prima metà del V secolo ; e con questa determinazione si accorda lo stile arcaico delie teste di gorgone della emissione più antica degli stateri di gr. 8,53, che portano il distintivo del valore X. Se noi poniamo gli stateri di gr. 11,37 con testa ma- schile e numero di valore A al volgere del V secolo verso il IV, questo numero di valore dimostra che già in questo tempo in Etruria l'argento stava al rame nel rapporto di i : 120. Questo emerge da ciò che nell' Etruria, secondo i ritro- vamenti sopratutto nel territorio meridionale, era esistente proprio la stessa valutazione óeWaes rude senza monetazione, come nel territorio latino; mentre nell' Etruria non si trova nella monetazione la grandezza dell'argento di gr. 2,183 necessaria secondo un rapporto di entrambi i metalli di 1:125; ma qui vi è presente la medesima grandezza dell'argento, la quale copre il rapporto i : 120, cioè lo scripulum doppio di gr. 2,274. Dalla presenza di quest'ultima grandezza dell'ar- gento, in accordo con il fatto che anche in Roma al tempo della valuta librale l'equivalente verosimile d'argento del- l'asse librale di peso osco era di gr. 272,875, ne consegue necessariamente che essa grandezza anche in Etruria rapn presentava l'equivalente d'argento della medesima grandezza in rame, e noi dobbiamo da ciò inferire che la libbra osca, almeno per quella regione dove imperava la valuta d'ar- gento con lo statere di gr. 11.37, costituiva anche in Etruria il peso locale. La scelta appunto di questo piede con la litra originaria- mente di gr. 2,274, in contrasto con la litra di solo gr. 0,85 originari del sistema etrusco leggiero d'argento si deve ri- 388 E. J. HAEBERLIN condurre alla presenza della libbra osca in questa regione» poiché questa htra in argento esprime il valore di quella libbra di rame (0. I cosìdetti stateri di gr. 11,37 col segno del valore A sono perciò mezzi stateri, ai quali deve aver corrisposto uno statere non coniato (almeno non rinvenuto finora) col segno del valore X di gr. 22,74. Come poi il peso d'argento di gr. 11,37 conferma l'uso del talento della norma regale 5 di gr. 341 IO per l'Etruria, così dimostra il rapporto della unità argentea con la libbra osca di rame l'uso contemporaneo anche del talento della norma comune di gr. 32745. Entrambi i talenti quindi, tanto in Roma, quanto in Etruria sono stati in uso l'uno accanto all'altro, ed evidentemente in modo, che non solo pel secondo, ma anche pel primo (con- trariamente al computo quinquagesimale romano campano) era ritenuta l'originaria divisione babilonese in 60 mine. L'innovazione etrusca di coniar monete d'argento, la cui unità di computo, lo scripulum doppio, era uguale in va- lore alla libbra di rame di peso osco, non poteva mancare di esercitare la sua influenza anche nel territorio romano, e an- che qui di introdurre la tariffa eguale di entrambi i metalli. Noi possiamo ammettere che la relazione dell'argento al rame, eguale al rapporto i : 120, sia entrata in valore nel territorio romano circa dal tempo, nel quale nella vicina Etruria incominciò la coniazione di monete d'argento se- condo il piede di gr. 11,37. II mezzo statere dell'unità pesante col segno del va- lore A corrispondeva qui, come pure lo statere di eguale peso di unità leggiera col segno del valore X, a cinque lib- bre di rame; il doppio statere di unità leggiera di gr. 22,74 a dieci di tali libbre. (i) Regling aveva fatto osservazione in Klio, voi. VI, pag. 503, a due lacune che il " nostro „ sistema, cioè quello degli " innovatori „ ha in confronto di quello del Mommsen. Una di queste lacune consisterebbe- in ciò, che 1' unità dell'argento {scripulum di gr. 1,137) "o" risponde all'unità del rame (gr. 272,87), ma alla mezza unità del rame (gr. 136,40). Egli mi scrisse a proposito della precedente determinazione: " Con la dimostrazione del doppio scripulum come antecedente e padre dello scripulum cade una delle due difficoltà del nostro sistema, che io nella Klio aveva sinceramente confessato „. LE BASI METROLOGICHE DELL'iTAI lA MEDIA 389 Per esprimerci in latino, il primo è il quincussis, l'ultimo il decussis della valutazione librale àeWaes rude rappresen- tato nell'argento. Quella parte dell' Etruria, nella quale grandezze di valore e di peso stavano in così aperto accordo con la regione ro- mana, non può essere stata altro che l'Etruria Meridionale. È questa la parte del territorio che per la prima aspirò alla romanizzazione, e con la quale da tempo stette nei rap- porti più vivi la città del Tevere, rapporti che trovarono poi la loro espressione in un afflusso di influenza etrusca in Roma (periodo dei Tarquini), più tardi nello sviluppo dell'influenza romana nel territorio a nord del Tevere. Questa plaga etru- sca meridionale precorse quindi il lento sviluppo romano nella modificazione del comune valore di computo della libbra ponderaria osca di bronzo sotto forma di moneta; però non addusse questa moneta come più tardi Roma, nella forma dell'asse librale, ma in pezzi d'argento, la originaria unità di computo dei quali, il doppio scripulum, rappresentò il valore dell'asse librale; 25 mezzi stateri etruschi di unità pesante col segno del valore A di gr. 11,37 (= gr. 284,25 d'argento; cfr. tabella 11 ^) sono, secondo il rapporto del valore i : 120, eguali a 125 assi librali di rame di peso osco di gr. 272, 875, e rappresentano quindi sullo scorcio dal quinto al quarto secolo nell'Etruria Meridionale, e quindi probabilmente anche in Roma, l'equivalente d'argento del talento bronzeo di com- puto di gr. 34110. Secondo questa norma ebbe perciò valore anche in Roma l'argento in quadrilateri verosimilmente già da questo tempo. La diminuzione dell* unità di computo del doppio scripuUim nell' Etruria alla metà, cioè al semplice scripulum di gr. i. 137 ebbe probabilmente luogo già in tempo molto antico come si può dedurre da ciò, che anche in Roma fu introdotto nell'uso, quando, circa l'anno 312 a. C, passò nella monetazione cam- pana sul piede della dramma di tre scrupoli. La diminuzione delle unità originarie di computo alla loro metà, in entrambi i sistemi etruschi dell'argento si fonda, quindi non già su una bancarotta dello Stato, o su un retro- cedere del valore del rame fino alla metà, o sull'abbassa- mento di un qualche peso delibasse al piede del semis o 50 390 E. j, haebErlin qualsiasi cosa simile, quanto più sbrigliate sono le fantasie nella letteratura numismatica; ma essa avvenne semplice- mente per Io scopo di un alleviamento dell'unità di com- puto, neir intenzione di procurare, anche per le più piccole necessità della vita, delle minori grandezze di denaro con lo sviluppo progressivo del piccolo commercio. Noi ci incon- triamo dappertutto in questo fatto nell'antico sviluppo della monetazione, e diverrà chiaro poi più innanzi, quando parle- remo del sistema leggiero delio statere di gr. 8,53, fino a quali piccoli valori in denaro, appunto nell'Etruria, si fosse discesi. Il particolare che, dal tempo della riforma della moneta- zione romano-campana lo scrupolo semplice d'argento sia entrato col valore del semis librale di bronzo anche nel campo romano, nella posizione della unità direttrice del computo, questo particolare, come dimostrai nella Sysiemaiik (pag. 39 G sgg.), condusse poi anche nella capitale alla riduzione, cioè all'abbassamento dell'asse al piede semilibrale, però con la conservazione di tutti gli altri rapporti fra argento e rame, cioè senza che questa accettazione di misura per la più pic- cola parte abbia introdotta una mutazione nella valutazione. Ma con ciò l'asse della capitale giunse contemporanea- mente di nuovo in relazione diretta con lo statere etrusco di gr. 11,37, che porta il segno del valore X, poiché questo statere è eguale in valore al decussis della riduzione semi- librale romana. Lo scripulum, perciò, non è formato, come finora molte volte fu ammesso, e come io stesso ammisi nella Sysiemaiik per la divisione della libbra romana seriore di gr. 327,45 in 288 parti. Lo scripulum è soprattutto, secondo la sua origine, non già una grandezza di bronzo, ma, fin dal principio un peso d' argento, formato nell' Etruria Meridionale e trasportato a Roma al valore della mezza libbra osca di bronzo, secondo il rapporto fra i due metalli di i : 120 Ci). (i) Qui sta l'importante differenza di natura dello scripulum dalla litra sicula di gr. 0,873. Quest' ultima valse solo come l'equivalente in argento della litra di rame di gr. 109,15 mentre lo scripulum doppio, LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 39I La conclusione di queste osservazioni è per tanto che lo scrupolo nel territorio della Media Italia abbia impedito l'entrare della valutazione attico-sicula; ch'esso, divenuto l'unità di computo di Roma, condusse alla formazione del denaro nel computo del quadruplo, infine che il campo di valore della libbra di rame osco-latina e dei talenti che non possono da quella separarsi, di gr. 32745 634110, non trovò i suoi confini al Tevere, ma da qui verso nord li estese anche su una parte dell' Etruria. Questa parte dell' Etruria era quella stessa che per la prima era stata incorporata al territorio della potenza ro- mana, e la cui estensione giungeva almeno fino alla regione di Volstnii, mentre la coniazione più recente in oro e in ar- gento di Volstnii, formata' sul piede romano-campano ci dà la prova che anche fin qui si estendesse il campo della va- luta dello scrupolo, la quale formava la comune base del computo, tanto dello statere etrusco da dieci scrupoli di gr. 11.37, quanto della didramma romano campana da sei scrupoli di gr. 6,82. 2. — Il talento fenicio derivato di gr. 37900. Le didramme che Roma fece coniare dall'inizio della sua attività (circa il 335 av. C.) nella sua zecca capuana raggiun- gono un peso massimo di gr. 7,60 (0. Il suo peso normale si può ammettere di gr. 7,58, e se- condo questo, la dramma è di gr. 3,79, che però non fu coniata da Roma. Una libbra osco-latina pesa 72 di queste dramme, come più tardi la libbra nuova romana era eguale in peso a quantunque eguale in valore alla libbra di rame di gr. 272,875, fu trattato esclusivamente come parte integrale della valuta d'argento. Perciò la suddivisione della litra sicula secondo jl computo del rame in 12 oncie; dello scripulum, d'altra parte (per Roma e la Cam- pania), secondo il computo dell'argento in io libelle. (i) Per il tipo della testa di Marte barbuto a dr. sul diritto e sul rovescio della proteine del cavallo a sin., e sotto ROMANO, ved. Bahrfeldt, Monete romano-campane, pag. 6, tradotto da S. Rica nella Rivista Ital. di Numismatica, 1899-1900. 392 E. J. HAEBERLIN 72 denari. Così afferma anche Regling nella Klio, voi. VI, pag. 492. In contrapposto alla didramraa seniore da Roma posta in sua vece, di sei scrupoli e del peso di gr. 6,82, questa didramma piìi antica di gr. 7,58 non si è però sviluppata dal sistema ponderano romano della capitale: si presenta piut- tosto come una grandezza forestiera di valore e di peso, ac- cettata da Roma per il suo territorio campano, solo nella ulteriore considerazione delle abitudini del paese. Questa grandezza di peso e di valore stava in relazione per nulla confortante con la sua valutazione patria del bronzo, poiché nel rapporto dell'argento al rame di i : 120 si dà la valutazione incomoda della didramma a 3 Vs. della dramma a I Vs assi librali di libbra osca. Questa valutazione fu da Mommsen in poi detta focese ed anch'io mi sono servito di questa denominazione in varie pubblicazioni. Già nella Klio, al luogo citato, Regling ha però invece introdotto, che le dramme della colonia Velia, situata nella Lucania, che costituiscono il piede focese spe- ciale, non stiano sulla base di 772 ^^^ piede osco, ma di un peso maggiore, cioè gr. 3,94 per la dramma, 7,88 per la didramma, e che quindi non può apparire secondo il fatto, che anche i pezzi di gr. 3,79 e in proporzione 7,58 indichino la presenza del piede focese. Io aderisco anche qui all'opinione di Regling (}). dopo un (]) Anche Hultsch {Metrologie, 2.» ediz., pag. 677, nota 3) ha già ri- fiutata la denominazione " focese „, adoperata dal Mommsen; con che dagli antichi già si comprendeva la valutazione dello statere pesante babilonese d'oro. A pag. 174 1. cit, nota 4 e 5 lo Hultsch ha riunito in- sieme tutte le antiche citazioni del vocabolo focese. In quanto alla cosa in sé si osserva quel che segue: alla tabella 17 fu già notato che Leh- mann nello Hermes, XXXVI, pag. 129 e sgg., aveva dimostrato un doppio elevamento del talento fenicio d'argento della norma comune per due volte ^jg^ (= 7i«) ^^^ ^h^ s' ottiene nel talento pesante uno statere (tetradrainma) di gr. 15,77, un mezzo statere (didramma) di gr. 7,88, e un quarto di statere (dramma) di gr. 3,94. Questa è la va- lutazione cartaginese e dell'Asia Minore [Kleinasiaiisch-Karthagische) diffusa pel mondo, che fu seguita anche da Focea come fu provato dai suoi più antichi sesti (Sxta) di elettron di circa gr. 2,63 (^/g di 15,77 g""-). soprattutto anche dalle più antiche dramme della sua colonia Velia con LE BASI METROLOGICHE DELL'iTAUA MEDIA 393 esame minuto. Infatti anche la didramma di gr. 7,58 secondo a tabella 15, comparata con la tabella 21, non rappresenta niente altro se non una grandezza di peso tolta dall'origi- nario talento fenicio d'argento della norma regale B (eleva- mento a VaJ. P^i" cui sembra più esatto di indicarlo, o diret- tamente come fenicio, o secondo il suo campo di valuta come campano, come nuovo campano, in confronto con la didramma campana più antica di gr. 7.88. Si avrebbe quindi per le va- lutazioni d'argento campane, da quanto si è sopra detto la seguente nomenclatura: - 1. Didramma di gr. 7,88 = forese o campana antica. 2. „ „ 7,58 = fenicia o nuova campana. 3. ^ „ 6,82 = didramma romana di sei scrupoli (oppure romano-campana). Noi abbiamo trovato, a proposito del talento di gr. 341 io, che nell' uso romano-campano s'incontra dopo il secondo periodo della coniazione d'argento romana nella Campania, cioè secondo l'abolizione del piede fenicio, che esso si divideva in 50 mine di gr. 682,20, loo libbre di gr. 341,10, 5000 didramme di gr. 6,82 e loooo dramme di gr. 3,41. Vien spontanea l' ipotesi che in questo ordinamento siasi seguita una norma più antica, la quale anzi fosse già in uso soprat- tutto al tempo del piede fenicio, e, se questo è il caso, si il leone, che raggiungono il peso di gr. 3,94. (Regling, catal. IVarren, n. 117). Questo piede vien denominato necessariamente focese, per man- canza d'altra denominazione, quantunque questa denominazione per nulla indichi esaurientemente la sua estensione e il suo uso. Lo adot- tarono in tempo pili antico anche un numero di città della Campania, come, p. es., Cumae, Neapolis, Hyria, Phistelia, mentre, però il peso delle loro emissioni più recenti tanto appare diminuito, che di fatto già giunge alla norma romana, per la quale la didramma fu fissata definiti- vamente alla norma elevata fenicia B di gr. 7,58. A questa determina- zione si sono poi associate anche le zecche campane, che erano rimaste autonome. Molto degno di nota rimane, del resto, il fatto che Roma, quando abbassò verso il principio della guerra annibalica il denaro da g""- 4,55 ^ gì"' 3,90, adottò anche, come già Nissen rettamente riconobbe {Metrologie, 1.* ed. pag. 707; cfr. Lehmann, Hermes, voi. XXXVI, pag. 132), appunto la dramma cartaginese. 394 E. J. HAEBERLIN avrebbe avuto dalla dramma di gr. 3,79 una libbra pesante cento cotanti = gr. 379; una mina pesante duecento cotanti = gr. 758; un talento pesante diecimila cotanti == gr. 37900. Che però una simile scala sia in realtà dimostrabile, lo si vedrà da quel che segue. Noi abbiamo trovato tecnicamente, in relazione alla ta- bella 21 che, se dalla mina di 758 gr. cioè dalla mina sessa- gesimale del talento pesante fenicio d'argento della norma re- gale B di gr. 45480, si fosse formato un talento di 50 mine, si avrebbe per questo talento il peso di gr. 37900 diminuito di un sesto. Entrambi i talenti si sarebbero quindi presentati nell'uso della Media Italia.romana sulla base dell'uguale prin- cipio di divisione reciprocamente come segue: Tabella XXIV. babilonese (leggiero) fenicio (pesante) Talento = i g:r. 34110,00 gr. 37900,00 Mina = Vs» n 682,20 » 758,00 Libbra = V^oo » 34i»io » 379,00 Didramma = Vg^oo » 6,82 » 7.58 Dramma = Vxoooo n 3.41 » 3.79 Rimane ora da dimostrare che in realtà i pesi di gr. 758 e 379 nel denaro pesante dell' Etruria e del Piceno si pre- sentano come nominali monetari fusi, e sono colà divenuti base di sistemi. Se questo è il caso, intercede fra la di- visione di entrambe le serie di pesi un accordo iniziale dalla dramma alla mina, che noi con buon fondamento possiamo estendere tale divisione anche nella serie fenicia fino al multiplo di l'oooo della dramma, cioè fino al talento e in questo talento contemporaneamente possiamo riconoscere il centumpondium della libbra, che, secondo la norma italica, si deve considerare come una parte sostanziale della serie. In questo senso non vi è nulla in contrario a determinare il talento di gr. 37900, come nell'intestazione di questo para- grafo quale talento fenicio derivato. Se noi seguiamo l'impiego del piede fenicio più a lungo verso Oriente, allora troviamo che anche le città dell'Apulia Arpi e Teate' avevano coniato argento di questo piede. LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 395 Il Catalogo di Londra mostra per Arpi una didramma di gr. 7,18, il Catalogo di Berlino per Arpi e Teate una di- dramma di gr. 7,15, l'elenco del Re^ling {Klto, voi. VI, p- 509) per Arpi un massimo di gr. 7,24. Questo però è il peso campano usuale della forma più. tarda, che la maggior parte delle volte non sorpassa gr. 7,40, come in rapporto alla coniazione romano-campana (il cui ar- gento di piede fenicio parimenti sta al disotto molte volte della norma) fu seguito dalle zecche campane più recenti. Cales, Suessa, Teanum, Nuceria e da altre zecche non meno che da Napoli alla fine. (Su questo punto vedasi an- che Regling, al 1. cit., pag. 492 e 508, nota 3.*, riferibil- mente a Taranto). Ora vi si aggiunge la considerazione che nel periodo di tempo nel quale le città dell'Apulia, Arpi e Teate coniavano argento, cioè circa il 300 av. C, o sùbito dopo, le contrade confinanti fino allora poco coltivate, cioè il paese dei Yestini e il Piceno, fossero soprattutto influenzate dal tipo apulo. Questa influenza si mostra chiaramente nel loro denaro pesante, poiché Vaes grave dei Vestini e del Piceno non si basa su nessun altro peso all' infuori del fenicio, cioè sulla libbra ^* ^^- 379- Da Atrii usciamo come dall'officina del denaro pesante, di gran lunga più importante di tutte quelle che si trovano alla costa orientale italica. Intorno al piede dell'asse atratino si trovano anche nella letteratura numismatica mo- derna le indicazioni più errate. Hultsch, con una maniera molto curiosa di computo {Metrologie^ 2.* ediz., p. 682 e sgg.) in accordo con l'elenco dei pesi di Mommsen-Blacas (voi. I, p. 355 e sgg.) di ben 65. pezzi atratini, fra cui 13 assi, è giunto alla conclusione che il computo normale dell' asse atratino non dovrebbe essere considerato sotto gr. 491,20, quantunque l'asse più pesante dell' elenco raggiunga solo gr. 410, il più leggiero invece gr. 328 (il Questo punto da gr. 492 fino a gr. 491,2 è, come (i) Hultsch parte su questo argomento da punti di vista assoluta- mente erronei. Pure preso nell'errore che la valutazione librale romano- latina si basi sulla libbra di gr. 327,45 e studiando solo sul materiale di peso InsuflHciente che aveva a disposizione il Mommsen, egli computa 396 E. J. HAEBERLIN norma verosimile del peso atratino dell'asse, passato anche nella Handbook dello Hill (1899, p. 60), Nel volume Italischer Landeskunde del Nissen (voi. II, 1902, p. 73) si può pure leggere che Atri abbia fuso rame secondo una libbra da 500 fino a 600 gr. Ma su che principio questa opinione si fondi non è detto. In verità la cosa sta tutta diversamente: 54 assi atratini da me pesati da gr. 415,49 a gr. 323,40 danno un peso medio di gr. 371,77. Un risultato possibilmente sicuro, però è ottenuto da quelle serie, presso le quali gli assi sono rap- presentati solo in proporzione debolmente, in modo che se computino tutti insieme i nominali, si riducano ad oncie, e dal peso complessivo dell'intera serie si misura la media per l'asse. Io chiamo questo metodo il conto della media delle serie, esso fissa da un lato il rapporto nel quale i sot- tonominali, duodecimali o decimali, stanno all'asse, dal- l'altra parte assicura essa un controllo certo del peso del- l'asse. Se si computa in questo modo per 54 assi atratini 21 pezzi di quicunce, 24 trienti, 47 quadranti, 77 sestanti, 69 uncie e 39 mezze uncie, allora si pone la media della serie del rame pesante atratino per l'asse a gr. 371,22, e così procura un risultato quasi eguale alla media degli assi, differente solo per un mezzo grammo. In generale il consumo dei pezzi è visibilmente alquanto più grande di quello esi- stente presso la serie librale della capitale, perchè la percen- la serie librale della capitale di un peso effettivo di soli 9,88 e le serie latine a un peso simile di sole 10,43 uncie della libbra normale da lui pensata. Da questo apparente ammanco ne venne la conseguenza che anche la serie atratina, per la quale lo Hultsch computa un valore medio di uncie 15,23 debba stare in paragone con la sua libbra su un rapporto analogo errato di peso mancante, sul quale egli pone questa libbra almeno di 18 uncie nuove romane = gr. 491,20. Questa è la cosìdetta fxva ItaXixY), della quale lo Hultsch a pag. 674 pensa, di nuovo errando, che sia una diminuzione della mina babilonese leggiera di gr. 504. Le tabelle i e 4 danno che la mina di gr. 491,18 stava accanto come mina ponderarla leggiera babilonese della norma comune a quella di gr. 504,82 quale norma regale C della medesima mina (elevazione dell' Vse)- Ma né l'una, né l'altra non hanno nulla a che vedere con il peso atratino. LE BASI METROLOGICHE DELL* ITALIA MEDIA 397 tuale dei pezzi che in tutto appartengono ai tesori nascosti, è poca. Oltre a ciò, per quelle serie presso le quali predo- minano i sottonominali, l'elemento del consumo dei pezzi è più notevole perchè, come già si accennò, parecchi pezzi divisionari, che formano un asse, presentano una superficie più grande di quella che presenti un solo asse. Se noi quindi troviamo nella serie di prora della capitale un consumo di circa 5 gr. sull'asse, questo è assolutamente corrispondente al fatto che nella serie atratina corre tale consumo a circa 7 fino ad 8 grammi, con che noi senz'altro giungiamo al peso librale di gr. 379, cioè alla metà dalla mina pesante fenicia d'argento di norma elevata B. Non può dunque esservi dubbio che alla dramma fenicia ^* &^- 3»79 corrisponda centuplicata una libbra di rame pe- sante italica, e che questa libbra sia a base dell' aes grave atratino come peso dell'asse. Sulla base di questa libbra di gr. 379 è fuso anche il denaro pesante dei Vestini e di Ariminum {Rimini). Ma la rarità di queste monete non rende possibile intanto con eguale sicu- rezza come presso la serie atratina di porre i pezzi in accordo con la norma. Il denaro pesante vestino (Garrucci, tav. LXII, n. 5 fino a 8) è inoltre rappresentato solo in sestatts (4 pezzi) lincia (io pezzi) e mezza lincia (8 pezzi). La media di questi pochi pezzi molto pesanti si presenta in gr. 391, oltrepassa però verosimilmente la norma, che pure da tali sottonominali può essere ottenuta solo approssi- mativamente. Di Rimini (Garrucci, tav. LIX e LX) vi è solo un unico asse mal conservato nel Museo Olivieri di Pesaro ^i ?S- 340,20 (mio peso, non gr. 396, come Garrucci cita certo per scambio con un calco in piombo del Museo Kircheriano di gr. 405,90) : non può quindi servire per la determina- zione di peso (i). Del resto 86 pezzi dalla quincunce fino alla mezza uncia danno un risultato che rimane indietro della serie atratina di circa io gr. Essi sono pezzi fusi (i) Quello che sopra fu detto circa questo asse dev'essere corretto; poiché io lo esaminai frattanto di nuovo nel Museo Olivieri, nell'aprile del 1909, venendo alla conclusione ch'esso è falso. 39^ E. J. HAEBERLIN molto irregolarmente e visibilmente leggieri; in parte an- che molto usati. Buoni esemplari dei grandi nominali conducono frattanto anche qui alla norma. Così i quattro esemplari delle quin- cunce (2 Haeberlin, i Kircheriand, i Rimini) per sé soltanto portano il peso alto di gr. 381,98 per l'asse. Che la libbra di Rimini sia la medesima di quella di Atri, non può quindi presentare alcun dubbio. Nel Piceno vi è presente anche un'altra zecca, cioè Fir- mum (Garrucci, tav. LX, n. 3 e 4; il n. 5 non appartiene a Fir- mum). Le sue monete rarissime (solo 3 quadranti 97,65; 66,65; 57,84 gr. come 4 sestanti gr. 49,01; 48,50; 45,67 e 37,80) non permettono però un sicuro giudizio sul piede usato per base. Politicamente Rimini si ascrive all'Umbria; lungi però dalle città dell'interno dell'Umbria posta al mare, riceve la influenza del commercio e della monetazione apula e pi- cena, perciò devesi parlare qui del suo denaro pesante. Alla libbra dell'Italia orientale di gr. 379 dovrebbe corrispon- dere col rapporto di i : 120 un peso d'argento di gr. 3,158, col rapporto di i : 125 un altro di gr. 3,032. Siccome tali grandezze ponderane non sono rappresentate in nessun si- stema dell'argento, si deve dedurne che nel Piceno si tratta di sola valuta di rame, che è fissata senza nessun riguardo a un valore concorrente d'argento. Il denaro pesante etrusco (i) appartiene a due sistemi diversi. Il gruppo pesante sta nell'asse a circa gr. 200, il leggiero a circa 150 grammi. Qui ci occupiamo soltanto del gruppo leggiero. La sua norma si riconoscerà sicurissima- mente dalla serie con la ruota sul diritto e l'ancora sul ro- vescio (Marchi, ci. III, tav. VII fino a IX) perchè in essa oltre esservi l'asse semplice, vi è anche quello doppio e quello quintuplo. Il peso fenicio della norma elevata B), sta a base ap- (i) Io cito secondo Marchi (Marchi e Tessieri, Uaes grave del Museo Kircheriano, Roma 1839), poiché sulle tavole del Garrucci è rappresen- tato solo lacunoso: alcune inesattezze delle riproduzioni del Marchi sono per la questione che ci interessa senza gravità. LE BASI METROLOGICHE DELL' ITALIA MEDIA 399 punto anche del gruppo leggiero etrusco, del denaro pesante, e nei seguenti effettivi nominali (0 : a) nell'asse quintuplo {quinctissis) del peso della mina di gr. 758 (il doppio della libbra fenicia di gr 379); b) nell'asse doppio del peso di Vs della mina = gram- mi 303,20; e) nell'asse del peso di '/s della mina = gr. 151,60. Il quincHSsis della serie con la ruota e l'ancora esiste in due esemplari: Arezzo gr. 748,55; Firenze gr. 707. Il primo è l'esemplare di gran lunga migliore. Esso è di una esattezza al peso normale veramente rara per pezzi così pesanti; 7 dupondi invece da gr. 326,91 a gr. 284,11 riman- gono con una media di gr. 297,05, solo circa 6 gr. (il nor- male grado del consumo) al disotto del peso normale di gr. 303,20; mentre 12 assi da gr. 170,10 fino a 127,82 per la casuale presenza di un numero di pezzi apparentemente più pesanti riescono nella loro media di gr. 151,10 quasi esatti secondo la norma di gr. 151,60. Per la serie con la ruota e l'ancora vi è quindi quest'ultimo peso, il quinto della mina fenicia pesante di argento della norma regale B assi- curato come peso dell'asse, mentre la mina stessa ha trovato la sua espressione nel sistema monetario nel quincussis (2). (i) Le seguenti spiegazioni faranno rilevare che anche in Etruria si tratta soltanto di pesi babilonesi e fenici accolti nel computo. Molto differente era la maniera di osservazione precedente, che ascriveva agli Etruschi una formazione completamente autonoma di misure e di pesi, cfr. MQller-Deecke, Die Etruscker, voi. I, pag. 480, secondo cui " le mi- sure e i pesi italici sarebbero derivati dagli Etruschi e dai Greci, forse già dai Fenici sarebbero state precedentemente trovati in occasione della loro colonizzazione delle isole e delle coste „ (!). (2) Non c'è abbastanza da guardarsi dal modo fuori di strada col quale Soutzo {L'étude des monnaies de l'Italie antique, p. I. Parigi 1887, pag. 44 e seg.) ha intrapreso non a riferire su assi etruschi, ma a in- ventarne. Stretto dalla giustezza dell'errore del Deecke, che abbiano avuto luogo continue riduzioni del denaro pesante etrusco, Soutzo non si limita alla comunicazione dei pesi di assi realmente esistenti, ma finge nel computo pesi di assi più pesanti ai sottonominali più pesanti, pesi di assi più leggieri ai sottonominali più leggieri possibili, come tali tro- vandoli appunto a lui opportuni nella lista dei pesi del Deecke. Io ne dò due esempi : ■ Serie III, Roue et bipenne. As de 200 grammes maximum 400 E. J. HAEBERLIN La media di tutta la serie di 75 pezzi si presenta di gr. 151,68. Secondo mie informazioni avute finora, riservandomi eventualmente a completarle, le ulteriori serie leggiere del (semis de 100 gr.). As de 75 grammes (triens de 25 gr.) enfin As mi- nimum de 59 grammes (quadrans de 13 gr.) „. " Serie VI, Roue et ancre. As de 200 grammes, de 96 grammes (once de 8 gr.) et de 60 grammes (once de 5 gr.) „. In modo analogo Soutzo continua con le altre serie di assi, ma io ho scelto appunto questi esempi, perchè da quelli sorse in sèguito il seguente rapporto : A. Sambon, Les monnaies antiques de l'Italie, voi. I. Paris 193, pag. 30, " On connait des as au type de la roue et de l'ancre pesant 200 gr., 96 gr. et 60 gr.,.. Les as au type de la bipenne pèsent 200 gr., 75 gr., 59 gr. „. Ma al signor Sambon, per le cui mani passarono tante monete pel commercio di esse , non avrebbe dovuto accadere questo ! Soutzo ha sempre la preoccupazione di far conoscere le fonti del peso dei suoi assi nelle sue costruzioni create dai libri, coU'aggiungervi tra parentesi i nominali sottomultipli, mentre Sambon offre al lettore tali pesi come effettivi, come moneta spicciola. Questo ammaestra a comprendere con quale riserbo occorra acco- gliere le affermazioni di un autore che, nello stato critico della cono- scenza del suo materiale, intraprese poco tempo fa nella Rivista Italiana di Numismatica un lavoro piuttosto esteso dal titolo molto promettente: Uaes grave italico, dove le nuove determinazioni sulla mo- netazione romana antica, in parte sono state trascurate, in parte scar- tate con alcune frasi allusive ad esse. In special modo poi furono at- tribuite alle singole città piiì diverse con il maggiore disprezzo dei punti di vista giuridici fondamentali per questo difficile tema le serie pesanti dell'argento, appartenenti all'argento romano-campano con im- pressioni soggettive di stile e di gusto. Del resto, che non sia permesso con Soutzo di costruire pesi di assi per mezzo dei divisionari più grandi o più piccoli (specialmente con uncie coniate!) deve riuscir chiaro a chiunque conosca le oscillazioni straordinarie dei divisionari. In questa maniera si può dimostrare tutto, naturalmente, anche riduzioni di assi presupposti in ogni modo (ridu- zioni che nell'Etruria non si ebbero mai), mentre a chi prova real- mente sulla base delle differenti sorti o specie di denaro pesante, tor- nano con la maggior sicurezza i sistemi pondernrì fondamentali, e non si deve meravigliarsi se i tentativi di Soutzo di penetrare nei segreti di questi sistemi (I. cit., pag. 9) con riferimento ad ogni aes grave alla fine l'abbiano fatto uscire in quel sospiro: Malheureusement les secours que Pon était en droit d'en atlendre, se réduisent en réalité à fort peu de chose ! LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 40I denaro pesante dell' Etruria si basano sui seguenti pesi di media : ^ — Ruota. 91 — xA.nfora (Marchi, ci. Ili, tav. VI; su gr. 149,52. Pezzi n. 42, fra cui 4 assi da gr. 155,40 fino a • gr. 140,43. & — Ruota arcaica. 9 — La medesima ruota (Marchi, ci. Ili, tav. X) su gr. 143,04. Pezzi n. 31, fra cui 5 dupondi da gr. 310 fino a 275; i asse di gr. 159,40. ,©' — Ruota arcaica. 9 — Tre lune falcate (Marchi, ci. Ili, tav. XI) su gram- mi 141,60. Pezzi n. 64, fra cui 3 assi da gr. 149,85 a gr. 139,10. Volterra (Marchi, ci. Ili, tav. I, dove però manca ancora la serie col delfino al rovescio. — Cfr. per questo Garrucci, tav. XLVII). a) Serie con clava, nome della città e segno di va- lore al rovescio su gr. 146,22. Pezzi n. 217, fra cui 6 du- pondii da gr. 303,70 a gr. 252,50; assi 23 da gr. 167,35 fino a gr. 108,08 b) Serie col nome della città e segno di valore al ro- vescio su gr. 141,96. Pezzi n. 142, fra cui un dupondio di gr. 273,90; 7 assi di gr. 181,04 fino a gr. 111,20. e) Serie col delfino, nome della città e segno di va- lore sul rovescio, di gr. 1^2/2^. Pezzi n. 24, fra cui 2 du- pondi da gr. 267,92 fino a gr. 113,60. d) Tre serie unite di Volterra prese in blocco. Pezzi n. 383 su gr. 143,16. Circa la serie delle monete ovali (sul diritto clava, sul rovescio segno di valore, ved. Garrucci, tav. XXVII, n. 3 fino a n. 7), della cui pertinenza all' Etruria o all'Umbria non si è ancora sicuri, si hanno secondo le mie liste finora pezzi "• 254, fra cui 2 assi di gr. 165 e 147,84 con una media di peso di gr. 151,08. 402 E. J. HAEBERLIN Così le medie esistenti e controllate delle serie leggiere del denaro pesante etrusco oscillano secondo il presente stato del mio materiale fra gr. 151,68 (ruota || àncora) e gr. 132,24 (Volterra col delfino). Alla media più pesante si ascrivono in primo luogo le monete ovali di gr. 151,08; a cui seguono di gr 149,52; 146,22; 143,04; 141,96; 141,60; in fine a maggior distanza gr. 132,24. Chi non è molto pratico di antichi pesi, potrebbe trarre facilmente le conclusioni da tali oscillazioni che il piede a bas^ di quelle cifre non sia il medesimo. Ma l'esperto sa che, anche là dove in modo chiaro si può trattare solo intorno a una e alla medesima norma, pre- cisamente anche circa le emissioni della medesima zecca non di rado sonvi notevoli differenze di peso, e in più forte misura tali diff"erenze si presentano nelle differenti officine monetarie. Ora noi dovremmo attenderci per un peso normale di gr. 151,60 e una diminuzione di peso per l'uso da gr. 6 fino a gr. 8 (la forma piatta a guisa di tallero del denaro pe- sante dell'Etruria favoriva un consumo di superficie ancora maggiore) per quel che riguarda queste serie in generale un peso medio odierno da gr. 146 a gr. 143. Delle serie volterrane quella con la mazza al rovescio di gr. 146,22 riesce di gr. 146,22 in un modo molto soddi- sfacente per tale peso (i). (i) Rimangono notevoli anche le osservazioni generali di Regling nella Klio (voi. VI, pag. 512), intorno l'apparire del tutto regolare e ge- nerale per le antiche valute di una diminuzione col tempo introdotta delle recenti emissioni. Anche in questo modo divengono spiegabili le differenze di peso che si incontrano nelle singole serie leggiere etrusche del denaro pe- sante, e perciò si deve considerare specialmente la terza sene leggiera di Volterra, coi delfino al rovescio, come la più recente, tanto più che, constando solo di dupondio, asse e semisse, si presenta esclusivamente come una serie supplementare dei nominali pesanti. Analogamente riesce l'ultima emissione della serie librale della ca- pitale con la prora a sinistra, alla quale manca l'uticia. Il suo peso medio si presenta pure notevolmente più basso, cioè solo di gr. 255,61, contro la media delle emissioni librali più antiche di gr. 267,64. Io aveva LE BASI METROLOGICHE DELL ITALIA MEDIA 4O3 Il fatto che la serie delia medesima officina monetaria senza contrassegni figurati al rovescio presenta una media di gr. 141,96 e quella col delfino sul rovescio solo una me- dia di gr. 132,24, è perciò una prova delle oscillazioni, alle quali il piede monetario eguale può essere sottoposto nella medesima officina. La media bassa di gr. 132,24 non forma perciò in alcun modo una ragione per un peso normale minore. Se si danno pesi medi superiori fino a gr, 151,68, preme molto che col materiale relativamente sempre meno ricco di queste serie vi siano in alcune di esse predominanti dei buoni esemplari di fronte a poco buoni nelle altre serie, fatta astrazione da questo, che in un luogo riuscì forse con peso più pieno a tutta prima di quello che non sia in un altro luogo. Un materiale di peso più copioso di quello che è ora a disposizione porterà i dati di media delle singole serie fra loro ancor più vicini; non si presenta quindi alcun motivo per credere che la norma del quinto della mina fenicia, cioè il peso di gr. 151,60 anche solo per una singola serie non sia la norma già provata per tutte le serie leggiere del denaro pesante etrusco, quale base fondamentale comune di peso (i). Sarebbe di grande interesse la risposta alla questione in qual modo il settentrione della costa orientale italica sia giunto alla libbra pesante di gr. 379. Circa a questo punto, nella condizione presente delle cose sono possibili solo delle ipotesi. Nel lavoro Roms Eintritt in den Weltverkehr soprac- citato accennai, riguardo all'immigrazione dei pesi babilo- nesi e fenici in Italia, all'opinione che in modo sorprendente perciò pensato che alcune singole serie leggiere etrusche, specialmente quelle di Volterra, possano basarsi sul quarto della mina sessagesima • del talento di gr. 34110, cioè 74 di gr. 568^9 (tabella 11) = gr. 142,12; ma per questo diviene troppo alta la media della serie volterranese di peso più pieno con la clava sul rovescio, cioè quella di gr. 146,22. Oltre a ciò vedremo che Volterra non sta nel campo del valore del talento di gr. 34110, effettivamente ristretto alla Etruria Meridionale, ma nel campo del peso fenicio e del talento ponderano babilonese della norma regale B (tabella 3). 