RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
E SCIENZE AFFINI
RIVISTA ITALIANA
DI
NUMISMATICA
E SCIENZE AFFINI
PUBBLICATA PER CURA DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
E DIRETTA DA
FRANCESCO ed ERCOLE GNECCHI
ANNO XXII - 1909 - VOL. XXII
MILANO
Tip.-Editrice L. F. Cogliati
Corso P. Romana, N. 17
1909.
PROPRIETÀ LETTERARIA
M.10-
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Presidente Onorario
S. M. VITTORIO EMANUELE III
Re d'Italia.
Presidente
Conte Comm. NICOLÒ PAPADOPOL1
Senatore del Regno.
Vige -Presidenti
GNECCHI Comm. Francesco — GNECCHI Cav. Uff. Ercole
Consiglieri
GAVAZZI Cav. Giuseppe.
MOTTA Ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana.
RICCI Dott. Serafino, Conservatore nel R. Gabinetto Numismatico di
Brera in Milano (Vice-bibliotecario della Società).
RUGGERO Comm. Magg. Gen. Giuseppe.
VISCONTI March. Cav. Carlo Ermes.
Angelo Maria Cornelio, Segretario.
CONSIGLIO DI REDAZIONE DELLA RIVISTA PEL 1909.
Gnecchi Francesco e Gnecchi Ercole, Direttori
Gavazzi Giuseppe — Motta Emilio — Papadopoli C. Nicolò
Ricci Serafino — Visconti M. Carlo Ermes.
FASCICOLO I.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
XCF.
IL RIPOSTIGLIO D'OSTIA
ASSI E DUPONDIO CONIATO.
Nello scorso agosto venne trovato ad Ostia un
ripostiglio di bronzi repubblicani, il quale constava,
a quanto pare, di 500 a 600 pezzi. Il bottino venne
diviso fra tre operai, ed io non ne potei avere che
una parte; ma probabilmente la più fortunata. Fra i
176 pezzi che mi toccarono, 175 sono assi e uno è
il dupondio coniato, il secondo e l'ultimo dupondio
della repubblica.
12
FRANCESCO GNECCHI
Ecco la completa descrizione del ripostiglio :
Assi senza indicazioni. Farfalla e Uva.
N. 52, gr. 48, 46, 44, 42, 40, 39, 39, N 3) gr _ 3Ó) 36i 34
38, 38, 38, 38, 33, 37, 37, 37, 37.
37, 36, 36, 36, 36, 36, 35, 35, 35, Ferro di Lancia -
34, 34, 34, 33. 3 2 > 32, 32, 32, 3 1 , N. I, gr. 39.
31, 29, 29, 28, 28, 27, 27, 27, 27,
26, 26, 26, 25, 25, 24, 23, 22, 22. hulmlne
N. 1, gr. 44.
Assi con simboli.
N. 74 (dal 254 a. C).
Ancora.
N. 3, g r - 34, 25, 24.
Astro.
N. 1, gr. 30.
Berretto Flamine.
N. 4, g r - 44, 36, 34, 33-
Bipenne - Berretto.
N. 1, gr. 51.
Bove e monogr. MO.
N. 5, gr- 37, 35. 34, 33, 33-
Cane.
N- 1, gr. 34.
Cinghiale.
N. 3. gr- 43, 43, 36.
Colonna.
N. 1, gr. 47.
Cornucopia.
N. i, gr. 51.
Corona.
N. 2, gr. 45, 43.
Delfino.
N. 4, gr- 39, 37, 32, 28.
Delfino avanti la prora.
N. 2, gr. 33, 29.
Grifo.
N. 6, gr. 43, 42, 34, 34, 30, 27.
Lupa e Gemelli.
N. 8, gr. 37, 33, 31, 30, 29, 27, 24, 24.
Mezzaluna.
N. 4, g r - 46, 4 1 . 38, 34-
Prora.
N. 2, gr. 37, 32.
Spiga.
N. 3, g r - 36, 34, 34-
Vittoria.
N. 3, gr- 32, 32, 3 1 -
Vittoria e Lancia.
N. 5, gr- 43, 4°, 37, 32, 28.
Uccello e Corona.
N. 1, gr. 30.
Uccello e Timone.
N. 2, gr. 36, 34.
Simboli incerti.
N. 7, gr. 40, 36, 35, 35, 30, 28, 25.
Assi con lettere e monogrammi.
N. 49-
LAP (monogr.).
L. Aemilius Paullus, a. 234 a. C.
N. 3, gr- 34, 32, 23.
MA (monogr.). Matienus, a. 234 a. C.
N. 6, gr. 39, 34, 32, 31, 26, 23.
IL RIPOSTIGLIO D'OSTIA I3
BAL (monogr.) Naevius Baibus C SAX (monogr.).
a. 218 a. C. C. Clovius Saxula, a. 189 a. C.
N. 4. gr- 34. 28, 27, 26. N. 4, gr. 40, 40, 40, 39.
LPH (monogr.). L. Plautius Hypsaeus N „„„_ c Domitius Ahenobarbus
a. 218 a. C. - N. i, gr. 30. a l6g a c _ j,. ,_ gr> 32
ME (monogr.). Caecilius Metellus C|NA Corne|ius Cjna g g Q
a. 217 a. C.
N. 4, gr. 4 6, 40, 38, 37- N - 3 ' gr - 36 ' 34> 22 '
TAMP (mon.) Cn. Baebius Tampilius MVRENA Licinius Murena, a. 159 a. C.
a,
217 a C. — N. 2, gr. 44, 32. N. 4, gr. 30, 27, 23, 22.
M TITINI, M. Titinius Q. MARI Q. Marius, a. 159 a. C.
a. 209 a. C. - N. 1, gr. 27 . N> 3j gr# +1| 29 .
C SCR C. Scribonius Curio
a. 204 a. C. — N. 1, gr. 27.
P Pestum?
N- 4, gr. 38, 36, 28, 25.
A CAE (monogr.). A Caecilius
a. 189 a. C. Dupondio, a. 112?
N. 8, gr. 36, 34, 34, 32, 29, 29, 29, 29. N. 1, gr. 45, 50.
Negli assi, come risulta dalla datane descrizione,
fatta una eccezione per quelli della Maria che non
sono fra i più comuni, non v'ha nulla di raro e nulla
di specialmente interessante. Se li ho descritti, gli è
perchè il contorno può giovare all' illustrazione del-
l'unico pezzo importante che vi stava frammezzo, il
Dupondio, e dare anche argomento a qualche rifles-
sione d'indole generale.
Il primo dupondio romano (non tenendo conto di
quello italico appartenente alla serie dell'asse librale
col simbolo della ruota del peso normale di gr. 654.90),
fu quello dell'asse trientale del peso normale di gr.
218.30 — (l'asse primitivo essendo di gr. 327.45 e il
trientale di gr. 109.15) ed è il solo che generalmente
si conosca per gli esemplari, sempre abbastanza rari,
che ci offrono le collezioni.
Un secondo dupondio venne messo in circola-
zione molto più tardi e fu anche l'ultimo durante la
monetazione repubblicana.
14 FRANCESCO GNECCHI
Pare che quest'ultimo sia stato emesso in pic-
colissima quantità, giacche finora tre soli esemplari
vennero in luce e di questi uno solo, il primo com-
parso, venne finora onorato delle discussioni dei dotti.
Esso apparve quasi di passaggio nella collezione
Depoletti di Roma; ma non vi apparteneva più nel
1882 quando la collezione andò dispersa, e difatti non
figura nel catalogo di vendita. Per lungo tempo lo si
credette perduto; e tutti gli autori che successiva-
mente ne trattarono non lo videro e ne parlarono
come dell'araba fenice:
Che vi sia ciascun lo dice,
Dove sia nessun lo sa.
Il Mommsen non ne conobbe che il disegno e
ne tratta in modo poco chiaro, e direi quasi equivoco.
Lo descrive nel suo quadro cronologico, assegnan-
dolo al periodo 268-244 (Voi. IV, pag. 24) e lo ri-
produce alla Tav. 21, n. 3, quasi fosse appartenente
alla serie trientale, mentre invece nel 2 U volume
(pag. 7 e 8 e 215) W e ancora in una nota a pag. 75
dello stesso volume 2 ) dice chiaramente che questo
dupondio coniato appartiene alla serie dell'asse un-
ciale debole.
Anche il Barone d'Ailly e il Garrucci lo clas-
sificarono nell'asse unciale, e vi si associa il Babe-
lon (3) e mi vi associo io pure, essendo ciò indicato
non solo dal peso, ma anche dalla coniatura.
(1) " Une pièce nouvellement décoiiverte est venue rectifier cette opi-
nion (che cioè il dupondio, il tripondio e il decusse non avessero durato
oltre l'epoca in cui l'asse era ridotto a oncie 2 %) et prouver qu'au
nioins le dupondius a été frappé (et non coulé) à l'epoque de l'as uncial
faible „.
(2) "... . nous ne connaissons encore qu'un exemplaire (unique
jusqu'ici) d'un dupondius frappé sur le pied oncial „.
(3) Il quale, tratto in inganno dal modo, come accennai, poco chiaro,
anzi equivoco in cui si esprime il Mommsen dice : " Mommsen regarde
IL RIPOSTIGLIO D OSTIA 15
Un secondo esemplare del raro dupondio apparve
pochi anni sono sul mercato di Londra; ma non
so ove attualmente si trovi. Ed ora il ripostiglio
d'Ostia ne porta in luce il terzo, di cui ecco la
descrizione:
ì& — Testa galeata di Roma a destra, senza indicazione
di valore.
?! — Prora di Nave a destra e indicazione di valore II.
Peso gr. 45,000.
Il pezzo è riconiato su di un asse del quale sono
ancora visibili le vestigia, sia al dritto che al rove-
scio, senza pertanto che l' asse originario si possa
identificare, senza cioè che si possa precisare quale
questo sia, se fosse anonimo o se portasse qualche
lettera o qualche simbolo ( J ).
Dell'esemplare Depoletti venne data l' identica
descrizione (salvo la variante del peso di soli gr. 40.150)
primieramente dal Barone d'Ailly, poi dal Mommsen
e infine dal Garrucci, il quale rettifica che esso venne
riconiato non su di un asse, ma su di un semisse &).
Bahrfeldt cita pure il detto Dupondio Depoletti
nelle sue « Monete riconiate » (3) e, deplorandone la
" ce dupondius cornine un dupondius faible du système triental. Mais
" il vaut mieux le classer dans le système de l'as uncial, parcequ'il
" est frappé et non coulé „ (Voi. I, pag. 6265).
(1) Il conio del diritto cadde perpendicolarmente sul diritto dell'asse
di modo che la verticale primitiva tra le due teste di Giano è ancora
visibile appena al disotto della linea dell'occhio della nuova testa di
Roma. Nella parte posteriore più sporgente di questa, ossia nella cuffia
del casco, ove non arrivò il metallo nella riconiatura, è ancora visibile
il segno I all'unione delle due teste. Il rovescio cadde invece quasi in
senso contrario al primo conio. L'indicazione del valore riuscì sbia-
dita per essersi incontrata in una depressione ; invece è ancora leggi-
bile in alto a destra la parola ROMA dell'antico esergo.
(2) Il quale aveva però i conii spostati, il diritto cioè coniato sul-
l'antico rovescio e viceversa.
(3) Zeitschrift /Tir Numismatik, 1891.
l6 FRANCESCO GNECCHI
perdita, aggiunge: « È un vero peccato, giacché così
non si può più avere la certezza assoluta circa la sua
autenticità monetaria. Anche il Friedlander nel Rc-
pertorium pag. 63 ne dubita ».
Ma il Bahrfeldt nel 1891, quando scriveva quelle
righe, non conosceva ancora il secondo esemplare
(quello di Londra) che vide poi e giudicò autentico,
riconiato su di un asse anonimo. E il Bahrfeldt stesso,
che ora lo insegna a me, ignorava che l'esemplare
Depoletti fosse passato, vivente ancora il primo
proprietario, nella Collezione d'Ailly, ove riposò per
molto tempo ignorato e dove si trova anche oggidì.
Bahrfeldt lo vide dopo il 1891 e lo giudicò autentico.
Il dubbio ora dunque è tolto, essendo ricono-
sciuti perfettamente autentici i tre esemplari.
L'essere i tre esemplari di questo dupondio, non
di coniazione originale, ma riconiati su due monete
anteriori, potrebbe far ritenere che di questo pezzo
non si sia fatta una vera e propria emissione; ma
che invece la riconiatura possa quasi paragonarsi a
una contromarca impressa quando avvenne la ridu-
zione dall'asse se stantario all'unciale.
Per economia di lavoro, invece di rifondere le
vecchie monete, sugli assi o su qualunque altro
bronzo, il cui peso corrispondesse a un dipresso a
due oncie, si impresse col nuovo conio il valore
di due assi, ossia il tipo del dupondio unciale. Questa
misura probabilmente non fu che transitoria, come
lo indica l'estrema rarità di questo dupondio.
Volendo ora assegnare una data al nostro ripo-
stiglio, mi trovo davanti a fatti che a me pare non
collimino con quanto s'è finora insegnato riguardo
all'epoca in cui avvenne la riduzione dell'asse al
II. RIPOSTIGLIO D OSTIA 17
peso unciale, la quale in base a quelli risulterebbe
più recente di quanto generalmente si ammette.
Dall'esposizione cronologica che del nostro ri-
postiglio abbiamo dato in principio di questa me-
moria, risulta che esso non può essere stato sepolto
prima dell'anno 159 a. C, questa essendo la data
degli assi più recenti in esso contenuti. E ciò non im-
plicherebbe teoricamente nessuna contraddizione colla
data comunemente accettata dell'anno 217 per la
riduzione dell'asse al peso unciale.
Tutti i numismatici sono d'accordo (caso strano!)
su questo punto, incominciando da Plinio, e tutti, se-
guendo il primo maestro, sono anche d'accordo nello
spiegare tale riduzione quale ripiego alle strettezze
finanziarie prodotte dai disastri della Trebbia e del
Trasimeno (Hannibale urgente!) e nell'ammettere che
tale riduzione sia stata sanzionata dalla legge flaminia.
Ma, se noi guardiamo ai monumenti, se teniamo
cioè conto, come pare indispensabile, dei pesi reali
che le monete ci offrono, noi ci troviamo in grande
imbarazzo a metterli d'accordo coi fatti accettati.
Mentre è notorio che le monete di bronzo della
Repubblica non raggiungono mai il peso normale o
lo raggiungono solo eccezionalmente, nel nostro ri-
postiglio abbiamo gli assi di A. Cecilio e di Clodio
Saxula dell'anno 189 a. C. oscillanti fra i grammi 40
e i 29, sempre superiori al peso di un'oncia ; e an-
cora nell'anno 159 a C. quelli di Cornelio Cina del
peso di 36 e 34 grammi e quelli di Licinio Murena
e di Quinto Mario con una media assai superiore
all'oncia e raggiungenti ancora i grammi 30, 34 e 41.
E del resto questi pesi non sono punto speciali
al nostro ripostiglio ; ognuno può riscontrarli in
qualsiasi collezione. Ora è egli possibile che, oltre
mezzo secolo dopo la promulgazione di una legge
che decretava l'asse di 27 grammi, lo si emettesse
FRANCESCO GNECCMI
ancora a peso di tanto superiore e quasi vicino al
doppio ?
E, peggio ancora, è egli ammissibile che il du-
pondio del peso di 40 grammi fosse emesso contempo-
raneamente ad assi di peso equivalente o anche su-
periore? È evidente al contrario che questo dupondio
non poteva essere contemporaneo che a un asse al
più unciale , e probabilmente anche più leggero ;
il che posticiperebbe la data del nostro ripostiglio e
quella della riduzione dell'asse unciale non solo oltre
l'anno 217, ma benanco oltre l'anno 159 segnato
dagli ultimi assi.
La contraddizione tra la data accettata del 217
per la riduzione dell'asse e i pesi accennati degli
assi risalenti fino al 159 mi sembra tanto stridente
da autorizzare la supposizione che vi sia uno sbaglio
di persona, e che la famosa legge che porta il
nome di flaminia debba attribuirsi ad altro Fla-
minio posteriore al Console del 217. V'hanno altri
personaggi, la cui identità non è bene stabilita ed
Eckhel ebbe il medesimo dubbio relativamente alla
legge Papiria : As iincialis inde a 0. Fabio usque ad
le geni Papiriam incertum quando et a quo Papirio latani.
Se noi dobbiamo affidarci ai pesi reali delle
monete, i quali pare dovrebbero darci una norma si-
cura, i primi assi veramente unciali che noi incon-
triamo sono quelli di C. Fonteio, il quale, parecchi
anni dopo che la coniazione degli assi era sospesa,
la riprende nell'anno 112. 1 suoi assi presentano
una media di circa 26 grammi, ossia sono precisa-
mente corrispondenti nel fatto al peso normale di
un'oncia, grammi 27,25.
Non e a dirsi con ciò che la riduzione dell'asse
al peso di un'oncia abbia dovuto aver luogo preci-
samente con C. Fonteio ; ma dovrebbe essere avve-
nuta nel periodo che corre fra il 159 e il 112. Gre-
IL 1UPOSTIGLIO D OSTIA 1CJ
derei probabile che essa sia stata attuata insieme al
cambiamento avvenuto in questo periodo nel rap-
porto fra l'argento e il bronzo, quando cioè il de-
naro venne portato a valere non più io. ma 16 assi.
Erano probabilmente due innovazioni che andavano
di conserva e si completavano, e quindi furono in-
trodotte contemporaneamente.
Sic stantibìis rebus, e. se altri dati non vengono
a smentire queste mie osservazioni emergenti da
quanto mi pare risultare dai fatti e dai monumenti,
la data della riduzione dell'asse al peso unciale an-
drebbe ritardata di circa un secolo.
XCII.
RITROVAMENTI DIVERSI.
Gli scavi di Roma quest'anno essendo stati poco
copiosi per quanto riguarda monete inedite o molto
interessanti, ho pensato di riunirvi quelle di alcuni
altri ritrovamenti. Ad ogni descrizione segue l'indi-
cazione della provenienza. Quando questa manca,
s' intende che la moneta proviene da Roma.
NERONE DRVSO.
i. Medaglione d'argento Asiatico. Prima di Cohen, n. i.
,©' - NERO CLAVD DRVSVS GERMÀNICVS IMP Testa lau-
reata a destra.
R) — DE GERMANIS scritto nell'arco di trionfo su cui si
vede la statua equestre di Uruso a destra fra due
trofei.
(Tav. I, n. i).
Si conoscono monete d'oro e d'argento col medesimo tipo del mo-
numento di Druso sull'arco di trionfo e colla leggenda DE CERNI ;
FRANCESCO GNECCHI
ma il medaglione d'argento finora è unico. Questo medaglione, come il
seguente n. 2 e i due denari n. 3 e 4, coniati probabilmente a Cesarea
di Cappadocia, formavano parte di un ripostiglio trovato nel 1906 nel-
l'Asia Minore, di cui ebbi una cinquantina di pezzi, la maggior parte
dei quali erano medaglioni d'argento di Nerone, Claudio e Agrippina.
CLAVDIO E NERONE.
2. Medaglione tParg. Asiatico. Dopo Cohen, n. 1.
& - - DIVO CLAVD AVGVST &ERMANIC PATER AVG Testa
laureata di Claudio a destra.
R] — NERO CLAVD DIVI CLAVD F CAESAR AVG GERM
Testa laureata di Nerone a destra.
(Tav. I, n. 2).
NB. Questo medaglione (Cohen, n. 1) porta sempre al diritto la
dicitura DIVOS.
NERONE E AGRIPPINA.
3. Denaro d'argento. Dopo Cohen, n. 3.
& - NERO CLAVD DIVI CLAVD F CAESAR AVG GER-
MANI Testa di Nerone laureata a destra.
9 - AGRIPPINA AVGVSTA MATER AVGVSTI Busto a si-
nistra. Dietro nel campo un doppio K.
- (Tav. I, n. 3).
4. Denaro d'argento. Dopo Cohen, n. 3 bis
La stessa moneta ; ma il busto d'Agrippina è velato.
NERONE.
5. Medio bronzo Imperatorio. Dopo Cohen, n. 141.
& - NERO CLAVD CAESAR AVG GER P NI TR P IMP P P
Testa a destra.
R) — GENIO AVGVSTI Genio di fronte volto a sinistra
col cornucopia in atto di versare una patera su
di un ara (senza S C).
GALBA.
6. Denaro d'argento. Dopo Cohen, n. 72.
& — IMP SER GALBA AVG Testa nuda a destra.
RITROVAMENTI DIVERSI
UH - SALVS GEN HVMANI Figura femminile a sinistra, il
piede poggiato su di un globo, con un timone, in
atto di versare la patera su di un'ara.
7. Denaro d'argento. Dopo Cohen, n. 76.
Variante del precedente con i& — IMP SER G-ALBA
CAESAR AVG Testa laureata a destra.
8. Gran bronzo. Dopo Cohen, n. 138.
& — SER GALBA IMP CAES AVG TR P Busto laureato a
destra col paludamento.
R) - LIBERT AVG R XL S C La Libertà a sinistra col
berretto e lo scettro.
(Tav. I, n. 4).
9. Gran bronzo. Dopo Cohen, n. 240.
,& — IMP SER SVLP GALBA' CAES AVG TR P Busto lau-
reato a destra col paludamento.
1? — S P Q R OB CIV SER in una corona di quercia.
io. Medio bronzo. Dopo Cohen, n. 154.
& — SER GALBA IMP CAESAR AVG PON MA TR P P P
Testa laureata a destra.
Iji — LIBERTAS PVBLICA S C La Libertà a sinistra col
berretto e lo scettro.
11. Medio bronzo. Dopo Cohen, n. 144.
,&' - SER GALBA IMP CAES AVG TR P Testa laureata a
destra.
Jjl — VESTA (all'esergo) S C Vesta seduta a sinistra col
palladio e lo scettro.
ADRIANO.
12. Vitreo. Cohen, n. 517.
& - HADRIANVS AVG COS III P P Testa nuda a destra.
I$l — VIRTVTI AVG L'imperatore in abito militare galop-
pante a destra in atto di lanciare un giavellotto.
(Tav. F, n. 5).
FRANCESCO GNECCIII
Questo nuovo esemplare d'uno dei migliori aurei di Adriano come
arte e stile viene a rimpiazzare quello descritto da Cohen come già
appartenente al Gabinetto di Francia, ma distrutto nel famoso furto
del 1831.
13. Medio bronzo. Dopo Cohen, n. 909.
B' -- HÀDRIANV3 AVG COS MI PP Busto a destra col
paludamento, testa scoperta.
lj? — FORTVNA AVG S C La Fortuna a sinistra colla pa-
tera e il cornucopia.
FAVSTINA JVNIORE.
14. Medio Bronzo. Dopo Cohen, n. 212.
& — FAVSTINA AVG PII AVG FIL Busto a destra.
1# — S C Diana a sinistra con una freccia e appoggiata
all'arco.
(Tav. I, n. io).
15. Gran bronzo. Dopo Cohen, n. 238.
& — FAVSTINAE AVG PII AVG FIL Busto a destra.
\}ì — VENVS S C Venere diademata a sinistra. Tiene colla
destra il pomo, mentre colla sinistra sostiene il
lembo del velo. Ai suoi piedi un delfino.
(Tav. I, n. 6).
M. AURELIO E COMMODO.
16. Medaglione di bronzo. Dopo Cohen, n. 2.
■B" — M ANTONINVS AVG TR P XXIX Busto laureato e
corazzato di M. Aurelio a destra.
Iji — ANTONINI AVG Testa nuda di Commodo
fanciullo a destra (anno 175 d. C).
Mill. 36, gr. 45,50.
11 medaglione è assai consunto, ma allo stato vergine di ritrovamento.
LVCIO VERO.
17. Medaglione di bronzo. Dopo Cohen, n. 109.
,& — L AVREL VERVS AVG ARMENIACVS IMP II TR P V
COS II Busto a sinistra in corazza visto da tergo.
Testa scoperta.
RITROVAMENTI DIVKRSI 23
$ — Anepigrafo: Lucio Vero a cavallo galoppante a si-
nistra, in atto di colpire coll'asta un armeno ca-
duto a terra. Sotto il cavallo giace un altro ar-
meno. Un milite a piedi segue l'imperatore, por-
tandogli l'elmo. Al secondo piano a sinistra un
altro milite (a. 165),
Mill. 38, gr. 37,250. (Tav. I; ri. 7).
NB. Di questo stesso medaglione gli scavi di Roma mi fornirono il
primo esemplare nel 1903; ma era tanto sconservato, che la leggenda
del diritto era totalmente scomparsa. Ne diedi quindi una descrizione
molto incompleta nella Rivista (1904, Appunto 11. LX, tav. I, n. 3) e sup-
posi probabile la leggenda ARMENIA al rovescio per analogia di tipo
con altri medaglioni di L. Vero. Il secondo esemplare ora comparso,
per quanto sia tutt'altro che di buona conservazione, permette la com-
pleta lettura della leggenda al diritto ed esclude invece ogni leggenda
al rovescio.
»
COMMODO.
18. Medaglione di bronzo. Dopo Cohen, n. 418.
& - M AVREL ANTONINVS COMMODVS AVG Testa lau-
reata a destra con un lieve indizio di paludamento
sulla spalla sinistra.
$ — PROVIDENTIAE DEORVM (all'esergo) TR P Vili IMP
UH COS III P P (in giro). Commodo velato a sini-
stra accompagnato da altro personaggio in atto
di versare la patera su di un tripode, al di là del
quale una figura in abito militare coll'asta nella
sinistra e la destra appoggiata a un cippo. Al
secondo piano due alberi i cui rami s'incontrano
formando una specie di pergolato (anno 178 d. C).
Diam. mill. 38, gr. 45,500. (Tav. I, n. 11).
L'esemplare che presento nella tavola è in così misero stato che
chi lo guarda non potrà a meno di meravigliarsi che io ne dia la leg-
genda. E avrebbe completamente ragione, poiché, se la leggenda del
diritto da un occhio pratico può essere facilmente completata, quella
del rovescio invece non c'è occhio umano che la possa ritrovare. Ma
in un lontano museo, nel Museo Hunter, esiste un altro esemplare di
questo medaglione, da poco conosciuto, infelice altrettanto e forse più
del mio. Fortunatamente però dove più manca l'uno è dove l'altro in-
vece è in migliori condizioni; dimodoché, se non si può dire che i due
pezzi si completino, si aiutano però in modo sufficiente da poter rico-
24 FRANCESCO GNECCHT
stituire il medaglione in tutta la sua integrità. Nel mio esemplare ó
meglio visibile la parte centrale, mentre in quello di Glasgow sono vi-
sibili le leggende quasi scomparse nel mio e, siccome si tratta dell'iden-
tico medaglione, prendo da quello le leggende e dal mio il tipo, retti-
ficando la descrizione del signor Macdonald (i), il quale certamente col-
l'esemplare che aveva sott'occhio non poteva darla più esatta. Difatti
egli vi intravvede quattro figure mentre non sono certamente che tre,
il che meglio risponde anche all'armonia della composizione.
Può darsi poi, anzi ritengo che si tratti dello stesso medaglione
che Cohen riporta da Vaillant al n. 419 (i. a ediz.) e 641 (2.» ediz.) colla
seguente sommaria e monca descrizione :
& —
ty — PROVIDENTIA Tre figure sacrificanti e una quarta
in piedi sotto un albero.
Anche Vaillant vide quattro figure (!). Può darsi che abbia avuto
sott'occhio l'esemplare di Glasgow, il quale nella sua sconservazione,
per quanto riguarda il tipo e per qualche guasto prodotto dall'ossido,
può autorizzare tale interpretazione.
SETTIMIO SEVERO.
19. Gran bronzo. Dopo Cohen, n. 586.
3' — L SEPT SEVERVS PIVS AVG Testa laureata a destra.
9 P M TR P XVII COS III P P L'Abbondanza seduta a
destra con una ghirlanda che tiene colle due
mani. Davanti a lei un genietto alato. Al secondo
piano una prora di nave (a. 209).
(Tav. I, n. 8).
Questo rovescio è conosciuto per l'anno 210 (TR P XVIII) ed è da
Cohen descritto al suo n. 595.
CARACALLA E PLAVTILLA.
20. Aureo. Cohen, n. 1.
& - ANTON P ÀVG PON TR P V COS Busto giovanile
laureato di Caracalla a destra col paludamento e
la corazza.
$ - PLAVTILLAE AVGVSTAE Busto di Plautilla a sinistra.
(1) Roman Medallions in the Hunterian collection. Numismatic Chro-
nicle, 1906, parte II. •
RITROVAMENTI DIVERSI 25
L'aureo non è nuovo e neppure molto bello ; ma fa piacere vedere
un esemplare di questi aurei rarissimi di indiscutibile autenticità. Venne
portato in luce dagli attuali lavori per le fondazioni del ponte Umberto I.
(Tav. I, n. 9).
MACRINO.
21. Gran bronzo. Var., n. 73.
& - IMP CAES M OPEL SEV MACRINVS AVG Busto lau-
reato a destra col paludamento e la corazza.
9/ — FELICITAS TEMPORVM S C La Felicità a sinistra col
caduceo e il cornucopia.
DIADVMENIANO.
22. Medio bronzo. Dopo Cohen, n. 15.
& — M OPEL ANT DIADVMENIANVS CAES Busto a destra,
testa scoperta.
R 1 - PRINC IVVENTVTIS S C Diadumeniano di fronte ri-
volto a destra con un'insegna e lo scettro. A
destra due altre insegne.
ALESSANDRO SEVERO E MAMMEA.
23. Medaglione di bronzo.
& IMP ALEXANDER AVG IVLIA MAMAEA AVG MATER
AVG Busti affrontati di Alessandro laureato con
paludamento e corazza e di Mammea diademata.
R) - AEQVITAS AVGVSTI I-e tre Monete, di fronte, volte
a sinistra colle bilancie e il cornucopia. Appiedi
di ciascuna il mucchietto di metallo.
Diam. mill. 36, gr. 47. (Tav. I, n. 12).
Alla prima pubblicazione del Cohen, il medaglione era sconosciuto;
Rollin ne pubblicò poi un esemplare di sua proprietà nella seconda
(n. 3) che poi passò nella Coli. Weber di Amburgo; ma, se ho creduto
bene di pubblicare questo secondo esemplare, non è solo per la sua ra-
rità, ma specialmente per la sua straordinaria bellezza.
È a perfetto fior di conio e tutto ricoperto di una patina uniforme
somigliante a uno smalto verde cupo. Se a ciò si aggiunge la coniatura
perfettamente accentrata, non sarà esagerato il dire che forse è il più
bello dei medaglioni conosciuti.
Il tipo delle tre Monete che a una cert'epoca diventa il più comune
fra tutti, è molto raro a questa e difatti non è che il secondo esem-
plare conosciuto sotto il regno d'Alessandro. La figura centrale poi
26 FRANCESCO GNECCHI
delle tre Monete, quella che dovrebbe rappresentare l'oro, offre la rara
particolarità di tenere le bilancie col braccio abbassato come le altre
due, mentre generalmente lo tiene alzato.
Il medaglione venne trovato l'anno scorso in Ungheria, e per chi
è amante della parte annedottica, accennerò ai successivi valori attri-
buitigli nel corso di pochi giorni. Il contadino che lo trovò fu conten-
tissimo di venderlo a io fiorini. Il compratore lo portò a Vienna e cavò
abbondantemente le spese di viaggio, vendendolo a ioo fiorini. Il se-
condo compratore decuplo ancora assai facilmente il capitale impiegato,
trovando un terzo compratore che portò il numero dei fiorini a loco....
Dopo di che passò nella mia collezione, non più però decuplando, ma
semplicemente con una ragionevole provvigione.
VALERIANO PADRE.
24. Aureo. Cohen, n. 18
,©' — IMP C P LIC VALERIANVS P F AVG- Busto laureato
a destra.
$ — APOLINI CONSERVA Apollo nudo a sinistra con un
ramo d'alloro e la lira appoggiata a una rupe.
(Tav. I, n. 13).
Questo è un altro aureo che Cohen descrive come anticamente esi-
stente al Gabinetto di Francia. L'esemplare ora venuto in luce a per-
fetto fior di conio è circondato da un rozzo ma antico ornamento d'oro
con appiccagnolo e sostituisce ora l'esemplare scomparso di Parigi. Venne
trovato da un contadino in una campagna presso Parma nel 1907.
AVRELIANO.
25. Piccolo medaglione d'oro. Dopo Cohen, n. 2.
& — IMP C L DONI AVRELIANVS AVG Busto radiato e co-
razzato a destra.
P — CONCORDIA AVG- La Concordia assisa a sinistra
colla patera- e il doppio cornucopia.
Diam. mill. 23, gr. 7,500. (Tav. I, n. 14).
L'aureo è a fior di conio ; solo fu un po' guasto per un colpo ri-
cevuto nel ritrovamento, il quale sciupò un poco il campo e le due ul-
time lettere della leggenda del diritto. Fu trovato a Lodi verso la fine
del 1908.
Francesco Gnecchi.
UNA GRIDA DI CARLO 1
Duca di Mantova e di Monferrato per la zecca di Casale
(16 Giugno 1629)
DA UN FOGLIO VOLANTE STAMPATO.
Narrano gli storici mantovani che nella notte delli
24 venendo alli 25 dicembre dell'anno 1627 rendeva
l'anima a Dio nel suo magnifico palazzo ducale di
Mantova il duca Vincenzo secondo duca di Mantova
e di Monferrato senza lasciar prole legittima ; che
quattro ore prima di morire volle che nella sua ca-
mera da letto, alla presenza di pochi cortigiani e
dell'ambasciatore di Francia, monsignor Vincenzo
Agnelli Soardi, vescovo di Mantova, unisse in ma-
trimonio la principessa Maria Gonzaga, figlia unica
di Francesco IV (I ), col duca Carlo di Rethel figlio
di Carlo Gonzaga duca di Nevers, suo cugino < 2 ),
(1) Questa principessa era figlia del duca Francesco IV, fratello
primogenito di Vincenzo II, e di Margherita di Savoia figlia di Carlo
Emanuele I, e quindi era sua nipote. Siccome il Monferrato era un
feudo femminino, così, alla morte di Vincenzo senza prole, spettava a
lei ed a suo marito quello Stato.
(a) Il duca Carlo di Rethel era il primogenito del duca Carlo di
Nevers, il cui padre Ludovico Gonzaga era fratello di Guglielmo X
duca di Mantova e di Monferrato; perciò il Nevers era cugino in primo
grado col duca Vincenzo I. ed in secondo grado con Vincenzo II, figlio
del medesimo, e suo più prossimo parente maschile; quindi per le leggi
della consanguineità doveva essere suo successore nel Mantovano, feudo
maschile; col matrimonio di Maria col Rethel Vincenzo II volle riunire
nella famiglia di suo cugino i diritti di successione al Monferrato e al
Mantovano.
28 GIUSEPPE GIORCELLI
il quale Rethel già dal mese di dicembre del-
l'anno 1625 dimorava nella corte di Mantova ; che
il duca Vincenzo nel suo testamento dichiarava suo
erede degli Stati di Mantova e del Monferrato il
duca di Nevers suo cugino in secondo grado e suo
più prossimo parente, nominando il duca di Rethel
luogotenente di sud padre e Reggente degli Stati
fino all'arrivo del medesimo; e che ordinava che le
autorità e le popolazioni mantovane e monferrine
dovessero giurare subito la fedeltà al nuovo sovrano
nelle mani del duca di Rethel, giuramento che fu
tosto prestato nel Mantovano, e pochi giorni dopo
anche in Monferrato.
Il duca Carlo di Nevers giungeva dalla Francia
a Mantova la sera del giorno 17 di gennaio del 1628,
trovava gli Stati devoti e tranquilli, e ne assumeva
il governo immediatamente. Ma non passò molto
tempo che il suo trono così dolce si mutò in un
letto di Procuste.
L'imperatore Ferdinando II protestò che, es-
sendo deceduto il duca Vincenzo II senza prole, i
suoi Stati, quali feudi imperiali, dovevano ritornare
alla Camera Cesarea ; che essa sola poteva disporre
dei medesimi, e dichiarare a chi spettavano ; che
perciò l'assunzione del Nevers era illegale, e che
egli sarebbe ricorso alle armi per scacciarlo quale
intruso ed usurpatore.
L'imperatore mantenne la sua parola, perchè
nell'anno 1629, in settembre, mandava in Italia un
esercito comandato dal conte Rambaldo di Collalto,
e dai generali subalterni barone Mattia Galasso ed
Aldringher, il quale riuscì funesto alla nostra cara
patria, non solo perchè desolò le regioni, per le quali
passò, come pure per il suo barbaro modo di guer-
reggiare col ferro e col fuoco, ma specialmente
perchè portò seco il contagio della peste bubbonica,
UNA GRIDA DI CARLO I 29
la quale sviluppatasi nel Mantovano quando nel mese
di ottobre, cioè alla sua metà, detto esercito invase
il ducato ed andò a cingere d'assedio la capitale.
La peste dilagò presto per tutta l'Italia superiore
causando una terribile mortalità W. Dopo un lungo
assedio i tedeschi riuscirono a penetrare in Mantova
nella notte delli 27 venendo alli 28 di luglio del-
l'anno 1630, se ne impossessarono senza incontrare
seria resistenza, e per tre giorni la saccheggiarono
nel modo più barbaro che si possa immaginare.
La famiglia ducale, sorpresa nel sonno, ebbe
appena tempo di fuggire da Mantova pressoché in
camicia, e riparare in Ferrara, città dello Stato Ec-
clesiastico, donde nel 1631, dopo il Trattato di Che-
rasco, fece ritorno in Mantova, e trovò il suo palazzo
vuoto di suppellettili, e la città nell'estrema desola-
zione per le uccisioni, per il saccheggio e per la
pestilenza.
Il re di Spagna e il duca di Savoia si lagnavano
e si mostravano offesi perchè nella corte di Mantova
avevano disposto della mano della principessa Maria
senza il loro consentimento, al quale avevano diritto
per la loro stretta parentela colla medesima (»), pro-
testavano illegali gli atti compiuti in Mantova, e di-
chiaravano di volere vendicarsi colle armi.
La Spagna da assai tempo agognava ad appro-
priarsi il Monferrato e sopratutto a possedere la
formidabile cittadella di Casale sia perchè essa era
la chiave strategica del Piemonte e dominava la na-
vigazione sul Po, potendo chi ne era padrone per-
ei) Gli orrori commessi dai soldati del Collalto nella loro calata in
Italia, e le pietose vicende della grande pestilenza, che infierì poco
dopo in Milano, sono descritte maestrevolmente da Alessandro Man-
zoni nei suoi Promessi Sposi, ed illustrate da Cesare Cantù.
(2) Catterina consorte del duca Carlo Emanuele i era sorella del
re di Spagna Filippo III, padre del regnante Filippo IV.
3') GIUSEPPE GIORCELLI
mettere od impedire a suo piacimento le comunica-
zioni fluviali del Piemonte colla Lombardia, ma spe-
cialmente perchè questa fortezza costituiva un valido
antemurale contro i possibili attacchi dell'audace e
irrequieto duca Carlo Emanuele I contro lo Stato
di Milano, perciò la Spagna afferrava con entusiasmo
questa occasione per effettuare il suo vagheggiato
sogno.
Il duca di Savoia vantava dei grossi crediti sul
Monferrato, e quindi esso pure voleva servirsi di
questa propizia occasione per farsi pagare i detti
crediti con ottenere tante terre, che fruttassero una
rendita annua di 14,000 scudi d'oro.
Il governatore di Milano Don Gonzalo di Cor-
dova e Carlo Emanuele andarono presto intesi, defi-
nirono quali terre dovevano spettare al duca, ed il
rimanente del Monferrato con Casale doveva essere
del re, col patto che ciascheduno doveva conquistare
colle proprie armi la parte sua. Intanto i due alleati
andavano affilando le armi, radunavano soldati e
munizioni, e si preparavano ad entrare in campagna
appena che la primavera lo permettesse.
I casalesi vedendo addensarsi sul loro capo un
nembo così terribile, benché abbandonati a se stessi,
non si sbigottirono, ne si perdettero di animo, ma
intrepidi e fedeli al duca Carlo attesero con alacrità
a mettere la loro città in grado di difendersi e di
poter resistere a qualsiasi assedio.
La cosa pubblica in Casale e nel Monferrato
era in quell'epoca amministrata da un Supremo Con-
siglio di Stato, chiamato anche Consiglio Riservato
o Segreto, il quale nell'anno 1628 era formato da
Traiano Guiscardi, casalese, gran cancelliere di Man-
tova e di Monferrato, personaggio di grande auto-
rità, di una tempra di acciaio, favorevolissimo alla
Francia, alla cui corte aveva dimorato molti anni
UNA GRIDA DI CARLO I 31
prima quale Presidente, poscia quale ambasciatore
del duca di Mantova, dal marchese Tomaso Canossa,
veronese, che aveva militato sotto i veneziani, ed
ora era comandante generale delle armi in Monfer-
rato, dal marchese Giacomo Valperga di Rivara, ca-
salese,* che si era distinto nelle passate guerre del
Monferrato, ed allora era governatore della Citta-
della, da Alessandro Grisella, casalese, presidente
del Senato, e da Paolo Zampolo, mantovano, presi-
dente del Maestrato.
Questi signori del Consiglio cominciarono con
far costrurre sollecitamente le fortificazioni comple-
mentari che ancora mancavano, cioè un grosso forte
chiamato Tenaglia dalla sua forma, all'angolo nord-
est della città, dei rivellini, delle mezzelune, delle
palizzate, ecc.
Poscia, siccome il presidio di Casale non supe-
rava il numero di 600 soldati pagati, così i predetti
signori chiamarono in città tutta la milizia del Mon-
ferrato tanto di fanteria quanto di cavalleria, for-
mando coi fanti quattro Terzi (Reggimento) sotto il
comando di quattro mastri di campo (colonnelli), cioè
il primo era guidato dal conte Ferdinando S. Giorgio,
il secondo dal cav. Ottaviano Montiglio, il terzo dal
commendatore (Gerosolomitano) Grisella, il quarto
dal conte Mazzetti di Frinco. Dei cavalli ne fecero
cinque compagnie, delle quali la prima di lanze fu
affidata al comando del conte Gian Giacomo Sca-
rampi di Camino e le altre di carabini a quello dei
signori Imarisio, commissario generale, Morra, Val-
lino e Falix. Essendo poi arrivati in città l'ambascia-
tore francese signor de Guron con parecchi francesi,
che avevano lasciato il servizio di Savoia, vennero
organizzate due altre compagnie di cavalli francesi
misti a monferrini, delle quali presero il comando il
marchese di Beveron, che fu ucciso da un colpo di
32 GIUSEPPE GI0RCELL1
pistola alla gola in una sortita nei primi giorni di
novembre dello stesso anno, e dell'altra il signor di
Monbrun, il quale dopo la morte del Beveron fuggì
da Casale.
In mancanza di capaci caserme li signori del
Consiglio collocarono i soldati nelle case dei citta-
dini, i quali sul principio dell'assedio dovevano dare
a cadaun soldato un boccale di vino, a metà di esso
anche la minestra, e negli ultimi tre mesi altresì il
pane. Malgrado che tutto ciò recasse disagio e spese
alle famiglie, tuttavia esse sopportarono tutto con
ammirevole abnegazione.
In pari tempo i signori del Consiglio fecero ra-
dunare in Casale grandi quantità di grano, vino,
fieno, biada, paglia, ecc., per provvedere al mante-
nimento degli uomini e dei cavalli per lungo tempo.
Perchè le cose procedessero con ordine e sod-
disfazione generale i signori del Consiglio deputarono
alcuni gentiluomini per provvedere agli alloggi, altri
per la conservazione e distribuzione dei viveri, altri
per accompagnare le ronde notturne e vegliare che
non nascessero .tumulti di malcontenti e traditori, ed
all'uopo fossero prontamente respinti gli attacchi
degli spagnuoli assedianti.
Con queste saggie disposizioni, colla fedeltà e
col valore dei soldati, e colla buona volontà ed abne-
gazione dei cittadini, Casale sostenne eroicamente
questo lungo e famoso as'sedio, che durò un anno
meno undici giorni, meritandosi l'ammirazione e l'en-
comio di tutta l'Europa, e sostenendo il duca Carlo
sul suo vacillante trono.
La Francia, che aveva favorito l'assunzione al
trono del duca Carlo, e prometteva sempre di mandare
un esercito in Italia per soccorrere Casale, ma non
poteva farlo perchè era impegnata nell'assedio della
Roccella, in grazia della resistenza di Casale ebbe
UNA GRIDA DI CARLO I 33
agio di prendere quella Piazza, di rinfrescare e rin-
forzare il suo esercito, e quindi in principio di
marzo del 1629 scendere in Italia a portare il pro-
messo soccorso, come vedremo.
Frattanto giunta la primavera del 1628 il duca
di Savoia da una parte, ed il governatore di Milano
Don Gonzalo di Cordova da un'altra invasero il Mon-
ferrato per conquistarne cadauno quella parte che
nel loro trattato si erano assegnata.
Don Gonzalo, nel mese di marzo di detto anno
1628, concentrò il suo esercito a Valenza, e nel
giorno 28 di questo mese mandava un suo trombetta
a Casale con una lettera per il Consiglio di Stato,
colla quale chiedeva in nome dell' imperatore la con-
segna in sue mani della città, del castello e della
cittadella, con minaccia, in caso di inobbedienza, di
prenderle colla forza. Rispose il Consiglio che i
monferrini avevano giurato fedeltà al duca Carlo, e
che non riconoscevano altro padrone.
Ricevuta questa risposta Don Gonzalo fece avan-
zare la sua truppa su Casale e nel giorno 29 suc-
cessivo la cittadella di Casale sparava per la prima
volta i suoi cannoni contro i nemici.
Così cominciò questo assedio.
La Francia nel giorno 30 ottobre del 1628 si
impadroniva della Roccella, ed allora potè rivolgere
il suo pensiero alle cose di Casale.
Essa lasciò riposare le sue truppe estenuate,
ne riempì i vuoti con nuove reclute, e finalmente in
principio del marzo del 1629 il re col cardinale Ri-
chelieu scendeva con un agguerrito esercito nella
valle di Susa, e nel giorno sei di detto mese sbara-
gliava presso Susa l'esercito ispano-savoiardo che
gli contrastava il passo.