404 E, J. HAEBERLIN il bronzo è rappresentato nei ritrovamenti non meno copio- samente alla costa orientale, che dalla natura è sprovvista di rame, di quanto lo sia alla costa occidentale del paese, ricca di rame, dalla quale il territorio transappenninico è di- viso per mezzo di monti, i quali nella condizione d'allora di mancare di passaggi, avrebbero dovuto rendere notevol- mente difficile il trasporto di grandi masse di metallo. Ne proveniva la ipotesi che la costa orientale deve piut- tosto aver ricevuto in sostanza il suo rame per la via comoda del mare dall' Eubea, ove una delle città più commerciali, Calcide, deriva il suo nome dal rame {/.(xIm;), e si potrebbe aggiungere anche da Cipro, il cui nome KuTvpó; significa ap- punto l'isola del rame. Ma Cipro sta già vicino all'influenza fenicia, e, per quanto riguarda l' Eubea, noi trovammo che il talento locale di gr. 26196 dev'essersi svolto dal talento fenicio di gr. 21830 (tabella 13 e 22). Che però accanto a questo talento fenicio della norma comune vi fosse anche nell' Eubea quello della norma ele- vata B (tab. 15), di cui la mina pesa gr. 758 e la libbra gr. 379, non può essere posto in dubbio. Con la merce viaggiava anche il peso fenicio verso l'Italia Orientale, e noi dovremmo qui riconoscere il principio pel quale una parte della costa orientale d'Italia, precisa- mente quella settentrionale, si servisse della libbra pesante di gr. 379. Da qui questo peso giungeva, con la relativa mina di gr. 758, nell'interno del paese, e specialmente in quella parte dell' Etruria che più tardi ancor più esattamente si dovrà determinare, alla quale appartiene la serie etrusca leggiera del denaro pesante. Certamente noi trovammo peso fenicio anche in Cam- pania, nella dramma di gr. 3,79. Ma questo dimostra solo quanto il commercio della Fenicia si estendesse in modo eguale sulle differenti parti del territorio della costa italica., {Continua) E. J. Haeberlin. Trad. dal tedesco del Prof. Doti. Serafino Ricci. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI Heyden (von H.). Segni d'onore del Regno (f Italia e degli ex-Stati Italiani con i6 tavole. Wiesbaden, 1910. L'Autore pubblicò nel 1897 le * Onorificenze della Ger- mania e dell'Austria Ungheria „ e nel 1903 le * Onorificenze della Francia e del Belgio „. A queste formano continuazione quelle del Regno d'Italia ora apparse. Vi sono descritte n. 1305 Medaglie, decorazioni e distintivi. Questa illustrazione, che riescirà di gran giovamento ai raccoglitori delle medaglie del Risorgimento Italiano, è la più completa del genere, fin'ora apparsa, e comprende le Medaglie e le decorazioni politiche commemorative di guerre o di fatti importanti avvenuti in Italia dalla fine del seicento fino ai nostri giorni, quelle al valore civile e militare, quelle delle città e delle società private alle persone benemerite, come pure i distintivi delle persone appartenenti a qualche sodalizio. L'Autore non si limita alla nuda descrizione delle medaglie, ma vi fa sempre precedere qualche utile notizia storica, citando ad ognuna la data e lo scopo della istituzione. Dovendo poi quest'opera servire specialmente per l'Italia, l'Autore, molto opportunamente, ha posto a fianco del testo tedesco la traduzione italiana. L'Opera è corredata di 16 ta vole, nelle quali sono illustrate 162 fra le medaglie descritte. Hoching W. John. Catalogne of the Coins, Tokens, Medals, Dies and Seals in the Museutn of the Royal Mint. Vo lume IL Londra, 1910. La zecca di Londra pubblica il secondo volume del Ca- talogo del suo Museo, contenente le Medaglie, i Conii e i Sigilli. Questa serie, che comprende tutti gli esemplari esi- stenti in questo ramo dell'arte britannica, essendo stata di recente riordinata e classificata, offre agli studiosi molto materiale nuovo e utilissimo per le ricerche numismatiche. Fra le medaglie si trova una copiosissima serie delle ri- 406 BIBLIOGRAFIA compense navali e militari, che datano dal tempo della Regina Elisabetta e che danno un'idea esatta e completa dell'arte medaglistica durante l'epoca degli Stuart e quella della dominazione Annoveriana. Di grande interesse storico sono infine le impronte dei grandi sigilli inglesi, che inco- minciano dal tempo di Offa, re di Mercia. Ricci (Serafino). La zecca di Vercelli. Le collezioni numi- smatiche del Museo Leone. Vercelli, Gallardi e Ugo, 1910. Il nostro Direttore del Medagliere nazionale di Brera pubblicò in occasione del XIII Congresso storico subalpino, che quest'anno fu tenuto a Vercelli, la storia della moneta- zione di VercelU dai tempi più antichi fino a quando fii sop- pressa la zecca, perchè Torino accolse l'eredità monetaria delle altre zecche del Piemonte sotto Casa Savoia. Il lavoro è diviso in due parti, nella prima l'A. ragiona dal lato ar- cheologico e numismatico dei periodi anteriori alla conia- zione locale di Vercelli, delle cui antichità riassume le vi- cende più salienti ; periodo preromano (III-I a. C.) ; romano repubbHcano e imperiale (I a. C, V d. C); periodo gotico e longobardo (sec. V-VIII); periodo carolingio e postcarolingio (sec. VIII-XIII. Segue poi la seconda parte del lavoro, nu- mismaticamente più importante e più diffusa, l' illustrazione particolareggiata dei periodi di coniazione locale, cioè il pe- riodo municipale medioevale (sec. XIII-XIV) sotto gli impe- ratori di Germania, i vescovi vercellesi, il comune di Ver- celli, al quale appartiene il grosso coniato all'apertura dell'of- ficina monetaria di Vercelli nel 1255, pubblicato dal Promis e da Ercole Gnecchi nella Rivista Ital. di Num. del 1897. Segue il periodo visconteo (1331-1427), che non pare sia stato di coniazione locale, usandovisi le monete di Milano e di Pavia, ma riprendesi poi questa col periodo Sabaudo libero {1417-1617) e precisamente dall'anno 1530 in poi, a intervaUi ben precisati con la guida dei conti di zecca degli Archivi di Corte. Finisce l'attività della zecca di Vercelli col periodo Sabaudo ossidionale, che comprende i regni di Carlo Emanuele I, di Vittorio Amedeo I, di Francesco Giacinto con la reggente Maria Cristina, e che conta sopratutto le monete ossidionali ormai note del 1617 e del 1638. Al lavoro coscienzioso ed esauriente della zecca di Ver- celli il Ricci fa seguire una relazione sulle collezioni numi- smatiche del Museo Leone, che si sta riordinando. La Direzione. VARIETÀ Il grave furto dì monete al Museo Municipale di Milano. — Nella notte dall'S al 9 settembre p. p., dei mai- fattori, rimasti fino ad oggi ignoti, si introdussero nella Sala del Medagliere al Castello Sforzesco, e, infranti i vetri dei mobili, che contenevano la magnifica serie delle Monete mi- lanesi, ne asportarono oltre 200 pezzi, tutti in oro. Il danno è gravissimo, e in parte, irreparabile. Per darne una idea, diamo qui l'elenco delle monete rubate, anche nell'intento di mettere sull'avviso i Direttori di musei e tutti gli studiosi e raccoglitori di monete, per il caso che qualcuno di quei pezzi venisse loro offerto in vendita. Per non dilungarci nella descrizione di queste monete, segniamo ad ognuna i numeri corrispondenti a quelli del- l'opera Le Monete di Milano dei fratelli Gnecchi, mettendo un asterisco ai pezzi più rari e due a quelli unici o rarissimi : Luchino e Gio. Visconti (1339-49)* * fiorino (Gnecchi i). Galeazzo li e Bernabò Visoonti (1354-78): 2 fiorini (Gn. i) Galeazzo II Visconti (1354-78) : 2 fiorini (Gn. i). — i fiorino (Gn. 2). Bernabò Visconti (1354-85): 3 fiorini (Gn. i, 2, 3). Filippo Maria Visconti (1412-47): 2 fiorini (Gn. i). Seconda Repubblica (1447-50): * 2 ambrosini (Gn. 2, 3). — Mezzo am- brosino (Gn. 4). Francesco I Sforza (1450-66): io ducati (Gn. 1,2, 3, 4, io, 11, 12 e va- rietà). — * I ducato (Gn. 13). Galeazzo Maria Sforza (146676): ** doppio ducato (Gn. 2). — * 2 te- stoni d'oro (Gn. 3). — 4 ducati (Gn. 5, 6, 7, 8). Bona e Gio. Galeazzo M. Sforza (1476-81): ** doppio zecchino (Gn. 3). Gio. Galeazzo M. Sforza (1481) : * 2 doppi testoni (Gn. 3). Gio. Galeazzo e Lodovico Maria Sforza (1481-94) : * doppio zecchino (Gn. i). — * zecchino (Gn. 3). Lodovico Maria Sforza (1494-1500) : 3 doppi testoni (Gn. i, 2). Lodovico XII di Fbancia (1500-12): * 2 doppi ducati (Gn. 3, 4). 4o8 VARIETÀ Francesco I di Francia (1515-22) : scudo d'oro del sole (Gn. 2). Francesco II Sforza (1522-35) : * * pezzo da sei scudi d'oro (Gn. 2). Unico. — * 2 doppi scudi d'oro (Gn. 3). — i scudo d'oro (Gn. 4). Carlo V (1535-56) : * doppio scudo d'oro (Gn. i). F'iLiPPO li (1556-98) : * doppia da tre (Gn. i). — * doppia da tre (Gn. 2). — * doppia da due (Gn. 6). — 12 doppie CGn. 11, 12, 13, 15, 16, 18, 19, 20 e varietà). — 2 scudi d'oro (Gn. 23). — 4 scudi d'oro (Gn. 24, 26, 27 e varietà). Filippo III (1598-1621) : 4 doppie da due (Gn. 2, 4, 5 e varietà. — dop- pia (Gn. io). Filippo IV (1621-65): ** Prova in oro del doppio ducatone (Gn. i). — 7 doppie da due (Gn. 2, 4, 5, 6, 8, io, 11). — 3 doppie (Gn. 12, 18 e varietà). Carlo II e Anna Maria (1665-76): * Doppia da due (Gn. i). Carlo II (1676-1700) : * 3 doppie (Gn. i, 2, 3). Carlo III re ed imp. (1702-40): * 3 doppie (Gn. 2 e 3). — * Scudo d'oro (Gn. 4). Maria Teresa (1740-80) : * zecchino (Gnecchi 41). — 3 doppie da due (Gn. 48 e 49). — 3 zecchini (Gn. 53, 54, 55). Giuseppe II (1780-90) : 2 doppie del Giuramento (Gn. i). — 2 zecchini del Giuramento (Gn. 2). — 3 doppie. — 3 zecchini. — 6 sovrani. — 2 mezzi sovrani. — i doppio zecchino (1786). — i quarto di so- vrano del 1786 inedito. Leopoldo li (1790-92) : 3 sovrani (Gn. 364). — 2 mezzi sovrani (Gn. 6). Francesco li (1792-97) : doppia del Giuramento (Gn. i). — zecchino del Giuramento (Gn. 2). Repub^ica Italiana (1802-05) : * * doppia (Gn. 1). — * * mezza doppia (Gn. 2). — * * doppia (Gn. 11). — * * mezza doppia (Gn. 12). — * * Venti lire (Gn. 13). Napoleone I (1805-14) : ** Quaranta lire (Gn. i). — * * Venti lire (Gn. 2). — 6 pezzi di 40 lire. — 7 pezzi da 20 lire. Francesco I (1815-35) : 8 sovrani. — 2 mezzi sovrani. Ferdinando I (1835-48) : zecchino dell'Incoronazione (Gn. i). — sovrano. — II mezzi sovrani. Governo Provvisorio (1848) : 4 pezzi di lire 40. — 4 pezzi di lire 20. Francesco Giuseppe I (1848-59) : corona (Gn. 20). — 3 sovrani. — mezzo sovrano. Vittorio Emanuele II (1859-78) : 4 pezzi da lire 20. II valore commerciale di queste monete, secondo la ta- riffa contenuta nell'opera citata, sarebbe di circa L. 25,000, ma è a notarsi che dalla pubblicazione di quell'opera, che rimonta al 1884, il prezzo di buona parte delle monete mi- lanesi è raddoppiato, e per talune anche triplicato. Aggiun- giamo poi che parecchie di queste monete (come ad esem- VARIETÀ 409 pio il doppio ducato di Gal. M. Sforza (Gn. 2), il pezzo da 6 scudi d'oro di Francesco II Sforza (Gn. 2) e le 5 monete d'oro della Repubblica Italiana) sono addirittura introvabili, e la loro perdita è quindi irreparabile. Ora, giacché se ne presenta l'occasione, non possiamo tacere che la Società Italiana di Numismatica già da tempo aveva ripetutamente messo sull'avviso i conservatori del patrio Museo intorno al grave pericolo di tenere le colle- zioni numismatiche totalmente esposte al pubblico in ve- trine, anziché chiuderle in forzieri, come si pratica nella maggior parte dei Musei. È questo un sistema pericolosis- simo non solo per la notte, ma benanco per il giorno. Noi ricordavamo troppo bene i furti avvenuti in identiche cir- costanze al Gabinetto di Parigi e al Museo di Losanna, e avevamo le stesse apprensioni per la nostra cara collezione di monete patrie, che era, senza confronti, la migliore e la più completa. Alle nostre osservazioni ci fu varie volte ri- sposto che le collezioni numismatiche esposte sono un'istru- zione per il popolo. Anzitutto faremo notare, per nostre ri- petute esperienze, che il popolo o meglio il grosso pubblico non si interessa affatto alla numismatica. Basta per persua- dersene, trovarsi in un giorno di festa nella Sala del Meda- gliere, per vedere questo pubblico, fare un rapidissimo giro lungo le vetrine, dare tutt'al più un'occhiata distratta a qualche grosso pezzo d'oro, e poi andarsene subito in cerca di oggetti che solletichino meglio la sua curiosità. Se del resto si ritiene che la vista delle monete antiche possa es- sere istruttiva anche per le masse, sarebbe più che suffi- ciente esporre un saggio dei vari tipi di monete, oppure imitare il Museo Britannico, il quale ha predisposte alcune vetrine con un certo numero di galvani che riproducono esattamente le monete antiche, ma, più saggio e avveduto di noi, conserva gli originali ben chiusi e difesi in robusti medaglieri, accessibili solo agli scienziati e agli studiosi. Ed ora, dopo il fatto, si terrà qualche conto di quanto abbiamo detto, e ripetiamo, o sarà ancora la voce di Cas- sandra ? La Direzione. 4IO VARIETÀ Recenti acquisti del Medagliere nazionale di Brera in Milano. — Con il fondo dotale e con il fondo straordi- nario per gli acquisti del Ministero dell'Istruzione, su pro- posta del Direttore del Medagliere braidense prof. Serafino Ricci e l'approvazione della Direzione Generale per le An- tichità e Belle Arti, vennero aggiunti alle collezioni numi- smatiche di Brera molti pezzi importanti tanto nella serie classica, quanto in quella medioevale e moderna, acquistati alle aste recenti e da possessori privati; alcuni altri sono pervenuti per diritto di Stato da ripostigli rinvenuti in Lom- bardia. Nella serie orientale n. 38 gruppi di monete delle varie dinastie cinesi ordinate cronologicamente. Nella serie greca, oltre un tetradramma d'argento di Antigono Dosone (229-230 a. C.) e una moneta d'argento di Menascro coi busti del re e della regina accollati e un medaglione greco di Antinoo, furono aggiunti ben 99 pezzi che corrispondono ad altrettante zecche greche non rappre- sentate a Brera. Nella serie romana fra i pezzi più notevoli vi sono de- nari di Tranquillina, di Cornelia Supera, di Pescennio Nigro e un gran bronzo di Didia Clara. Nella serie medioevale e moderna, oltre alcuni mezzi ducatòni di Carlo V e Filippo II per Milano, tra cui quello col busto galeato di Filippo II e Sant'Ambrogio a cavallo sul rovescio, sono degni di nota un genovino rarissimo e un sesino pure rarissimo per Annecy, uno scudo d'oro ra- rissimo per Napoli e uno per Camerino; un luigino di Tor- riglia, una tessera di Luisa di Savoia, uno scudo della Re- pubblica genovese, e, oltre uno scudo e un ducato vecchio caratteristici della monetazione veneziana, un marcuccio della Repubblica veneta e una giustina maggiore di Nicolò da Ponte. Insieme con alcune monete importanti per Siena e Bologna, si è potuto assicurare a Brera anche il denaro di Manfredo II Lancia per Busca e quello di Manfredo II del Carretto per CortemigHa, uno zecchino di Maccagno, non- ché uno zecchino di Ludovico III Gonzaga per Mantova, una rarissima lira di Francesco Gonzaga per Castiglione delle Stiviere, del 1614, e una prova di conio di Nicola VARIETÀ 411 Cerbara per la medaglia di Pio IX col porto di Gaeta nel rovescio. Speriamo che anche nel prossimo anno possa questo Museo numismatico, che abbraccia tutte le serie, arricchirsi di altri pezzi rari mancanti alle collezioni, coll'aiuto del Go- verno, del Comune, della Cassa di Risparmio e delle So- cietà numismatiche residenti in Milano. Il Congresso Numismatico Internazionale di Bru- xelles. — Questo Congresso, che si è tenuto dal 26 al 29 giugno ; è stato veramente importante, come risulterà dalla Relazione che ne sta facendo il prof. Serafino Ricci, che vi rappresentò anche la Società Numismatica Italiana. Diamo intanto l'elenco delle puntate dei fascicoli pubblicati con stampa provvisoria, e che ci sono finora pervenuti. Fascicolo I. — F. Imhoof-Blumer : Bericht uber das preussische Mùnzwerk der pretissischen Academie. A. SiMONETTi : Numismatica italiota. L. Laffranchi : Le ultime monete romane col nome dei triumviri monetari. Fr. Gnecchi : La medaglia presso i Romani. A. van Kerkwijk : Les medaillons romains en or de la trouvaille de Velp en ijij- K. R EGLINO : Byzantinische Bleiziegel. A. DE WiTTE : Les conventions monétaires des anciennes provinces belgiques. V." B. DE JoNGHE : Les types monétaires anglais sur le numéraire des Pays-Bas. A. Sassen : De Wordingsgeschiedenis van den huidigen nederlandschen gulden. A. Lonchet : De l' impor lance de l'étude des monnaies de compie. A. VisART DE Bocarmé : Projet de confection d'un re- pertoire des jetons des Pay-Bas. Ch. Gillemann : Considérations sur les projets de refonte du catalogue des jetons des Pays-Bas. 412 VARIETÀ Fascicolo IL — Georg Habich : Altniederlàndische Me- daillen. Ch. Buls : Esthétique de la Numismatique. Monnaies et médailles. Maximilian Goldstein : Einiges ùber òffentliche Miìnz- und Medaillensammlungen in Lemberg. Rudolf Bosselt : Alte und neue Medaillenkunst. Joseph Kowarzik : Die Entwickelimg der deutschen Me- daillenkunst in den letzten 60 Jahren. L. Forrer : La médaille en Angleterre au XIX' siede. Alphonse de Witte : La médaille en Belgique depuis i8jo. Résumé de son histoire. J.-C. Wienecke : Over het gebruik van den verkleinbank in de hedendaagsche stempeleervaardiging. Hans Frei : Die schweizerische moderne Médaille. Rudolf Marschall : Moses. Ein Beitrag zur modernen Médaille. Idem: Das Portràt in der Medaillenkunst und das Urhe- berrecht. Ignacio Calvo et N.-J. de Linan y, Heredia: Ventajas que puede reportar a la Numismatica la unificacion y facilidad de las permutas de monedas y medallas duplicadas existentes en las colecciones propiedad del Estado, y la relacion fre- cuente entre los Museos de distintas naciones. Fascicolo HI. — Giovanni Pansa : Le monete sannitiche di Metaponto. B. Yakountchikoff : Médaillon inédit de Syracuse. George Macdonal : The originai significance of the in- scriptions on ancient coins. H. BucHENAu: Ein Goldtriens des Mùnchener Cabinets. Comte DE Castellane : A propos d'un denier inédit de Louisle-Bègue, frappé à Namur. Victor Tourneur : De la nature du monnayage dénarial au nom et aux armoiries des villes de Fiandre au XIII' siede. LuscHiN von Ebengreuth : Ingolstadt ? Ingelheim ? Gro- mngen ? Graz. VARIETÀ 413 Maryan Gumowski : Uintroduction de la monnaie d'or en Pologne. Nicolò Papadopoli : / primi zecchini dei gran maestri dell'ordine di San Giovanni di Gerusalemme. Giuseppe Castellani : Gli editti monetari di Ferdi- nando IV, re delle Due Sicilie a Roma. H0RAT10 R. Storer : The Medals of Charlotte Augusta, princess of Belgium. Fascicolo IV. — R. Vallentin du Cheylard: Seal de Raymon di Aurenga. HoRATio R. Storer : The medals of Linnaeus. H. J. DE DoMPiERRE DE Chaufepié: Medailles et estampes, Pablo Bosch : Rutilio Gaci et Cimpor lance de la mé- daille connue document historique. Serafino Ricci : La medaglia nel Rinascimento italiano. SiGiSMOND DE Zakrzewski ! L'usage cCentailler et de mà- cher les monnaies en Pologne au moyen age. Marie de Man : Les jetons de la seigneurie des états de Walcheren. Ahmed Tewhid : Monnaies des Ayonbites de Hisn-Keìfa^ C. A. Babut : Le cachet, le Umbre et le coin du jeton des postulances de l'Ordre du Tempie. Fr. Alvin : Le monnayage des premiers comtes de Namur. G. Verhas : De la persistance des empreintes monétaires dans les pièces battues. V. Breuner : Brief sketch of the progress in the United States of the medallic Ari. C.'^ Th. de Limburg-Stirum : Sceaux communaux du Moyen Age et monuments contemporains. La Direzione. Il XIII Congresso Storico Subalpino ebbe luogo quest'anno a Vercelli dal 21 al 24 settembre in coincidenza con due fatti artistici importanti per la città, la commemo- razione del Lanino, di cui si iniziò il ciclo di conferenze il- lustrative con quella del dott. Faccio sulla Scuola pittorica. 53 414 VARIETÀ vercellese e l'inaugurazione della sala numismatica del Mu- seo Leone, del cui riordinamento l'Istituto di Belle Arti di Vercelli curò l'inizio e una pubblicazione d'occasione, alla quale si accenna nelle recensioni. I temi trattati in questo Congresso, che sono d'interesse numismatico, furono: Le col- lezioni numismatiche del Museo Leone e la Riforma numi- smatica in Italia al Congresso numismatico internazionale di Bruxelles. Quest' ultimo tema diede luogo al seguente ordine del giorno proposto dal relatore prof. Ricci ed approvato all'unanimità : " Il XIII Congresso Storico Subalpino a Vercelli, con- " fermando i voti del Congresso numismatico internazionale " di Bruxelles, riconosce la necessità di una riforma numi- " smatica in Italia, sia per l'insegnamento superiore, sia per " il riordinamento delle varie collezioni pubbliche di monete " e medaglie, e incarica la Presidenza di nominare una Com- " missione di competenti che studi l'importante questione " ed ottenga dal Governo l'esaudimento dei suoi giusti voti „. Presidente onorario fu acclamato il sen. Faldella ; furono presidenti effettivi del Congresso il prof. Gabotto dell'Uni- versità di Genova, il prof. Giacinto Romano dell'Università di Pavia, il conte Cavagna San Giuliani, pure di Pavia, e il marchese Guasco di Bisio ; notati fra i Vice-Presidenti il cav. Federico Arborio Melia, anima e mente del riordina- mento del Museo Leone, e l'illustre prof. Eusebio dell'Uni- versità di Genova. L'ultimo giorno giunse graditissimo e tenne la presidenza l'on. marchese Ferrerò di Cambiano, che fece il discorso di chiusura ; fungeva da Segretario il pro- fessor Patrucco. Furono distribuiti in dono molti opuscoli di carattere storico, e discusse importanti questioni circa la toponoma- stica, la topografia e la storia antica e medioevale di Ver- celli, nonché sulla necessità dell'insegnamento della storia dell'arte nelle scuole medie e della più libera consultazione degli archivi privati da parte degli studiosi delle discipline storiche. VARIETÀ 415 La Quarta Assemblea Generale della Società Nazio- naie per la storia del Risorgimento italiano ebbe luogo in Venezia nelle sale dell'Ateneo Veneto, dal 25 al 28 dello scorso settembre. Presiedettero a turno il conte Nani Moce- nigo, il comm. Bassano Gabba, il barone Manno, il colon- nello Torelli. Fungevano da Segretari i dott. Coletti di Ve- nezia e Adolfo Colombo, professore a Saluzzo. La riunione fu importante per numero e serietà di re- lazioni presentate e discusse, tanto nelle sedute pubbliche, quanto nella privata riservata ai soci. Furono proclamati i vincitori per le quattro monografie popolari intorno a Vit- torio Emanuele, Cavour, Garibaldi, Mazzini e furono applau- dite le relazioni del Sullam, del conte Nani Mocenigo, del comm. Santelena, del prof. Guardione e dell'Amò, che pre- sentò molti documenti inediti. Oltre la Relazione degli Uf- ficiali di Stato Maggiore sui lavori da questi compiuti e del nob. Michelangelo Zunnolo sulla necessità di meglio studiare la storia del nostro Risorgimento e quella tutta vibrante di patriottismo e saggezza politica di preparazione del pro- fessor Adolfo Colombo sull'annessione di Napoli é della Si- cilia al Regno d'Italia, ebbe specialmente interesse numi- smatico la relazione del prof. S. Ricci sul Medagliere del Risorgimento nazionale all' Esposizione universale del igii a Roma. Infatti il relatore, dopo di aver messo al corrente gli uditori sulla questione quale si era presentata l'anno scorso a Firenze, e dopo di aver dato lettura dei telegrammi di Ettore Ferrari e del comm. Padoa, possessore della rara col- lezione di medaglie del Risorgimento italiano, presentò il se- guente ordine del giorno, che fu approvato ad unanimità : " La Quarta Assemblea Generale della Società nazio- * naie per la storia del Risorgimento, tenutasi a Venezia, " udita la Relazione del prof. S. Ricci di Milano, confermando * il voto di Firenze, raccomanda vivamente al Governo e al * Comitato della Esposizione di Roma che, d'accordo con * quello del Risorgimento a Roma, concluda favorevolmente " alla Mostra del Medagliere del Risorgimento durante quella " Esposizione del 191 1 ,. « 4l6 VARIETÀ Il Circolo Numismatico milanese per Bruxelles preparò un fascicolo-omaggio, riunendo i tre fascicoli del Bollettino di maggio, giugno e luglio in uno solo, molto ricco di lavori importanti e di illustrazioni, tanto per la nu- mismatica, quanto per la medaglistica. Oltre una lettera del dott. Haeberlin al prof. Orsi sul sistema monetario antichis- simo presso i Romani, vi è un articolo dell'avv, Roggiero sulle monete dei marchesi di Saluzzo, un altro del Rizzoli sulle antiche medaglie del Petrarca e uno del Ricci su due placchette commemorative dello Szirmai, Raffaello Mondini poi ci espone gran parte del suo lavoro da Marsala al Vol- turno^ che fu già pubblicato a parte dal Mondini stesso a sue spese per cura del Circolo Numismatico, e che contiene Pillustrazione delle medaglie storiche del 1860 commemo- ranti le guerre per la liberazione della Sicilia. Un nuovo lavoro sulle Oselle Venete. — Il nostro socio cav. Aldo Jesurum di Venezia, che da tempo attende ad uno studio sulle medaglie-monete della Repubblica Ve- neta chiamate oselle, desidera in esso far cenno delle più importanti collezioni di tali monete esistenti in Italia e al- l'estero. A tal fine ha già inviato circolari a Musei ed a pri- vati, ricevendo numerose cortesi risposte; ma per comple- tare il numero delle necessarie informazioni, rivolge a mezzo della nostra Rivista preghiera a quanti, non avendo ricevuta la sua circolare, potessero favorirgli notizie in argomento. Chi volesse usargli tale favore, è pregato di dirigere al Cav. Aldo Jesurum Venezia. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISxMATICA ITALIANA Seduta del Consiglio io Ottobre 1910. (Estratto dai Verbali). Il Consiglio è convocato alle ore 13 Vj nella Sala So- ciale al Castello Sforzesco : I. — II Segretario, Angelo M. Cornelio, dà lettura del Bilancio Consuntivo del 1909 da presentarsi all'Assem- blea Generale dei Soci. È approvato ad unanimità ; II. — Il VicePresidente, comm. Francesco Gnecchi, legge la Relazione sull'andamento morale della Società du- rante il 1909. È approvata ; III. — Si approva del pari la formazione del III fa- scicolo della Rivista e di una parte del IV ; IV. — Il Segretario dà lettura dei doni pervenuti alla Società neir ultimo trimestre : Qnecchi cav. uff. Ercole. N. 20 Opuscoli di Numismatica. N. 32 Cataloghi di vendita di Monete. Qnecchi comm. Francesco. N, 700 bronzi romani dell'Alto e Basso Impero. N. 40 falsificazioni di monete romane. Heyden (von H.) di Wiesbaden. La sua pubblicazione : Ehrenzeichen im Kònigreich Italien. Wiesbaden, 1910, con 16 tav. N. N. Varie annate di Periodici Italiani. 4i8 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMAIICA ITALIANA Olcott Qeorge di New York. Una medaglia americana, in bronzo, rappresentante Lincoln. Direzione della R. Zecca di Londra. Catalogue of the Coins, tokens, niedals, dies and seals of the royal Mint by William John Hocking. London, 1910. Alle ore 1474» esaurito 1' Ordine del Giorno, la seduta è levata. Assemblea Generale dei Soci io Ottobre 1910. [Estratto dai Verbali). I Soci sono convocati per le ore 14 nella Sala Sociale al Castello e alle 14 V2 viene aperta la seduta. II Vice-Presidente Francesco Gnecchi legge la seguente relazione : Soci e Collezioni Sociali. Eccovi, egregi Signori, il piccolo rendiconto sull'anda- mento della nostra Società durante il 1909. Alla fine del- l*anno testé scorso la nostra Società contava 16 Soci Bene- meriti, 52 Effettivi e 73 Corrispondenti. Gli Associati alla Rivista sommavano a 130. La Biblioteca Sociale contiene oggi : Volumi ..... N. 690 Opuscoli ..... „ 1474 Il Medagliere, segnando del pari un piccolo aumento in parecchie categorie, contiene : Oro . Argento Bronzo Vetro . Argento Bronzo Monete Medaglie Piombi . IN. 14 »; 1222 n 9621 n 448 » 25 479 n 161 Totale pezzi N. 11970 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 419 A PROPOSITO DEL TRASFERIMENTO DEL R. Gabinetto Numismatico di Brera. Nulla di nuovo abbiamo da aggiungere a quanto si sa- peva Tanno scorso a quest'epoca. Anzi l'avvenimento che Tanno scorso sembrava assai vicino a maturanza, non solo è sempre allo statu quo, ma, per dire tutta la verità, cre- diamo che abbia fatto un passo indietro. Di chi la colpa? Del Gabinetto? Del Municipio di Mi- lano ? Del Governo ? Crediamo precisamente di quest'ultimo, ed ecco i fatti. Il Gabinetto di Brera, trovandosi dopo tutto assai bene nella sua Sede attuale, non ha alcun interesse a mutare, se non ha un miglioramento, come locali, restando almeno ferme le sue condizioni finanziarie. E del resto, il suo non è che voto platonico. La battaglia, se tale si può chiamare, dovevasi combattere tra il Governo e il Municipio di Milano. L'interesse di sloggiarlo dal Palazzo di Brera è tutto del Governo, il quale abbisogna dei suoi locali per adibirli ad altri usi. Il Governo aveva trovato all'uopo un Municipio compiacente, il quale, conscio del beneficio che ne sarebbe venuto alle sue raccolte, offriva al Gabinetto un alloggio gratuito. Ma il Governo non s'accontentò di questo, tentò d'approfittare dell'occasione per fare anche una speculazione e cercò di accollare al Municipio parte degli oneri, che at- tualmente sostiene pel Gabinetto di Brera. Il troppo stroppia, e il nostro Municipio trovò ingiusti- ficate le pretese del Governo e non vi volle sottostare. La pratica che già da tempo camminava zoppicante, risentendo gli effetti della crisi municipale che affliggeva la nostra Am- ministrazione comunale, rimase su questo punto interrotta e certo non verrà ripresa fino a che colle nuove elezioni sa- ranno bene sistemate le basi della pubblica amministrazione di Milano. Vale a dire passeranno dei mesi prima che la questione possa venire nuovamente posta sul tappeto. Furto al Castello. Un fatto che non tocca Tannata scorsa, di cui ci stiamo occupando, ma del quale non possiamo omettere di far pa- 420 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA rola in questa ritardata assemblea è l'esecrabile furto avve- nuto nel Castello Sforzesco la notte dall'S al 9 settembre u. s. La preziosa collezione di monete milanesi che poteva vantare il primato su tutte le consimili, rimase orbata di tutti i pezzi d'oro in numero di circa 200, e assai probabil- mente nulla si potrà più ricuperare, poiché la supposizione più ovvia è che tutto sia stato immediatamente fuso. Il ladro mirò unicamente al metallo, perchè non toccò alcuna delle monete d'argento, molte delle quali numismaticamente hanno un valore eguale alle migliori in oro. Il rimpianto pel fatto compiuto ormai non può essere che sterile; ma rimane l'ammaestramento. Lavori Numismatici. L'anno 1909-10 non è contraddistinto da alcuna opera numismatica italiana, che segni epoca. Parecchie però sono le opere di lunga lena che si stanno preparando e delle quali alcune vedranno certo la luce o alla fine del corrente anno o in principio del 1911. Tutti sanno come la prima delle opere, cui alludiamo, è quella del nostro Augusto Presidente Onorario, di cui il primo volume è quasi pronto. Citeremo poi la continuazione delle Monete di Venezia, a cui attende indefessamente l'egre- gio nostro Presidente Effettivo, il conte Nicolò Papadopoli. È pure quasi completo il primo dei tre volumi che co- stituiranno l'opera di Camillo Serafini, Le Monete e le Bolle plumbee pontificie del Medagliere Vaticano, che apparirà or- nato da 80 tavole ; ed è parimente ormai pronto per la stampa e in esecuzione per le tavole il Corpus dei Me- daglioni Romani, a cui l'autore intende porre il " finito di stampare „ nel primo semestre del prossimo anno, onde consegnarne il primo esemplare alla città di Roma, cui è dedicato in occasione delle feste cinquantenarie, che si stanno preparando. Un quinto lavoro pure assai prossimo al suo termine è quello sulle Monete bizantine di Giulio Sambon, il quale in occasione dell'ultima mia gita a Parigi, me ne annunziò assai vicino il termine. Nel prossimo anno avremo campo di par- lare di queste opere importanti. ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 42I Bilancio. Venendo ora a toccare della parte finanziaria, eccovi il Bilancio Consuntivo del 1909: Rimanenze attive del 1908, Quote da riscuotere da Soci ed Abbonati pel 1908 L. 80 — Fondo di cassa » 4169 60 L. 4249 60 Entrate dell'anno 1909. Quote di Soci e di Abbonati alla Rivista L. 3886 50 Interessi sul fondo di cassa in conto corr. » 119 40 L. 4005 90 ' Rimanenze passive. Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1910. . L. 160 — L- 8415 50 Rimanenze passive del 1908. Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1909. . L. 60 — Spese del 1909. Stampa della Rivista e accessori di spediz. L 4756 50 Fotoincisioni ed eliotipie » 740 — Spese di Segreteria •» 100 — Spese per la collaborazione della Rivista » 300 — Custode dell' Ufficio » 100 — Spese postali » 50 60 L. 6047 IO Rimanenze attive al 31 Dicembre 1909. Quote da riscuotere da Soci e Abbonati . L. 60 — Fondo di Cassa » 2248 40 L. 2308 40 L. 8415 50 422 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA Dimostrazione. Attività in principio di esercizio . . . . L. 4249 60 Passività n 60 — L. 4189 60 Attività in fine di esercizio L. 2308 40 Passività n 160 — L. 2148 40 Diminuzione di patrimonio L. 2041 20 Entrate dell'anno 1909 L. 4005 90 Spese n 6047 IO Disava/izo L. 2041 20 // Segretario Ainyyiinistratore: Angelo Maria Cornelio. Il disavanzo fu dunque di L. 2041.20, inferiore di appena L. 241.85 a quello dell'anno precedente, quantunque si siano risparmiate oltre L. 600 sulla stampa della Rivista. L'unico espediente per diminuire questa passività, diventata ormai abituale, sarebbe quello di fare altri risparmi sulla stampa della Rivista, riducendone gradatamente la mole e le tavole. Non ci resta dunque che presentare ai nostri buoni Soci ed Associati e a tutti quelli che s'interessano alla nostra pubbli- cazione, questo dilemma: o ridurre il Periodico alle propor- zioni consentite dal nostro Bilancio, il che lo farebbe scen- dere di molti gradini dal posto dove ora si trova, toglien- dogli quel prestigio e quel bel nome che si è guadagnato fra le Riviste congeneri, o trovare i mezzi sufficienti ad as- sicurargli la vita, pur mantenendolo come si trova al presente. That is the question ! L'Assemblea approva la Relazione della Vice-Presidenza e il Bilancio Consuntivo 1909. ATTI DELLA SOaETÀ NUMISMATICA ITALIANA 423 Si passa da ultimo alla nomina di tre Membri del Con- siglio in sostituzione dei Signori : conte comm. sen. Nicolò PapadopoH, cav. uff. Ercole Gnecchi e marchese cav. Carlo Ermes Visconti scadenti per anzianità. Fatta la votazione, i tre Consiglieri uscenti risultano riconfermati in carica. Vengono pure riconfermate per acclamazione le cariche sociali in corso per l'anno 1911. Alle ore 16, esaurito l'Ordine del Giorno, l'Adunanza è sciolta. Finito di stampare il 14 ottobre 1910. RoMANENGHi ANGELO FRANCESCO Gerente responsabile FASCICOLO IV. APPUNTI DI NUMISMATICA ROMANA xcvii MEDAGLIONE DI BRONZO COLLE EFFIGI DI CARO EDI MAGNIA VRBICA -B' — IMP e M AVR CARVS P F AVG Busto laureato di Caro a destra col paludamento e la corazza. I^ — MAGNIA VRBICA AVG Busto diademato dell'Augusta a sinistra. Diam. mill. 43, gr. 75,000 (a due metalli). 428 GNECCHI-PROFUMO « Zzveierlet Bronze grò ss Medaillon. Vorz figlie hes Prachtexemplar F. D. C. Cabinett-stilck aller ersten Ranges. IVohl unediert und Unicum! » direbbe — e, ammettiamolo pure, con ragione — un moderno catalogo tedesco infiammato da quel lirico entusiasmo che da qualche tempo pervade i nostri freddi amici del Nord e li porta ad esuberanze, davanti alle quali impalHdiscono le più calde espres- sioni del Mezzogiorno. Difatti il medaglione è di perfetta conservazione, coperto appena da leggera patina trasparente, che lascia scorgere chiaramente il colore diverso dei due metalli, rosso nella parte centrale, giallo alla peri- feria; è il più pesante dell'epoca, è inedito ed unico e presenta anche un interesse storico per la nuova combinazione delle due effigi. Data quindi l'importanza del pezzo, il lettore sentirà certamente il desiderio di conoscerne la pro- venienza e lo supporrà di scavo recentissimo, che altrimenti sarebbe poco spiegabile come non sia stato prima d'ora conosciuto. Io sono spiacente di non poter soddisfare a tale giusta curiosità, se non as- serendo che il medaglione non è di recente ritro- vamento e, dall'aspetto, anzi direi che non fu mai ritrovato, non essendo probabilmente mai stato sot- terra. Esso presenta l'aspetto di un pezzo accurata- mente conservato, che non ebbe circolazione ; ma che non ebbe neppure sepoltura. Non presenta guasti di sorta, ma neppure ossidazione, e pare quindi che abbia compita precisamente la missione cui era de- stinato di medaglia commemorativa, missione a cui ben pochi esemplari furono fedeli. Dove passò dunque i suoi anni il medaglione ? Io non lo so, e non posso incominciare la sua cro- naca se non dal punto in cui venne nelle mie mani, ero- MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGMA VRBICA 429 naca, la quale, non ci dice assolutamente nulla quanto alla prima comparsa del pezzo nel mondo numisma- tico o, per meglio dire, circa la sua prima entrata in una collezione. Ogni traccia è completamente per- duta. Ed ecco il poco che io ne posso raccontare. In un paese nordico dell' Europa un amatore formava circa un secolo fa una collezione di monete romane e alla sua morte la collezione trasmigrava in Italia. Bisogna confessare che tale collezione era delle più infelici; contava circa tremila pezzi, tutti di cattiva o pessima conservazione, oltre a circa un centinaio delle più volgari falsificazioni e mi- stificazioni. Fra queste, confuso e direi sepolto, quale gemma perduta in un campo di ghiaia, stava un pezzo che compensava tutto il resto. Questione di trovare chi lo scoprisse e lo rimettesse in onore; ciò che non pare sia riescilo molto agevole, per una ragione ab- bastanza naturale. Diversi negozianti di monete e raccoghtori ave- vano prima di me, visitata la collezione; ma tutti l'avevano rifiutata. Sia che, interpretando troppo lar- gamente il detto « ab uno ciisce omnes », dopo d'aver passato buona parte di quella robaccia, avessero per- duta la pazienza di esaminare i pezzi ad uno ad uno; sia che l'occhio, lungamente abituato al falso, non sia stato più capace di distinguere il vero, fatto sta che il superbo medaglione o a tutti sfuggì, oppure nes- suno di quelli che lo osservarono forse sbadatamente e senza una speciale attenzione, immaginò che un pezzo genuino potesse trovarsi framezzo a tanto scarto. Fu così che il disprezzo su di esso riverberato dalla trista compagnia lasciò a me il piacere della scoperta e insieme anche l' insegnamento che l' in- dividuo non si può sempre giudicare dalla colletti- 430 GNECCHI-PROFUMO vita e che non è sempre vero il detto : « Dimmi con chi stai e ti dirò chi sei ». Inutile aggiungere che a nessuno di quanti vi- dero in seguito il medaglione isolatamente con calma e senza preconcetti non venne il menomo dubbio sulla sua autenticità. Esaurita così la piccola cronaca, rimane la parte più seria, l'esame critico-storico del pezzo in que- stione, il quale presenta diverse particolarità degne di attenzione. Siccome però lo studio da me fatto poco mi soddisfaceva, ebbi la felice ispirazione di ricor- rere per la seconda volta al prof. Profumo, che tanto bene m'aveva coadiuvato nell'ultimo appunto a pro- posito del Bronzo colle due teste di Filippo figlio e di Trajano Decio. L'egregio amico mio, appassionandosi all'argo- mento, fu tratto a studiarlo profondamente e fu tanto cortese di rispondere alle mie richieste con una dotta e lunga lettera ; tanto lunga che, a maggiore chia- rezza, venne suddivisa in quattro paragrafi, e che costituisce una vera esauriente monografia sulla poco nota famiglia di Caro. Il numismatico cede quindi il posto allo storico, o, per dirla con parole più veritiere, il semplice amatore si ritira davanti allo scienziato. Ed è col più grande piacere che io, cestinando senza rimpianto l'articoletto da me preparato e che oggi non avrebbe più ragione di sussistere, offro al suo posto, ai cortesi lettori, che non saranno malcontenti del cam- bio, la lettera Profumo nella sua integrità. F. Gnecchi. MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGNI A VRBICA 43 1 « Chiarissimo Commendatore. « L' uso di riprodurre sulle monete le effigie di persone della famiglia imperiale — come Ella ben mi scrive — data dai primi tempi dell' impero e numerosi ne sono gli esempii nei tre metalli. Nel medaglione di bronzo, poi, tale uso ha principio con Antonino Pio, e continuando coi nomi di Marco Aurelio, Vero, Commodo. Severo, Alessandro, Fi- lippo, Traiano Decio e Gallieno, ci presenta svariate combinazioni: dell'Augusto coll'Augusta, dell'Augusto col Cesare, dei due Cesari, e anche combinazioni di tre e fino di quattro personaggi. Quello però che nel caso nostro occorre di notare, è che l'effigie di una Augusta è sempre abbinata a quella del corri- spondente Augusto. u Dopo Gallieno — come Ella soggiunge ap- punto — r uso delle effigi multiple viene ripreso dalla famiglia di Caro, di cui ci rimangono tre tipi in medaglioni di mediana grandezza, rappresentati ciascuno da un unico esemplare. « Il Gabinetto di Parigi possiede quello di Caro e Carino, col rovescio delle quattro stagioni. Il Museo di Buda Pest quello di Carino e Numeriano, senza rovescio. E il Museo di Zagabria quello coi busti del padre e dei due figli. Caro e Numeriano e Carino, e col rovescio dell'Avvento. a Nei medaglioni di bronzo Urbica non figura che sola : in un grande medaglione dal rovescio Pudicitia, di cui si conoscono quattro esemplari. « Quello che oggi Ella, chmo Comm., pubblica, ci presenta adunque il primo ed unico caso dell'abbi- namento delle teste di Urbica e di Caro. « In numismatica era noto fino ad ora, invece, Tabbinamento della testa di Urbica con quella di Ca- 432 GNECCHI-PROFUMO rino, che era dato da un quinario di bronzo del Museo Britannico (Cohen' VI, pag. 408). « Oggi cotesto già noto abbinamento ci è pre- sentato anche da un -doppio aureo tuttora inedito, trovato pochi anni sono in Roma ed acquistato dal Museo Nazionale Romano. Debbo alla grande cor- tesia del dott. R. Paribeni, Direttore di esso Museo, di poterle comunicare le relative leggende, e di ciò sono a lui vivamente grato : ^ — Busto corazzato di Carino IMP CARINVS P F AVG. P — Busto, del tipo noto, di Urbica MAGNIA VRBICA AVG. « L'impero di Caro e dei suoi due figH Carino e Numeriano è ancora molto da studiarsi, sicché se dovrò esporle od affermare qualche evento o qualche data che non corrispondano a ciò che si suole trovare nei libri correnti, non voglia, Comm. mio, cercarne qui la dimostrazione completa, che non è il luogo ; per altro cercherò sempre di arrecarle quel tanto che possa riuscire di doverosa garanzia della cosa. « Che Magnia Urbica sia stata la moglie dell'im- peratore Carino è già noto dalla prima metà del XIX sec, allorché venne illustrata una relativa epi- grafe di Acci, o Colonia Julia Gemella Accitana (oggi Gadix, in Spagna): « MAGNIAE ■ VRBICAE • AVG MATRI • CASTRORVM • CONIVGI • D • N • CARINI • INVICTI • AVG- • ecc. » {Corpus Inscript. Latin., II, 3394). L' Hilbner non segna ivi di pubblicazioni numismatiche che ne ab- biano parlato se non la Numism. Zeitung, I, n. 27, 28, con un articolo del Grote. « Molto più recentemente ne fu trovata un'altra in Algeria, a Thamugad della Numidia (Timgàd) ; essa è una base ottagona per statua e l'iscri- zione vi é scalpellata: « MAGNIAE • VRBICAE • AVG • MATRI • CASTRORVM • SENATVS • AC • PATRIAE • CONIVGI • D • N • CARINI • INVICTI • AVG » (C. /. L., Vili, 2384). MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGMA VRBICA 433 u Ed una, infine, è stata trovata in Italia, a Luni) su cippo quadrangolare , in 8 righe, delle quali le prime 5 scalpellate (cioè fino al secondo Aug.) : « MAGNAE • VRBICE • AVG • CONIVGI • IMP • CAES • M • AVRELI • CARINI • BENEFICI • INVICTI • AVG ORDO • LV- NENS • ecc. » {Notizie degli scavi del 1890, pag. 378). « Ed è similmente all'epigrafia che dobbiamo la notizia che Nigriniano, di cui si hanno le monete di consacrazione, fosse nipote di Caro: « DIVO • NIGRI- NIANO • NEPOTI • CARI • ecc. » (C. /. Z., VI, 31380). E poiché non appare coniazione alcuna a riguardo della moglie di Numeriano; ne si ha per Nigriniano la moneta di consacrazione della zecca di Alessandria — che l'Egitto era alla diretta dipendenza della Casa Imperiale — ciò che forse c'indica che già Nu- meriano era morto e l'Egitto quindi già in possesso di Diocleziano ; ne consegue che Nigriniano ha dovuto essere il figliuolo di Carino ed Urbica. Tanto più che la monetazione di Urbica ha una caratteri- stica preferenza sua propria, quella delle monete alla Venus Genetrix (Coh/ 10-14), ciò che attesta che Urbica fu madre. « L'abbinamento di suocero con nuora che pre- senta il suo splendido medagHone è nuovo in nu- mismatica. Tale eccezionalità ci obbhga a control- lare se la dizione di Carus non vi sia stata posta per Carinus. u Questa possibilità di un Carus per Carinus è suggerita da un passo della Vita Cari et Carini et Numeriani {=v.) degli Scrittori Augustei, di Vopisco. « Ci parla il biografo di eccezionali ludi dati in quei giorni in Roma : a Memorabile maxime Cari et u Carini et Numeriani hoc habuit imperium, quod « ludos Popolo R. novis ornatos spectaculis dederunt, 5S 434 GNECCHI-PROFUMO « quos in Palatio circa porticum stabuli pictos vidi- « mus w (v. 19). Ma nell'elencare alcuni di cotesti nuovi spettacoli prosegue con l'avere in mira, in realtà, un dato ed unico imperatore dei tre nominati; ad esempio : « Mimos praeterea undique advocavit. « Exibuit et ludum Sarmaticum, quo dulcius nihil « est; exibuit Ciclopea; ecc. » (v. 19). « Prosegue il biografo col riportare a tale pro- posito un motto ferocemente satirico di Diocleziano — di Diocleziano già divenuto imperatore (« quidam largitionalis suus ») — su di cotesto Imperiale editor: il Diocletiani denique dictum fertur, cum ei quidam « largitionalis suus editionem Cari laudaret dicens, « multum placuisse Principes illos causa ludorum il theatralium ludorumque circensìum, ' Ergo ' inquid Il ' bene risus est in imperio suo Carus ' » {v. 20). Il h'editio Cari e V imperium' Cari sono indub- biamente entrambi di Carino. Adunque tanto Vopisco, quanto Diocleziano, si rilevi, hanno usato Carus per Carinus, ciò che accusa essere stato dell'uso parlato. « Che siano stati di Carino, risulta da che Caro ebbe: i.° un impero estremamente breve; 2.° tutto preso da due grandi guerre ; 3.° sì che non venne giammai in Roma ; 4.° ne mai vi ha dato, o meglio fatto dare, eccezionali ludi. Il Carus imperavit menses X dies V ; excessit Il Seleucia Babyloniae » documentano gli Imperia Cae- sarum del Cronografo del 354, redatti fra il 324 e il 337 (fra la morte di Licinio ancora segnatavi e quella di Costantino che non v'è). Eletto nel set- tembre del 282, noi per l' indicazione del Cronografo arriviamo fin verso la fine del luglio del 283 ; ed infatti la zecca di Alessandria (e ricordo e ripeto, che l'Egitto era alla immediata dipendenza della Casa Imperiale) non segna per lui che la prima an- nata — LA — cioè la sua scomparsa innanzi del MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGNIA VRBICA 435 29 agosto 283 ; e subito dipoi batte la sua consa- crazione — 0600 KAPOO C€B. A«t>l6PCADCIC {Calai of the greek coins in the Brit. Museum, Alexandria) ('l Ho insistito su ciò perchè ci servirà dipoi pel nostro medaglione. « Delle due grandi guerre, la prima fu di con- durre gloriosamente {v. 9) a fine la Sarmatica, che alla morte di Probo si era ridestata viva e a tutto favore dei barbari sì che in pari tempo giunsero a minacciare la Tracia e ITtaHa stessa. — La seconda, fu la glorio- sissima guerra Persiana finita con la presa di Ctesi- fonte medesima, sì che per la prima volta veniva alla perfine vendicato l'obbrobrio della prigionia e morte dell'imperatore Valeriano (« ultus Romulei violata ca- cumina regni », Cynegetica 73, esclama il coevo Neme- siano parlando di questa seconda guerra). L'eco ne fu vivissima nell'impero Romano; scrivendone Rufo Festo quasi un secolo dopo, attribuisce la morte per fulmine, di Caro sul campo delle sue vittorie (una delle due versioni), a vera gelosia e vendetta degli Dei : " Cari imperatoris Victoria de Persis, nimium « potens superno Numini visa est: nam ad invidiam « coelestis indignationis pertinuisse credenda est;...; (i) La data per la morte di Caro oggi accettata è quella di " peu après le 8 décembre 283 „ (Cagnat, p. e.), basandosi sulle Costituzioni Imperiali, V, 71, 7; VII, 2, 9; VI, 42, 16; IX, 46, 4; VII, 45, 6; II, 55, 2 del Codice Giustinianeo, le quali dal settembre giungono con l'ultima citata alle Vili kal. la», del 283, e portano la soscrizione Caro et Carino AA. Coss. Non si è fatta attenzione che questa indicazione non è che la inalterabile datazione coi Consoli eponimi ; solo una damnatio tne- moriae di Caro l'avrebbe potuta far cambiare, ma pel contrario si ebbe la sua consecratio : del resto, già doveva porre sull'avviso il titolo ge- nerale, ed esattissimo, posto in testa a tutte le Costituzioni di quel- l'anno : Imppp. Cartis Carinus et Numerianus AAA. Il fatto del cambio dei Consoli eponimi lo abbiamo invece per Carino II et Aristobulo coss.^ del 385, che diventano Diocletiano II et Aristobulo coss.; ed invero quasi tutte le epigrafi di Carino e di Urbica, e molte di Numeriano, le troviamo scalpellate, cioè Carino fu colpito con la damnatio mem. 436 GNECCHI- PROFUMO « quum Victor totius gentis castra super Tigridem « haberet, fulminis ictu interiit ». [Breviarium rerum gestarum P. R., 24). E non meno alta è la lode di Sidonio Apollinare, di quasi due secoli dopo, per sif- fatta guerra di Caro: la sua vita, dice, fu pari al ful- mine che lo rapì « ...., tum cum fulmine captus Im- « perator | vitam fulminibus parem peregit? » (XXIII 95, 96). « Che giammai Caro sia venuto in Roma lo si ha — in genere — dal silenzio assoluto delle fonti più antiche ; e dalle loro asserzioni che proclamato all'Impero portò subito, « statim » {v. 9), a fine il Bello Sarmatico « quod gerebat » {v. 8), e che imme- diatamente dopo, « protinus » (Aur, Victor, Caes. 38, e V. 7), passò in Mesopotamia contro i Persiani; e similmente da Eutropio: « sed dum bellum adversus u Sarmatas gerit, nuntiato Persarum tumultu ad il Orientem profectus res contra Persas nobiles ges- « sit; . . . . ; et cum castra supra Tigridem haberet, « vi divini fulminis periit » (IX, 18). Ma lo si ha, poi, documentariamente dall'assenza della mone- tazione Urbana con l'ADVENTVS AVG-VSTI, che era ca- ratteristica per la presa di possesso di Roma da parte dei novelli Imperatori che fossero stati eletti fuori di Roma ; e Tuso ne fu costante da Adriano in poi ; ed essa monetazione è ricchissima per Probo , e non manca per Diocleziano (per Caro il Mionnet, Coh." 6, ne ha citato un esempio, ma di esso nulla si sa) (0. Del resto l'assenza di (i) Si ha un medao^lione (Coh.- VI, p. 366) con le leggende: IMP. CARO AVO. CARINO ET NVMERIANO CAESS. || ADVEN- TVS AVGG. La dizione del diritto ci mostra ch'esso è del primo inizio dell'impero di Caro. La dizione del rovescio sarebbe invece po- steriore, cioè di quando già Carino e Numeriano avevano ricevuti an- ch'essi il titolo d'IMP. ; così, p. e., i! Coh.^ Cartis et Garin n. 11 che ha IMPP. CARVS ET CARINVS AVGG. Mi sembra quindi che il me- daghone dell'ADVENTVS ch'è indubbiamente dell'inizio dell'impero MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGNIA VRBICA 437 Caro da Roma ci è documentata solidamente dal- l'assenza delle monete trionfali, che venivano co- niate solo allora che l'Imperatore avesse effettiva- mente condotta la pompa trionfale al Capitolino; ed assenza numismatica tanto per la vittoria Sarmatica, quanto e sovratutto per la vittoria Persiana per la quale siamo sicurissimi che il Senato gH ha votato il trionfo, poiché ne ricevè il relativo cognome trion- fale di Persicus Maximus {v. 8, e l'epigrafia). Né tale cognome trionfale si ritrova nella sua monetazione, se non che nelle monete postume di consacrazione (Coh/ 17 col PERSICVS, e 19, 22-24 col PARTHICVS) ('). « Ed infine, riguardo a non avere dato Caro grandi hidi in Roma — i quali erano sempre riser- bati alla presenza dell'Imperatore nella Urbe, ed erano dati di preferenza o per Vadventus Augusti o per una qualche sua pompa trionfale, — il già visto ce ne fornisce le pruove. Ma vi si aggiunge esat- tamente la corrispondenza numismatica ; poiché ab- biamo in Caro l'assenza di qualsiasi tipo tanto a riguardo di ludi, quanto delle pubbliche elargizioni che solevano accompagnarli (tipi che ritroviamo re- golarmente in Probo, v. Probi 19 e Coh.' 324-30, ed in Diocleziano, Coh.* 311-12). di Caro, non possa, per l'adulatorio AVGG., appartenere che a zecca provinciale, e probabilmente dell' Illirico o della Pannonia (poiché Probo, era nei pressi di Sirmio, e Caro suo Prefetto del Pretorio era in Pan- nonia, ed il medaglione è di Agram), ed alludere a\Vadventt4s di Caro con i due figli (tale n'è la figurazione) nel capoluogo di essa Provincia (forse Sirmio o Siscia, od al più Serdica o Tessalonica). (i) Maiala, il cronografo bizantino del finire del VI secolo, è l'unico che faccia cenno d'una venuta in Roma di Caro. La pone dopo le vit- torie Persiche: « Romani deinde reversus, belloque alio adversus Hun- nos suscepto, interfectus est „; basta ciò! Le fonti più importanti per cotesti cronografi sono ben di frequente le Passioues dei martiri. Per darne un esempio opportuno : Numeriano viene scorticato ed impagliato dai Persiani, mentre Carino, divenuto amico dei ss. Cosma e Da- miano ed amico dei Cristiani, vendica il fratello annientando i Persiani (XII, 401-6). 438 GNECCHI-PROFUMO « E mentre mancano in Caro cotesti tipi mone- tari, essi ci si presentano proprio per Carino. « Per i ludi (Coh/ 47, che nell'epoca n'è questo il tipo) : IMP. CARINVS • AVG ! LAETITIA • FVND(«/«). « Per i congiaria (Coh/ 48): IMP. C • M • AVR • CARINVS • P • F AVO l! LIBERALITAS • AVGG- « Da quest'ultima dizione noi caviamo che tali ludi e liberalità ebbero luogo ancora vivendo Nu- meriano ; ed infatti gli Imperia Caesarum del Crono- grafo, che le elencano sempre e ne tacciono appunto sotto di Caro, hanno invece : « Carinus et Nume- « rianus imper. ann. II menses XI d. II. Cong[iarium] rt ded[erunt] X d. ». « Di tah ludi e congiari si può determinare la data ; ma qui non posso apportare tutta la minuta analisi necessaria, e dirò solo dei risultati. u Essi furono dati neiroccasione della grande pompa trionfale che i due fratelli Augusti, Carino e Numeriano, condussero in Roma sul finire della primavera od inizio dell'estate dell'anno 284. Tale trionfo di ambo gli Augusti, ci è documentato dal grande bronzo di Numeriano (Coh." 91) del TRIVNFV(5) • QVADOR(«w), ove nella quadriga trionfale sono i due Augusti reggendo ciascuno una palma. Manca an- cora il correlativo medaglione di Carino per cono- scere il titolo del suo trionfo (^); ma esso lo cono- (i) Benché manchino della leggenda trionfale, sarà bene rammen- tare a tale proposito i due medaglioni senatoriali da me ultimamente pubblicati {Rivista Ital. di Nunt., anno 1909, pag. 363-364): i.o ^ — IMP C NVMERIANVS P F AVCr Busto laureato e co- razzato a destra. MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGMA VRBICA 439 sciamo dall'epigrafia, fu trionfo Germanico, poiché n'ebbe il relativo cognome trionfale di Gennantcus Maximus (C /. L. Vili, 7002, che ha « Trib. pot. bis Cos [II.] » cioè è del 284; ivi cf. anche la 2717). TaH sue vittorie Germaniche dell'estate (') ed autunno del 283 ci sono anche ricordate con bella lode dal- l'amico ed emulo in letteratura di Numeriano (v. 11), da Nemesiano : « Nec taceam, prima quae nuper « bella sub Arcto | felici. Carine, manu confeceris, « ipso I paene prior genitore Deo » (cioè, già es- sendo consacrato Caro, Cynegetica 69-71). E ci sono ricordate appunto dalla coniazione, da Augusto, di Carino (Coh.' 158-9): IMP • C • M • AVR • CARINVS • P • F • AV& ii VICTORIA • GER- MANICA. Ma Nemesiano ci attesta inoltre anche cotesto du- plice trionfo di Carino e Numeriano come atteso di 9 — P M TR P COS P P S C Numeriano e Carino in quadriga lenta a destra. Quello a destra tiene un ramo. Coli. Gnecchi (già coli. Kaiser di Zagabria). 2.0 B' ^ IMP CARINVS P F AVG Busto laureato a destra in corazza e armato di scudo. 9 — Come il precedente. Eremitaggio imperiale. Pietroburgo. — Aggiungerei anche quello di Budapest, senza rovescio e finora inedito che ha i due busti affron- tati e la leggenda: IMP CARINO ET NVMERIANO P P F F AVGG. F. Gnecchi. (i) Che già in tale epoca esse vittorie fossero ottenute da Carino, lo si ha dal grado delle qualifiche imperiali (cfr. in fine dello scritto la serie cronologica di tali qualìfiche) che apporta l'epigrafe C. I. L., II, 4103, di bellissimn scrittura, dedicata a Carino: VICTORIOSISSIMO ' PRINCIPI • IVVENTVTIS ■ M ■ AVR • CARINO • NOBILISSIMO ' CAESARI ■ COS • PROCOS • ecc. 440 GNECCHI-PROFUMO giorno in giorno in Roma allorché scriveva il suo carme {Cyneg. 63-82) : Mox vestros meliore lyra memorare triumphos accingar, Divi fortissima pignora Cari, : iaiu gaudia vota temporis inpatiens sensus spretorque morarum praesumit videorque mihi iam cernere fratrum Augustos habitus, Romam clarumque Senatum et fidos ad bella duces, et etc. Ed in ultimo, la spedizione di Numeriano contro i Quadi va posta nella primavera del 284. « Ritornando al motto di Diocleziano, esso ri- sponde esattamente anche per un altro argomento a cotesta data dei ludi. L'imperatore Caro amava e pregiava Diocleziano di tanto, che per l'annata 283 di cui Caro si era, come primo anno del suo impero, riservato il Consolato unitamente al figlio primogenito Carino — « Caro et Carino conss. » {Fasti del Cro- nografo 354, e concordi tutti gli altri) — volle a Console suffetto Diocleziano: « [an. 283] K^^pou xal Ka- pivou — .YiTtavou xaì BaGcou. — [an. 284] Kapivou TÒ ^' xaì Nouueptavou » {Chronicofi Paschak). — Sotto Carino invece, nel 284, Diocleziano non lo troviamo piìi che « domesticos regentem » {v. 13), ed a mag- giore ironia posto tale al seguito di Numeriano, cioè sotto agli ordini del Prefetto del Pretorio Aper, suo rivale sia negli alti gradi della milizia che nella co- mune aspirazione all'Impero {v. 15). « Del resto Carinus non era che il derivato pa- tronimico di Carus: « Probus Probinus, Rufus Ru- « finus, Maximus Maximinus, Marcellus MarcelHnus, « Carus Carinus » (Prisciano, Instit. II, 58). Ora noi vediamo che con la morte del genitore, cessando l'omonimia, sovente venivano smessi cotesti patroni- mici; ne è risultato che restarono nell'uso entrambe MEDAGLIONE Di CARO E DI MA(.NIA VRBICA 44I le forme per lo istesso individuo. Così nei Fasti Con- solari, ad esempio, troviamo ora una forma ora l'altra: Ann. 275 Aureliano III et Marcellino \ Aurei. Aiig. Ili et Marcello Ann. 288 Maximiano II et lanuarino \ Maxim. Her culto II et la- nuario Ann. 289 Basso II et Ouintiniano \ Basso et Quintiano. u Ma ne arreco un esempio ancor più netto; in un medesimo documento, d'alto valore, cioè nella lista dei Prefetti Urbani del Cronografo del 354, lo stesso individuo per i suoi due anni in carica è in- dicato : Ann. 288 — Poniponius lanuarius Ann. 289 — Poniponius lanuarianus. u \Jeditio Cari del biografo Vopisco per i ludi di Carino, e X imperium Cari di Aureliano a propo- sito del mal governo di Carino, corrispondono adun- que all'uso parlato del tempo (■>. « Sicché la probabilità Carus per Carinus ri- spondendo esattamente al suo tempo, toglierebbe di mezzo l'eccezionalità numismatica d'una coniazione di suocero con nuora, e ci farebbe ritrovare nel nor- male abbinamento dtWAugiisto con V Augusta. Ma di (i) E molto probabilmente è lo stesso fenomeno che si verifica nei fasti consolari, ove alcuni hanno : 283 Caro et Carino, 284 Carino II et Nttmeriano; altri invece: 283 Caro et Carino, 284 Caro II et Numeriano. Ne arreco anche un esempio epigrafico e proprio d'un Imperatore, il che è una eccezione: per l'imp. Veldumiano Volusiano, figlio e collega di Treboniano Gallo (an. 251-253), il Veldutnianus appare talvolta in epigrafi, di buona dizione, come Velduminiantis (C. /. L., Ili, 6919), Velduminus (ib., Ili, 4741), Veldumius (Cagnat C. d'épigr. lat.), ecc. 5«5 44^ GNECCHI-PROFUMO siffatte libertà linguistiche non abbiamo esempio nella numismatica del tempo ; sicché pur avendo presentata tale probabilità quale evenienza da dover sempre essere presa in esame per i testi letterari e epigrafici e numismatici riguardanti Caro e Carino, per il suo medaglione — chmo Comm. — bisogna attenersi ai risultati che potrà dare l'esame icono- grafico. • « Negli ultimi decenni del III secolo l'arte in realtà ormai era tale che non si può da essa pre- tendere dei veri ritratti nelle figure imperiali dei coni monetari. In specie, poi, quando due impera- tori si rassomighano grandemente come Caro ed il figliuolo Carino (cfr., p. es., in Coh.^ Carus et Carinus 3 e io), né l'arte sa più col bulino esprimere le dif- ferenze di età. u Dato ciò è vano per i piccoli pezzi mone- tari di Caro e di Carino cercarvi sicure differenze iconografiche, e bisogna stare alle leggende. Ma nei grandi bronzi, o medaglioni, che sono lavorati con intenti di arte, si nota — sulle linee generali e con numerose eccezioni — che gli incisori hanno cer- cato di dare un po' più di personalità ai busti di questi due Imperatori (paragone che si può fare anche col Coh.^ mercé le figure delle due serie dei medaglioni alla MONETA AVG., Carus 41 e 42, Carinus 56 a 58). « La barba di Carino vi é più folta e più crespa di quella del padre, sì che talvolta l'artista gliela disegna intenzionalmente anche sulla gola. 11 collo di Carino é corto e grosso, mentre in genere quello di Caro è sottile e slanciato. Un'altra dift'erenza è ancor più caratteristica, ma è più raro il ritrovarla: mentre Carino ha costantemente la fronte adorna MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGNIA VRBICA 443 di abbondanti capelli, Caro tal volta n'è totalmente privo, ha la calvizie frontale (Coh/ 41 e 87) (^). u 11 nostro medaglione che è a due metalli, ebbe ancor più alti intenti d'arte : ora l'Augusto rappre- sentatovi ha il collo non già slanciato ma neppure taurino ; la barba non vi è vivamente folta ; ed ha poi chiarissima la calvizie della fronte. Cioè, i ca- ratteri iconografici dell'Augusto sono proprio quelli peculiari a Caro. u E vero che ci troviamo in un periodo di ri- lassatezza nell'amministrazione delle zecche siffatta che non si esita per Vu adolescens » Numeriano {v. 7) sempre rappresentato imberbe — (cfr. in Coh.* le fig. dei medaglioni n. 25 e 26, e sovratutto quello del n. 91, Triitnfus Quadorum , tutti coni di già as- sunto all'Impero) — non si esita, dico, di coniare per l'appunto un medaglione, fornito d*un busto dalla folta e crespa barba (la figura in Coh.' 30) ch'è pa- tentemente un busto di Carino. « Ma pel nostro medaglione la corrispondenza iconografica del busto con la dizione della leggenda non fa lecito di porre innanzi un siffatto dubbio. " Noi abbiamo in realtà nel nostro medaglione l'abbinamento di Caro padre con Magnia Urbica, la moglie del figlio Carino ; cioè l'abbinamento, nuovo nella numismatica, del suocero con la nuora. .. Era necessario tutto l'attento e minuto esame che Le ho esposto per assodare che il Canis del (i) Il Maiala nei suoi ritratti imperiali nota che il pelo di Caro è liscio mentre quello di Carino è crespo; nota anche il recalvaster, ma Io attribuisce a Carino. Del resto quelle notizie sono oramai così guaste che non vi si può cavare nulla : p. e., 1' " adolescens „ Numeriano vi di- viene di 36 anni e con incipiente canizie, subcanus (XII, 402-3). 444 GNECCHI-PROFUMO medaglione fosse effettivamente l'Imperatore Caro, poiché oltre alla novità numismatica esso medaglione con l'esser di Caro verrebbe ad apportare un po' di luce su di un punto mal noto dell'impero suo. u Dalla dinastia Flavia in poi il diritto di ef- figie e di leggenda su monete veniva molto facil- mente concesso alle donne della famiglia imperiale. Già se ne trova l'esempio in Caligola per le sue tre sorelle, ma coi Flavi e sovratutto poi con Traiano esso si generalizza in modo quasi abituale; così, ad esempio, con Traiano ed Adriano si giunge ad avere la ricca coniazione di Matidia, la figlia di Marciana la sorella di Traiano ; e con Elagabalo, l'abbondan- tissima della nonna, di lulia Maesa. Ma la coniazione loro è sempre autonoma ; cioè l'abbinamento alla figura dell'Augusto è sempre riservato unicamente od all'Augusta, o al Conreggente, od ai parenti di primo grado, padre, madre e sorelle (l'eccezione deìVum- cum Elagabalo-Maesa è sospetta, cf. Coh.' IV). « Nel nostro medaglione non solo troviamo vio- lata tale consuetudine, ma la nuora porta il titolo ó! Augusta. Questo titolo veniva accordato dal Se- nato su richiesta dell'Augusto a quelle donne della famiglia imperiale a cui si accordava il diritto di effigie e leggenda su monete, e così lo hanno tutte quelle innanzi citate (come lo ha anche Matidia iuniore, la cognata di Adriano, come ci risulta dal- l'epigrafia benché non ci sia giunta ancora nessuna moneta). Sicché tale titolo non recherebbe alcuna sorpresa se il marito di Magnia Urbica non fosse il figlio stesso dell'Imperatore: supporre la moglie con tale titolo e con la concessione di tale abbinamento numismatico, senza che il titolo lo abbia in pari tempo il figlio Carino, non é cosa del terzo secolo, in specie in numismatica. Ne segue che quando venne co- niato il nostro medaglione Carino era Augusto, cioè Augusto unitamente e pari al padre Caro. MEDAGLIONE DI CARO E DI MAGMA VRBICA 445 « Ed ecco così che il nostro medaglione viene a confermare ciò che già il Ramus contro l'asser- zione dell' Eckhel aveva avanzato : cioè che Carino fu associato dal padre all'Impero quale Augusto. Egli si basava su d'un piccolo bronzo del Museo di Danimarca, che ha : IMP. CARVS P. F. AVO. (suo busto radiato) ,| IMP. CARINVS P. F. AVG. (suo busto radiato). Non ho potuto ancora leggere il Ramus (e lo cito dal Coh.' VI, pag. 364); ma benché la sua asser- zione sia esattamente rispondente al vero, essa non ha avuto eco nei biografi e raccoglitori di dati im- periali. Il trovare il Pins Felix (e similmente per VInvictus in epigrafia) fra il nome del personaggio e VAtigustiis, indica tassativamente che si tratta pro- prio deìVtmperùtm maximum^ della piena Conreggenza (cfr. in genere Mommsen, Droit. pubi, rom., V, pag. 482, 487, n. I). " Quando Carino fu chiamato dal padre all'Im- pero ? Rammentiamoci anzitutto che si è nel periodo del massimo abuso di sfumature dei titoli impera- tori, sì che il successore di Carino, Diocleziano, vi porrà fine — nel creare la sua tetrarchia — mercè i due Augusti ed i due Cesari. « Nei IO a II mesi d'impero di Caro noi tro- viamo per i figli Carino e Numeriano questo rapi- dissimo succedersi di gradi imperatori (riporto solo, per non abbondare, le dizioni per Carino) : i.° — M. Aur. Carinus Nob. Caes. (Numeriano fu creato Cesare un po' dopo di Carino, v. io). 2.° — Imp, C. M. Aur. Carinus Nob. Caes. (cioè i due fratelli ricevettero Vimperium proconsolare, ciò che ci testifica l'epigrafia). 3.° — M. Aur. Carinus Augustus Nobilissimus Caesar, o M. Aur. Xumeriamis Nobilissimus Caesar Augustus [C. I. L., Vili. 5332, riguardante 446 GNECCHi-PROFUMO entrambi i fratelli ; forse l'ebbe un po' prima Carino, poiché nella Vili, 10144 VAtig. è dato a Carino del pari che al padre Caro, e non già a Numeriano; la numismatica per questo terzo periodo ci dà, p. es., Imp. C. M. Aur. Niimerianus Nob. C. \\ Virtus Auggg., e il si- mile per Carino). « Questo terzo periodo corrisponde esattamente a quanto Vopisco assevera per altro pel solo Ca- rino : « Hic cum Caesar decretis sibi Galliis atque « Italia, Ilfyrico, Hispaniis ac Brittanniis et Africa re- u lictus a patre Caesareanum teneret imperium, sed « ea lege ut omnia faceret quae Augusti faciunt w {V. 16). Ma solo per Carino lo ricorda il biografo poiché in lui era governo effettivo, mentre nell'ado- lescente Numeriano, che allora seguiva il padre nella spedizione Persica, era in realtà onorario. 4.° — Itnp. Can'nus P. F. Aug., del piccolo bronzo del Ramus, oggi confermato dal nostro me- daglione ; ma attestato anche (ciò che sembra sia sfuggito finora) dalle coniazioni abbinate di Caro-Carino : — con Cariis et Carinus Augg. (Coh.' 6 e 9); — ma soprattutto con Impp. Carus et Carinus Attgg. || Victoriae Au- gusti. (Coh."