Allora il duca Carlo Emanuele vedendo aperta
la via ai francesi per invadere il Piemonte, chiese
5
34 GIUSEPPE GIORCELLI
la pace e per gli uffici di madama Cristina sua nuora,
e sorella del re di Francia Luigi XIII, l'ottenne con
il trattato di Susa, col quale il duca di Savoia si
impegnava di far levare l'assedio da Casale, e si
obbligava di introdurvi una considerevole quantità
di grano (l ).
Nella notte del giorno 16 di questo mese di
marzo i casalesi rimasero stupiti di non sentire il
rombo dei cannoni, ed, appena fu giorno, corsero
alle mura per darsene ragione; ivi con loro grande
meraviglia e gioia immensa videro scomparse le tende
dei nemici e deserte le loro trincere, e spingendo
lo sguardo più lungi scorsero la cavalleria spagnuola
che proteggeva la ritirata della fanteria e dell'arti-
glieria, dirette tutte verso Occimiano, sulla via che
conduce ad Alessandria.
Così ebbe fine questo assedio glorioso per i
monferrini ed indecoroso per la Spagna, la quale
dopo quello smacco andò perdendo del suo prestigio,
anzi della sua onnipotenza in Italia.
Quell'inverno fu eccezionalmente rigido, perciò
la povera gente di Casale andava lagnandosi di avere
freddo e fame. I signori del Consiglio per evitare i
possibili tumulti, che avessero a turbare il buon an-
damento della difesa, instituirono dei pubblici scal-
datoi servendosi dapprima della legna disponibile e
delle canne, che erano destinate alle viti, e poi del
legname delle cantine e di quello di alcune casupole,
che fecero demolire. Per soddisfare alla fame i si-
gnori suddetti fecero distribuire dalla Pia Opera della
Misericordia ogni giorno della minestra di fave con-
(i) Chi avesse vaghezze di conoscere i dettagli di questo assedio
consulti la Cronaca Monferrina anni 1628 e 20 di Gian Domenico Bremio
spedavo di Casale con prefazione e note del dott. G. Giorcelli, che si
sta pubblicando nella Rivista di storia e di arte della Provincia di Ales-
sandria. Alessandria, tip. della Società Poligrafica.
UNA GRIDA DI CARLO I 35
dite ora con sale ed olio, ora con sale e lardo, unico
cereale che si trovasse nella città, dandone un piatto
a quanti ne chiedevano (0.
Con questi due espedienti quei tapini stettero
quieti, e la difesa continuò felicemente.
Nel mese di gennaio del 1629 insorsero fra i
soldati ed i cittadini lo scorbuto e la dissenteria, ma-
lattie solite nei lunghi assedii, le quali fecero molte
vittime. Provvidero i signori del Consiglio anche a
ciò ordinando che non si facesse più il pane con la
crusca, ma che si dovesse usare soltanto della farina,
distribuendo una maggior razione di vino , e mi-
gliorando anche le minestre. Con questa migliore
alimentazione, e coll'uso di alcuni rimedii fecero ces-
sare quei due flagelli pericolosi.
È notorio che per far bene la guerra tanto in
campagna quanto negli assedii occorrono danari,
danari e poi danari.
In sul principio dell'anno 1628 le casse pub-
bliche di Casale erano ben fornite, ma in seguito
tra per i lavori fatti eseguire per completare le for-
tificazioni e per radunare in città abbondanti prov-
visioni di vettovaglie e munizioni da guerra, come
pure per le paghe dei soldati, si produssero dei no-
tevoli vuoti nelle suddette casse. Cercare di avere
delle somme grosse dal di fuori, era un sogno. Perciò
i signori del Consiglio, volendo ad ogni costo rifor-
nirle, volsero un caldo appello alla cittadinanza perchè
volesse concedere in prestito del danaro e degli ar-
genti da convertire in moneta, promettendo che alla
fine dell'assedio ogni oblatore sarebbe indennizzato
completamente. Vennero deputati parecchi impiegati
a ricevere i danari, altri a ritirare gli argenti, ed essi
(1) Fu una anticipazione delle moderne cucine economiche.
36
GIUSEPPE GIORCELLI
li notavano in appositi registri rilasciando la relativa
ricevuta.
I casalesi di tutte le classi sociali, il clero sia
regolare che secolare, animati da patriottici senti-
menti, contribuirono volonterosi portando chi danari,
i quali erano versati presso la Camera ducale, e chi
oggetti d'argento, che si trasmettevano alla zecca.
Presento al lettore due pagine di quei registri (*),
A dì 17 aprile 1628, Argenti mandati in
Marchese Rivara Marchi 22
Signor Guiscardi ....... „ 14
Signor Grisella „ 33
Conte Angelo Ardizzo „ 12
Vincenzo Magnocavalli „ 8
Vincenzo Gambera „ 17
Federico Millo „ 3
Vincenzo Natta „ 12
Gio. Antonio Faà „ 11
Conte Avellani „ io
Mercurino Tarachia „ io
Francesco Baronino „ 5
Conte Rolando Natta „ 25
Marc'Antonio Del Ponte .... „ 6
Traiano Bobba „ 17
Hippolito Magnocavalli „ 6
Guglielmo Sannazaro „ 12
Henrico Gambera „ 3
Paolo Torre . . „ 2
Rolando Francesco Dalla Valle . . „ 6
Vespasiano Fruga, mantovano . . „ 5
Senatore Gabioneta „ 8
Monte di Pietà „ 8
Camera Ducale „ 59
zecca
3
12
1
6
6
—
3
■ —
1
—
3
—
4
— ■
1
—
6
—
2
12
5
12
1
5
12
1
8
6
—
3
—
18
7
12
12
3
—
(1) Vedi Ing. Enrico Bertana : Del valore delle monete anticamente
correnti nel Monferrato-Casale. Tipografia Casalese, 1865. Appendice se-
conda, pag. 61 e 62. Lavoro importantissimo e troppo poco conosciuto.
UNA GRIDA DI CARLO
37
Marc'Antonio Balliano Marchi — 7 15
Hortensio Mola „ 4 3 —
Conte Jacopo Natta „ 21 — 12
Gio. Battista Gillone „ 3 — 18
Marchesa Langosco „ 5 5 —
Francesco Calori „ 16 1 12
Conte Ardizzone „ 13 1 18
Marchese Langosco „ 6 7 18
Frati di S. Francesco „ 50 2 —
Canonici di Sant'Evasio „ 53 2 4
Antonio Faletti „ 11 — —
Salomon Sacerdote „ 4 4 19
Jsac Sacerdote „ 6 2 —
Clemente „ 1 5 —
Frati di S. Domenico „ 9 5 6
Danari havuti da particolari in prestito :
Marchese Canossa per doppie 450 . Spa* Sculi 2250
Presidente Zampolo „ 500
Secret. Martio „ 100
Marc'Aurelio Del Ponte „ 1000
Sig.' Genovesi per mano del Sig. Mi-
gliavacca „ 318
Conte Gian Giacomo (Scarampi) da
Camino „ 236 12
Signori Ponzoni per mano del si-
gnor Barbotti „ 323
Senatore Bido 100 scuti di Savoia et
100 da fiorini 9.
Antonio Gaspardone ducatoni 60.
La zecca cominciò a lavorare nel mese di mag-
gio coniando, ad imitazione delle monete del duca
Ferdinando, quattro specie di pezzi, cioè degli scudi
d'argento, dei cervettoni, delle cervette, e degli azza-
lini, in nome del duca Carlo I, che furono le sue
prime monete casalesi W.
(1) Dopo queste monete si batterono gli scudi e mezzi scudi fidu-
ciarii, detti ossidionali.
38 GIUSEPPE GIORCELLI
Se non che, o sia per la fretta e per le circo-
stanze burrascose fra le quali lavorò la zecca, o
perchè si volle di animo deliberato battere troppe
monete oltre il normale, ovvero per la consueta in-
gordigia di lucro degli zecchieri, il fatto sta che le
suddette quattro specie di monete riuscirono man-
canti della debita bontà.
Però finché durò l'assedio e si trattarono gli af-
fari fra gli abitanti di Casale, queste monete servi-
rono ottimamente, erano date in buona fede, e veni-
vano accettate senza difficoltà. Invece, sciolto l'as-
sedio ed aperte le porte della città, allorché i citta-
dini vollero usarle nei loro commerci colle provincie
vicine, non passò molto tempo che la deficienza
venne riconosciuta, e le quattro specie di monete
furono rifiutate cagionando un incaglio nel commercio
ed un danno notevole per i monferrini. Questi pre-
sentarono le loro lagnanze alle autorità, ed i signori
del Consiglio esposero le cose alla corte di Mantova.
Il duca Carlo, il quale, come si era espresso in una
sua lettera, sentiva in petto una viva riconoscenza
per i fedeli e valorosi casalesi, vi provvide solleci-
tamente con una Grida delli 16 giugno, colla quale
ordinava di ritirare le nuove monete deficienti, di
batterne delle altre buone, e di più fissava, per com-
modo dei commercianti, il valore camerale di pa-
recchie monete casalesi ed estere.
La Grida è la seguente :
« CARLO PRIMO
u per la Gratia di Dio Duca di Mantoa, Mon-
« ferrato, Nevers, Rethel, Umena, etc.
« Volendo Noi per ogni modo rimediare alle
a difficoltà che s' incontrano nei commerci, et all'ec-
UNA GRIDA DI CARLO I 39
« cessivo prezzo al quale sono ridutte tutte le cose
« sotto pretesto delle nuove monete fabbricate in
u questa Zecca durante la guerra, cioè Scuti, Cer-
« vettoni, Cervette, et Azzalini, et di molte altre fo-
« rastiere introdutte in questo Nostro Stato, accioc-
« che i Nostri ben amati sudditi, usciti dal travaglio
« della guerra, possano attendere ai loro negotii con
« maggiore commodità et trafficare più liberamente,
« dopo maturo consiglio et lunga deliberatione, siamo
« venuti in risolutione di ritirare tutte le suddette
« monete, et anco i vecchi Azzalini et Cervette,
« et farne fare delle nuove alla rata del valore
« delle monete d'oro et d'argento notate a pie di
« questa. In virtù della quale ordiniamo et espres-
« samente commandiamo a qualunque persona, di
« qualsivoglia grado, stato, et conditione, che si tro-
« vera havere presso di se delle suddette monete sì
« nuove come vecchie, debba portarle dentro il ter-
« mine di un mese dopo la pubblicatione della pre-
« sente ai Gozani nostri Zecchieri, dai quali riceve-
« ranno subito il giusto valore conforme alla intrin-
« seca bontà di ciascheduna delle dette pezze, vietando
« a chi che sia di spenderle, o contrattarle, dopo la
« presente Grida, et di accettare, spendere, o essere
« mezzano a cambiare monete d'oro, di argento, et
« altre, diversamente da quello che portano le tasse
u et limitationi infrascritte, sotto pena, in tutti li
« suddetti casi et per ogni contraffatione, et tutte le
« volte che contravverrà, oltre la perdita del danaro,
« del quadruplo, et di altra maggiore, all'arbitrio
« nostro et del nostro Consiglio Riservato, da essere
« per due terzi applicato alla nostra Camera, et
« l'altro terzo all'accusatore. Et finalmente Ordiniamo
« a tutti i Mercanti, Bottigari, Artisti, Lavoratori di
« campagna, et a qual si voglia altro Negoziante,
« che essendosi per comune beneficio ritirato il corso
40 GIUSEPPE GIORCELLI
« delle monete suddette, et levata l'occasione dell'ec-
« cessivo prezzo, cui erano ridutte le cose, debbiano
« anch'essi, tanto nelle mercantie quanto nelle opere
« manuali, conformarsi al Regolamento suddetto,
« sotto pena di dieci scuti d'oro per ogni contraf-
« faciente, et ogni volta che contravverà, oltre la
« perdita della roba da essere applicata come sopra,
« et a chi non avrà il modo, in tre tratti di corda,
« commettendo al Nostro Maestrato et alli altri No-
« stri Ministri, ai quali spetta, che per quanto sti-
« mano la gratia nostra, facciano osservare questa
« nostra giusta mente, et che sieno con irremissibile
« rigore puniti li dissubbidienti, sotto la qual pena
« vogliamo che ogni Mercante et Bottigaro sii ob-
« bligato a tenere affissa nella sua bottega questa
« Nostra Grida, perchè sia a tutti più nota et mag-
« giormente osservata.
" In Casale li 16 di giugno 1629.
Tassa et Limitatione delle monete :
Reali Grossi Quarti
Doppie di Spagna et di Genova .... 62 — —
Doppia di Fiorenza 61 3 —
Doppia d'Italia 60
Scuti d'oro del sole di Francia 31 4 —
Zecchini di Venezia 34
Ongari della buona stampa 33
Crosazzi d'argento di Genova 27 — —
Filippi di Milano signati, n. 100 20
Ducatoni della buona stampa 23
Realoni di Spagna 18 6 —
Parpaiole di Milano — 4 —
Scuti di Casale et Mantoa vecchi .... 14 —
Giustine di Venezia di giusto peso ... 6 6
Quarti di scuto d'argento di Francia ... 6 3 —
Testoni di Francia io —
Scuti di Savoia —
UNA GRIDA DI CARLO I 41
Reali Grossi Quarti
Doppi fiorini di Savoia colà valutati grossi
sedici 1 4 2
Fiorini novi pur di Savoia 8 —
Cavallotti di Savoia i 3
Grossi di Savoia — 2 —
Li danari che hora si fanno stampare in
questa zecca con l'effigie di S. A. ar-
mata da una parte, et d'all'altra l'Arme
Ducale con le lettere Carol I, etc. . . 2 6
Li mezzi con simile impronta 1 3
Li danari con l'impronta di Sant'Evasio da
una parte, et dall'altra l'Aquila ... 3
Li Grossetti et Quarti vecchi stampati in
questa Zecca si spenderanno al valore
che correvano.
« Tutte le altre monete basse non specificate
« nella suddetta Tassa et stampate in qual si voglia
« Zecca, non si potranno spendere, accettare, con-
« trattare o cambiare, ma s'intendano bandite, con
« prohibitione anco di non poterle ritenere presso
« di se.
" Guise ARDUS
Luogo del Sigillo
u Agnetus prò Secret.
" In Casale per Cesare Goffi Stampator Ducale, MDCXXV1III „.
Pare che i ben amati sudditi di Casale e del
Monferrato abbiano ottemperato molto scrupolosa-
mente a questa Grida, perchè le quattro monete
nuove scomparvero ed oggidì invano se ne cerca
menzione nei cataloghi di monete e nelle opere di
numismatica, dimodoché sono considerate pressoché
sconosciute. Perciò la presente Grida, che ce ne ri-
fi
42 GIUSEPPE GIORCEL1.I
vela le vicende e di più ci dà parecchie preziose
notizie sulla zecca di Casale e sul valore ufficiale di
molte monete in Monferrato, a mio avviso è ben
degna di essere ristampata e presentata agli studiosi.
Ricorderò ai lettori, i quali non sono famigliari
colle monete casalesi, che i cervettoni e le cervette
sono così chiamate perchè portano sopra un campo
un cervo che corre verso sinistra, e che gli azza-
lini hanno questo nome perchè un lato di essi pre-
senta lo stemma paleologo di Costantinopoli, formato
da una croce, nei cui quattro angoli vedesi un C
mutato poi in B, chiamato Focile od Acciarino, per-
ciò tali monete vennero dette dialettalmente azzalini.
Casale Monferrato.
Dott. Giuseppe Giorcelli.
ACQUI
LA SUA ZECCA, LO STEMMA COMUNALE,
IL SIGILLO VESCOVILE
Acque turrite, onde vitali e dive
Che del ferrato Olimpo in sen bollite,
E aurate avete le casate rive
Di fama adorne e di virtù fiorite.
Ottavio Capello.
\ Nell'anno 1877 l'illustre e compianto nummo-
grafo Ernesto Maggiora- Vergano faceva la bella sco-
perta di un grosso veneto o matapane del vescovo Od-
done dei Bellingeri e, nel pubblicarlo, univa pure la
illustrazione delle altre monete acquesi fino allora
conosciute "».
Ora, se l'opuscolo del Maggiora-Vergano non
fosse divenuto così raro, che indarno se ne cerche-
rebbe un esemplare presso i librai; e, se dopo la
sua pubblicazione non fossero venute in luce altre
varianti di monete acquesi, questo mio lavoro po-
trebbe giustamente parere inutile. Null'altro eccita-
mento adunque mi mosse a scrivere queste poche
pagine se non il desiderio di estendere la conoscenza
della storia e delle monete di questa rara zecca,
mettendo a portata degli studiosi quanto su di essa
(1) Maggiora-Vergano Ernesto: Di una moneta inedita di Acqui.
Asti, 1877.
44 T. COLONNELLO Al HERTO CUNIETTI-CUNIETTI
venne pubblicato in opere rare od esaurite, analo-
gamente a quanto già feci per la zecca di Alessan-
dria ('), non senza aggiungere che il merito princi-
pale, se pure in queste pagine sia merito, va ascritto
alle dotte fatiche di coloro che mi precedettero e
che ebbero la fortuna di scoprire i rari e preziosi
prodotti di questa zecca.
A rendere più agevole l' intelligenza e il riscontro
di quanto si riferisce alla zecca, ho creduto non inu-
tile far precedere alcuni cenni storici sulla città di
Acqui, terminando poi il lavoro con le notizie che
mi fu possibile raccogliere intorno allo stemma co-
munale ed al sigillo vescovile.
I.
Brevi cenni storici sulla città di Acqui fino al-
l'anno 1329 in cui si chiuse la zecca (2 \
Tralasciando quanto vi sia di favoloso e leg-
gendario intorno alla fondazione di Acqui, ciò che
poco interessa al nostro lavoro, diremo che, avuto
(i) Cunietti-Cunietti Alberto: La zecca di Alessandria. Milano, 1908.
(2) Opere consultate nella compilazione di questi cenni:
Statuto civita/is Aquarum. Aquis, 1618.
Blesi Luca Probo : Acqui città antica del Monferrato. Tortona, 1614.
Memorie della città di Acqui, sec. XVIII, attribuite ad un sacerdote
Gatti professore di umanità in Acqui (Ms.).
Memorie storiche del Piemonte, considerato nei diversi popoli che l'hanno
abitato, ricavate dalla Descrizione del Piemonte di monsignor F. A.
Della Chiesa e continuate da *** nel 1741, le aggiunte sono di
mons. Ignazio Della Chiesa (Ms.).
Torre Francesco: Memorie detta città di Acqui, sec. XVIII (Ms.).
Ughelli Ferdinando : Italia sacra. Venetiis, 1719.
Orlandi Cesare: Delle città d'Italia. Perugia, 1770.
Durandi Jacopo : // Piemonte cispadano antico. Torino, 1774.
acqui: la sua zecca, lo stemma, il sigillo 45
riguardo al proprio nome che era Ai, Aigh o Aich
e a quello di varie terre vicine come Ovran, Lossi,
Vison, Bestagn, ecc., essa sia da ritenersi stata fon-
data dai Celti, anteriori ai Liguri, ravvisando radi-
cale celtica nelle suddette denominazioni ('). Contut-
tociò è certo che gli Stazielli poi e i Romani in
seguito l'abbiano ingrandita, come ne fanno fede le
innumerevoli vestigia d'antichità remotissima che
sono state scoperte e le iscrizioni antiche, dalle quali
ricavasi che Aigh era stato municipio romano già
in grande splendore.
La magnificenza d'Acqui e la celebrità delle sue
terme andarono crescendo fino alle invasioni barba-
riche e precisamente fino alla discesa in Italia di
Attila, il quale ne ecclissò lo splendore, come pur-
troppo fece di tante altre città dell'Alta Italia.
Nel 569 Acqui fu in un colla Liguria occupata
dal re Alboino, e nel 574 vuoisi da taluni storici, fra
cui Paolo Diacono e il Baronio, che sia passata
prima sotto il governo di Autari, quindi di Agilulfo
duca di Torino e finalmente nel 636 di Rotari che
dominava su tutto il Piemonte.
Secondo il Baronio, Acqui dovrebbe avere ap-
partenuto un tempo alla corte di Roma, in quanto
detta città e suo contado fosse stata compresa con
Tortona, Bobbio, Genova e Savona nella provincia
delle Alpi Cozie, donata, giusta l'asserto di Paolo
Diacono, da Ariperto II re dei Longobardi alla Chiesa
Malacarne Vincenzo: Della città e degli antichi abitatori di Acqui. To-
rino, 1787.
Moriondus Jo. Bapt. : Monumenta Aquensia. Taurini, 1787.
Biorci Guido: Antichità e prerogative di Acqui. Tortona, 1818.
Lavezzari Giacinto: Storia d'Acqui. Acqui, 1878.
Iozzi Oliviero: Il Piemonte sacro, voi. I. Storia delta Chiesa e dei Ve-
scovi di Acqui. Acqui, 188 1.
Ghilini Gerolamo: Annali di Alessandria, annotati e documentati da
A. Bossola e da G. Iacihno. Alessandria, 1906.
(1) Malacarne: Op. cit.
46 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIF. TTI-CUNIETTI
Romana. Ma il Muratori, negli Annali d'Italia, sotto
l'anno 707, esprime l'avviso che tale donazione non
contenesse se non un patrimonio di beni allodiali in
questa regione, non ammettendo assolutamente che
la città di Acqui od alcun'altra della suddetta pro-
vincia sia stata giammai sotto il dominio del papa.
Acqui passò poi nel 712 al nipote di Ariperto II,
Liutprando principe buono e savio, che lasciò a quella
città prove della sua beneficenza, e continuò coi
successori di lui fino all'innalzamento al trono di
Desiderio (756), sotto il quale rimase stabilmente con
la Lombardia e la Liguria fino all'anno 774, in cui
Desiderio ne fu spogliato da Carlo Magno per darne
il governo a Bernardo suo nipote.
Probabilmente Acqui sul principio del IX se-
colo era governata dal conte Enrico o Irico, gover-
natore della Liguria occidentale sotto Carlo Magno
e Bernardo.
In seguito Acqui passò insieme col regno di
Italia e coli' impero d'Occidente a Lodovico II, pri-
mogenito di Lotario, indi a Carlo il Calvo (875) ed
a Carlo il Grosso (880).
Dopo la morte di quest'ultimo (888) l' Italia soffrì
gravi disastri per le discordie e le lotte che vi fe-
cero scoppiare Guido e Berengario, e la città di
Acqui ubbidiva allora a Berengario siccome re d'Italia.
Senonchè Guido non potendo ottenere il regno di
Francia, occupò colla violenza quello d'Italia e si
fece l'anno 891 incoronare imperatore a Roma da
Stefano V, che nell'anno seguente diede pure la co-
rona imperiale a Lamberto, stato da Guido suo
padre associato nel governo.
La chiesa d'Acqui fu, come si vedrà, somma-
mente beneficata dagli imperatori di Germania, che
la onorarono di molti feudi e di ampi privilegi. Ed
appunto all'anno 89J risale il primo diploma di do-
acqui: la sua zecca, lo stemma, il sigillo tf
nazione di cui si abbia notizia, donazione fatta da
Guido re d'Italia al vescovo d'Acqui Teobaldo o
Teodaldo o Tedaldo della chiesa di S. Vigilio firn-
data in Corte Urba cum omnibus suis appendiciis, de-
cimis, dominicatis eius et utriusque sexus familiis et
suis adiacentiis (0.
A Guido morto nell'895 era succeduto Lamberto
ed a questo nell'898 Ludovico figlio di Bosone re
di Arie incoronato da Benedetto IV nel 901. Dopo
lunghe lotte fra Ludovico e Berengario, questi ri-
mase vittorioso e si fece incoronare imperatore da
papa Giovanni IX. Intanto molti signorotti italiani
non potendo prevalere a Berengario e sperando di
migliorare la loro condizione coli' intervento straniero,
chiamarono dalla Borgogna il re Rodolfo II e si sot-
tomisero al suo governo nel 922. Questo re, il 923
rotto a Fiorenzuola l'esercito di Berengario, il quale
venne assassinato in Verona l'anno seguente, si rese
tosto padrone della Lombardia, dove regnò poco
tempo perchè il papa ed altri principi italiani mal-
contenti di lui, chiamarono Ugo conte di Provenza
che fecero incoronare re d' Italia in Milano nel 926.
Ugo sposò la famosa e potente Marozia vedova
prima di Alberico conte di Tuscolo e poi di Guido
duca di Toscana, vinse Arnolfo duca di Baviera che
aveva cercato d'impadronirsi del regno d'Italia- e,
associatosi al trono il figlio Lotario, lo fece incoro-
nare a Milano il 932 e gli diede in sposa Adelaide
figlia di Rodolfo.
In quel tempo Acqui, secondo afferma lo storico
Liutprando, fu saccheggiata dai Saraceni.
Il Durandi (2 > inclina a credere che Acqui abbia
(1) Questo luogo detto Orba, di cui parla anche il Muratori, doveva
essere vicino al fiume omonimo e verso i confini dell'Alessandrino.
(2) Durandi: Op. cit., pag. 236.
48 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
avuto per signori i progenitori di Aleramo caposti-
pite dei marchesi di Monferrato, anzi che Aleramo
stesso sia pure stato conte di Acqui, perchè esso
era possessore di molti luoghi in quel contado e
particolarmente per tre diplomi del 934, 938 e 967,
aggiungendo inoltre che Acqui e il suo contado es-
sendo stati più volte infestati dai Saraceni di Fras-
sinetto, gli Acquesi non solo li respinsero, ma nel
933 ne trucidarono intieramente la squadra ed il loro
barbaro condottiero Sagitto ; ciò fu mercè la prudenza
e il valore del suddetto Aleramo.
Lo storico Malacarne dubita che Aleramo sia
stato conte di Acqui, osservando che a ciò mal si
apporrebbe che undici anni appena dopo la investi-
tura avuta da Ottone I di diversi feudi nel contado
acquese, Aleramo ne venisse spogliato da Ottone II
per investirne Benedetto vescovo di Acqui, e perchè
non parrebbe che i discendenti di quel marchese vi
avessero mai più esercitata giurisdizione diretta fino
all'anno 1278, in cui gli Acquesi si diedero a Gu-
glielmo VII marchese di Monferrato.
Sta però di fatto che nel 938 Aleramo ricevette
dai re Ugo e Lotario l'investitura in Pavia della lo-
calità denominata Foro e che Berengario II l'anno 950
affidò ad Aleramo il governo della nuova marca
composta dei tre comitati riuniti di Vado, Acqui e
Monferrato W.
Ugo e Lotario concedettero al vescovo Ristaldo
tutti i diritti goduti dalla pieve di Calamandrana, e
certo Walpert Clerico nipote di Bodone già vescovo
di Acqui gli fece la donazione nell'anno n° del regno
di Ugo e 5 di quello di Lotario di una certa casa
e di poderi situati nella regione detta Calamagna ;
(1) Giorcelli Giuseppe: Cronaca del Monferrato in ottava rima del
marchese Galeotto Del Carretto, nota A.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 49
la qual cosa dimostra sempre maggiormente che
Acqui fosse dipendente da Ugo e da Lotario.
A questi erano succeduti Berengario II e suo
figlio Adalberto (951) che venivano tosto spogliati
del regno da Ottone I, ma l'anno seguente lo riacqui-
starono e lo conservarono fino alla terza discesa in
Italia, di Ottone il 961, nel quale anno Ottone veniva
incoronato in Milano re d'Italia e Berengario II fatto
prigioniero.
Acqui era dunque passata da quell'anno alla
dipendenza di Ottone I, ed invero esiste una perga-
mena relativa alla donazione di una casa in Acqui
fatta da Valfredo alla chiesa acquese, di cui era
allora vescovo Gottofredo nell'anno 7 dell'impero
di Ottone I e di suo figlio Ottone II.
Ottone II poi nel 978 diede il dominio di tutta
la città e territorio di Acqui al vescovo Benedetto,
giurisdizione che si estendeva per tre miglia all'in-
torno e delle ville Gamalero, Vesime, Cavatore.
Terzo, Strevi, Cassine, Visone, Morbello, Pareto,
Grognardo, Mioglia, Melazzo, Cartosio, Castelnuovo
detto Frumenziano, Bistagno, Alice, Montabone, Roc-
chetta Palafea ed altri, colle relative decime e per-
tinenze ( T >.
Oltre a questo si conosce un diploma di Ot-
(1) Riguardo a queste donazioni occorre osservare che in genere
gl'imperatori erano assai liberali nel concedere la stessa cosa oggi ad
uno e domani ad un'altro, lasciando poi che chi più poteva si facesse
valere l'investitura. Per esempio Carlo IV nell'anno 1364 con un di-
ploma pomposo quanto mai dire si possa, concedette a Guido vescovo di
Acqui tutto il paese inler Tanagrum et Burmidam coi diritti di caccie,
pesche, bandi, fodro, duello, moneta e tutti quanti gli altri diritti regali,
coll'autorità di fare ed ordinare tutte quelle cose quae nos Carolus Im-
pera/or nostrique successores possemus de magna nostra Romana Impe-
ratoria et absolnta plenitudine potestatis, quando però gran parte di questo
paese aveva egli stesso conceduto dieci anni prima al marchese Gio-
vanni di Monferrato.
50 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUN
tone III del 996 dato in Cremona a favore del ve-
scovo Primo, e un diploma di Enrico III del 1040
dato in Ratisbona a favore del beato Guido di Acque-
sana (0 vescovo e cittadino di Acqui esso pure, nei
quali diplomi gli imperatori concedono districtionem
urbis Aquensis intrinsecus et extrinsecus per tria mil-
itarla circumquaque.
Da tuttociò si vede come gli imperatori ave-
vano sottomessa la città al dominio del proprio ve-
scovo, ma nel contempo la città aveva giurisdizione
e signoria sopra diverse comunità e luoghi circon-
vicini e si era fatto ancor essa i suoi vassalli, fra i
quali si annoveravano i marchesi di Ponzone, quelli
del Bosco, i Malaspina ed altri, sapendosi dal Blesi ( 2 )
esistere un istromento d'investitura del marchesato
di Ponzone, al terzo marchese degli Aleramidf, col
giuramento di fedeltà prestato dal medesimo ai con-
soli di Acqui.
Nell'anno 991 venne stipulato nel castello di
Visone l' atto della fondazione del monastero di
S. Quintino di Spigno per opera del marchese An-
selmo, figlio del marchese Aleramo e di Gerberga
figlia di Berengario II, per ottemperare al voto del
fratello minore marchese Oddone, morto prima di
aver potuto effettuare il suo disegno. Da questo
stromento rogato dal notaio Gervino risulta che il
(1) Acquesana, dicono taluni, fra cui il Biorci, era tutt'altro che
Acqui e, pur essendo un luogo assai celebre nella storia del nostro
Monferrato, si cercò invano di determinarne l'ubicazione. Quest'incer-
tezza fece a taluni supporre che quel luogo fosse stato distrutto nel
fondare Nizza circa l'anno 1235, ma ciò è insussistente. È da ritenersi
essere, piuttosto che una determinata località, un aggregato di diversi
luoghi, come risulta dall'atto di dedizione passato l'anno 1203 da quelli
dell'Acquesana agli Alessandrini, dove appare come quell'Acquesana
fosse appunto un aggregato di varie terre poste nella valle del Belbo
(Lavezzari : Storia d'Acqui, pag. 28).
(2) Blesi: Op. cit..
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 51
marchese Anselmo e gli altri della sua famiglia nel
medesimo menzionati essendo padroni della contea
di Acqui, mettevano al governo della medesima un
conte, che presiedeva agli atti pubblici e che nel 991
tal conte era Gaidaldo; che probabilmente la città
di Acqui o • non era compresa nella giurisdizione
dei signori suddetti o non era ancora risorta dall'ec-
cidio sofferto dai Saraceni verso il 933, epperciò il
conte ed i signori risiedevano a Visone.
Alla morte di Ottone III (1002) era stato eletto
e coronato re d'Italia Arduino marchese d'Ivrea.
Tale incoronazione spettava di celebrare ad Arnolfo
arcivescovo di Milano allora assente, e, non essendo
stata a lui riservata, fu causa di turbolenze gravis-
sime ed affrettò la discesa in Italia di Enrico II in-
vitato da Arnolfo per togliere il regno ad Arduino.
Questi sconfisse un esercito tedesco, ma il 1004
scese Enrico e Arduino fu abbandonato dai suoi,
mentre Enrico veniva incoronato a Pavia.
L'anno 1015 Arduino spontaneamente si spogliò
dei suoi stati che furono retti da Enrico II incoronato
imperatore l'anno 1014 a Roma da Benedetto VII.
Gli successe Corrado II il Salico nel 1024. In
quest'anno furono fatte altre donazioni alla chiesa di
Acqui essendo vescovo Dudone li. A questo era
succeduto S. Guido d'Acquesana che aveva ricevuto,
come già si è detto, l'anno 1040 dall'imperatore En-
rico III il governo tanto della città quanto della
contea; ma tutto egli cedette alla chiesa sua catte-
drale stata da lui riedificata.
Il XII secolo comprende un'epoca gloriosa per
le città italiane per la libertà in cui si posero le po-
polazioni. Cominciarono le città marittime a darne
l'esempio approfittando della lontananza degli impe-
ratori e delle loro brighe in Germania e coi ponte-
fici. A queste tennero dietro le città del centro della
52 T COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
Lombardia: le scomuniche lanciate dai papi agli
Enrici IV e V furono il mezzo a cui ricorsero la
maggior parte delle città per sottrarsi all'ubbidienza
degli imperatori e dei loro vicari. Le città poi che
erano governate dai vescovi, riguardavano la giuri-
sdizione civile di essi e la parte che essi prendevano
nei pubblici e privati affari come contraria alla di-
gnità sacerdotale ed all'adempimento dei doveri ve-
scovili; epperciò la più parte di dette città si po-
sero a spogliare del temporale dominio i vescovi,
cosicché tutte quasi le città di Lombardia si trova-
rono alla metà del XII secolo in grado di reggersi
da se a governo popolare.
La città di Acqui era passata dal dominio del
conte al dominio del vescovo, imposto questo dagli
imperatori come già si è detto e quindi il vescovo
poteva riguardarsi come il vero vicario imperiale.
Nei diplomi d'investitura vedesi difatti il vescovo
chiamato dagli imperatori princeps noster carissimus,
onde ne venne ai vescovi di Acqui il titolo di prin-
cipe del Saero Romano Impero.
Contuttociò la giustizia era amministrata dai
consoli, i quali, eletti dal Comune, ricevevano 1' in-
vestitura dal vescovo. Siccome nel trattato di Co-
stanza per la pace stipulata fra Federico Barbarossa
e i comuni lombardi vi era la clausola che nelle
città dove il vescovo aveva il temporale dominio e
i consoli da lui prendevano l'investitura, si conti-
nuasse in tale uso, non può affermarsi, come osserva
il Muratori, che tutte le città lombarde si fossero
interamente sottratte alla civile giurisdizione del
vescovo.
Riguardo ad Acqui nulla si sa di positivo per
la totale mancanza di documenti. Quello che è si-
curo si è che nei secoli posteriori non si trova più
vestigia di civile giurisdizione del vescovo sulla città,
ACQUI : LA SUA ZECCA, IO STEMMA, II. SIGILLO 53
sebbene esso continuasse a possedere castelli e feudi
e a godere del diritto di battere moneta, di pedag-
gio, del fodro, di un macello, di curadia, nonché di
una porzione di dominio signorile sulle mura della
città o castello; e non ostante che continuasse pure
ad influire sulle pubbliche deliberazioni, non valen-
dosi però se non di blandi suggerimenti o consigli
invece che di ordini o comandi.
È quindi da ritenersi che gli Acquesi accettas-
sero il parere e il consiglio del vescovo circa gli
affari importanti, non facessero guerra o pace senza
renderlo partecipe, ma si governassero a forma di
repubblica con consiglio proprio e relative cariche
dipendenti (').
Dopo la morte del vescovo S. Guido (1067) i
suoi successori, trovandosi più ricchi per le grandi
donazioni fatte alla chiesa e per conseguenza più
potenti, non mancarono di influire sul temporale e
sul politico della città e del contado acquese ora
per sostenere i propri diritti od accrescerli, ora per
difendere quelli della città stessa, e seppero mante-
nere per tutto quel secolo alto il lustro e la consi-
derazione della città presso le circonvicine, che si
gloriavano di averla per alleata, specialmente quelle
che seguivano le parti dell'imperatore, al quale Acqui
sempre fu fedele.
Al principio del secolo XII gli Acquesi, gover-
nati dal potente e dispotico vescovo Azone dei signori
della Rocchetta Palafea, furono condotti a -guerreg-
giare contro Arderico vescovo di Lodi. Azone non
rifuggì da nessun mezzo, pur di accrescere il partito
dell' imperatore Enrico V contro il legittimo ponte-
fice Pasquale II, anzi tentò con lettere d'indurre
l'imperatore a creare un altro papa e si credette da
(1) Slattila civilatis Aquarmn.
54 T. COLONNELLO ALHERTO CUNIETTI CU N'IETTI
tanto da sostenere egli solo coi suoi partigiani quel-
l' imperatore, quando avesse seguito il suo consiglio
di scendere in Italia. Per tutte queste prove di de-
vozione l'imperatore Enrico V concesse, con suo di-
ploma del 1116, alla mensa* vescovile d'Acqui tutto
il paese situato fra il Tanaro e la Bormida, dall'Apen-
nino al confluente dei due fiumi.
E questo non fu certo di vantaggio alla città di
Acqui, giacché, aumentando la potenza temporale
del vescovo, diminuiva sempre più l'autorità del
Comune.
Nelle dissensioni fra l'imperatore Federico Bar-
barossa e i papi, Acqui, tenendo per l'imperatore,
non fece parte della Lega Lombarda, ma era alleata
di Pavia amica anch'essa dell'imperatore. Perciò Fe-
derico, nel suo decreto di pace colle città della Lega
confermato poi nel trattato Costanza, nominò ancora
Acqui fra le città sue aderenti e fedeli, cui furono
confermati i loro privilegi (*J.
Non molti anni dopo la fondazione di Alessan-
dria cominciarono fra Acquesi e Alessandrini le con-
troversie, derivanti dall'auge in cui si trovò Ales-
sandria fin da principio, dai suoi progressi ed acqui-
sti, nonché dalle sue alleanze nei luoghi stessi di
ragione della città di Acqui, per" modo che tutto
contribuiva a deprimere questa città in vantaggio di
Alessandria.
Non poteva poi naturalmente Acqui essere amica
di Alessandria, questa essendo città nata pontificia
mentre quella fu in ogni tempo, e specialmente in
allora, partigiana dell'imperatore. Né valse ad estin-
guere le faville di quell'odio nascente il fatto che
l' imperatore Federico, data la pace alla Chiesa tutta
e ad Alessandria cui aveva cambiato il nome in
(1) Ghilini: Op. cit.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, II. SIGILLO 55
Cesarea, volendo pur affermare l'alleanza fra queste
città e le altre circonvicine a lui fedeli, avesse sta-
bilito che Imperator amicos et fideles suos qui in vi-
cinici Caesareae situi faciet jurare, quod ipsi Caesareac
praestent auxilium, et Caesarea versa vice jurabit prae-
stare illis auxilium. Sitnt autem hi: Papienses, Der-
thonenses, Asteuses, Aqucnses, Aìbenses, etc. (').
Ma non potè durare a lungo la pace fra gli
Alessandrini e gli Acquesi essendo sorta una nuova
causa di gravi gelosie ed inimicizie, che fu l'unione
delle due chiese e il trasferimento della sede del ve-
scovo di Acqui in Alessandria, come era stato or-
dinato dal papa l'anno 1180.
Per questi fatti si riaccese la guerra fra Acquesi e
Alessandrini, avvennero scorrerie e depredazioni, e
l'anno 1205 ne seguì con scambievole perdita un
gran fatto d'armi e una sanguinosa scaramuccia < 2) .
Cogli Alessandrini erano uniti i Tortonesi, i mar-
chesi Del Carretto e di Ceva ed Enrico marchese
di Ponzone, che certo non si dimostrava fedele vas-
sallo della città di Acqui, e, secondo lo storico Al-
ghisi, ancora i Vercellesi e gli Astigiani. Quei d'Acqui
erano sostenuti solo dai Pavesi: avevano bensì stretta
alleanza fin dal 1198 con Guglielmo VI marchese di
Monferrato e con 'Bonifacio detto il Gigante figlio di
lui, a condizione che comperasse tanto terreno in
Acqui pel valore di cinquecento lire, giurasse di
fare la guerra agli Alessandrini e Bonifacio stabilisse
sua dimora in Acqui; ma in seguito troveremo, quale
governatore del castello, Rainerio bastardo di Bo-
nifacio.
Di nessun aiuto fu agli Acquesi quest'alleanza,
giacche l'anno seguente 1199 Guglielmo si rappa-
(1) Ghilini : Op. cit.
(2) lbid.
56 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIKTTI
cificò cogli Alessandrini, contraendo con loro alleanza
e obbligandosi a difenderli contro i loro nemici,
fra cui ebbe almeno la discrezione di eccettuare
Acqui come sua amica ed alleata. E nel 1203 il
marchese Bonifacio col figlio Guglielmo, confermata
la lega cogli Alessandrini, si pose affatto dalla loro
parte per costringere gli Acquesi a trasferire la re-
sidenza del loro vescovo Ugone Tornielli novarese
in Alessandria. In tale frangente gli Acquesi, vistisi
abbandonati da tutti fuorché dai Pavesi, s'appiglia-
rono al partito di accrescere da per sé stessi le pro-
prie forze, invitando a trasferirsi in Acqui molte
famiglie di Visone e Cavatore e dando loro la cit-
dinanza, purché giurassero di abitare perpetuamente
nella città.
Continuarono i dispareri e le ostilità a cagione
della sede vescovile e furono talmente gravi che
venne dagli Alessandrini rovinata la pieve antichis-
sima di Calamagna esistente fra Morsasco e Visone,
e solo per intercessione del marchese di Monferrato,
di Ottone Del Carretto, del conte di Biandrate e di-
altri potenti signori, si ottenne che la chiesa d'Acqui
non venisse totalmente distrutta ed annichilita, poi-
ché, per la sentenza del pontefice Innocenzo III, nel
1205 le due chiese dovevano veni're unite sotto un
solo vescovo, in maniera che l'alessandrina dovesse
chiamarsi la prima sede e l'acquese la seconda. Le
discussioni e i malumori per tale sentenza aumen-
tarono ancora, finché, con la mediazione di Oberto
Visconti podestà di Milano, venne nel 1206 conchiusa
fra Acquesi e Pavesi da una parte e Alessandrini
col vescovo Ugone Tornielli dall'altra una tregua,
sotto obbligo di osservarla fedelmente e di risarcirsi
vicendevolmente dei danni sofferti in quella guerra :
nell'anno seguente 1207 fu poi conchiusa regolar-
mente la pace.
ACQUI : LA SUA ZECCA, I.O STEMMA, II. SIGILLO 57
Ciononostante i dissidi, o per una ragione o per
un'altra, perdurarono e solo più tardi nel T209 si
volle seriamente porre termine alle contese e gli
Alessandrini e gli Acquesi compromisero concorde-
mente tutte le loro differenze nella città d'Alba, o
sia per essa nel suo podestà Nicolao Foro, il quale
cominciò col mettere d'accordo gli Acquesi e il ve-
scovo Ugone, ordinando che egli fosse ristabilito in-
teramente nel pristino stato, cioè con gli onori e le
ragioni che già gli spettavano in Acqui prima che
egli si fosse portato a risiedere in Alessandria, e
quindi pronunziò il suo giudizio su tutte le vertenze
fra Acquesi e Alessandrini, giudizio che ambo le parti
si obbligarono solennemente di accettare.
In sostanza per questo arbitrato si stabiliva: di
rendere Acqui e Alessandria una medesima città,
ciascuna però coi propri consoli e podestà, coll'ob-
bligo reciproco di difendere e soccorrere i cittadini
di ambo le città, di darsi reciproco aiuto in caso di
guerra, di fare la pace di comune accordo, ecc. ecc.
Dopo l'arbitrato efi Nicolao Foro la residenza
del vescovo in Alessandria non ebbe più luogo,
giacche, caduti gli Alessandrini in disgrazia del pon-
tefice Innocenzo III per avere nell'anno 1213 seguito
il partito contrario alla Chiesa, la residenza dei ve-
scovi tornò ad Acqui, ove seguitarono a risiedere
pacificamente essendo nel contempo vescovi di Ales-
sandria; il che durò per lo spazio di duecento anni
cioè fino al 1405, in cui furono separate affatto le
due chiese e gli Alessandrini ottennero dal papa In-
nocenzo VII il loro vescovo particolare.
Sempre dopo quell'arbitrato gli Acquesi si erano
con vera cordialità uniti agli Alessandrini, ma anche
questa volta l'unione non ebbe lunga durata, giacché
nel 1217 nacquero fra loro nuove dissenzioni per il
luogo di Melazzo che gli Alessandrini avevano coni-
8
58 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
perato da alcuni terrieri del luogo, e volendo gli
Acquesi la restituzione di Melazzo e non intendendo
gli Alessandrini di cederlo, si ruppero le ostilità che
durarono fino al 1220 in cui i legati imperiali Cor-
rado vescovo di Spira e Giacomo vescovo di Torino
intimarono a nome di Federico II agli Alessandrini
di cessare da ogni molestia verso gli Acquesi. Fi-
nalmente nel 1224 si fece nuovamente la pace fra
Acquesi e Alessandrini e si rinnovò l'alleanza col
giuramento di reciproco aiuto e difesa, e così Melazzo
tornò in potere degli Acquesi.
La città di Acqui ebbe poi nell'anno 1274 a
soffrire molto danno e poco meno che la sua terza
distruzione da Carlo d'Àngiò re di Napoli. Questi
assediò nel castello di Acqui Rainiero bastardo di
Monferrato e zio del marchese Guglielmo: Rainiero
fece valorosa resistenza, ma, costretto finalmente ad
arrendersi, fu condotto prigione in Alessandria ove
morì in carcere.
Verso l'anno 1250 le fazioni Guelfa e Ghibellina
funestarono tutte le città che si reggevano a repub-
blica e così pure Acqui, che teneva come sempre
il partito Ghibellino.
Capi delle fazioni in Acqui erano i Bellingeri
da una parte e i Blesi dall'altra e tale diventò l'astio
che un giorno vennero alle armi nella città e pa-
recchi d'ambo le parti furono uccisi. Questo fatto
costrinse gli Acquesi a dover prudentemente separare
da loro quelli che avrebbero cagionato la completa
distruzione della città e così furono proscritti quei
Bellingeri e quei Blesi con i loro più focosi parti-
giani, da cui era derivata l'intestina lotta.