^ Il); — coniazioni abbinate che mancano totalmente per Numeriano. Dunque fu il solo Carino che durante la spedizione Persiana venne dal padre associato completa- mente air Impero. « Questo quarto grado peculiare a Carino ci è nettamente espresso dalla epigrafe: IMP • M • AVR • CA- RINO • NOBILISSIMO • CAES • PIO • FELICI INVICTO AVO- • PONT • MAXIMO • TRIB • POT • P • P COS PROCOS • (C. L Z., MEDAGLIONE DI CARO E Di MAGMA VRBICA 447 II» 3835 e similmente ivi dalla 4761 ; forse anche la 4832, ma frammentaria e da trascrizioni non sicure). u Tale fatto della Conreggenza e tale sua da- tazione sono poi anche confermate dalle coniazioni imperiali della zecca di Alessandria. u Mentre ch'essa per la prima annata (annata di dinastia), per LA, — cioè dal 29 agosto 282 al 29 agosto 283 — ci apporta il Sepacró; per Caro e il Kaiaap per Carino e per Numeriano, noi troviamo la 2458, del citato Caia/. 0/ the greck coinSy Alexandria, che ha : A. K. M. A. KAPINOC C€B. || (Tyche col medio) LA cioè Carino già Sepacró;, Angusto^ prima del 29 ago- sto 283. E si rilevi che dopo di questa data per Caro non si hanno più, in Alessandria, se non che le monete di consacrazione; e per Carino come per Numeriano le normali monete col se^aa-ró;, con le an- nate dinastiche L B (dal 29 agosto 283) e L r (dal 29 agosto 284). u Forse fu la gloriosissima presa di Ctesifonte in unione alle prime vittorie Germaniche del figlio Carino (rammento la ora vista moneta abbinata alle Victoriae Atigustt.), che indusse il padre a nominarlo suo collega d'Impero. « O forse — tenendo presente il nostro me- daglione — fu il matrimonio di Carino con Magnia Urbica, ciò che spiegherebbe inoltre cotesto eccezio- nale abbinamento numismatico; matrimonio che, in tale ipotesi, dovette aver luogo durante le prime vittorie Persiane, ed indurre il padre alla Conreggenza, nella speranza di allontanare Carino dal mal costume e dall'estrema volubilità nei matrimoni : « uxores du- « cendo ac reiciendo novem duxit, pulsis plerisque « praegnantibus » {v. 16); e dalla numismatica ci risulta giusto, come in realtà Magnia Urbica, che lo 448 GNECCHI-PROFUMO fé' padre forse di due bambini (Coh/ M. Urb. 6), sia rimasta unica moglie di Carino per il tempo che tenne l'Impero. « Ecco adunque — chmo Commendatore — che il suo medaglione ci arreca: — i.° la notizia che Ma- gnia Urbica era o divenne moglie di Carino ancor vivendo Caro ; — 2.'' la conferma che Carino non fu associato all'Impero dal padre unicamente come Caesar e di poi come Caesar con le facoltà Augustee, ma infine anche quale Augustus ; il che non avvenne per il secondogenito Numeriano. « Valgano queste due conclusioni raggiunte a scusarmi presso di Lei, così innamorato dei nostri comuni studi, della eccezionale lunghezza del mio scritto a Roma, i settembre i<)io. u Attilio Profumo ». XCVIII. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM O Collezione FRANCESCO GNECCHI (Vedi Appunti N. VII, XI, XVI, XVIII, XXI, XXX, XXXVIII, XLV, LIV, LVII. LVIII e LXXXIII). Dò qui la nota di un centinaio circa di monete inedite, varianti o estremamente rare entrate nella mia collezione durante l'ultimo triennio, da aggiungersi a quelle che ho descritte e illustrate particolarmente di quando in quando, allorché Toccasione mi pre- sentava pezzi di un interesse speciale e richiedenti una speciale illustrazione. Ciò non toglie che anche nella presente serie ve ne siano alcune di primo ordine, come ad esempio il denaro di Giotapiano e parecchi nuovi medaglioni. AVGVSTO. 1. Denaro d'argento, variante Cohen, 151. ^' AVGVSTVS DIVI F Testa nuda a destra. l> — IMP XII e all'esergo SIGILI Diana di fronte rivolta a destra colla destra alzata tiene un'asta e colla sinistra l'arco appoggiato a terra. A sinistra il veltro. TIBERIO E DRVSO. 2. Denaro d'argento, dopo Cohen, 4. !>' — TI CAESAR AVG P M TR P XV Testa laureata di Tiberio a destra. 57 450 FRANCESCO GNECCHl ^ — Anepigrafo. Testa nuda di Druso a sin. (a. 13 d. C). (Tav. VII, n. i). Si conoscono due denari colle teste di Tiberio e di Druso, coniati negli anni 33 e 32 d. C. fuori di Roma, Cohen suppone a Cesarea di Cappadocia, io propenderei per la Spagna. L'esemplare ora descritto dal tipo si direbbe coniato a Roma, ove forse non si usò mettere il nome di Druso e si fece la moneta in questo lato anepigrafa. NERONE. 3. Aureo, var. Cohen, 17. ^ — IMP NERO CAESAR AVGVSTVS Testa laureata a destra. 9* — IVPPITER LIBERÀTOR Giove seduto a destra col tulmine e lo scettro. (Tav. Vir, n. 2). Questo tipo deve essere estremamente raro, perchè nessun esem- plare è noto e il Cohen nelle due edizioni non ne dà che uno, con leg- genda differente al diritto, citando Vaillant e Beger. 4. Tra MB e PB, var. Cohen, 213. ^ — NERO CLAVDIVS CAESAR AVG- GERMANIC Testa laureata a destra. ^ — PONTIF MAX IR POTEST IMP P P S C Nerone in veste talare a destra in atto di accompagnarsi colla lira. GALEA. 5. Gran bronzo, var. Cohen, 154. <^ - SER GALBA IMP CAESAR AVG PO MA IR P Testa a destra coronata di quercia. P — LIBERTAS PVBLICA S C La Libertà a sinistra col berretto e lo scettro. 6. Medio bronzo, var. Cohen, 142. ^ - IMP SER GALBA CAESAR AVG P M TR P Testa nuda a destra. I^ — LIBERTAS PVBLICA S C La Libertà a sinistra col berretto e lo scettro. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 45 1 7. Medio bronzo, var. Cohen, 179. B' — SER G-ALBA IMP AVGVSTVS Testa laureata a destra. 91 — QVADRAGENS REMISSAE S C Arco di trionfo sul quale si vedono due statue equestri. A sinistra tre prigionieri che camminano colle mani legate, e un altro sotto l'arco. VESPASIANO. 8. Gran bronzo, var. Cohen, 324. /B' — IMP CAES VESPASIAN AVO- P M TR P P P COS III Testa laureata a sinistra. I^ — MARS VICTOR Marte ignudo e galeato di fronte volto a destra, coll'asta e un trofeo. Presso di lui a sinistra un'ara. 9. Gran bronzo, var. Cohen, 341. & - IMP CAESAR VESPASIANVS AVO P M TR P Testa laureata a destra. I^ — PAX AVG-VSTI S C La Pace a sinistra col cornucopia e il ramo d'ulivo. 10. Gran bronzo, var. Cohen, 465. ^ — IMP CAESAR VESPASIANVS AVO P M TR P PP COS ili Busto laureato a destra col paludamento. 9 — S P Q R OB CIV SER in una corona d'alloro. 11. Piccolo bronzo, var. Cohen, 364. Sf — IMP CAES VESPASIAN AVG Tripode sul quale un corvo. P — PON M TR P P P COS III S C Mano che tiene una bilancia. 12. Piccolo bronzo, var. Cohen, 364 bis. ^' — IMP VESP AV& COS Ili se Caduceo fra due cornu- copie. 9 — PMTPPP COS VIII S C Caduceo alato. 452 FRANCESCO GNECCHl TITO. 13. Gran bronzo, var. Cohen, 148. Sf — IMP TITVS CAES VESP AVG- P M TR P P P COS VII Testa laureata a destra coll'egida. R) — ANNONA AVG-VST S C Donna assisa a sinistra, il gomito sinistro appoggiato alla sedia in atto di rilevare con la destra un lembo della veste. 14. Medio bronzo, var. Cohen, 156. ^ — IMP T CAES VESP AVG- P M TR P COS Vili Testa radiata a sinistra, ^ — CONCORDIA AVG- S C La Concordia assisa a sinistra colla patera e il cornucopia. 15. Medio bronzo, dopo Cohen, 204. B' - IMP T CAES VESP AVG- P M TR P COS Vili Testa laureata a destra. Il) — PAX AVGVSTI S C La Pace a sinistra appoggiata a una colonna col caduceo e un ramo. 16. Medio bronzo, var. Cohen, 224. B' — J CAES VESPASIAN IMP P M TR P COS II Testa ra- diata a destra. ^ — ROMA S C Roma con una corona nella destra e il parazonio nella sinistra assisa su di una corazza cui sono appoggiati due scudi. DOMIZIANO. 17. Aureo, var. Cohen, 76. ^ — IMP CAES DOMIT AVG GERM P M TR P VI Testa laureata a destra. I^ — IMP xml COS XIII CENS P P P Schiava germana seminuda seduta a destra su di uno scudo in atto di dolore. Sotto una lancia spezzata (a. 87). 18. Denaro d'' argento, dopo Cohen, 48. ^ — CAESAR AVG DOMITIANVS Testa laureata a destra. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 453 K — FIDES PVBL Due mani giunte e fra queste un ca duceo, due papaveri e due spighe. (Tav. VII, n. 3). NB. Questo rovescio che appare prr la prima volta sui denari di Domiziano, è già noto su quelli di Vespasiano e di Tito. 19. Denaro d'argento, prima di Cohen, 178. Sf — IMP CAES DOMIT AVG- GERM P M TR P XVI Testa laureata a destra. ^ — IMP XXII COS XVII GENS P P P Pallade alata che cammina a sinistra con lancia e scudo fa. 96). 20 Denaro d'argento, var. Cohen, 202. ^ — IMP CAES DOMITIANVS AVG- P M Testa laureata a destra. I^ — P P COS VII DES VIII Trono (a. 81). 21. Piccolo bronzo, dopo Cohen, 357. B' — IMP DOMIT AVO GERM Testa di Pallade coll'elmo a destra. ^ — IMP DOMIT AVG GERM e nel campo S C. 22. Piccolo bronzo, dopo Cohen, 516. B' — IMP DOMIT AVG GERM Trofeo. P —se Un alloro. DGMIZIA. 23. Denaro d'argento, dopo Cohen, 7. B' — DOMITIA AVGVSTA IMP DOMIT Busto a destra colla pettinatura a coda. I^ — PACI AVGVST La Pace sotto le spoglie di Nemesi che cammina a destra portando la destra alla bocca e tenendo un caduceo colla sinistra. Da- vanti a lei un serpente. NERVA. 24. Piccolo bronzo, var. Cohen, 119. & — IMP NERVA CAES AVG Modio con quattro spighe. 9 — se Caduceo alato. 454 FRANCESCO GNECCHI TRAIANO. 25. Medio bronzo, var. Cohen, 351. B' — IMP CAES NERVAE TRAIANO AVG- G-ER DAC P M TR P COS V P P Testa laureata a destra. P — Medesima leggenda. Busto laureato a destra. 26. Medio bronzo imperatorio, var. Cohen, 403. B^ — Leggenda come nel precedente. Testa laureata a destra coi rudimenti del paludamento. '^ — S P Q R OPTIMO PRINCIPI Busto laureato di Traiano a sinistra (senza S C). Anche all'esemplare di Parigi mancano le lettere S C, erronea- mente segnate nelle due edizioni di Cohen. 27. Medio bronzo, var. Cohen, 421. ^ — IMP CAES NERVAE TRAIANO AVG- GER DAC P M TR P COS V P P Testa radiata a destra. ^ — S P Q R OPTIMO PRINCIPI S C Roma o il Valore con una Vittoriola e l'asta assisa su delle armi a si- nistra, il piede appoggiato su di un elmo (o sulla testa d'un Dace ?). ADRIANO. 28. Medaglione d'argento, Cohen, 49. ^ — IMP CAES TRAIANVS HADRIANVS AVG Busto lau reato a sinistra col paludamento e la corazza, visto da tergo. I^ — PONT MAX TR P COS III La Felicità a sinistra col caduceo e il cornucopia. Diam. mill. 36, gr. 36,850. (Tav. VII, n. 4). Il pezzo non è nuovo; è anzi conosciuto per tre altri esemplari ai Musei di Londra, Berlino e Vienna ; ma nessuno è così completo e di- fatti i tre ora citati presentano i relativi pesi di gr. 21.500, 25.110 e 22.370, contro il peso di gr. 36.850 dell'esemplare mio. Non è di recente ritrovamento, ma proviene da una antica collezione. 29. Denaro d'argento, dopo Cohen, 171. ^ — HADRIANVS AVGVSTVS Testa laureata a destra, p — COS III Roma galeata a sinistra con una piccola Vittoria e l'asta. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 455 30. Denaro d'argento, dopo Cohen, 194. 3' — HADRIANVS AVGVSTVS Testa laureata a destra. P — COS III Caduceo. Tipo nuovo nelle monete d'Adriano. 31. Denaro d'argento, var. Cohen, 242. ^ — HADRIANVS AVO- COS ili P P Testa scoperta a des. ^ — FORTVNAE REDVCI Adriano togato a destra dà la mano alla Fortuna che tiene un cornucopia. 32. Gran bronzo, dopo Cohen, 923. B' — HADRIANVS AVGVSTVS P P Testa laureata a sin. 9 — HILARITAS P R COS ili SC L'Ilarità drappeggiata a sinistra colio scettro e la palma. Ai suoi piedi due bambine, una delle quali sorregge lo scettro, l'altra la palma. (Tav. VII, n. 5). L'Hilaritas è uno dei rovesci più comuni nei bronzi d'Adriano; ma non lo vidi mai colla testa dell' imperatore a sinistra. Per di più la figura dell'Ilarità invece del solito cornucopia, qui tiene lo scettro, 33. Gran bronzo, var. Cohen, 1001. & — HADRIANVS AVG COS ili P P Busto a destra col pa- ludamento. Testa scoperta. 9 — PIETAS AVG S C La Pietà a sinistra calle mani al- zate. A sinistra un'ara. A destra una cicogna. (Tav. VII, n. 6). 34. Gran bronzo, var. Cohen, 1064. & — HADRIANVS AVG COS III PP Busto a destra col paludamento. Testa scoperta. ^ — RESTITVTORI BITHYNIAE SC Adriano togato a si- nistra in atto di rialzare la Bitinia inginocchiata con un ramo e il piede appoggiato su di una prora. (Tav. VII, n. 7). 35. Medio bronzo, dopo Cohen, 1076. B — HADRIANVS AVG COS Ili P P Testa scoperta a sin. 456 FRANCESCO GNECCHI RESTITVTORI ITALIAE S C Adriano togato a destra in atto di rialzare l'Italia inginocchiata che tiene un cornucopia. (Tav. VII, n. 8). ANTONINO PIO. 36. Aureo, var. Cohen, 359. 1& - ANTONINVS AVG PIVS P P TR P XXII Testa nuda a destra. I^ - VOTA SVSCEPTA DEC III COS llll Antonino velato a sin. sacrificante su di un tripode acceso (a. 159). (Tav. VII, n. 9). 37. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 378. ^ — ANTONINVS AVG PIVS P P TR P COS III Busto a destra visto da tergo. Capo scoperto. I^ — APOLLINI AVG-VSTO Apollo di fronte colla patera e la lira. Diam. mill. 36, gr. 28,400. (Tav. VII, n. io). 38. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 395. ^^ — IMP T AEL CÀES HADR ANTONINVS AVG- PIVS Testa laureata a sinistra. P — P M TR POT COS II Roma assisa in sedia curule a destra collo scettro stringe la destra ad Anto- nino togato, che gli sta ritto davanti (a. 139). Diam. mill. 34, gr. 27,500. (Tav. VII, n. 11). Altro esemplare mill. 40, gr. 43500. 39. Gran bronzo, dopo Cohen, 647. ^ — ANTONINVS AVG PIVS P P TR P Testa laureata a destra. ^ — LIBERAL AV(3- (all'esergo) S C Antonino assiso in sedia curule su un palco a sinistra, e dietro lui il prefetto del pretorio. Davanti la Liberalità colla tessera e il cornucopia. Davanti al palco un citta- dino in toga che stende le mani. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 457 40. — Gran bronzo, var. Cohen, 699. ^ — ANTONINVS AVG PIVS P P TR P COS III Testa lau- reata a sinistra. I^ — OPI AVG S C La Ricchezza assisa a sinistra collo scettro nella destra in atto di rilevare colla sini- stra un lembo della veste (a, 140-143). 41. Medio bronzo, var. Cohen, 716. & — IMP CAES AELIVS ANTONINVS PIVS AVG- Testa nuda a destra. 9 — PIETAS (all'esergo) TRIB POT COS (m giro). La Pietà di fronte volta a sinistra colla patera e la cassetta dei profumi. Accanto a lei un'ara. FAVSTINA MADRE. 42. Gran bronzo, var. Cohen, 270. ^ — DIVA AVG-VSTA FAVSTINA Busto velato a destra. I? — se (all'esergo) Faustina a destra sotto le apparenze di Cerere, con due spighe e lo scettro, assisa su di un carro tirato da due elefanti montati ciascuno da un cornacco. (Tav. VII, n. 12). M. AVRELIO. 43. Aureo, var. Cohen, 180. ^ — IMP CAES M AVREI ANTONINVS AVG Busto laureato a sinistra con paludamento e corazza, visto da tergo. ^ — PROV DEOR TR P XV COS III La Provvidenza a sinistra coi globo e il cornucopia (a. i6t). (Tav. VII, n. 13). 44. Denaro d'argento, dopo Cohen, 88. ^' — M ANTONINVS AVG- TR P XXVII Busto laureato a destra col paiudaraenLo e la corazza. 9^ — IMP VI COS IH Marte armato a destra coll'asta e appoggiato allo scudo (a. 173). 58 45^ FRANCESCO GNECCHf 45. Deyiaro d'argento, dopo Cohen, 147. w©" — M ANTONINVS AVG- GERM SARM Testa laureata a destra. ^ — PAX AVG (all' esergo) TR P XXXI IMP Vili COS MI P P La Pace a sinistra col cornucopia in atto di incendiare delle spoglie guerresche (a. 177). 46. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 373. ^^ — M ANTONINVS AVO TR P XXVIII Busto laureato e corazzato a destra, colla testa di Medusa sul petto. I\l — MARTI VICTORI IMP VI COS III Marte armato gra- diente a sinistra con una piccola Vittoria e un trofeo (a. 174). Diam. mill. 40, gr. 55,000. (Tav. VII, n. 14). Cohen dà nel supplemento alla i.* ediz. e ripete nella seconda (al n. 430) un medaglione affatto identico al mio, ma legge al rovescio MARTI VLTORI. Non conosco l'esemplare da lui descritto e dato come appartenente alla collezione Duquenelle; ma assai probabilmente fu letto male e si trattava di un esemplare identico al mio colla leg- genda MARTI VICTORI. In primo luogo il mio esemplare, per quanto sia stato ab antiquo barbaramente abbellito da una lima che ridusse il contorno a guisa d'una sega, è abbastanza chiaro e assolutamente in- tatto; e poi l'atteggiamento di Marte è veramente quello di Marte Vin- citore, colla vittoria e il trofeo, mentre vendicatore è sempre rappre- sentato coll'asta e lo scudo in atto di combattimento. E si può anche aggiungere che sarebbe inverosimile la coniazione di due medaglioni nello stesso anno, identici in tutto fuorché nella leggenda del rovescio. Quello dato da Cohen è dunque da sopprimere. 47. Gran bronzo, dopo Cohen, 454. 3' — M ANTONINVS AVG ItERM SARM TR P XXXI Testa laureata a destra. ^ — DE GERM (all'esergo) IMP Vili COS III P P (in giro) S C Trofeo, appiedi del quale un prigioniero e una prigioniera (a. 177). MARCO AVRELIO E COMMODO. 48. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 2. .B' — M ANTONINVS AVG TR P XXVIII Busto laureato di Marc' Aurelio a destra, visto da tergo colla co- razza a squame. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 459 I^ - COMMODVS CAES G-ERM ANTONINI AVG &ERM FIL Busto di Commodo fanciullo a destra col paluda- mento e la corazza. Testa scoperta (a. 174). Diam. mill. 38, gr. 46,500. (Tav. Vili, n. i). Erano conosciuti due medaglioni simili, uno dell'anno 173 (TR P XXVII di M. Aurelio) l'altro del 175 (TR P XXIX dello stesso). L. VERO. 49. Aureo, dopo Cohen, 46. B' — L VERVS AVG ARMENIACVS Busto a destra in co- razza visto dal dorso. Testa scoperta. I^ — TR P Ili IMP il COS II L'Armenia seduta a sinistra appiedi d'un trofeo (a. 163). 50. Doppio sesterzio, dopo Cohen, 218. B' — L AVREL VERVS AVG ARMENIACVS Busto laureato a destra col paludamento e la corazza visto per di dietro. 91 — TR P IMI IMP II COS II S C Vittoria a destra in atto di posare su di un palmizio uno scudo su cui scrive Vie AVG- (a. 164). Il bronzo è coniato su di un disco da medaglione, mill. 38, gr. 45,000. 51. Medio bronzo, var. Cohen, 227. /B* - M VERVS AVG ARM PART MAX Busto laureato a de- stra veduto completamente da tergo. 9 — TR P VII! IMP llll COS III se Marte gradiente a destra coU'asta e un trofeo (a. 168). (Tav. Vili, n. 2). COMMODO. 52. Esemplare in stagno di un Medaglione di bronzo di Com- modo, dopo Cohen, 412. 3^ — M COMMODVS ANTONINVS AVGVSTVS BRIT Busto laureato a destra colla corazza. 460 FRANCESCO GNECCHI 9 — P M TR P XV IMP Vili COS VI P P Commodo in quadriga lenta a sinistra, coronato da una Vittoria (a. 190). Dal ripostiglio di Narni. 53. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 388. ^' — M AVREL COMMODVS ANTONINVS AVG- PIVS Busto laureato a destra colla corazza a squame visto da tergo. I^ — P M TR P VIII IMP V COS INI PP Roma seduta a destra coll'asta e la Vittoria. In faccia a lei la Pace e la Felicità pure seduta con un ramo e il cornucopia. Tra le due un tripode su cui Com- modo velato versa una patera. In faccia a lui due giovanetti, di cui uno suona la tibia (a. 183). Diam. min. 40, gr. 48,500. (Tav. Vili, n. 3). Proveniente dalla coli. Dupré. 54. Medaglione di bronzo, var. Coh., 7, di Commodo e Marcia. & - L AELIVS AVRELIVS COMMODVS AVG PIVS FELIX Teste accollate a destra di Commodo laureato e radiato e di Roma coH'elmo e il pelta. P — TEMPORVM FELICITAS Quattro bambini rappresen- tanti le quattro stagioni. Diam. mill. 42, gr. 47,500 (a due metalli). (Tav. Vili, n. 5). 55. Gran bronzo imperatorio, dopo Cohen, 517. ^' — M COMMODVS ANT P FELIX AVG BRIT Testa lau- reata a destra. ^ — FID EXERCIT (all'esergo) P M TR P XI IMP VII COS V P P (in giro) Commodo su di un palco a sini- stra in atto di arringare sei soldati e lui rivolti. Nella prima fila, il primo porta lo scudo e gli altri due impugnano la spada. I tre della seconda fila portano insegne (a. 186). (Tav. Vili, n. 4). La prima parte della leggenda circolare del rovescio è fuori del tondino, ma si legge per analogia di molti altri bronzi senatori simili a questo, rappresentanti con particolari diversi la medesima scena del- l'allocuzione alle coorti. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 461 CARACALLA. 56. Oro, dopo Cohen, 254. B' — ANTONINVS PIVS AVG Testa laureata a destra. ^ — PONTIF TR P X COS il Testa di Marte coll'elmo a sinistra (a. 207). 57. Gran bronzo, var. Cohen, 452. ^ — M AVR ANTONINVS PIVS AVG- GERM MAX Busto laureato a destra col paludamento e la corazza visto da tergo. ^ - P M TR P XVII IMP III COS IMI PP SC L'impera- tore in corazza galoppante a destra in atto di lanciare un giavellotto contro un barbaro (a. 214). (Tav. Vili, n. 6). 58. Gran bronzo, var. Cohen, 464. ^' — M AVREI ANTONINVS PIVS AVG- G-ERM Busto lau- reato a destra colla corazza a squame, visto da tergo. 9 — P M TR P XVIII IMP III COS INI PP SC Esculapio di fronte volto a sinistra. Alla sua destra Tele- sforo, alla sua sinistra un globo (a. 215). 59. Gran bronzo, dopo Cohen, 502. ^ — ANTONINVS PIVS AVG Busto imberbe laureato a de- stra coll'egida. pf - PONTIF TR P X COS II S C Caracalla galoppante a destra colla lancia in resta (a. 207). (Tav. Vili, n. 7). GETA. 60. Medio bronzo, dopo Cohen, 142. /B- — p SEPT GETA CAES PONT Busto a sinistra col pa- ludamento e la corazza. Testa nuda. 462 FRANCESCO GNECCHI P — LIBERALITAS AVGG llll S C La Liberalità a sinistra colia tessera e il cornucopia. (Tav. Vili, n. 8). È questa la prima moneta conosciuta che ricordi la quarta Libera- lità di Geta. Le poche monete dedicate alle liberalità di questo impe- ratore non accennano che alla quinta e alla sesta, ma quest'ultima è riferibile a Caracalla o a Severo. 61. Gran bronzo, dopo Cohen, 195. ^ — P SEPTIMIVS G-ETA CAES Busto a destra col palu- damento e la corazza. Capo scoperto. P — VIRTVS AVG-VSTOR S C Roma seduta a sinistra con una Vittoria nella destra e il parazonio nella si- nistra, tiene il gomito sinistro appoggiato a uno scudo. NB. Il Museo di Vienna possiede il medio bronzo di questo tipo. 62. Medio bronzo, var. Cohen, 125. B' — p SEPT G-ETA CAES PONT Busto a destra col palu- damento. Capo scoperto. ^ — CASTOR S C Castore a sinistra coll'asta tiene pel freno il proprio cavallo. ELIOGABALO. 63. Antoniniano, var. Cohen, 119. ^ — IMP ANTONINVS PIVS AVG Busto laureato a destra col paludamento. I^ — SACERD DEI SOLIS ELAGAB Eliogabalo a destra colla clava nella sinistra, in atto di versare una patera sull'ara. Nel campo una stella. ALESSANDRO SEVERO. 64. Medaglione di bronzo , dopo Cohen, 343. ^ — IMP ALEXANDER PIVS AVG Busto laureato a destra col paludamento e la corazza. '^ — SPES PVBLICA La Speranza che cammina a sinistra CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 463 sollevandosi la veste e presentando una piccola Vittoria all'imperatore che le sta ritto davanti colla destra tesa, accompagnato da due soldati, di cui il primo porta l'asta, il secondo una borsa (?). Diam. mill. 34, gr. 40,050. (Tav. Vili, n. 9). GORDIANO PIO. 65. Medaglione dt bronzo, var. Cohen, 202. & — IMP &ORDIANVS PIVS FELIX AVG- Busto laureato a destra col paludamento e la corazza. 9 — VICTORIA AVGVSTI Gordiano a cavallo a sinistra collo scettro e la destra alzata, preceduto dalla Vittoria colla corona e la palma e da un porta insegna e seguito da tre militi di cui il primo porta l'aquila, il secondo lo scudo e il terzo una insegna. Diam. mill. 38, gr. 45.250. (Tav. VIII, n. io). 66. Piccolo bronzo, dopo Cohen, 221. ^' - IMP C M GORDIANVS AVG- Busto laureato a destra. 1$ — ANNON AVG- L'Annona di fronte rivolta a sinistra con tre spighe e un cornucopia. (Tav. VIII, n. 11). L'Annona è un tipo finora sconosciuto fra le monete di Gordiano. Il piccolo bronzo descritto è di tipo piuttosto barbaro e fu assai pro- babilmente coniato in Oriente. Difatti a me venne dalla Siria. GIOTAPIANO. 67. Antoniniano, var. Cohen, i. P" — IMP M F R lOTAPIA AVG Busto radiato a destra in corazza. I^ — VICTORIA AVG (o potrebbe anche essere AVE, il guasto di un buco non permettendo di affermare con precisione l'una o l'altra lettura). (Tav. IX, n. i). Questa rarissima moneta, variante dai due esemplari conosciuti di Londra e di Parigi, venne ritrovata nel 1909 in Siria. 464 FRANCESCO GNECCHI FILIPPO PADRE. 68. Medio bronzo, var, Cohen, 171. ^^ — IMP M IVL PHILIPPVS AVG Busto laureato a destra. P — PAX AETERNA S C La Pace corrente a sinistra col ramo d'ulivo e lo scettro. OSTILIANO. 69. Gran bronzo imperatorio, dopo Cohen, 52. ^' — IMP CAE C VAL HOS MES QVINTVS AVG Busto lau- reato a destra. ^ — QVINTO FELIX (senza SO La Pace a destra col ramo d'ulivo e lo scettro trasversale. NB. È l'unico bronzo conosciuto d'Ostiliano senza S C VOLVSIANO. 70. Gran bronzo, var. Cohen, 121. B' — c VIBIO VOLVSIANO CAES Busto a destra col palu- damento. Testa scoperta. ^ — VOTIS DECENNALIBVS S C in una corona d'alloro. VALERIANO PADRE. 71. Aureo, var. Cohen, 55. ^' — IMP C P LIC VALERIANVS AVG Busto laur. a destra. 9* - lOVI CONSERVA Giove ignudo di fronte rivolto ri- volto a sinistra col fulmine e lo scettro e il man- tello sulibraccio. (Tav. IX, n. 2). 72. Antoniniano, var. Cohen, 16. B' — VALERIANVS P F AVG- Busto radiato a destra. ^ _ ANNONA AVGG- L'Annona a sinistra con due spighe e il cornucopia. Ai suoi piedi il modio. (Tav. IX, n. 3). NB. Dal Cohen le monete portanti la semplice leggenda VALE- RIANVS PF AVG sono attribuite a Valeriane giovine; ma ciedo che CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 465 il col. Vcetter abbia ragione di restituire all' imperatore Valeriano, a quello cioè che generalmente passa sotio il nome di Valeriano padre, tutte le monete che portano il titolo d'Augusto. Sulla iconografia in questi tempi si può fare ben poco assegnamento. GALLIENO. 73. Antonintano , dopo Cohen, 253. ì& — GALLIENVS AVG Testa radiata a sinistra. ^ — LAETITIA AVGG- L'Allegrezza a sinistra colla corona e l'ancora. 74. Antoniniano, var. Cohen, 672. ^ — IMP C P LIC GALLIENVS AVG Busto radiato a de- stra col paludamento. I^ — VIRTVS AVGG Marte a destra coll'asta rovesciata appoggiato allo scudo. 75. Antoniniano, var. Cohen, 697. & — GALLIENVS AVG Busto radiato a destra in corazza. 9* — VIRTVS MIL Marte a destra coll'asta rovesciata e appoggiato allo scudo. 76. Gran bronzo, var. Cohen, 744. B' — IMP GALLIENVS P F AVG GERM Busto laureato a destra in corazza. 9^ — APOLLINI CONSERVA S C Apollo ignudo a sinistra con un ramo nella destra e la sinistra appoggiata alla lira collocata su di un masso. 77. Gran bronzo imperatorio, var. Cohen, 786. & - IMP GALLIENVS P F AVG Busto laureato e coraz zato a destra, ^ — MONETA AVG Le tre Monete. Tipo solito (senza S C)- (Tav. IX, n. 4). 78. Medio bronzo, var. Cohen, 800. ^ — IMP GALLIENVS P F AVG Busto laureato a destra m corazza. 466 FRANCESCO GNECCHI ^ — PAX AVG- S C La Pace a sinistra con un ramo di ulivo e lo scettro trasversale. 79. Quinario di bronzo, var. Cohen, 540. ^ — GALLIENVS AVG- Testa laureata a destra, ^f — VBERITAS AVG L' libertà di fronte con un grappolo d'uva e il cornucopia. SALONINA. 80. Medaglione d'argento, var. Cohen, i. ^' — CORNELIA SALONINA AVGVSTA Busto diademato a destra. P — AEQVITAS PVBLICA Le tre Monete. Tipo solito. Diam. min. 35, gr. 27,150. SALONINO. 81. Medio bronzo imperatorio, dopo Cohen, 79. ^ — LIC COR SAL VALERIANVS N CAES Busto a destra, testa scoperta. P — PRINCIPI IVVENTVTIS (senza S C) Salonino a sinistra con un' insegna e lo scettro. AVRELIANO. 82. Aureo, dopo Cohen, 33. ^' — INIP C DOM AVRELIANVS AVG Busto laureato e co- razzato a destra. P — VIRTVS AVG Marte in abito militare col mantello svolazzante, gradiente a d. coU'asta e un trofeo. (Tav. IX, n. 5). SEVERINA. 83. Aureo eccedente o Medaglioncino d'oro, prima di Coh., i. ^ — SEVERINA AVG Busto diademato a destra, circon- dato dalla mezzaluna. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 467 91 — CONCORDIA MILITVM La Concordia militare di fronte con due insegne. (Tav. IX, n. 6). Il tipo è quello descritto da Cohen ma il peso eccede quello nor- male degli aurei di quest'epoca, gr. 6,800. 84. Aureo, var. Cohen, i. Come il precedente ; ma peso ordinario, gr. 6,000 e al- l'esergo R. (Tav. IX, n. 7). PROBO. 85. Aureo eccedente o Medaglioncino (foro, dopo Cohen, i. ^ — IMP C M AVREI PROBVS P AVG Busto laureato a sinistra col manto imperiale ornato di una corona sul petto, tiene colla destra un ramo (o un fiore?), colla sinistra lo scettro sormontato dall'aquila. ^ — HERCVLI ERIMANTHIO Ercole di fronte, che porta sulle spalle il cinghiale d'Erimanto. (Tav. IX, n. 8). NB. L'aureo pesa gr. 7,40. E dunque superiore a un aureo e può considerarsi come un piccolo medaglione. 11 rovescio di Probo coli' Er- cole Erimantio è conosciuto in un solo aureo del Museo di Brera, che però ha un diritto differente. 86. Medio bronzo, var. Cohen, 571. ^ — IMP C M AVR PROBVS P F AVG- Busto laureato e corazzato a destra. 9 — VICTORIA GERM Vittoria che cammina a destra tra due prigionieri legati e seduti a terra, portando una corona e un trofeo. (Tav. IX, n. 9). 87. Antonintano, var. Cohen, 291. ^ — VIRTVS PROBI AVG- Busto a sinistra in corazza col- l'elmo, la lancia e lo scudo. Su questo la scritta VOTIS X ET XX. ]^ — ERCVLI PACIFERO Ercole ignudo con un ramo e nella destra la clava e la pelle del leone nella sinistra. 468 FRANCESCO GNECCHI 88. Piccolo bronzo, var. Cohen, 666. ^' — IMP C M AVR PROBVS P AVG- Busto a sinistra col casco radiato, l'asta e lo scudo. 9 — VIRTVS PROBI AVG Probo a cavallo galoppante a destra in atto di trafiggere un nemico. CARAVSIO. 89. Piccolo bronzo, var. Cohen, 133. ^ - IMP CARAVSIVS P F AVG- Busto radiato a destra col paludamento. ^ — LEG Vili AVG Bue che cammina a d. AU'esergo M L. 90. Piccolo bronzo j var. Cohen, 192. ^ — IMP C CARAVSIVS AVG Busto radiato e corazzato a destra. I^ — PIETAS AVG La Pietà a sinistra col cornucopia, presso un'ara. AU'esergo lOI. MASSIMINO DAZA. 91. Quinario di bronzo, dopo Cohen, 134. ^ — MAXIMINVS NOB CAES Busto laureato a destra. P — PRINCIPI IVVENTVTIS L'imperatore a destra collo scettro trasversale e il globo. LICINIO PADRE. 92. Aureo, var. Cohen, 9. B' — LICINIVS AVGVSTVS Testa laureata a destra. I^ — lOVI CONSERVATORI Giove ignudo a sinistra col globo niceforo e lo scettro. Ai suoi piedi l'aquila colla corona nel rostro. Nel campo A. AU'esergo S M N A. (Tav. IX, n. io). 93. Aureo, var. Cohen, 18. B' — LICINIVS AVG OB DV FILII SVI Busto nudo di fronte col paludamento. CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 469 ^ — lOVI CONS LICINI AVG- Giove seminudo assiso di fronte su di un cippo colla Vittoria e lo scettro. Ai suoi piedi l'Aquila colla corona nel rostro. Sulla base SIC X SIC XX. All'esergo S M N A. (Tav. IX. n. 11). 94. Aureo, dopo Cohen, 21. ^ — IMP LICINIVS P F AVG Testa laureata a destra. ^ — ORIENS AVGG II Sole ignudo col frustino che cam- mina a sinistra, la destra alzata. All'esergo S I S. (Tav. IX, n. 12. LICINIO FIGLIO. 95. Aureo, var. Cohen, 4. B' — D N VAL LICIN LICINIVS NOB C Busto nudo di fronte col paludamento. I^ - lOVI CONSERVATORI CAES Giove come nel prece- dente. Sulla base SIC V SIC X. All'esergo SMNT. (Tav. IX, n. 13). COSTANTINO MAGNO. 96. Aureo, dopo Cohen, 176. B" — COSTANTINVS P F AVG- Testa laureata a destra. ^ — VICTOR OMNIVM GENTIVM Costantino in abito mi- litare a sinistra con un vessillo. Davanti a lui due prigionieri inginocchiati e supplicanti. Dietro a lui altro prigioniero legato e seduto a terra. All'e- sergo S M T S B. (Tav. IX, n. 14). 97. Denaro d'argento, dopo Cohen, 52. ^ — Anepigrafo. Testa diademata di Costantino a destra. P — FELICITAS REIPVBLICAE intorno a una corona, nella quale si legge VOT XX MVLT XXX. All'esergo SMN. (Tav. IX, n. 15). 470 FRANCESCO GNECCHI 98. Denaro d'argento, dopo Cohen, 40, ^ — Anepigrafo. Testa di Costantino laurodiademata a destra. P — CONSTANTINVS AVG- Vittoria che cammina a sini- stra colla corona e la palma. Esergo S M N. 99. Denaro d'argento, dopo Cohen, 45. & — Anepigrafo. Testa di Costantino laurodiademata a destra. ^ — CONSTANTINVS AVG-VSTVS Vittoria come nel pre- cedente. Esergo C • R. CRISPO. 100. Aureo, dopo Cohen, 16. ^^ — FL IVL CRISPVS NOB C Busto laureato e corazzato a sinistra. Tiene colla destra il globo niceforo e nella sinistra una testa d'aquila. ^ — VICTORIAE PERPETVAE Vittoria seduta a destra su di una corazza in atto di scrivere VOT XX su di uno scudo presentatole da un genietto alato. (Tav. IX, n. 16). COSTANTINO II. iQi. Medaglione d'argento, var. Cohen, 3. ^ — CONSTANTINVSjiVN NOB C^Busto laureato a destra in corazza. 9' — GLORIA EXERCITVS La Sicurezza a sinistra, le gambe incrociate e appoggiata a una colonna collo scettro e il ramo d'ulivo. All'esergo T S. (Tav. IX, n. 17). COSTANTE I. 102. Medaglione di bronzo,'^ ^o^to Cohen, 105. ^ — CONSTANS P F AVG Testa diademata a destra. I^ — VICTORIA AVGG L'imperatore cavalcante a sinistra CONTRIBUZIONI AL CORPUS NUMORUM 471 colla destra alzata. Una Vittoria con una corona nella destra accompagna il cavallo. Diam. mill. 33, gr. 25,550. Il rovescio è qui descritto perla prima volta fra quelli dei medaglioni di Costante, quantunque un esemplare simile esista al Museo di Berlino. E di buonissima conservazione ; ma leggermente martellato in giro, di modo che l'orlo ne è un poco rilevato, come avvenne di molti meda- glioni di quest'epoca per essere convertiti all'uso di contorniati; cièche è confermato anche dal solito monogramma dei contorniati che vi si vede graflSto. Mi giunse troppo tardi per inserirlo sulla tavola. Una variante di questo medaglione esisteva nell'antico Gabinetto Vaticano, come ne fa fede l'impronta che si conserva colle altre al Museo di Lodi; ma l'originale è ora scomparso, come molti altri pezzi che furono smarriti per via nel viaggio da Roma a Parigi nel 1797 e che a poco a poco si vedono ricomparire or qua or là in qualche col- lezione pubblica o privata d'Europa. COSTANZO II. 103. Medaglione d'argento, dopo Cohen, 14. 3' — D N CONSTANTIVS P F AVG Busto diademato a de- stra con paludamento e corazza. ^ — GAVDIVM POPVLI ROMANI intorno a una corona di alloro nella quale si legge VOTIS XXX MVLTIS XXXX. All'esergo • S I R M • (Tav. IX, n. 19). 104. Medaglione d'argento, var. Cohen, 20. & — CONSTANTIVS P F AVG Busto diademato a destra. ^ — (^kMDWIfA POPVLI ROMANI intorno a una corona nella quale sta scritto SIC XX SIC XXX fra due rami di palma. Esergo S I S e una corona. (Tav. IX, n. 18). 105. Medaglione d'argento, var. Cohen, 42. ^B* — CONSTANTIVS P F AVG Busto laurodiademato a destra col paludamento e la corazza. I^ — VICTORIA AVGVSTORVM Vittoria che cammina a si- nistra colla corona e la palma. Davanti a lei una palma. All'esergo S I S e una corona. 472 FRANCESCO GNECCHl io6. Denaro d'argento, var. Cohen, 151. ^ — D N CONSTANTIVS P F AVG Busto diademato a d. ^ — VOTIS XXX MVLTIS XXXX in una corona d'alloro. AU'esergo S CON. 107. Medaglione di bronzo, dopo Cohen, 169. /©" — N FL CONSTANTIVS NOB CAES Busto diademato a destra con paludamento e corazza. ^ — VICTORIA AVG-G L'Imperatore a sinistra col globo niceforo e l'asta, coronato dalla Vittoria che tiene una palma. Diain. mill. 31, gr. 12,500. (Tav. IX, n. 20). VALENTINIANO I. 108. Medaglione d'argento, var. Cohen, 12. ^ — N VALENTINIANVS P F AVG- Busto diademato a d. ^ — VOTIS V MVLTIS X in una corona d'alloro. Esergo TRPS. VALENTE. 109. Medaglione d'argento, dopo Cohen, 9. /©" - D N VALENS PERP AVG Busto diademato a destra. P — GLORIA ROMANORVM Sotto una volta sostenuta da due colonne. Valente collo scettro trasversale e il globo. (Tav. IX, n. 21). VALENTINIANO III. HO. Aureo, var, Cohen, 23. ^^ — D N VALENTINIANVS P F AVG Busto diademato a sinistra col manto imperiale colla mappa e la croce. R} — VOT XXX MVLT XXXX Valentiniano di fronte che tende la mano ad una donna inginocchiata collo scettro. Nel campo R V. AU'esergo COMOB. Francesco Gnecchi. 11 denaro di P. Accoleio Lariscolo ed il sacello delle Ninfe Querquetulane Sul denaro di P. Accoleius Lariscolus con le tre figure in forma di Cariatidi, il Cavedoni ed il Borghesi *') hanno ravvisato un'al- lusione al culto dei Lari e delle divinità femminine preposte a guardia del bosco sacro ai Lares quer- quetulani. Erano queste ultime le Nymphae querque^ tulanae, divinità boschereccie, di cui Pesto dà la se- guente descrizione: « Querquetulanae virae putan- « tur significari Nymphae praesidentes querqueto « virescenti » ^^). La madre dei Lari, Acca Larentia, che perso- nifica la fecondità del suolo, particolarmente di quello di Roma, sarebbe raffigurata sul diritto della moneta e costituirebbe la ragione del nome della gente Ac- coleia (3). (i) Borghesi : Oeuvres complètes, I, 365 et suiv. — Cavedoni (in Revue Numismat., 1857, pag. 188). (2) Babelon : Descript, des monn. de la Repub. rom., I, Accoleia, i. (3) Babelon : Ivi. — Preller : Rómische Mytholog., pag. 72 e 422. 