La traslazione del vescovo d'Acqui, l'unione
della chiesa acquese coll'alessandrina, la parzialità
del vescovo Ugone Tornielli verso di questa e le
brighe inevitabili avevano scossa la buona armonia
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 59
degli Acquesi, cosicché in Acqui stessa gli Alessan-
drini avevano partigiani. Inoltre la gioventù malcon-
sigliata e avida di avventure, le discordie e le guerre
prodotte dalla frenesia delle fazioni Guelfa e Ghibel-
lina, l'annichilamento del commercio di cui godeva
Acqui prima dell'esistenza di Alessandria, l' ingran-
dirsi continuo di questa città, tutto questo non po-
teva a meno di dare l'ultimo crollo alla decadenza
della repubblica acquese. Ed a maggiormente offu-
scarne il prestigio si aggiunse ancora il fatto che la
città divisa dalle fazioni, fu abbandonata dal proprio
vescovo che si ritirò con la curia e gli aderenti ad
abitare a Bistagno, cinta di mura e di buon castello.
Lacerati pertanto dalle intestine discordie non
meno che dai turbamenti politici e sociali, i cittadini,
e resi perciò inabili a più sostenersi sia contro gli
interni sia contro gli esterni nemici, messi nella con-
dizione di mendicare appoggi qua e là, stabilirono
per il loro meglio di perdere la libertà e di darsi
ad un principe, non troppo vicino ma abbastanza
potente, che li governasse e li difendesse, pur di
non cadere sotto la giurisdizione di qualche città vi-
cina, come Alessandria, Asti o Genova. Si bilanciò
qualche tempo l'affare tra il marchese di Monferrato
e il marchese di Savona, ma da ultimo prevalse il
partito per il primo, sia perchè il marchese di Mon-
ferrato offriva migliori garanzie, sia perchè per la
sua maggior potenza era meglio in stato di difendere
i suoi sudditi, non senza osservare che la casa di
questo marchese aveva già ottantanni prima otte-
nuto la cittadinanza di Acqui nelle persone di Gu-
glielmo e Bonifacio, come già si è accennato.
Per queste considerazioni, avvalorate dalla spe-
ranza di potere un giorno rivendicarsi in libertà, gli
Acquesi il 2 maggio 1278 fecero la dedizione della
città al marchese Guglielmo VII di Monferrato e si
6o T. COLONNELLO ALBERTO CUN1ETTI-CUNIETT1
stipulò nel castello di Moncalvo il relativo contratto,
col quale la comunità di Acqui passava sotto la giu-
risdizione di esso marchese (').
Le condizioni furono invero assai favorevoli,
ma non considerarono gli Acquesi che essi in questa
guisa si assoggettavano poco alla volta alle leggi
monarchiche, e il marchese, che ciò benissimo pre-
vedeva ed aveva di mira, promise loro tutto ciò che
desideravano.
D'allora in poi cominciò la soggezione della città
di Acqui ai marchesi di Monferrato, verso i quali
si mantenne sempre fedele.
A Guglielmo VII morto avvelenato in carcere
dagli Alessandrini (T292) era successo il figlio Gio-
vanni e morto questo senza prole nel 1305 terminò
la discendenza degli Aleramidi.
Lo stato di Monferrato e con esso la città di
Acqui passò nell'anno 1306 ai Paleoioghi di Costan-
tinopoli, avendo Giovanni lasciata sua erede la so-
rella Violante moglie di Andronico imperatore di
Oriente. Questa investì del marchesato di Monferrato
il suo secondogenito Teodoro, il quale, sbarcato in
Liguria, fece atto di sottomissione all'imperatore
Enrico VII, che lo investi de loto marchionatu Mon-
tisferrati et pertinentiis suis in nobile ree tutu, gentile,
antiquum avitutn et proavitum fendimi prò se et Ime-
redibns sitis recipientem, salvo jnre cujuscumque alterius
personae ecclesiasticae et secnlaris et citjnslibei Cornimi-
nitatis et Universi 'tatis.
(1) Questo Guglielmo, VII secondo taluni scrittori, sarebbe Gu-
glielmo V secondo il Bossola {Annali di Alessandria di Girolamo Ghi-
lini, pag. 272 nota 272 e pag. 278 nota 277).
A costui accenna Dante nel canto 7. del Purgatorio :
Quel che più basso tra costor s'atterra,
Guardando in suso, è Guglielmo marchese,
Per cui ed Alessandria e la sua guerra
Fa pianger Monferrato e '1 Canavese.
acqui: la sua zkcca, lo stemma, il sigillo
61
In questo atto conviene osservare che per le
clausole ivi contenute la città di Acqui conservò i
diritti che si era riservati nella dedizione a Gu-
glielmo VII e il vescovo quelli che aveva sulla città
stessa e su vari luoghi dell'Acquese. Tali diritti fu-
rono talmente riconosciuti da Teodoro che egli non
sdegnò di chiedere ai vescovi le relative investiture;
di che si ha un cenno nel suo stesso testamento del
19 agosto 1336 in cui dichiara che di tutti gli stati
e regioni del Monferrato ne aveva preso l'investi-
tura a D. Henrico Imperatore Romano et etiam a plu-
ribus Episcopis et Praelatis, a qnibus dictus Marchio-
natus tenebatur in fendimi.
Da questi documenti si arguisce che Acqui po-
teva benissimo esercitare il diritto di zecca.
Fu appunto approfittando della debolezza di
Teodoro che il vescovo Oddone Bellingeri ottenne
nel 1311 da Enrico VII la conferma degli antichi
privilegi e l'investitura. Pare che Oddone abbia go-
duto il possesso della città fino al 1313, allorquando
venuto in Lombardia Roberto d'Angiò re di Napoli,
con quel favorevole ascendente che già sembravano
avere le sue armi in tutta l'Italia, s'impadronì di
molte città, fra cui anche di Acqui e la costrinse a
prestargli giuramento di fedeltà. Si sdegnò per tale
motivo l'imperatore Enrico VII e privò immanti-
nente gli Acquesi di tutti gli onori, privilegi ed
immunità, quasi fossero meritevoli di castigo per
non avere potuto resistere ad una forza superiore.
Rimase la città di Acqui sotto Roberto d'Angiò
fino all'anno 1329 e in questo frattempo ebbe a sof-
frire grandi calamità dall'accanimento dei Guelfi pro-
tetti da quel re contro la fazione contraria. Final-
mente declinando la fortuna di Roberto in Lombardia,
il marchese Teodoro ricuperò i propri stati, anzi li
accrebbe e così la città di Acqui ritornò sotto il suo
62 T. COLON NF.LLO ALBEKTO CUNIIiTTI-CUN IETTI
lominio. Morto Teodoro nel 1338, gli successe il
figlio Giovanni, che fu poi investito nell'anno 1355
dall'imperatore Carlo IV ancora della città di Acqui
e delle sue pertinenze; e fu questa la prima investi-
tura che si trovi nella città di Acqui ai marchesi di
Monferrato, ai quali rimase poi per sempre.
IL
LA ZECCA.
Da questi cenni appare come la città di Acqui
prima di cadere per sempre sotto i marchesi di Mon-
ferrato (1329) si sia retta a libertà (1 183-1278) e
come poi sia ricaduta sotto il dominio dei propri
vescovi.
Fra questi uno, il vescovo Oddone dei Bellin-
geri, approfittando della debolezza del governo di
Teodoro primo Paleologo successo nel marchesato
di Monferrato a Giovanni ultimo Aleramido, tolse a
quel marchese la città e. rivendicando i suoi diritti
sulla medesima, ottenne nel 1311 dall'imperatore
Enrico VII la conferma degli antichi privilegi e la
relativa investitura. Questo vescovo, come già si è
detto, fu signore della città fino all'anno 1313, in
cui Roberto d'Angiò se ne impossessò tenendola poi
fino al 1329: in quest'anno Teodoro la riprese e
d'allora in poi rimase sempre soggetta ai marchesi
di Monferrato, che ne chiusero definitivamente la
la zecca.
Nelle monete acquesi finora conosciute sono
appunto rappresentate queste due epoche.
Appartengono alla prima le monete imperiali o
autonome, di cui si conoscono le seguenti in numero
di sette fra tipi e varietà.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO
63
1. Grosso astese.
B' — + IMPERÀTOR Ira due cerchi concentrici di perline;
nel campo FR.
1$ — + AQVENwlw fra due cerchi concentrici di perline;
croce patente.
È d'argento, del peso di grammi 0,830.
Esiste nella collezione Reale privata di Roma. È stato pubblicato nel
1852 da Domenico Promis in Monete del Piemonte inedite o rare, 11. 1, e
dal Maggiora- Vergano nel 1877 in Di una moneta inedita di Acqui, 11. r.
2. Altro Grosso, varietà del n. 1.
i& — + IMPERÀTOR Nel campo in un circolo periato FR
(sull'abbreviazione una croce).
I? — + AQVENwlf Nel campo in un circolo periato
croce patente.
\&i < giro ,'t-J/
È d'argento, del peso di grammi 1,250.
Esisteva nella collezione Gnecchi, catalogo, n. 1. E stato pubblicato
nel 1897 da Ercole Gnecchi in Ripostiglio di Cavriana, n. I, in Rivista
Italiana di Numismatica, anno 1897, fase. I.
Questo grosso varia dal n. i per la crocetta
posta sul segno di abbreviazione e per avere il segno
stesso liscio invece che curvato in mezzo.
Il prelato illustre numismatico soggiunge che
questa croce, la quale non fu certamente messa a
64 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNII'.TTI
caso, sia probabilmente un segno del dominio tem-
porale dei vescovi di Acqui, dominio che essi ave-
vano ricevuto dagli Ottoni verso il 900 e che riten-
nero fino al XIII secolo, come già si è veduto.
3. Altro Grosso varietà del precedente.
Nella bella collezione di monete sabaude e pie-
montesi del signor Luigi Cora di Torino esiste un
grosso che differisce dal precedente per avere il
segno dell'abbreviazione incurvato come in quello
descritto al n. 1 ma con una crocetta sopra, invece
che liscio come al n. 2.
+
£)' — + IMPERATOR Nel campo FR in cerchio di perline.
P — + AQVEN">|to Nel campo croce patente in cerchio
di perline.
È d'argento, del peso di gr. 1,220.
4. Denaro imperiale mezzano.
,D' — + IMPERATOR fra due cerchi concentrici di perline,
nel campo FR.
1$ — + AQVEN<"lw fra due cerchi concentrici di perline;
croce patente.
È identico al n. 1, solo di modulo più piccolo.
È d'argento basso o mistura, del peso di grammi 0,500.
È stato pubblicato nel 1840 dal Giovanelli in Alteri hùmlicht Eni-
dectungen im Sitdtirol im lahre iSjS, dal Promis in op. cit., n. 2 e dal
Maggiora-Vergano in op. cit., n. 2.
5. Altro Denaro imperiale mezzano, varietà del n. 4.
B' — + IMPERATOR Nel campo FR e sotto stelletta a
cinque raggi fra due punti, in cerchio liscio.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO
65
R) — + AQVENwi> Croce patente in cerchietto liscio.
È di mistura, del peso di grammi 0,400.
Esiste nella collezione Reale privata di Roma. E stalo pubblicato
nel 1865 dal Maggiora- Vergano nella Rivista della Numismatica aulica
e moderna, voi. I, pag. 318, tav. VI, n. XII e ripetuta dal medesimo
nell'op. cit., n. 4.
6. Altro Denaro imperiale mezzano, varietà del precedente.
Nel catalogo della collezione Serazzi W al n. 164
è descritto e riprodotto nella tav. I questo denaro
che varia dal precedente per avere soltanto la stel-
letta senza i due punti sotto la sigla FR, al centro
fra queste due lettere un punto e al disopra del
segno di abbreviazione un altro punto.
•
& + IMPERÀTOR Nel campo f 7r
R) — + AQVENf>l> Croce patente.
È di mistura, del peso di grammi 0,500.
Ora appartiene alla collezione del prelodato signor Cora.
7. Altro Denaro imperiale mezzano, di tipo dissimile dai
precedenti.
B' — + • FREDRIC • Nel campo l,P in cerchio di perline,
li - + • A — Q — V — E • Fra due cerchi di perline, nel
campo croce che con sole tre braccia taglia la
leggenda.
(1) Collezione avv. Pietro Serazzi di Novara. Genova, 1908.
66 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUN1ETTI
È di mistura, del peso di grammi 0,534.
Esisteva nella collezione Rossi, catalogo, n. 1 e poi nella collezione
Guecchi, catalogo, n. 2. Ora esiste nella collezione Reale privata di
Roma. E stato pubblicato nel 1865 dal Caurich in Rivista della Numi-
smatica antica e moderna, voi. I, pag. 316, tav. VI, n. XI e dal Maggiora-
Vergano in op. cit., n. 3.
La sigla FR che è impressa nel campo del di-
ritto dei numeri i, 2, 3, 4, 5 e 6 e la leggenda
FREDRIC del 11. 7 vogliono naturalmente significare
FREDERICVS; resta quindi da stabilire a quale dei due
Federici, se al primo o al secondo, si debbano rife-
rire le monete suddette e quale sia stato il conces-
sionario della zecca alla repubblica acquese.
Premesso che non esiste nessun documento che
provi in quale anno e da quale dei due menzionati
imperatori Acqui abbia ottenuto un tale privilegio,
se si prende ad esame quanto è stato scritto dai di-
versi autori al riguardo, i pareri, pur essendo dub-
biosi, non risultano concordi.
Il nostro sommo Domenico Promis (') così si
esprime :
« Sarei per credere che autore ne sia stato
« Federico II, poiché quantunque quel Comune sia
« a proprio nome intervenuto alla dieta di Roncaglia
« ed alla pace di Costanza, cionondimeno Federico I
« confermava al vescovo il dominio temporale sulla
" città, la qualcosa non concorderebbe colla conces-
« sione di una regalia tale come questa, che andava
« unita alla propria autonomia, invece che sul finire
« del secolo XII liberatasi dalla soggezione vesco-
« vile come sopra si è veduto, si resse da se sino
« al 1273, costantemente conservandosi fedele al-
ti l'impero nelle guerre di Lombardia; per tali ra-
« gioni adunque al regno di Federico II, cioè tra
(1) Promis Domenico: Mone/e del Piemonte inedite o rare, Torino, 1852.
acqui: la sua zkcca, i.o stemma, il sigillo 67
« il 1220 ed il 1250, deve aver avuto principio tale
« diritto, e le due anzidette monete le sole sinora
« conosciute (numeri 1 e 2) (') per il loro tipo e
u forma delle lettere appunto si distinguono per es-
« sere del secolo XIII ».
Al giudizio del Promis si oppone quello del
Maggiora-Vergano ^ il quale, avendo acquistato la
monetina inedita descritta al n. 5 insieme ad una
moneta di Umberto II e a due di Amedeo III conti
di Savoia col SECVSIA, tutte uscenti da un medesimo
ripostiglio rinvenuto in quel d'Ivrea, è d'avviso che
al primo Federico invece che al secondo sia da at-
tribuirsi la concessione della zecca, confermando nella
seguente guisa la sua congettura :
« Da quanto posso desumere dalla età delle altre
« insieme rinvenute, e dallo stato di questa moneta
« che è forse fra tutte la più nuova, io sarei per
« credere che possa dessa far prova doversi piut-
« tosto dal primo che dal secondo dei Federici ri-
« petere la concessione del diritto della zecca in
« Acqui, giacche non pare possibile che ai tempi
« del secondo fossero ancora in corso usuale, ed in
« istato non affatto scadente, le monete di Umberto II
« e di Amedeo III che tra entrambi abbracciano un
« periodo di settantasei anni lontano di settantadue
« anni dalla creazione ad imperatore di Federico II (3).
« Per lo contrario il primo essendo stato eletto alla
« dignità imperiale nel periodo tosto a quei due
(1) Numeri 1 e 4 della presente memoria.
(a) Maggiora- Vergano Ernesto: Altra moneta inedita di Acqui in
Rivista della Numismatica antica e moderna, voi. I, 1865, pag. 318.
(3) I conti Umberto II ed Amedeo III regnarono in complesso
68 anni, cioè dal 1080 al 1103 il primo e dal 1103 al 1148 il secondo.
Federico li fu eletto nel 1220: dalla morte di Amedeo III (1148) al 1220
corrono appunto 73 anni.
68 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
« conti di Savoia susseguente h) , da ritenersi perciò
« quasi ai medesimi contemporaneo, pare assai più
« naturale che colle loro monete si trovassero quelle
« dell' Enobarbo.
« Tanto più mi fermai su questo pensiero, in-
« quantochè lo stesso ciottissimo Promis, il quale
« ha sì gran merito di diligenza nella ricerca dei
« documenti e di critica nel valersene in appoggio
u alle sue opinioni, rimane dubbioso a quale dei due
« sia ad assegnarsi la concessione ad Acqui di tale
u privilegio ».
Secondo il Tonini ( 2 ) e secondo il Muoni (3) la
zecca sarebbe stata aperta fra il 1220 e il 1250, cioè
durante il regno di Federico II, ma non si allude al
concessionario della zecca stessa. Vi sono poi Vin-
cenzo Promis, i fratelli Gnecchi, Bazzi e Santoni (4),
i quali, senza entrare in discussioni, ritengono che
Acqui debba forse a Federico I il diritto di zecca.
Di fronte a questi dispareri io cercherò di di-
mostrare come il giudizio del Maggiora- Vergano,
assai posteriore a quello di Domenico Promis e suf-
fragato da quello analogo dei sopramenzionati va-
lenti numismatici, sia il più attendibile, oltre che
per le ragioni adotte dal prelodato autore, anche
per le considerazioni seguenti.
(1) Federico Barbarossa tu eletto nel 1152 cioè quattro anni dopo
la morte del conte Amedeo III.
(2) Tonini F. P. : Topografia generale delle zecche ital. Firenze, 1869.
(3) Muoni Damiano: Elenco delle secche d'Italia dal medio evo irt-
sino a noi. Como, 1886.
(4) Promis Vincenzo: Tavole sinottiche delle monete battute in Italia
e da Italiani all'estero dal secolo VII a tutto l'anno 1868. Torino, 1869.
Gnecchi Francesco ed Ercole: Saggio di bibliografia numismatica
delle zecche italiane medioevali e moderne. Milano, 1889.
Bazzi e Santoni : Vademecum del raccoglitore di monete italiane. Ca-
merino, 1886.
acqui: la sua zecca, lo stimma, 11. sigillo
69
É bensì vero che alla pace di Costanza, cioè
l'anno 1183, Federico I confermava al vescovo il
dominio temporale sulla città, ma non devesi trascu-
rare il fatto che pochi anni dopo la città si sottraeva
all'autorità del vescovo per governarsi a reggimento
popolare, né tanto meno che durante il regno di Fe-
derico II (1220-50) cominciò appunto il decadimento
della libertà municipale, dovuto alle fazioni che ave-
vano invaso la repubblica acquese, alle brighe per
la traslazione del vescovo di Acqui in Alessandria,
alle lotte con questa città ed all'annichilamento del
suo commercio già tanto fiorente prima dell'esistenza
di Alessandria. Dopo tutto ciò sembra attendibile di
attribuire a Federico II la concessione della zecca?
L'uso della zecca dimostra sempre lo stato florido
di una città e non già la decadenza.
Non pare adunque verosimile che Acqui possa
avere cominciato a valersi di una tale prerogativa
sotto Federico II, allorquando appunto cominciava
il suo decadimento. E se non fu sotto quell' impe-
ratore, sarà naturalmente prima del regno di Fede-
rico II che Acqui avrà cominciato a battere moneta
ed allora ne viene di conseguenza che questo di-
ritto debba esserle stato concesso dal primo Federico.
Ed invero nelle monete autonome delle diverse
città nell'epoca comunale, si vede sempre nominato
il concessionario della zecca. Perciò se si ammette
che alla pace di Costanza il Barbarossa abbia con-
fermato al vescovo, fra gli altri privilegi, anche quello
di zecca, ma che il vescovo non ne abbia per al-
lora usufruito, sembra naturale che quando la città
si mise a repubblica e cominciò ad approfittare di
quel privilegio, abbia , a similitudine delle altre
città, impresso sulle sue monete il nome dell'impe-
ratore, dal quale le proveniva pur sempre il diritto
di zecca, cioè del primo Federico.
T. COLONNELLO ALBERTO CUNIKTTI-CUNIETTI
E se poi si voglia ritenere che la città si sia
arrogato tale prerogativa, sempre però a Federico I
deve alludere il nome sulle monete, perchè, per le
ragioni suesposte, la zecca deve avere funzionato
prima del regno di Federico II.
Finalmente se si confrontano le monete impe-
riali acquesi con le analoghe alessandrine, si riscon-
tra somiglianza nel tipo ed eguale paleografia. Onde
essendo già dimostrato come le monete alessandrine,
le quali indubitatamente si riferiscono al primo Fe-
derico, siano state battute alla fine del XII o al prin-
cipio del XIII secolo (0 altrettanto devesi concludere
in riguardo a quelle d'Acqui per l'epoca della loro
coniazione, cosicché viene di conseguenza che anche
per queste monete la sigla FR o la leggenda FREDRIC
voglia indicare Federico Barbarossa.
Avendo cos'i descritto le monete imperiali e sta-
bilito l'epoca della loro coniazione ed a quale impe-
ratore si riferiscano, rimane a fare altrettanto per le
monete vescovili, che appartengono alla seconda
epoca e che sono in numero di sei fra tipi e varietà.
8. Grosso astese.
jy — +-ODONV" Nel campo E • S in cerchio di perline.
• P .
R) — + • QVEN • w|W • Nel campo A accostata da quat-
tro globetti, in cerchio di perline.
È d'argento, del peso di grammi 1,010.
Esiste nella collezione Reale di Torino. È stato pubblicato dal Promis
in op. cit., n. 3 e dal Maggiora- Vergano in op. cit., n. 6.
(i) CUNIETTI-CUNIETTI : Op. cit.
ACQUI : LA SUA ZECCA, • LO STEMMA, IL SIGILLO
71
9. Grosso veneto o Matapane.
i& — ODONVS '-" AQVESIS ' Santo in piedi paludato, che
forse vuole essere S. Guido protettore della città,
il quale consegna il labaro al vescovo; lungo
E
l'asta P cioè EPISCOPVS.
S
9 — Il Redentore seduto in cattedra col capo nimbato
ed accostato dalle abbreviature IX — XE.
È d'argento, del peso di grammi 1,630.
Esiste nella collezione Reale privata di Roma. E stato scoperto e
pubblicato nel 1877 dal Maggiora-Vergano in op. cit., n. 5.
io. Grosso iirolino.
i& — + ODONVS • EPISCOP Nel campo aquila imperiale
colle ali spiegate e colla testa a sinistra, in cer-
chio di perline.
9 — AQ— VE — NS — IS * Croce patente che attraversa la
leggenda, un'altra croce più piccola in cerchio di
perline che esce dai quattro angoli della croce
maggiore.
È d'argento, del peso di grammi 1,400.
Esiste nella collez. Reale privata di Roma e nel Medagliere c ]i Brera.
È stato pubblicato dal Giovaiielli in op. cit., dal Promis in op. cit., n. 4,
dal Luschin nel 1869 in Ilalienische Beischliige iirolischtr Zvoainziger
nella Numismatische Zeilschrift herausgegeben inni redigirt non Ch. IV.
Huber, Erster Band, Jahrhang 1869 e dal Maggiora- Vergano in op. cit.,
n. 7. A questo grosso accenna pure l'Ambrosoli fra le Monete del ripo-
stiglio di Lutate Abbate in Riv. Hai. di Nani., a. I, 1888, pag. 18.
72 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUN IETTI
li. Varietà del Grosso tir olino.
,-D' — + ODONVS + + EPISCOP' • Aquila come al n. io.
R) — + + AQ - VE - NS - IS + + Doppia croce come al n. io.
È d'argento, del peso di grammi 1,130.
Esiste nel Museo di Parma. È stato pubblicato nel 1883 da Umberto
Rossi in Monete inedite del Piemonte nella Gazzetta Num., a. Ili, fase. 1 1-12.
12. Altra varietà del Grosso tiro/ino
\Y — + ODONVS • EPISCOP Aquila come ai numeri pre-
cedenti.
R) — AQ — VE — NS — IS Doppia croce come ai numeri pre-
cedenti.
È d'argento, del peso di gr. 1,400.
Faceva parie del ripostiglio di Monfalcone rinvenuto nel maggio
1896, e fu pubblicato da Alberto Puschi nella Riv. Ita/, di Nulli., a. VI,
1896, pag. 357.
13. Denaro mezzano.
B 1 — + EPISCOP' Nel campo in cerchio di perline le
quattro lettere O • D • O • N • in croce attorno a
globetto e divise l'una dall'altra da un globetto.
9 _ + AQ-VEN-SIS nel campo in tre linee; sopra e
sotto una rosetta accostata da due piccoli trifogli.
E di mistura, d«.l peso di grammi 0,670.
Esiste nella collezione Reale privata di Roma. È stato pubblicato
malamente nel 1789 dal Moriondo in Monumenta Aquensia, esattamente
dal Promis nel 1873 in Monete e Medaglie italiane, n. 1 e dal Maggiora-
Vergano in op. cit., n. 8.
Già si è visto come il vescovo Oddone Bellin-
geri approfittasse della debolezza del marchese Teo-
doro I per rendersi signore della città ed ottenere
dall'imperatore Enrico VII gli antichi privilegi di
cui avevano goduto i suoi predecessori. Ora essen-
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 73
dovi stati due vescovi per nome Oddone che ebbero
la sedia episcopale d'Acqui, Oddone Bianchi che la
tenne dal 1234 al 1238 e Oddone dei Bellingeri che
la ebbe dal 1293 al 131 3, poteva esservi il dubbio
a quale dei due dovessero appartenere le suddescrittc
monete vescovili (*).
Ma ogni dubbio venne luminosamente chiarito
dal Promis (2 > che dimostrò dovere dette monete ap-
partenere a Oddone dei Bellingeri. Infatti, anche a
prescindere che questo vescovo ottenne dall'impera-
tore l'investitura degli antichi privilegi, occorre os-
servare che il primo Oddone segnavasi OTTO e l'altro
sempre ODDONVS e che le suddette monete, dal con-
fronto con le analoghe delle zecche più vicine, non
possono ascriversi ad altra epoca se non al prin-
cipio del secolo XIV.
(1) Del vescovo Oddone Bianchi si legge nella famiglia Bianchi al
cap. VII dove se ne riporta lo stemma consistente in due mani che
si stringono assieme con una sbarra sotto di esse orizzontale e tre
altre verticali con tre gigli sopra ciascuna sbarra o fascia: " Oddo o Od-
" done Bianchi nipote della suddetta Beuta abbadessa di Valle Gloria
" e cameriere di papa Gregorio IX, fu da esso creato cardinale nel 1229
" e vescovo di Monferrato, raccomandandolo strettamente a quel mar-
" chese, affinchè restasse libero dalle armi di Federico II che perse-
" guitava i prelati di S. Chiesa e potesse quindi esercitare sicuramente
" il suo ministero episcopale; onde il suddetto marchese, per assicurarlo
" da ogni pericolo, gli diede il suo casato ed arme, chiamandosi Oddo
" Bianchi cardinale di Monferrato „. Ex Chronich. Hispellii de Targa-
rinis et ex scriplis exislentibtis in Archivio Ven. Monasl. Vallis Gloriae.
(Iozzi : // Piemonte sacro).
Del vescovo Oddone Bellingeri si dirà in seguito.
(2) Promis Domenico: Monete del Piemonte inedite o rare. Torino,
1852.
Id. Monete e medaglie italiane. Torino, 1873. In questo, parlando del
denaro mezzano malamente pubblicato dal Moriondo, cosi si esprime:
" Da chi e quando questa città venisse infeudata al proprio vescovo
" non ho trovato alcun documento che lo dica, ma ciò non potò essere
* avvenuto che per opera dell'imperatore Federico II o di qualche suo
" prossimo successore, poiché il vescovo Oddone, che il primo vediamo
" usare questo diritto, viveva nei primi anni del secolo XIV „.
74 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
Il grosso astese vuole imitare i cosidetti bolo-
gnini in uso a quell'epoca in molte città dipendenti
dal papa; il grosso tirolino vuole imitare il grosso
dei conti del Tirolo, detto tyralinum in una grida
dell'imperatore Enrico VII ( x ) del 1311, e il denaro
mezzano imita i denari milanesi di alcuni impera-
tori, i denari dei marchesi d'Incisa, di Giovanni I
di Monferrato, ecc., monete tutte correnti al prin-
cipio del secolo XIV.
E la verità di queste deduzioni venne poi splen-
didamente provata dal Maggiora- Vergano colla sco-
•perta fatta del grosso veneto, il quale rassomigliando
perfino nella forma dei caratteri a quelli imitati da
Teodoro I e Giovanni 1 di Monferrato, da Filippo
d'Acaia, dai Marchesi di Cortemiglia, di Ponzone,
illustrati dal Promis, dal Morel-Fatio e dal Gavazzi ( 2 ),
deve necessariamente essere contemporaneo alle mo-
nete simili uscite dalle dette zecche. Ma essendo quei
signori vissuti al principio del secolo XIV, ne viene
di conseguenza che anche l'Oddone, nel cui nome
venne battuto il grosso in parola, non possa essere
se non il Bellingeri.
Non si conoscono monete di vescovi anteriori
ne posteriori a Oddone Bellingeri. Lo storico Mala-
carne ed il Biorci (3) affermano che si sono trovate
(1) Perini Quintilio : La grida di Enrico VII imperatore del ijir.
Rovereto, 1903.
(2) Promis Domenico : Mone/e di zecche italiane inedite o corrette, me-
moria 3.* Torino 1871.
Id. : Monete inedite del Piemonte, supplemento. Torino, [866.
Morel-Fatio Arnoldo: Cortemiglia et Ponzone. Monnaies inédites.
Bruxelles, 1865.
Gavazzi Giuseppe: Monete dei marchesi Del Carretto in Riv. Hai. di
Num., anno XV, 1902.
(3) Malacarne Vincenzo: Della città e degli antichi abitatori d'Acqui.
Torino, 1787.
Biorci Guido: Antichità e prerogative di Acqui. Torino, 1818-19.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 75
in Acqui monete del vescovo Enrico che viveva nel
1252, e da ciò arguiscono che i vescovi si mante-
nessero nel possesso della giurisdizione temporale
sovra la città medesima loro accordata dagli impe-
ratori, o almeno che gli Acquesi, riverenti verso i
vescovi, si recassero a gloria di fregiare coli' im-
pronta del nome del vescovo le monete che avevano
il diritto o la libertà di coniare. E più tardi nel di-
ploma del 1364 dell'imperatore Carlo IV a favore
del vescovo Guido II si trova pure compreso il di-
ritto di zecca. Tuttavia non mi risulta che alcuna
moneta dei menzionati vescovi esista ne in collezioni'
pubbliche né in private. Quelle che si conoscono
sono state più sopra descritte ed appartengono esclu-
sivamente al vescovo Oddone Bellingeri. Non intendo
con ciò escludere che altri vescovi possano avere
battuto monete quando signoreggiavano la città di
Acqui, ma finora nessuna di queste è venuta alla luce.
I tipi delle monete d'Acqui così imperiali come
vescovili che si conoscono, sono stati tutti descritti
nella presente memoria: queste monete sono tutte
di esimia rarità, e taluni sono veri cimeli.
L'importanza e l'estensione acquistata dalla re-
pubblica acquese nel medio evo e la stessa sua ubi-
cazione, separata da Genova dagli Apennini, divisa
da Asti e Casale dalle Langhe, lontana da Tortona
e Pavia, ci fanno a ragione supporre che Acqui non
potendo adoperare le monete di quelle città, abbia
dovuto essa stessa batterne in quantità adeguata ai
bisogni del vasto suo territorio e del suo commercio,
non potendo verosimilmente sopperirvi le poche e
rare monete battute dai marchesi d' Incisa e di Pon-
zone feudatari d'Acqui, giacche queste effimere zec-
che non funzionarono che nei primi anni del secolo
XIV, epperciò solo contemporaneamente all'emissione
delle monete del vescovo Bellingeri.
-]6 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
Devcsi quindi ritenere che la zecca di Acqui
abbia lavorato più di quanto farebbe argomentare
l'estrema rarità delle sue monete. E di questo mag-
gior lavoro sarebbe prova la varietà dei tipi mone-
tari e l'essere negli statuti d'Acqui (I ) ed in molti suoi
atti del XIV e XV secolo nominati i propri denari im-
periali invece dei soliti denari astesi, tortonesi, pavesi,
genovesi, ecc., in uso in altre città o sprovviste di
zecca o i cui prodotti erano così esigui da dover ricor-
rere alle altrui monete anche per gli atti pubblici.
Per questi motivi, soggiunge l'illustre Maggiora-
Vergano ( 2 ): « io penso di non essere lungi dal vero,
« credendo che la moneta acquese dovesse proprio
a servire ai bisogni degli abitatori della città e del
a suo territorio, sebbene l'uso non ne oltrepassasse
« forse i confini ».
A questo punto viene naturale la domanda come
si possa conciliare l'estrema rarità delle monete
acquesi con il lavoro non esiguo che si vorrebbe
attribuire a questa zecca ?
Non è cosa semplice il rispondere esauriente-
mente, non avendo altra base che la pura induzione,
poiché nessun documento, come già si è ripetuto,
esiste al riguardo.
A me parrebbe che il ristretto numero di mo-
nete acquesi giunte a noi e la conseguente loro ra-
rità derivi dal fatto che, col decadimento della libertà
e del commercio della città di Acqui, le sue monete
siano andate perdendo del loro credito anche sui
mercati delle altre citta, ma più peculiarmente per-
chè, colla sottomissione di Acqui ai Paleologi mar-
chesi del Monferrato la cui zecca era già ricca di
prodotti propri, essi abbiano, nel chiudere la zecca"
acquese, ritirate e fuse le rispettive monete.
(i) Statuiti civitatis Aqtiarum. Aquis, 1618.
(2) Di una moneta inedita di Acqui. Asti, 1877.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STKMMA, IL SIGILLO 77
III.
Lo Stemma Comunale.
Nell'anno 1187 Gerusalemme era caduta in mano
di Saladino ed era stato sconfitto l'esercito cristiano
e fatto prigioniero il re Guido Lusignano insieme
col marchese di Monferrato Guglielmo IV il Vec-
chio W.
Intimorito il pontefice Clemente III, incitò la
Cristianità al gran riacquisto: ne seguirono paci ge-
nerali e lo stesso imperatore Federico I, presa la
croce, nel 1189 passò in Asia col figlio e con gran
seguito di principi e vescovi. Nella chiesa acquese
la crociata venne bandita dal vescovo Ugone, e, seb-
bene manchino documenti per potere confermare che
gli Acquesi vi abbiano preso parte, pure è da rite-
nersi la cosa come assai probabile. Infatti il Mura-
tori afferma essere stata numerosissima la copia dei
combattenti concorsi in quelle orientali contrade da
tutte le parti d'Italia ed è quindi verosimile che vi
siano stati anche degli Acquesi.
Inoltre altro argomento in favore di questa con-
gettura si è l'antico stemma della città.
Vogliono molti scrittori, come il Millot e il Mu-
ratori < 2 ), che le armi gentilizie delle città e delle
famiglie abbiano avuto origine ai tempi delle Cro-
ciate quale segno per distinguere fra loro così le
popolazioni come i privati cittadini concorsi all'im-
presa di Terra Santa. Ed a quest'epoca appunto
(1) Giorcelli Giuseppe: Cronaca del Monferrato in ottava rima del
marchese Galeotto Del Carretto, nota E.
(2) Millot Claude: Éléments a" histoire generale. Tom. VI, pag. 119
Muratori Lodovico: Antichità italiane, dissertazione 53.*
78
T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
sembra che risalga l'origine dello stemma della città
di Acqui.
Esso consiste in un campo spaccato, di bianco
con croce verde nella sezione superiore ed un'aquila
colle ali spiegate che tiene fra gli artigli un lepre
nella sezione inferiore ed all'intorno il verso Lector
Aquis dignum Communis respice signum.
>
z.
u
Q
>
<
Di
o
H
U
w
ij
C O M M V N I S
pi
cn
o
•s>
a
<
Questo è lo stemma gentilizio di Acqui quale
si trova descritto negli antichi statuti acquesi (') e
come viene riportato dal Blesi O). Più tardi andò in
disuso l'esametro che circondava lo stemma e venne
impresso invece il motto ARTE ET MARTE sopra un
nastro formante fregio alla parte inferiore.
Varie sono le interpretazioni che gli storici
acquesi vollero attribuire a questa insegna.
Secondo il Blesi la croce dinoterebbe l'antica
e salda fede cristiana, mentre l'aquila sarebbe l'em-
blema della magnanimità e costanza, e il lepre posto
(i) Staluta civitatis Aquarum. Aquis, 1618.
(2) Blesi Luca Probo : Acqui città antica del Monferrato.
tona, 1614.
Tor-
acqui: la sua zecca, lo stemma, il sigulo 79
negli artigli dell'aquila, simbolo della viltà e timidità,
significherebbe che negli animi dei cittadini ha sem-
pre maggiore potere una generosa fermezza e co-
stanza che qualsivoglia altro rispetto, vincendo con
quella ogni timore o viltà : perciò pare al Blesi con-
venientissimo il verso : Lector Aquis dignum Coni-
rnunis respice signum, quasi voglia significare: « Vedi
« che siccome l'aquila animai più perfetto e nobile
« di tutti gli altri vince e tiene negli artigli timido
« e spaventoso lepre, così la città di Acqui con per-
« fetta costanza mantenendosi ha sempre vinto e su-
« perato ogni timore: onde degnamente se le deve
« quest'impresa ».
Anche il Biorci concorda nell'opinione del Blesi
che l'impresa dell'aquila e del lepre voglia indicare
il valore e la magnanimità degli antichi cittadini
acquesi, la qual cosa sarebbe avvalorata dal motto ;
ARTE ET MARTE.
Io non trovo affatto appagante questa spiega-
zione, non potendo ammettere che sembri magnanimo
l'atto di stendere gli artigli sul più timido animale.
Altri, fra cui fra Leandro, farebbero derivare l'im-
presa dello stemma acquese dalla discordia dei cit-
tadini, interpretandola nel senso che l'uno perseguita
l'altro.
Ma anche questa spiegazione che è combattuta
dal Blesi, non sembrando verosimile che Acqui abbia
voluto fondare la sua impresa sopra un vizio quale
è la discordia, ritengo poco attendibile. Contuttociò
io non saprei quale altra interpretazione dare a quel-
l'impresa e lascio che ciascuno giudichi come cre-
derà più conveniente.
80 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
IV.
Il Sigillo Vescovile.
Che dai vescovi di Acqui si facesse uso di si-
gilli, ci viene confermato dalla bolla del pontefice
Innocenzo III del 1205 (') che conteneva, fra le altre,
la seguente disposizione :
« Si dichiarano unite le chiese di Alessandria
« e di Acqui sotto un solo vescovo, il quale tro-
ll vandosi nella diocesi di Acqui e dovendo scrivere
« a persone acquesi oppure di affari spettanti a
» quella Chiesa si denominerà solamente vescovo
" di Acqui e dovendo scrivere agli Alessandrini op-
» pure di affari spettanti a quella Chiesa, denomi-
« nerassi solamente vescovo di Alessandria.
« Avrà egli a tale effetto due sigilli, uno colle
« lettere e coli' impronto del vescovo di Acqui, e
« l'altro con quelle di vescovo di Alessandria ».
Presso la curia episcopale di Acqui esistono
tuttora vari sigilli di vescovi : il descriverli oltre-
passerebbe i limiti e lo scopo che mi sono proposto
con questo breve lavoro.
Mi limiterò quindi a riportare la descrizione del
sigillo del vescovo Oddone Bellingeri e di quello
del vescovo Enrico Scarampi, il primo per l'impor-
tanza che ebbe il suo governo come vescovo e si-
gnore di Acqui, e il secondo per la fama e le im-
portanti missioni compiute durante il suo episcopato.
Oddone Bellingeri apparteneva ad antica ed il-
lustre famiglia acquese: un Bellingeri Gerondica fu
console di Acqui nella tregua del 1206 fra Acquesi
(1) È riportata dall' Ughelli e comincia: " Quum Beatus Petrus
Apostolus „.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO 8l
ed Alessandrini; un Andrea Bellingeri intervenne
come sindaco di Acqui all'atto di dedizione di detta
città al marchese di Monferrato nel 1278. Chi però
maggiormente si segnalò fu il vescovo Oddone che
resse la chiesa acquese dal 1293 al 131 3, essendovi
state molte investiture dal medesimo concesse in
questo lasso di tempo.
Di questo vescovo è rimasto il Sinodo diocesano
tenuto nella cattedrale l'anno 1308 e riportato dal
Moriondo. Ebbe Oddone importanti incarichi dal
papa, come di definire controversie insorte in Ales-
sandria fra Domenicani e Francescani, e di prendere
parte al concilio provinciale tenuto nel 131 1 dall'ar-
civescovo di Milano Cassone Della Torre. Nello
stesso anno intervenne in Milano all'incoronazione
dell'imperatore Enrico VII ed ottenne da lui tutti
gli anlichi diritti e privilegi di cui godeva in passato
la chiesa acquese.
Morì nel 1333 o nel 1334. lasciando un nome
benemerito anche alla storia, sia per le sue monete,
sia per i suoi scritti, che però non giunsero fino a
noi. Essi sono:, una cronaca di cui fa menzione mon-
signor Gioffredo Della Chiesa nel suo Arbore genea-
logico dei marchesi di Salazzo, una storia della chiesa
acquese ed una storia cronologica dei suoi vescovi :
ma di tutto questo non rimane che la memoria ed
un frammento conservato da Teobaldo Ainardo
acquese nella Cronologia dei vescovi da lui composta
nel 1500.
Il sigillo del vescovo Oddone Bellingeri deve
essere andato smarrito in causa delle tante peripezie
cui fu soggetta Acqui specialmente dopo la rivolu-
zione francese.
Ne trascrivo la descrizione fatta dal Iozzi (0,
(1) Iozzi Olivifro: // Piemonte sacro. Voi. I. Storia della Chiesa e
dei vescovi di Acqui. Acqui, 1881.
■ 1
82 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIKTTI-CUNIETTI
non essendomi stato possibile avere il disegno pub-
blicato dal Torri nella sua cronologia episcopale.
/E. Lungo l'A vi sono le lettere ODN-ODONVS e tra
l'A e l'È sonovi inserte perpendicolarmente la croce *
e le lettere QVS. alle quali lettere preponendovi l'A
avremo AQVENSIS e all'È facendo seguire PIS legge-
remo EPISCOPVS e cos'i tutt'assieme ODONVS EPISCOPVS
AQVENSIS.
Nella sala dell'episcopio vedesi la sua effigie
sotto cui è scritto :
1305 — ODDONVS • BELLINGERIVS • AQVEN • CONCILIO •
PROV • BERGOM • INTERFVIT • HENRIC • VII • MEDIOL • INAV-
GVR • ADIIT • 1311.
Il vescovo Enrico Scarampi era nobile, patrizio
d'Asti e dei signori di Cortemiglia; venne eletto ve-
scovo di Acqui nel 1396 e per le sue virtù fu poi
innalzato all'onore degli altari. In compagnia di Ale-
ramo abate Fruttuariense combinò a nome di Teo-
doro marchese di Monferrato il matrimonio fra il
figlio di lui Giangiacomo e Giovanna sorella del
conte Amedeo di Savoia. Accompagnò pure la
B. Margherita di Savoia moglie del marchese Teo-
doro quando prese il possesso della città di Genova.
Nel 1403 venne trasferto al vescovado di Belluno e
Feltre. Nel 141 5 fu deputato a Giovanni XXIII an-
tipapa per indurlo a deporre il triregno, e, dopo la
deposizione dei tre antipapi Giovanni XXIII, Gre-
gorio XII e Benedetto XIII, nel concilio di Costanza,
fu tra gli elettori della Nazione Italiana destinati
per l'elezione del nuovo pontefice.
Sotto il suo ritratto nella sala dell'episcopio
si legge :
B • ENRICVS ASTENSIS THEODORO MARCH • MONTISFERRATI
ACCEPTISS • TRANSL • AD ECCLESIAM FELTRENS • ET BEL-
LVNENS • ANNO 1403 MIGRAVIT AD SVPEROS AN. 1440
D. 24 SEPT.
ACQUI : LA SUA ZECCA, LO STEMMA, IL SIGILLO
8 3
Il sigillo del vescovo Enrico Scarampi è di forma
elittica, di millimetri 68 per 42 e all'intorno è scritto
in lettere capitali gotiche :
S HÀN'RICI DEI GRATIÀ EPISCOPI AQVEN
Nel campo vedesi una nicchia ogivale ornata in
stile della fine del secolo XIV, che racchiude l'ef-
figie della B. Vergine col Bambino con nimbo cru-
cifero ; al di sotto vi è la figura di un vescovo mi-
trato, inginocchiato in atto di pregare e accostato
da due scudi ovali palati di cinque verghette.
Questo sigillo fu pubblicato nel 1855 in Parigi
in Notice sur les sceaux dn cabinet de feu M. Bouchage
de Macon inserta nel tomo IV di Société de sphragi-
stique de Paris.
T .-Colonnello Alberto Cunietti-Cunietti.
UNE NOUVELLE VARIETÉ
DE LA
PIÈCE DE 40 FRANCS DE NAPOLEON I
EMPEREUR ET ROI D'ITALIE
L'ouvrage si complet de M. r Gnecchi sur les
monnaies frappées à Milan, suivi des volumes ré-
digés par M. r Dewamin sur la numismatique de Na-
poléon I < [ ), faisait croire à la publication de tout ce
qui avait été émis ou crcé comme essai a Milan
pendant la période napoléonienne. Nous avons néam-
moins découvert la pièce de 40 francs suivante, qui
avait échappé aux recherches de ces numismates at-
tentifs.
Le droit reproduit ci-dessous se distingue de celui
des autres espèces de mème metal par l'absence de
la marque d'atelier M au dessous de la date 1808.
Cependant cette lettre monétaire avait figure des
1806 sous la date sur l'essai de la pièce de 40 fr.
cité par M. r Gnecchi comme effectué pendant cette
(1) Dewamin : Cent ans de numismatique franfaise de 17S9 à 1X89.