60 474 GIOVANNI PANSA Le Nymphae querquetidanae avevano un sacrario [Sacellum querquetidanum) ricordato da Varrone, il quale era situato suU'Esquilino, vicino al Fagutalis ed ai boschi sacri di Mephitis e luno Lucina (0. I Lari querquetulani in origine non erano che Lares compitales ed il loro sacrario veniva a corri- spondere proprio alla Porta querquetulana, non lungi dall'attuale chiesa di S. Clemente, ossia all'incrocio fra il Celio e l'Esquilino, dove s'incontravano nel- l'intento comune gli abitanti dei due colli. Quel san- tuario doveva rivestire carattere molto modesto , come modesto e familiare era il culto dei Lari e mo- desti gli altri sacelli sparsi per Roma e consacrati alle divinità inferiori, a somiglianza dei compita eretti nei pagi. Questi sacelli erano analoghi ai così detti Argei, o a quelle cappelle che in numero di venti- quattro la tradizione diceva in Roma consacrate da Numa (2). Essi scomparvero a poco a poco, con l'invasione progressiva delle aree destinate a situarvi monumenti più di lusso (3). Ravvisando, come ho detto, nelle tre divinità del denaro di P. Accoleius le tre ninfe querquetulane, i numismatici non hanno riflettuto ad una circostanza di particolare interesse. Quelle tre immagini, sotto forma di tronchi arbustati, non sono già tre simulacri isolati, ma costituiscono l'insieme del fronte del tem- pietto o sacello sacro alle tre deesse. Non si è fatta attenzione alla sbarra orizzontale che unisce le tre fi- gure, sulla quale poggiano i tre arbusti; la quale sbarra non dev'essere un ornamento vago e inde- (i) Varr. : Ling. lai., V, 49. — Cfr. Plin. : Hist. nat., XVI, 37. (2) Varr. : Ivi, V, 8. — Liv. : I, 21. (3) Gilbert O. : Geschichte u, topograph. d. Stadi. Ront. im Alterttttn Leipz., 1890, II, 63, n. i; 362 e seg., 378; IH, 49 e seg. IL DENARO DI P. ACCOLEIO LARISCOLO 475 terminato, ma un coronamento terminale della porta o facciata del sacello. Le tre ninfe sono riprodotte in forma di cariatidi; meglio, di tronchi d'albero fron- zuti, ovvero aste {tigilla), e sono sormontate da rami di quercia. Tutto l'insieme rivela la forma rudimentale dei primi sacrarli, i quali erano costruiti con tronchi di alberi. Plinio, infatti, afferma che i templi in origine erano costituiti da alberi (^); e le più antiche tradi- zioni deiritaHa e della Grecia ricordano esempì di tali costruzioni. Dell'antichissimo tempio di Giove sul Campidoglio non esisteva da principio che una querce sulla quale Romolo depose le prime spoglie opime (2). Il culto degli alberi e delle divinità adorate sotto apparenza di alberi, si ritrova nelle rehgioni primitive di tutti i popoli dell'Asia occidentale e dell'Europa. Vi era una credenza che faceva nascere i primitivi uomini dagli alberi e dalle pietre (3), mentre la per- sonificazione d'un albero, presso gli antichi, era cosa affatto naturale, come quella d'un fonte, d'un bosco, d'una roccia U). Le 'AuaXpuàSsc, che nei riguardi della mitologia greca erano altrettante ninfe da parago- narsi alle querquetulane ^^=0; = querce), chiamavansi tali, al dire di Servio, perchè nate dagh alberi, vi- vono e muoiono con essi di cui formano l'anima o l'essenza vitale ^5). Fra le divinità adorate sotto forma di tronco d'albero o di asta, si ricorda Hera o Giunone, la cui immagine primitiva, situata nel santuario di Samo, (i) PUN. : Ivi, XII, 2. — Cfr. OviD. : Fast., Ili, 296. — Senkc. : Ep., 41. (2) Liv. : I, IO. (3) Preller : Ront. Myth., VII, ao. (4) RoscHER : Lexicon, pag. 522. (5) Serv. : ad Virg. Egl., X, 62. — Cfr. Hesich. : s. v.» 8p6«. — ScHOL. Aristoph. : Equit., 675 ; Av., 480. 476 GIOVANNI PANSA era la più antica e consisteva in una trave di legno ((javì?). Vuoisi che Procles, figlio di Pityreo, ai tempi dell' emigrazione ionia, sostituisse al simbolo di quella trave un idolo a figura umana, il quale in seguito fu rimpiazzato da una statua in legno dello scultore Smilis ('). A quella specie di travi o fusti, detti xoana, in cui la forma umana era appena abbozzata, può pa- ragonarsi la 5^ìtóv o la colonna dei Dioscuri di Enomao e dei figli di Edipo (2), e la xì^v p.a)cpò;, ovvero colonna di pietra che ad Argos simboleggiava la stessa Hera o Giunone ^3\ Sotto apparenza della ^òpu o « basta » era raf- figurato Marte (4); e il Tigillum Soriorum eretto a scopo di divinità al pari di lupiter Tigillus, non era altro che la porta dell'antico Settimonzio, la quale dal monte Veha dava accesso all'Esquilino. Più tardi, allargandosi la cerchia del Settimon- zio, quella porta cedette il luogo alla porta Capena. Il culto delle divinità hastatae, sotto forma di porte, era comune a Roma come in Grecia. I tre si- mulacri delle deesse boschereccie del bosco sacro ai Lari, dette perciò Querquetulanae, ce ne porge uno degli esempì migliori. Quei tre simulacri intagliati, al dire di Tibullo, sopra un grossolano ceppo « pri- sco... e stipite factos » (5), costituivano senza dubbio l'antica porta o facciata del sacrario, allo stesso modo delle Sò/tava sparziati, che rappresentavano il (i) Clement. Alex. : Protr., 4, § 46, 47. — Arnob.: Adv. tiat. — Euseb- Praep. : ev. Ili, 8. — Pausan: VII, 4, 4 (ap. Overbeck : Griech. Kunst- mythol., III, 12 e seg. e nota 12 e seg. ; pag. 186 e seg.). (2) Pausan: V, 20, 6; IX, 25, 2. (3) Overbeck: Ivi, III, 4. (4) Pausan: X, 40, 11. — Arnob.: Ivi, VI, 11, pag. 25. — Liv. : XXIV, IO. ^5) TiBULL. : I, IO, 17. IL DENARO DI P. ACCOLEIO LARISCOLO 477 tempio primitivo dei Dioscuri a Sparta. Le boxava erano i Dioscuri stessi in apparenza di due travi verticali riunite da due traverse orizzontali (^). Rap- presentavano, secondo Snida (^), l'antica tomba dei Dioscuri a Sparta e propriamentente la porta di quel monumento *3). A me sembra che la tradizione e Tuso di queste forme primitive di sacrarli destinati alle divinità in- feriori, si sieno mantenuti in Roma oltre i tempi della Repubblica. Un sacello analogo a quello delle ninfe querquetulane era stato già consacrato a Mercurio neir anno 259 ossia della morte di Tarquinio <^X Era situato sulle radici dell'Aventino, di fronte al Circo Massimo. Se ne sono scoperti alcuni avanzi, ma sono quelli della ricostruzione fattane da M. Au- relio nell'anno 173 <5>. Se tale ricostruzione fu con- dotta, come sembra, secondo il disegno primitivo, può vedersi dell'antichissimo tempio o sacello una immagine fedele sul rovescio della moneta di bronzo dello stesso imperatore, che qui riproduciamo (^). "^^ (i) Plutarch :^De fratr. am.^ I, 36. (2) Ved. \' Etymolog. Magtt., s. v.° 8ò«ava. (31 Curtius: Peloponnesos, II, 316. — Max: Mtttheil. de Inst. in Athen.^ 1885, pag. 39. (4) Lvf. : XXI, 7. (5) Nardini : Rom. ant., VII, 3. — Cfr. Hulsex. : Rom. Mittheil., 1894, pag. 96. (6) Cohen: Descript, d. ntonii. de l'Emp. rom., Ili, M. Aurelio, n. 534. 478 GIOVANNI FANSA Dalla Struttura del fronte, come si vede sull'ef- figie monetaria, si rileverebbero le identiche caratte- ristiche dei sacelli primitivi. L'arco soprastante alla base orizzontale retta dalle quattro cariatidi, vi è ri- prodotto, secondo le costumanze originarie, per mezzo di due tronchi d'albero ripiegati da sinistra a destra e viceversa, coi due rami estremi conver- genti fra loro in forma di timpano. Le quattro di- vinità hastatae sono rivestite, ma si scorge tuttavia la linea delle braccia attraverso quella specie di tu- nica o pannolino che le ricopre sino a metà del corpo. Quelle quattro figure saranno state, con molta probabilità, altrettante divinità campestri, pari alle AetfxwvtaSe?^ preposte ai pascoli ed agli animali, e perciò in relazione con Mercurio, dio tutelare del bestiame. Sulmona, 7 novembre 1910. Giovanni Pansa. MONETA INEDITA DEL RE ROBERTO emessa dalla Zecca Angioina di Cuneo Ritiensi comunemente che Carlo II d'Angiò abbia nel 1307 istituita per il Contado del Piemonte la zecca di Cuneo, capitale dei possessi provenzali nella regione piemontese. Il Corderò di S. Quintino t^), rinvenuto negli Ar- chivi Generali delle Bocche del Rodano a Marsiglia l'atto 3 marzo 1307, già conservato ad Aix di Pro- venza nella Camera Reale dei Conti, con cui Rai- naldo di Letto, senescallo per Carlo II del Contado di Piemonte, a nome di quel sovrano stipulava in Cuneo coi monetieri Tomaso Ribba, Ardizzone Merlo e Rinaldino di Sommariva i patti per la fabbrica- zione di grossi tornesi, quinti e ventesimi di tornese da coniarsi ad regiam siclam in uno o più luoghi del regio distretto di Piemonte durante anni due a partire dalla allor prossima Pentecoste, ritenne che con questo accensamento si fosse dato principio alla zecca degli Angioini in Cuneo, ed il Promis (2)^ non conoscendo altri documenti, ripetè la stèssa cosa. Ma un atto notarile esistente nell'Archivio di (1) Notizie sopra alcune monete battute in Piemonte dai conti di Pro- venza. Torino, 1837. Tip. Ghiringhello. (2) Monete del Piemonte inedite rare. Torino, Stamperia Reale, 1852, pag. 17. L'atto è riportato a pag. 37. 480 ORAZIO ROGGIERO Stato di Genova (0 stabilisce che già nel novembre del 1259 a Cuneo si batteva moneta, cosicché la fondazione di quell'officina deve farsi risalire di quasi mezzo secolo ed assegnarsi alla signoria di Carlo I d'Angiò, anziché a quella di Carlo II. Con esso Lanfranco Mensura, cittadino d'Alba residente a Genova, richiede al 5 di novembre 1259 tre suoi parenti residenti ad Alba di prestare sicurtà di duecento lire di rinforzati verso il Marchese di Saluzzo <^2) in favore di Palmiro Rossi, Giacomo Ba- langero ed Antonino della Porta, fabbricatori della moneta che si fa a Cuneo : fabricatoribus monete que fit apud Cunium, per preghiera e servizio di Gu- glielmo Lecacorvo, banchiere genovese e loro socio. (i) Minuta in Archivio di Stato a Genova: Atti di notari ignoti. Arturo Ferretto : Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova (1141-1270) in Biblioteca della Società Storica Subalpina, voi. XXIII, pag. 235. Eccone il testo : " Viris prouidis et discretis domino Bono- " petro Mensura fratri suo Oddobono Petro consanguineo et Raimundo " Calderario eius cognato ciuibus Albe Lanfrancus Mensura de Alba " eorum frater consanguineus et cognatus salutem cum dedicione sin- " cera. Cum Guillelmus Lecacoruus bancherius meus sit specialis amicus " et mihi plurima miserat seruicia in ciuitate Janue et a me postula- * uerit modicum seruicium videlicet quod faciam fieri securitatem seu " intercessionem versus Marchionem Salucii de libris ducentis refor;:a- " torum prò Palmerio Rubeo Jacobo Belengario et Antonino della " Porta eius sociis dominis et fabricatoribus monete que fit apud Cu- " nium et dictus Guillelmus mihi securitatem fecerit in ciuitate Janue " ad meam voluntatem de dictis libris ducentis refor^atorum ideoque " discrecionem vestram deprecor precibus et instancia quanto possum " quatinus dictam securitatem seu intercessionem versus predictum " Marchionem vel eius nuncium faciatis ad eius voluntatem et a pre- " dictis Palmerio Jacobo et Antonino siue ab aliquo ex eis vobis fieri " faciatis instrumentum de seruandis nos indemnes a dieta obligacione " vel intercessione. Actum Janue in domo canonicorum Janue qua ha- " bitat Obertus de Leuanto speciarius MoCC^LVUIJ» die V» nouembris " circa completorium indicione prima. Testes Pascalis Brundus specia- " rius Bartholinus Regnonus de Ast et Obertinus nepos Oberti de Le- " uanto speciarii „. (2) Marchese di Saluzzo nel 1259 era Tommaso I. MONETA INEDITA DEL RE ROBERTO * 48 1 A Cuneo dunque nel novembre del 1259, ^ cioè pochi mesi dopo la dedizione del comune a Carlo I d'Angiò, avvenuta il 24 luglio di quell'anno, si fab- bricava moneta da tre zecchieri, soci di quel Gu- glielmo Lecacorvo che sei anni prima con patto del 6 ottobre 1253 in unione a Rumfredo da Siena aveva promesso a Giacomo Fieschi, conte di Lavagna, di donargli lire cento genovesi od il quarto del lucro se avesse ottenuto dal padre Opizzone facoltà di poter per due anni dalla prossima ventura festa di Santa Maria della Candelara — 2 febbraio — lavo- rare nelle costui terre di Savignone miliaresi di forma e peso uguali a quelli da usarsi nella città di Genova, permettendolo il Podestà ed il Comune ('). Questa moneta, coniata in Cuneo che nella sua dedizione si era obbhgata a prestar fedeltà a Carlo I, a pagargli un focatico annuale, a lasciargli i due terzi dei banni (multe giudiziarie) e delle date (tasse sulle liti), a ricever da lui il podestà e a cedergli tutte le regalie i^\ non poteva certamente portar altro nome ed impronti che quelli del nuovo Signore. Perciò non tutta la moneta battuta a Cuneo col nome del re Carlo appartiene al secondo di essi, ma ne esiste indubbiamente di quella emessa durante la signoria del primo. Riuscirebbe quindi interessante lavoro quello dello studioso che. avendo mezzo di confrontare i (i) Di questa convenzione il Promis dà notizia incompleta a pag. ii della sua Memoria sulle monete delle zecche di Messerano e Crevacuore dei Fieschi e Ferrerò (Torino, Stamperia Reale, 1869) omettendo il nome del Lecacorvo e tacendo sulla data, quantunque il documento incominci colle parole: * Ego Jacobus de flischo Comes lavanie promitto et con- " uenio vobis Rumfredo de sena et Guillelmo lecacoruo quod ita faciam ■ et curabo , e termini con queste altre: " Anno dominice natiuitatis " M.CC.LIIJ. Jndictione undecima die VI octobris inter primam et " terciam „. (2) Gabotto: Storia di Cuneo. Giuseppe Salomone, editore, 1898, pag. 46. 61 482 • ORAZIO ROGGIERO pezzi effettivi angioini stampati a Cuneo con quelli coniati in Provenza, sceverasse la moneta piemon- tese di Carlo I da quella di Carlo II, tenendo conto delle differenze di disegno e di grafia, ricordando che Carlo I possedette Cuneo ininterrottamente per diciasette anni dal 1259 al 1276, mentre Carlo li non ne ebbe la signoria che saltuariamente per quattro, dai 1305 al 1309, e notando che sulle monete pro- venzali Carlo li (1289-1309) dopo i primi anni di regno usò far incidere l'ordinale accanto al proprio nome, chiamandosi non semplicemente KAROLVS o K. come Carlo I, ma KAROL. SCD. o K. S- e cioè KAROLVS SECVNDVS (^). Cesserebbe così l'antilogia di pezzi attribuiti nella serie provenzale a Carlo I ed assegnati invece nella corrispondente piemontese a Carlo II. A Carlo II succedette nel 1309 il figlio Roberto che tenne la signoria di Cuneo per tutto il tempo in cui regnò sulla Sicilia e cioè fino alla morte oc- corsa nel 1343, tolta la breve interruzione avve- nuta nel 1313 per l'occupazione saluzzese. I molti anni di possesso del Contado gli diedero agio a batter moneta piemontese in quantità supe- riore ai suoi predecessori e sono noti il soldo coro- nato e, più frequente, il terzo di gigliato usciti col suo nome dalla zecca di Cuneo e differenziantisi da quelli coniati in Provenza solo per la leggenda del rovescio dicente COMES. PEDEMONTIS invece di COMES. PROVINCIE. Ad essi posso ora aggiungere una terza moneta venuta a mie mani dopo esser tornata alla luce nel- l'abbattimento di una vecchia casa in Cuneo. (i) Tobiesen-Duby: Tratte des monnoies des Barons de France. Paris, Imprimeri Royale, 1790, pag. 98. Fauris de St. Vincent afferma che Carlo li fu il primo principe che per distinguersi dai passati e dai ven- turi abbia aggiunto il numero al nome. MONETA INEDITA DEL RE ROBERTO 483 Essa corrisponde al denaro coronato, robertone o liardo di Provenza e ne differisce solo sul rove- scio per la diversa indicazione 'della Signoria ed il differente accantonamento del giglio. Infatti mentre il pezzo provenzale è così im- prontato : B* — + : IHR : ET : SICIL : REX : Nel campo : ROB - T in due righe con corona aperta soprastante. P — + : COMES : PROVICIE. Nel campo: Croce patente accantonata di un giglio al 2.° ; quello piemontese così si presenta : B' — + : IH(R : ET : S)ICIL : REX. Nel campo: ROB - T in due righe con corona aperta soprastante. pi — + COMES : PEDMONTIS. Nel campo: Croce patente accantonata di un giglio al i.**. La differenza consiste quindi unicamente in ciò che nella moneta provenzale il Re s'intitola Conte di Provenza ed il giglio è posto nel secondo quarto della croce e cioè a destra, mentre nel cuneese il Re si chiama Conte di Piemonte ed il giglio è posto a sinistra, cioè nel primo quarto. E questa seconda 484 ORAZIO ROGGIERO differenza viene ancora a sparire di fronte alla De- scription des Monnaies seigneuriales frangaises compo- sani la Colleciion de M. Faustin Poey d'Avant (0 ove al n. 1203 trovasi descritto un pezzo provenzale si- mile a quello sopra delineato ma col giglio posto come nel piemontese, pezzo di cui lo stesso numi- smatico nell'altra sua opera sulle : Monnaies féodales de France *^2) ripete la descrizione al n. 4004, sebbene nella tavola XC n. 6 dia solo il disegno di quello descritto al n. 4003 che tiene il giglio al secondo. È vero che anche il Tobiésen-Duby (3>, il Fauris de St. Vincent (4) ed il Caron (5) ci danno quel pezzo solo col giglio al secondo, ma se questa circostanza addimostra la rarità del pezzo provenzale col giglio al primo, non può farne porre in dubbio l'esistenza ed è perciò da ritenersi che anche il denaro coro- nato di Roberto d'Angiò emesso dalla zecca di Cu- neo, che primo pubblico, abbia il suo perfetto cor- rispondente nella serie provenzale. Saluzso, ottobre igio. Orazio Roggiero. (i) Fontenay-Vandée, Imprimerle Robuchon, 1853. (^2) Paris, RoUin, 1860, voi. 2. (3) Opera citata, tavola 96, nn. 9 e io. (4) Monnaies des Comtes de Provence. Aix, de l' Imprimerle d'An- toine Henricy, an IX, planche 5, nn. 13 et 14. (5) Monnaies féodales fran^aises. Paris, 1882, Rollin et Feuardent, pi. XV, n. 13. La Raccolta Numismatica di Carlo Emanuele III RE DI SARDEGNA e il tesoro di Papa Sisto V in Castel Sant'Angelo in Roma. Mentre si conoscono le inclinazioni artistiche di Carlo Emanuele III e il suo mecenatismo per gli artisti a lui con- temporanei (O, non da tutti si sa che il secondo re di Sardegna iniziò una raccolta di monete battute dai suoi predecessori. Vedremo fra breve come a ciò Carlo Emanuele III non sia stato esclusivamente mosso dalla passione per la numi- smatica, in quei tempi agli inizi e non ancora assurta al grado di vera e propria scienza. Le collezioni allora accu- mulavano senza alcun criterio scientifico e storico, monete e medaglie insieme con gli oggetti più disparati e diversi. Così Emanuele Filiberto molti anni prima aveva mostrato vaghezza di radunare monete, medaglie, quadri e statue, ma tale raccolta unica e confusa era più che altro un insieme di anticaglie (2). Parlando della collezione numismatica di Carlo Ema- nuele III, nostro scopo precipuo è quello di rendere noto ciò che non è afifatto conosciuto, e cioè che ad aumentare le specie della raccolta medesima concorse il '^ tesoro „ o " fondo di riserva „ che papa Sisto V aveva fin dal 1586 raccolto in Castel Sant'Angelo in Roma. ir*. I (i) CLARKrrA. / Reali di Savoia munifici fautori delle arti. (2) In occasione della costruzione a Vercelli di una cittadella con cinque baluardi Emanuele Filiberto, con convenzione 25 dicembre 1560, aveva stabilito che sarebbero state di sua proprietà " tutte le trove che * si faranno di midaglie d'oro o d'argento o d'altro metallo, come di " vasi di terra, marmi et ogni altra antiquaglia „. Cibrario. Dei Go- vernatori dei Maestri e delle Biblioteche de' Principi di Savoia, pag. 16, nota 4. 486 AUGUSTO TELLUCCINI Principale fonte pel nostro lavoro è stata la corrispon- denza corsa tra il ministro del re di Sardegna residente a Torino e quello rappresentante la Corte Sarda in Roma ; fonte sempre preziosa per chiunque voglia occuparsi della storia della Casa di Savoia. Abbiamo accennato come Carlo Emanuele III nell' ini- ziare la raccolta di monete sabaude non sia stato guidato da fini scientifici; ora aggiungiamo che anzi uno scopo essen- zialmente pratico e di buon governo gli suggerì tale idea. La diversità e varietà dei tipi di monete allora in corso erano causa d'inconvenienti pel commercio e pel traffico ed allora nella sua mente, altrettanto geniale nelle opere di pace come in quelle di guerra, sorse il proposito di una radi- cale riforma monetaria nei suoi Stati, che ovviasse agli inconvenienti lamentati e semplificasse il sistema coli' ado- zione di un solo tipo di moneta, coi rispettivi spezzati, per ciascuna specie di metallo. Il regio biglietto 15 febbraio 1755 (^) ridusse infatti le varie monete ad un unico tipo per ciascuna qualità dei metalli, e stabih che in avvenire si dovesse battere una sola moneta d'oro: la " doppia „ da ventiquattro lire coi suoi spezzati un mezzo ed un quarto, una sola d'argento: lo " scudo „ da sei lire cogli spezzati un quarto, un mezzo ed un sesto e finalmente le monete erose da soldi sette e denari sei, da soldi due e denari sei. L'uscita di queste nuove monete determinò naturalmente il ritiro delle vecchie che, dichiarate, fuori corso, furono ammesse al cambio. Ma di ciascuna di queste si volle con- servato qualche pezzo, sia perchè non se ne perdesse il ricordo, e più che altro perchè in caso di contestazione ve ne fosse un esemplare che potesse far fede. Questo adunque fu il principale scopo che spinse Carlo Emanuele III ad ordinare che si conservassero tre pezzi per ciascuna delle monete escluse dalla circolazione. Tale idea è meglio spiegata alcuni anni dopo da Vittorio Amedeo III, il quale dichiara che il padre aveva avuto in (i) DuBOiN C. e Amato F. Raccolta delle Leggi, Editti, Manifesti, ecc., emanate dai sovrani della Real Casa di Savoia, tom. XVIII, pag. 1331-34- LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE HI 487 animo di rimettere anche una serie completa delle monete raccolte al Magistrato della Camera dei Conti perchè la serbasse e " se ne potesse in avvenire giovare a chiarimento '^ delle controversie che non di rado soglionsi eccitare intorno " alla qualità e valore delle monete antiche „ (i). In questa decisione Carlo Emanuele III era venuto avendo dovuto constatare che nella maggior parte dei casi la disparità dei giudizi vertenti sopra il valore delle monete dipendeva dal fatto che mancava ai magistrati il modo di conoscere la loro intrinseca bontà, non essendo conservato un tipo sicuro cui paragonarle (2). Ciò abbiamo creduto di ripetere non volendo falsare la verità delle cose coH'attribuire a Carlo Emanuele III una vera e propria passione e cultura numismatica. Lo scopo della sua raccolta, diciamo ancora una volta, fu essenzial- mente pratico, non disgiunto però dal desiderio di conser- vare memoria dei suoi avi. Un identico fine mosse più tardi Vittorio Amedeo III a riprendere e continuare l'opera paterna (3). Carlo Emanuele III affidò l'incarico di raccogliere monete e di ordinarne le serie al cavalier Carlo Filippo Morozzo, allora riformatore nel Magistrato della riforma della Univer- sità degli studi di Torino (4). Per facilitare l'opera del Morozzo era stato ordinato a tutti i tesorieri provinciali di mandare a Torino le monete che mano, a mano venivano tolte dalla circolazione, ed al (i) Lettere Patenti di Vittorio Amedeo II. Torino, i marzo 1728, Originali. Arch. Stato. Torino (Sez. I). Zecche e monete anteriori al 1814, mazzi di nuova addizione. Pubblicate in Duboin, opera citata, t. XVIII, pag. IO. (2) Promis D. Monete dei Reali di Savoia, I, pag. V. (3) Lettere Patenti, i marzo 1728, ciL (4) Galll Cariche del Piemonte, II, pag. 62. Esiste nell'archivio di Stato di Torino (Sez. I). Zecche e monete anteriori al 1814, mazzi di nuova addizione, un manoscritto dal titolo: Per la Raccolta delle monete al Conio de' Reali di Savoja. Dissertaaione di Grato Molineri. Il ms. cartaceo, non numerato, pagine scritte 29, è dedicato dal Molineri, il 30 marzo 1765, al cav. Morozzo in seguito all'incarico affidatogli e con- tiene consigli da seguirsi nella raccolta delle monete e circa il nome, peso e bontà del metallo di quelle dei sovrani di Savoia. 488 AUGUSTO TELLUCCINI mastro della zecca era stato vietato di fonderle senza che fossero state esaminate e scelte dal Morozzo stesso (i). Costui prima di ogni altro volle procurarsi le copie dei documenti relativi alla monetazione e cioè editti, ordini, ordinanze di zecca, conti, ecc., ed in pari tempo incaricò il capitano Dari- sto di eseguire i disegni delle serie delle monete sabaude. Il Morozzo mentre attendeva al lavoro venne promosso ministro e primo segretario di Stato per gli affari interni (25 settembre 1765) (2). Tale nomina lo distolse un po' dall'opera, cui non potè più attendere con l'assiduità del pas- sato: allora si associò il conte Orsini di Orbassano e l'abate Berta, bibliotecario dell'Università degli Studi di Torino. Gii studi preparatori e la ricerca dei documenti relativi fecero sì che la requisizione delle monete procede da prin- cipio lentamente. Infatti il Vernazza, segretario per gli affari interni ed appartenente allo stesso ufficio del Morozzo, quando fu chiamato a collaborare per la collezione numismatica e potè prendere così visione delle monete già messe insieme, rilevò subito che se di alcune di esse se n'era già radunata una doppia serie, mancavano tuttavia le più antiche e la collezione stessa non abbondava di varietà (3). Data adunque la scarsità delle monete raccolte, si pensò ad allargare le ricerche anche fuori del Piemonte e si scrisse in proposito all'ambasciatore del re di Sardegna a Roma. L'incarico non poteva essere rivolto a persona più adatta. Rappresentante la Corte sarda a Roma era G. Battista Balbis Simone conte di Rivera che resse quell'ambasciata per trentanove anni (4). Costui venuto per adempiere una missione assai importante — si trattava di appianare alcune (i) Vernazza. Vita di Giambattista di Savoia, ecc., pag. 133. (2) Galu. Cariche del Piemonte, III, pag. 58. (3) Vernazza, op. cit,, pag. 135-136. (4) Il conte di Rivera aveva iniziato la sua missione nell'ottobre del 1738. Arrivato a Roma l'ii ottobre, prese provvisorio alloggio nel Monastero di Santa Prudenziana (Lettere, Ministri. Roma, mazzo, 191, n. I. — Arch. Stato, Torino, Sez. I) da dove si trasferì poi " in una " abitazione presso la Minerva „ (Ibid. mazzo 192, senza numero). Morì a Roma il 26 febbraio 1777. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 489 divergenze sorte fra i! governo pontificio e Torino in mate- ria beneficiaria e d'immunità ecclesiastica, campo oltremodo spinoso — (i) come aveva trovato il tempo di sorvegliare i diversi artisti pensionati in Roma da Carlo Emanuele III e di riferire sui loro studi e progressi (2), così non mancò di giovare al suo sovrano in questa nuova faccenda. Il 2 maggio 1764 il conte De Viry (3), ministro a Torino aveva partecipato al Rivera l'iniziativa del re, con l'avver- tenza però che la raccolta doveva essere limitata alle monete battute dai principi di Savoia, e lo aveva invitato a racco- glierne il maggior numero possibile (4). L' invito giunse in momento assai proprizio. Una grande carestia aveva afflitto Roma (5) ed il governo pontificio per rimediarvi fece acquisto di grandi partite di grano. Le ingenti spese sostenute però si ripercossero ben presto sulle pub- bliche finanze; per riparare al disavanzo si ricorse allora ad un prelevamento di denaro dal " tesoro „ detto anche * erario sanziore „, che papa Sisto V era andato sin dal 1586 (6) ammassando in Castel Sant'Angelo in Roma (7). Di detto erario si conservano ancora le casse forti <'8). Lasciando ai competenti in scienza delle finanze criticare il sistema finanziario di questo pontefice (9), che riteneva uno (i) BoGGTo. Chiesa e Stato in Piemonte. (2) Claretta, op. cit. (3) De Viry conte Francesco Giuseppe, ininistro e primo segretario di Stato per gli affari esteri (16 aprile 1764). Galli, op. cit., Ili, pag. 7. (4) Lettera del De Viry al Rivera. Torino, 2 maggio 1764. Lettere Ministri. Roma, mazzo 255, Arch. Stato, Torino (Sez. I). (5) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 12 maggio 1764. Arch., loco cit., mazzo 254. (6) Bolla 21 aprile 1586. Ad Clavum Apostolicae. Moroni. Dizionario di erudizione Storico ecclesiastica. Voi. LXXIII, pag. 294. (7) De HtlBENR. Sixte Quint, I, pag. 341-357. (8) ToMASSETTi F. Le Casse forti di Sisto V in Nuova Antologia, 16 giugno 1907. (9) Il sistema finanziario di Sisto V fu assai criticato dai contem- poranei, ma è pur vero che le principali fonti dalle quali si desume tale critica son costituite dalla corrispondenza diplomatica del tempo e bisogna riflettere che gli ambasciatori dei diversi Stati a Roma non potevano che vedere di cattivo occhio le ricchezze che il papa veniva accumulando. De HQbenr, op. cit., I, pag. 356. 490 AUGUSTO TELLUCCINI Stato tanto più ricco quanto maggiore fosse stata la copia del denaro che avesse avuto nelle sue casse, sta di fatto che Sisto V aveva radunato in Castel Sant'Angelo immensi tesori (i), la cui fama si perpetuò così nel popolo romano che, allorquando Gregorio XVI, qualche centinaia d'anni dopo contrasse un debito col Rotschild, la satira popolare per bocca del Belli uscì in questa invettiva: Uh! riarzasse la testa Papa Sisto Ch'empì zeppo Castello de zecchini (2). Il denaro riposto in Castel Sant'Angelo da Sisto V, che il Borgatti fa ascendere a tre milioni di scudi d'oro, non era stato più toccato dai tempi del pontefice Clemente XI (1700-1721) (3) che aveva ritirato cinquecentomila scudi d'oro per le spese di guerra contro l'imperatore Giuseppe. Fu nel concistoro segreto del 9 aprile 1764 che, per far fronte al disavanzo dell'erario pontificio, scosso in seguito alla tre- menda carestia (4) cui abbiamo accennato, si decise di attingere (i) Borgatti M. Castel Sani'' Angelo in Roma. Storia e descri-nione. L'autore dice che Sisto V si servì di Castel Sant'Angelo per custodirvi le cose più preziose: il denaro, i triregni e gli archivi; nel 1586 vi de- positò un milione di scudi d'oro, un secondo nel 1587 ed un terzo nel 1588. Secondo il Cerasoli {Documenti per la Storia di Castel S. An- gelo. — // tesoro pontificio di Castel S. Angelo in Studi e Documenti di istoria e Diritto, anno 1892, f. xiii, pag. 305). Sisto V il 28 aprile 1586 incominciò a depositare un milione d'oro in Castel S. Angelo ed altret- tanti versò in ogni anno del suo pontificato; così in tutto cinque mi- lioni e mezzo di scudi. (2) Belli G. Gioacchino. Sonetti. (3) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 11 maggio 1764. Arch., loco cit., mazzo 254. (4) " Trovandosi l'annona di Roma molto depauperata per i disca- " piti sofferti nella stagione 1762 e molto più nella stagione 1763 con " aver dovuto comprare ad esorbitanti prezzi quantità de' grani fora- " stieri per provvedere ai bisogni non solo della città di Roma che di " altre città e terre dello Stato Ecclesiastico molto travagliato dalla " Carestia, la S. Memoria di Clemente XIII, nel concistoro segreto dei " 9 aprile 1764 decretò che si estraessero dall'Erario Sanziore 50u|mila " scudi d'oro „. Arch. Stato, Roma, Arch. Camerale-Arch. Sanziore, fase. 1. Memorie diverse per la Storia dell'Erario vecchio di Castel Sant'Angelo e Erario Sanziore istituito da Sisto V. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 49I di nuovo dal " tesoro „ la cospicua somma di cinquecento mila scudi, pari ad oltre due milioni di lire italiane (0. Alla risoluzione presa nel concistoro tenne dietro l'ii aprile un chirografo dello stesso pontefice col quale si autorizzò per intanto l'estrazione dall'erario sanziore di due- centocinquanta mila scudi (2), I denari che mano a mano venivano tratti da Castel Sant'Angelo si dovevano recare al " Sagro Monte di Pietà di Roma „ ove allora funzionava anche il Monte dei Depositi, istituto poco dissimile dalle moderne delegazioni del Tesoro, che a sua volta doveva versare denaro alla Reverenda Camera Apostolica per l'Annona. Le monete estratte veni- vano poi portate alla zecca per essere fuse e riconiate in tanti nuovi zecchini (3) II cardinale Giuseppe Maria Castelli (1705-1780)^4) nella qualità di " Visitatore „ del Monte di Pietà dovè presiedere a queste operazioni ed al porporato predetto si rivolse il Rivera. Il Castelli promise all'ambasciatore sardo che sarebbe stata sua cura di scegliere dalla massa delle monete d'oro prelevate dal * tesoro „ quelle che secondo il proprio avviso avrebbero potuto interessare Carlo Emanuele 111(5). Al Rivera poi era stata lasciata facoltà di esaminare di nuovo le monete scelte, avendo egli già ricevuto istruzioni in proposito: il De (1) Il BoRGATTi, come non accenna al prelevamento ordinato da Clemente XI, così tace dell'attuale e dice solo " i milioni accumulati da " Sisto V furono poi usati da Pio VI al tempo della repubblica francese " per pagare il tributo imposto da Parigi a Roma „, op. cit, pag. 141, n. Anche il Cerasoli (op. cit., pag. 309) non parla del prelevamento del 1764, ma dice che Clemente XI per poter sostenere le spese della guerra che gli aveva mosso l'imperatore d'Austria, perchè esso pontefice aveva riconosciuto al trono di Napoli Carlo III, il 24 settembre 1708 col con- senso dei cardinali trasse da Castel S. Angelo cinquecento mila scudi. (2) Arch. Stato, Roma, Arch. Camerale-Erario Sanziore, fase. 7. Memorie delle estrazioni fatte per la carestia 1764-66. (3) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 12 maggio 1764. Arch. Stato, Torino. Lettere Mmistri. Roma, mazzo 254. (4) MORONI, cit, voi. IX, pag. 2-II. (5) Lettera 12 maggio, 1764, cit. 492 AUGUSTO TELLUCCINI Viry infatti con una sua lettera gli aveva ben fissato i limiti delle ricerche (i). A Torino si doveva ignorare che nel " Tesoro „ di Castel Sant'Angelo fossero solo monete d'oro, giacché la richiesta rivolta al Rivera si estendeva genericamente a monete sabaude " di qualunque metallo siano „. Come cri- terio per la scelta gli venne fatto noto che, possedendosi già le monete da Carlo Emanuele II (1638- 1675) in poi, si desideravano quelle battute dagli antecessori di questo prin- cipe. Per essere stato il " tesoro „ instituito sul finire del secolo XVI, si credeva a Torino che le monete in esso conservate dovessero essere necessariamente anteriori a Carlo Emanuele II (2), Giova notare che l'incarico della ricerca non venne limi- tato alle monete da estrarsi da Castel Sant'Angelo. Sap- piamo che la raccolta del re di Sardegna non fosse ecces- sivamente ricca e quindi si volle che il Rivera estendesse le sue indagini anche altrove per " vedere se riuscisse di " trovarne altre nelle mani dei Romani di qualsivoglia metallo " e farne anche l'acquisto „ (3). L'ambasciatore non mancò di assicurare la Corte di Torino che avrebbe posto ogni cura nell'adempimento del- l'ufficio affidatogli e soggiunse di avere il cardinale Castelli espresso la fiducia che tra le monete di Castel Sant'Angelo si sarebbe certamente trovate quelle anteriori a Carlo Ema- nuele II, perchè, dato il tempo in cui il " tesoro „ era stato iniziato, vi dovevano essere state riposte " per lo meno " quelle di Carlo Emanuele I, se non anche di Emanuele " Filiberto ed eziandio del Duca Carlo il Buono (Carlo III) „ (4). Si nutrivano insomma grandi speranze: l'erario sanziore avrebbe dovuto arricchire la raccolta di Torino delle monete battute sotto tre sovrani, dal 1504 al 1675. Vedremo in seguito come l'aspettativa sia rimasta delusa. (i) Lettera del De Viry al Rivera. Torino, 2 maggio 1764. Arch., loco cit., mazzo 255, (2) Ibid. (3) Ibid. (4) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 12 maggio 1764. Arch., loco cit., mazzo 254. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO E.MANUELE III 4C)3 Circa le ricerche da eseguirsi presso i privati il Rivera si affrettò a non fare concepire speranza alcuna, dichiarando che credeva " ben difficile di trovare monete antiche di " Savoia nelle mani di qualcheduno dei particolari , (i). Il dubbio da lui espresso deve avere trovato la conferma, infatti sfogliando tutta la corrispondenza dell' ambasciatore non si rileva accenno alcuno ad acquisti di monete da privati. Le operazioni del prelevamento andarono per le lunghe; l'ii aprile si estrasse, come già abbiamo notato, una metà della somma (2) e gli altri duecento cinquanta mila scudi vennero tratti dal " tesoro „ il 4 maggio seguente (3). Tale lentezza si ripercosse naturalmente sulla scelta che il Rivera doveva pure fare a sua volta. Costui il 4 agosto informa che la cernita proseguiva regolarmente e che il Castelli " aveva fatte e faceva mettere a parte quelle dei Sovrani " della Real Casa di Savoia „, perchè fra queste egli sce- gliesse quelle che sapeva interessare la collezione di Carlo Emanuele III (4). Questo, però, l'ambasciatore sardo potè fare solo alla metà dell'anno successivo (1765). Prima di parlare delle monete che il Rivera acquistò tra quelle trovate in Castel Sant'Angelo, non ci sembra fuor di luogo tener parola di successive offerte rivolte dal- l'ambasciatore a Torino in occasione di altri prelevamenti di somme dal * tesoro „ di Sisto V e di ulteriori incarichi di ricerche di monete affidate in seguito al Rivera stesso. Costui due anni dopo, memore dell'incarico ricevuto nel 1764, e forse sperando di poter essere più fortunato di allora nelle ricerche, informò (5) il ministro a Torino che a causa di una carestia '' maggiore certamente di quella (i) Lettera cit. 12 maggio 1764. (2) Arch. Stato, Roma. Arch. dei Segretari e Cancellieri della R. C. A. Instrumento, 11 aprile 1764. Protocolli dei Segretari della R. C. A., fol. 985, anno 1764, n. 1109, parte I. (3) Ibid. Instrumento 4 maggio 1764, ivi, fol. io, anno 1764, n. ino, parte li. (4) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 4 agosto 1764. Arch., loco e mazzo cit. (5) Lettera dello stesso allo stesso. Roma, 9 agosto 1766. Arch., loco cit., mazzo 256. 494 AUGUSTO TELLUCCINI del 1764 „ il g-overno pontificio aveva disposto una nuova estrazione di cinquecento mila scudi da Castel Sant'An- gelo (i). Tale notizia però non produsse l'effetto che il Ri vera si aspettava: il De Viry infatti rispondendo a tale lettera, che trattava anche di altri affari, non rileva per nulla la partecipazione fattagli (2). Né diverso effetto ebbe un'ulte- riore comunicazione, quella che il Rivera si credè in dovere di dare di lì a poco, essere cioè " incominciata la estrazione "della metà dei 500 mila scudi che nell'ultimo Concistoro " fu risoluto che si potessero levare da Castel Sant'An- " gelo „ (3). Anche la risposta a questa seconda lettera non accenna menomamente a nuova ricerca di monete (4). Sfogliando ancora la corrispondenza del ministro sardo a Roma troviamo è vero di bel nuovo il Rivera incaricato di raccogliere ed inviare a Torino delle monete, ma questo incarico non ha nulla a che vedere colla collezione numisma- tica di Carlo Emanuele IH. L'incarico questa volta riguardava unicamente la ricerca di monete pontifìcie. Il 5 agosto 1767 il Raiberti scrisse infatti al Rivera invitandolo a rimettergli due esemplari di ciascuno degli " zecchini „ e " testoni „ coniati durante i pontificati di Clemente XI, Benedetto XIV e Clemente XII " come pure " qualche pezza d'ogni altra battuta nei suddetti Pontificati „ insieme con le esatte indicazioni del titolo e del peso delle " monete medesime „ (5) (i) Concistoro segreto del 6 aprile 1766. Arch. Stato, Roma, Arch. Camerale, Erario Sanziore, fase. I. Memorie diverse per la storia del- l'Erario vecchio di Castel Sant'Angelo e Erario Sanziore istituito da Sisto V. (2) Lettera del De Viry al Rivera. Torino, 20 agosto 1766. Arch. Stato, Torino, loco cit., mazzo 257. (3) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 16 agosto 1766. Arch., loco cit, mazzo 256. (4) Lettera del Raiberti al Rivera. Torino, 27 agosto 1766. Arch.^ loco cit., mazzo 257, Raiberti Carlo Flaminio era primo ufficiale della segreteria di Stato per gli affari esteri. Galli, cit., Ili, 5. (5) Lettera del Raiberti al Rivera. Torino, 5 agosto 1767. Arch., loco cit., mazzo 257. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE lU 495 Il Rivera il 25 successivo rispose inviando intanto le notizie sul peso e sul titolo delle monete papali richieste, indicazioni, ch'egli soggiunse di avere ottenuto " non senza " difficoltà sì per gelosia in cui tengonsi queste materie sì * ancora per non essersi voluto dare alcuna cosa per " iscritto „; si riservava di mandare in seguito le monete " seppure sarà possibile di ritrovarle tutte „ ('). Le difficoltà di rintracciare le monete papali, cui accenna il Rivera, non debbono essere state tanto lievi se il 19 set- tembre scrisse al Raiberti: " Crederebbe Ella che non trovo " e sono irreperibili i Zecchini e Testoni di giusto peso e " come uscirono dalla zecca ancorché nel picciol numero di " due soltanto per ogni specie dei due precedenti pon- * tificati? , (2). Finalmente il 3 ottobre potè compiere, in parte però, l'incarico; giacché gli fu dato di inviare monete papali, esclusione fatta " pei Testoni di Benedetto XIV e per li " Favoli perchè, essendo stati battuti solamente in occasione « del possesso e per conseguenza prima della variazione " dell'Argento coli' Oro, si trovano più pesanti, onde la zecca " quanti ne ha avuti altrettanti ne ha fusi per ribatterli „ (3). Essendo stato in passato il Rivera incaricato di procu- rare monete sabaude per la raccolta di Carlo Emanuele III, la curiosità di conoscere il perchè gli siano state poi doman- date delle monete papali è giustificata, tanto più che sap- piamo essere la collezione medesima limitata alle sole battute dai sovrani di Savoia. A questa naturale curiosità risponde un documento che dissipa ogni dubbio sul movente della richiesta. E lo stesso Raiberti che un mese dopo con una successiva lettera ne (1) Lettera del Rivera -al Raiberti. Roma, 29 agosto 1767, ibid., mazzo 256. (2) Lettera delio stesso allo stesso. Roma, 19, settembre 1767. Arch., loco e mazzo cit. (3) Lettera del Rivera al Raiberti. Roma, 3 ottobre ■ 1767. Arch., loco cit., mazzo 256. Un documeuto anonimo da noi esaminato contiene la descrizione e le notizie sul peso e sul titolo delle monete papali. Arch. cit. Materie economiche, Zecca e Monete, mazzo 5" di 2» addi- zione, n. 3. I 496 AUGUSTO TELLUCCINI spiega la ragione. Egli scrive all'ambasciatore che " trattan- " dosi di dare un'assetto alla materia delle monete in Sar- " degna, si vuol fissare in occasione di nuova tariffa un giusto " ragguaglio anche a quelle di Roma che hanno corso in " quel Regno „ (i). Un' identica richiesta, originata da medesimo scopo, era già stata rivolta dal ministro Ossorio (2) quattordici anni prima allo stesso Rivera (3). Chiusa questa lunga parentesi torniamo allo scopo pre- cipuo dei nostro lavoro: al contributo, cioè, che il " tesoro „ di Sisto V recò alla raccolta di Carlo Emanuele III. Abbiamo già accennato a quanto tempo dovè passare prima che la cernita delle monete estratte da Castel San- t'Angelo fosse terminata. Ora dobbiamo far rilevare che se rosee erano state le speranze da principio concepite dal cardinal Castelli, e dal Rivera con premura riferite a Torino, ad operazione ultimata la collezione del re di Sardegna non veniva invece troppo ad arricchirsi. Colla lettera infatti dell' 11 maggio 1765, l'ambasciatore mentre partecipa essergli state consegnate le monete dei Savoia " potute ritrovare nella ricognizione \e separazione del consaputo danaro estratto da Castel Sant'Angelo „, fa subito notare che non si era rinvenuta alcuna moneta di Vittorio Amedeo I. Il Rivera cercò di spiegarne la ragione aggiungendo che il " Deposito di Sisto V fu fatto anterior- " mente al Regno del suddetto Principe e che le monete che " furono prelevate al tempo di Clemente XI erano state " restituite poi, squagliate le antiche, in altrettante monete " Papali. Può ben darsi — concluse l'ambasciatore — che nel " danaro tolto da quel potefice si trovassero le monete che " si sperava di poter rinvenire ora „ (4). (i) Lettera del Raiberti al Rivera. Torino, 9 settembre 1767. Arch., loco cit., mazzo 257. (2) Ossorio Giuseppe fu nominato primo segretario di stato per gli affari esterni con RR. Patenti, 7 giugno 1750. Galli, cit., Ili, pag. 5-6. (3) Lettera dell'Ossorio al Rivera. Torino, 7 febbraio 1753. Arch. cit., Materie economiche. Zecca e monetazione, mazzo 5" di 2" addi- zione, n. 3. (4) Lettera del Rivera al De Viry. Roma, 11 maggio 1765. Ardi. cit. Lettere Ministri. Roma, mazzo 254. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 497 Comunque, le monete giunsero a Torino ed il De Viry ne accusò ricevuta suggerendo al Rivera di comprendere nei conti delle spese straordinarie dell'Ambasciata il prezzo corrispondente * al valore intrinseco „ delle monete stesse, pagato al cardinal Castelli pel Monte di Pietà di Roma ed ammontante " a scudi sessantatre e bajocchi novantatre e " mezzo „ <^i). Nei documenti dell'Archivio di Stato di Roma, relativi all'erario sanziore non abbiamo trovato alcun preciso accenno alla qualità delle monete prelevate. Gli istrumenti dei segre- tari della reverenda camera apostolica, consacravano solo la quantità del denaro uscito dall'erario, scendendo magari ad indicare in quanti sacchi il denaro stesso fu riposto per effettuarne il trasporto da Castel Sant'Angelo alla sede del Monte di Pietà (2). In un solo documento il segretario came- rale L. Antonello dichiara di aver veduto estrarre dal " tesoro „ " aureos nummos, quos duplas vocant, plurium " Italiae Principuura ac majorem partem Massae Ducum vel * aurea scutata (sic) Pontificia, praeter nonnulla scuta aurea " Galliae et Germaniae „ (3). Da principio non trovammo neppure la nota delle monete stesse inviata dal Rivera; essa invece di essere acclusa alla lettera dell'ambasciatore dianzi citata trova vasi conservata in un'altra serie di documenti. Poiché ci venne dato di rin- venirla siamo stati indotti a riportarla per intero in ap- pendice (4). Detta nota ci dà la prova della scarsità delle monete trovate, ventiquattro in tutto, e cioè una di Filiberto II (il Bello), quattrp di Carlo III (il Buono), quindici di Emanuele Filiberto e finalmente quattro di Carlo Emanuele I. Poca cosa in verità, specie dopo l' abbondante messe (i) Lettera del De Viry al Rivera. Torino, 22 maggio 1765. Arch., loco cit., mazzo 255. (2) Arch. Stato, Roma. Archivio dei Segretari e Cancellieri della R. C. A. (3) Arch. predetto. Arch. Camerale-Erario Sanziore, fase. 7. Me- morie sulle estrazioni fatte per la carestia del 1764-66 e storia delle medesime. (4) Documento A. 63 498 AUGUSTO TELLUCCINI che da Roma si era fatta sperare a Torino, Un documento anonimo, senza data, che però non è azzardato attribuire al Rivera stesso ed al tempo in cui era già avvenuto il prelevamento di metà della somma da Castel Sant'Angelo, pur constatando che fino ad allora infruttuose erano state le ricerche è pieno di ottimismo. Dovendosi " ancora estrarre " altri duecento cinquanta mila scudi „ si dà per sicura l'in- venzione di monete della duchessa Cristina (Madama Reale) e della duchessa Giovanna Battista (i). Terminata la scelta, la delusione del Rivera deve essere stata profonda; noi lo vediamo infatti cercare di aumentare l'esiguo numero delle monete trovate coli' aggiungervi delle altre provenienti sì da Castel Sant'Angelo, ma non della specie di quelle desiderate. Risulta ch'egli spedì a Torino pure una moneta " del marchese Ludovico di Saluzzo e due- " di un abbate e conte di S. Benigno, D. Gio. Battista di " Savoia, che dalle armi doveva essere dei Signori di Rac- " coniggi „ (2). Queste due ultime monete debbono essere quelle stesse che il Vernazza, circa cinquant'anni dopo, dice di aver veduto nel gabinetto del re di Sardegna, e cioè lo scudo d'oro ed il bianco d'argento con molta lega coniate nel 1581 da Giovanni Battista di Savoia, abate di S. Benigno e signore di Racconigi. Le monete in parola, che sono state illustrate e riprodotte dal Vernazza medesimo (3), hanno la loro impor- tanza perchè uscite dalla zecca di un abate, cosa unica negli Stati di Savoia, perchè furono le prime monete battute dopo che la famiglia di Savoia ebbe il patronato sull'abbazia di S. Benigno, ed anche perchè G. B. di Savoia fu l'ultimo che ebbe l'uso di quella zecca. Egli era stato investito del beneficio abbaziale nel settembre 1581 e ad esso rinunciò nell'agosto 1582. Come le monete giusero a Torino vennero, prima di passare a far parte della raccolta, sottoposte ad esame. Il (i) Arch. Stato. Torino (Sez. I). Materie economiche, mazzo 90 di 2» addizione, n. i bis. (2) Lettera 11 maggio 1765, cit. (3) Vernazza. Vita di Giambattista di Savoia, Principe del Sangue e notizia delle sue monete. Torino, 1813. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 499 frutto di questa revisione è contenuto in un documento ano- nimo, che non senza ragione attribuiamo al Morozzo, perchè sappiamo che costui nel 1765, ancora non distolto dall'alta carica di segretario di Stato, attendeva con gran cura all'in- carico affidatogli da Carlo Emanuele III. Ciò che meraviglia esaminando questo documento è il fatto che in esso non è ricordata né la moneta di Filiberto II, né le quattro di Carlo III, che pure sappiamo essere state inviate da Roma a Torino. Di tale silenzio riesce difficile rendersi ragione, a meno che non si voglia ammettere che all'esame tali monete siano state riconosciute poco impor- tanti o addirittura false, A tale ipotesi del resto si può es- sere indotti dal fatto che già nell'elenco compilato a Roma le monete in parola non sono indicate con sufficiente chia- rezza: la prima infatti é così descritta; * una moneta del " Duca Filiberto che naturalmente dee essere Filiberto II „ le altre sono attribuite a Carlo II " o più veramente a " Carlo III „ (I). Ad ogni modo di tali monete né in questo, né nei do- cumenti successivi si fa più parola. La persona incaricata dell'esame delle monete giunte da Roma si affrettò prima d'ogni altro a far rilevare come man- cassero tra di esse il " ducato „ d'oro di Emanuele Filiberto e quello di Carlo Emanuele I, dei quali, aggiunge il docu- mento, il Guichenon ha pubblicato le impronte (2). Se può dirsi con certezza che più tardi (1782) il * du- cato „ di Carlo Emanuele I figurava nella raccolta, lo stesso non può affermarsi per quello di Emanuele Filiberto. Infatti da un elenco delle monete già possedute, compilato quando — come vedremo fra breve — Vittorio Amedeo III ordinò che fosse ripresa la collezione numismatica, mentre risulta che la serie delle monete d'oro di Carlo Emanuele I era completa, è indicato tuttora come mancante un " ducato , d'oro del vincitore di San Quintino (3). (i) Documento A. ' (2) Arch. cit. Materie economiche, zecche e monete, mazzo 9° di 2.a addizione, n. i bis. (3) Documento D. 5CX3 AUGUSTO TELLUCCINI Tra le monete provenienti da Roma quella che attrasse subito l'attenzione fu una di Emanuele Filiberto del 1555. Tale data — dice il documento — leggevasi assai chiara- mente dopo la leggenda del rovescio (AVXILIVM • MEVM • A • DOMINO- 1555) d), come chiaro era il nome di PHILIBERTVS nel diritto. Nonostante tale constatazione, sorse però il dub- bio se la moneta stessa avesse proprio appartenuto ad Ema- nuele Filiberto ; perchè — dichiarò l'esaminatore — avanti alla parola PHILIBERTVS invece delle lettere EM- leggevasi " solamente la prima E la quale poi sembra che si dovrebbe " unire alla parola antecedente SABAVDI „ (2) (E • PHILIBER- TVS • DVX • SABAVDI ). Non ostante la superficialità della constatazione, pure l'attenzione richiamata su quella moneta servì fin d'allora a rettificare un errore in cui era caduto il Guichenon, il quale, riportando una moneta di Emanuele Filiberto con la data del 1556, aveva affermato essere stata questa la prima mo- neta battuta da quel duca (3), Noi a nostra volta aggiungiamo che neppure quella del 1555 è, come afferma il documento, la prima moneta fatta battere da Emanuele Filiberto : la priorità spetta al seguente " grosso „ del 1554: ^ — + E • PHILIBERTVS • DVX • SABAV • Scudo con co- rona a cinque fioroni tra due nodi in cord, liscio ed altro a cord. rig. I^ — + ET- AVO- PRETORIE- N V- 1554. Croce mauri- ziana in cornice quadribolata. Il secondo documento, il più importante, che prende in esame le monete giunte da Roma è anch'esso anonimo '4\ (i) È questa la prima divisa di Emanuele Filibeito alludente alle sventure che colpirono i suoi Stati e la sua famiglia. Tale leggenda figura nella maggior parte delle monete di questo principe fino al 1561, anno in cui le sue valorose imprese rialzarono le sorti del Ducato. Ma- rini. Zecche e Zecchieri dei Reali di Savoia, pag. 246. (2) Arch., loco cit., mazzo 9° di 2» addizione, n. i bis. (3) Guichenon. Hisioire généalogique de la Roy. Maison de Savoye, tom. 1, pag. 155. (4) Arch. Stato Torino (Sez. I). Materie economiche, zecche e mo- nete, mazzo 90 di a* addizione, n. i bis. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO F.MANUKLE III 50! Rileviamo subito che pur sapendo trattarsi di monete d'oro, queste non vengono indicate secondo la loro qualità : inoltre il loro numero non corrisponde a quello delle monete acqui- state in Roma. Queste noi sappiamo che erano ventiquattro, escluse quelle del marchese di Saluzzo e dell'abate di S. Be- nigno ; ebbene il documento complessivamente ne esamina trentaquattro. Ma v'è di più, l'esame è ristretto solo ai pezzi di Emanuele Filiberto e di Carlo Emanuele I, e, quasi non bastasse, mentre abbiamo veduto che di Emanuele Filiberto da Roma erano state spedite quindici monete, di questo solo principe il documento ne prende in esame ventiquattro. Ciò appare tanto più strano in quanto che il manoscritto medesimo reca la seguente intestazione: * Monete state tra- smesse da Roma „. La prima moneta esaminata è uno " scudo „ d'oro di Emanuele Filiberto, coniato nel 1555, lo stesso che aveva già fatto sorgere in altro documento qualche dubbio circa la sua autenticità (i). Eccone la descrizione : B' — Scudo ovale accartocciato con la croce di Savoia e corona al disopra, attorno la leggenda : 3SI E • PHILIBERTVS • DVX • SÀBAVDIE • nel campo da una parte la lettera E con piccola corona sopra, dal- l'altro canto P H pure sormontate da piccola corona. "^ — Nel campo croce di S. Maurizio le cui braccia ter- minano in fiorami ; negli angoli delle braccia sono disposte le lettere del motto FERT. Nella circon- ferenza la leggenda: + AVXILIVM • MEVM • A • DO- MINO • 1555 -. Tale moneta, soggiunge il documento, era già rappre- sentata nella collezione del re di Sardegna, con una variante, però, quella del millesimo : la moneta posseduta recava in- fatti " nel campo del diritto il millesimo 1556 „. Segue la descrizione di altri due " scudi „ : (i) La moneta è riprodotta in Promis. Afone/e dei Reali di Savoia, II, tav. XXII, n. 15. 502 AUGUSTO TELLUCCINI !& — Nel campo arma di Savoia sormontata da corona ed in giro la leggenda : EM • FILIB • D G • DVX • SAB-PPED-. I^ — Croce formata da fiori tra le braccia della quale erano poste in giro le lettere del motto FERI ; all' intorno la leggenda : IN • TE • DOMINE • CON- FIDO • 1562 -. Queste due monete differivano fra di loro per le iniziali della zecca e dello zecchiere: una recava le lettere T • B • C -, cioè Torino, Bernardo Castagna U), maestro di zecca, e la seconda la lettera P. Tale contrassegno fu usato da tre diversi maestri di zecca e cioè dal Pugniet di Bourg, da Bartolomeo Panizza di Asti e da Pietro Perinetto di Chambery (2). Però la data che reca la moneta, 1562, non può che farla attribuire allo zecchiere Pietro Perinetto, perchè il Pugniet fu maestro della zecca di Bourg solo pel 1528 (3), ed il Panizza, zecchiere ad Asti nel 1548, risulta che nell'anno successivo aveva già terminato la sua gestione (4). In raccolta si possedeva già un esemplare di questo " sctfdo „ che recava però l'anno 1563 e la lettera V -, con- trassegno della zecca di Vercelli. Queste differenze di millesimo, di zecca e di zecchiere si riscontrano anche in altre monete dello stesso Emanuele Filiberto. Così il documento ne esamina una che reca Tanno 1565 e le lettere E • B • C- (Etienne Bourges, maestro di zecca a Chambery) ; due con la data 1570 e le iniziali T • I • B • C • (Turin, Jean Baptist Cattaneo), un'altra del 1573 con le let- tere P • D -, ed una ancora con la stessa data e la iniziale V • (Vercelli). Il numero delle monete di Emanuele Filiberto simili a quelle ora descritte e recanti qualche lieve variante non ter- mina. Da Roma ne pervenne pure una del 1578 colle ini- (i) Marini, op. cit., pag. 238. (2) Marini, ibid. (3) Promis, cit., I, 30. (4) Promis, cit., I, 193. LA RACCOLTA NUMISMATK A DI CARLO EMANUEl E III 503 ziali E • D • (Emanuele Diano, maestro di zecca a Bourg), una del 1579 contrassegnata con le iniziali I • M • (Jean Miretto, Chambery) ed infine due altre anche con le lettere dello zecchiere Emanuele Diano predetto, ma con la data del 1580, ultimo del ducato di Emanuele Filiberto. Il documento prosegue nell'esame e parla di altre due monete di questo duca, recanti la stessa impronta di quelle ora descritte, ma varianti nelle due leggende : B' — EM FILIB D G • DVX • SAB • C [OMES] NICIE. ^ — IN TE • DOMINE • CONFIDO 1564 • N [ICIAEJ. Queste due monete acquistate a Roma e non possedute nella raccolta di Carlo Emanuele III sono dette * pregievoli „. Esse ricordano che nel 1564 Emanuele Filiberto, convale- scente di grave malattia, si recò a svernare nel dolce clima della Riviera. Ciò spiegherebbe, osserva il documento, il titolo di conte di Nizza e la indicazione della zecca ove quelle monete fu- rono battute. Oltre che nello " scudo „ d'oro sopradescritto noi aggiungiamo che il duca volle affermarsi col detto titolo comitale anche in altre monete battute nello stesso anno. Il " Comes Nicie „ figura infatti in altri " scudi „ d'oro, uno dei quali reca una leggera variante nella leggenda del di- ritto, in una * lira ,, in una * mezza lira „ ed in un * bianco „. Tale titolo tornerà poi più tardi ad essere impresso in una • doppia „ ed in uno * scudo „ d'oro del 1571, ed ancora nel 1574 e 1577 in altri * scudi „ pure d'oro. L'enumerazione delle monete acquistate di Emanuele Fi- liberto non cessa : segue quella di altre due : ^ — In campo ritratto del duca con la leggenda : EM • FILD • G DVX • SAB • P • PED . 9 — Arma di Savoia piena sovrastata dalla corona con in giro la leggenda : IN TE • DOMINE • CONFIDO • 1571. T-. La collezione di Torino possedeva già un esemplare di questa " doppia „, quindi l'acquisto non rappresentò un grande 504 AUGUSTO TELLUCCINI interesse. Giova notare clie queste sono le prime monete, fra quelle venute da Roma, che rechino l'effigie del sovrano. Se Amedeo Vili era stato il primo principe della Casa che siasi fatto rappresentare sulle monete (i) è pur vero che i suoi successori non lo seguirono troppo in questa novità. È con l'abdicazione di Vittorio Amedeo II (1730) che la mo- netazione dei re di Sardegna, mentre va migliorando così dal punto di vista estetico come da quello del metallo, acquista due tipi predominanti che saranno pel diritto la figura del sovrano e pel rovescio lo stemma sabaudo (2). Tra le monete provenienti dal " tesoro „ di Sisto V v'era uno " scudo „ d'oro di una qualche importanza ; recava nel 3^ — Nel campo arma piena di Savoia senza cartocci entro uno scudo sormontato da corona con la leg- genda in giro : EM • FILIB • D • G- • DVX • SAB • P • PED •, e nel P — Croce dei SS. Maurizio e Lazzaro tra le braccia della quale erano disposte le lettere del motto FERT ed intorno la leggenda : MfAGNVS] MAO- • [ISTER] 0RD[INIS] SS • [ANCTORVM] MAVR [ITU] ET LAZ[ZARIJ 1573 • T •• Nella raccolta esisteva già una moneta identica che re- cava, però, l'anno 1576, mentre questa acquistata in Roma aveva impresso il 1573, la qual data le conferiva una spe- ciale importanza. E infatti questa la prima volta che nelle monete sabaude appaiono accoppiate le croci dei due ordini, quella cioè biforcata di San Lazzaro e quella trifogliata di San Maurizio. II loro abinamento sulla moneta in parola differisce essenzialmente dal modo in cui oggidì le due croci sono disposte nelle insegne dell'ordine cavalleresco nazionale dei SS. Maurizio e Lazzaro: qui la croce trifogliata in smalto bianco è accollata all'altra biforcata smaltata di verde, mentre nella moneta di cui trattasi la croce di San Lazzaro ne ha incrociata una piccola mauriziana. (i) Marini, up. cit., pag. 245. (2) Lo stesso, pag. 11. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 505 Che questa sia la prima moneta che rechi tale riunione è naturale se si pensi che la bolla di Gregorio XIII che fuse i due ordini è del 13 novembre 1572 (2) e la moneta, come abbiamo rilevato, reca il 1573. A proposito di questa data non può tacersi un errore già rilevato dal Promis. Costui riproducendo una moneta con le due croci predette, ma recante l'anno 1571 (3), si fa un dovere di dichiarare essere stato quel millesimo stampato per errore nella moneta stessa, che avrebbe dovuto portare impresso il 1573 <3). Di monete simili a questa, recanti però l'anno 1576 — al pari di quella già in collezione — giunsero da Roma altri due esemplari insieme con due altre " doppie „ che rappre- sentavano una radicale variante nella leggenda del rovescio ed una minima in quella del diritto. Nel documento sono così descritte : ,©' — Arma piena di Savoia con corona ed all' intorno la leggenda : • EM • FILIB • D • G • DVX • SAB • P • P •• ^ — Croci dei SS. Maurizio e Lazzaro con le solite let- tere del motto FERT disposte in giro fra le brac- cia ed all' intorno la leggenda : IN • TE • DOMINE • CONFIDO- 1576. T-. Un'altra moneta simile alle precedenti venne pure acqui- stata : varia però per la zecca e per la data, recando essa la lettera V • (Vercelli) e Tanno 1577, mentre le altre ora descritte erano state battute a Torino (T •) nel 1576. Giungiamo così all'ultimo anno di vita di Emanuele Fi- liberto ed in conseguenza all'ultima moneta da lui fatta co- niare : reca l'anno 1580 ed il contrassegno V •• Tale moneta oltre ad essere cronologicamente importante interessa pure perchè è l'ultima che rechi le due croci di S. Maurizio e di S. Lazzaro. Secondo il documento non vennero più dal 1580 in poi coniate monete con le due croci predette se si eccettui " una (i) Cappelletti L. Storia degli Ordini Cavallereschi, pag. 8. (2) Promis, op. cit., voi. II, tav. XXVI, n. 47. (3) Ibid., voi. I, pag. 205. 506 AUGUSTO TELLUCCINI " monetuccia erosa di cui si ignora l'anno per essere in " parte corrosa, intorno a cui si legge: CAROLVS EMANVEL „ ('). Sempre secondo il documento nelle monete di Carlo Ema- nuele I compare solo la croce mauriziana e solo in una d'oro battuta da questo sovrano nel 1610 v'è quella di S. Lazzaro con la leggenda : TIBI • SOLI • ADERERE • 1610 • (2). Passiamo ora alle monete di Carlo Emanuele 1 esaminate dal documento. Anche qui si rileva la stessa diversità di numero fatta notare per quelle di Emanuele Filiberto: nel- l'elenco si parla di un numero di monete superiore a quello che il Rivera aveva acquistato. Secondo la nota, da noi co- nosciuta (3), l'ambasciatore ne aveva comprate " tre grandi " ed una picciola „; il documento invece ne prende in esame ben dieci. Di queste, due " scudi „ d'oro erano già possedute in altro esemplare nella raccolta, eccole la descrizione : — Testa del Sovrano con la leggenda attorno : CAR • EMADGDVX-SABP PED-. 9* — Arma piena di Savoia con corona ed in giro: IN • TE • DOMINE • CONFIDO • 1581 • N. Di monete uguali a questa il documento ne enumera delle altre le quali però rappresentavano tutte qualche leg- gera variante. Così una recava la data 1583 e per indicazione della zecca la lettera T (Torino) ed un'altra, dell'anno se- guente {1584), le iniziali dello zecchiere M • G- • (Michele Grò- bez, maestro di zecca a Chambery). Con le stesse iniziali il documento esamina una quinta moneta, una " doppia „ recante il millesimo 1585 (4); anche questa era già posseduta in collezione, ove conservavasi pure (i) Il Promis, op. cit., voi. II, tav. XXIX, n. 17, riporta una piccola moneta di biglione che deve essere quella cui accenna il documento : ^ — Stemma di Savoia semplice con interno la leggenda: + CAROLVS • EMANVEL • ^ — Croci unite e: + D-G- DVX • SABAVDIE • 1585 • M •©• (2) Promis, cit., voi. II, tav. XXXV. (3) Documento A. (4) Promis, cit., voi. II, tav. XXIX, n. 16. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 507 l'esemplare di un'altra uguale ad una parimenti acquistata e che recava il 1587 e la lettera N • (0. Un'altra moneta venuta da Roma e qui appresso de- scritta già si trovava in raccolta : ^ — Arma piena di Savoia con corona e la leggenda : CAR EM D • G- DVX • SABAVD • P • P . 1^ — Croce formata da quattro pezzi di colonna scanel- lata, che finivano in punta alla foggia della Croce di S. Maurizio, fra i quattro bracci le lettere poste in giro del motto FERT ed intorno la leggenda : ^ IN • TE . DOMINE CONFIDO • 1581 • T •• Ancora una " doppia „ esaminata dal documento non dif- feriva da altra già in collezione se non per l'indicazione della zecca: mentre quest'ultima era contrassegnata dalla lettera N • (Nizza), quella acquistata aveva impressa la let- tera T • (Torino). ^ — Arma di Savoia piena con corona ed in giro la leg- genda : CAR EM • D • G • DVX • SAB • P PED •. 9 — Croce formata da fiorami con le lettere del motto FERT disposte fra le braccia e con intorno la leg- genda : IN • TE DOMINE • CONFIDO 1581 • T •. Si giunge in tal modo all' ultima moneta di cui parli l'elenco, essa è una moneta " da quattro scudi d'oro „ ed è in tutto simile ad altra già posseduta : ^ — Testa del Duca con la leggenda : CAR • EM • D • G • DVXSABAVDIEPPED •• 9 — Arma piena di Savoia sormontata da corona ed in giro la leggenda : IN • TE • DOMINE • CONFIDO • 1586. T (2). Abbiamo già veduto come il Morozzo, nominato primo segretario per gli affari interni, non potè più prodigare le (i) Ibid., tav. XXX, n. 22. (2) PRoms, cit., voi. II, tav. XXX, n. 21. 5C38 AUGUSTO TELLUCCINI sue assidue cure alla collezione numismatica che ebbe poi il colpo decisivo con la morte di Carlo Emanuele III (20 feb- braio 1773)- Il lavoro restò allora totalmente abbandonato, e quando morì pure il Morozzo (24 gennaio 1781) le cassette contenenti le monete vennero dall'abitazione di questi tra- sportate presso il conte Talpone, tesoriere del re(i); le carte e i documenti relativi furono invece consegnati all'avv. Del- lera, archivista privato del sovrano (2). Passarono così parecchi anni prima che qualcuno tor- nasse ad occuparsi della collezione numismatica e bisognò giungere al 1782 anno in cui Vittorio Amedeo III decise di continuare l'opera paterna. Costui avendo rilevato che non ostante le cure del Mo- rozzo e dei suoi coadiutori " il lavoro era restato tuttavia " imperfetto sia per quello che riguardava la serie delle " monete effettive, per non essersene rinvenute parecchie, " sia per quel che riguardava la relazione storica „ ordinò che l'opera fosse ripresa. Non fu però felice nella scelta della persona cui affidò V incarico : egli infatti con regie patenti I marzo 1782 commise tale ufficio all'intendente Clemente Alessandro Carlevaris (3). Forse — come osserva il Vernazza — il re fu spinto a tale designazione dalla considerazione che, essendo stato il Carlevaris primo ufficiale nella segreteria di Stato, avesse potuto avere conoscenza dei lavori del Morozzo stesso (4). Invece il Carlevaris era alieno dagli studi numismatici e sua unica cura fu quella di consegnare il 20 marzo successivo tutti i documenti raccolti all'avv. Stefano Ignazio Darbesi, che si limitò a scrivere un progetto di raccolta di monete col quale, a giudizio del Vernazza, dimostrò non solo di non (i) Petizione di G. B. Talpone figlio, al Governo provvisorio, 14 dicembre 1798. Arch. Stato, Torino (Sez, I). Regj Archivj , cat. 2, mazzo 5, n. 26. (2) Vernazza. Vita di Giambattista di Savoia cit., pag. 137 e Pro- Mis. Monete dei Reali di Savoia, p. V. (3) Lettere Patenti originali di Vittorio Amedeo II, 1° marzo 1782. Arch. Stato, Torino (Sez. I). Zecche e Monete anteriori al 1814, mazzi di nuova addizione. Pubblicate in Duboin cit., XVIII, pag. io. (4) Vernazza, op. cit., pag. 137. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 509 aver ben capito il pensiero di Carlo Emanuele III, né di es- sere penetrato nei disegni del Morozzo, ma al pari del Car- levaris di non avere attitudine alcuna per tal genere di la- vori (i). Bisogna però riflettere che da principio Vittorio Ame- deo III più che di arricchire la collezione, ebbe intenzione di formare, in base ai documenti già radunati dal Morozzo " una esatta relazione di tutte le monete sì fine che erose " le quali tempo a tempo erano state battute dai Reali Pre- " decessori, non restringendola a quelle sole che già sono " raccolte, ma comprendendo altresì quelle altre le quali, o " dalla testimonianza degli storici o dai documenti a tal fine " radunati o altrimenti risultassero essersi veramente co- " niate „ (a). Questa specie di relazione storica delle monete di Sa- voia, che doveva servire di guida e di base alla ricerca delle monete ancora mancanti nella collezione, venne compilata sulla sola scorta dei documenti, perchè le monete già rac- colte seguitarono a restare nelle mani del Talpone (3). L'avvocato Darbesi che il Carlevaris si era associato venne presto a mancare : il 3 luglio 1782 il Carlevaris di- chiarò che avrebbe continuato il lavoro, ma richiese l'opera dell'avvocato Giuseppe Darbesi, che già aveva aiutato il padre nella compilazione della relazione (4). Costui però al pari del genitore non corrispose all'aspet- tativa: ambedue sembra abbiano avuto la stessa attitudine per la numismatica (5), ed il Vernazza aggiunge che tutto il la- voro del Darbesi " junior , si ridusse " ad un mediocre in- " ventano delle scritture „ (6). Alla morte del Carlevaris con regio biglietto 15 giugno 1787 (7) venne dato al Napione l'incarico di condurre a ter- (i) Vernazza, cit., pag. 138. (2) Lettere Patemi, cit., i" marzo 1782. (3) Ibid. (4) Dichiarazione dell'intendente Carlevaris, 3 luglio 1782. Arch. Stato, Torino (Sez. I). Zecche e Monete dopo il 1814, mazzi di nuova addizione. (5) Promis, cit., p. V. (6) Vernazza, cit., pag. 138. (7) DuBOiN, cit, XVill, pag. 12. 