Paris, 1895, 3 vo '- ' n f°'-
86 P. BORDEAUX
première année de la Vice-Royauté d'Eugène de
Beauharnais {1 \ Les deux différents du directeur et
du graveur en chef de l'atelier monétaire milanais,
une grenade et une coupé renversée, prouvent que
cet essai, bien que dépourvu de lettre de l'atelier, à
été réellement créé et frappé à Milan.
Les recherches réalisées dans les archives mi-
lanaises ont appris qu'au cours de l'année 1807, les
monnayeurs de Milan ont fait des tentatives infructueu-
ses pour frapper couramment des pièces d'or de 20
et de 40 francs portant la tranche azurée marquée
à l'aide d'un anneau special. Les coins se rompirent
ou s'écrasèrent, probablement à cause d'une trempe
insuffisante de l'acier.
Ces résultats défectueux furent portés à la con-
naisance du Vice-Roi. Au début de 1808, les com-
mercants italiens se plaignirent au gouvernement de
la minime quantité d'or monnayé existant sur la
place. Le Ministre des finances, ému de ces doléances.
proposa au Vice-Roi, par lettre officielle du 25 jan-
vier, de continuer les essais de frappe de monnaies
d'or mèmeen laissant supprimer toute marque de
la tranche, s'il n'était pas possible de procéder au-
trement. Le lendemain 26, le Prince de Beauharnais
approuva d'urgence la proposition ( 2 ).
Les monnayeurs milanais se mirent à l'oeuvre.
Au cours de ces essais effectués avec une grande
hàte, un offìcier monétaire oublia d'apposer sur le
metal au dessous de la date, le différent M.
La preuve que le travail a été effectué avec
trop de rapidité ressort jusqu'à l'évidence de l'aspect
de la monnaie, qui n'est pas centrée, et dont le li-
stel est très visible sous la date ainsi que sur le
(1) Gnecchi : Le Monete di Milano, pag. 209, n. 1.
(2) Archivio di Stato di Milano, 11. 2206.
UNE NOUVFLLE VARIÉTÉ 87
début du nom : NAPOLEONE, alors qu'il n'existe pas
au dessus de: IMPERATORE. Les lettres de cette der-
nière titulature touchent presque la trancile, tandis
que celles du mot précédent en sont sensiblement
plus distantes. Le revers présente les mémes défauts
dans l'apposition du listel très apparént seulenient
par endroits. Notre exemplaire pese io centigram-
mes de plus que l'espèce courante gravée ultérieu-
rement avec M sous la date.
Des exemplaires furent frappés et émis avec ce
coin, qui avait donne satisfation sous le rapport du
fini de la gravure et de la dureté du metal. Lors-
qu'on s'apercut de l'inadvertance, le morceau d'acier
fut mis immédiatement au rebut et remplacé par un
autre pourvu des mentions correctes. Effectivement
au cours de la mème année des exemplaires régu-
liers pourvus d'un M sous la date et continuant
d'avoir une tranche azurée avec l'inscription en rc-
lief: DIO PROTEGGE L'ITALIA, furent forgés et répandus
dans le public, lls étaient les seuls qui eussent été
rencontrés jusqu'à ce jour. 11 n'y en aurait pas eu
moins de huit à dix mille émis.
D'après le catalogue Dewamin, l'emploi de cette
trancile azurée n'aurait cesse qu'à partir de 1809
pour les pièces de 20 francs et de 1810 pour
celles de 40 francs du royaume d'Italie. Elle fut dé-
sormais remplacée par la mème legende gravée en
creux. Aucun essai ou frappe sans apposition de
tranche, dans les conditions oli la lettre ministérielle
citée précédemment le prévoyait en cas de neces-
sitò, ne parait avoir été encore rencontré.
Les numismates ne connaissent jusqu'à préseut
que trois exemplaires de la picce dessinée cidessus.
L'un est conserve dans la collcction de S. M. Victor
Emmanuel III. Les intelligenccs avisées, qui s'oc-
cupent du classement des scries royales, avaient di-
88 P. BORDEAUX
scerné depuis longtemps l'intérét d'une monnaie pré-
sentant la particularité, que nous avons expliquée (0.
Les deux autres font partie de notre collection et
de celle d'un amateur de Paris.
L'existence de la variété signalée montre l'at-
tention avec laquelle les numismates doivent re-
cueillir toutes les pièces, qui ont été créées dans les
périodes de temps, où les ateliers monétaires ont été
obligés de travailler avec une certaine hate. Ces
travaux rapides ont occasionné fréquemment la frappe
de variétés particulières, qui prouvent combien la
numismatique est le miroir fidéle des difficultés du
moment.
P. Bordeaux.
(i) Nous remercions M. r le general Ruggero de l'obligeance qu'il a
mise à nous renseigner aussitot sur cette rareté.
MANTOVA A VIRGILIO
Che da qualche anno si vada raccogliendo a Mantova
denaro per erigere un monumento a Virgilio, tutti lo sanno.
Non vorrà però credere nessuno che soltanto così tardi, in
questi tempi cioè di riviviscenza classica, Mantova abbia
pensato di onorare il suo gran poeta. Che tacendo pure,
che più volte in suo onore furono eretti in città monumenti
e ricordi, alcuni dei quali ancora esistono e nei musei e fuori,
ella non tralasciò mai di eternare il suo gran figlio nelle sue
monete. Unica, fra le tante città che vantano glorie latine
(come Verona, Catullo; Padova, Tito Livio), sempre, libera
o schiava, per mezzo delle monete cercò di ravvisare ai più
lontani pronipoti il glorioso nome e la ipotetica, ma spon-
tanea effigie.
Né certo fece questo, come pretenderebbe il Bellini ('),
per imitare gli antichi che nelle loro monete già avevano
effigiato Omero, Saffo e non pochi illustri filosofi, e nemmeno,
come dice il Comparetti ( 2 ) con idea affine, che l'effigiare
Virgilio sia stato un omaggio a lui reso soltanto dalla classe
istruita del paese. No certamente ; prima che a Mantova si
coniasse moneta un'ipotetica effigie di Virgilio faceva già
parte dello stemma della città (3); quanto poi al ricordarlo,
i mantovani, continuavano a custodire gelosamente una casa
che si diceva fosse stata abitata dal poeta stesso (4).
(i) Zanetti: Raccolta delle monete e zecche d'Italia. Tomo III, pa-
gina 249 e sgg. Lelio della Volpe, 1783.
(2) Domenico Comparetti : Virgilio nel Medio Evo. Voi. II, pag. 137.
(3) Un tale antichissimo stemma si trova infisso nella casa n. 2 dei
portici Soliari ora Umberto I.
(4) Amadei : Cronica »is. di Mantova. Tomo I, pag. 14.
90 ALESSANDRO MAGNAGUTI
Fu adunque per voto unanime dei mantovani che mol-
tissime loro monete recano l'effigie e il nome glorioso di lui.
Lungo, noioso e di nessun interesse sarebbe il dover
dare un fedele elenco di tutte le monete per così dire virgi-
liane ; sarà quindi compito di questo articoletto illustrare,
come meglio saprò, soltanto le più importanti di tal genere.
È frattanto la più antica moneta mantovana che si co-
nosca quella che apre questa interessante serie. Di bassa
lega d'argento, con ogni probabilità sarebbe da riferirsi alla
fine del secolo XI, ed ecco che su questa vi si legge per
la prima volta l'augusto nome: VIRGILIVw. Né fu molto
tempo dopo questa prima emissione che si ardì improntarvi
l'effigie stessa del poeta.
Era del resto troppo doloroso il dover constatare che
mentre a noi rimangono le effigi di tanti umani mostri, non
la più piccola immagine ci fosse pervenuta di quel poeta
che aveva meravigliato il mondo per il candore della sua
anima e per la dolcezza dei suoi versi. Fu dunque scusabile
ed anzi lodevole che i suoi concittadini tentassero ogni mezzo
per raffigurare quel Virgilio, che tutta era la loro gloria,
tutta la loro speranza. Se noi quindi lo troveremo nelle
nostre prime monete ridicolmente raffigurato, consideriamo
in esse quel lento, diverso, eppur grande sforzo, che fecero
gli artisti mantovani per condurci poi a mirarlo, quasi in
autentica effigie, in quella ormai famosa monetina che al ro-
vescio lo dice il migliore dei poeti epici.
Come ci appare per la prima volta sulle monete, l'im-
magine virgiliana è davvero ridicola e bizzarra; in essa vi è
rappresentato il nostro poeta di prospetto, dal volto sbar-
bato ed ilare come quello d'un giovinetto. Né s'accontenta-
rono di questa bizzaria gli incisori mantovani, che non molto
tempo dopo ce lo presentarono, davvero assai precoce-
mente invecchiato, con una lunga zazzera ed altrettanta
barba e seduto, come dicono i mantovani di un monumento
consimile che trovasi in una piazza della città, sul banco
della scuola. In siffatto modo ci vien rappresentato il nostro
MANTOVA A VIRGILIO gì
poeta, in un rarissimo quanto finissimo grosso fatto ad imi-
tazione di quelli contemporanei dei veneziani. Il quale, quan-
tunque pecchi del difetto generale del medio evo in ogni
genere di rappresentazione, segna senza dubbio per l'arte
della moneta mantovana il primo reale progresso. Secondo
anzi il signor Manni, questa figura di Virgilio rassomiglie-
rebbe moltissimo a una che trovasi in un manoscritto della
biblioteca vaticana, la cui età è fatta risalire dal P. Mont-
faucon ai tempi di Costantino ( J ). Comunque sia, lodando
molto l'erudito argomento, sono ben lontano dal credere che
un Virgilio così brutto rifletta anche solo qualcosa di auten-
tico. Peraltro penso di intrattenermi ancora altrove sulla tanto
discussa effigie.
È quindi con poche varianti, ma fregiate però sempre
del ricordo virgiliano, che si susseguono tutte le nostre mo-
nete fino all'inizio della dominazione gonzaghesca, cioè al-
l'anno 1328.
Sembrerebbe a primo aspetto che il nuovo signore si
sarebbe dovuto adoperare per spegnere quanto più poteva
ogni antico segno di autonomia, ma questo non fecero con
certa politica i Gonzaga. I quali forse per accarezzare il po-
polo, dimostrarono palesemente di sacrificare ben volentieri
la loro stessa ambizione personale, permettendo che a sua
maggior gloria il nome del gran poeta fregiasse ancora le
loro monete.
E in verità tutte indistintamente le monete dei Gonzaga
allora capitani del popolo, recano in qualche modo quel-
l'augusto nome e talvolta l'effigie del poeta che in questo
periodo prende, è davvero ridicolo a dirsi, un novello aspetto.
Il poeta, che nel grosso avevamo lasciato assai preco-
cemente barbuto e invecchiato, in queste ridiventa giovane,
senza barba affatto e colla testa coperta di un berretto del
più puro medio evo.
Chi del resto fosse desideroso di vedere tutte le monete
(1) Ved. Zanetti.
92 ALESSANDRO MAGNAGUTI
da me fin qui sommariamente descritte, lo invito all'osser-
vazione dei due primi volumi del Portioli illustrati anche da
due buone tavole.
Che talvolta le monete esprimono chiaramente i varii
sentimenti del principe che li ordina, è cosa ormai ben di-
mostrata, ma troppo si palesa nelle nostre monete virgiliane
per dover passare sotto silenzio alcune osservazioni in ri-
guardo.
Abbiam visto quale rispetto conservassero i Gonzaga
al ricordo virgiliano, ma tosto vedremo che Gian Francesco
signore di Mantova, creato marchese dall'imperatore Sigi-
smondo (1433), cominciò a far perdere alle nostre monete
quel carattere che le rendeva tanto simpatiche. Mantova che
fino ad ora era stata dei mantovani, divenne allora veramente
dei Gonzaga. Lo stesso Giovan Francesco che come capi-
tano del popolo aveva sempre fregiate le sue monete del
nome e dell'effigie di Virgilio, diventato marchese non lo
ricorda più affatto. Ormai non aveva più bisogno di acca-
rezzare il popolo; lo proteggeva l'imperatore.
Questa specie di disprezzo pare però spiacere ai suoi
successori, che tosto vediamo Lodovico li (1444-1478) in una
bella monetina d'argento, comunemente detta solino, perchè
al rovescio ha un sole radiante, rappresentarci simpatica-
mente, in una bella testina giovanile al tempo stesso che
sostenuta, il glorioso cantor dell'Eneide.
Che dirò poi di una forse delle più belle monete spic-
ciole del rinascimento ? Di quella attribuita al marchese Fe-
derico, recante al rovescio il famoso EPO ? ( J )
Ben davvero è dedicata questa monetina al principe dei
poeti epici, epicorum poètarum optimo ; in essa l'immagine
del poeta è così accurata che al primo vederla facilmente
si sarebbe indotti a credere che quello fosse l'autentico ri-
tratto del poeta. Certo è che ritiene scrupolosamente delle
notizie tramandateci sulla sua immagine dagli scrittori a lui
(1) Vedere in proposito Rivista Hai. di Num. Fase. IV, 1907.
MANTOVA A VIRGILIO 93
contemporanei, e se questa fu l'intenzione dell'incisore, nes-
suno avrebbe potuto essere più saggio di lui, nessuno avrebbe
saputo meglio avvicinarsi alla realtà. Gli occhi grandi e in-
cavati, il naso greco ma grosso, il tipo rustico ma bonario,
descrittici unanimente dagli scrittori del suo tempo, sono in
questa immagine virgiliana così fedelmente ritratti da appa-
gare pienamente il concetto che generalmente ci si fa sul
volto di Virgilio.
Molte e varie monete virgiliane in lega e in rame ha il
marchese Francesco II (1484-1519), molte il duca suo suc-
cessore Federico II' (0, ma sfortunatamente il bel tipo surri-
ferito fu da questi completamente abbandonato e, se abbiamo
monete di fattura migliore delle precedenti, l'immagine vir-
giliana ridiventa se non goffa insignificante.
Fra quelle poi del duca Guglielmo (1550-1587) di nes-
suna o poca importanza, v'ha un tipo così strano sul quale
mi parrebbe torto non indugiarmi. Al diritto l'effigie del
duca o una rappresentazione allegorica del nostro fiume
Mincio, reca al rovescio un giovanile volto di Virgilio coro-
nato d'alloro uscente di un vaso.
Quanto al primo aspetto dia da pensare questa strana
rappresentazione ognuno se lo può facilmente immaginare,
e pur io m'ero affaticato a spiegare questo mistero impor-
tunando dotte persone e perdendo invano il mio tempo su
inutili libri. Quando leggendo a caso della nascita di Vir-
gilio, trovai tosto il bandolo della matassa arruffata. A do-
cumento di quanto l'autore asseriva nel testo trovavansi in
nota questi due versi che furono la rivelazione di quanto mi
domandavo :
Haec stupeat? dives partus de paupere vena
Emicuit; figlili soboles nova carmina fìnx ; t (2)
(1) Questi i rovesci più conosciuti di tali monete: per quelle di lega
il pegaso, la cervetta ; per quelle di rame il crogiolo, S. Longino, S. Ca-
terina.
(2) Sono questi due versi del grammatico romano Foca, più antico
del famoso Prisciano, il quale compilò in versi un piccolo commentario
di Donato, versi che a noi pervennero solo in parte.
94 ALESSANDRO MAG.NAGUTI
Che la leggenda dicesse Virgilio figlio di un vasaio non
l'ignoravo, ma in verità i'osservazione di questa moneta, né
ad altri né a me, aveva mai fatto balenare un tal pensiero.
Ma quell' emicuit che spiegava così bene lo sporgere dal
vaso della piccola effigie virgiliana, bastò per illuminare il
curioso quesito e certo ormai sono di essere venuto alla
giusta spiegazione e che quelle monete altro non facessero
che ricordare a chi le mirava, che un sì eletto figlio era
nato da un povero vasaio. Ora vi sarà forse alcuno che si
affannerà ad altre spiegazioni, ma nessuna certo potrà mai
essere più naturale di questa apparsa a me per semplice caso.
Ad ogni modo, chiara si vede in questo tipo la decadenza
di pensiero e di forma, si che nessuno certo sospetterebbe
che è tuttavia in questo tempo che noi dobbiamo ritrovare
l'unica moneta d'oro mantovana che ricordi il poeta. Dico di
un rarissimo quartino d'oro W del duca Vincenzo I (1587-1612)
recante al diritto una meschina effigie del poeta e al rovescio
la nota impresa del duca, una mezza luna sormontata dal
motto sic, decretato ormai per inspiegabile ( 2 ). Ma in questi
tempi questa moneta, quantunque d'oro, non ha che un signi-
ficato contrario alla sua apparenza ; questo splendore na-
scondeva in realtà il germe di quella decadenza, che nel
1630 per opera dell'assedio, del saccheggio e della peste,
doveva condurre alla più completa rovina Mantova e l'intiero
suo ducato.
Infatti poi né lo stesso duca Vincenzo I, né i suoi tre
figli Francesco IV, Ferdinando e Vincenzo II hanno più mo-
nete virgiliane, e per trovarne al nostro caso dobbiamo ri-
portarci al duca Carlo I di Nevers. Il quale, sembrerebbe
quasi a rialzare il morale del suo popolo, ne fece coniare
varie di rame fra le quali alcune veramente pregevoli per
arte e che naturalmente ci fanno pensare a quella di Fede-
rico I già da me descritta a più riprese. Ma son queste le
ultime monete mantovane che conservano integralmente il
loro simpatico carattere; che in alcune altre, di cui farò un
(1) Catalogue du Cabinet Imperiai. Monnaies en or. Supplément,
pag. 69, 70, 71.
(2) Portioli : Voi. I, pag. 89.
MANTOVA A VIRGILIO 95
cenno, noi possiamo ritrovarvi soltanto una semplice allu
sione virgiliana, giammai un vero ricordo del gran poeta.
Così Carlo II nipote e successore del precedente ram-
menta soltanto il nostro poeta in un viso di bimbo che vor-
rebbe significarlo, usato come contromarca in alcune sue
parpagliole (*), le quali, essendovene più di false che di buone,
avevano bisogno di una riconferma di autenticità. E del resto
quale riconferma migliore poteva escogitarsi di una virgi-
liana? Assai meglio fece però suo figlio, Ferdinando Carlo
(1671-1707Ì l'ultimo duca di Mantova, il quale non Io ricorda
affatto.
Vennero poi a Mantova i tedeschi, vennero i francesi,
ritornarono i tedeschi, e in questo periodo noi troviamo
chiaro nelle monete quell'avvilimento che doveva regnare
sugli animi dei mantovani schiavi or di questo or di quel
padrone. E solo nel 1848, alla penosa vigilia della nostra
indipendenza, che noi vediamo ricomparire sotto la testa
dell'imperatore Ferdinando I su tre monete ossidionali (il
fiorino cioè, la lira e il quindicino) un piccolo cigno natante,
l'emblema di Virgilio. Questa l'ultima comparsa del poeta
sulle nostre monete; l'efficacia ch'egli doveva esercitare sugli
animi nostri era compita :
Jam nova progenies coelo demittitur alto.
Torino, ij gennaio loop.
Alessandro Magnaguti.
(1) Queste hanno al diritto una Madonna col bambino e al rovescio
due angeli che sorreggono i sacri vasi del Preziosissimo Sangue.
TESORETTO MONETALE
scoperto nei fondi dei signori Romanin-Jacur
in CASALEONE (Verona) W
Questo tesoretto monetale, reso già noto per sommaria
descrizione fattane dal prof. Gherardo Ghirardini, soprain-
tendente agli scavi ed alle antichità del Veneto, meritava di
essere studiato minatamente sia per il numero considerevo-
lissimo di monete, di cui era costituito, sia per l'epoca cui
le monete devono assegnarsi. E fu per consiglio dello stesso
prof. Ghirardini e per cortese accondiscendenza dei signori
fratelli Romanin-Jacur, se mi potei applicare al paziente lavoro
di esaminare tutte quante le monete, con che giunsi alle pre-
cise conclusioni che qui espongo.
Il ritrovamento venne fatto * nella località detta Bastione
di s. Michele, in frazione di Sustinenza, comune di Casaleone.
A sud di questo paese ed alla distanza di circa 9 chilometri
da esso, sulla riva sinistra del fiume Tartaro, il giorno 20
aprile 1901, due lavoranti, certi fratelli Bellini, mentre sta-
vano spargendo il concime in un campo facente parte della
vasta tenuta dei signori fratelli Romanin-Jacur, detta la Bor-
ghesana, ravvisarono a fior di terra alcune monete d'argento.
La mattina seguente gli stessi fratelli con tre altri contadini,
che trovandosi per caso lì da presso si aggregarono ad essi,
fecero uno scavo nel sito ove avevano raccolte le monete,
e ivi appunto, nella scarpa di un rialzo di terra conosciuto
col nome di Argine del Cavriol, scoprirono un vaso di ter-
racotta pieno di monete. Tolte queste dal vaso, i cui rot-
tami si gettaron via, furono portate dagli scopritori alla fat-
(1) Fu pubblicata nelle Notizie degli scavi di antichità, anno 1908,
fase. 3.
9^ LUIGI RIZZOLI
toria dei signori Romanin-Jacur, in Maccaccari (comune di
Correzzo) e consegnate al fattore ing. Pio Scudellari „ (1).
Le monete così rinvenute passarono quindi ai signori
Romanin-Jacur in Padova, che tuttora le conservano gelo-
samente.
Sebbene si debba credere, come risultò al prof. Ghirar-
dini, il quale erasi recato sopra luogo il giorno 18 maggio
del 1901, che alcune di quelle monete sieno andate disperse,
rimane fermo però che quelle raccolte costituivano la parte
maggiore del ripostiglio. Il numero delle monete che furono
a me consegnate è di 1032.
Prima di passare allo studio di esse, ricorderò che il 24
febbraio del 1889, nello stesso sito della tenuta Borghesana e
precisamente nel punto detto " Argine del Cavriol „ a pochi
metri, pare, di distanza dal nuovo vaso, un'altra pentola con
oltre 1200 monete famigliari romane fu scoperta. Disperse sul
principio, furono poi ricuperate ; e per generosità dei signori
Romanin-Jacur e del dott. Gio. Batt. Bertoli di Casaleone, che
le acquistarono, donate al Museo Civico di Verona. Questo
ripostiglio dovrebbe essere probabilmente contemporaneo,
come opina il prof. Ghirardini, al tesoretto del 1901 ( 2 ).
Il ripostiglio di Casaleone del 1901 è il quarto fra i vari
ritrovamenti di monete romane del tempo repubblicano, av-
venuti nella Regione Veneta, dalla seconda metà del se-
colo XIX ad oggi. Esso per la sua importanza merita di
esser divulgato, dopo quello ormai celebre di Maserà (Pa-
dova), dopo quello di Caltrano Vicentino, e dopo quello di
Casaleone del 1889.
Il ripostiglio di Maserà, scopertosi nel 1881, fu pubbli-
cato dal Garrucci e poi dal De Petra. Era composto di 1214
monete consolari romane, spettanti ad un periodo assai lungo,
dal 268 all'84 a. C. (3).
(1) Notizie degli scavi di antichità, giugno 1901, pp. 290-291.
(2) Notizie cit., cfr. anche : Ghirardini G., Scoperte archeologiche av-
venute nel Veneto dall'anno iSc/o al 1002 in Atti del Congresso interna-
zionale di scienze storiche (Roma, aprile 1903), voi. V : Archeologia, p. 292.
(3) Civiltà Cattolica ( 1 88 r , quad. 746; 1882, quad. 778); Notizie degli
scavi (luglio 1888); cfr. anche: [periodi della moneta romana rettificati
col ripostiglio di Maserà in Bollettino di numismatica e sfragistica per
la storia d'Italia, anno I (1882), pag. 356 e segg.
TESORETTO MONETALE SCOPERTO IN CASA LEONE 99
Il ripostiglio di Casaleone, scopertosi nel 1889, fu som-
mariamente illustrato dal signor Stefano de Stefani. Constava,
come si disse, di oltre 1200 monete, che presumibilmente
erano state seppellite in quella località circa cinquantanni
avanti l'èra volgare (1).
Il ripostiglio di Caltrano Vicentino, scoperto nel 1893,
doveva constare di poco oltre un migliaio di pezzi, de' quali
soltanto 350 poterono essere studiati dal prof. P. Orsi, mentre
gli altri andarono perduti. I 350 pezzi erano tutti vittoriati,
che devono essere stati nascosti negli ultimi anni del III se-
colo o nei primissimi del II a. C. ( 2 ).
Il ripostiglio di Casaleone, scoperto nel 1901, è costituito
di monete che devonsi riportare al periodo dal 268 al 44
circa avanti Cristo. Resta dunque assodato, come ebbe ad
ammettere il prof. Ghirardini, che questo tesoretto è preci-
samente contemporaneo all'altro scoperto nel 1889.
Non deve però far maraviglia se, fra tante monete ro-
mane del periodo repubblicano, rinvenutesi nella stessa lo-
calità di Casaleone, due soltanto di bronzo siansi trovate,
mentre le altre tutte sono d'argento (denari e quinari). Quanto
poi all'esistenza di una sola moneta di bronzo per ciascuno
dei due ripostigli, non saprei darmene una spiegazione se
non pensando che quella moneta vi fosse stata collocata per
indicare un dato quantitativo di monete d'argento.
Questa moneta di bronzo è un asse unciale colla testa
di Giano bifronte e colla prora di nave ; ma è così logorata
e lisciata dal tempo che riesce riconoscibile solo a chi è pra-
tico del tipo delle antiche monete. Il suo peso è di gr. 22,65.
Il numero dei denari è di 714, di cui 60 dentellati ;
quello dei quinari è di 317 ; nessun sesterzio.
I nomi delle famiglie, di cui si rinvennero monete, sono
i seguenti, che ricorderò per ordine alfabetico, secondo
l'opera del Babelon (3).
(1) Notizie degli scavi (marzo 1889), pp. 55-56.
(2) Notizie degli scavi (luglio-settembre 1894), pp. 259-269. Vedi pure:
Ghirardini, Scoperte archeologiche, cit., pag. 291.
(3) Babelon E. : Description historique et chonologique des monnaies
de la République romaine. Paris, 1885-1886.
IOO LUIGI RIZZOLI
Abvria (denari 2 : Babelon I, pag. 94, n. 1 ; denari 2 : Bab. I, 96, n. 6).
Acilia (denaro : Bab. I, 102, n. 1).
Aelia (denaro: Bab. I, no, n. 3 e no, n. 4).
Aemilia (denari 6: Bab. I, 118, n. 7; denari 23: Bab. I, 120, n. 8; de-
naro: Bab. I, 121, n. 9; denari 15: Bab. I, 122, n. IO; denari 2:
Bab. I, 123, n. 11).
Annia (denari 2: Bab. I, 140, n. 3; denaro: Bab. I, 141, n. 4).
Antestia (denari 3: Bab- I, 144, n. 1; denari 4: Bab. 1, 146, n. 9).
Antonia (denari 8: Bab. I, 158, n. 1).
Appvleia (denari 8: Bab. I, 208, n. 1).
Aqvillia (denaro : Bab. I, 213, n. a).
Baebia (denari 3 : Bab. I, 254, n. 12).
Caecilia (denaro: Bab. I, 266, n. 21; denari 5: Bab. I, 275, n. 43; de-
nari 2: Bab. I, 275, n. 44; denari 3: Bab. I, 277, n. 45).
Caesia (denari 2 : Bab. I, 281).
Calidia (denari 4: Bab. I, 283, n. 1).
Calpvrnia (denari 20: Bab. I, 292, n. 11; denaro: Bab. I, 292, n. 12;
quinari 17: Bab. I, 295, 11. 13; denari 3: Bab. I, 300, n. 24; denari
2: Bab. I, 301, 11. 25).
Cassia (denaro: Bab. I, 327, n. 4; denari 2: Bab. I, 329, n. 6: denari 5:
Bab. I, 330, n. 7; denari 5: Bab. I, 331, n. 8; denari 4: Bab. I, 331,
n. 9; denari 8: Bab. I, 332, n. io).
Cipia (denari 8: Bab. I, 341, n. 1).
Clavdia (denari 7 : Bab. I, 345, n. 1 ; denari 2 : Bab. I, 349, n. 5).
Clovlia (quinari 37 : Bab. I, 360, n. 2).
Coelia (denari 3: Bab I, 369, n. 2; denari 2: Bab. I, 369, n. 3 ; denaro:
Bab. I, 373, n. 7).
Cornelia (denaro: Bab. I, 387, n. 1; denari 2: Bab. I, 396, n. 19; de-
nari 2: Bab. I, 399, n. 24; denari 7: Bab. I, 415, n. 50; quinari 50:
Bab. I, 415, n. 51; denari io: Bab. I, 417, n. 54; denaro: Bab. 1,421,
n. 59; denari 2: Bab. I, 422, n. 60; denaro: Bab. I, 423, n. 61; de-
naro : Bab. I, 424, n. 63).
Crepvsia (denari 12: Bab. 1, 441, n. 1).
Critonia (denaro : Bab. I, 443, n. 1).
Cvrtia (denari 4 : Bab, I, 450, n. a).
Decia (denaro: Bab. I, 452, n. 1).
Didia (denaro: Bab. I, 455, n. 1).
Domitia (denari 2 : Bab. I, 460, n. 7 ; denaro : Bab. I, 462, n. 14).
Egnatia (denaro: Bab. I, 473, n. 1; denaro: Bab. I, 474, n. 2; denaro:
Bab. I, 474- n - 3)-
Egnatvleia (quinari 44 : Bab. I, 475, n. 1).
Fabia (denari 3: Bab. I, 480, n. 1; denari 2 : Bab. I, 482, n. 5; denari 3:
Bab. I, 486, n. 14; denaro: Bab. I, 487, n. 15).
Fannia (denari 7 : Bab. I, 491, n. 1).
Farsvleia (denari 2 : Bab. I, 493, n. 2).
Flaminia (denari 7 : Bab. I, 495, n. 1).
Fonteia (denaro: Bab. I, 500, n. 1; denaro: Bab. I, 503,^7; denari 2:
TKSORETTO MONETALK SCOPERTO IN CASALEONE IOI
Bab. I, 506, n. 9; denari 2: Bab. I, 507, n. io; denari 2: Bab. I, 509,
n. 17).
Fvfia (denaro: Bab. I, 512, n. 1).
Fvlvia (denaro : Bab. I, 513, n. 1).
Fvndania (denari 2: Bab. I, 515, n. 1; quinari 3: Bab. I, 516, n. 2).
Fvria (denari 4: Bab. I, 525, n. 18; denari 2: Bab. I, 526, n. 19; de-
nari 9 : Bab. I, 528, n. 23).
Gargilia (denari 16: Bab. I, 532, n. 1).
Herennia (denari 4: Bab. I, 539, n. 1).
Hosidia (denari 8 : Bab. I, 547, n. 1).
Ivlia (denari 2: Bab. II, 2, n. 1; denaro: Bab. II, 4, n. 3; denari 4:
Bab. II, 5, n. 4; denari 8: Bab. II, 6, n. 5).
Ivkia (denari 2: Bab. II, 104, n. 8; denari 6: Bab. II, 108, n. 15; de-
nari 8: Bab. II, 108, n. 16; denaro: Bab. II, 109, n. 19; denari 7:
Bab. II, 113, n. 30; denari 3: Bab. II, 114, n. 31).
Licinia (denaro: Bab. II, 129, n. 7; denari 7: Bab. II, 133, n. 16; de-
naro : Bab. II, 134, n. 18).
Lvcilia (denaro: Bab. II, 150, n. 1).
Lvcretia (denari 4: Bab. II, 151, n. I; denaro: Bab. II, 151, n. 2; de-
nari 2: Bab. II, 153, n. 3).
Lvtatia (denari 2 : Bab. II, 157, n. 2).
Maenia (denari 2 : Bab. II, 165, n. 7).
Maiania (denaro : Bab. II, 166, n. 1).
Mallia (denari 6: Bab. II, 169, n. 1; denari 6: Bab. II, 169, n. 2).
Mamilia (denari 2 : Bab. II, 173, n. 6).
Manlia Cdenaro : Bab. II, 176, n. 2; denari 5: Bab. II, 177, n. 4).
Marcia (denari 2: Bab. II, 181, n. 1; denaro: Bab. II, 185, n. 8; de-
nari 3: Bab. II, 191, n. 18; denari 2: Bab. II, 192, n. 19; denari 5:
Bab. II, 195, n. 24; denari 3: Bab. II, 196, n. 27; denari 20: Bab. II,
197, n. 28).
Maria (denari 2: Bab. II, 203, n. 9; denaro : Bab. II, 202, n. 7).
Memmia (denari 4: Bab. II, 213, n. 1 ; denari 2: Bab. II, 216, n. 8; de-
naro: Bab. II, 219, n. 10).
Minvcia (denari 5: Bab. II, 227, n. 1 ; denari 2: Bab. II, 229, n. 3; de-
naro : Bab. 235, n. 19).
Naevia (denari 9: Bab. II, 248, n. 6).
Noma (denari 4 : Bab. II, 256, n. 1).
Norbania (denari 4: Bab. II, 259, n. 2).
Opimia (denaro : Bab. II, 272, n. 12 ■ denari 2 : Bab. II, 275, n. 16).
Papia (denari 3: Bab. II, 280, n. 1).
Papiria (denari 4: Bab. II, 288, n. 6; denaro: Bab. II, 289, n. 7).
Pinaria (denari 2: Bab. II, 303, n. 1).
Plaetoria (denari 5: Bab. II, 312, n. 3; denari 6: Bab. II, 312, n. 4; de-
nari 4: Bab. II, 313, n. 5; denaro: Bab. II, 313, n. 6; denaro: Bab.
II, 314, n. 7).
Plancia (denari 6: Bab. II, 317, n. il.
Plavtia (denari 2: Bab. II, 323, n. 11; denari 2: Bab. II, 323, n. 12;
denari 5: Bab. II, 324, n. 13).
LUIGI RIZZOLI
Plvtia (denaro: Bab. II, 329, n. 1).
Poblicia (denaro: Bab. II, 331, n. 2; denaro: Bab. II, 332, n. 4; denaro:
Bab. II, 332, n. 6; denaro: Bab. II, 333, n. 7; denaro: Bab. II, 333,
n. 8; denari 2: Bab. II, 334, n. 9).
Pompeia (denari 4: Bab. II, 336, n. 1; denaro: Bab. II, 338, n. 4; de-
nari 3: Bab. II, 338, n. 5).
Pomponia (denaro: Bab. II, 360, n. 7; denaro: Bab. II, 362, n. 9; denari
2: Bab. II, 363, n. 13; denaro: Bab. II, 363, n. 14).
Porcia (denari 6: Bab. II, 368, n. 1; denari 4: Bab. II, 369, n. 3; de-
naro: Bab. II, 370, 11. 4; denaro: Bab. II, 371, n. 5; quinari 77: Bab.
II, 371, n. 7; denari 4: Bab. II, 373, n. 8).
Postvmia (denaro: Bab. II, 377, n. 1; denaro: Bab. II, 379, n. 4; de-
nari 4: Bab. II, 381, 11. 7; denari 5: Bab. II, 382, n. 8; denari 5:
Bab. II, 382, n. 9).
Procilia (denari 3: Bab. II, 386, n. 1; denari 4: Bab. II, 386, n. 2).
Qvinctia (denaro: Bab. Il, 392, n. 2; denari 2: Bab. II, 394, n. 6).
Renia (denari 3 : Bab. II, 399, n. 1).
Poscia (denari 7 : Bab. II, 402, n. 1).
Rvbria (denaro: Bab. II, 406, n. 1; denaro: Bab. II, 407, n. 2; quinari
30: Bab. II, 408, n. 4).
Rvstia (denaro: Bab. II, 411, n. 1).
Rvtilia (denari 4: Bab. II, 413, n. 1).
Satriena (denari 4: Bab. II, 420, n. 1).
Savfeia (denari 2: Bab. II, 42 r, n. 1).
Scribonia (denari 18: Bab. II, 427, n. 8).
Sergia (denari 3 : Bab. II, 442, n. 1).
Servilia (denari 3. Bab. II, 446, n. 5; denari 2: Bab. II, 449, n. 13; de-
nari 6: Bab. II, 450, n. 14; denari 4: Bab. II, 452, n. 15).
Svlpicia (denari 2: Bab. II, 471, n. 1; denari 7: Bab. II, 473, n. 6).
Terentia (denaro: Bab. II, 483, n. io).
Thoria (denari 5: Bab. Il, 488, n. 1).
Titia (denari 4: Bab. II, 490, n. 1; denari 6: Bab. II, 491, n. 2; quinari
38: Bab. II, 491, n. 3).
Titvria (denari 3 : Bab. II, 499, n. 5 ; uno però è una variante, non avendo
nel dritto alcuna iscrizione; denari 2: Bab. II, 497, n. r; denari 5:
Bab. II, 498, n. 2; denari 3: Bab. II, 498, n. 3; denari 2: Bab. II,
498, n. 4; denari 4: Bab. II, 499, n. 6).
Trebania (denaro : Bab. II, 500, n. 1).
Tvllia (denari 3: Bab. Il, 503)?
Valeria (denari 3: Bab. II, 512, n. 11; denaro: Bab. II, 513, n. 12).
Vargvnteia (denaro: Bab. II, 525, n. 1).
Vettia (quinari 13: Bab. II, 531, n. 1).
Vetvria (denari 2: Bab. II, 535, n. 1).
Vibia (denari 4: Bab. II, 538, n. 1; denari 11: Bab. II, 539, n. 2; denari
2: Bab. Il, 540, n. 3; denaro: Bab. Il, 540, n. 5).
Volteia (denari 3: Bab. II, 565, n. 2; denari 2: Bab. II, 566, n. 3; de-
nari 3: Bab. II, 567, n. 4; denaro: Bab. II, 568, n. 6).
TERORETTO MONETALE SCOPERTO IN CASALEONE IO3
D'incerta famiglia non sono che tre denari con la testa
di Roma da un lato, e con Diana o la Vittoria in biga, o i
Dioscuri a cavallo dall'altro. Vi sono poi otto mezzi vittoriati
secondo Babelon I, pag. 77, del valore di un sesterzio e
mezzo, monete create in forza della legge Papiria (89 a. C),
con la testa di Apollo e la Vittoria che incorona un trofeo ;
finalmente abbiamo l'unica moneta di bronzo, cioè l'asse già
ricordato. Il denaro, che ha nel rovescio Diana in biga, pre-
senta sotto le gambe de' cavalli il simbolo del gambero;
quello che ha nel rovescio i Dioscuri, sotto le gambe dei
cavalli ha il simbolo dell'ancora; i mezzi vittoriati hanno in-
vece nel campo del rovescio delle lettere varie.
La famiglia consolare che è rappresentata dal maggior
numero di monete è la Porcia, che ha 16 denari e 77 qui-
nari, che risalgono dal 149 al 92 a. C; segue la famiglia
Cornelia che ha 27 denari e 50 quinari dal 200 al 53 a. C;
quindi la Titia con io denari e 38 quinari, battuti verso il
90 a. C; la Aemilia con 47 denari, che si devono riportare
dal 112 al 54 a. C; la Egnatuleia con 44 quinari, battuti
verso il 101 a. C; infine la Calpurnia con 26 denari e 17
quinari, battuti fra 1*89 e il 64 a. C.
Il maggior numero di denari spetta dunque alla famiglia
Aemilia; il maggior numero di quinari alla famiglia Porcia.
La moneta più antica del ripostiglio è il denaro di un
monetario sconosciuto della famiglia Decia, che risale al 268
circa a. C. Esso ha da un lato : la testa di Roma galeata, a
destra, e di dietro X, dall'altro: ROMA e i Dioscuri a cavallo
galoppanti a destra, aventi sotto le gambe uno scudo rotondo
ed un cartiyx (Babelon, I, pag. 452, n. 1). Questo denaro è
di cattiva conservazione.
Le monete più recenti sono alcuni denari spettanti alla
famiglia Iunia, che furono battuti dopo il 44 a. C. da Q. Ce-
pione Bruto. Sette hanno da un lato: BRVTVS e la testa
nuda di L. Giunio Bruto l'antico, rivolta a destra; dall'altro:
AHALA e la testa nuda di Servilio Ahala, rivolta a destra
(Babelon, II, pag. 113, n. 30). Tre invece hanno da un lato:
LIBERTAS e la testa diademata della Libertà rivolta a destra:
dall'altro: BRVTVS e la figura del console L. Giunio Bruto
l'antico, avanzantesi a sinistra fra due littori preceduta da
un araldo (Babelon, II, pag. 114, n. 31).
104 LUIGI RIZZOLI
Quantunque il ripostiglio non ci abbia dato monete ve-
ramente rare, pure sono di qualche importanza: il denaro
della famiglia Decia (e. a. 268 a. C), già più sopra descritto;
un denaro della Egnatia, che ha da* un lato: MAXSVMVS e
il busto diademato di Venere a destra; dall'altro: C • EG-NA-
TIVS CN • F • CN • N • e la Libertà, incoronata dalla Vittoria,
in biga al passo a destra (circa a. 69 a. C. ; Babelon op. cit.
I, pag. 473, n. 1); un denaro incuso della famiglia Fabia:
LABEO • ROMA e la testa di Roma galeata a destra e da-
vanti X (circa 144 a. C; Babelon, op. cit., I, pag. 480, n. 1);
infine un denaro della Tituria che ha da un lato: la testa
nuda e barbuta del re Tazio a destra, ma senza iscrizione ;
dall'altro: L • TITVRI e Tarpeia, coi capelli sparsi e le braccia
levate al cielo, fra due guerrieri (verso l'88 a. C; Babelon,
op. cit. II, pag. 499, n. 5, variante).
Non stimai necessario indicare il peso delle singole mo-
nete rinvenute, perchè o dal tipo o dai segni monetari mi
fu facile pervenire ai sicuri risultati, che qui ho esposto,
Dirò soltanto che nella loro massa le monete sono di poco
buona conservazione, specialmente le più antiche.
Luigi Rizzoli jun.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI.
Maurice (Jules). Numismatique Constantinienne, Iconogra-
phie et chronologie, description historique des émissions
monétaires. — Tome I, Paris, 1908.
Come è ormai noto a tutti, il Maurice da tempo si de-
dica allo studio speciale della numismatica Costantiniana, e
tutti conoscono i suoi lavori sulle diverse zecche dell'impero
romano a quest'epoca, pubblicati nelle varie riviste d'Europa.
Finito questo lavoro di preparazione, l'autore riunisce ora
tutti i suoi studii, li collega fra loro e ci offre l'opera sua
definitiva, pubblicandone il primo volume col titolo che ab-
biamo sopra indicato. Un resoconto di questo volume e dei
criterii che guidarono l'autore a distribuire e completare
l'opera sua deve quindi ispirarsi a criterii più larghi e ge-
nerali di quanto si usa fare per il lavoro preparatorio del
periodico e vale la pena di esporre il concetto generale del-
l'opera, di esaminarne le diverse parti.
Il lavoro è diviso in tre parti: un'Introduzione, l'Icono-
grafia imperiale e la Descrizione delle monete distribuite
per zecche.
L'Introduzione è un trattato della monetazione dal prin-
cipio della Tetrarchia alla fine dei Costantini. Alle nozioni
generali sulla amministrazione delle zecche, segue la parte
cronologica in aiuto alla quale l'autore ha istituito un pro-
spetto delle leggende che si trovano anno per anno sulle
monete, incominciando dal 305 e procedendo fino al 337,
prospetto che potrà servire alla attribuzione della data a
Io6 BIBLIOGRAFIA
monete, monumenti, epigrafi che non contengono altri elementi
cronologici. In questo senso la numismatica, qui non sarebbe
solo di sussidio all'archeologia e alla storia, ma avrebbe la
decisa prevalenza, del che gioirebbe l'anima del nostro rim-
pianto Ambrosoli, il caldo propugnatore dell'autonomia della
Numismatica.
La parte iconografica che segue è la più nuova e cer-
tamente molto interessante. Tutti sanno come all'epoca dei
Tetrarchi e dei Costantini, le effigi dei due Augusti e dei
due Cesari presentino sulle monete una grandissima confu-
sione, delle strane rassomiglianze fra loro, delle sconcordanze
colle leggende, al punto che parecchi numismatici hanno di-
sperato di poter arrivare a trovare le vere immagini dei
quattro imperatori, non solo sulle monete ma benanco sui
medaglioni.
In piccola misura la sostituzione d'effigie avvenne an-
che in tempi ben più remoti della numismatica romana e
ne troviamo esempi fino dal principio dell'impero. Appena
eletto un nuovo imperatore, la zecca incominciava la co-
niazione delle sue monete. Sia che la mano degli ar-
tisti avesse difficoltà a scostarsi dalle effigi che da lungo
tempo era avvezza a incidere ; sia che il ritratto del
nuovo principe non arrivasse proprio immediatamente il
giorno dell'elezione, noi troviamo bene spesso che le prime
monete di un imperatore portano ancora l'effigie dell'impe-
ratore antecedente. Per citare solo gli esempi più comuni,
noi troviamo le prime monete di Vitellio colla testa di Ot-
tone, le prime di Vespasiano colle teste di Ottone e di Vi-
tellio, e questo vuol dire che le nuove effigi non erano an-
cora pervenute alla officina monetaria. Lo stesso fenomeno,
per l'altra causa dell'abitudine degli incisori troviamo nelle
monete postume, le quali portano sempre nelle effigi il ri-
cordo dell'imperatore regnante. Le monete coniate al nome
di Augusto sotto Claudio e Caligola portano sempre una
effigie di Augusto che richiama qualche cosa dei tratti di
questi imperatori; e tutte le monete di consacrazione risen-
tono sempre qualche cosa delle fisionomie degli imperatori
che le fecero coniare. La splendida serie delle restituzioni
di Traiano è l'esempio più evidente.
BIBLIOGRAFIA 107
Nelle effigi dei diversi imperatori restituiti i tratti ca
ratteristici di Traiano fanno sempre capolino; tutti i prin-
cipi restituiti sono, per così dire, veduti e riprodotti attra
verso la fisionomia di Traiano.
In nessuna epoca però tale fenomeno fu tanto intensi-
ficato quanto in quella della tetrarchia, quando non si trat-
tava più dell'unica zecca di Roma, ma delle numerose zecche
sparse in tutto l'impero. E qui è specialmente il primo dei
casi accennati che si verifica. Durante il periodo che impie-
gavano le effigi di un nuovo Cesare o di un nuovo Augusto
ad arrivare, le zecche iniziavano la coniazione delle sue mo-
nete, incidendo tale e quale l'effigie in corso e mutandovi
solo la leggenda.
Il nostro autore va un passo più in là; ma in questo
non lo posso assolutamente seguire. Egli afferma che si ado-
peravano i comi in corso, lasciando intatta l'effigie e cam-
biandovi solo la leggenda del diritto. Questo è presto detto;
ma in pratica si può fare ? Interrogate qualsiasi incisore e
vi dirà di no. Ma del resto non è necessario ammettere
questo caso impossibile per provare le numerose sconcor-
danze delle teste colle leggende e l'enorme confusione d'ef-
figi avvenuta in quel tempo. Bastano i fatti che abbiamo
accennati.
Ora la grande questione sta nello scernere fra le molte
effigi la vera di ciascun imperatore e l'autore vi riesce con
soddisfazione, fra le monete disposte cronologicamente e per
ordine di zecca, scegliendo quelle uscite dalle zecche ap-
partenenti in proprio almeno da qualche mese a un dato
imperatore e coniate al suo nome. Parecchie tavole dimo
strano il felice risultato della razionale teoria il quale, se non
si può dire matematico, si accosta però moltissimo alla
verità.
Alla parte iconografica seguono le descrizioni delle mo-
nete in ordine cronologico di ciascuna zecca. Sono le me-
desime descrizioni pubblicate nelle diverse riviste, in gran
parte rifuse, corrette, aumentate di quanto apparve poste-
riormente alla prima pubblicazione. E qui, per notare anche
qualche lieve difetto in un lavoro che ora può dirsi defini-
tivo, dirò che forse di quanto i diversi periodici pubblicarono
I08 MIBLIOGRAFIA
in questi ultimi tempi qualche cosa all'autore è sfuggito (i),
qualche moneta venne male interpretata ( 2 ), e qualche altra
venne presa come base d'autorità, mentre un evidente ri-
tocco la doveva escludere (3).
Ma qualche lieve inesattezza, qualche piccola dimenti-
canza sono facilmente perdonabili in un lavoro di lena e di
importanza come quello che stiamo esaminando, il quale non
è finito con questo grosso volume, ma sarà seguito da un
secondo.
Quello ora apparso contiene la descrizione delle monete
emesse dalle zecche di Roma, Ostia, Aquilea, Cartagine e
Treviri. Seguiranno poi le altre che erano a disposizione
dei Costantini... e fra queste l'autore accenna ripetutamente
anche a quella di Tarragona... il che dimostra che egli ap-
partiene ancora alla scuola che diremo austriaca, rifiutando
la nuova teoria italiana che a Tarragona sostituì Ticinum.
Non è certo qui il caso di riaprire la discussione su questo
argomento ; le ragioni da una parte e dall'altra furono dette
e ripetute ad satietatem. Ma la questione sarà certamente
riassunta dall'autore a tempo opportuno, e noi aspettiamo
con grande interesse di conoscere le ragioni antiche o nuove
che inducono l'autore ad assegnare una patria spagnuola a
monete che, secondo il nostro modo di vedere, debbono es-
sere italiane, e a riconoscere sulla sigla T o TI piuttosto Tar-
raco che Ticinum.
F. Gnecchi.
(i) Nella prima emissione della zecca d'Aquilea viene omesso il
rovescio SACRA MONETA AVGG ET CAESS NOSTR di Ga-
leno e Costanzo Augusti, riportato da Cohen, Monti e 1. affranchi e
Voetter. Della medesima zecca d'Aquilea a pag. 297 298 sono omesse
parecchie varietà del rovescio VIRTVS AVGG ET CAESS N N
coli' imperatore a cavallo a destra combattente contro parecchi nemici,
fatte conoscere dal Laffranchi e quello coll'imperatore a sinistra com-
battente contro quattro nemici, pubblicata dallo scrivente. E pure omesso
il nome di Valeria Galeria alla zecca d'Aquilea.
(2) La moneta del Divo Costantino, tav. XVIII, n. 19, non ha al-
l'esergo R P bensì T R P ; e quindi non è della zecca di Roma bensì
di quella di Treviri.
(3) 11 medaglione di Massimino (pag. 70 e tav. VI, n. 4) è comple-
tamente rifatto al rovescio. Le lettere A C che attualmente vi si leg-
gono all'esergo sono una evidente alterazione di A Q, e il medaglione
è quindi proveniente dalla zecca di Aquilea e non da quelle di Cizico.
BIBLIOGRAFIA IOg
Fritze (Hans voti), Gaebler (Hugo). Nomisma. — Unler-
suchwigen auf don Geòide der antiken Mi'mzkunde.
Di questa pubblicazione periodica, molto interessante ed
unica nel suo genere per la numismatica classica, sono usciti
finora, per quanto ci consta, due fascicoli, distinti pel conte-
nuto, per la forma e veste tipografica, nei quali i due illustri
autori hanno cercato arditamente di porre le trattazioni nu-
mismatiche all'altezza e al grado di considerazione editoriale
che hanno di solito solo i lavori di archeologia e d'arte. La
ditta Mayer & Muller di Berlino non è rimasta in questo
inferiore alla sua fama, anche per la cura con la quale fu-
rono eseguite le tavole.
Il primo fascicolo, edito nel 1907 e dedicato al 70" anni-
versario della nascita di Imhoof-Blumer, contiene:
H. von Fritze : Sestos, Die Menas-lnschrift und das
Mùnzwesen der Stadi (con una tavola) ; H. von Fritze und
H. Gaebi.er : Terina (con una tavola) ; H. Gaebler : Beroia
(con una tavola).
Il secondo fascicolo, edito nel 1908, contiene :
F. Imhoof-Blumer: Die Amazonen auf griechischen Mini-
zen (con due tavole); H. von Fritze: Asklepiosstatuen in Per-
gatnon (con una tavola); Idem: Nochmals das " Corpus nu-
morum „.
Nel lavoro intorno a Sestos l'A. unisce allo studio delle
monete il confronto di un decreto finora trascurato dagli
eruditi in onore di Menas, figlio di Menes, che contiene
allusioni alla coniazione della città. Egli stabilisce che
Sestos si presenta nel periodo 160-120 av. Cr. , cioè al
tempo fra Attalo I e Attalo III, città autonoma con diritto
di zecca per decreto pubblico, la quale conia in onore dei
re di Pergamo, che le concessero il diritto di coniazione con
la concessione dell'autonomia. L'autore studia poi attentamente
i tipi e le successioni dei tipi sulle monete antiche di Sestos.
Nel lavoro su Terina, fatto in collaborazione con Hugo Gae-
bler, il von Fritze discute gli argomenti e le conclusioni
messe innanzi dal eh. dott. Regling nella sua monografia su
Terina. Il Gaebler poi, nel lavoro Beroia, fa un po' più di
luce su questa metropoli macedonica, poco nota per quel che
riguarda la sua monetazione.
BIBLIOGRAFIA
Importantissimo, anche pei suoi riferimenti archeologici
e per le relazioni con la storia della scultura greca, è il lavoro
intorno alle Amazzoni sulle monete greche, trattato magi-
stralmente, come sa fare Imhoof-Blumer. Non meno interes-
sante la trattazione che il eh. von Fritze fa della figura di
Asclepios sulle monete di Pergamo, distinguendovi tre classi
di tipi, quella dell'Asclepios phyromachos, l'altra del dio in
piedi sulle monete imperiali, e la terza di Asclepios seduto
in trono.
Le osservazioni che il von Fritze aggiunge intorno al-
l'opera colossale del Corpus numorum, di cui Gaebler di
Berlino e Pick di Gotha pubblicarono il primo fascicolo del
terzo volume delle Nordgriechische Mi'tnzen, chiudono il se-
condo fascicolo. Le pagine del von Fritze sono scritte per
confutare alcune obiezioni dello Strack, facendo rilevare le
difficoltà, ma anche i vantaggi di un lavoro, che non ha di
mira la illustrazione numismatica di una sola città e in un
sol periodo, ma la trattazione generale dell'argomento pre-
fisso per tutte le città di quella regione e in vari periodi
storici della loro monetazione.
S. Ricci.
Mann ucci (Umberto). La moneta e la falsa monetazione.
— Milano, Hoepli, 1908.
Questo giovane valente, dell'amministrazione metrica e
del saggio delle monete e dei metalli preziosi, ci dà in que-
sto Manuale Hoepli, uscito 1' anno scorso, un trattato abba-
stanza completo, e interessantissimo per l'argomento, intorno
alla moneta e ai mezzi di falsificarla. Il manuale quindi ri-
mane diviso in due parti, la prima riguarda la moneta, ed è
divisa in ben ventun capitoli ; la seconda tratta della falsa
monetazione, ed è distribuita in dodici capitoli.
Non dovendo comporre un vero e proprio trattato della
moneta nell' antichità e nella storia, l'autore sorvola breve-
mente sulle basi monetarie nell'antichità, sui cenni storici e
artistici, insistendo invece sulla fabbricazione delle monete,
dai rudimentali modi antichi al primo bilanciere di Aubry, al
torchio monetario Boulton-Watt e ai processi recenti. Spe-
BIBLIOGRAFIA IH
cialmente importanti, perchè colmano una lacuna nella serie
dei manuali Hoepli, sono i capitoli che trattano del valore
legale ed effettivo delle monete e dei sistemi monetari in
uso presso gli Stati principali. Anzi, nei capitoli VI-X l'A.
svolge la materia tecnica con competenza, parlando dei me-
talli monetizzabili e monetizzati, della scelta nella forma e
dimensione delle monete, del logoro che presentano, della
tolleranza di titolo e di peso nei rapporti con le principali
leghe adoperate nella monetazione; infine della vera e pro-
pria coniatura, con la relativa incisione dei coni, dopo la ta-
gliatura e taratura dei tondelli.
A questo punto il Mannucci passa a considerare la mo-
neta sotto un altro aspetto, non più in quanto si fabbrica,
ma in quanto circola, e in quanto deve essere sottoposta al
saggio per il controllo del peso e del valore, finendo coll'e-
same del saggio spettrometrico delle monete, rilevando la
necessità da parte della numismatica di uno studio, che sa-
rebbe pure interessantissimo, cioè delle leghe prescelte fin
dall'antichità per la moneta.
Dò la parola allo stesso Mannucci, perchè meglio non
potrei dire fpag. 162-163): " Di molte monete antiche si co-
nosce la composizione quantitativa, ma questo per indagini
speciali ed isolate fatte in diversi tempi, senza che esse pre-
sentino un carattere continuativo e di ricerche direttamente
condotte a tale studio.
* A parte l'importanza che avrebbe di per se stessa la
determinazione analitica delle antiche monete, tale determi-
nazione potrebbe essere mofto utile in vari casi circa la dub-
bia falsità di una moneta.
" Una difficoltà non lieve per il raccoglitore e per il
numismatico è quella di sapersi guardare dalle falsificazioni,
che, come si vedrà, costituiscono un'industria molto lucrosa
per chi vi si dedica.
" Data l'esecuzione deficiente, specie per quanto riguarda
il mezzo di coniazione delle monete antiche, e tanto più nel
caso di antiche monete che venivano ottenute per fusione in
112 BIBLIOGRAFIA
stampi di terre speciali, spesso le falsificazioni non sono per
nulla inferiori esteriormente alle monete legali.
" Inoltre, esteriormente, sono spesso benissimo imitate
mediante speciali procedimenti, atti a dare alle monete quel-
l'aspetto di vecchio e di antico. Tanto più, quindi, bisogna
guardarsi, trattandosi di monete molto rare, e quindi di
molto valore.
" In taluni casi, per quanto s'è detto, dal carattere este-
riore non è possibile pronunciarsi con sicurezza circa 1' au-
tenticità di una moneta, e per questo sarebbe molto utile per
ulteriori indagini conoscere quale composizione dovrebbe
avere tale moneta autentica.
" È pur vero che, nella più parte dei casi di dubbio di
falsità, non sarebbe possibile eseguire un vero e proprio sag-
gio, poiché la moneta andrebbe più o meno deformata, ed
un saggio potrebbe tutt'al più essere eseguito nel solo caso
di più esemplari di una sola moneta; ciò non di meno, la
sola ricerca qualitativa della lega componente potrebbe suf-
ficientemente indiziare, e questa potrebbe essere compiuta
senza apportare sensibili deformazioni.
" È quindi da ritenere che, a parte 1' interesse che po-
trebbe avere di per sé stesso il saggio delle antiche monete,
esso potrebbe costituire un sussidio molto importante alla nu-
mismatica, specialmente per quanto riguarda le falsificazioni. „
E più innanzi, dopo aver esaminato un denario falsificato
della Valeria, il Mannucci conclude (pag. 165):
" Altro dato molto importante per il numismatico sa-
rebbe lo stabilire il peso medio presentato oggi da ogni mo-
neta antica. Si potrebbe in conclusione, mediante uno studio
speciale condotto a questo riguardo, stabilire tutta una serie
di dati tecnici, di cui la numismatica ed il raccoglitore di
monete potrebbero trovare un grande ausilio per distinguere
le buone monete dalle false, e per garantire l'assoluta inte-
grità di un medagliere o d'una collezione antica „.
Tutta intera la trattazione della seconda parte del lavoro
del Mannucci non è che una conferma della necessità di
BIBLIOGRAFIA 113
quanto prima ho citato, e che raccomando ai giovani numi-
smatici, perchè credo possa molto giovare nello studio della
numismatica antica e medioevale. L'autore entra poi in que-
stioni tecniche, le quali non possono direttamente essere utili
ai numismatici, ma è bene siano anche da questi risapute. La
fabbricazione delle monete suberate, la doratura, l'argentatura
sono pure fatti riconosciuti anche dai numismatici, e non solo
sulle monete moderne: i caratteri speciali delle false monete
dovrebbero essere conosciuti da tutti.
Chiude bene il libro un augurio per l'avvenire, a cui dà
occasione l'istituzione della scuola italiana per l'arte della
medaglia, recentemente fondata presso la zecca di Roma, e
di cui il Mannucci aggiunge il Regolamento. Anch' egli si ri-
promette molto dal nuovo istituto per combattere la falsa mo-
netazione, ed io non posso che finire col suo voto, che è
quello di ogni buon italiano: " Sarebbe augurabile che, dopo
una lotta sapientemente condotta, le nazioni straniere potes-
sero esclamare a questo riguardo: Italia docet! „
S. Ricci.
Demole (Eugène). Numismatique de l'Evèché de Genève au
Xl me et XU me siècles. — Genève, 1908.
L'illustre conservatore del Gabinetto Numismatico di
Ginevra, già benemerito per la pubblicazione di due impor-
tanti volumi, che illustrano la zecca di quella città dal 1535
al 1848, pubblica ora in questa interessante operetta le mo-
nete dei Vescovi di Ginevra nell'undecimo e dodicesimo se-
colo. Poco o nulla si conosceva di queste monete fino alla
scoperta del tesoro di Pas-de-1'Kchelle, avvenuta nel 1892, e
illustrata negli anni 1893 e 1894 dal Sig. Augusto Ladé nella
Revue Sitisse de Numismatique. L'illustre Autore, avendo
potuto acquistare buon numero di monete provenienti da
quel ripostiglio per il Gabinetto Num. di Ginevra, all'atto
di classificarle, si avvide che l'illustrazione datane dal Ladé
richiedeva molte rettifiche ed aggiunte, e si decise a rifare
quel lavoro, unendovi altre monete vescovili custodite in
quel Gabinetto e provenienti da doni e da depositi.
'5
114 BIBLIOGRAFIA
Questa sua nuova pubblicazione riassume, dunque, tutto
quanto si conosce fino ad oggi intorno alle monete del Ve-
scovado di Ginevra.
L'illustrazione è preceduta da due capitoli: il primo riguarda
la classificazione dei tipi principali, i pesi e i titoli di queste
monete ; il secondo la storia dei Vescovi di Ginevra dal 1031
al 1135. Segue poi la minuta e diligente descrizione delle mo-
nete dei Vescovi: Federico (circa 1032-1073); Guido di Fau-
cigny (circa 1078-1120), e Umberto de Grammont (circa 1120-
1135), accompagnata da numerosi disegni nel testo.
Questo interessante lavoro è comparso nel Tomo XXXI
delle Mémoires et documents publiés par la Société d'histoire
et d'archeologie de Genève.
E. G.
Calleja Schembri (li.). Coins andmedals of the Knights 0/
Malta. — Londra, 1908.
E uno splendido volume in-8° di 260 pagine, dedicato
al Gran Maestro del Sovrano Ordine di Malta, il principe
Galeazzo De Thun-Hoenstein.
Premesse alcune pagine sull'origine dell'Ordine dei cava-
lieri di S. Giovanni e sulle monete e medaglie da esso coniate,
e la spiegazione delle epigrafi, dei motti e delle leggende,
l'autore si ristringe a trattare solo delle monete che riguar-
dano l'isola di Malta dal 1530, quando l'isola fu da Carlo V
donata all'Ordine Gerosolimitano, fino ai nostri giorni.
L'opera è divisa in tre parti. Nella prima si tratta delle
monete coniate in Malta dal 1530 al 1722, anno in cui il si-
stema monetario fu totalmente mutato dal Gran Maestro
De Vilhena; nella seconda, di quelle coniate fino al 1798,
quando l'isola fu da Napoleone tolta ai Cavalieri; nella terza
si tratta delle medaglie. Sono aggiunte: un'appendice de' do-
cumenti storici ; varie tavole dei valori comparativi e venali
delle monete e delle medaglie, e la cronologia dei Grandi
Maestri dell'Ordine, dei quali sono sparse nel testo molte
notizie a schiarimento delle monete e delle medaglie.
Le monete sono descritte minutamente, e rappresentate
con illustrazioni finissime, in numerose tavole, onde ne viene
BIBLIOGRAFIA II5
grandemente agevolato lo studio, e di ciascuna è notata la
maggiore o minor rarità. Non tutte portano il nome del Gran
Maestro sotto cui furono coniate; ma colle leggende riportate
dal canonico Schembri si può facilmente classificarle. L'im-
portanza di quest'opera dal Iato numismatico appare sempre
meglio, se si considera che l'autore estese le sue investiga-
zioni, oltre a varie collezioni private, alla raccolta della casa
generalizia dell'Ordine in Roma, ed ai copiosi musei di Malta,
Londra, Parigi e Napoli.
A. V.
Foville (Jean de). Pisanello et les Médailleurs italiens. —
Parigi, 1908.
Un volumetto della serie " Les Grands Artistes „ il
de Foville dedica al padre della medaglistica. Nato a Ve-
rona nel 1397 da padre pisano e detto perciò Pisanello,
Vittore (o Antonio come forse si chiamava), si dedicò alla
pittura e contribuì al sorgere e al formarsi dell'arte veneta.
Parecchi dei suoi capolavori ci rimangono ancora ad attestare
la perizia del rivale di Gentile da Fabriano; mail suo nome
è particolarmente insigne come medaglista. Vu nel 1438 che
comparve la sua prima medaglia col ritratto di Giovanni VII
Paleologo, e questa segnò un'era nuova in un ramo dell'arte
scultoria. Affatto differente dalle antiche monete coniate, la
nuova medaglia fusa si presentava come qualche cosa di as
solutamente nuovo, e nasce si può dire addirittura perfetta,
tanto che, per quanto il Pisanello abbia avuto distintissimi
seguaci, le sue medaglie rimangono sempre fra quelle di
primissimo ordine e fra le più desiderate dai buongustai del-
l'arte italiana.
Il de Foville nella sua monografia fa ben risaltare l'ori-
gine della medaglia e il valore del pittore-medaglista, e alle
notizie speciali sul Pisanello fa seguire un rapido cenno dei
migliori medaglisti italiani nei secoli XV, XVI e XVII.
L'opera è arricchita da molte incisioni riproducenti i
più noti capolavori del Pisanello.
F. G.
IIÓ BIBLIOGRAFIA
Rizzoli (Luigi). I sigilli nel Museo Bottacin di Padova:
Voi. II (sec. XVII-XIX). Padova, Stabilimento della So-
cietà Cooperativa Tipografica, 1908, pag. 157, con tavole
illustrative n. 7, un'appendice e 2 incisioni nel testo.
Con la consueta nitidezza e diligenza si presenta, in
veste anche artistica, il secondo volume dei sigilli della rac-
colta Bottacin presso il Civico Museo di Padova, non meno
interessante del primo e dovuto alle cure del Conservatore
della Raccolta, prof. Luigi Rizzoli jun., libero docente alla
R. Università di Padova di sfragistica e numismatica.
Come il titolo dichiara, i sigilli illustrati in questo se-
condo volume appartengono ai secoli XVII-XIX; solo nove
di essi appartengono ai secoli XIV-XVI, periodo trattato col
secolo XIII nel volume precedente.
Il numero totale dei sigilli, formanti la collezione sfragi-
stica del Museo Bottacin risulta di 714, che illustrano sei secoli
di storia italiana, e sono distribuiti nelle cinque serie : veneta,
padovana, italiana, napoleonica, dell'indipendenza italiana.
Dei secoli anteriori al secolo XIII ve ne sono solo due nella
serie italiana, del secolo XIII quattro nella padovana e dieci
nella italiana, del secolo XIV veneti 12, padovani 19, italiani
43; i due secoli susseguenti sono rappresentati da ben 94
sigilli; 18 veneti, 29 padovani e 47 italiani. Il maggior nu-
mero, naturalmente, rappresenta i secoli XVII-XIX, poiché vi
si aggiunge l'epopea napoleonica e quella della indipendenza
italiana, e di questi secoli la raccolta contiene 530 sigilli, di
cui 51 appartengono alla serie veneta, a quella padovana
ben 318, a quella delle altre provincie italiane 82, mentre la
serie napoleonica è rappresentata da 62 sigilli, quella della
indipendenza nazionale da 17. Le due serie più ricche sono
quella locale padovana, con 370 sigilli, e quella così detta
italiana con 184.
Nelle tavole sono riprodotti solo i sigilli tipari migliori,
mentre i sigilli-impronte sono intercalati nel testo, il quale
s'indugia a descrivere con molti particolari solamente i pochi
sigilli di primaria importanza, degni di un' illustrazione spe-
ciale. Il Rizzoli avvisa che diede deliberatamente le imma-
gini negative dei sigilli, come sono i tipari originali posseduti
bibliografia ri-
dai Museo, perchè il loro studio riuscisse utile agli incisori,
e conclude la prefazione rilevando che l'esame critico dello
stile e dell'arte di ciascun sigillo gli rese possibile " di fis-
sare soltanto, senza conoscere nella pluralità dei casi il per-
sonaggio o la istituzione cui il sigillo apparteneva, il secolo
nel quale il sigillo stesso era stato eseguito. Per giungere a
conclusioni sicure circa gli artisti o le botteghe, che i sigilli
eseguirono, non sono sufficienti, sebben numerosi, i sigilli che
il Museo Bottacin conserva „.
Auguriamo quindi che il dott. Rizzoli, tanto competente
in materia, possa in avvenire pubblicare anche tutto il mate-
riale sfragistico che giace ignorato finora in molte altre col-
lezioni pubbliche e private.
S. Ricci.
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smatique. Proces-verbaux du cornile. — Bibltothèque, ouvrages recus. —
Annonces.
Seconde livraison, 1908. -Palézieux-Du Pan (M. De). Numismatique
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BIRUOr.RAFIA T25
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thermes d'Eburodiinum. — Nominations. — Trouvailles). — Bibliogra-
phie [Perini, Nelle zecche d'Italia. 3. Ivrea, ed altre sue pubblicazioni).
— Sociélé Suisse de numismatique. Extrait des proccs-verbaux du contile
Zeitschrift fiir Numismatik. Berlino.
XXVI Band, HefI VI, 1908. — Friedensburg. Dei- Fundvon Lttbnice. —
Weinmeister. Mttnzgeschichte der Grafschaft Holstein-Sclianenbiirg. —
Regisìer.
XXVII Band, Heft MI. — Haebkrlin (E. .(.). Die metrologisclien Grumi-
lagen der àllesten mittel-italischen Miinzsy>..« ........ il... .M.f
Achille Martelli, Gerente responsabile.
. t. .....«**♦«•*»»*•»«•* t. »»4***»««»*« »♦♦•♦«*♦♦• «♦••♦♦♦♦♦♦••m ......,,.. .....•„..!.. *••••*
FASCICOLO IL
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ROMANA
xeni.
ASSI IMPERIALI
A DUE DIRITTI O A DUE ROVESCI.
Nell'oro e nell'argento imperiale romano, come
nei medaglioni di bronzo, abbiamo una serie rego-
lare di pezzi a doppia testa, una per lato oppure a
tre e a quattro teste occupanti i due lati della mo-
neta. L'oro e l'argento incomincia coi triumvirati, i
medaglioni di bronzo cogli Antonini, e continuano,
per quanto non senza interruzioni, fino a Gallieno.
Nel bronzo invece una sola emissione fa riscontro
a quelle accennate, l'emissione di sesterzi e di assi
di Antonino Pio e M. Aurelio, la sola regolare, va-
riata e abbondante, la sola in cui sia chiaramente
indicato il diritto e il rovescio, essendo quest'ultimo
contrassegnato dalle lettere S C. Per tutti gli altri nomi
non ci troviamo di fronte ad emissioni regolari ; le
monete a due teste — quasi esclusivamente assi —
fanno la loro scarsa apparizione nel breve periodo che
corre da Tiberio a Commodo, e, per di più, oltre alle
teste accoppiate, ci offrono lo strano fenomeno del-
156 FRANCESCO GNECCHI
l'accoppiamento di due conii portanti la medesima
effigie.
Fu quest'ultima specialità che attirò la mia at-
tenzione e che diede origine a questo appunto. Ben
pochi se ne occuparono finora, forse perchè la spie-
gazione abbastanza ovvia di ricordo, di commemo-
razione, di gloria famigliare che si dava delle prime
vi fece confondere anche queste, e la sola memoria
in argomento che io conosca, è quella pubblicata
nella Revue Numismatique del 1902 dal mio ottimo
amico R. Mowat W, nella quale la questione delle
monete a ripetizione è binata all'altra della divi-
sione del lavoro nelle officine monetarie di Roma.
L'autore accenna a Morelli e Havercamp come
i primi che abbiano avvertita l'esistenza di queste cu-
riose monete, collocandole fra le rare e giudicandole
errori degli zecchieri. Ci dà una serie descrittiva di
tutti gli esemplari oggi conosciuti, alla quale riman-
derò eventualmente il lettore, per non fare qui un
duplicato e finisce a spiegare le monete a ripetizione
d'effigie quali modelli di teste fatte dai primari ar-
tisti per gli allievi. « J'arrive ainsi à ne voir » con-
clude il Mowat « dans les spécimens de répétition
« que des essais de modèles spécialement créés par
« le maitre graveur pour l'usage des copistes char-
« gés de reproduire à profusion les coins dont il
« était fait une prodigeuse consommation dans la
« frappe ».
La conclusione del signor Mowat, non mi ha
mai completamente convinto e le obbiezioni più ovvie
che mi si presentavano erano le seguenti :
i.° — Nelle effigi di queste monete a ripeti-
zione non ho mai avvertito la mano del maestro,
(1) Les essais monétaires de répétition et la division du travail.
ASSI IMPERIALI A DUE DIRITTI O A DUE ROVESCI 157
« du maitre graveur » ; vi riconosco invece le effigi
comuni che troviamo in tutte le monete correnti ;
2. — Se si fosse trattato di modelli, pare si
sarebbe preferito il piombo o lo stagno. E, prescin-
dendo dal metallo, si sarebbe scelto un modulo spe-
ciale, differente da quello della moneta corrente, per
evitare che cadessero poi nella circolazione ; come
invece avvenne certamente, e ne è indubbia prova
lo stato di conservazione generalmente pessimo in
cui li troviamo ;
3. — Non si vede punto il motivo di coniare
due teste in un solo tondino, mentre chi le doveva
copiare non poteva servirsi che di una alla volta ;
4. — Infine poi. e questo è il punto più
grave, non avremmo alcuna spiegazione della scon-
cordanza di data che troviamo su parecchie di queste
monete, sconcordanza che talora è di un solo anno,
talora va fino a tre o quattro anni (0.
Se, malgrado queste obbiezioni, non presi mai
la parola in argomento, gli è che nulla di meglio
avevo a proporre ; e, se la prendo ora, è perchè il
caso mi ha suggerito una soluzione, che mi pare
più persuasiva.
Prima di tutto fra le monete a ripetizione d'ef-
figie, dobbiamo distinguere quelle che costituiscono
una serie da quelle che debbono ritenersi eccezionali.
Se dagli esemplari descritti dal Mowat togliamo
quattro denari (d'Augusto, Tiberio, Caracalla e Po-
stumo), due gran bronzi (di Lucio Vero e Postumo)
e due piccoli bronzi (di Tetrico), tutto il rimanente
(i) Su di un medio bronzo d'Antonino Pio abbiamo da un lato
TR PXXV, dall'altro XXVIII.
158 FRANCESCO GNECCH1
è costituito da una quarantina di medii bronzi, anzi
precisamente di assi, i quali soli possono quindi con-
siderarsi come una vera serie e vanno presi come
base di ragionamento, trascurando gli altri pochi
pezzi, i quali del resto non intralciano punto il mio
ragionamento e potrebbero essere compresi essi pure
nel medesimo ordine di idee che ora andrò espo-
nendo.
La serie degli assi si apre con Tiberio (Coh. 56),
poi continua con Nerone (Coh. 146, 147), Vespa-
siano (Coh. 404 a 406), Tito (Coh. 185), Domiziano
(Coh. 357), Trajano (Coh. 351), Adriano (Coh. 917 a
921, 932, suppl. 103 seconda ediz. 809), Antonino
Pio (Coh. 487, suppl. 55 e 56, sec. ediz. 57), Fau-
stina madre (Coh. suppl. 24), M. Aurelio (Coh. 583,
584), Faustina juniore (Coh. 159), L. Vero (Coh. 242),
Lucilla (Coh. 67) e finiscono con Commodo (Coh. 471,
547. 577. 613 e sec. ediz. 223).
Tutti questi assi ripetono con o senza varianti
la testa o il busto di un principe con relativa leg-
genda, vale a dire sono formati da due diritti ac-
coppiati.
E io non avrei mai veduto nulla in tali monete
al di là di una smentita al proverbio che ogni me-
daglia ha il suo rovescio se, a sollevare il velo del
mistero, non mi fosse capitato sott'occhio un asse di
Trajano, che, mi veniva inviato da un corrispondente
estero come appartenente a questa categoria, ma
nel quale ben presto mi avvidi di un particolare
assai significativo e che per concatenazione d'idee
mi condusse a quella che intendo sottoporre agli
amici.
L'asse porta da un lato la testa di Trajano
colla solita leggenda IMP CAES NERVAE TRAIANO AVG
GER DAC PMTRP COS V P P ed offre al rovescio il
busto quasi a mezza figura di Trajano stesso, ma
ASSI IMPERIALI A DUE DIRITTI O A DUE ROVESCI I59
colla leggenda — ecco il particolare significativo —
S P Q R OPTIMO PRINCIPI.
Questa leggenda m'avvertì immediatamente che
non si trattava più di due diritti accoppiati, ma di
una moneta regolare con diritto e rovescio; e la cui
spiegazione non era punto difficile. Il busto del ro-
vescio qui non è più una seconda effigie dell' impe-
ratore, non è cioè una replica per quanto variata,
del diritto; ma invece è la riproduzione di un busto
a lui dedicato o di parte di una statua a lui eretta.
In nessun altro modo si potrebbe giustificare la leg-
genda SPQR OPTIMO principi tanto comune nei ro-
vesci di Trajano. Aggiungerò poi che la figura a
mezzo busto, il paludamento, la fisionomia stessa, che
non è il ritratto reale di Trajano, come la vediamo
al diritto; ma ne presenta le fattezze alquanto idealiz-
zate, quali ci appajono sulle sue monete postume,
sono altrettanti elementi che contribuiscono a corro-
borare l' ipotesi (').
La somiglianza dunque di questo asse con quelli
a ripetizione d'effigie non è che apparente, mentre
sostanziale è la differenza. Malgrado ciò, il passo
(1) La moneta non era sconosciuta. Lo era però a me e fu solo
dopo aver trovato il mio esemplare che ne ricercai e ne ritrovai la de-
scrizione nel Cohen. Questi però vi aggiunge erroneamente le lettere
S C che non esistono nell'esemplare citato dal Gabinetto di Parigi,
come non esistono nel mio. Si tratta dunque di un unico tipo di emis-
sione imperatoria.
léo FRANCESCO GNECCHI
dall'uno agli altri è forse più breve di quanto po-
trebbe sembrare a prima vista. L'asse riproducente
parte d'una statua a Trajano fu certamente emesso
in occasione dell' inaugurazione, insieme alle altre
monete d'oro, d'argento e di bronzo riproducenti la
statua intera. Da questo ravvicinamento mi nacque
l' idea che alla grande coniazione commemorativa in
tutti i metalli, allo scopo di diffondere maggiormente
e più visibilmente nel popolo e, direi quasi, a inten-
sificare il nome imperiale e l'effigie dell' imperatore,
se ne aggiungesse una supplementare e occasionale
cogli assi a ripetizione d'effìgie. Dedicata esclusiva-
mente al popolo, questa coniazione, che chiamerei
estemporanea, era eseguita nel modulo più popolare,
l'asse, e, mancando il tempo d'apprestare conii spe-
ciali, si usufruivano quelli dei diritti delle monete in
corso che si avevano alla mano, fossero essi recenti
o anche vecchi e stanchi; si accoppiavano a caso,
non badando neppure alla corrispondenza delle date,
e si battevano senza molta cura, come spesso ap-
pare dagli esemplari rimasti i quali per la maggior
parte tradiscono la fabbricazione affrettata e scadente.
Le due emissioni, l'aristocratica e la popolare, affini
nell'origine e nello scopo, per quanto perfettamente
distinte, verrebbero così a collegarsi, e la seconda
troverebbe nella prima la sua naturale spiegazione.
L'emissione popolare però non dovrebbe rite-
nersi costituita unicamente dagli assi a ripetizione
d'effigie. Ve ne sono altri che si possono ritenere
appartenenti alla stessa famiglia, e in primo luogo
intendo alludere a quelli a doppia ma diversa effigie.
Se questa specie è molto abbondante, come abbiamo
ASSI IMPERIALI A DUE DIRITTI O A DUE ROVESCI l6l
avvertito in principio, nell'oro e nell'argento, è ra-
rissima invece nelle piccole monete di bronzo, e,
brevissimo ne è l'elenco. Noi conosciamo di Vespa-
siano e Domiziano 2 tipi, Vespasiano, Tito e Domi-
ziano 1 tipo, Adriano e Sabina io tipi, Adriano
ed Elio 2 tipi, Antonino Pio e Adriano 2 tipi, An-
tonino Pio e Faustina madre 1 tipo, detto e Sabina
1 tipo, detto e Faustina juniore 1 tipo, M. Aurelio
e Faustina jun. 3 tipi, M. Aurelio e L. Vero 2 tipi,
Commodo e Faustina jun. 1 tipo W.
L'apparizione di questi assi segue il medesimo
corso degli assi a ripetizione d'effigi. Assai più scarsi
di quelli, rari o rarissimi per tutti i nomi, offrono
come quelli un'unica eccezione per l'epoca d'Adriano.
L'asse di Adriano e Sabina è il solo di cui qualche
esemplare si trova anche in collezioni minori, mentre
gli altri 16 tipi non sono generalmente conosciuti
che in unico esemplare, e parecchi anzi non sono
che ricordati dagli autori e quindi non meritano fede
completa.
Se a ciò aggiungiamo la mancanza delle lettere
S C, che il Senato vi avrebbe impresso se avesse
inteso di farne una emissione regolare come quella
d'Antonino e M. Aurelio, mi pare che ci siano tutti
gli elementi per parificarli agli assi a ripetizione di
effigie e aggregarli alla medesima famiglia.
Ma la famiglia non è ancora al suo completo.
Occorre che diciamo due parole anche sui pochi
assi costituiti da due rovesci, eguali o differenti. Le
due specie sono di estrema rarità, e il materiale di
(1) Naturalmente per le ragioni più su accennate si omette la serie
di Antonino Pio e M. Aurelio.
IÓ2 rRANCESCO GNECCHI
cui disponiamo è estremamente scarso ; tre tipi in
tutto, due delia prima specie, uno della seconda ;
ma torse sono sufficienti per la conclusione, cui in-
tendo arrivare.
Gli assi conosciuti a rovesci eguali non sono
che due, il primo con AEQVITAS AVGVST che pel tipo
e per la fabbrica si attribuisce a Vespasiano e il se-
condo con PIETAS e gli istromenti da sacrificio, che,
per analogia di rappresentazione, deve appartenere a
M. Aurelio. È inutile spendere molte parole su questi
due assi pei quali l'ordine d' idee esposte può cor-
rere senza obbiezione, supponendoli emessi in un
momento storico che ignoriamo, ma che possiamo
facilmente immaginare, sempre allo scopo di con-
correre a popolarizzare un dato avvenimento.
A rappresentare poi l'ultima specie, l'asse a due
rovesci differenti, non conosco che un unico tipo
rappresentato però — e questo è importante — da
due diversi esemplari.
Fino dal 1891 ho pubblicato 1 - 1 ) un medio bronzo
formato da due rovesci d'Adriano, ossia :
& — COS III P P S C Adriano galoppante a destra col
manto svolazzante e la lancia in resta (Coh. n. 755)-
R) — FELICITATI AVG COS III P P Trireme diretta a si-
nistra col pilota e i rematori (simile ai numeri
836872 di Cohen).
e diedi tale moneta come ibrida, ciò che equivaleva
a dire sbagliata.
Ma allora si trattava di un esemplare unico,
sporadico, isolato; ora invece il caso mi ha fatto im-
battere in un secondo esemplare dello stesso bronzo
prodotto però da due altri comi. 11 bis in idem mi
(1) Appunti di Num. Romana, n. LIV, in Rivista Hai. di Num., 1891.
ASSI IMPERIALI A DUE DIRITTI O A DUE ROVESCI 163
colpì. Uno sbaglio si poteva ammettere ; ma due
sbagli simili, rolla ripetizione dei medesimi tipi pro-
dotti da altri conii non sono ammissibili. Ritenni
quindi erronea la mia prima supposizione di moneta
ibrida senza pero trovarne per lungo tempo altra
più plausibile dt sostituirvi.
Associando ia questa moneta, che ormai, se-
condo ogni apparenza, fu coniata così perchè tale la
si voleva, colie precedenti, vedo che un nesso può
esistere fra loro e non mi pare improbabile che
anche quest'asse d'Adriano abbia avuto la medesima
origine degli altri e appoggi la tesi esposta. Nella
circostanza dell'inaugurazione d'un monumento eque-
-tre ad Adriano vennero coniate monete commemo-
rative d oro e d'argento coll'effigie d'Adriano al di-
ritto e la statua al rovescio; vennero pure coniati
numerosi assi a ripetizione d'effigie e probabilmente
anche quelli colle effigi dell'imperatore e dell'augu-
sta. E quando tutti i conii delle teste per la grande
tiratura furono resi inservibili, occorrendo altri pezzi,
si ricorse all'espediente di accoppiare due rovesci.
Venne quindi associato quello del monumento a quello
dell'Annona, rappresentata dalla trireme carica di
grano col motto FELICITATI AVG, che pure contribuiva
alla glorificazione dell'imperatore, e ne riuscì una
moneta che in certo modo aveva un diritto d'occa-
sione e un rovescio bene appropriato, che forse
l'Annona abbondante di quell'anno era realmente
stata l'origine o una delle cause del monumento, o
quanto meno, la si ricordava come un fatto felice.
Riassumendo quanto s'è andato dicendo, le quat-
tro specie di monete o meglio di assi formati :
a) da due diritti eguali
b) da due diritti differenti
e) da due rovesci eguali
d) da due rovesci differenti
164 FRANCESCO GNECCHI
resterebbero così onorevolmente riunite in una sola
famiglia di monete occasionali, popolari, coniate allo
scopo di diffondere, esaltare, magnificare l'idea pre-
dominante del momento, sia che si trattasse della
persona dell'imperatore oppure di un avvenimento
toccante la vita civile, militare, politica o religiosa
del popolo romano.
Naturalmente siamo nel campo molto libero del-
l' induzione ove è lecito alla fantasia di divagare.
Non so se agli altri la spiegazione parrà accettabile
come pare a me ; ad ogni modo sarà sempre mi-
gliore di quelle date finora e specialmente di quella
troppo comune e troppo comoda dell'errore.
Francesco Gnecchi.
CONTRIBUTIONS au CORPUS NDMORDM ROMANORDM
Médailles impériales romaines de la Collection
de C. Goubastow (S. 1 Pétersbourg), non contenues
dans la 2. de édition de Cohen.
DIDE JVLIEN.
i. & — IMP-CÀES-MDIDIVLIAN AVG Sa tète lauree à
droite.
9 — CONCORD • • • MILIT • La Concorde de face, tenant
deux enseignes. Denier Arg.
La Collection du Prince Windischgratz possedè cette variété du
n. a de Cohen (v. son Catalogue n. 1551), et elle se trouvait aussi dans
la collection Martinetti (v. le Catalogue de la vente des collection Mar-
tinetti et Nervegna, n. 2348). Notre pièce étant de très bonne conser-
vation, nous en donnons ici une reproduction.
ALEXANDRE SEVÈRE.
2. & — IMP CAES M- ÀVRSEV • ALEXANDER AVG- Son
buste laure, drapé et cuirassé à droite.
9 — P • M • TR • P • III COS • P • P • La Sante assise à gau-
che nourissant un serpent enroulé autour d'un
autel et appuyant le coude gauche sur son siège
(an 224). Or.
Cohen donne la méme médaille (n. 255) en argent, mais sur la pièce
d'or le siège est beaucoup plus large.
Achetée à Fischer de Vienne (v. son Catalogue, XI, 1904, n. 1339).
IÓ6 CONSTANTIN GOUBASTOW
GORDIEN III.
3. B' — IMP • GORDIÀNVS PIVS FEL • AVG • Son buste radié
à droite.
R) — LIBERÀLITAS AVG • III ■ La Liberté debout tient une
tessere et une sìmple come d'abondance (an. 242).
Anton. Arg.
Chez Cohen, n. 142, la déesse tient une doublé come d'abondance.
HOSTILIEN.
4. & — IMP • C • MES • QVINTVS AVG- • Sa tète radié à droite.
^ — PIETAS AVGG • Mercure debout à gauche tenant
une bourse et un caducée. Anton. Arg.
La legende du droit se trouve une seule fois dans les 71 differente
:ypes des monnaies d'Hostilien décrites par Cohen.
OTAC1LIA SEVERA.
5. & — M • OTACIL • SEVERA AV& • Son buste diademé (sans
croissant) à droite.
I# — CONCORDIA AVGG • La Concorde assise à gauche
tenant une patere et une simple come d'abon-
dance. Anton. Arg.
Chez Cohen, n. 3. La Concorde tient une doublé come d'abondance.
DIOCLETIEN.
6. i& — DIOCLETIANVS AVG- Sa tète lauree à droite.
9 — VIRTVS MILITVM • Porte de camp surmontée de 4
tourelles et 4 soldats devant sacrifiant sur un
trepied. À l'exergue SIS. Arg.
Chez Cohen, les pièces avec la méme agende (n. 519-522) n'ont
pas de soldats sacriti? nts.
CONTRIBUTIONS Ali CORPUS NUMORUM ROMANORUM
167
MAXIMIEN HERCVLE.
7. £>' — MÀXIMIÀNVS AVG • Sa tète lauree a droite.
£l — VICTORIAE SÀRMATCAE- P erte de camp avec ies
battaiits ouverts, surmontée de 4 tourelles et une
étoile audessus d». la porle. A l'oxergue SMNT.
Arg.
Chez Cohen, n. 553; l'aspect du mur et la forme des tourelles sont
autres, et il n'y a pas d'étoile.
CONSTANTIN LE GRAND.
8. & - - CONSTANTINVS AVG- ■ Son buste casqué et cuirassé
à droite.
Ri - BEATA TRANQVILITAS • Autel surmonté d'un globe,
audessus 3 étoiles, sur l'autel VOT XX, à l'exer-
gue STR. P. Br.
Cohen dit que toutes les pièces avec ce revers portent a l'exergue
les lettres PLON (Cohen, n. 20).
9. & — |MP • CONSTANTINVS AVG • Son buste cuirassé à
gauche avec un casque surmonté d'un cimier,
tenant une haste.
9 1 — VICTORIAE LAETAE PRINC PERP • Deux Victoires
debout posant un bouclier sur un cippe et écri-
vant VOT X, à l'exergue TSIS. P. Br.
Cohen, n. 643, ne donne cette pièce qu'en billon et avec Ies lettres
PTR à l'exergue.
CONSTANTIN II.
io. & — Sans legende. Téte diademée de Constantin II
à droite.
168 CONSTANTIN GOUBASTOW
$ — CONSTANTINVS CAES • Victoire marchant à gau-
che et tenant une couronne et une palme. A
l'exergue CONS- Poids, 4, gr. 65. Or.
Chez Cohen la pièce avec la mème legende, n. 72, est en argent,
contient dans le champ IVI et à l'exergue CONSA.
JVLIEN II.
11. ì& — D • N IVLIANVS P • R • AVG • Son buste jeune dia-
demé et drapé à droite.
9 — VICTORIA D • D • N N • AVG • Victoire marchant à
gauche tenant une couronne et une palme. A
l'exergue LVG. Arg. 2
Chez Cohen, n. 58, FL ■ CL IVLIANVS P ■ P . AVG ■ Achetée
à Egger de Vienne (v. son Catalogue, XIII, n. 1569.
12. i& — D • N • FL • CL • IVLIANVS • P • F • AVG • Son buste
diademé, drapé, barbu à droite.
9 — VOT X • MVLT XX dans une couronne, à l'exer-
gue CP • A. Millim. 19. Arg. 1
Chez Cohen les mèmes 2 médailles, n. 148 et 149 sont du petit mo-
dule arg.* et n'ont pas à l'exergue les mèmes lettres.
AEL1A GALLA PLACID1A.
13. ,& — AEL-PLACIDIA AVG- Son buste diademé et drapé
à droite avec un collier et des boucles d'oreille.
$ — SALVS REIPVBLICAE • Victoire assise à droite sur
un siege, écrivant ^ sur un bouclier appuyé sur
une colonne crénélée. Une étoile à coté de l'exer-
gue S M A Q P. Mill. 24. M. Br.
Cette pièce a été déjà décrite et reproduite dans le n. 190 du
Monthly Numismatic Circular (1908).
CONSTANTIN GOUBASTOW.
ZECCHE E ZECCHIERI
DELLA
REAL CASA DI SAVOIA
Contributo all'opera del Promis
PREFAZIONE.