5IO AUGUSTO TELLUCCINI mine l'opera; a costui furono rimessi tutti i documenti, ma anche questa volta le monete non uscirono dal real palazzo vecchio di Torino (^X Dall'esame di questi ultimi documenti appare chiaro che tutti i successori del Morozzo non cercarono di arricchire di nuovi esemplari la raccolta; le loro cure furono rivolte, se- condo le proprie forze, a ricavare dai documenti notizie, dati ed indicazioni per stabilire il numero, le specie e le va- rietà delle monete battute dai predecessori di Carlo Ema- nuele III. Quindi quando esaminiamo un elenco delle monete pos- sedute dalla collezione del re di Sardegna, compilato da Giu- seppe Darbesi il i8 novembre 1782, pochi mesi dopo cioè ch'egli era stato chiamato a sostituire il padre Stefano (2), dobbiamo ritenere che quell'elenco con tutte le deficenze che rivela, riproduca il vero stato in cui si trovò la raccolta numismatica alla morte di Carlo Emanuele III. Abbiamo creduto opportuno di riprodurre in appendice il documento in parola, perchè serve a farci conoscere lo stato della collezione; qui lo esaminiamo per sommi .capi per dimostrare quanto fosse scarso il numero e la varietà delle monete raccolte e custodite sempre " in una cassetta dal- " rill.mo Signor Conte Talpone di Montariolo „. Da Beroldo a Filippo o non si possedeva alcuna moneta o le pochissime possedute, sette in tutto, non si sapeva a quale sovrano assegnarlo. Si avevano per esempio " due " monete d'argento ed una erosa col nome di Umberto senza " che potesse accertarsi a quale spettino dei tre Umberti „ (3). Da un calcolo fatto in base ai dati forniti dal documento in parola, incominciando da Amedeo V e limitando le inda- gini a Vittorio Amedeo II, mancavano complessivamente duecento dieci monete ripartite secondo i metalli così : tren- (i) Vernazza, cit., pag. 139. (2) Nota delle monete dei Principi di Savoia mancanti nella colle- zione ordinata da Carlo Emanuele III. Compilatore Giuseppe Darbesi, 18 novembre 1782. Arch. Stato, Torino (Sez. I). Materie Economiche. Zecche e Monete, mazzo 7" di 2» addizione. — Documento D. (3) Documento D. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 5II tadue d'oro, cinquantatre d'argento e centoventicique erose, con un crescendo dal metallo più prezioso al più vile. La serie delle monete di alcuni sovrani era nella colle- zione rappresentata quasi al completo: quella di Vittorio Amedeo I, infatti, difettava di un solo esemplare d'argento, la " mezza lira „ dell'anno 1634; per completare le monete di Carlo Emanuele II mancava la * lira effettiva del 1639 „, battuta mentre il principe era ancora sotto la reggenza della madre, Maria Cristina, ed una seconda moneta pure d'ar- gento la " mezza, lira del 1675 «»» ^^e il duca predetto aveva fatto coniare quando egli, per la morte della madre, resse da solo le sorti del ducato. Si possedevano pure tutte le monete coniate da Vittorio Amedeo II durante la sua maggiore età; mentre mancavano nella raccolta il " ducatene, il mezzo ducatone, il quarto e * l'ottavo di ducatone „ del 1683, quando cioè il futuro primo re di Sardegna era ancora sotto la tutela materna di ma- dama reale, Maria Giovanna Battista. Rileviamo pure che nelle serie di altri sovrani il numero dei vuoti era considerevole. Così per completare quella delle monete di Amedeo VI mancavano trenta pezzi, ventuno per quella di Carlo I e trentadue per quella di Carlo II, oltre alla serie completa delle monete battute da Carlo Ema- nuele III, r ideatore della raccolta di cui trattasi. A questo punto è giustificato domandarsi quale via ab- biano preso le monete la cui raccolta aveva interessato due re. Le fonti esaminate ci hanno già fatto conoscere che dopo la morte di Carlo Emanuele III la cassetta contenente le monete stesse era stata data in consegna al conte Talpone e che presso di lui seguitò a restare anche quando con regio biglietto 15 giugno 1787 il conte Galleani Napione di Coc- conato sostituì nell'ufficio il Carlevaris (i). L'incarico ch'era stato pel passato, esclusione fatta pel Morozzo, affidato a degli incompetenti non poteva finalmente essere stato commesso col Napione a persona che avesse avuto maggiore attitudine. I tempi, però, erano intanto mu- tati per la monarchia di Savoia e le menti erano altrove ri- Ci) Vernazza, cit., pag. 139. 512 AUGUSTO TELLUCCINI volte, sicché neppure quest'ultimo potè, come avrebbe voluto e saputo, condurre a termine la faccenda. Le armi francesi intanto avevano occupato il Piemonte ed il mite Carlo Emanuele IV prendeva rassegnato la via dell'esilio. In quel frangente le carte ed i documenti relativi alla raccolta numismatica andarono dispersi, passando al- l' Università di Torino per tornare poi nei regi archivi, sede loro più degna. Della sorte toccata alle monete nessuno parla, escluso il Promis il quale senz'altro afferma che " in que' politici scon- " volgimenti le monete effettive e le medaglie che conserva- " vansi nel particolare reale gabinetto andarono in gran parte " disperse e non si riebbero in seguito che quelle che per " la loro piccolezza o nessun valore davano poca speranza " di lucro e queste furono ridepositate negli archivi „ i^). Stando invece ad un documento inedito ben altrimenti sarebbero andate le cose. Il 24 frimario anno 7° della repub- blica (14 dicembre 1798) Giovambattista Talpone, figlio di colui che aveva sempre tenuto presso di sé la cassetta con- tenente le monete, e che seguendo la novità del tempo lascia il titolo comitale per chiamarsi semplicemente " cittadino „, si rivolse ai componenti il governo provvisorio del Piemonte chiedendo la autorizzazione di poter depositare nella Uni- versità di Torino " una quantità di monete e medaglie di " biglione e di rame ed alcuni ponzoni di zecca o conj di " monete e medaglie „ rimesse a suo padre il 12 marzo 1762 per ordine di Carlo Emanuele III (2). Questo documento viene da noi pubblicato nella sua in- tegrità in appendice (3), qui però rileviamo quanto esso ci fa conoscere. Risulta anzitutto che le monete sino alla fine del 1798 rimasero in casa Talpone e che il gabinetto numismatico ri- siedeva nel così detto real palazzo vecchio di Torino (4). (i) Promis, cit, 1, p. Vili. (2) Petizione presentata da G. B. Talpone ai Governo provvisorio il 24 frimario anno 7° della Repubblica. Arch. Stato, Torino (Sez. I). — Regj Archivj, cat. 2, mazzo 5, n. 26. (3) Documento C. (4) Rovere. Descrizione del Real Palazzo di Torino, parte I. — II LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE Ili 513 Quello che però a noi preme di mettere bene in chiaro è che quando il Talpone figlio rivolse al governo provvi- sorio la domanda di cui ci occupiamo, le monete d'oro e di argento più non esistevano nella raccolta e che in essa erano rimaste solo quelle di " rame e biglione ,. Le monete diciamo così preziose — è lo stesso Talpone che lo dichiara — erano state in seguito ad ordine della se- greteria per gli affari interni, consegnate al re Carlo Ema- nuele IV prima che prendesse la via dell'esilio, e di questa consegna " d'ordine del medesimo [re] aveva passata una " ricevuta in forma il Cittadino Rajmondo di S. Germano " in data delli 8 corrente frimario anno 7° della repubblica " rS dicembre 1798 v. s. ^. Il governo provvisorio con ordine del 1° ventoso anno anno 7° (19 febbraio 1799) autorizzò il Talpone ad estrarre dal palazzo vecchio di Torino * le monete e medaglie di " biglione e rame ed i ponzoni di zecca o conj di monete „ per trasportare il tutto nella Università Nazionale (i). Questi due documenti a nostro parere sarebbero suflS- cienti per stabilire la via presa dalle monete d'oro e d'ar- gento della collezione, l'esistenza poi della ricevuta rilasciata dal Rajmondo di S. Germano, che noi non abbiamo rinve- nuta, ma della quale certamente il governo provvisorio avrà voluto prendere visione per discarico del Talpone figlio, as- sicura della consegna delle monete al re. Non senza una certa meraviglia abbiamo veduto quindi il Vernazza incol- pare della dispersione della raccolta di Carlo Emanuele 111 il governo provvisorio, il quale con decreto 20 febbraio 1799 ingiunse al Napione di consegnare solo quanto ancora era presso di lui della raccolta del re di Sardegna (2). " palazzo vecchio „ che sorgeva addossato al campanile della chiesa metropolitana (San Giovanni) di Torino è ora demolito ; su parte di quell'area è sorto ora il nuovo palazzo dell'Amministrazione della Real Casa, che si stende lungo la via Venti Settembre, opera dell'architetto Emilio Stramucci. (i) Lettera del presidente Sartoris del Governo Provvisorio Pie- montese al Talpone G. B., i» ventoso anno 7» (19 febbraio 1799). Arch. Stato, Torino (Sez. I). Regj Archivj, cat. 2, mazzo 5, n. 26. (2) Vernazza cit., pag. 139. 514 AUGUSTO TELLUCCINI Riversare la colpa della dispersione della raccolta stessa al governo provvisorio ci sembra ingiusto, prima perchè noi sappiamo che le monete non furono mai nelle mani del Napione, ma restarono sempre in casa Talpone, in secondo luogo perchè quando fu pubblicato il decreto del 20 febbraio 1799 le monete d'oro e d'argento facenti parte della colle- zione erano già state consegnate circa due mesi e mezzo prima a Carlo Emanuele IV che, avanti di lasciare la Reggia, aveva raccolto denaro ed oggetti di valore, infine perchè il giorno precedente al decreto citato il Talpone era stato autorizzato dallo stesso Governo a versare all' Università di Torino le monete di bigiione e di rame, le uniche super- stiti della collezione. L'ordine rivolto al Napione concerneva solo la consegna delle carte e dei documenti relativi alla raccolta numisma- tica, carte e documenti che a noi risultano a lui consegnati quando ebbe l'incarico di occuparsi della collezione stessa. Del resto nessun dubbio può sussistere quando lo stesso Napione il 2 maggio 1826 dichiara di avere dovuto conse- gnare al governo provvisorio carte, documenti e disegni delle monete, senza fare accenno alcuno a quest'ultime ('). Nella Università di Torino le monete non rimasero a lungo; avanti la Restaurazione esse passarono nei regi ar- chivi, r attuale archivio di Stato. Il Napione, che ne fu poi presidente capo, ci dà di ciò notizia con una relazione diretta al conte Roget di Colex, primo segretario di Stato per gli affari interni, colla quale riportandosi ali* incarico numismatico affidatogli dal re Vittorio Amedeo III dichiara che " seguita l'invasione francese in Piemonte, dovè conse- " gnare tutte le Carte e Documenti e parimenti i Disegni " delle monete a quel Governo provvisorio e non potè ri- " cuperarle in un colle cassette contenenti le monete effet- " tive (mancanti però al presente di tutte le monete d'oro) (i) Relazione compilata dai conte Napione, capo dei RR. Archivi e diretta al primo segretario per gli affari interni, 2 maggio 1826. Arch. Stato, Torino (Sez. I). Istruzione Pubblica, Musei ed Altri Stabilimenti scientifici, 1708-1824, mazzo 3. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 515 * se non dopo il felice ritorno della Real Corte in Torino " [1814] „ (^). Con questo scritto il Napione richiamò pure l'attenzione del Governo su di un fatto importante. Gli eredi dei Dar- besi, che abbiamo veduto impiegati nel lavoro della colle- zione, avevano in animo di dare alle stampe una pubblica- zione sulle monete dei principi di Savoia, servendosi delle carte cadute nell'eredità dei loro parenti Stefano e Giuseppe Darbesi, e cioè " notizie, scritture relative e studi fatti dal diligente e laborioso barone Vernazza „ (2). Il Napione sostenne che quelle carte dovevano venire restituite dagli eredi Darbesi e che in ogni caso il lavoro avrebbe dovuto essere fatto per iniziativa del governo nei regi archivi, " dove esistono al presente non solo gran " parte delle monete eh' erano nelle mentovate cassette " presso il conte Talpone ma molte altre acquistate dopo la morte del biblioterario Berta ed alcune con regia an- " nuenza dal sottoscritto [Napione] „ (3). L'avviso del Napione giovò; il Governo proibì a Costa Gaetano, uno degli eredi Darbesi, la pubblicazione ed or- dinò la restituzione delle carte, disegni ecc. trovati nella eredità dietro un compenso di lire cinquecento (4). Il documento sopracitato, se ci ha costretti ad aprire questa parentesi, ci ha anche messi in grado di poter affer- mare che nel 1826 le monete superstiti della collezione del re di Sardegna erano ancora conservate negli archivi di Torino, non solo, ma che ad esse si erano aggiunte quelle acquistale dagli eredi dell'abate Berta, bibliotecario dell'Uni- versità e quelle comprate per ordine del re dal conte Napione. I documenti ci permettono di seguire, ci sia passata l'espressione, le peste della collezione numismatica ancora (i) Relazione del Napione, cit. (2) Ibid. (3) Ibid. (4) Relazione del Conte Napione, 2 maggio 1826. — Il Costa aveva affidato le carte e documenti all'avvocato Modesto Paroletti perchè avesse compilato la pubblicazione che doveva recare questo titolo : Museo numismatico sabaudo. 5l6 AUGUSTO TELLUCCINI per quattro anni e poter cioè affermare che nel 1830 essa era ancora negli archivi di Torino. In detto anno infatti il conte Nomis Cossilla, ff. di archivista, scrisse al cav. Fal- quet, primo segretario di Stato per gli affari interni, per proporre l'acquisto, per la somma di lire millecinquecento, di * alcune monete antiche che sono in vendita e che man- " cano alla reale collezione, la quale, esiste da gran tempo " nei Regj Archivj e che prima de' passati sconvolgimenti " e della occupazione francese del Piemonte era può dirsi, " pressoché compita „ (^X Il Cossilla poi aggiunge ancora nuove notizie sulla rac- colta del re di Sardegna e ci fa noto che dispersa in parte la raccolta stessa poche monete si salvarono, ma che il re Carlo Felice intento a tuttociò che interessava la cosa pub- blica fin dal 1823 aveva incaricato il presidente dei regi archivi di " non lasciare sfuggire l'occasione, onde, per " quanto fosse possibile, compire detta raccolta ed anzi " procurare con ogni mezzo di farlo „ (2). La proposta del Cossilla venne approvata dal re, che da Chambery autorizzò il predetto acquisto di monete (3). Da questo momento si perdono le traccie della colle- zione numismatica. I documenti tacciono a questo riguardo e malgrado ogni diligente ricerca non ci è stato dato di trovare alcuna notizia. Sappiamo che la passione per la numismatica animò re Carlo Alberto, passione che con vedute più larghe e criteri scientifici è stata ereditata dal dotto nostro sovrano, ma non possiamo dire che il materiale del medagliere instituito a Torino sia composto da parte di quello formante la rac- colta di Carlo Emanuele III. Carlo Alberto infatti volle che in Torino si formasse una collezione, che tuttora conservasi, ma l'incarico fu dato al Promis ed al Cibrario i quali a tal fine visitarono i prin- (i) Lettera del conte Nomis di Cossilla al cav. Falquet. Torino, .... agosto 1830. Arch. Stato Torino (Sez. 1), Regj Archivj, cat. 5, mazzi di nuova addizione. (2) Lettera del Cossilla, cit. (3) R. Brevetto. Chambery, 11 agosto 1830. Arch., loco cit. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 517 cipali centri di Europa. A Domenico Promis affidò pure l'incarico di dare alle stampe a proprie spese la raccolta illustrata delle monete battute dai suoi predecessori. Ripetiamo che le nostre più accurate ricerche non ci hanno permesso di stabilire la fine fatta dalle monete su- perstiti della collezione ordinata da Carlo Emanuele III e chiudiamo con l'augurio che altri più competente e fortunato di noi possa colmare tale lacuna. A noi è bastato porre in luce come il tesoro di un pontefice abbia fornito materiale alla raccolta di monete di un predecessore dell'attuale re d'Italia, il quale vanta una delle più ricche collezioni numismatiche. Pisa, ottobre 1910. Augusto Telluccini. DOCUMENTI , A Arch. Stato, Torino {Sez. I) Materie Economiche, Zecche e Monete. Mazzo 7 di II Addizione. Roma, II maggio 1765. Nota delle monete che si mandano dei Principi della Real Casa, anteriori al Regno di Vittorio Amedeo I di cia- scuna delle varie e differenti specie, che siansi potute ritro- vare nella ricognizione e separazione dei 500/mila scudi d'oro del Deposito di Sisto V dal Regnante pontefice fatti estrarre l'anno scorso da questo Castel S.' Angelo : [a] Una moneta del Duca Filiberto che naturalmente dee essere Filiberto II ; [b] Quattro di Carlo II, o più veramente di Carlo III, padre del Duca Emanuele Filiberto ; [e] Quindici tra grandi e picciole del predetto Duca Emanuele Filiberto ; [d] Tre grandi ed una picciola di Carlo Emanuele I; [e] Due di D. Giovanni Batta di Savoja Abbate e Conte di San Benigno ; [f] Se ne aggiunge finalmente una ancora di Ludovico Marchese di Saluzzo. 5l8 AUGUSTO TELLUCCINI B Arch. Stato, Torino {Sez. 1) Materie Economiche, Zecche e Monete. Mazzo di II Addizione, n. i. Monete d'oro dei Duchi di Savoia: Emanuele Filiberto e Carlo Emanuele I, state trasmesse da Roma. Del Duca Emanuele Filiberto. I. Da una parte scudo ovale accartocciato colla Croce di Savoia semplicemente e Corona al disopra attorno leggenda ^ E. PHILIBERTVS. DVX • SABAVDIE • nel campo da una parte dello scudo la lettera E con piccola corona sopra e dall'altro canto P. H. iniziali del nome del Principe. Nel rovescio nel campo Croce di S. Maurizio le cui braccia sono formate da fiorami. Negli angoli delle braccia sono disposte in giro attorno le quattro lettere che formano il motto di Savoia FERT. Nella circonferenza si legge in ca- ratteri che tengono alquanto al gotico • AVXILIVM • MEVM • A • DOMINO • 1555. Questa moneta esiste già nella collezione Regia anzi è duplicata colla sola variazione del millesimo, che nel campo del diritto di una di esse è del 1556 mentre in giro della circonferenza è del 1555. IL 1. — Monete numero due affatto consimili. Nel diritto, nel campo arma di Savoja piena con corona al disopra, in giro EM • FILIB • D • G • DVX • SAB • P • PED •. Nel rovescio croce formata da fiori tra le braccia della quale croce stanno disposte in giro come nell'antecedente le lettere FERT. In giro IN • DOMINO • CONFIDO • 1552 colle lettere T. B. C in una e nell'altra P., le quali ultime lettere indicano secondo ogni verisimiglianza la zecca ed il zecchiere. Una moneta simile affatto alla presente si ha già nella Collezione Regia colla sola differenza del millesimo, che è 1563 a cui si aggiunge la lettera V. indicante probabilmente il luogo della zecca ove fu battuta, cioè Vercelli. 2. — Moneta simile alle antecedenti col millesimo del 1565 e dopo le lettere E. B. C. 3. — Altre due del 1570 colle iniziali T- I- B. C. 4. — Altra del 1573 colle lettere P. D- 5. — Altra simile alle antecedenti colla lettera V- LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE Ul 519 6. — Altra dello stesso tipo del 1578 colle lettere E. D. 7. — Altra del 1579 I. M., in questa vi ha nel rovescio IN TE • DOMINE • CONFIDO leggenda che si legge anche in quelle del 1573, 1577, 1578 e nelle due seguenti. 8. — Altre due del 1580, ultimo anno del Regno del Duca Emanuele Filiberto, colle lettere E. D. III. Monete numero due consimili in tutto alle sopradescritte eccetto nella leggenda, che nel diritto si è EM • FILIB • D • G • DVX • SAB • C • NICIE • e nel rovescio IN • TE . DOMINE • CONFIDO • 1564 • N -, la qual ultima lettera vi è ogni ragione di credere che denoti essere stata battuta quella moneta in Nizza. Queste due monete non si hanno nella Regia collezione e sono pregievoli per la leggenda che contengono, tanto più che l'anno in cui furono battute, cioè il 1564 si è l'anno in cui si recò il duca Emanuele in Nizza per passar l'inverno sotto un cielo più mite e ristabilirsi da una grave malattia sofferta e dove era ancora nella primavera quando magna- nimamente rifiutò gli ajuti del Gran Signore Solimano per riacquistare il Regno di Cipro, posseduto allora da' Veneziani ad onta de' più giusti titoli della Real Casa di Savoia. IV. Monete numero due. Nel diritto EM - FILIB • D • G • DVX* SAB • P • PED • coir impronta nel Campo del ritratto del So- vrano. Nel rovescio armi di Savoia piene con corona sopra colla solita leggenda in giro IN • TE • DOMINE • CONFIDO • 1571 T-. Esiste pure già questa moneta nella Collezione Regia. V. I. — Da una parte nel campo Armi di Savoia piene entro uno scudo senza cartocci con corona sopra. All'intorno EM • FILIB ; D • G • DVX • SAB . P • PED -.Nel rovescio Croce de' SS. Maurizio e Lazzaro tra le braccia della quale sono di- sposte in giro le quattro lettere che formano il motto di Savoja FERT colla leggenda M • MAG • ORD • SS • MAVR • ET • LAZ1573.T-. Già si ha una moneta simile nella collezione Regia, ma è notabile in questa l'anno 1573 quando quella che si aveva è del 1576 e questo millesimo è interessante in questa specie 520 AUGUSTO TELLUCCINI di moneta per essere sicuramente l'epoca della prima bat- titura essendo quell'anno precisamente quello in cui vennero uniti i due ordini di S. Maurizio e di S. Lazzaro. E degna d'osservazione la Croce dei due ordini riuniti che compare in questa ed altre monete dello stesso Duca Emanuele Filiberto, dove la croce verde di San Lazzaro fa la figura come di principale e quella di San Maurizio di ac- cessoria. E questa è da credere che fosse la forma della croce da quel papa (Gregorio XIII) destinata per insegna de' Cavalieri. Difatti nel Breve Gregorio XIII, 15 gennaio 1573, si esprime così : Tu vero quae tua est pietas a nobis humiliter petiisti, ut ea insignia nos ipsi tibi praescribere et designare, nos tuis supplicationibus inclinati crucem viridem quae Mi- litem Sancti Lazari antiquum est insigne una cum alba cruce iis modis formis et coloribus quibus mferius his nostris de- picta conspicitur concedendam duximus. 2. — Monete numero 2 dello stesso tipo della prece- dente col millesimo 1576 T. queste sono della stessa batti- tura già esistente nella Regia Collezione. VI. 1. — Monete numero 2 ; da una parte armi piene di Savoia con Corona sopra ed all'intorno EM • FILIB • D • G • DVX ■ SÀB • P • P •• Nel rovescio Croce de' SS. Maurizio e Lazzaro simile affatto alla sopra descritta col motto di Sa- voia FERT in giro e la leggenda attorno IN • TE • DOMINE • CONFIDO • 1576 • T •. Questa moneta dello stesso tipo e del- l'anno medesimo esiste pure già nella Regia Collezione. 2. — Moneta dello stesso tipo dell'antecedente battuta nel 1577 colla lettera V. 3. — Altre due simili del 1580 colla lettera V. Dopo quest'anno, ultimo del Regno del Duca Emanuele Filiberto, non compare più sopra alcuna moneta esistente nella Collezione Regia la Croce de' SS. Maurizio e Lazzaro unite nella maniera coniata in esse eccetto in una monetuccia erosa di cui s'ignora l'anno anche per essere in parte cor- rosa, intorno a cui si legge CAROLVS • EMANVEL •. Nelle al- tre monete tutte del Duca Carlo Emanuele I non compare più la Croce di S. Lazzaro ma soltanto quella di S. Mau- rizio. Anzi è notabile una battuta nel 1610 nel campo della quale come in moltissime altre di quel Sovrano, vi è la Croce di S. Lazzaro ed intorno ad essa si legge TISI SOLI • ADERERE 1610. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 52I Monete d'oro del Duca Carlo Emanuele I. I. 1. — Monete numero due. Da una parte nel Campo l'impronta della testa del Sovrano colla lego^enda attorno CAR • EMA • D • G- • DVX • SAB • P • PEO-: nel rovescio armi piene di Savoia colla Corona ai disopra ed in giro IN • TE • DOMINE • CONFIDO • 1581 N- Si ha già questa moneta medesima nella collezione Regia, ed è non solamente dello stesso tipo, ma anche del- l'anno medesimo; primo del Regno del Duca Carlo Emanuele. 2. — Altre due dello stesso tipo dell'anno 1583 colla lettera T. 3. — Altra dello stesso tipo dell'anno 1584 colle let- tere M . G- •. 4. — Altra affatto simile del 1585 colle lettere M • G • esiste pure di questo stesso anno nella collezione Regia. 5. — Altra parimenti simile del 1587 colla lettera N. si ha nella Regia collezione. IL Nel campo armi piene di Savoia colia Corona sopra nel campo CAR • EM • D • G • DVX • SABAVD • P • P •. Nel luvesciu croce formata da quattro pezzi di colonna scannellata colla punta di ciascun braccio finiente alla foggia della Croce di S. Maurizio, colle quattro lettere che formano il motto FERT disposte tra le braccia in giro ed intomo « IN • TE DOMINE CONFIDO • 1581 • T •. III. Nel campo arma di Savoia piena con corona al disopra in giro CAR • EM • D • G • DVX • SAB • P • PED •. Nel rovescio come in quella sopradescntta del Ducit Emanuele Filiberto croce formata da fiorami tra le braccia della quale le lettere che compongono il motto FERT. La leggenda ISI IN -TE • DO- MINE CONFIDO 1581 T-. L'unica diversità che passa tra questa moneta e quella che già si conserva nel Gabinetto Regio delle monete con- siste nella lettera T. invece di N., contrassegno, che come si ha ragione di credere, di zecca diversa. 66 522 AUGUSTO TELLUCCINI IV. Nel diritto testa del Duca colla leggenda CAR • EM • D • G • DVX • SABAVDIE • P • PED •• Nel rovescio Arma di Savoia compita con corona sopra ed in giro IN • TE • DOMINE • CON- FIDO • 1586 • T •. Moneta simile in tutto alla esistente nel Regio Gabinetto. Arch. Stato, Torino {Sez. I) Regj Archivj. Categoria //, Mazzo j;, n. 26. Petizione presentata al Governo Provvisorio da Giovanni Battista Talpone. Libertà Virtù, Eguaglianza Il Cittadino Giambattista Talpone rappresenta ai citta- dini componenti il Governo Provvisorio del Piemonte, che in seguito ad un ordine dato dall'allora regente la Segreteria degli Affari interni ha consegnato al re le medaglie e mo- nete d'oro e di argento di cui egli aveva la custodia e che sulla stessa tavola del re gliene ha d'ordine del medesimo passata una ricevuta in forma per suo discarico il Cittadino Rajmondo di S. Germano in data delli 8 corrente v. s.. Ora il rappresentante ha tutt'ora una quantità di monete e me- daglie di biglione e di rame ed alcuni ponzoni da zecca o conj di monete e medaglie rimesse a suo padre li 12 marzo 1762 dall'incisore Maltese d'ordine del regnante allora Carlo Emanuele, nello stesso tempo che ne informa i Cittadini com- ponenti il Governo Provvisorio, li prega a dar i loro ordini perchè tali medaglie e monete sieno trasportate all'Univer- sità degli Studi per essere unite colle medaglie del museo e liberar lui dalla custodia dei detti conj e qualora il Go- verno Provvisorio aderisse alla richiesta del Cittadino Tal- pone lo pregherebbe pure a dar quegli ordini che stimerà più convenienti perchè si possano estrarre tali monete e me- daglie dalle stanze ch'egli occupa nell'inaddietro Palazzo Vecchio da cui non si può presentemente estrarre cosa alcuna. Torino, li 24 Frimario anno 7 Rep. e I" della Libertà Piemontese 14 Dicembre 1798 v. s. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 523 D Arch. Stato, Torino (Sez. I). Materie Economichej Zecche e Monete, mazzo j di II addizione. L'infrascritto avendo esaminata diligentemente la serie delle monete effettive fatte coniare dai Reali Predecessori di S.S. Real Maestà ed esistenti nella Cassetta custodita dall' Illmo Signor Conte Talpone di Montariolo € fattone il confronto colle tavole formate e delineate dal fu Signor Ca- pitano Ingegnere Daristo, come pure coi cataloghi e Docu- menti che si hanno, ha osservato in primo luogo che in essa cassetta non sarebbonsi per anco potute radunare tutte quelle monete che dai succennati Documenti risultano esser state battute d'ordine degli anzidetti Sovrani e che vanno descritti nella qui unita nota segnata A. Secondo, mancare in esse tavole formate dal Signor Capitano Daristo le figure delle monete che si hanno in essa cassetta effettiva e che son riportate nella nota segnata B. Torino, i8 novembre 1782. f.'" Giuseppe Darbesj. (A) Nota delle Monete fatte stampare dai Principi della Real Casa di Savoia e che non si hanno effettive nella Rac- colta fattasi delle medesime. In detta nota le monete sono indicate col nome con cui trovansi designate negli ordini dati dai rispettivi Sovrani per la loro battitura, in quali ordini la stessa moneta ha soventi diversi nomi. 524 AUGUSTO TELLUCCINI Nome dei sovrani Anni del Regno Monete mancanti Beroldo Umberto I Amedeo I Odone Amedeo II Umberto II Amedeo III Umberto III Tommaso Amedeo IV Bonifacio Pietro Filippo I Amedeo V Edoardo Aimone dal loco al 1016 „ 1016 » 1048 ,, 1048 „ 1050 „ 1050 „ 1060 „ 1060 „ icBo „ 1080 „ 1103 „ 1103 „ 1149 „ 1149 „ 1188 „ 1188 „ 1233 „ 1233 „ 1253 „ 1253 „ 1263 „ 1263 „ 1268 „ 1268 „ 1285 „ 1285 „ 1323 « 1323 » 1329 „ 1329 .) 1343 Mancano le monete di questi principi. Non se ne può attribuir veruna a questo principe con sicurezza. Mancano intieramente. Si hanno due monete d'argento ed una erosa col nome di Umberto senza che possa accertarsi a quale spettino dei tre Umberti. Non si hanno monete effettive di que- sto principe. Ci rimangono effettive quattro monete antiche che portano il nome di Ame- deo, due delle quali d'argento basso e due erose senza che possa con sicurezza asserirsi a quale degli Amedei tra i primi quattro debbano attribuirsi. Non ci sono rimaste monete di questo principe. Mancano pure le monete di lui. Si hanno solo due monete che senza dubbio appartengono a questo prin- cipe e mancano le altre. Mancano alla serie delle sue monete: Erose Il grosso semplice. L'aijglino. Mancano tutte le monete di questo principe. Mancano le seguenti monete: Argento Grosso danaro bianco detto Dozzino. Danaro bianco detto mezzo Grosso. Erose Forte bianco. Forte negro. Grosso obolo bianco. Obolo bianco. Obolo al fior del gìglio. Danaro negro al giglio. Parisiense negro. Obolo bianco detto Sezzino. Obolo minuto ossia piccolo. Danaro negro redottese. Forte negro redottese. Grosso danaro bianco exuccellato. Moneta bianca doppia ad A ; et Sentellum. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE HI 525 Nome dei sovrani Anni del Regno Monete mancanti Amedeo VI dal 1343 al 1383 Amedeo VII 1383 - 139 1 Abtcdeo Vili I39I r, 1440 Mancano di questo prìncipe le seguenti monete : Oro Scudo d'oro consimile a quel di Francia dell'anno 1352. Fiorino d'oro simile a quel di Fi- renze del 1352. Scudo d'oro di Savoia del 1354. Mottone d'oro del 1354. Fiorino d'oro di buon peso del 1369. Argento Danaro bianco Bianco detto Dozzine. Bianco simile al regio. Grosso Moriziense. Obolo bianco ossia mezzo grosso. Grosso Turonese. Moneta de denari sei viennesi. Obolo colla coda. Erose Danaro Viennese. Danaro Moriziense. Obolo Moriziense Parisieno forte. Pellavillano forte. Viennese exuccellato. Doppio di moneta negra. Pattacco. Forte exuccellato. Forte coronato Danaro piccolo. Danaro negro forte exuccellato. Moneta da danari tre viennesi. Danaro forte. Quarto bianco. Danaro bianco. Bianchetto. Non si hanno nella collezione le se- guenti monete : Oro Scudo d'oro di Savoia del 1391. Fiorino d'oro di buon peso del 1384. Erose Quarto bianco , ossia quarto di Grosso. Forte negro. Bianchetto. Danaro bianco. Mancano di questo principe le se- guenti monete : Oro Fiorino di piccol peso del 1395. Fiorino d'oro di Savoia del 1399-1400. 526 AUGUSTO TELLUCCINI Amedeo Vili segue dal 1391 al 1440 Ludovico Amedeo IX „ 1440 „ 1465 „ 1465 „ 1472 Argento Grosso Turonese di Savoia. Erose Forte negro di Savoia. Forte. Mezzo forte. Danaro viennese. Viennese negro. Danaro bianco. Obolo bianco. Obolo bianchetto. Danaro forte negro. Pattacco. Mezzo viennese. Pitta ossia mezzo viennese. Bianchetto. Viennese intiero. Non si hanno nella raccolta le se- guenti di lui monete : Oro Ducato del 1448. Fiorino d'oro di picciol peso del J449. , Scudo d oro del 1449 e 1450, Scudo d'oro di Savoia del 1457. Argento Grosso. Erose Bianchetto ossia Danaro. Piccolo bianco. Maglia di bianchetto ossia obolo bianco. Mezzo Pattacco ossia viennese. Mezzo viennese ossia Pitta. Danaro Pattacco ossia ottavo di Grosso. Forte. Danaro. Viennese. Maglia di Viennese. Fra le monete battute da questo so- vrano mancano le seguenti: Oro Scudo di Savoia del 1465-1467. Fiorino d'oro di picciol peso detto Falcone del 1468. Erose Forte. Bianchetto. Viennese. Parpagliola. Mezza parpagliola di bianchi. Maglia di bianchetti. Mezzo viennese. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE III 527 Nome dei sovrani Anni del Regno Monete mancanti Filippo I Carlo I Carlo Giovanni dal 1472 al 1482 1482 , 1489 1489 , 1496 Mancano nella Raccolta le seguenti monete : Argento Pezza da grossi due. Pezza da grossi quattro. Grosso semplice. Fiorino. Erose Mezzo grosso. Quarto di grosso. Bianco piccolo Mezzo bianchetto. Bianchetto. Forte. Mezzo viennese. Maglia di bianchetti. Non si hanno le seguenti monete di questo principe : Oro Pezza da ducati 35 ossia Sti. Mau- ritii del 1483. Pezza da ducati ao \ '° > del 1483. • • * 5 \ ■ » » ■* ' Ducato d'oro del 1482. • Fiorino di piccol peso da grossi 24 del 1483. Fiorino da grossi 12. Ducato d'oro di grossi 36 del 1483. Argento Pezza da grossi la. » » » 4' » I» • 2. » . • •> I- Testone. Quarto di Testone. Erose Parpagliola. Bianco piccolo. Viennese, Maglia del Viennese. Mezzo Grosso. Quarto di Grosso. Mancano di questo principe le monete seguenti : Oro Ducato d'oro del 1490. Argento Testone. 528 AUGUSTO TELLUCCINI Nome dei sovrani Anni dei Regno Monete mancanti Carlo Giovanni segue Filippo li Filiberto II Carlo II dal 1489 al 1496 „ 1496 „ 1497 » H97 >, 1504 „ 1504 „ 1553 Erose Parpagliole. Forte. Viennese. Maglia di Viennese. Bianchetto. Maglia di bianchetti. Mancano le seguenti monete ArgeMio Testone. Quarto. Viennese. Erose Mancano di lui le seguenti monete: Oro Ducato del 1500. Erose Grosso. Mezzo grosso. Bianchetto. Maglia di Bianchetti. Viennese. Forte. Non si hanno nella raccolta le mone: e effettive seguenti, state battute di ordine di questo sovrano : Oro Ducato d'oro del 1503 al 1509. Scudo d'oro del 1507 al 1509. Mezzo scudo del 1508. Fiorino d'oro del 1535. Ducato doppio del 1548. Argento Pezza da grossi 8. „ „ „ 50 dan.° cornuto. » » » 2* „ „ „ 12 peri due." d'oro. Terzo di Ducato. Sesto di Ducato. St. Maurizio. Erose Viennese. Mezzo forte ossia viennese. Grosso bianco. Bianchetto. Maglia di bianchetti. „ genevese. Parpagliola o gran bianco. Bianchetto per Geneva. Maglia di bianchetti per Geneva. LA RACCOLTA NUMISMATICA DI CARLO EMANUELE Ili 529 Nome dei sovrani Anni del Regno Monete mancanti Carlo II segue dal 1504 al 1553 Erose segue Pezza da Grossi 2 Mezzo grosso. Pattacco. Mezzo cavallotto. Mezzo bianco Danaro da quarti 2. Gran bianco da quarti 3. Pezza da quarti 3. Pezza da 48 per i Ducato. Grosso da 55 per i Scudo. Kman. Filiberto Danaro. n 1553 . 1580 Non si hanno nella raccolta le se- ' guenti monete di questo principe: Oro Ducato d'oro dell'anno 1554. Argento Tal laro Mezzo Testone. Quarto di Testone. Quarto di Scudo. Erose Pezza da grossi 6. Pattacco. Forte ossia danaro buono. Carlo Emanuele I Mezzo quarto di grosso. » 1580 w 1630 Mancano le seguenti monete di questo principe : Argento Pezza da fiorini 8. \ 6. [ del 1625. . • . 2 V, ^ Quarto di ducatone. Ottavo , Sedicesimo „ Mezza lira. * Scudo e Imedeo (?). Erose Quarto di 7 al soldo. Quarto di soldo. Vittorio Amedeo 1 V 1630 .. 1637 Mezzo grosso. Non si hanno le seguenti monete di questo principe : Argento Mezza lira dell'anno 1634. Francesco Glacinto » 1637 . 