Il modesto lavoro mio intende di contribuire,
con accurate ricerche , alla magistrale opera del
Promis ed agli studi del Perrin; intende pure di pre-
sentare, nel tempo istesso, una succinta e piacevole
lettura sulla monetazione sabauda nel Piemonte e
nella Savoia.
L'opera del Promis. edita nel 1841, pur restando
il monumento più insigne degli studi nummari della
Real Casa di Savoia, è oggi alquanto invecchiata e
riconosciuta non priva di mende, di lacune, di false
interpretazioni. Tentò in parte supplirvi il Perrin con
appositi, importanti studi : ma in questi il compianto
Direttore del Museo di Chambery cadde egli pure
in errori di date e di fatto, mal leggendo le epigrafi
nummarie ed attribuendo ad es. monete d'argento,
con effigie di Emanuele Filiberto alla zecca di Pine-
rolo, che tacque per sempre dopo il 1418 e che perciò
non può aver coniate monete per detto Principe.
I70 RICCARDO ADALGISIO MARINI
Contributo adunque il mio di aggiunte e, in parte,
di correzioni ; ma perchè lo studioso avesse agio di
conoscere più facilmente le principali bellezze della
numismatica sabauda, pensai di condurre il lavoro
con metodo organico; vale a dire, presentarlo come
cosa nova, a chi, digiuno di tali cognizioni, non po-
tesse consultare il Promis — per la mole dell'opera —
ed il Perrin per la rarità delle sue edizioni.
Nella parte che riguarda i contrassegni, i tipi,
le leggende monetarie, mi proposi di spiegare i motti
principali e le imprese dei nostri Principi, secondo
gli ultimi risultati della critica storica.
Note e recensioni di numismatica sabauda furono
spesse volte pubblicate in questa Rivista: mai un
lavoro che nel suo complesso potesse darne ai di-
lettanti ed anche agli studiosi un'idea generale e pre-
cisa. Io non presumo tanto, ne il potrei; ma a questo
solo scopo intesi, di raccogliere in poche pagine la
parte storica e descrittiva della monetazione dei
Reali di Savoia, senza il qual studio, a poco giove-
rebbe per le menti colte la parte esclusivamente
pratica. Ne crederò di aver compiuta opera vana,
se me ne affidano la cordiale deferenza degli studiosi
e l'amore per me sacro alle patrie memorie.
Susa, Marzo 1909.
Dott. Riccardo Adalgisio Marini.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA I7I
CENNI PRELIMINARI
Oddone di Savoia, che per il matrimonio con
Adelaide, figlia di Olderico Manfredi II Conte di
Torino, fu l'origine della potenza della sua casa in
Italia, è il primo dei principi sabaudi al quale si
possa riconoscere il diritto di battere monete. Di
tal diritto, per altro, egli non deve essersi valso, a
causa delle continue contestazioni coi vescovi del
Delfinato. i quali mal vedevano che i feudatari delle
terre loro e delle finitime emettessero nuovi confi.
Alcuni denari di Aquabella sono menzionati negli
atti di quei tempi, secolo XI; ma i rari esemplari
che tuttora conservansi appartengono ai Vescovi
della Moriana: sul diritto è l'immagine di S. Gio-
vanni Battista, sul rovescio il monogramma A con
la leggenda Aquabella.
Parecchi studiosi — forse per troppo zelo —
vollero interpretare l'A per l'iniziale di Adelaide:
ipotesi questa assurda assai, poiché conte di Savoia
e signore della Moriana era Oddone ; ne possiamo
ammettere anche soltanto in via cavalleresca che il
fiero conte fosse tanto compiacente colla consorte e
tanto incurante dei proprii diritti feudali da permet-
tere che sulle monete si coniasse l'iniziale del nome
di Adelaide anziché del suo. E poi contro ogni so-
fisticheria in proposito sta il fatto che i danari aqua-
bellesi coll'A esistevano già prima del matrimonio di
Oddone, ritrovandosene cenni in documenti del 1029
e 1030. L'A non é che l'iniziale della città di Aqua-
1^2 RICCARDO ADALGISIO MARINI
bella la cui officina era ancor attiva sotto Pietro I
e Amedeo II, come lo dimostra una vendita di ter-
reni compiutasi nel 1080 a S.' Andre per Aquabel-
lensium denariorum CX solidos.
Umberto II (1075- 1 103) apre l'officina di Susa,
i cui denari colla leggenda Secusia son menzionati
nel 1098 per la prima volta. Amedeo III (1103-1148)
batte in Susa con tipo che non permette dubbio tra
le sue monete e quelle di Amedeo IV. I denari di
Umberto III (1148-1189) con Secusia sono rarissimi,
benché il suo regno abbia durato più di quarant'anni,
come rarissimi sono quelli di Tommaso I (1189-1232)
che pur dovette battere molto in Susa e del quale
si conoscono a tutt'oggi due o tre esemplari. Ame-
deo IV (1232-1253) continuò a valersi dell'officina di
Susa, ma nel tempo istesso aprì quelle di Avigliana,
di Chambery, di San Maurizio d'Agauno, dove per
il primo coniò i famosi denari mauriziani. Dette of-
ficine conservarono Bonifacio (1253-1263), Pietro lì
(1263-1268) e Filippo I (1268-1285); di questi due
ultimi conosciamo pochissimi esemplari, mentre del
primo neppur uno ci venne tramandato.
Amedeo V (1285-1323) per parte della moglie
Sibilla acquistò la Bresse ed il Bugey, aperse la
zecca di San Sinforiano d'Ozon, continuando tuttavia
a battere nelle officine dei suoi predecessori. Rin-
forzò le monete sull'esempio di Filippo il Bello che
aveva precedentemente affievolite le sue per soppe-
rire alle spese di guerra contro gli inglesi ed i fiam-
minghi, guerra nella quale il Re era stato soccorso
dalle truppe savoiarde condotte dal figlio di Amedeo V
e suo successore, Edoardo.
Costui (1323 1329) battè assai nelle zecche sud-
dette, ma certi suoi oboli all' E sono di titolo molto
basso.
Aimone (1329-1343) coniò nelle antiche officine,
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 1 73
e ne aperse delle nuove quali Bourg, Pont d'Ain,
S.' Genix che batterono per lui al marco di Lione.
Il tipo delle sue monete si stacca assai da quello
dei predecessori ; sole, tra quelle dei Savoia, pre-
sentano una indicazione del rapporto del loro valore
relativo, per mezzo d'un certo numero di punti di-
sposti negli angoli di una croce tagliante il tondello
intero; ad es., l'obolo ha due punti, e due oboli
equivalgono al forte bianco a quattro punti ; tre forti
bianchi valgono il grosso dozzeno che ne ha dodici.
Amedeo VI (i 343-1 383) cedette San Sinforiano
alla Francia e perciò quest'officina cessò di lavorare
per i Savoia. S'oppose energicamente al diritto di
battere moneta usufruito dal conte di Ginevra, che
come suo vassallo non poteva più coniare senza la
sua esplicita autorizzazione. Emise per il primo le
monete d'oro, usando come tipo, i famosi lacci. Ab-
biamo fortunatamente numerose notizie sopra le sue
monete, le sue ordinanze, e i conti delle officine.
Sotto di lui, Carlo IV imperatore con lettere del
1363 avrebbe desiderato imporre alla Savoia e al
Delfinato tipi e leggende monetarie che ricordassero
la sua sovranità imperiale, divenuta puramente no-
minale ; ma la fierezza e l'orgoglio di Amedeo non
cedettero al desiderio del sire, e le monete sabaude
di quel tempo non portano traccia alcuna di servi-
lità o di vassallaggio.
Amedo VII (1383-1391), che prese parte alle
guerre di Fiandra, conducendo alla vittoria le truppe
di Carlo VI di Francia e che sotto le mura di Bour-
bourg sconfisse clamorosamente tre baroni inglesi
a singoiar tenzone, infuse nuova attività alle vecchie
zecche dei suoi predecessori ; stabilì come base mo-
netaria per i suoi dominii il fiorino di piccolo peso,
equivalente a 12 grossi ; il grosso ad otto forti ; la
moneta d'oro aumentò gradatamente di valore, sì
174 RICCARDO ADALGISIO MARINI
che il vecchio fiorino nel 1391 equivaleva a 13
grossi e ' „ e lo scudo d'oro di Savoia a 18 grossi.
Le piccole monete sì abbondanti e sì varie,
vennero ritirate all'emissione delle novelle ; le stra-
niere non ebbero più corso che sui confini dei suoi
stati ed il fiorino di 12 grossi divenne la moneta di
conto usuale. Battè in Susa, Avigliana, Chambery,
Pont d'Ain e Nyon, officina quest'ultima aperta dal
ramo di Vaud. Aprì pure una zecca ad Aix-les-Bains,
di cui conosciamo i monetieri soltanto per gli anni
1408 e 1414.
Amedeo Vili (1391-1451) ch'ebbe regno lunghis-
simo, ottenendo dall'imperatore Sigismondo nel 1416
l'erezione della Savoia in ducato, e che venne poi
anche sollevato alla tiara col nome di Felice V, mi-
gliorò assai la bontà e il titolo delle monete; ridusse
a due soli i mastri monelari generali, l'uno per la
Savoia, l'altro per il Piemonte, e perciò da lui co-
mincia la distinzione tra le monete di corso al di
qua e al di là dell'Alpi. Dopo questo principe il si-
stema monetario decadde a tal punto, che sotto Lu-
dovico (1451-1465) le monete furono inferiori a quelle
più basse emesse dal suo predecessore; Ludovico
coniò in Cornavin (Ginevra) e a Bourg.
Amedeo IX il Beato (1465-1472) e Filiberto I
(1472 1482) conservarono le stesse zecche, delle quali
noi conosciamo parecchie ordinanze. Con Carlo I
(1482 1490) abbiamo un'innovazione: per il primo tra
i duchi di Savoia egli imprime il proprio ritratto sulle
monete, inscrivendovi leggende tratte dalla sacra
scrittura. Filiberto II (1497-1504) apre la zecca di
Monluello dove batte soltanto monete di bassa lega.
Carlo li (1504- 1553), pur continuando nel sistema
dei bassi conii, possiede tuttavia una serie monetaria
importantissima. Sotto di lui lavorano le zecche di
Chambery, Cornavin, Bourg, Monluello, che vanno
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA I75
a mano a mano perdendo importanza, poiché l'offi-
cina di Torino prende ormai il sopravvento.
Emanuele Filiberto (1553-1580), il vero restaura-
tore della dinastia sabauda, in mezzo agli sforzi per
riorganizzare ogni servizio dello stato, non dimentica
la monetazione. Il corso del denaro ch'era declinato
meschinamente dopo la morte di Amedeo Vili, va
a poco a poco, per opera sua, rialzandosi. Nel 1559
riapre le zecche di Chambery e di Bourg per pro-
curare nuove monete buone in cambio di quelle al-
quanto consunte che venivano ritirate. La lira d'ar-
gento fu di 20 soldi grossi di Savoia, quella d'Aosta
di 240 denari ; coniò scudi da 3 lire in argento, da
9 e 27 lire in oro.
Carlo Emanuele I (1580 1630) battè in Chambery,
Bourg e Gex nei primi anni del suo regno; poi
dopo la cessione della Bresse. del Bugey, del Val-
romey e di Gex alla Francia, l'officina di Chambery
venne chiusa per undici anni circa. Fece emissioni
di bassa lega e di titolo inferiore.
Vittorio Amedeo I (1630-1637) , Carlo Ema-
nuele II (1637-1675), che riaprì nel 1640 la zecca
di Chambery, e Vittorio Amedeo li (1675-1730) fe-
cero buone emissioni, apportando nell'arte monetaria
salde e radicali migliorie. Vittorio Amedeo II poi
nel 1717 stabiliva la lira di Piemonte come moneta
di conto usuale e di uniformità in tutti i suoi stati.
E con questo Principe m'arresto nei cenni pre-
liminari; poiché dal 1730 in poi la monetazione dei
Re di Sardegna va sempre più raffinandosi sia sotto
l'aspetto estetico che nella parte metallica. I due tipi
predominanti sono per il diritto l'effigie del sovrano
e per il rovescio lo Scudo Sabaudo. Nella parte che
tratterò dei contrassegni e dei tipi lo studioso lettore
troverà notizie più particolareggiate.
176 RICCARDO ADALGISIO MARINI
GLI ZECCHIERI DI SAVOIA
E
L'Associazione Monetaria del Sacro Romano Impero
I — Privilegi, Doveri e Pene.
Verso il Mille l'arte della moneta era caduta in
tale stato di barbarie da non produrre che tipi bassi
di composizione infelice. Ma verso il secolo XI tro-
viamo di già un sensibile miglioramento : i denari
di Umberto II di Savoia presentano una superiorità
su quelli dei vescovi della Moriana, battuti a S. Gio-
vanni ed Aquabella; e questo tipo primitivo andò a
mano a mano migliorando, fino a modificarsi com-
pletamente con Amedeo V.
Il numero degli operai monetari era allora ri-
strettissimo, ed i principi dovevano cattivarseli con
privilegi e immunità che noi vedremo aumentare nel
secolo XIII e scomparire nel XVI.
I principi sabaudi accordano ai loro zecchieri
tutti i privilegi accordati dai Re di Francia e dagli
stati compresi nell'Associazione degli zecchieri del
Sacro Romano Impero, aggiungendovi gli obblighi
del regime feudale, alleviati da concessioni e da pro-
tezione speciale. In un omaggio di fedeltà prestato
al Conte Verde da Jean Giust e Johannot noi tro-
viamo alcuni dati particolari ed istruttivi che rispec-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 177
chiano assai bene le formalità allora in uso. Essi
giurano sul Vangelo omaggio e fedeltà al Conte di
Savoia e s' impegnano di lavorare nelle sue zecche,
ovunque Egli vorrà e non uscendo mai dalla sua
giurisdizione. Da parte sua Amedeo VI assegna loro
dieci misure di frumento di San Sinforiano, quindici
misure di vino e cento soldi viennesi pagabili an-
nualmente a San Sinforiano o a San Giorgio d'Espé-
ranche; garantisce loro questi cento soldi sopra il
pedaggio di San Sinforiano, fino alla festa di San Mi-
chele, promettendo inoltre di sostenere e difendere
essi e i loro beni, come suoi uomini ligi. Di più
godranno di tutte le franchigie e libertà accordate
agli zecchieri del Re di Francia, riceveranno gli sti-
pendi anche in caso di malattia e, in soprappiù, una
somma rilevante per l'impressione dei conii.
Amedeo VI concedendo ai due operai suddetti
il diritto di battere moneta durante tre anni nel
viennese, dichiara che questa concessione è fatta
come le precedenti, la qual cosa ci dimostra che la
zecca viennese era aperta anteriormente a questa
epoca. Nello stesso atto troviamo pure descritti par-
ticolareggiatamente i doveri ed i privilegi degli zec-
chieri, ed i vantaggi dei quali usufruivano.
A Giacomo di Sassonia, piacentino, ed a Pietro
Aloyer, genovese, zecchieri di Savoia nel Viennese,
il Conte darà una casa conveniente per lavorare,
finche essi saranno incaricati di battere moneta, e
procurerà loro in numero sufficiente gli operai della
sua terra stessa. Ma nel caso ch'Egli non potesse
loro fornirne, i due zecchieri potranno ricercarne
fuori degli Stati di Savoia senza che il Conte abbia
ad elevare la benché minima protesta. Godranno di
tutti i privilegi e franchigie vigenti nelle altre zecche
e nessun altro zecchiere potrà lavorare nel Viennese
finche vi lavoreranno essi.
23
I78 RICCARDO ADALGISIO MARINI
Daranno poi al Principe per ogni giorno di la-
voro 35 lire di piccola moneta nera, somma che
sarà ritirata ogni otto giorni in egual proporzione di
argento e di mistura; la settimana sarà di soli 5 giorni
di lavoro, che renderanno al Principe 175 lire. Sarà
vietato sotto pena di confisca, di far uscire dallo
stato l'argento, il biglione (monete di lega mista) e le
monete false ; di rifondere e raffinare le misture.
Per il primo mese non pagheranno al Principe che
sole 100 lire di moneta nera.
Le guardie, o custodi, verificheranno le monete
ogni qualvolta ne saranno richieste dai Mastri, e la
riceveranno se sarà del peso e della lega designata;
ed i mercanti che porteranno alla zecca argento e
mistura, saranno salvaguardati essi e i loro beni, sia
nell'andata che nel ritorno.
v Carlo I precisò in quali limiti ed in quali modi
gli ufficiali di zecca potessero approffìttare dei loro
privilegi. Le esenzioni dalle tasse, per essi, furono
limitate alla durata del loro incarico o impiego, e
ristrette ai loro beni proprii, agli oggetti di uso loro
e delle famiglie. Amedeo VI estese a tutti gli operai
e zecchieri delle sue zecche, i privilegi degli zec-
chieri del regno di Francia e confermò loro quelli
già accordati dai suoi predecessori, vale a dire quelli
concessi dal Re Filippo nel 1333 agli operai mone-
tari del giuramento di Francia, alle loro donne e
famiglie. Amedeo di Ginevra, tutore di Amedeo VII
li estese agli zecchieri del giuramento di Savoia e
dei contadi di Savoia e Ginevra, a coloro che tro-
vavansi impediti di lavorare per malattia, vecchiaia
o debolezza, purché fossero disposti a riprendere il
lavoro appena ristabiliti.
Queste immunità e privilegi erano spesso occa-
sione a proteste e controversie da parte del fisco e
di privati ; cosicché gli zecchieri cercarono sempre
ZECCHE E ZECCHIERI DILLA REAL CASA DI SAVOIA 179
di salvaguardarli e garantirseli, facendoli approvare
da ogni nuovo Principe ; Sisto IV nel 1475 e Inno-
cenzo Vili nel 1491 accordarono una bolla di con-
ferma di tutti quei privilegi e immunità già concessi
dai principi di Savoia, ma che soltanto con Carlo II
nel 1535 furono ufficialmente approvati col Regola-
mento generale per la fabbricazione, verificazione e
circolazione delle monete.
Prima di questo regolamento le norme per l'eser-
cizio e per l'amministrazione dell'industria monetaria
erano all'arbitrio dei Mastri generali di zecca. Questi,
soggetti al Principe, dovevano essere esaminati da
quattro altri Mastri generali e prestar giuramento
nelle mani dei preposti e dei maestri della Camera
dei conti. Ogni tre mesi visitavano le officine per
assicurarsi della bontà delle monete coniate; ne con-
trollavano i registri, verificavano il peso di cui si
servivano i Mastri particolari e gli operai; assag-
giavano la lega della pasta metallica, assicurandosi
così che i detti Mastri particolari non battessero
moneta in quantità maggiore del prescritto. Che in
tal caso, avevano facoltà di sospendere la fabbrica-
zione, arrestare e incarcerare i colpevoli di furto e
di falsificazioni; detenerli fino a quando la refurtiva
non fosse stata restituita.
I Mastri particolari, una volta esaminati e pre-
posti all'officina, dovevano sborsare una cauzione.
S'obbligavano a tenere operai ed impiegati in nu-
mero sufficiente e a non contravvenire agli ordini
del Principe e del Mastro generale. Gli assaggi per
le monete venivano rinchiusi in una cassetta di ferro
a sei chiavi, le quali erano tenute dal Chiavarlo
della Camera, dal Mastro particolare e dal Saggia-
tore; e non si apriva se non in presenza di costoro
e della Camera. Se gli assaggi venivano trovati di
titolo basso e senza possibilità di rimediarvi, il Ma-
l8o RICCARDO ADALGISIO MARINI
stro particolare era punito con una multa doppia
della differenza constatata ; con una multa quadrupla
se l'errore si fosse ripetuto per una seconda volta;
alla terza, egli veniva rimesso alla pietà del Principe.
Egualmente esaminati erano i Custodi e i Sag-
giatori che prestavano giuramento alla Camera dei
Conti. Loro opera consisteva nel sorvegliare le for-
naci, vigilare sui guasti delle matrici e dei punzoni,
assicurarsi della precisione delle bilancie e dei pesi.
I Saggiatori poi assaggiavano di proposito il metallo
da impiegarsi nei conii, e le monete dopo la loro
fabbricazione.
La semplicità e l'imperfezione nell'arte del fab-
bricar monete, rendevano facili le falsificazioni ; le
arti stesse impiegate dai principi per nascondere le
frodi di cui si rendevano colpevoli per riempire il
loro tesoro privato, erano valida garanzia ai falsi
monetari, per i quali erano contemplate tuttavia pene
severissime. Soltanto i segni ed i punti secreti per-
mettevano ai maestri di zecca, che assumevansi ogni
responsabilità, di riconoscere la moneta vera dalla
falsa, e il valore relativo delle monete di diverse
emissioni. Facili assai erano le falsificazioni in Savoia,
dove persone private ottenevano di poter coniare
nelle officine monetarie, tipi ammessi in altri paesi,
alla sola condizione di non metterli in circolazione
nello Stato. Il bisogno poi della moneta spiccia apriva
un largo campo al commercio ed alla frode arre-
cando spesse volte ai diffonditori non piccoli gua-
dagni. Negli Stati Sabaudi la legge però condannava
i falsi monetari, secondo le gravità della colpa, alla
perdita degli occhi, alla pena di morte per strango-
lamento o per rogo, o a quella più terribile ancora
d'essere annegati in una caldaia d'olio bollente; pene
tutte che coli' andar del tempo potevano riscat-
tarsi con fortissime multe, come già appare nel Cin-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA I«I
quecento. Nel 1335 un falso monetario, Giuseppe
Canal, vien condannato, in Cumiana, all'accecamento
per mezzo di ferro rovente; in Savoia nel 1342 Pietro
di Sion è tuffato in una caldaia d'olio bollente e
Teobaldo di Troyes vien cremato vivo per avere
entrambi falsificato più di dieci volte monete d'oro e
d'argento. Matteo di Bonaccorso Borgo nel 1390 vien
condannato ad una multa di mille fiorini, e tal con-
versione di pena è dovuta soltanto alla grande abi-
lità dello zecchiere che riuscì ad impietosire di sé
il Principe; e nel 1405 addì 30 marzo, in Chambery,
nel luogo ove si erigeva la forca, chiamato Les Chaux,
vien decapitato Umberto Bonaccorso, figlio del pre-
cedente, maestro alla zecca di Nyon, il quale fu
condannato ad aver mozza la testa, il cadavere im-
piccato alla forca, e il capo infisso sopra una sbarra
di ferro, esposto al pubblico.
Questi pochi casi — ai quali potremmo aggiun-
gerne altri noti come quelli del medico Valpon e di
Antonio Grange — dimostrano assai bene il rigore
e la severità con cui procedevasi in Savoia contro
i falsi monetari, sebbene moltissimi di questi riuscis-
sero a sfuggire — come in ogni tempo — alle più
diligenti ricerche del Principe stesso.
II. — Associazioni e Parlamenti.
Osservati brevemente quali fossero i privilegi
ed i doveri degli zecchieri, parliamo ora delle loro
Associazioni e delle Assemblee periodiche da essi
tenute, più comunemente chiamate parlamenti.
Associazione principale era quella degli .zecchieri
ed operai monetari del Sacro Romano Impero. Sotto
tal nome si comprendevano quei lavoratori assunti
dall'imperatore e dai principi al loro servizio, col-
l82 RICCARDO ADALGISIO MARINI
l'ufficio regale di battere moneta del loro Signore.
Detta associazione s'estese a tutti gli Stati compresi
nell'antica Provincia romana (Provenza); essa era
una società importantissima, che usufruiva di grandi
privilegi, con regolamenti speciali, con assemblee le-
gislative particolari e con parlamenti generali. 1
Principi riconobbero con benevolenza quest'istitu-
zione, confermandone i privilegi ed aggiungendovene
dei particolari per ogni singolo loro stato: così
Carlo II di Savoia nel 1509 nomina suo zecchiere
Stefano Curtillat di Chambery con facoltà di battere
tanto nel Ducato di Savoia quanto in tutto l'Impero
Romano.
L'Associazione aveva lo scopo di garantire l'usu-
frutto reciproco dei numerosi privilegi concessi agli
operai che esercitavano nelle zecche, e di creare un
corpo superiore capace di condannare o assolvere
coloro che si fossero ad esso rivolti; d'eleggere un
presidente e dei giudici, di promulgare costituzioni
ed ordinanze, di fissare diritti e doveri, di regolare
i rapporti degli operai tra di loro, e di ben dirigere
il capo d'ogni zecca nei giudizi e nei rendiconti che
egli avrebbe dovuto rendere annualmente.
L'origine dell'istituzione nella Savoia e nel Ge-
nevese risale al secolo XII, quando i grandi vas-
salli, i cui feudi erano compresi nell'antico regno di
Borgogna e che non possedevano ancora il diritto
di battere monete, ne furono investiti dall'imperatore.
Così l'apertura di numerose officine richiese gran
quantità di operai che per avvantaggiarsi delle con-
cessioni e dei privilegi loro spettanti, e per conser-
varli regolatamente si riunirono in associazione col
nome di Zecchieri del Giuramento dell'Impero (già sap-
piamo che ogni operaio monetario prima di entrare
in servizio, giurava sopra il Vangelo, omaggio e fe-
deltà al suo Signore). Questi zecchieri si distingue-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 183
vano da quelli degli altri giuramenti, e non erano
ammessi a lavorare nei paesi che non erano compresi
nel giuramento loro. Una sola eccezione troviamo
nel 1327-29, quando essendosi resa deficientissima la
mano d'opera nel Regno di Francia, si ordinò di
ricercare in tutte le città finitime un numero d'operai
sufficiente tant du serment de France que de l'Empire
(Boizard : Traiti des monnaies).
Gli operai d'uno stesso giuramento si riunivano
ad epoche determinate ed in località precedentemente
stabilite per discutere dei loro interessi, assicurarsi
la conservazione dei privilegi e regolare l'ammissione
dei nuovi membri. A cominciare dal secolo XIV le
assemblee degli zecchieri del Sacro Romano Impero
furono tenute regolarmente a periodi fissi. Il 3 mag-
gio 1343 in Romans fu inaugurato il primo parla-
mento generale, dove si discusse e si compilò la
Carta delle costituzioni e delle ordinanze di qne-
st' importante associazione, ma il Regolamento de-
finitivo fu promulgato soltanto nel parlamento di Va-
lenza del Delfinato nel 1392.
Esistono tuttora due registri-protocollo di queste
riunioni: il primo va dal 1342 al 1466 e contiene
35 processi verbali ; il secondo comincia nel 1469 e
termina al 1527 con quindici processi verbali. Il
primo registro affidato agli operai di Romans restò
in potere del Procuratore anche dopo la chiusura
di quest'officina, e dopo essere passato per più mani
trovasi oggidì alla Biblioteca Nazionale di Parigi ;
il secondo, lasciato a Ginevra nel 1527, è depositato
alla Biblioteca Civica locale. Cominciano entrambi
col descrivere l'ordine e le regole da osservarsi in
ogni assemblea; un atto ad es., comincia così: C'est
la forme et la manière commetti l'on doit proceder et
commencer à lenir parlement general, luogo dell'assem-
blea, funzioni religiose, elezioni degli officiali lesquelles
184 RICCARDO ADALGISIO MARINI
ordonnances , statuts et iustitutions ci-dessus escrites selon
la fournie, maniere, teneur d'icelles.... Nous Francois
de Portaguieres prevost general de sa voulonté et con-
sentement °ordonnions qiielles soyent obseruées en leur
entier.... Donne en no tre grand parkment tenti a Va-
lerne le Xe jour du mois de may 1392.
Vengono appresso quattro passi del Vangelo
sui quali si giurava; nel mezzo è dipinto un Cristo
in miniatura e, sotto, la formula del giuramento.
Narrati assai distesamente questi preliminari (che
per lo studioso delle tradizioni e delle abitudini rie-
scono piacevoli e divertenti), il primo registro ci da
la relazione particolareggiata dei parlamenti che fu-
rono tenuti quasi tutti nel viennese, specialmente a
Romans ed a Valenza, principale centro dell'Asso-
ciazione. Quattro assemblee solamente si tennero
negli Stati di Savoia; una a Thierrens nel 1351;
due a Chambery nel 1420 e 1515 e la quarta a To-
rino nel 1503. Dal 1386 le officine di Avigliana in
Val di Susa e di Pinerolo figurano associate a quella
di Chambery; l'officina di Nyon compare nel 1390;
nel 1418 abbiamo quella di Aix-les-bains, i cui rap-
presentanti assistono a tre parlamenti, a Torino nel
1417, ad Asti, Annecy nel 1429, a Cornavin nel 1435.
Il secondo registro comincia invece con un atto
del 23 maggio 1469 fatto a Bourg.... De l'Authorite
et puissance de notre Saint-Pére le Pape de Rome et
des très excellents hauts souverains et puissants princes
et redoutés seigneurs l' Empereur, le Roy danlphin de
France, du Roy de Cécile, Jérusalem et Arragon, du
due de Bour gogne, du due de Savoye, du due de Bre-
tagne et tous autres seigneurs ayant puissance de /aire
monnaye, lesquels nous ont donne libertés, privilèges,
franchises exemptions de fere assemblées pour condammr
et absoudre aux ouvriers et monnoyers du Saint-Sacre-
ment de l'Empire.... pourquoi seront tenus les diets
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REM. CASA DI SAVOIA 185
ouvriers et monnoyers du dict Sacrement de l'Empire de
ordonner ung pavlement de temps certain polir /aire
convenir tous ceulx qui désobéiront es ordonnances....
lesquels parlements aitront pitissancc de crcer, coustituer
ouvriers et monnoyers. .. sont les dictes insérées et escri-
tes.... En ce livre nouvellement on commence pour ce
que le vieil livre est pesant a pourter, il est complit
d'écriturcs lequel demeure dans la garde des ouvriers
monnoyers de Romans.
Mentre il primo registro consta di circa trecento
pagine, il secondo è d'un centinaio appena e con-
tengono entrambi, come già dissi, processi verbali
molto prolissi e regole generali. I lavori di ogni as-
semblea si chiudono con l' iscrizione dei procuratori
presenti e dei loro mandanti e con l'indicazione delle
città che li hanno mandati ; così ad es., nel parla-
mento del 1390 tenutosi a Romans abbiamo un Jehan
Angelier procureur pour les ouvriers et monnoiers de
Chambery et de Nyons en Vaud e nel parlamento del
1397, tenutosi egualmente a Romans. presenti le rap-
presentanze di Chamberv e di Losanna, abbiamo
Cy en aprez s'en suivent les noms et surnoms par ordre
de tous les procureurs et aussi tous les noms et sur-
noms des ouvriers et monnoiers du serment de l'Empire
qui ont constituè les diz procureurs.
I parlamenti generali ricevevano nell'Associa-
zione operai monetari coloro che presentavano let-
tere credenziali o richieste accordate dai principi,
coloro che avevano diritto a titolo ereditario e coloro
che ne richiedevano direttamente l'Assemblea; così
negli atti del Parlamento del 1420 in Chambery ab-
biamo : Nomina receptorum ex crcdcncia concessa per
ducem Sabaudie sive ex gradi s plurimorum debitorum...
quod fuit indebite et iniuste con tra nostra privilegia...
et quorum omnes dictas receptiones valere concedimus...
Sequuntur Hit qui fuerunt recepii ex grada domini
l86 RICCARDO ADALGISIO MARINI
ducis Sabaudie e in quelli di Bourg del T469 un
certo Bussi detto Lalaz è ricevuto par réqueté de
M.'" e la duchesse de Savoie et dn comte de Beangé.
Quando l'istituzione perdette un po' del suo
prestigio, le zecche s'arrogarono a poco a poco il
diritto di nomina, e il titolo puramente nominale di
zecchiere fu spessissime volte comperato per profit-
tare delle esenzioni dalle imposte. L'ufficio ereditario
per il figlio o la figlia maggiore (ricordiamo che una
Catterina Viviand del fu Antonio, di Bourg, fu ri-
cevuta insieme a sei operai nel Parlamento di Lione
del 1473), poteva trasmettersi dalla figlia al figlio
suo, al nipote, al cugino; ma occorreva in tal caso
che l'interessato avesse provata la sua parentela e
dare garanzie di vita e costumi insindacabili. I figli
degli zecchieri pagavano un marco come diritto di
entrata; quelli ricevuti per grazia ne pagavano due;
i candidati donavano.... un paia di pantaloni al pre-
posto, una mancia ai compagni, ed una somma di
denaro al notaio per le lettere di nomina, prima di
prestar giuramento. Curioso poi il fatto che lo zec-
chiere che si ammogliava, dopo la nomina all'ufficio,
avrebbe pagata l'imposta di un marco; e se egli
invece fosse stato già ammogliato,, i figli che già
aveva, non avrebbero mai potuto pretendere, per
eredità, all'ufficio del padre.
Tutte le nomine venivano verificate e ratificate
dai parlamenti generali, e non erano valevoli se non
procedevano da principi, i cui stati non fossero com-
presi nell'Associazione del Giuramento dell' Impero.
Ogni parlamento fissava il luogo, l'anno e il
giorno della riunione. Ciascuna zecca faciente parte
dell'Associazione doveva delegare un rappresentante:
l'officina che mancava a quest'obbligo, avrebbe pa-
gato un'ammenda di 20 soldi per ognuno dei suoi
operai. Se il procuratore non era persona solvibile
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 187
e accreditata, l'officina mandante pagava una multa
di soldi io ; quando i rappresentanti non erano in
numero, l'assemblea veniva rinviata all'anno seguente,
come accadde per il parlamento di Losanna del 1518.
Questi parlamenti si aprivano preferibilmente il 3 di
maggio, giorno dell' invenzione della Croce.
I procuratori d'ogni singola zecca dovevano ar-
rivare il giorno stesso dell'apertura dell'assemblea :
durante la loro permanenza, eran rimborsati delle
spese per il vitto e per il viaggio ; ad un alloggio
decoroso e conveniente pensava il preposto degli
zecchieri della città sede del Parlamento ; il quale
preposto poteva di sua facoltà rifiutare asilo e de-
ferenza a coloro che non avessero potuto dimostrare
con lettere e altri segni, la loro missione speciale.
Prima dell'apertura, tutti assistevano a funzioni reli-
giose a fi ti que tout fùt fait a la louange de Die 11, de
la court celeste, du paradis, des princes, ecc., poscia si
recavano nel locale delle sedute — (ch'era quasi
sempre la zecca stessa, meno che a Losanna ove
furono tenuti parlamenti anche in sedi estranee) —
dove ciascun rappresentante, dimostrata la sua pro-
cura, facevasi il segno della Croce e prestava giu-
ramento ; poi eleggevasi, quasi come in conclave,
il presidente generale. Durante quest'operazione era
assolutamente vietato agli stessi operai monetari che
accompagnavano i rappresentanti e i procuratori di
ogni zecca, di entrar nell'aula, chiamare od avvisare
qualcuno dei presenti alla votazione, vociare o par-
lare a voce alta si da essere sentiti all'interno; alla
trasgressione di tali ordini applicavasi anche la pena
del carcere. I votanti per contro, avevan l'obbligo
di astenersi da ogni precedente intesa o designazione:
soltanto nell'aula, concentrate e raccolte le loro menti
avrebbero dopo ponderato esame, a la louange de
Dieu et des princes eletto il presidente generale. Co-
l88 RICCARDO ADALGISIO MARINI
stui, dopo i soliti ringraziamenti di prammatica, si
portava nel centro della sala, si metteva in testa un
cappello di fiori, segno della sua dignità ed indicava
ad ogni procuratore il posto che doveva occupare
durante il parlamento. Questo s'apriva col giura-
mento prestato da tutti, di dar lealmente il proprio
giudicio su ogni questione. Gli incaricati di costu-
dire il libro dei parlamenti, il sigillo magno, e le
chiavi che servivano a rinchiudere questi, rimette-
vano tosto ogni cosa al Presidente generale che si
assicurava se il libro non fosse stato aperto durante
l'anno decorso dall'ultima assemblea, e se il sigillo
fosse rimasto custodito fedelmente nella sua guaina.
Nel secolo XVI i sigilli del Procuratore e dell'asso-
ciazione presero il posto delle chiavi, il cui impiego
spesse volte presentava inconvenienti. Detti sigilli
non venivano rotti che quando tuttoché doveva es-
sere scritto e sigillato, era terminato; i processi ver-
bali trascritti sui registri copiati e sigillati in tanti
esemplari quanti erano i procuratori; il libro ed il
sigillo, di nuovo rinchiusi, venivan rimessi l'uno al
procuratore della città fissata per la prossima as-
semblea, il secondo al procuratore della città più
vicina.
L'ultimo parlamento generale fu tenuto a Bourg
nel T523: si decise di riunirsi a Ginevra 4 anni dopo,
vale a dire nel 1527; ma quest'assemblea non es-
sendosi potuta tenere, i parlamenti vennero a mano
a mano decadendo insieme con l'istituzione stessa.
Fu in tal modo che il secondo registro, di cui parlai
in principio, rimase a Ginevra.
Le officine monetarie, già ridotte a due in Sa-
voia, non occupavano che un esiguo numero di per-
sonale, privo in gran parte dei suoi antichi privilegii;
e a partire del secolo XV11 la sola officina di To-
rino battè per tutti gli stati di Savoia.
•
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 1 89 .jj^,
III. — Sigilli.
L'opera magistrale del Promis e del Cibrario
sopra i sigilli della Real Casa di Savoia, se pur ri-
guarda numerosi principi e parecchie castellarne del-
l'Augusta Casa, non accenna neppur di sfuggita al-
l'importante sigillo dell'Associazione Monetaria del
Sacro Romano Impero, sigillo che venne usato anche
nelle assemblee degli zecchieri di Savoia e, perciò,
non estraneo alla nostra storia. Parecchi studiosi per
altro, come il Ménéstrier, il Secousse, il Baulacre.
lo Chaponnière, il Du Chalais se ne occuparono di
proposito, ed i loro studi pervennero a fornirci di
copiose ed interessanti notizie sulla sigillografia me-
dioevale e specialmente sulla parte riguardante i
Parlamenti. Senza addentrarci ora in dispute e que-
stioni troppo minute esaminiamo sinteticamente queste
preziose reliquie.
I sigilli adoperavansi per dare legale autorità
all'atto, tenendo per lungo tempo il luogo della se-
gnatura o firma. « Quindi — scrive il Promis — ap-
ponevansi pubblicamente quelli proprii del Principe,
e del Cancelliere: quelli dej Consiglio, delle giudi-
cature delle castellarne si apponevano in presenza dei
magistrati ».
II sigillo dell'associazione monetaria del Sacro
Romano Impero è di forma rotonda, del diametro di
cent. T2 ' a ; nel centro ha il Cristo nimbato, assiso
sopra un seggio i cui lati terminano con teste di
animali. Cristo è vestito di una lunga veste e di un
mantello agganciato sul petto ; colla destra benedice
e colla sinistra porta il globo crucigero. La figura
è posta in un doppio contorno di sei lobi appuntati,
con trifogli negli angoli di congiuntura e con la leg-
genda + S MAGNVM COMVNE PARLAMENTI GENERALIS
CONSTIT (Sigillimi Magnimi Comune Parlamenti Gene-
190
RICCARDO ADALGISIO MARIN'I
ralis Constituti) attorniata da un cerchio più largo
nel quale son disposti senz'ordine prestabilito dieci
stemmi separati alternatamente da un leone e da un
aquila, armi usate poi dall'imperatore Carlo V.
Sigillo dell'Assoc. Monet. del Sacr. Roni. Impero.
Gli scudi partendo dall'alto sono quelli di Angiò
(REX), Savoia (SAB), Lione (LVG-D), Valenza (VAL), Va-
lentinois (ADPIC), Delfinato di Vienna (DALPHS), Arci-
vescovato di Vienna (VIEN) e Pontefice (PAPA).
Il sigillo venne coniato nel 1349, e dagli stemmi
che porta noi riscontriamo:
i.° L'arma di Carlo d' Angiò, conte di Pro-
venza e re di Sicilia, titolo ch'egli e-bbe dal 1265 e
che è indicato dal motto REX ;
2. Lo scudo di Savoia (SAB) e l'arma dell'ar-
civescovato di Lione (LVGD). Lo Chaponnière, che
fu uno degli studiosi più accreditati nella materia
ZFCCHf. E ZECCHIERI DELLA REAI. CASA ni SAVOIA IQI
nostra, attribuisce detta arma a Enrico di Thoire e
Villar arcivescovo di Lione dal 1342 al 1354, mentre
il Du Chalais l'attribuirebbe di preferenza a Pietro
di Savoia pur arcivescovo di Lione dal 1308 al 1329;
3. L'arma di Valenza (VAL) appartiene a Gu-
glielmo di Rossiglione vescovo di Valenza dal T302
al 1331 ;
4. Il quinto scudo appartiene alla Casa del
Valentinois detta anche di Poitiers; l'iscrizione ADPIC
potrebbe riferirsi ad Ademarus V de Pictavia che
regnò dal 1345 al 1373, come potrebbe riferirsi
— secondo il Perrin — anche ad Ademaro III e IV
che regnarono dal 1237 al 1339. Io sarei propenso
a darle una seconda interpretazione che non mi pare
priva di logica, vale a dire k(ugusta) D(omus) P\C(ta-
viae). Augusta Casa di Poitiers;
5- u Le armi della Chiesa di Arles, del Prin-
cipato di Orange, del Delfinato di Vienna e dell'Ar-
civescovo di Vienna, non potrebbero da sole aiutarci
a ben determinare la data del nostro sigillo; quella
dei delfìni ci porta alla data surriferita, e cioè al 1349;
6.° L'ultimo stemma reca le armi del papa
per il contado di Avignone, che fu comperato nel
1348 da Clemente VI. Questo fatto ci porta ad ac-
certare così la data del conio del nostro sigillo.
L'organizzazione regolare di queste riunioni di
operai monetari non principia che nel 1342; ed il
sigillo vien menzionato per la prima volta nelle let-
tere del presidente generale del parlamento di Romans
il 9 maggio 1395 in questi termini : /:/ en tesi/ioiug
de laquelle chose nous avons fait /aire ces presentcs
lettres et en la diete prdeuracion annexer de no/re graut
scel de nostre parlement general commuti scellez.
In uno dei primi documenti poi del primo re-
gistro, in data 1392, sono indicati il modo d'impie-
gare e le precauzioni da prendersi per l'inviolabilità
iga RICCARDO ADALGISIO MARINI
del sigillo: .... et se il n'y a plus à /aire, dire, pro-
pose) - ne à sceìler que le prevosi general et tous /es prò
cureux prc'sens, avecques si prendront le dit grand scel
et le mettront dedans une boursse et se ctorà la boursse
et quand sera dose, le dit prévost il metrà son scel et
aitssi tous les procureux chascun son scel, et puis aprez
la diete boursse scellée le scel et la boursse se metront
dedans une boite de feustanne laquelte boite se dora et
lira de cordes, et se scellerà du scel du dit prevost et
des chaschun scel des diz procureux.
Dissi più sopra che quattro Parlamenti generali
soltanto si tennero in Savoia ; uno a Thierrens nel
1351 regnante Amedeo VI il Conte Verde; due a
Chambery, nel 1420 regnante Amedeo Vili, e nel
1515 regnante Carlo II; il quarto a Torino nel 1503
sotto il regno di Filiberto II. Ora era consuetudine
cavalleresca di queste riunioni, che, oltre al sigillo
proprio più sopra descritto, si usasse pure il sigillo
del Principe sotto il quale, e nel cui stato, l'Assem-
blea si riuniva. Per la parte nostra, quindi, dovremo
osservare negli atti compiuti dai quattro parlamenti
generali, i quattro sigilli sabaudi dei principi viventi
allora, vale a dire di Amedeo VI, di Amedeo Vili,
Filiberto II e Carlo li. Non sarà fatica ai lettori co-
noscerne brevemente la descrizione, che il grande
Promis volle darci.
1. Sigillo iti Amedeo VI (1343 1383).
Dei nove sigilli di questo Principe, vediamo
usato quello del 1344 nel qual anno Amedeo VI sa-
liva al trono sotto tutela; detto sigillo perciò gli
servì fino al 1351 quando uscì di minorità.
E mezzano, in cera rossa, di bellissima fattura
e mostra uno scudo quadrato colla croce, accompa-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA
193
gnato alla destra da una losanga colla croce attra-
versata da un bastone in banda, ed alla sinistra da
altra losanga; avente quattro punti equipollenti ad
altri cinque; superiormente ed inferiormente da due
uccelli soranti, il tutto entro doppia cornice formata
di quattro archi di sesto acuto, in modo tale che gli
angoli rientranti dell'una corrispondono all'arco del-
l'altra. La leggenda è SIGILLVM SABÀVDVM COMMVNE
TVTORVM COMITIS SABAVDIE (Sigillo sabaudo comune
dei Tutori del Conte di Savoia).
2. Sigillo di Amedeo Vili.
È di forma mezzana, tonda, in cera rossa; mo-
stra uno scudo appuntato ed inclinato colla croce in
n
194 RICCARDO ADALGISIO MARINI
campo rabescato; cimato di cimo chiuso coi /ambre-
chini e col solito cimiero di testa alata di leone, ac-
costato da due nodi di Savoia. 11 campo è seminato
di piccole croci. Leggenda: SIGILLVM + AMEDEI + DVCIS
+ SABAVDIE.
3. Sigillo di Filiberto II il Bello.
È grande, tondo, di cera verde. Rappresenta in
un campo ingraticolato a losanghe, nei vani delle
quali vedonsi alternatamente una croce ed un nodo
di Savoia, sopra un terreno fiorito, Filiberto il Bello
in abito ducale, tenente colla destra la bandiera di
Savoia. Nel campo son disposte, metà per parte, le
lettere F • E • R • T • Attorno è la leggenda + SIGILLVM •
PHILIBERTI • DVCIS • SABAVDIE ET DE VAVDETTANI • Cia-
scuna parola è separata da nodi e da rose.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CLSA ni SAVOIA
195
4. Sigillo di Carlo III.
E mezzano, di cera rossa, simile assai a certi
sigilli mezzani di Filiberto II. Della leggenda in
principio mancante leggesi ancora: SABAVDIE •
DOVCIS • Integra era : + SIGILLVM • KÀROLI • SABAVDIE
DOVCIS • Nel campo ha lo scudo rotondato ed incli-
nato colla croce, sormontato da elmo chiuso cimato
dal teschio alato di leone, e sostenuto da due leoni.
IV. — Parlamenti generali
Città che ne furon sedi e zecche di Savoia rappresentate.
Data
Sede
1342 Romans . . . .
1350 Vienna (Delfinato)
1351 Thierrens(Thonon
1353 Romans . . .
1355 Romans . . .
1358 Vienna . . .
1361 Romans . .
1363 Valenza (Delfinato)
1365 Valenza . . . .
Zecche rappresentale.
Chambery e Bourg.
Chambery e Susa.
Chambery e Susa.
Chambery e Avigliana.
Chambery, Bourg e S.' Génix.
Pont d'Aiti e S. 1 Génix.
Bourg, Pont d'Ain, Susa.
Chambery e Bourg.
Chambery e S.' Génix (?)
196
RICCARDO ADALGISIO MARINI
Data
Sede
Zeccbe rappresentate.
1368
Romans . .
. Bourg.
1370
1374
Valenza .
. Chambery, Bourg, Susa.
'377
Valenza .
. Pont d'Ain, Chambery, Bourg, Avi-
gliana, Susa.
1380
1384
Romans . .
. Chambery.
1386
Valenza . .
. Chambery e Nyon.
1388
Valenza . .
. Nyon.
1390
Romans . .
• Chambery e Nyon.
1392
Valenza . .
Pont d'Ain.
1394
Valenza . .
Chambery e Nyon.
'397
Romans
. Chambery (Losanna), Susa.
1401
Valenza .
. Chambery, Avigliana.
1404
Vienna
. Nyon (?)
1408
Valenza . •
• Chambery, Aix.
1411
Avignone.
. Chambery, Aix, Nyon.
1414
Valenza . .
• Chambery e Nyon.
1417
Orange .
. Nyon, Aix, Lausanne.
1420
Chambery .
. Crémieu, Bourg, Macon, Miribel,
Romans, Torino, Avigliana,
Nyon, Tarascon, S.' Rhemy,
Avignone, Mondragone, Lione.
1423
Tarascon . .
. Chambery e Nyon.
1429
Saint Marcellin
. Chambery e Losanna
1432
Valenza . .
. Nyon e Losanna (?)
H35
Montélimart .
. Chambery, Cornavin.
1439
Avignone. .
. Chambery, Nyon, Lione, Annecy e
Cornavin.
1443
Lione . . .
. Losanna e Cornavin.
1446
Vienna. . .
. Chambery e Cornavin.
1469
Bourg .
. Chambery e Torino.
1473
Lione . . •
• Bourg e Torino.
1477
Avignone. .
• Bourg e Chambery.
1481
Montpellier .
. Torino e Bourg.
1485
Orange . .
. Chambery e Bourg.
1489
Avignone
. Cornavin, Torino, Bourg.
1493
Avignone
. Chambery.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 197
Data Sede Zecche rappresentate.
1 496 Marsiglia .... Chambery e Torino.
1499 Aix-les-Bains . . Torino.
1503 Torino .... Chambery, Montluel.
1509 Ginevra (Cornavin) ? Chambery, Torino, Montluel.
15 15 Chambery . . . Avignone, Mondragone, Ginevra,
Losanna, Torino.
1518 Losanna .... Bourg, Chambery.
1519 Losanna .... Chambery, Bourg, Torino.
1523 Bourg Chambery, Torino, Ginevra.
All'elenco delle zecche rappresentate ai Parla-
menti generali, datoci dal Perrin. ho potuto aggiun-
gere, sulla scorta di validi documenti, tratti dagli
archivi di Stato di Torino ( l ) un'altra cinquantina di
rappresentanze. Complessivamente dal 1342 al 1523
furono tenuti cinquanta parlamenti, colla rappresen-
tanza di cento e dicianove officine. La maggior parte
delle assemblee, come appare, si riunirono di pre-
ferenza a Romans ed a Valenza, che per la loro
posizione topografica si prestavano assai bene a tal
genere di riunioni. Per il 1527 era stato bandito
l'ultimo Parlamento generale a Ginevra ; ma per la
quasi totale assenza di rappresentanze e per lo stato
di decadimento in cui trovavasi l'Istituzione, non ebbe
più luogo. Riunioni particolari e sporadiche conti-
nuarono per altro a tenersi nei singoli stati, quando
il principe le decretava, oppure quando i maestri
particolari di zecca credevano opportuno di inten-
dersi sopra qualche nuovo conio o la parziale rin-
novazione del regolamento; ma anche queste piccole
assemblee andarono a mano a mano diradandosi, si
che sul finire del seicento, l'associazione del Sacro
Romano Impero poteva dirsi assolutamente o defini-
tivamente scomparsa.
(1) Archivio di Slato, Torino. Documenti riguardanti la monetazione
Sabauda.
198 RICCARDO ADALGISIO MARINI
ZECCHE E ZECCHIERI
I. — Susa ('».
Sotto il regno di Umberto II (1 080-1 103) si apre
in Susa la prima e più antica officina monetaria della
Real Casa di Savoia. Ciò possiamo con orgoglio de-
gli studi numerari italiani, affermare con tutta cer-
tezza; giacche la rovinante officina di Aquabella —
ove i vescovi della Moriana ed i primi Conti di Sa-
voia disputavansi il diritto di zecca — taceva per
sempre sul finire del 1080. Vollero i fati che la prima
impronta di italianità nelle monete della dinastia che
ora regge l'Italia, si partisse da questa vecchia città
dell'Alpi e che il nome suo Scensici accompagnasse
il nome del principe che in lei aveva scelto dimora
e signoria, quasi augurio benedetto, quasi profetica
voce per i Savoia, ch'essi avrebbero cinto un giorno,
dopo tanti secoli di lotte e dolori, la bella corona
dell'Italia libera ed una.
Susa adunque ha la sua zecca sotto Umberto II:
in uno strumento notarile del 1098, ricopiato ed au-
tenticato in documenti del 1253, 1256, 1272 conser-
vati nell'Archivio notarile di Susa abbiamo che Jaco-
bus de Jaglono vende apnd Bardoniseam prò XL dena-
(1) Per quanto riguarda questa zecca e quella di Avigliana il let-
tore potrà ricorrere al mio lavoro: Le Antiche Zecche di Susa e di Avi-
gliana, pubblicato in questa Rivista. Fase. IV, 1908, del qual lavoro ripeto
ora letteralmente alcuni punti.
ZECCHE E ZECCHIERI DEI.I.A REM. CASA DI SAVOIA
199
riis secusiensibus cinque iugeri di terreno a Martino
de Noualicia gastaldo Domini H libèrti Comitis. Questo
ritrovamento ci permette di stabilire irrefutabilmente
che la zecca di Susa fu aperta fra il 1080 e il 1098
e che contrariamente a quanto scrissero il Vernazza
e il Promis — ritrovarsi cioè i primi accenni ai de-
nari secnsini nel 1104 e 1109 — in Susa e nella
Valle già contrattavasi fra i privati, con denari di
Susa, nel 1098. Questa zecca battè così, per circa
tre secoli, sebbene non continuamente, poiché dal
1225 in poi i documenti sono rari, per quanto i de-
bili e forti secusini continuino a correre, e non sono
alieno dall'asserire che la vicina zecca di Avigliana
coniasse, alternativamente, con quella di Susa, i de-
nari sabaudi; tanto più che dal 1225 — anno nel
quale dalla zecca di Susa furono emessi denari se-
cusini nuovi — non abbiamo più menzione della no-
stra officina monetaria fino al 1387, quando appare
dal conto del tesoriere generale che in quell'epoca
era mastro di zecca a Susa Giovanni de Campaccio
di Chivasso.
~ì-h ri''*
WÌtW
'A
Denaro segusino di Umberto II.
B— + VMBERTVS.
R) — + SECVSIA.
ZECCHIERI.
1080-1098 — ?
Secolo XII — Antonietto di Clanisco (Chianoc?) nominato
in un atto del 1124-27 mogister monetarius Secusiae.
124244 — Pietro di Antonietto di Clanisco.
1260-70 — Mosè Millemerces che fu poi anche maestro a
Bourg nel 1278.
200 RICCARDO ADAI G1SIO MARINI
1297 — Durando Carrèrie di Avignone.
1322 — Alessandro Dardano di Firenze.
1371-72 — Filippo Baroncelli di Firenze.
1384 — Giacomino Cattaneo di Pavia.
1387 — Giovanni Campacio di Chivasso.
II. — San Maurizio d'Agauno.
Già zecca dei Re Merovingi, fu la prima officina
monetaria dei Principi di Casa Savoia al di là delle
Alpi, nell'Alto Chiablese. Amedeo IV dando la città
in appannaggio a sua sorella Margherita di Kibourg
nel 1235, si riservò il diritto di battervi moneta —
excepto iure cudendi monetam. — I famosi denari mau-
riziani che battevansi in questa zecca ed eran così
chiamati dall'immagine del Santo guerriero che por-
tavano impressa, avevano corso nel Vallese, nel Chia-
blese e nel Genevese. I Vescovi di Sion, già Signori
di tutta la valle, conservavano il diritto di prelevare
una manata — imam manatam — di monete ad ogni
nuovo conio. La zecca battè con qualche interruzione
fino al 1360, anno nel quale pare sia stata definiti-
vamente chiusa, cedendo il primato a quella di Cham-
bery. Abbiamo documenti del 1235, 1257, 1274, 1278,
1311, 1327, 1350, nei quali la zecca di San Maurizio
è citata come attiva e rappresentata in controversie
fra il Comune e alcuni diritti del Principe.
Mauriziano di Amedeo IV.
,& + AM' COMES.
9 ■ - + SABAVDIE.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 201
ZECCHIERI.
1235 — Jacobus de Nyon, maestro.
! — Un magister monete de scindo Mauricio.
1278 — Mosè Millemerces, assaggiatore.
131 1 — Giovanni Ginot Ginotti, maestro.
1327 — Bernard Robert, guardia.
1359 — Manfredo Frotta, maestro.
III. — Chambery.
L'officina di Chambery venne aperta nella prima
metà del secolo XIII da Amedeo IV e lavorò fino a
a tutto il seicento. Occupava la casa detta tuttora
della Vecchia Zecca, alla quale allude una descri-
zione fatta nel 1421 e un atto del 1721 che ricorda
specialmente la galleria e il locale dove battevasi la
moneta.
Gli Zecchieri sono ricordati sovente nei conti
della Castellania di Chambery, ove parlasi pure di
medaglie battute in onore di un principe e della sua
sposa; ma spessissimo son menzionati alla fine dei
conti, ove i sindaci fan notare a loro discarico le
tasse che quelli si rifiutano di pagare, in conformità
dei noti privilegi di cui usufruivano.
I Maestri assegnati stabilmente ad una data of-
ficina, cessano d'esserlo a partire dal 1394, epoca
in cui Matteo di Bonaccorso Borgo è autorizzato a
battere monete nelle varie officine della Savoia, se-
condo i bisogni dell'erario. Egli si stabilì a Cham-
bery, e la città nell'interesse proprio e dei monetari
dimoranti a Chambery, gli assegnò 20 fiorini per l'af-
fitto della casa durante il primo anno. La fabbrica-
zione delle monete era frequentemente interrotta per
mancanza della materia prima ossia della pasta me-
26
202 RICCARDO ADALGISIO MARINI
tallica, o per 1' abbondanza del denaro in corso, o
anche soltanto per volontà del Principe. La vita si
faceva ognor più difficile per questi operai che tro-
vavansi spesso senza lavoro: il che ci spiega in parte
la concessione dei privilegi così numerosi e la loro
lunga durata. Sotto il dominio francese dal 1544 al
1592, la zecca di Chambery si aperse il 14 giugno
1542: Andrea Rose vi è nominato maestro per quat-
tro anni, nei quali dovrà battere 200 marchi d'oro e
4000 denari; come contrassegno usa due rose alla
fine della leggenda, sul diritto o sul rovescio della
moneta.
Verso la metà del cinquecento il corpo degli
zecchieri presenta al Principe e ai suoi Consiglieri
una domanda per. aumento di stipendio, essendo la
vita materiale divenuta cara nella città e mancando
spesso il lavoro.
Si degnasse il Principe di riguardare benigna-
mente questa richiesta: la Camera l'esaudisce il 14
gennaio 1566.
Nel 1580, 1' edificio della zecca essendo ormai
bisognoso di riparazioni, i Maestri chiedono alla Ca-
mera 5000 scudi annui per ingrandire i locali, ed
affittarne temporaneamente degli altri. Ma tale cosa
non fu accordata : per rimediare ad inconvenienti de-
rivanti da possibili interruzioni, si tentò di diminuire
il numero delle officine e degli zecchieri, e più tardi
si volle che quest'ultimi fossero borghesi della città
nella quale lavoravano.
A Chambery si coniò buona moneta nel 1628,
ritirandosi quella deteriorata ancora in corso; nel
1640 la Camera dei Conti ordina per una seconda
volta il ritiro delle monete deteriorate per emetterne
delle novelle; ma dieci anni dopo l'officina viene
definitivamente chiusa per un lungo spazio di tempo,
vale a dire fino a quando Vittorio Amedeo II, biso-
ZUCCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 203
gnoso di moneta spicciola, ne usufruisce per rare
emissioni.
Testone rarissimo di CarloJII di Savoia
coniato da Cristoforo Forza in Chambery nel 1529-30.
& — + KÀROLVS : DVX : SABAVDIE.
9 — + IN : TE : DNE : confido) : C : F :
ZECCHIERI.
1264 — Giovanni di Lione, maestro.
1297-98 — Edoardo di Varey, maestro.
1300 — Martino di Castiglione.
„ — Umberto di Clermont.
„ — Giovanni Ginot, guardia.
1338 — Bernardo Robert di Valenza, maestro.
„ — Alessandro Dardano di Firenze.
„ — Sandro Farolfi.
1340 41 — Bernard Robert, maestro.
„ — Goffredo Vethon, guardia.
„ — Guglielmo de Bugin, controguardia.
1342 — Jean Peyser, procuratore.
1343 — Bartolomeo Alfani di Firenze, maestro.
1349-50 — Nicola del Podio di Lucca, maestro.
„ — Giovanni de Allevis, guardia.
1350 — Tevenez Rogers, procuratore.
'353 — J ean Angelier.
1355-56 — Giorgio Cassino.
„ — Jean Angelier, procuratore.
204 RICCARDO ADALGISIO MARINI
1362-64 — Magister Amblardus, zecchiere.
1362 — Magister Bertholetus, zecchiere.
1363 — Giovanni Borgogno, procuratore.
1363-64 — Anthonius Furbitonsor.
1375 — Filippo Baroncelli di Firenze.
1386 — Bartolomeo Archeri, procuratore.
„ — Pietro Bernard, zecchiere.
1390 — Giovanni Angelier, procuratore.
„ — Simone Angelier, zecchiere.
1391 — Bartolomeo Lebol, guardia.
1392 — Pietro Bernard, zecchiere.
1394 1400 — Matteo di Bonaccorso Borgo di Firenze, maestro.
1397 — Pietro Galhi, procuratore.
1399 — Antonio Mulet di S. Marcellino, maestro.
1402 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
1403 — Umberto di Bonaccorso Borgo.
1405 — Giovanni di Rezeto da Moncalieri, maestro.
1406 — Umberto Viallet, guardia.
1408 — Hugues Bolmet, procuratore.
141 1 — Pierre l'Hòte.
1414 — Jean Girod.
1419 — Tommaso di Folonia d'Avigliana, maestro.
1420 -- Jacque Jacquet di Chambery, preposto generale.
„ — Pierre l'Hòte, procuratore.
1421 — Giovanni di Masio d'Asti, maestro.
1422 — Manfredo Bessone di Yenne, maestro.
1423 — Michele de la Balme des Echelles.
„ — Bastian Gregoire, procuratore.
1424 — Guido Besson-Vugliod di Yenne, zecchiere.
1429 — Pierre Girod, procuratore.
1432 — Jean de Bard, zecchiere.
1435 — Antonio Lovanier, procuratore.
1439 — idem idem
1449 — Ajmar Fabbri, guardia.
1478 — Pietro di Bardonecchia, maestro.
1481 — Pietro Balligny, maestro.
1482 — Giacomo de Ortis, guardia.
1485 — Guglielmo Véchut, procuratore.
1488 — Galeazzo Gruet, guardia.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 205
1489 — Michele de Lugem. contro guardia.
1490 — Giovanni Charvet, assaggiatore.
1496 — Giacomo Girod, procuratore.
1500 - Antonio Ruffi, guardia.
„ — Andrea Govet, assaggiatore.
1503 Giovanni Frane, procuratore.
„ — Giovanni Fraret, maestro.
1505 - Amedeo Peretti, guardia.
1507 - Nobile Pietro Ballentray, procuratore.
„ — Nicod Faber.
1508 — Anemondo Bertolinia, maestro.
15 14 — Pietro Balligny.
15 15 — Girard Savoye, procuratore.
151923 — Bertrando Vechon.
1523 — Anna Quay, apprendizza.
1524-28 — Francesco Savoye, maestro.
1528 — Cristoforo Forza, coniatore.
1529-30 — Cristoforo Forza, maestro.
1550 — Nicola Vialardi d'Ivrea, maestro.
1562 — Matteo De Ferraris, commesso.
„ — Nicola Vialardi, maestro.
1563 — Eustachio Scarrone, guardia.
1564 — Stefano Divon, controguardia.
1565 — Andrea Morello, maestro.
1568 — Stefano Bourges, maestro.
1569 — Luigi Chambet, controguardia.
z 57 2 -73 "- Antonia Ranotta, vedova di Stefano Bourges.
157476 — Emanuele Dian, maestro.
1577 80 — Giovanni Miretto.
1578 — Mario Dian.
1580 83 Chiaffredo Grobert, maestro.
„ — Nicola Le Grand, guardia.
1583 - Michele Grobert, maestro.
„ Andrea Martini, assaggiatore.
1584 Michele e Chiaffredo Grobert, maestri.
„ Francesco Jacquemin, preposto.
„ Carlo Goulaz, assaggiatore.
., Giacomo Véchut.
., — Claudio Janin.
206 RICCARDO ADALGISIO MARINI
1589 — Guglielmo Morione, guardia.
1591 — Cesare Valgrandi.
— Gian Battista Castagneri.
„ — Gian Battista Cavallo.
„ — Cesare Valgrandi, maestro.
1592 — Bartolomeo Arnaldi di Pinerolo, maestro.
x 594 - 95 — Gaspare Cornaglia di Chieri.
1595 — Guglielmo Morione, guardia.
1600 — Chiaffredo Grobert, maestro.
„ — Nicola Vialardi.
., — Antonio Grobert come tutore dei figli di Chiaffredo
Grobert.
1617 — Nobile Lorenzo Monetti.
1628-29 — Galvagno Sirascio, commesso.
1640-42 — Pietro Perinetti, maestro.
1640 — Guglielmo Charrot, guardia.
„ — Claudio Punas, controguardia.
1649 50 — Gli operai tutti sono ridotti a otto e gli zecchieri
propriamente detti a quattro; tutti devono essere
borghesi di Chambery, altrimenti non potranno
più esercire.
IV. — Avigliana.
La zecca di Avigliana fu sicuramente aperta
prima del 1252. Dice infatti un documento dell'Ar-
chivio Camerale (Conti Castell. Avigl. Marzo VII —
12 29- 127 3): Libravi t Johanneto de Clanisco, monetario
Domini scucienti monetam apud avillianam solidos se-
cusienses XXX prò ejusdem officio. La pergamena è del
1252 e in quel tempo regnava ancora Amedeo IV
che fu il primo Conte di Savoia che sulle monete
impresse il Comes Sabaudie. Questi fu il primo e vero
istitutore della zecca d'Avigliana, non ritrovandosi
altri accenni in proposito prima del 1252; dopo, dob-
biamo scendere fino al 1297 in cui il Conto del Teso-
riere generale ci dice di aver ricevuto in pagamento
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAI. CASA DI SAVOIA
207
da Jacobo de Varano et sociis eius scudentibus mone-
tarti apud Avillianam una somma di denaro. Dopo,
quell'epoca troviamo nominati maestri sul finire del
1298, del 1341, 1387, 1391 e 1394, cioè durante la
minorità di Amedeo Vili. Ed appunto sotto questo
primo Duca di Savoia, eravi maestro quel Matteo di
Bonaccorso Borgo, di Firenze, che nel 1405, venne
a composizione col fisco per avere dalla zecca di
Avigliana emesso monete inferiori d'assai a quanto
era da legge prescritto. Dopo il 1405 non s'ha più
notizia alcuna di questa zecca, poiché coli' elezione
di Amedeo Vili a Duca (1416) i danari ducali furono
battuti per il Piemonte in Torino e per la Savoia a
Chambery, dove quel diavolo di Matteo Bonaccorso,
nipote del precedente, continuava anche dopo il 1416
a trionfare per l'arte sua.
Grosso di Amedeo V — Avigliana.
B' - + AMEDS ! COMES I SAB'
R) - - A • M ■ E • D' • PED • MON TEN • SIS •
ZECCHIERI.
1252 — Johanneto de Clanisco, maestro.
1297 — Giacomo di Varano, piacentino, maestro.
1298 — Benedetto Alliaudi, da Susa, maestro.
1341 Ildebrando e Bartolomeo Alfani, da Firenze, pro-
curatori.
1343 — Manfredo Frotta da Firenze, apprendizzo.
1387 — Giacomino Cattaneo da Pavia, maestro.
1391 — Giacomo Rezeto da Moncalieri, maestro.
1394 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
208 RICCARDO ADALGISIO MARINI
V. — San Sinforiano d'Ozon.
L'apertura di detta officina risale ai tempi di
Filippo I di Savoia, ch'ebbe come primo appannag-
gio il contado di Salmorenc. Il documento più antico
in proposito, è del 1297: Amedeo V, accettando un
omaggio di fedeltà da Jean e Johannot Ginot, li au-
torizza a battere moneta nel Viennese. Questi due
zecchieri si professano uomini ligi del Principe, essi
e i loro discendenti; s'obbligano di batter moneta
solo al suo servizio, riconoscendogli il diritto di farli
ricondurre ovunque essi avessero stabilito di dimo-
rare fuori dei suoi stati. Questa zecca non ebbe lunga
esistenza; è mentovata, per l'ultima volta, in un conto
del tesoriere generale dal 1341 al 1342, ed in altro
di Bernardo Roberto maestro a Chambery, nel quale
leggesi che debentur monetae de quibus sibi satisfac-
lum est in computo suo monetarum Sancti Sinforìani,
finito XX V° die mensis novembris millesimo CCC XL.
Nel 1355 questa terra fu ceduta al Delfino di Vienna.
ZECCHIERI.
1297 — Giovanni e Giovannotto Ginotti, zecchieri.
1306 — Giacomo di Varano da Piacenza, maestro.
„ — Pietro Aloyer di Ginevra.
1340 — Bernardo Roberti, maestro.
1341-42 — (conti dei maestri delle monete).
\
VI. — Bourg en Bresse.
Questa zecca fu aperta sotto il Conte Aimone,
come appare dal Conto dei Tesorieri Generali del
1338, sebbene non abbiansi documenti relativi alla
detta officina prima del 1369, anno nel quale Matteo
Bonaccorso lavorò alla zecca di Crémieu. Accadde
frequentemente in .questi tempi che zecchieri di Sa-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 209
voia fossero incaricati di dirigere le officine del Del-
fino o del Re di Francia. Così il 16 giugno 1376,
Filippo Baroncelli di Firenze è nominato maestro
alla zecca di San Giorgio d' Espéranche dove Um-
berto Viallet gli succede al 1 luglio; lo ritroviamo a
Crémieu, lui pure, nel 1397, ove muore e vien sur-
rogato nello stesso anno da Pierre Audouard.
Dal 1394 al 1400, Matteo Bonaccorso alterna la
fabbricazione a Bourg, Pont d'Ain, Chambéry, Avi-
gliana ed altre città del Piemonte. Nel 1543 Andrea
Morel è maestro alla zecca di Lione e si serve dello
stesso contrassegno usato da lui sulle monete bat-
tute a Chambéry, cioè A. M- iniziali del suo nome.
La zecca di Bourg lavorò fino all'invasione fran-
cese del 1536; fu riaperta dopo la pace di Castel
Cambresi; e quando Emanuele Filiberto volle rior-
ganizzare il sistema monetario, fissò con apposito
regolamento le condizioni e le ordinanze relative alla
zecca di Bourg: le monete dovevano essere dello
stesso titolo, peso e condizione di quelle battute a
Chambéry. Nel 1601, la Bresse essendo stata ceduta
alla Francia per il Marchesato di Saluzzo (trattato di
Lione), la zecca di Bourg fu definitivamente chiusa.
Denaro di Amedeo VI — Bourg.
& AMEDEVS * DI ' ORA i COMES-
9 — + SABAVD'- IN ITALIA MARCHIO.
ZECCHIERI.
x 338-39 — Bernardo Roberti, maestro.
„ — Alessandro Dardano, maestro.
«7
RICCARDO ADALGISIO MARINI
J338-39 — Sandro Farolfì, maestro.
1339 — Giovanni di Clauso, guardia.
1340 — Alessandro Dardano, maestro.
1340-42 — Sandro Farolfì, maestro.
1342 — Jacopo Guillermet, controguardia.
1342 43 — Antonio Patritto, maestro.
„ — Bino Gucchi, maestro.
I 375"7^ — Filippo Baroncelli, maestro.
1394 — Giovanni Raffano, guardia.
1395 — Jacopo Guillermet, controguardia.
1396 — Giovanni Angelieri, guardia.
1397 — Giacomo Polli, guardia.
„ — Guglielmo Séllery, guardia.
1398-1400 — Matteo di Bonaccorso, maestro.
1400 — Gerardo Chambon, guardia.
1453 — Antonio Fabbri di Perugia, maestro.
1468 — Peronetto Guilliod, maestro.
„ — Michele di Bardonecchia, maestro.
1469 — Stefano Varembon, maestro.
„ — Giovanni De Bussi, detto Lalaz, apprendizzo.
„ — Goffredo Bordet, guardia.
1473 — Antonio Viviand, preposto generale.
„ — Catterina Viviand (figlia).
1477 81 — Guigo de Santagnieu, procuratore.
1485 — Pietro Colin, procuratore.
1497 — Giovanni Gervasio, maestro.
1503 — Raimondo Colin, procuratore.
1504 — Umberto Chappon, guardia.
1506 — Andrea Grilliet, guardia.
1516 — Antonio Marauda, maestro.
1518 — Raimondo Colin, procuratore.
1521 — Valeriano Deulio, maestro.
1525 — Benedetto Bacod, maestro.
1528 — Enrico Pugniet, maestro.
1560 — Luchino Real, maestro.
1562 — Cristoforo Porro di Torino, guardia.
1566 — Pietro De Luan, maestro.
1567 — Luigi Charière, controguardia.
1568 — Giovanni De Grumel, guardia.
ZKCCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 211
1570 — Giacomo Dais, controguardia.
1574 — Pietro De Luan, maestro.
1575 — Lorenzo De la Court, guardia.
1577 — Sebastiano Lartisseur, commesso.
1577 80 — Emanuele Dian, maestro.
1580 — Giacomo Rougier, controguardia.
1583 — Giacomo Rougier, preposto.
1583 — Giovanni Porro, guardia.
158486 — Filiberto Dian, maestro.
1586 — Giovanni Nuyon, guardia.
1589 — Guglielmo Maion, guardia.
VII. — Torino (*).
Cominciò a battere sotto Filippo di Savoia Prin-
cipe d'Acaia nel 1297. Prima di quest'epoca non
havvi cenno d'una zecca torinese: nella città e nel
contado corrono solamente i denari secusini, pata-
vini, viennesi ed astensi, raramente gli imperiali;
giammai denari torinesi, come sarebbonsi dovuti chia-
mare se ne fossero stati battuti.
Ritornata Torino all'obbedienza dei Savoia, Fi-
lippo d'Acaia vi aprì nel 1297 la sua zecca, prepo-
nendovi il maestro Durando Carrérie di Avignone:
ma dopo la morte di questo Principe (1334 , dovette
chiudersi, e probabilmente non si riaprì più sino circa
il 1402. Nel 1418 Ludovico d'Acaia vi nomina mae-
stro Giovanni da Masio. Nello stesso anno, morto
Ludovico, il Piemonte ritorna in potere del ramo dei
Conti di Savoia, e precisamente sotto il governo di
Amedeo Vili, primo Duca. Questi nel 1419 chiama
maestro in Torino Martinetto Mercier. Da tal epoca,
divenuta la città capitale degli stati Sabaudi al di qua
(i) Su questa zecca mi limito per ora a pochi cenni, quali esigono la
piccola mole e la modestia del mio lavoro. Ritornerò su di essa in uno
studio speciale.
212
RICCARDO ADALGISIO MARINI
dei monti, l'officina prese a mano a mano florido in-
cremento, sì che restò essa la più importante fra le
nostre zecche, e l'unica durante tutto il secolo XVII.
Dal 1824 ebbe nobilissima concorrente la zecca di
Genova.
Denaro di Filippo I di Savoia — Acaia, Torino.
& - + PHILIPPVS DE SAB'.
9/ -PHIL+ PED • MON ■ TEN • SIS •
ZECCHIERI.
1297 — Durando Carrèrie d'Avignone, maestro.
1418 — Giovanni di Masio d'Asti, maestro.
„ — Marchetto di Cavoretto, guardia.
1419 Martinetto Mercieri di Chieri, maestro.
1422 — Giovanni di Masio, maestro.
1430 — Martinetto di Lautaschis di Chieri, maestro.
1449 — Bartolomeo Castelnovo di Chieri, maestro.
„ — Sebastiano di Pietraviva di Chieri, guardia.
1452 — Pietro di Pietraviva di Chieri, guardia.
1462 — Giovanni Camussel di Bardonecchia, maestro,
1468 — Michele di Bardonecchia.
1475 — Pietro Monaco, guardia.
1482 — Pietro e Michele di Bardonecchia, guardie.
1483 - - Pietro di Bardonecchia, apprendizzo.
„ — Tommaso Bonaterio, guardia.
„ — Agostino Ponzone, controguardia.
1484 - Bartolomeo Caccia, maestro.
1490 - - Pietro di Bardonecchia, maestro.
„ — Giovanni Moresino di Milano, guardia.
„ — Bernardino Moriggia, controguardia.
1503 — Giacomo Cassini, maestro.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 213
1507 — Pietro Paolo Porro di Milano, maestro.
1509 — Marchetto de Facis, guardia.
„ — Bartolomeo Cavacci, controguardia.
151 7 — Giampetro Gastaudi, maestro.
15 19 — Bertolomeo Brunassi, maestro.
„ — Bartolomeo Doria, controguardia.
1528 — Ludovico Porro, controllore.
1536 — Girardino Cagnassone, maestro.
1562 — Luigi Ferraris, guardia.
1564 — Giovanni Ludovico Ferraris, maestro.
„ — Gian Pietro Gastaldo, assaggiatore.
1567 — Bernardo Castagna, maestro.
„ — Bartolomeo Voletto, guardia.
„ — Sebastiano Canalis, controguardia.
1570 — Gian Battista Cattaneo di Genova, maestro.
„ — Paolo Doveris, guardia.
1575 — Michele Corunato, maestro.
1576 — Rolando Gastaldo, maestro.
„ — Giovannino Miretto, guardia.
1577 — Mario d'Alvigi di Perugia, maestro,
1579 — Giacomo Pezza, controllore.
„ — Antonio Blancardo, guardia.
„ — Cesare Valgrandi di Torino, assaggiatore.
„ — Sebastiano Cavallero, assaggiatore.
1581 — Giovannino Miretto, maestro.
1583 — Bartolomeo Arnaldi di Pinerolo, maestro.
1587 — Cesare Valgrandi, maestro.
1589 - Giovanni Angelo Costa, maestro.
1591 — Cesare Valgrandi, maestro.
1593 Bartolomeo Arnaldi, maestro.
1595 — Rolando Gastaldi, maestro.
1601 — Giannantonio Pollino, maestro.
1604 — Francesco Mazzola, maestro.
1606 — Dionigi Rotta, maestro.
1610 — Francesco Mazzola, maestro.
1618 — Giovan Matteo Torazza, maestro.
1623 — Sebastiano Taschero, guardia.
„ — Ludovico Perugino, controguardia.
„ — Gian Giacomo Traversa, affinatore.
214 RICCARDO ADALGISIO MARINI
1623 — Giacomo Bay] etto, segretario.
„ — Gian Marco Blancardo, assaggiatore.
1624 — Gian Domenico Bellino d'Ivrea, maestro.
1625 — Ludovico Ludovisi, controguardia.
1626 — Gian Antonio Pollino, maestro.
1629 — Gian Battista Borgatto, maestro.
1630 — Gian Antonio Pollino, maestro.
1631 — Pietro Rotta e Cesare Cavalleris, maestri.
1632 — Matteo Torazza, maestro.
„ — Girolamo Occellis, controguardia.
1633 — Lorenzo Buggia, affinature.
1634 — Sebastiano Virante, maestro.
„ — Carlo Paneaglio, controguardia.
„ — Bernardino Occellis, guardia.
„ — Paolo Blancardo, assaggiatore.
1646 — Federico Rotta — maestro.
1649 — Paolo Antonio Bugnano, assaggiatore.
„ — Carlo Blancardo, assaggiatore.
1652 — Lorenzo Buggia e Federico Rotta, maestri.
1653 — Alessandro Salvay, maestro.
1656 — Gian Battista Prelasco, maestro.
1660 — Claudio Batheon, controguardia.
1666 — Gian Battista Massone, assaggiatore.
1667 — Giulio Cesare Macario, maestro.
1675 — Gian Francesco Mare, guardia.
1676 — Lorenzo Olivero, maestro.
1680 — Antonio Calcaterra, guardia.
„ — Sebastiano Ramma, assaggiatore.
„ — Stefano Laurenti, affinatore.
„ — Francesco Rapallo, affinatore.
1686 — Ottavio Bonino, guardia.
„ — Gaspare Deriva, assaggiatore.
1688 — Giuseppe Antonio Razzetto, maestro.
1689 — Maestrotto Giovanni, guardia.
1690 — Sebastiano Mussa, economo.
1692 — Giovanni Ruffino, economo.
„ — Girolamo Ludovico Porta, economo.
„ — Giuseppe Maria Mare, controguardia.
1695 — Giovanni Piccono, guardia.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA RE AL CASA DI SAVOIA 215
1696 — Paolo Gonella, fonditore.
1699 — Orazio Deriva, contrassaggiatore.
1703 — Francesco Mistrotto, guardia.
171 1 — Carlo Giovanni Razzetto, maestro.
1714 — Giuseppe Bella, controllore.
„ — Luigi de Roy, controllore.
1717 — Bartolomeo Boiero, maestro.
1726 — Antonio Collucci, affmatore.
1728 — Lorenzo Viale, maestro.
1730 — Gian Battista Bonezio, guardia.
Credo bene terminare l' elenco degli zecchieri
noti della zecca di Torino, all'anno 1730; perchè dal
regno di Carlo Emanuele III a Vittorio Emanuele li,
la zecca fu più volte soggetta a riforme e migliorie
e l'elenco datoci dal Promis, in questi ultimi due
secoli non è del tutto scevro da errori ed inesat-
tezze. Perciò rimando lo studioso ad opera più re-
cente che spero non tarderà ad uscire in questa
stessa Rivista.
Vili. — Pont d'Aiti.
Il Castello di Pont d'Ain, posto nella più bella
località della Presse, fu temporariamente dimora di
alcuni Principi di Casa Savoia. Il Conte Aimone, ivi
allevato, vi aperse una zecca nel 1338 nominandovi
maestri contemporaneamente Sandro Farolfi, Ber-
nardo Roberti e Alessandro Dardano, che lavora-
vano pure in Chambery. Amedeo VI concesse nel
1352 a Bonaccorso Borgo il diritto di coniarvi scudi
d'oro simili' a quelli del Re di Francia e fiorini d'oro
simili a quelli di Firenze in peso, titolo e qualità.
Queste due monete d'oro sono con tutta probabi-
lità le prime che furono coniate dai Principi Sabaudi.
Due cittadini di Pont d'Ain dovevano assistere ogni
settimana alle prove e alla spedizione delle monete.
2l6
RICCARDO ADALGISIO MARINI
Dal 1394 al 1400 — anno nel quale questa
zecca tace per sempre — Matteo di Bonaccorso
Borgo lavora alternatamente in Pont d'Ain e in di-
verse altre zecche al di qua e al di là dei monti.
Fiorino d'oro di Amedeo VI, battuto a Pont d'Ain nel 1352.
& -- + AMED COMES giglio fiorentino.
9 — + S • IOHÀNNES • B • S. Giovanni Battista.
ZECCHIERI.
133839 -- Bernardo Roberti, maestro.
„ — Sandro Farolfi, maestro.
„ — Alessandro Dardano, maestro.
„ — Giovanni de Clauso, guardia.
1340-41 — Bernardo Roberti, maestro.
1342 — Sandro Farolfi, maestro.
„ — Guglielmo Vacheri, assaggiatore.
1342-43 — Antonio Patrito e Bino Guchi, maestri.
134950 — Nicola del Poggio di Lucca, maestro.
1352-54 — Bonaccorso Borgo di Firenze, maestro.
1352 — Giovanni Ardizzone di Bourg, guardia.
1353 — Pietro de Clauso di Yenne, assaggiatore.
„ — Stefano Roger, procuratore.
„ — Garnier Faure, procuratore.
1355 — Stefano Roger, procuratore.
„ — Giovanni de Flaceys, procuratore.
1355-58 — Bonaccorso Borgo, maestro.
1358 — Ugonetto de l'Avis, procuratore.
1359 — Bonaccorso Borgo, maestro.
„ — Giovanni Arbizzone, assaggiatore.
„ — Johannon Evrard Ombard, assaggiatore.
1370 — Guglielmo Fornia, procuratore.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REALCASA DI SAVOIA 217
1370 — Guigo de la Croix, procuratore.
1377 — Guglielmetto Sélléry, procuratore.
1386 — Huguenon Bourgoing, procuratore.
1390 91 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
1390 — Guglielmo Fornia, maestro.
1394-1400 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
1395 — Guglielmo Sélléry, guardia.
1397 — Huguenin Bouvier, procuratore.
1401 — Guigonnet de Villette, maestro.
IX. — Nyon (Thierren).
I Principi del ramo di Vaud ebbero successiva-
mente tre officine monetarie verso la fine del secolo
XIII. Ludovico I di Savoia-Vaud nel 1285 usò del
diritto di battere moneta, ch'egli aveva ottenuto dal-
l'Imperatore l'anno precedente ed aperse un'officina
sopra una terra dipendente, dal lato spirituale, dal
Vescovo di Losanna prope Terenivi, cioè Thierrens
presso Moudon. Questa zecca non essendo che una
contraffazione di quella di Losanna, il Vescovo mise
opposizione, ed un decreto dell' Imperatore Alberto
ingiunse al principe di smettere la fabbricazione fino
a che egli non avesse potuto provare la legittimità
del suo diritto. Ludovico I perciò trasferì la sua
zecca a Nyon, ove battè moneta a malgrado delle
proteste del Vescovo di Ginevra, che bandì un ap-
posito editto proibente di ricevere nella sua diocesi
le monete che il principe batteva a Nyon.
II procuratore del principe si portò subito a
Luly, ove risiedeva il Vescovo contro il quale vivace-
mente protestò, dicendogli che avrebbe potuto ricor-
rere al Vescovo di Vienna, al Conte di Savoia, al
Papa, all'Imperatore o ad amici comuni per regolare
dette differenze. Il Vescovo replicò ch'egli non avrebbe
revocata per nulla la sua ordinanza; a nuove osser-
28
2l8 RICCARDO ADALGISIO MARINI
vazioni del procuratore sul diritto del Duca di bat-
tere moneta, rinviò la sua risposta ad epoca inde-
terminata. La lite si protrasse fino al 1308 e ter-
minò con una sentenza contro il Vescovo Aimone e
contro Ludovico II di Vaud, successo al padre, colla
quale sentenza sia 1' uno che 1' altro permetteranno
che le loro monete corrano reciprocamente nei loro
stati, senza obbligo per ambo le parti di riceverla
come legale. Il Duca inoltre avrebbe in perpetuo
riconosciuto come feudo del Vescovo e della Chiesa
di Ginevra il diritto di battere moneta, concedendo
al Vescovo il quarto del beneficio reale sulla moneta
battuta.
Nel 1350 la Signoria di Vaud ritornò al Conte
Amedeo VI che conservò la zecca di Nyon, i cui
operai si fecero rappresentare ai parlamenti generali
di Valenza 1390, 1414 e 1432; dopo tal anno più
non ritroviamo documenti attestanti con certezza l'at-
tività dell'officina.
Denaro di Ludovico di Savoia — Vaud. Zecca di Nyon.
& — + LVDOVICVS : *
P — + DE SABAVDIA :
ZECCHIERI.
1364 — Bonaccorso Borgo, maestro.
„ — Sandro Bindacci di Firenze, maestro.
139091 — Giovanni e Matteo di Bonaccorso Borgo, maestri,
figli di Matteo.
1390 — Astias de Ferro, guardia.
„ — Giovanni Angelieri, procuratore.
1391 — Giovanni Bonaccorso, maestro.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 219
1392 93 — Giovanni Raffano di Treffort, maestro.
„ — Perronon de Bays, procuratore.
1392 — Bernard Varlet, maestro.
139495 — Giovanni Angelieri di Chambery, maestro.
1396 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
1400 — Michele di San Michele, maestro.
1405 — Umberto Vialet, guardia.
1406-10 — Giovanni di Rezeto, maestro.
141 1 — Pietro 1' Hòste, procuratore.
„ — Giovanni Guigonnet, preposto.
1414 — Giovanni Girod Tripet, procuratore.
„ — Pietro Girod, commesso.
1416-20 — Giovanni Picot di Avigliana, maestro.
„ — Franceschino de Cabria, procuratore.
1422 — Lanfranco Busca di Milano, maestro.
1423 — Sebastiano Grégoire, procuratore.
1427 — Bertino Busca di Milano, maestro.
1429 -— Francesco de Seyn, maestro.
„ — Sebastiano Guigon, preposto.
— Giovanni Magoni, guardia.
„ — Stefano Bregna di Torino, guardia.
„ — Giacomo Picot di Ginevra, apprendizzo.
1432 — Antonio Lovaguier, procuratore.
„ — Francesco De Seyn suddetto, maestro.
X. Donnaz (Valle d'Aosta).
La terra di Donnaz in Valle d'Aosta fu zecca
poco rimarchevole, poiché di essa è noto un solo
ordine di battitura. Aimone di Savoia nel 1341 fa
battere in Donnaz, deputandovi a maestri l'8 d'aprile
di quell'anno Aldebrando e Bartolomeo Alfani di Fi-
renze, padre e figlio, che contemporaneamente tene-
vano pure la zecca di Avigliana. I denari battuti nelle
due zecche e dagli stessi due maestri sono uguali
tra di loro e simili ai Sezeni grossi bianchi ad A et
scutellum battuti a Chambery.
220
RICCARDO ADALGISIO MARINI
Sezeuo del Conte Aimone - Zecca di Donnaz.
& — + IMO | COMES X SABAVDIE.
R) — + IN ITALIA ! MARCHIO.
1341 —
ZECCHIERI.
Aldebrando Alfani di Firenze, maestro.
Bartolomeo suo figlio, aiutante.
XI. — Saint Génix.
Nel conto del Tesoriere generale Giovanni d'Albi
è ricordato un magister monetarum sancti Genisii senza
che alcun documento posteriore a questo conto, che
è del 1341-42, ci abbia rivelato il nome di questo
primo maestro. I soli zecchieri conosciuti sono i mae-
stri Giovanni di Camaiore (presso Lucca?), Bernardo
de Claustro e due guardie. La zecca dopo il 1355
deve essere stata chiusa, giacche più nessun cenno
d'essa, dopo tal epoca, ci è pervenuto.
Denaro di Amedeo VI.
D — + MED o COMES ° SABAVDIE-
R) - - + IN ITALIA S MARCHIO.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 221
ZECCHIERI.
1341-42 — Conto dei tesorieri generali.
1354-55 — Giovanni di Camaiore, maestro.
„ — Bernardo de Claustro, maestro.
1354 — Pietro Guilos, guardia.
1355 — Pietro Peracchi, guardia.
XII. — Pierre Chàtel.
Questa zecca venne temporaneamente aperta nel
1352 da Bonaccorso Borgo di Firenze ch'era già mae-
stro a Pont d'Ain, e che in Pietra Castello coniò
forti escucellati. In seguito ivi si stabilì dal 1356 al
1364, cioè fino a quando Amedeo VI istituì l'ordine
del Collare dell' Annunziata, fondando in Pietra Ca-
stello una certosa con chiesa per i quindici cavalieri
di questo suo ordine.
ZECCHIERI.
1352-59 — Bonaccorso Borgo di Firenze, maestro.
1356 — Pietra de Clauso, guardia.
XIII. — Yénne.
Nei documenti della monetazione in Savoia ne
abbiamo uno ricordante un maitre de monnoye à la
ville de Jenne del 28 febbraio 1352. con indicazione
del peso, della lega, e del carattere de Indite mon-
noye in oro e argento. Ritengo che trattisi d' una
zecca aperta contemporaneamente a quelle di S.t Gé-
nix e di Pierre Chàtel, e che perciò rimase in atti-
vità per brevissimo tempo. Suppongo esserne stato
istitutore e maestro l'ormai famoso Bonaccorso Borgo.
222 RICCARDO ADALGISIO MARINI
XIV. — Pinerolo.
Giacomo di Savoia, Principe d'Acaia dovette
battere per il primo in questa città essendosi rinve-
nute monete con la leggenda Sanctus Donatus, pro-
tettore della città. Morto questo principe nel 1366,
lasciando lo stato al secondogenito, Filippo suo pri-
mogenito mise il Piemonte a ferro e fuoco, per cui
Amedeo VI, il Conte Verde, tutore del piccolo Ame-
deo, gli dichiarò guerra occupando lo stato fino alla
maggiorità del pupillo. Stabilì nel 1369 Giovanni Pa-
gani maestro alla zecca di Pinerolo, concedendogli
di battere monete al suo conio. Quella è la sola volta
che il ramo dei Conti di Savoia battè in Piemonte;
giacche restituita questa terra, alcuni anni dopo, al
Principe Amedeo di Acaia, questi vi lavorò al suo co-
nio, come vi lavorò il successore Ludovico. Nel J418,
spentosi il ramo di Acaia, il Piemonte toccò ad Ame-
deo Vili primo Duca di Savoia, e la zecca di Pine-
rolo — che erroneamente il Perrin fa lavorare an-
cora sotto Emanuele Filiberto — tacque per sempre.