1638 Monete che mancano di questi prin- sotto la reggenza di Ma- cipi : dama Reale Cristina. Argento Ducatone. ì Lira > del 1638. Mezzalira. ) Erose Pezza da soldi 5. Pezza da soldi i. e? 53Ò AUGUSTO TELLUCCINI Nome dei sovrani Anni del Regno Monete mancanti Carlo Emanuele II sotto la reggenza di Ma- dama Reale Cristina. dal 1638 al 1648 ■Mancano le seguenti monete di questi principi : Argenio Lira effettiva del 1639. Carlo Eman. li solo « 1648 " 1675 Manca di esso la seguente moneta : Argento Mezzalira del 1675. Vittorio Amedeo II sotto la reggenza di Ma- dama Reale indi solo » 1675 » 1730 Mancano di questo principe le se- guenti monete : Argento Bucatone \ Mezzo Bucatone f ,, ^--q. Quarto ( ^"^ '^^■ Ottavo ; E per fine mancano tutte le monete coniatesi d'ordine dell' Augustissimo Sovrano felicemente Regnante siccome mancano anche tutti i documenti ad esse relativi. (B) Noia delle figure mancanti nelle Tavole delle monete delineate dal Capitano D aristo. Umberto II Amedeo II . Umberto III Tommaso Bonifacio . Pietro . . \ Manca la figura dell'unica sua moneta esistente nella Cassetta. Mancano le figure delle otto di lui mo- nete effettive. Mancano le figure delle tre di lui monete. Mancano pure quelle di questi Principi. Oltre alle suddette mancano tutte le figure delle mo- nete fatte coniare dall' Augustissimo Sovrano felicemente Regnante. Il Corpus Nummorum Italìcorum AL QUARTO CONGRESSO DELLE SCIENZE A NAPOU (13-21 Dicembre 1910). Il Comitato ordinatore del IV Congresso annuale dell'As- sociazione Italiana per il progresso delle scienze, che ha sede in Roma, aveva accolto la proposta della Direzione del Me- dagliere nazionale di Brera in Milano di trattare dell'opera numismatica del Re, allora di imminente pubblicazione, e invitò il prof. Serafino Ricci, il quale aderì all' invito come rappresentante del Medagliere nazionale e della Società Nu- mismatica italiana, a parziale utile della quale doveva, per volere Sovrano, devolversi il provento della pubblicazione. E il giorno 17 dicembre 1910, in una delle grandi Aule ad anfi- teatro della Nuova Università di Napoli, dinanzi a un pubblico scelto e numerosissimo, il Ricci pronunciò la conferenza annunciata col titolo " // Corpus Nummorum Italìcorum e la sua importanza per la storia d'Italia „. Quantunque l'oratore non potesse presentare ancora il Corpus ufficialmente, la conferenza piacque, e la triplice salva d'applausi e la vera ovazione che la coronò mostrarono racco- glienza entusiastica fatta all'opera del Sovrano, che le cure dello Stato non distraggono dal severo e difficile lavoro scientifico. Ne diamo qui un breve sunto, come primizia, dovendo la conferenza essere poi pubblicata per intero negli Atti del Congresso ('^). Ricordati i vari onori ricevuti dal Sovrano fin da quando era Principe di Napoli, da parte di molte Società numisma- tiche, il Ricci osservò quali onori meriterebbe oggi il nostro Re, che non ha solo detto di fare, ma ha fatto ; e ha dato esempio in sé mirabile di fermezza di carattere, di serietà (i) Una recensione scientifica sarà inserita nel prossimo fascicolo della Rivista. Nota della Redazione. 532 LA DIREZIONE di scienza, passando da semplice collezionista ad autore nu- mismatico, quando si pensi il brevissimo tempo che dal 1900 rimane a Sua Maestà pei suoi ozi intellettuali. È passato poi tosto il Ricci ad esaminare il Corpus in sé, ben sapendo come Vittorio Emanuele III sia alieno dall'adula- zione e anche dalla semplice lode, quantunque questa sia meritata. Il primo volume, che fra poco sarà nelle mani degli studiosi, riguarda le monete coniate dai Principi di Casa Savoia: formano fondamento principale del Catalogo lo spo- glio delle opere sulla numismatica italiana e la collezione privata del Re; a completarlo hanno concorso le principali raccolte italiane e straniere, sia pubbliche che private. L'opera reca la notizia dei principi, delle monete coniate col loro nome, e delle zecche nelle quali queste furono battute con tutte le indicazioni relative al metallo adoperato, al peso e alla misura. Le monete descritte nel testo, che si distende per ben 532 pagine in-4 grande, sono illustrate da 42 tavole riproducenti in fotocalcografia quelle monete che rappresen- tano un tipo speciale, o qualche varietà di una certa impor- tanza. La stampa è stata eseguita dalla tipografia della Regia Accademia dei Lincei, e le tavole dalla ditta Danesi di Roma. L'edizione è destinata ad essere venduta a favore del- l' Istituto Nazionale per gli orfani degli impiegati civili e della Società Numismatica italiana. E degno di nota che il volume, magnifico per nitidezza e perfezione di stampa, è frutto delle ofiìcine romane, le quali, dopo un oblìo abbastanza lungo, si affermano vittorio- samente con questa pubblicazione, per la quale il Re non badò a spese, purché fosse degna dell'argomento, della sua ricchissima Collezione e di Roma. L'ordine seguito nella trattazione é quello geografico; entro ogni regione é adottato l'ordine alfabetico per zecche, come quello di più facile consultazione. Dopo il I volume, contenente Casa Savoia, che, per l'indole stessa della sua storia e della sua monetazione, fa parte a sé, sarà pubblicato il II volume, che comprenderà Piemonte e Sardegna, non minore del primo ; poiché il gen. Ruggero, che é il valente collabora- tore del Sovrano nell'opera grandiosa, riunì già gli elementi IL CORPUS NUMMORUM ITAUCORUM 533 illustrativi dati da S. M. il Re per 46 tavole, e pare non ba- stino. Il III volume procederà in ordine regionale con la Liguria, alla quale s'aggiungerà la Corsica per completarlo; gli altri, non ancora enunciati, illustreranno la monetazione delle altre regioni d'Italia dal Nord al Sud. Il prof. Ricci, delineata l'opera, la studiò nelle sue origini, che risalgono alla grande passione del Sovrano per le colle- zioni numismatiche, fin da quando studiava storia col colon- nello Osio, che si serviva appunto delle monete per ricordargli fatti storici; passione, del resto, ereditaria, perchè si ritrova in Carlo Alberto, nel principe Oddone, in Vittorio Emanuele IL In tal modo il nostro Sovrano raccolse più di 65,000 mo- nete di sole zecche italiane, e si specializzò tanto in questo campo da disporre della collezione più ricca al mondo nel suo genere, e della competenza pratica più vasta e più sicura, perchè ha per base ben trent'anni circa di ricerche scientifiche ininterrotte. Fu felice intuito di Sua Maestà di abbandonare la mo- netazione greca e romana per darsi completamente alla storia numismatica della Sua Casa e della monetazione italiana. Altro felice intuito del Re fu il metodo rigorosamente scien- tifico da lui adottato nella preparazione del Corpus Nummo- rum, pel quale seguì la via maestra di raccogliere in modo esauriente prima, di illustrare in modo scientifico poi. E questo intento pratico e serio risalta ancor più dalla modestia del sottotitolo, col quale il Re pubblica il suo la- voro. Al titolo generale, con cui già da tempo era annun- ziata l'opera, quello di Corpus Nttmmorum Italicorum, fu aggiunto il sottotitolo modesto, fin troppo, di : Primo tenta- tivo di un Catalogo generale delle monete medioevali e mo- derne, coniate in Italia o da italiani in altri paesi. Se si vuol bene considerare, la modestia eccessiva del Re rispecchia un senso molto profondo della perfezione scien- tifica, poiché in scienza nulla vi è di definitivo, e siaino in una continua progressiva evoluzione. Però il Ricci mise in chiara luce che questo primo tentativo sarà destinato ad es- sere opera magistrale di consultazione e di studio, una di quelle opere capitali, come il Corpus inscriptionum graeca- rum, o latinarum, che formano le pietre miliarie — per così 534 LA DIREZIONE dire — del cammino storico da percorrere, e, al solo enun- ciarle come iniziate, meritano il plauso e l'incoraggiamento di tutti gli studiosi. Il Corpus non riuscirà solo il Catalogo più perfetto pei numismatici, ma anche il volume per gli storici, nel quale vi studieranno l'elemento economico della coniazione e circolazione monetaria, troppo da loro trascurato finora, e per gli artisti, che vi vedranno lo sviluppo dell'arte monetaria nostra dal Rinascimento ai nostri giorni. E l'oratore finì, fra l'approvazione generale, lodando sinceramente il fermo volere del nostro Sovrano scienziato nel dare all'Italia un'altra gloria, quella di*continuare la no- bilissima tradizione numismatica nazionale, che dal Petrarca e dal Boccaccio scende ininterrotta fino a Vittorio Ema- nuele in. Augurò poi che il forte e patriottico impulso del Re trovi eco nella mente degli studiosi, e abbia l'anno pros- simo una nuova prova dell'incremento preso dalle nostre discipline numismatiche e medaglistiche nella Mostra del Me- dagliere del Risorgimento, proposta dal Medagliere nazionale di Brera, e accolta con entusiasmo da Ferdinando Martini e dalla Commissione per l'esposizione dei cimelii patriottici nelle aule del monumento al gran Re: quivi, eternati nell'oro, nell'argento, nel bronzo, si ammireranno i fasti gloriosi della terza Italia. E non meno della Mostra del Risorgimento si augurò il Ricci, chiudendo il suo dire, che giunga felicemente a compi- mento un'altra proposta della Direzione del Museo Numi- smatico di Brera, pure accolta con entusiasmo dal conte di San Martino e da Ettore Ferrari, quella del Salone interna- zionale della medaglia e della placchetta moderna, che verrà aperto nella Esposizione di Belle Arti in Roma del 191 1, ac- canto alle geniali creazioni della scultura e pittura moderna. Così il seme lanciato dal Re nell'elevare il grado e l'im- portanza della moneta e della medaglia, e raccolto già nella tiuova monetazione italiana, più artistica delle prece- denti, darebbe nelle feste cinquantenarie dell'unità della patria frutto degno e fecondo per l'avvenire della scienza e del- l'arte italiana. La Direzione. BIBLIOGRAFIA LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI Haeberlin (dott. giur. E. J.)- -^^s Grave - das Schwergeld Rotns linci Mittelitaliens einschliesslich der ihm vorausge- henden Rohbronzeivàhrung. Lo studio dell'a^5 grave nel secolo decimottavo e fino alla metà del decimonono fu specialità italiana, e basta citare i nomi di Arrigoni, Zelada, Carelli, Marchi e Tessieri, Sambon e Garrucci. Dalla metà del secolo scorso tale studio passò ai tedeschi, Mommsen dapprima e oggi al dott. Haeberlin, le cui nuove teorie sconvolgono quelle del primo che per un certo tempo parvero indiscutibili. Il dott. Haeberlin possiede una ricchissima collezione di aes grave, certamente la più ricca fra le private; si inna- morò dell'interessantissimo argomento, vi si specializzò vi- sitando tutti i gabinetti pubblici e privati d'Europa; ed ora pubblica il risultato del suo lungo studio, quale egli l'aveva preconizzato al tempo del congresso numismatico di Roma. La nuova teoria dell'A., intorno all'ars grave, è tutta fondata sulla pondometria, quale cioè fosse in origine la unità base, se e come venisse in seguito modificata, come e per- chè siano avvenute le riduzioni, quali pezzi vadano attribuiti all'uno piuttosto che all'altro sistema ponderale e così via. Sarebbe troppo ardito 1* addentrarsi in una analisi e peggio ancora in un esame critico del sistema per chi non vi ha fatto studii speciali, quali sono richiesti da un argomento tanto difficile e da una teoria affatto nuova. Da parte mia ammiro sinceramente il lavoro colossale e applaudo allo studioso giurista che ha avuto il coraggio di affrontarlo, ma non mi credo certo competente a darne un giudizio e non mi sento neppure tentato a volerlo dive- nire, perchè ciò esigerebbe uno sforzo troppo grande per la mia mente non molto portata a simile genere di studio. 53^ BIBLIOGRAFIA D'altronde dissi più volte e debbo qui confermare che limitata è la mia fiducia nei risultati pratici che possono emergere dai pesi delle monete antiche, anche in epoche assai più vicine a noi di quella óeWaes grave; e mi pare per lo meno arrischiato il pesare col bilancino moderno dell'oro le rozze monete di bronzo che rimontano a venticinque secoli. Rammentisi la famosa teoria di Kenner sul bronzo im- periale. Può darsi, e lo auguro all'A., come agli studiosi, che desiderano d'essere una volta fissati, che la nuova teoria sia la vera ; ma il giudizio definitivo non può venire che col tempo e l'autore potrà dire veramente d'aver trionfato solo quando il suo sistema, compreso, studiato e vagliato, venga universalmente accettato. L'edizione è splendida e le riproduzioni dal vero bellis- sime e nitidissime soddisfano a un vero bisogno, perchè in- torno a questa serie non esistono che opere vecchie — la più recente essendo quella di Mommsen — le quali non hanno che riproduzioni eseguite a mano. Esposta però la mia ammirazione, non posso a meno che deplorare il formato troppo grande e quindi incomodissimo delle tavole, che non invitano affatto a consultarle. Se se ne fosse fatto un doppio numero nel formato del testo e si fossero per di più rilegate in volume, invece che presentarle sciolte, credo che tutti gli studiosi sarebbero stati assai soddisfatti. E chiuderò queste poche parole, che non debbono es- sere prese per una recensione, ma per un semplice annuncio, con un altro rimpianto.... linguistico. Quando il dott. Hae- berlin al principio del suo lavoro venne a Milano e visitò anche la mia collezione, dietro una mia proposta, m'aveva dato un certo affidamento, che, trattandosi di soggetto emi- nentemente italiano, avrebbe fatto il testo in italiano, o per lo meno bilingue, non volendo abbandonare il suo tedesco. Ma il proposito cambiò, e l' italiano non c'è. Me ne spiace assai e credo che ciò nuocerà alla diffusione del libro, perchè il tedesco in Italia, come in molti altri paesi, è un po' duro, specie in argomento già discretamente duro per sé stesso. F. G. BFBUOGRAFIA 537 Serafini ^Camillo). Le monete e le bolle plumbee pontific'xe del Medagliere Vaticano. Voi. I, Adeodato (615-618) — Pio V (1566-1572). — Milano, Ulrico Hoepli , 1910 (xci 348 pag., con 62 tavole in eliotipia). Una delle opere da noi preannunciate nel numero prece- dente di questa Rivista (pag. 420) ha fatto testé la sua com- parsa. Il eh. Autore, Direttore del Medagliere Capitolino e del Gabinetto Numism. Vaticano, cav. Camillo Serafini, il quale da tempo attendeva all'illustrazione di quest'ultimo, ha ora pub- blicato il primo volume di quest'opera importantissima. In esso si descrivono le monete e le bolle plumbee pontificie da Adeo- dato a Pio V, che abbracciano poco meno di un millennio. Come osserva giustamente l'A., dopo le pubblicazioni par- ziali dello Scilla, del Garampi e di pochi altri, dopo quella del Cinagli, la quale, quantunque abbracci tutta la serie pon. tificia, è però per tanti riguardi manchevole, e non è corre- data che da poche e grossolane illustrazioni, nessun numi- smatico ha pensato a farne un lavoro d' insieme, a riunire in un'opera tutta la illustrazione di questa serie, che è certo la più numerosa ed importante fra tutte le serie delle mo- nete italiane medioevali e moderne. Noi siamo quindi gratissimi al eh. Autore d'aver pen- sato a colmare questa lacuna con questo splendido lavoro. Esso fa veramente onore e all'Autore e alla Biblioteca Vaticana, la quale, da qualche tempo, sotto la guida e l'im- pulso del suo Prefetto, P. Francesco Ehrle, a mezzo de' suoi scrittori, pubblica interessanti e dotti lavori. E mi piace se- gnalare il fatto e tributare una pubblica lode all' insigne Bi- blioteca, la sola in Italia che segua lo splendido esempio che dà il Museo Britannico, esempio che dovrebbe essere imitato anche dai nostri principali Musei. Certo, trattandosi qui della descrizione di una raccolta, per quanto ricca e doviziosa (comprendendo essa circa quin- dicimila esemplari), non si può dire che l'opera rappresenti la completa illustrazione di tutte le monete pontificie fino ad oggi conosciute. Ma a questo l'A., ha già pensato, e si pro- pone (se l'accoglienza degli studiosi a ciò lo incoraggerà) di completare il suo lavoro, facendo seguire ai tre volumi che 68 53^ BIBLIOGRAFIA formeranno l'opera promessa, un quarto volume per descri- vere, oltre le monete che nel frattempo venissero ad aggiun- gersi al Gabinetto Vaticano, tutte quelle che si trovano sparse in collezioni pubbliche e private. Alla descrizione delle monete l'A., molto opportuna- mente, ha fatto precedere un Saggio storico delle collezioni numismatiche vaticane. È una interessantissima relazione, stesa da monsignor Stanislao Le Grelle, nella quale sono minutamente descritte tutte le vicende liete e tristi subite dal Medagliere Vaticano dalla sua origine fino ai nostri giorni. Il primo nucleo di quella collezione pare si debba al- l' iniziativa del cardinale Marcello Cervini, poi papa, col nome di Marcello II, il quale, verso il 1550, avrebbe iniziato presso la Biblioteca Vaticana una collezione di oggetti an- tichi e di monete. Da quell'epoca, per lo spazio di circa due secoli, non si trova alcun altro cenno relativo a collezioni numismatiche e bisogna discendere fino al pontificato di Cle- mente XII, il quale nel 1738 acquistava la celebre collezione Albani, comprendente 328 medaglioni greci e romani. A questa fu aggiunta poi nel 1748 da papa Benedetto XIV la pure rinomata collezione Carpegna, composta di altri 148 preziosi medaglioni, di molte monete romane, nei tre metalli, medaglie e monete pontificie; e, in seguito, la collezione di piombi diplomatici del Ficoroni. Pochi anni dopo, per opera dello stesso pontefice Benedetto XIV, fu acquistata la copio- sissima serie di oltre 5000 monete pontificie, già appartenute al numismatico Saverio Scilla, e questo fu il primo nucleo importante di una tale serie, fino ad allora assai scarsamente rappresentata in quel Gabinetto. Nel 1764, infierendo nello stato pontificio una terribile carestia, per ordine di papa Clemente XIII, si dovette ri- correre al tesoro segreto custodito in Castel Sant'Angelo, e depositarne il numerario al Monte di Pietà. Da quel tesoro però si credette opportuno di levare e mettere da parte circa 150 monete d'oro rarissime e mancanti al Museo Vaticano ; queste, dopo varie vicende, entrarono a far parte di quel Museo. Clemente XIV fu pure benemerito del medagliere, provvedendo al suo riordinamento e aumentandolo con varii acquisti. Lo stesso deve dirsi del suo successore Pio VI. BIBLIOGRAFIA 539 Nel 1794 questo pontefice acquistava dal proprietario, prin- cipe Livio Odescalchi, la celeberrima collezione della regina Cristina di Svezia, composta di 257 magnifici medaglioni romani e di parecchie migliaia di monete romane, greche e di medaglie. Ma ben dolorose vicende sovrastavano alla collezione vaticana. Pochi anni dopo, il 15 febbraio 1798, il gene- rale Berthier faceva la sua entrata in Roma e, in nome della Francia, vi proclamava la repubblica. Una delle prime cure del generale francese fu di prender possesso dei Va- ticano e di inviarvi de' suoi commissarii per rintracciare tutto quanto di più prezioso si trovasse nei suoi musei ; e subito naturalmente si pensò al prezioso medagliere. Questo venne dapprima parzialmente svaligiato, specialmente della serie pontificia dello Scilla che andò dispersa ; e nel luglio dell'anno seguente il resto della preziosa collezione, riunita con tanta cura, con tanto dispendio per lo spazio di due se- coli e mezzo, racchiusa in 21 casse, partiva alla volta di Pa- rigi, e prendeva posto in quel Gabinetto delle medaglie. Di tutta quella preziosa suppellettile non rimasero al Vaticano che poche centinaia di pezzi di mediocre valore. Nel 1807 il pontefice Pio VII, disperando ormai di poter ricuperare il prezioso medagliere, e desiderando, per quanto era possibile, di ripristinarlo, acquistava la bella raccolta Vitali, composta di rarissime monete romane e coloniali in bronzo ; inoltre, approfittando d'ogni occasione, riusciva ad arricchire il medagliere con acquisti di ripostigli e di piccole collezioni. Il 31 marzo 181 4 gli alleati entravano in Parigi e subito si trattò della restituzione di tutti i libri, i codici, i capi d'arte e delle monete che nel 1798 erano state asportate dal Vaticano; le trattative furono lunghe e laboriose, e, spe- cialmente per quanto riguarda il medagliere, la restituzione si ridusse ad una solenne canzonatura. Gli incaricati italiani, che non s' intendevano per nulla di numismatica, avevano a fare con persone assai scaltre ed intelligenti. Il risultato fu, che, in cambio dei 500 rarissimi medaglioni, delle raccolte Carpegna ed Odescalchi e di tutta la parte migliore del me- dagliere vaticano, che non si trovava o non si voleva trovare. 540 BIBLIOGRAFIA furono restituite ai commissari italiani circa 6600 monete di tutti i generi, ch'erano forse i duplicati di quel Gabinetto e che furono poi riconosciute di assai poca importanza. Fu questa la più vergognosa mistificazione che mai avvenisse in tal genere di trattative. Poco tempo dopo, nel 1816, si cominciò a dare un nuovo assetto al Medagliere Vaticano riordinando le monete ch'erano sfuggite alla rapacità dei commissari francesi, quelle ritor- nate da Parigi, e la collezione Vitali, di cui già si fece parola. Nel 1819 Pio VII acquistava inoltre la collezione Mariotti, di monete italiane e di piombi pontifici, e arricchiva il Museo con varii ripostigli di monete consolari in argento. Nel 1829 la commissione del Museo vi aggiungeva la col- lezione Tommasini, composta di monete italiane ed estere. Altri numerosi acquisti di collezioni e ripostigli furono fatti negli anni seguenti. Nel 1851 papa Pio IX acquistava per il Medagliere Vaticano la collezione Belli, una delle più cospicue serie di monete pontificie, e nel 1854 la collezione Sibilio, magnifica serie di monete consolari nei tre metalli, oltre ad altre collezioni minori. Per tutti gli anni seguenti gli acquisti di monete d'ogni genere continuarono con varia vicenda, finché nel 1901, per opera specialmente del solerte direttore attuale del Gabinetto Vaticano, cav. Camillo Serafini, il papa Leone XIII aderiva all'acquisto della celeberrima collezione del card. Randi, com- posta di oltre 26,000 pezzi tutti della serie pontificia. Con questo fortunato acquisto la collezione papale di quel Ga- binetto raggiunse il primo posto e fu largamente com- pensata della perdita della collezione Scilla. Da quell'anno fino ad oggi l'ottimo direttore di quel Gabinetto vi continuò sempre col massimo amore, colla più amorevole cura, gli acquisti, sia di piccole collezioni, che di pezzi isolati, dando naturalmente la preferenza alle monete e alle bolle pontificie. Alla storia delle vicende del Medagliere Vaticano il eh. A. fa seguire un'importante Cronologia delle bolle plum- bee pontificie, indi la descrizione delle monete, molto accu- rata in tutti i più minuti particolari, e accompagnata dall'in- dicazione del metallo, del valore o denominazione, del peso, del diametro e del grado di conservazione. BIBLIOGRAFIA 54I Ad Ogni pontefice vengono descritte dapprima le monete della zecca di Roma, indi quelle delle altre città italiane, da ultimo quelle di Avignone. Solo nel periodo avignonese, le zecche di Avignone e di Ponte della Sorga furono collocate per le prime, come quelle della residenza pontificia. Essendo poi pressoché impossibile, per la maggior parte delle monete di quest'epoca, il metterle in ordine cronologico, le monete sono riunite per metallo, oro, argento, mistura, rame, ecc., in ordine decrescente. A corredo della descrizione delle mo- nete, seguono molte note, quattro indici e tre tavole conte- nenti i monogrammi dei papi anteriori al mille, e gli stemmi dei prelati, cardinali ed altri dignitari rappresentati sulle mo- nete di questo primo volume del Catalogo, e da ultimo le magnifiche tavole eliotipiche che riproducono tutti i tipi delle monete e delle bolle plumbee : quarantasei per le prime e tredici per le seconde. Questo primo volume incontrerà senza alcun dubbio il plauso concorde degli studiosi. Noi ce ne congratuliamo sinceramente coll'Autore; questo primo volume ci fa nascere vivissimo il desiderio di vedere al più presto il compimento di un'opera indispensabile per tutti quelli che si interessano allo studio di questa importan- tissima parte della numismatica italiana. E. G. li. A. Grueber F. S. A. Coi/is of the roman republic in the British Museiim (tre voi. con 123 tav.). — Londra, 1910. Il Museo Britannico offre il primo esempio di una col- lezione di Monete della Repubblica Romana disposte crono- logicamente e geograficamente. E tale è l'ordine seguito dall'A. nello splendido catalogo che ci presenta. La colle- zione del Museo Britannico è così copiosa, che con poche aggiunte, che l'autore vi fece, di descrizioni e di illustrazioni, il catalogo è divenuto quasi un " Corpus „ delle monete repubblicane e offre quanto occorre per lo studio dell'inte- ressantissimo periodo sotto la nuova classificazione cronolo- gica e geografica, la quale, sebbene presenti qualche diffi- 542 BIBLIOGRAFIA colta per le ricerche a chi è abituato al comodo sistema alfabetico, sarebbe però la sola veramente razionale. Tale classificazione era stata eseguita al Museo Britan- nico dal 1859 al 1860 dal conte de Salis (0. L'appassionato raccoglitore s'era prefisso il compito di fare un ordinamento cronologico e geografico delle monete romane e, per meglio riuscire nella difficile impresa, non avendo a sua disposi- zione che una limitata collezione propria, chiese ed ottenne dal Museo Britannico il permesso di eseguire tale vasto di- segno sulla collezione del Museo stesso, che egli poi in compenso contribuì ad arricchire. E a notare che il lavoro fu compiuto, indipendentemente dal lavoro di Mommsen, il quale non aveva ancora vista la luce, quando era condotta a termine la classificazione della parte repubblicana. Il che, se può attribuirsi a merito individuale del conte de Salis, significa nel tempo stesso che non potè approfittare di quanto il Mommsen ha insegnato. La classificazione del conte Salis venne conservala al Museo Britannico quale da lui stabilita ed è quella stessa che è seguita nel catalogo che ora ci presenta il Conserva- tore del Gabinetto sig. Grueber. La parte più antica, quella dell'Aes rude e dell'Aes grave, era stata poco curata dal conte de Salis, che aveva seguito senz'altro il vecchio sistema allora vigente. L'opera del signor Grueber cominciò nel 1905, quando il sistema predominante era quello di Mommsen e venne quindi a questo informata. L'Haeberlin non aveva ancora pubblicato le sue nuove teorie, e poi, nota l'A. nella sua prefazione, " una tale completa rivoluzione della classi- ficazione generale abbisogna di molta considerazione, discus- sione e critica prima di essere generalmente accettata „. E non gli posso dar torto. Venendo alla divisione cronologica e geografica, la storia può certamente molto insegnare; ma non arriva a tutto; essa dà molto aiuto per la cronologia, assai meno per la geo- grafia e, oltre un certo limite, non basta più, e allora bisogna (i) Il quale lavurò costantemente al Musco Britannico durante il decennio 1859-1869 classificando colle medesime norme della cronologia e della geografia la parte imperiale della serie romana. ■ BIBLIOGRAFIA 543 ricorrere all'induzione, giudicando del tempo e del luogo di fabbricazione dallo stile delle monete, — Ora questo indice è certamente razionale ed io sono ben lontano dal discono- scerlo; ma, essendo basato sulla percezione personale, è certamente soggetto a variare secondo l' individuo che giu- dica. E per questo motivo che non possiamo accettare il tutto come Vangelo, e qualche differenza di veduta è permessa, sia sotto l'aspetto cronologico, sia e specialmente sotto quello geografico. Io credo anzi che, non solo il conte de Salis mezzo secolo fa, ma i migliori specialisti del giorno d'oggi non posseggano sufficienti elementi di giudizio per arrivare a una completa e sicura — dico sicura per dire provata — classificazione cronologica e ancor meno geografica delle monete della Repubblica Romana. Difatti in molte parti la classificazione del conte de Salis è affermata; ma punto provata e documentata. E infatti, come potrebbe provarci che parecchie delle monete da lui attri- buite air Italia in genere non siano precisamente coniate a Roma? o viceversa? E così piccola in questo periodo la dif- ferenza tra lo stile delle monete coniate nell'urbe o extra muros, che davvero, se non è suffragato da qualche altra prova, l'elemento stile non basta. V'hanno poi anche i casi in cui lo stile dice molto, e il conte de Salis parmi non ne abbia tenuto conto. Cito due esempii, l'uno cronologico l'altro geografico. Il primo è quello dei quadranti o piccoli bronzi dei due ultimi quadrumvirati mo- netarii, di Betilieno Basso, Nevio Cappella, Rubellio Blando e Valerio Catulo e l' altro di Gaio, Messala, Sisenna e Apronio, la cui data, come indicato dallo stile, non può cer- tamente essere quella loro assegnata in cui si coniavano le rozze monete colla testa d'Augusto, ma va portata molto più innanzi, all'epoca di Caligola e forse di Claudio, com'è dimostrato in uno studio ultimamente presentato dal nostro Laffranchi al Congresso Numismatico di Bruxelles Ù). E, venendo all'esempio geografico, il denaro di Ventidio Basso è attribuito alla Gallia, mentre lo stile lo ha sempre fatto attribuire indiscutibilmente all'Oriente e precisamente (i) Le ultime monete romane col nome dei Triumviri monetarii. 544 BIBLIOGRAFIA alla Siria, alla quale attribuzione viene in valido aiuto anche la storia. Non vorrei che l'aver accennato a qualche menda fosse interpretato in senso meno che rispettoso alla scienza del conte de Salis e al suo valido seguace; mi dichiaro franca- mente ammiratore dell'uno e dell'altro e vorrei che molti vi fossero che come loro ardissero e tentassero il nuovo e il miglioramento della scienza; ma, siccome tutto è perfettibile, è dovere del recensore l'accennare a quanto egli crede possa essere oggetto di miglioramento. E del resto criticare è assai piij facile che fare. Le nitide tavole che accompagnano e illustrano il cata- logo ci danno un'idea della splendida collezione del Museo Britannico, una certamente delle più ricche e belle che si conoscano (0. F. G. Anson (L.). Numismatica Graeca. Greek Coin-Types classi- fied for immediate identification. — Londra, 1910. Le monete possono essere considerate sotto molti punti di vista, e parecchi sono gli scopi che un autore può pre- figgersi quando si accinge ad un lavoro numismatico. Ora è la parte economica che si prende in considerazione, ora la parte storica, oppure l'artistica, e dallo scopo che uno si prefigge, deriva l'ordinamento e la classificazione da darsi alle monete. 11 sig. Anson in questa sua pubblicazione ha avuto per unica mira, come lo accenna nel titolo, l'imme- diata identificazione. Ha fatto perciò di tutte le monete greche conosciute un'unico repertorio, distinguendole perle diverse rappresentazioni dei rovesci. Il paziente lavoro consta (i) Una sola moneta vi si è infiltrata che io vorrei tolta ed è quella che rappresenta un sedicente asse di L. Munazio Fianco (n. 4124, tav. Lini, n. 16), il quale — secondo il mio debole parere, che però è considerato, che ritengo giusto e che è avvalorato dal consimile giudizio d'altri competenti — non è che un rifacimento di un asse della Clovia, il quale per conibinaz one gli è proprio riprodotto accanto nella mede- sima tavola. Se non lo condannasse il suo aspetto evidente di moneta rifatta, lo condannerebbe il suo tipo troppo strano e quindi inaccettabile. BIBLIOGRAFIA 545 quindi principalmente di riproduzioni, alle quali corrisponde un indice esplicativo, indicante a quale città o a quale po- polo appartiene ciascuna delle monete illustrate. Resta così enormemente facilitata agli studiosi la classificazione delle numerosissime serie di monete greche, e i principianti so- prattutto dovranno essere grati all'autore di questa pubbli- cazione. L'A. ha incominciato colla pubblicazione dei fascicoli contenenti le tavole e i rispettivi indici, riservandosi di dare in seguito più ampie spiegazioni di ogni moneta nel testo corrispondente. I sei fascicoli ora pubblicati e tutti riferentisi agli og- getti inanimati riprodotti sulle monete greche — di quelli animati si occuperà in altro lavoro — sono così divisi per materia: — Fascicolo I. Industria, ossia vasi, coppe, reci- pienti, tripodi, troni, ecc. ; — II. Guerra, armi, armature, stendardi, trofei, ecc.; — III. Agricoltura, Piante, fiori, frutti, cereali, ecc. ; — IV. Religione, Are, cippi, attributi di divinità, sacrifici, ecc.; — V. Architettura, Edifici, templi, monumenti di Navigazione e Marina, navi, porti, conchiglie, tridenti, ecc. ; — VI. Scienza ed Arti, Astronomia, scultura, musica, commedia, giuochi, miscellanea. Le tavole sono 150, ossia 25 in media per ogni fascicolo. F. G. Hubl (dottor Albert). Die Mùnzensammlung des Stiftes Schotten in IVien. I parte : Monete romane della Repub- blica e dell' Impero classificate in ordine cronologico e per zecche. L'esempio lodevolissimo dell'A. dovrebbe essere imitato da tutti i conservatori delle pubbliche collezioni numisma- tiche, poiché senza l'ordinamento scientifico queste collezioni falliscono completamente allo scopo per cui furono istituite; ma disgraziatamente — causa la non soverchia attività della gran maggioranza dei conservatori suddetti — tale ordinamento sul quale insistettero ed insistono gli studiosi, si farà attendere ancora, e per molto tempo dovremo ac- 69 54^ BIBLIOGRAFIA contentarci di cataloghi redatti in quella balorda classifica- zione alfabetica, che se è scusabile nei cataloghi dei nego- zianti di monete e di chincaglierie, è assolutamente imper- donabile nelle opere scientifiche. Tornando al nostro A., osserveremo che la classificazione cronologica e geografica delle monete romane essendo an- cora oggetto delle ricerche degli specialisti, non potevamo attenderci un lavoro impeccabile; ma le inesattezze a cui devo accennare per dovere di critico, sono poco numerose. A pag. 79 la cronologia di Adriano, quale vien presen- tata dall'A., non è consona alle ultime ricerche su questo specialissimo argomento (i). Il n. 2196, denaro d'argento di Diocleziano colla clava all'esergo, appartiene alla zecca di Treviri, non a quella di Roma. Il n. 2940, denaro d'Onorio, appartiene alla zecca di Roma non a quella di Milano e la sigla deve leggersi pjipc" I denari n. 2941 (Costantino III) e n. 2942 (Giovino) colla sigla g^jjij-p appartengono a Lione, non a Milano, città che non appartenne mai a questi due imperatori. L. Laffranchi. Stabilimento Stefano Johnson, Milano igio. Medaglie, Plac- chette, Fusioni. Rassegna annuale MCMX. Abbiamo a suo tempo fatto cenno nella Rivista (2) del- l'Album illustrato pubblicato dalla ditta Johnson, nel quale si descrivevano i lavori dalla Ditta stessa eseguiti dal 1884 al 1906. Ora lo stabilimento Johnson continua tale illustrazione dal 1906 in poi, iniziando la pubblicazione di una Rassegna annuale di cui ci offre il primo numero coiranno 1910. Per quanto anche qui si tratti di una pubblicazione industriale, (i) Vedi La Cronologia delle monete di Adriano in Rivista Italiana di N unti sm atte a, anno 1906, fase. Ili, pag. 329. (2) Vedi Rivista Ital. di Nttm., 1906, pag. 449. BIBLIOGRAFIA 547 crediamo che la nostra Rivista debba occuparsene, perchè essa è l'indice dello stato attuale della medaglistica in Italia, e all'Italia fa onore, dimostrando come ormai ben poco ci resti da invidiare alle nazioni più progredite in tale ramo dell'arte. La Rivista si apre coi progetti delle nuove monete ita- liane, nelle quali lo stabilimento Johnson ebbe gran parte e delle quali discorreremo più specialmente quando anche la moneta d'oro — che dovrebbe essere ormai pronta — avrà fatta la sua apparizione in pubblico. Vi sono poi descritte ed illustrate molte medaglie, targhe e placchette eseguite per ricordi pubblici e privati, incomin- ciando da quelle dell'ultima esposizione di Milano, venendo fino alle solenni commemorazioni del 1859, alle onoranze a Cavenaghi pel restauro del Cenacolo e alla memoria di Car- ducci, il cui ritratto sulla bellissima targa, crediamo sia uno dei lavori meglio riusciti dello stabilimento. Non ci resta che fare i più caldi e sinceri augurii pel continuo progresso di un'industria artistica, che altamente onora il nostro paese. La Direzione. Supino {Camillo), Il mercato intemazionale. Milano, U. Hoepli, 1910, in-8, pag. vi-363. Regolamento sui servizi e sul funzionamento della R. Zecca, ap- provato con R. decreto 6 gennaio 1910, n. 4. Napoli, Casa edit. E. Pie- trocola, succ. P. A. Molina, 1910, in-i6, pag. 21 (Biblioteca legale n. 1044). 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