Denaro di Giacomo di Savoia — Acaia.
»' — IACOB' • D • SAB' • PRIC • ACH •
Ri ■ - + SANCTVS o DONATVS.
ZECCHIERI.
1369 — Giovanni Pagani, maestro.
1374 — Nicola Bersatore, guardia.
1395 — Umberto di Bonaccorso Borgo, maestro (?)
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 223
XV. — Ivrea.
Per quanto d'Ivrea già conoscansi le monete dei
suoi antichi marchesi, tuttavia non cominciò a coniare
monete sabaude che nel 1394 durante la minorità di
Amedeo Vili per ordine della tutrice Bona di Bor-
bone e sotto la direzione di Matteo di Bonaccorso
Borgo. Conosciamo alcuni pochi successori di Mat-
teo; l'ultimo è del 1426. Da tal anno la zecca d'Ivrea
pare inattiva, od almeno non è più mentovata sino
a tempi delle guerre per la tutela di Carlo Ema-
nuele II, ed allora i Principi Maurizio e Tommaso,
verso il 1642 vi coniarono pezzi da quattro soldi,
che presto si ritirarono dal corso.
ZECCHIERI.
1394 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
1420 — Giovanni Benvenuti di Firenze, maestro.
1321 — Bertino Busca di Milano.
„ — Savino de Nono, maestro.
1426 — Maneto di Beauchatel di Valenza, maestro.
XVI. — Aosta.
Contemporaneamente Bona di Borbone permise
a Matteo Bonaccorso d'esercitare l'opera sua in Ao-
sta, ma la zecca non dovette fiorire che un secolo
Aureo di Carlo II di Savoia
coniato in Aosta da Nicolò Vialard.
È - KROLVS SECVNDVS DVX SABAVD •
9 - + ET ÀVGVSTÀE PRETORIE N V •
224 RICCARDO ADALGISIO MARINI
più tardi, vale a dire nel 1549, quando nella casa di
Renato e Michele Tolleri, il Nobile Nicolò Vialardi
battè monete di Carlo II di Savoia. Altre emissioni
vennero fatte in Aosta sin durante il regno di Carlo
Emanuele I; poi dal 1587 la zecca tace.
ZECCHIERI.
1394 — Matteo di Bonaccorso Borgo, maestro.
x 549"55 — Nicolò Vialardi d'Ivrea, maestro.
1575 — Tommaso Campagnano di Musso, maestro.
1577 — Mario d'Alvigi di Perugia, maestro.
1581 — Guglielmo Liboz, guardia.
„ — Antonio Ruatta, controguardia.
1582 — Giovannino Miretto, maestro.
1584 — Gaspare Cornaglia di Chieri, maestro.
1587 — Cesare Valgrandi, maestro.
XVII. — Moncalieri.
In Moncalieri presso Torino furon battute mo-
nete nel 1421 sotto Amedeo VIII, e allora vi fu cu-
stode un Pietro Fasolo; ma il lavoro cessò prima
che l'anno si compiesse. Nuovamente poi, nel 1630
per causa della peste, vi fu da Torino trasferita la
zecca, ma soltanto per pochi mesi.
ZECCHIERI.
1421 — Pietro Fasolo, guardia.
1630 — Giovanni Antonio Pollino, maestro.
XVIII. — Cornavin presso Ginevra.
Poco dopo che Amedeo VIII ebbe acquistato nel
1401 il contado di Ginevra, nominò Giovanni di Re-
zetto da Moncalieri, maestro delle zecche nella Sa-
voia e nel Genevese, ma nulla prova che costui ab-
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 225
bia coniato fuori di Chambery. Fu il Duca Lodo-
vico che aperse la zecca della Croce di Cornavin
presso Ginevra, fuori del borgo San Gervasio, nel-
l'anno 1448. L'anno dopo il Duca incarica i suoi mae-
stri generali di nominare una guardia alla zecca
prope Gebemiarum, in surrogazione di Aimaro Fabbri
che non poteva più continuare nel suo ufficio in
causa della grave età e della salute cagionevole. Gli
ordini di battitura e i conti dei maestri generali ci
conducono fino al 1532; ma dal 1530 l'officina non
doveva più trovarsi a Cornavin, giacche in seguito
ad una sommossa popolare in odio al Duca di Sa-
voia, la zecca e le case adiacenti nel borgo di Cor-
navin furono distrutte dal fuoco.
Aureo di Ludovico Duca di Savoia.
&' - - + LVDOVICVS DVX SABAVDIE.
H) • - + MARCHIO IN ITALIA • PRINC •
ZECCHIERI.
1435-39 — Antonio Lovanier, procuratore.
1448 - Stefano Varembon di Pont d'Ain, maestro.
„ — Aimaro Fabbri, guardia.
1450 — Guido Besson di Yenne, maestro.
1451 — Francesco Garino, maestro.
„ — Francesco Zucchetti, guardia.
1453 — Bartolomeo di Castelnuovo, maestro.
„ — Giacomo Papin, guardia.
1457 — Giachetto Filippi.
1468 -- Gotofredo de la Gruyére, maestro.
1469 — Michele di Bardonecchia, maestro.
29
226 RICCARDO ADALCISIO MARINI
1469 — Gabriele di Riva, guardia.
„ — Lamberto Magnin, controguardia.
1483 — Pietro di Bardonecchia, maestro.
1484 — Bartolomeo Camus, maestro.
1485 — Nicola Gatti, maestro.
1496 — Pietro Magnin, guardia.
1500 — Tommaso Blondel, maestro.
„ — Andrea Gerves, guardia.
„ — Rodolfo Aigente, guardia.
1525 — Claudio Savoia, maestro.
1528 — Nobile Enrico Goulaz, maestro.
1530 — Pietro Paolo Pane, guardia.
„ — Roberto di Versonay, controguardia.
„ — Pietro de la Gruyére, assaggiatore.
„ — Claudio Damex, assaggiatore.
1532 — Enrico Goulaz, maestro.
XIX. — Mont-Luel.
Nei primi anni del secolo XVI venne aperta in
Monluello una zecca, per la quale esistono gli ordini
di battitura e i conti resi dai suoi maestri, dagli anni
1503 al 1530. Francesco Savoia della zecca di Cham-
bery, riordina nel 1528 l'officina monetaria di Mon-
luello, distrutta in seguito ad un incendio. Egli or-
dina al vice-guardia e al capo degli operai di non
battere moneta alcuna sotto i 30 carati. Filiberto II
nel 1503 vi fece battere sue monete dal maestro Gio-
vanni Serena, e Carlo II vi battè fino al 1530, nel
qual anno la zecca di Monluello venne chiusa.
Forte di Carlo I di Savoia.
/& -- + AROLVS • DVX • M • nel campo l'iniziale K.
R) - + SABAVDIE.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 227
ZECCHIERI.
1503 — Giovanni Serena, maestro.
1504 — Giovanni Raffoulaz, maestro
1526 — Raimondo Collin, guardia.
1528 — Gaspare Peruseri, controguardia.
„ — Guglielmo Collin, preposto.
1529 — Giacomo Sabatier, maestro.
XX. — Aix-les-Bains.
Questa zecca non fu ancora menzionata dagli
studiosi di numismatica sabauda, se ne escludiamo il
Perrin, che trovò la prova della sua esistenza nel
primo registro dei parlamenti generali degli zecchieri
del Sacro Romano Impero. Aperta nei primi anni del
quattrocento, lavorò di concerto con Chambery, ma
fu di brevissima durata. I suoi operai e zecchieri si
fecero rappresentare ai parlamenti generali di Va-
lenza (1408) e di Avignone (1411). Non si conoscono
ordini di battitura ad essa relativi.
ZECCHIERI.
1408 — Hugues Balmet, procuratore.
„ — Umberto Corbelli, maestro.
„ — ■ Bertrando Corbelli, apprendizzo.
141 1 — Pietro l'Hòste, procuratore.
„ — Umberto Corbelli, maestro.
„ — Giacomo Jacquet.
„ — Johannot di Cantogno.
XXI. — Vercelli.
Vercelli, che fin dal 1255 batteva moneta pro-
pria, come ce ne attesta il Durandi, quando cadde in
potere dei Visconti di Milano, cessò di battere mo-
neta. Nel 1427 ritornò nel dominio di Casa Savoia,
228
RICCARDO ADALGISIO MARINI
essendo stata ceduta da Filippo Maria Visconti ad
Amedeo Vili; ina soltanto Carlo II vi riaprì la zecca
nel 1530, preponendovi il maestro Gian Pietro Fer-
raris. Ridotta a poco la Savoia per l'invasione fran-
cese del 1535-36, Vercelli fu una delle quattro zec-
che subalpine nelle quali si continuò a coniar mo-
neta ducale. Kmanuele Filiberto, ritornato in Piemonte
dopo il 1559, conservò aperta questa zecca che lavorò
fino al 1630, dopo il qual anno andò decadendo e
venne poi chiusa quando Vercelli fu assediata e presa
dagli spagnuoli durante la guerra per la tutela di
Francesco Giacinto.
ir
153° —
1544 -
1548 -
1564 —
i5 6 7 —
1579 —
1580 -
1587 -
1618 —
»
1626 —
1628
1629 —
Scudo d'oro di Carlo II — Vercelli.
+ CAROLVS DVX SÀBAVDIE II.
+ NIL DEEST TIMENTIBVS DEVM • V • I • P • I
ZECCHIERI.
Gian Pietro Ferraris, maestro.
Girolamo Torrato, maestro.
Gian Ludovico (o Luigi) Ferraris, maestro.
Gian Ambrogio Taggia, guardia.
Bernardo Castagna, maestro.
Ambrogio Taggia, assaggiatore.
Mario d'Alvigi di Perugia, maestro.
Bernardino Dionigi, guardia.
Cesare Valgrandi, maestro.
Filippo Boggioni di Balzola, maestro.
Orazio Lupo, assaggiatore.
Gian Pietro Cane, maestro.
Gian Paolo Blancardo, assaggiatore.
Giovanni Campo, maestro.
Francesco Fiamma, maestro.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA
229
XXII. — Asti.
La città d'Asti ebbe privilegio di battere mo-
neta da Corrado II Imperatore, nell'anno 1150; e la
moneta astense ottenne tanto favore nei commerci,
che per tutto il Piemonte, per oltre un secolo, fu
usitatissima nei contratti. Quando la città cadde in
potere dei Visconti, pare che la zecca più non vi la-
vorasse; nel 1406 fu riaperta da Carlo Duca di Or-
leans succeduto alla madre Valentina Visconti figlia
di Gian Galeazzo Duca di Milano. Caduta quindi in
dominio di re Francesco I e successivamente di
Carlo V Imperatore, questi vi coniò moneta nel 1530
col maestro Guido de Barretti. Nel 1531 Carlo V fece
dono della contea d'Asti e del marchesato di Ceva
a Beatrice di Portogallo sua cognata e moglie di
Carlo II Duca di Savoia; la quale, mancata nel 1538,
lasciò in eredità queste due terre al figlio Emanuele
Filiberto che nel 1541 battè monete in Asti, pari a
quelle del padre in bontà, ma col suo nome ed arma.
La zecca d'Asti rimase probabilmente aperta fino al
1587, ancora cioè nei primi anni di regno di Carlo
Emanuele I; poi venne chiusa definitivamente.
9
Grosso di Emanuele Filiberto — Asti.
+ E • PHILIBERTVS DE SABAVDIÀ.
+ PRINCEPS PEDEMON • CO AST • N
1542
1548
ZECCHIERI.
Ludovico Mulazzo, maestro.
Bartolomeo Panizza, maestro.
230
RICCARDO ADALGISIO MARINI
1549
*555
1587
Giacomo Diano, maestro.
Francesco Zavatta, maestro.
Cesare Valgrandi, maestro.
Giuseppe Mulateri, guardia.
XXIII.
Nizza.
Nel 1536 quando il Piemonte e la Savoia ven-
nero occupate dai Francesi, Carlo II di Savoia colla
moglie e col figlio si ritirò a Nizza dove aprì una
zecca. Il primo ordine di battitura che si conosca è
del 1541; la zecca lavorò senza tregua fino al 1590,
dal quale anno rimase inoperosa fino al 1624 e dopo
interpolatamente, fino al 1636.
Scudo di Carlo II — Nizza.
B" + KAROLVS • Il • DVX • SABAVDIE • IX.
ty — + MARCHIO • IN • ITALIA • PRS • C • P
ZECCHIERI.
1541 — Cristoforo Porro, maestro.
1547 — Nicola Porro, guardia.
1549 — Aimone Bostenti di Nizza, guardia.
n — Pietro Uribario, guardia.
„ — Gian Battista Galles, controguardia.
1567 — Bernardo Castagna, maestro.
1568 — Bartolomeo Ferro, guardia.
„ — Sebastiano Acbiardi, coutroguardia.
1575 — Gian Battista Monleone, maestro.
ZECCHE E ZECCHIKRI DELLA BÉAL CASA DI SAVOIA 23I
1580 — Mario d'Alvigi di Perugia, maestro.
1581 — Paolo Ronchione, guardia.
1587 — Cesare Valgrandi, maestro.
1589 — Giovannino Solaro, maestro.
1624 — Nicola de la Fertè, maestro.
1626 — Gian Pietro Cane, maestro.
„ — Gian Giacomo Traverso, assaggiatore.
XXIV. — Gex.
Carlo Emanuele I aprì quest' officina probabil-
mente nel 1584 per supplire all'antica zecca di Cor-
navin distrutta dai Ginevrini. In risposta ad una sup-
plica indirizzata alla Camera dei Conti da Nicola Grand
zecchiere a Gex, nel luglio 1584, gli vengono impar-
tite istruzioni sopra la sua carica e le sue funzioni,
come ne ritroviamo in un'altra ordinanza della Ca-
mera sopra il titolo e la bontà delle monete ch'egli
dovrà coniare. A questa zecca furono inviati da Cham-
bery parecchi operai monetari che vi lavorassero la
nuova moneta; ma il lavoro durò poco tempo per-
chè i conti dei maestri di zecca a Gex vanno sol-
tanto dal 1584 al 1586; si sa che di nuovo nel 1588
vi furono ordinate emissioni; ma da tal anno la zecca
deve essere rimasta inattiva, fino al 1601, quando il
baliaggio di Gex venne ceduto alla Francia.
ZECCHIERI.
1583 84 — Nobile Carlo Goulaz, maestro.
1584 — Nicola Grand, maestro.
1585 — Claudio Denis, maestro.
1586 — Benedetto Doppes, maestro.
XXV. — Santhià e Biella.
Nell'infausta guerra del 1630, quando la peste
infieriva nel Piemonte e specialmente in Vercelli, la
2J2 RICCARDO ADALGISIO MARINI
Camera dei Conti autorizzò il maestro Francesco
Fiamma, che in Vercelli teneva zecca, a trasferirla
nella città di Santhià, dove lavorò fino al 1631; po-
scia la zecca, cessata la pestilenza e la guerra, fu
restituita in Vercelli. Presso a poco dicasi per Biella.
Ivi ritiratisi i Principi Maurizio e Tommaso, dopo
aver perduto Torino nell'infausta guerra, vi conia-
rono pezzi inferiori da soldi 4, soltanto per gli anni
1641 e 1642. — Ma furono entrambe zecche di poco
conto e di brevissima durata, senza tipi e contras-
segni ri marche v ? oli.
XXVI. — Zecca d'Annécy.
Amedeo III di Ginevra, creato Principe del Sa-
cro Romano Impero da Carlo IV, volle ad imitazione
di Ludovico di Savoia, Barone di Vaud, far atto di
sovranità emettendo moneta propria, senza curarsi
dei diritti regali che il Vescovo di Ginevra posse-
deva su tutta la sua diocesi. Ma Amedeo dichiarò
di rimettersi ad arbitri designati, per ben definire le
sue differenze ; così nel 1 356, in domo de insula, ad
Annécy questo principe comincia a coniare; l'officina
lavora per ben 34 anni e si chiude soltanto il 16
aprile 1391. I registri dei parlamenti generali ci se-
gnalano parecchi monetieri di Annecy quali rappre-
sentanti della loro zecca ; così a Saint Marcellin tro-
viamo indicato un Antonio Lovanieri ricevuto al
parlamento del 1423 ex gratia ducis sabandie. Il nu-
mero ristretto, per altro, degli zecchieri di Annécy,
sembra indicare che i Duchi di Savoia, dopo essersi
impossessati del Genevese, lasciarono sussistere que-
sta piccola zecca senza però aumentarla di operai, fino
al 1460, quando cioè la provincia fu data in appan-
naggio a Giano di Savoia, figlio del Duca Ludovico,
che con patenti del 28 novembre 1448 prometteva
che una zecca sarebbesi stabilita in Annécy. Oltre il
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CA5A DI SAVOIA
233
1460 i documenti tacciono, ne finora è dato di co-
noscere con certezza il tipo di conio sabaudo adot-
tato in questa officina.
ZECCHIERI.
1429 — Antonio Lovanieri, maestro.
„ — Giacomo Vaneis, maestro.
1439 — Antonio Lovanieri, procuratore.
1440 — Francesco Deosans, maestro.
1442 — Giacomo Peiret, guardia.
1447 — Pietro Forét, guardia.
MAESTRI ZECCHIERI GENERALI
PER
SAVOIA e PIEMONTE.
i34°-
!355-
1390.
1392.
1393-
1400.
1420.
1421.
M3I-
1448.
1449.
1463.
1467.
1469.
H73-
1478.
1483.
1485.
1496.
NicolettoFrancini.
Pietro Gerbaix.
Aresmino Provana.
Giorgio Bruges.
Ambrogio De Arbicis.
Girardo Chambon.
Martinetto Mercier.
Gossivino Bomel.
Tommaso Folonia.
Guigo Besson.
Cristino Boulard.
Pietro Bessone.
Guglielmo Grand.
Aimaro Fabbri.
Guglielmo Clavelli.
Giacomo Philippe.
Jénin Aubausel.
Guglielmo Roger.
Janin Ouvassel.
Pierre Voulliod.
Guglielmo Roger
Nobile Galeazzo Gruet.
Francesco Besson.
1496,
i5°4
1521
i5 2 3
T 5 2 5
r 5 2 9
!534
»
!535
1548,
155°
n
!55 r
J 55 6 '
157°
1575
1584,
1597'
1602.
, Mermet de Mandalla.
Nicola Gatti.
Guglielmo Roger.
Claudio de Monteis.
Giovanni Raffoulaz.
Antonio Vagnone.
Pietro Balligny.
Giovanni Guillod.
Enrico Pugins.
Domenico Franda.
Gian Pietro Ferraris.
Francesco Savoie.
Giacomo Diano.
Giovanni Réal.
Gian Pietro Ferraris.
55. Giacomo Dian.
Giovanni Réal.
Stefano Divonne.
Fiorentino Tardy.
Francesco Straccia.
Stefano Divonne.
Paolo Del Bosso.
Guglielmo Divonne.
30
234 RICCARDO ADALGISIO MARINI
MAGISTRATI ALLE ZECCHE.
1579. Amedeo de Ponte.
„ Sebastiano di Solere.
„ Lorenzo Grimaldi.
„ Giambattista Lordo.
SOVRAINTENDENTI GENERALI.
1579. Gian Stefano Doveris.
1602. Nicola Arnaldi.
„ Bartolomeo Arnaldi.
1617. Luigi Grippa.
1625. Secondo Rossi.
1634. Vincenzo Vincenzi.
1635. Giacomo Luigi Giordano.
1690. Conte Olivero.
1692. Gian Bartolo Prono.
INTAGLIATORE DI CONII.
1407. Lamberto Ballet a Chambery.
1466. Tommaso Ballet a Cornavin.
1528. Gerolamo Cattaneo a Cornavin.
„ Cristoforo Forza a Chambery.
1529. Francesco de Margues a Cornavin.
1544. Luigi Porro a Torino.
„ Paolo Doveris a Torino.
1562-70. Gabriele Cunelier d'Aosta a Chambery.
1579. Giovanni Stefano Doveris a Torino.
1580. Giacomo Nugone a Torino.
1582. Cristoforo Porro a Borgo.
1584. Nicola Grand a Chambery.
1591. Stefano Doveris a Chambery.
1610. Orazio Astesano a Borgo e Torino.
1625. Giacomo Ozegni a Chambery.
1630. Stefano Mongino a Chamber}-.
1658. Bernardo Laurenti a Torino.
1663. Stefano Laurenti a Torino.
,, Michele De Fontaine a Torino.
1699. Federico Vidman a Torino.
1730. Claudio Rossetti a Torino.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 235
I CONTRASSEGNI
I contrassegni sono quei segni particolari che gli
zecchieri usavano imprimere sulle monete, perchè si
distinguesse il conio loro da quello d'altri. Nella
Real Casa di Savoia, i contrassegni a noi finora
noti (e parlo solo di questi, poiché se ne hanno
molti non ancora spiegati), cominciano alla metà del
secolo XIV con Matteo di Bonaccorso Borgo. Questi
fu lo zecchiere storicamente più abile e più impor-
tante, ed i suoi conii ritraggono sempre d'una grazia
e d'una perfezione senza pari, dati i tempi in cui
ebbe a coniare, Lo seguono per fama, Giovanni
Picot e Tommaso Folonia entrambi di Avigliana,
altri Bonaccorso discendenti del primo Matteo, il
Brunasso ed il Cassini di Tornio, il Ferraris, il Gatti,
lo Vialard di Aosta. Cosa naturale perciò che questi
abili artefici della moneta, che l'opera loro curavano
con amore e intendimento d'arte, abbiano cercato di
difenderla da insidie di falsari e da non rare falsi-
ficazioni che allora, come ai tempi nostri, pur troppo
andavano per la maggiore.
Non infrequente il caso che uno stesso zecchiere
usasse più segni, a seconda delle zecche in cui la-
vorava ; allora alle iniziali del maestro precede quella
della zecca. Comunissimi a molti i punti aperti, i
punti chiusi, i punti segreti nel bel mezzo dell'im-
pronta, che ci tolgono la possibilità di conoscere
236 RICCARDO ADALGISIO MARINI
con giusto criterio il conio dei singoli maestri. Non
disperi tuttavia il numismatico di riuscire in simile
impresa, che se a tutta prima non pare di impor-
tanza alcuna, molta ne acquista invece per la cono-
scenza topografica e storica delle zecche sabaude,
quando ci è dato di scoprire o attribuire contras-
segni fino a ieri indecifrabili, ad un nuovo zecchiere.
L'intelligenza s'acuisce a mano a mano che
l' indagine l'attira e la rende curiosa : certe piccole
vittorie si presentano con intima gioia e gli studii
avranno acquistato una forte recluta in più.
Il Promis ed il Perrin ci danno un esiguo elenco
di contrassegni. Io ne presento agli studiosi uno
più lungo e più esatto (mi si perdoni questa convin-
zione), frutto di accurate indagini praticamente fatte
sulle monete. Per comodità maggiore li suddivido
in due categorie : Oggetti e Iniziali.
A queste iniziali sono ancora da aggiungere di-
versi segni caratteristici, proprii delle zecche sabaude,
come la croce di San Maurizio per la zecca di Bourg,
la testa d'aquila per la zecca di Torino del 1816 e
l'ancora per quella di Genova del 1824. Numerosi
contrassegni, ripeto, non possono ancora essere og-
gidì spiegati; forse gli archivi pubblici e privati ci
riservano sorprese e utili cognizioni che porteranno
a scoperte curiose nel campo degli studi nummari
sabaudi. Chi scrive s'augura di poter un giorno dare
completo l'elenco dei contrassegni suddetti e riuscire
così in uno studio finora alquanto grave, per diffi-
coltà di scelta e vastità di materia.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA
237
I. — OGGETTI.
Designazione
Maestro
Fiore a cinque petali .
Una modica stella ante
Comes
Due punti aperti . . .
X X
Un punto aperto . . .
n » w •
Trifoglio (unum triolet
ante punctum apcr-
tum)
Una margherita con pun-
to aperto
A forma di un crescente
(Mezzaluna) ....
Una rosa
c o
Una stella
Fiorellino. Ne m'oubhez
pas
Fiore di giglio ....
Trifoglio
Piccolo elmo ....
Trifoglio tagliato da li-
neetta
Elmo (Ad formali tinius
galee gallico inde ad
formam crusilli). . .
Una corona
Ad instar un us castelleti
Un piccolo sole con
fiamme
Una violetta
Laccio d'amore tra le
parole della leggenda
Punto secreto sotto la D
di Amedeus e Ludo-
vicus
Punto chiuso sopra la D
di Ludovico ....
Una chiave
Doppia crocetta nella
leggenda
Fiori a cinque petali
?? (2 punti interrogativi)
Bernardo Robert
Matteo Bonaccorso Borgo
Matteo Bonaccorso Borgo
Giovanni di Rezeto
Matteo Bonaccorso Borgo
1 Giovanni di Rezeto
Tommaso Folonia d'Avi-
gliana
Martinetto Mercier
l Giacomo Picot
Giovanni Benvenuti
Giovanni Picot
Giovanni di Masio
Bertino Busca
Manfi edo Besson
Giovanni di Masio
Lanfranco Busca
Zecca
Manfredo Besson
Michele Balma
Guido Bessone
Manetto di Bcauchatcl
Bertino Busca
; Martinetto I.autaschis
Stefano Varembon
Francesco Garin
Antonio Fabri
Bartolom. de Chateauneul
Giacomo Filippet o Phi-
lippet
Pietro Baligny
Data
Chambery
»
Nyon
Chambery
Chambery
»
Nyon
Chambery
Torino
Nyon
Ivrea
Nyon
Chambery
Ivrea
Chambery
Torino
Nyon
Chambery
Ivrea
Nyon
Torino
Geiiève(Cor-
navinl
Bourg
Gcnévc(Cor-j
tiavin)*
n »
Chambery
134»
1357-59
1390
i39i
1402
1405
1407
1419
1419
1420
1420
1420
1421
1421
1422
1422
1422
1423
1423
1424
1426
1427
1448
J45 1
>45'-52
'453
'453-57
'457
1481
2 3 8
RICCARDO ADALGISIO MARINI
II. - INIZIALI.
Lettere
Maestri
Zecca
Data
A. - AST.
.
Asti
A. M. - e anche s- lo A.
Andrea Morello
Chambery
1563
AVG.
— —
Aosta
—
B.
— —
Bourg
—
B. A.
Bertolini Anemondo
Chambery
1508
B. B.
Benedetto Bacod
Bourg
1523
B. P.
(Bourg) Pugniet
Bourg
1543
C.
— —
Chambery
—
CA. CAX.
Cassini Giacomo
Torino
1503
C. F.
Cristoforo Forza
Chambery
1530
E. B, C(hambery)
Etienne Bourges
Chambery
1565
E. D.
Emanuele Diano
Chambery
1575
E. D.
Emanuele Diano
Bourg
1577
F.
Ferraris e Fiamma
Vercelli
1530-48-1628
F. D.
Filiberto Diano
Bourg
1584
G.
— —
Genève (Cor-
navin)
—
G.
Gruber (Chiaffredo)
Chambery
1595
G. C.
Gerardino Caguassone
Torino
1536
G. G.
(Genève) Gatti (Nicolò)
Cornavin
1485
G. G.
(Genève) Goulaz (Enrico)
Coruavin
[528
G. P.
Gastaudi Pietro
Torino
■517
1. M.
Jean Miretto
Chambery
1577
J. T.
Jeronimus Torrato
Vercelli
'544
L.
Luchino (o Luan?) Real
Bourg
1560
M. G.
Michele Gròber
Chambery
1583
N.
— —
Nizza
—
N. G.
Nobile Goulaz (Enrico)
Cornavin
1528
N. G.
Nicola Gatti
Cornavin
H85
N. M.
Nobile Monet
Chambery
1617
N. V.
Nicolò Vialard
Aosta
1553
P.
Pugniet
Bourg
1543
P.
Panizza Bartolomeo
Asti
1548
P.
Perinetto Pietro
Chambery
1640
P. C.
Permetto
C(hambery)
„
P. L.
Pierre de Luan
Bourg
1566
T.
— —
Torino
—
T. B. - T. BRVNAS.
Bartolomeo Brunasso
T(orino)
i5 r 9
T. B. B.
" »
M
n
T. B. C.
Bernardo Castagna
M
1567
T. CAS.
Cassini Giacomo
M
1503
T. CAX. - CAX1N.
H II
II
n
T. CX.
" »
II
n
T. J. B. C.
Jean Baptist. Cattaneo
n
157°
T. J. P. G.
Jean Pierre Gastaudi
li
1517
T. P. P.
Pierpaolo Porro
tt
1507
V.
— —
Vercelli
—
V. G. T.
Gerolamo Torrato
V(ercelli)
1544
V. J. P. F.
Jean Pierre Ferraris
»
1530
V. L. F.
Ludovico Ferraris
1}
1548
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 239
TIPI, MOTTI e LEGGENDE MONETARIE
PARTICOLARMENTE DELLE ZECCHE DELLA SAVOIA (i)
Per quanto valenti storici abbiano assegnato ai
Savoia con tutta certezza la zecca di Aquabella, allo
stato attuale degli studi dobbiamo riconoscere che
la prima officina monetaria, della quale son noti i
documenti, e il nome appare sulle monete, è soltanto
quella di Susa. Le monete ivi coniate da Umberto li
fino ad Amedeo IV portano impresso nel diritto il
nome del principe con la croce o la stella, e nel
rovescio il nome Secusia con i globuletti, quando anche
questi tipi abbiano, come facilmente e spesso potremo
osservare in molti esemplari,, ad essere disposti vi-
ceversa. Gli stessi segni ritroviamo sotto Amedeo IV,
ma la leggenda è modificata; al nome egli aggiunge
il titolo di conte, Amedens Comes, e il nome della
zecca di Susa sostituisce con quello di Sabaudia che
d'allora in poi divenne il grido di guerra e la divisa
della sua famiglia.
Fino a questo principe i contrassegni usati dagli
zecchieri per distinguere le monete battute da cia-
(1) Gli studi numismatici, avendo in questi ultimi anni rivelato pol-
la monetazione sabauda, l'importanza maggiore delle zecche della Sa-
voia in paragone di quelle piemontesi, limito per ora quest'ultima parte
del mio lavoro specialmente alle zecche suddette e avviso insieme
l'egregio lettore, che non intendo compiere un elenco particolareggiato
di lutti i motti e di tutte le leggende, ma di spiegare ed esaminare
soltanto quelle principali.
240 RICCARDO ADALGISIO MARINI
scuno d'essi consistevano soltanto, come già dissi,
in punti o accenti posti sopra o sotto qualche let-
tera della leggenda ; ma con Amedeo IV appaiono
le rosette, le stelle, gli anelletti, i punti secreti, ecc.
La prima arma dei principi di Savoia fu l'aquila
dell'impero che nel secolo XIII copriva lo scudo e
il campo di diverse monete dei principi italiani,
adottata, credesi, da Amedeo IV come Vicario del-
l' Impero. L'aquila che comparve pure sui sigilli
dapprima con una sola testa, poi con due non fu
arma esclusiva di questo conte, ma di tutta la sua
famiglia, fino all'adozione costante dell'attuale scudo
di Savoia dalla croce d'argento che vediamo usato
per la prima volta in un sigillo di Amedeo III del 11 37.
I tipi e il valore delle monete offrono fino al-
lora un'uniformità grandissima : i danari e gli oboli
di Susa, con la distinzione in forti e debili, sono ap-
pena appena menzionati. Con Filippo I appaiono i
viennesi, i forti, i mauriziani, il cui rapporto di ti-
tolo e di peso con le monete precedentemente in
corso non ci è dato di conoscere con sicurezza.
Su quelle di Amedeo V c'è l'affermazione di un
nuovo possesso, il Piemonte : Amedeus Pedemontensis,
che gli fu dato da Enrico VII di Lussemburgo nel
1310 ; ma senza menzione del titolo di marchese
messo su quelle di Amedeo VI e successori.
Edoardo conservò l'aquila sopra qualche raro
esemplare, ma per il primo usò lo scudo di Savoia
con la croce, come si conservò poi nell'arma della
famiglia. Quale l'origine di questo scudo ?
Molti storici lo vorrebbero attribuire a Pietro II,
il piccolo Carlomagno ; ma un recente studio del
De Sonnaz, ci permette di accogliere una tesi diversa.
Basti il dire (per amor di brevità non entro in di-
scussioni) che la vera aquila imperiale adornava già
lo stendardo di Umberto Biancamano combattente
ZECCHE E ZECCHIKRI DELLA RE AL CASA DI SAVOIA 24 1
per l'imperatore Corrado II nel 1032-33; e la croce
risale direttamente alle crociate, che fondandoci so-
pra un sigillo del 1137 del conte Amedeo III, vi
scorgiamo ' la croce bianca, ch'egli probabilmente
assunse nel 1125-26, quando partecipò ad una spe-
dizione in Terrasanta, fatta dai veneziani e dagli
inglesi fra la prima e seconda crociata.
Sotto Amedeo V la differenza in titolo e peso,
diviene più grande fra le monete battute e in corso,
per Savoia e per Piemonte. Le prime di Edoardo
portano nel campo del rovescio la lettera A eh' io,
contrariamente alle ipotesi del Perrin, interpreterei
come un omaggio del figlio alla memoria del padre,
oppure anche come monete del quinto Amedeo ,
usate fino a consumazione dal figlio. L'A col tempo
vien poi sostituito dell' E sopra denari di lega assai
inferiore.
Aimone è l'ultimo conte che usi nel campo la
stella a sei raggi, la quale a sua volta verrà dopo
qualche tempo, sostituita dalla A iniziale del suo
nome, oppure da tutte le lettere del suo nome di-
sposte a croce. Nel rovescio figura quasi sempre lo
scudo di Savoia, o la croce a doppio tratto. 11 titolo
di Marchio (In Italia Marchio) viene ad aggiungersi
al Comes.
Amedeo VI usò la leggenda Amedeus Dei Grada
Comes, imitazione riprodotta su differenti monete ba-
ronali, della prima leggenda usata dai re di Francia
nel 11 37. Assunse ancora il Sanctus Maurici us Agati-
neusis sopra un bianco dozzeno del 1349 e impresse
nelle monete (anche in quelle d'oro che emise per
il primo) l'elmo di Savoia ed i lacci.
Fece battere il fiorino simile a quello di Firenze,
col fior di giglio contornato dal motto : Florenum
Amedei C orniti s ; nel rovescio pose il San Giovanni
Battista nimbato, il cui nome Sanctus Johannes è se-
242 RICCARDO ADALGISIO MARINI
guito dallo scudo di Savoia, contrassegno della zecca
di Saint Génix.
I fiorini battuti da Amedeo VII conservano lo
stesso rovescio, ma il giglio di Firenze è sostituito
dall'arma di Savoia, lo scudo caricato dell'elmo, ac-
costato da lacci, colla leggenda Amedeus Comes Sa-
bandie. Sopra alcuni esemplari l'elmo è caricato da
due crocette ; nel rovescio, come contrassegno, ab-
biamo una croce al posto dello scudo. Nella zecca
di Nyon nel 1350 battè monete imitanti nel tipo
quelle dei vescovi di Ginevra, vale a dire, una croce
accostata da una S nel secondo quarto, e da tre
punti nel terzo, con la formula + Amed • Comes, e
nel rovescio la testa di San Pietro col motto + De
Sabaudia ; imitazione questa che non troviamo regi-
strata negli ordini di battiture di Amedeo VII a noi
noti, e che indica una riapertura dell'officina di Nyon
in epoca non ben definita. Amedeo VII ha due nuove
leggende; la prima ENPrev, che è sua personale, fi-
gura sopra grossi tornesi, accostante l'elmo di Sa-
voia ; l'altra Benedictum Sii Nomen Domini Nostri
Dei Jesu Christi, sta sopra grossi d'argento del 1391,
all'imitazione dei re di Francia sulle cui monete
detta leggenda è posta fin dal 1226.
La croce di San Maurizio figura per la prima
volta sopra uno scudo d'oro battuto in Avigliana nel
1391; questo scudo è un indice della posizione sem-
pre più importante occupata dagli stati di Savoia, i
cui progressi successivi si riflettono in qualche modo
anche nelle emissioni delle monete. Su quelle di
Amedeo VII compaiono frequentemente i lacci e il
cimiero di Savoia dalla testa di leone alato.
Amedeo Vili, il cui regno fu lungo ed impor-
tantissimo, avendo ottenuto l'erezione della Savoia
in ducato nel 1416, diede alle sue emissioni un ca-
rattere più personale, scartando di proposilo i tipi
monetari degli stati vicini.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REM. CASA DI SAVOI \ 243
Nel campo della maggior parte delle sue mo-
nete l'A iniziale del suo nome è sostituita dal ci-
miero di Savoia col motto F • E • R • T ■ che ritroviamo
pure sopra i suoi sigilli. Intorno a questo classico
motto non è d'uopo ch'io mi indugi, in un lavoro
elementare come questo, fra critiche e considerazioni;
dirò solamente che l'interpretazione più ovvia ed
oggidì accettata da tutti si è Fortitudo Ejus Rhodhum
Teimit, alludendo alla liberazione di Rodi, assediata
dai turchi ,nel 1316 e felicemente compiuta da
Amedeo V.
La S iniziale di Sabaudic figura sopra rari denari,
dove essa è posta nel campo sia del diritto come
del rovescio. La croce patente che ritroviamo sopra
monete di Carlo I e lo scudo losangato che figura
su quelle di Lodovico e di Amedeo IX, han preso
queste forme sotto il suo regno. Lacci, rose, rosette,
crocette e punti aperti accostano poi diverse im-
pronte del campo delle sue monete.
Amedeo Vili poi è il primo principe sabaudo
che nella moneta siasi fatto rappresentare, effigian-
dovi anche San Maurizio nimbato, armato di spada,
a cavallo, con la leggenda Sanctus Mauritius Agami.
sopra grossi tornesi; sopra denari del 1392 ha la
leggenda Benedictum sit nomai donimi nostri Jesu
Christi. Riproduce pure la forinola Amcdeus Dei
grada Comes. Sopra i ducati del 1430, egli si rap-
presenta in ginocchio davanti a San Maurizio, rice-
vendo alla sinistra la bandiera del Santo, il quale
tien la sua destra sulla bandiera e la sinistra sulla
spada ; imitazione questa delle monete veneziane
dell'epoca. La leggenda è : Sit nomai Domini Bene-
dictum. Tutta la sua monetazione può dividersi in
due grandi parti, nella prima è il titolo di Comes,
nella seconda, dopo il 1416, di Dux Sabaudie.
Ludovico vien rappresentato a cavallo, armato,
244
RICCARDO ADALGISIO MARINI
campo un ducato d'oro, colla leggenda Deus in adiu-
iorium nostrum intende. La croce losangata occupa il
sopra di qualche moneta, con il motto F • E • R • T •; nel
rovescio vi figura pure spesso la L iniziale del suo
nome. In un doppio grosso d'argento usò la nuova
leggenda Sanctus Mauritius Dux Thoeb ■ con una
grande croce mauriziana nel campo. Il tipo di questo
grosso fu riprodotto da Amedeo IX e Filiberto I.
Amedeo IX è rappresentato a cavallo e armato
di tutto punto, sopra ducati d'oro, con le leggende
Deus in adiutorium meum intende e Sanctus Mauritius
Dux Thoeb. leggenda questa pure adoperata da Fi-
liberto I insieme con l'altra A Domino factum est
istud.
Carlo I è riprodotto in busto, di profilo, spesso
con la spada alzata nella mano destra. Con lui co-
mincia la prima rappresentazione della figura del
sovrano sulle monete della Real Casa di Savoia.
Testone di Carlo I di Savoia — Cornavin, 1485.
Parecchi i suoi motti : SU nomen Domini benedictum.
— Dominus Conti Adiutor et Gov. despicia. — XPS vin-
cit, XPS regnai, xps imperai. — Christus resurgit in pace
Deus. — Spesso nel campo della moneta è un K ra-
ramente una C, come iniziali del suo nome. Fino a
lui, i contrassegni degli zecchieri consistevano in cre-
scenti corone, fiori, trifogli, ecc., messi fra le parole;
da lui invece comincia l'innovazione: ogni zecchiere
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 245
metterà le iniziali del suo nome e cognome al ter-
mine della leggenda.
Della reggenza di Bianca, tutrice di Carlo Gio-
vanni Amedeo, non abbiamo che big/ioni con nel
campo una B.
Filippo II è rappresentato a cavallo, armato di
tutto punto, oppure in busto di profilo. Questo tipo
è d'una grande precisione e rende perfettamente la
fisonomia. Adopera le formule : A Domino factum est
istud. — xps vincit, xps regnai, xps imperat. — XPS
resnrgit et Rex venit in pace Deus. Nel campo spesso è
una P, iniziale del suo nome latino Philippus. Sopra
altre è pure la cifra romana VII ad indicare ch'egli
fu il settimo duca di Savoia.
Filiberto II vien specialmente rappresentato in
busto : il disegno della sua testa è d'una nitidezza ve-
ramente perfetta. Sopra un bell'esemplare in argento
ch'egli dovette battere per le sue nozze, il busto ri-
volto a destra occupa il diritto, mentre il rovescio
porta il busto della moglie Jolanda rivolto a sinistra;
la croce, usata dai suoi antecessori al principio della
leggenda, vien da lui sostituita con lo scudo sabaudo.
Sua leggenda preferita e /;/ te Domino confido, che
sette suoi successori conservarono sulle loro monete.
Con la cifra romana Vili indica tale suo ordinativo
nella serie dei duchi di Savoia. Cominciano pure
con lui ad apparire le iniziali del nome della zecca
messe davanti a quelle del maestro.
Carlo II, ch'ebbe veramente una monetazione
importantissima, ha gran varietà di leggende, di tipi,
di impronte, benché le sue monete siano alquanto
inferiori a quelle dei predecessori. Varie, ripeto, le
leggende : Sanctus Manricius Dux Tlioeb, sopra pezzi
del 1526 e 1553 ; In te Domine Confido. — Laus Ubi,
Domine. Nihil deest timentibus Deum. Varie pure
le formule : Pnnceps Marchio in Italia. — Kablasy et
246 RICCARDO ADALGISIO MARINI
Anguste S. R. Imp. pr. — Sacri Romani Imperi prin-
ceps vicar perpet Dux Sabaudie Villi (la qual cifra è
spesso ridotta a V e VII quando il coniatore non
calcolò bene lo spazio per la leggenda).
Come iniziali usa il K e la C con o senza co-
rona, e la S per Sabaudie. Con questo duca com-
paiono le prime date delle emissioni. Sopra biglioni
del 1535 il campo delle due faccie è occupato nel
diritto da una croce fatta di cinque scudi: Savoia
nel centro, Impero, Sassonia, Chiablese e Aosta,
formanti i bracci, accostati dalle lettere F • E • R • T •
La croce del rovescio è invece di quattro fiori or-
nati con al centro una margherita. In alcune sue
monete d'oro e d'argento, lo scudo di Savoia è so-
stenuto da due leoni, e alcune volte anche da un
solo, rampante, che costituì poi la prima arma dei
cadetti di Savoia e che apparve sopra i sigilli di
Tommaso II, di Pietro, di Aimone, signore di Chil-
lon, e di Amedeo V quando ancora costui non
aveva alcuna speranza di salire al trono. Comincia
pure a comparire il cavallo sopra denari chiamati
cavallotti battuti nel 1551.
Emanuele Filiberto carica lo scudo di Savoia
di una sbarra a tre Limbelli sopra monete battute
mentre era ancor vivo suo padre; portano la data
di emissione soltanto a partire dal 1555. Prima di
tal anno le monete sue hanno il nome e il titolo
soltanto : E. Philibertus de Sabaudia e nel rovescio
P. Pedemontis. Coni. Asti. La sua- prima divisa allu-
dente alle sventure che colpirono i suoi stati e la
sua famiglia fino a quando egli felicemente ne sol-
levò le sorti, fu Auxilium meum a Domino che fino
al 1561 figura esclusivamente sopra la maggior parte
delle sue monete. Un doppio Filiberto d'oro battuto
a Vercelli in quell'anno porta da una parte i busti
di Emanuele Filiberto e di Margherita sua sposa, e
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 247
nel rovescio alcune freccie allacciate da un serpente
colla leggenda Herculeo vincta nodo. Dopo il 1561
abbiamo Infestus infestis sopra denari che portano
nel campo un elefante circondato da agnelli. Poi
sopra scudi d'oro del 1561, 1571 e 1577 è la leg-
genda In Domino confido ; e In te domine confido so-
pra bigioni dal 1561 al 1576 e sopra uno scudo
d'oro del 1564. Spesso usa lo scudo formato dalle
armi delle provincie componenti i suoi stati e dopo
il 1571, la croce di Malta caricata della croce di
San Maurizio, e qualche volta ancora accostata dai
quattro scudi di Savoia, del Chiablese, d'Aosta e
dell'Impero. Sulla lira battuta a Vercelli nel 1561,
c'è il suo busto rivolto a sinistra e nel rovescio una
corona di quercia con nel campo la leggenda Instar
omnium, mentre piccoli biglioni portano le sue ini-
ziali E • F • con o senza corona, con la croce mauri-
ziana nel rovescio e qualche volta col motto F-E- Ri-
tagliato da lacci e da fiori.
Carlo Emanuele I coniò a Chambery dei duca-
toni, dei soldi e quarti di soldo. Usa egli pure gran
varietà di leggende : In te Domine confido. — Nihil deest
timentibus Deum su testoni e ducati del 1590, 1595
e 160 1 ; Auxilium menni a domino su testoni del 158T,
1595 e pezzi d'oro del 1607; Tibi soli aderere e Mihi
cibsit gloriavi attorno a una croce mauriziana su de-
nari del 1587 e 1610; De ventre mairis Deus protector
meus su ducatoni del T591 al 1628; Pax in virtute
tua attorno alla Vergine col Bambino su ducati d'oro;
Discerne causam meam nei fiorini detti di San Carlo;
In hoc ego sferabo su fiorini e testoni del 1610 e 161 1 ;
Benedic Hereditati tuae attorno al Beato Amedeo (IX)
di Savoia, nimbato, tenente lo scettro, e appoggiato
sopra un cartello sul quale sta scritto : Facite Judi-
cium et jiistitiam, diligile pauperes, et Dominus dabit
pacem in finibns vestris, nei fiorini del 1619 e 1629;
248 KICCARDO ADALGISIO MARINI
Expecta Dm. viriliter age, attorno allo scudo di Sa-
voia circondato da un Collare dell'Annunziata su
fiorini del 1629; In virtute tua sotto una croce mau-
riziana, sulle lire del 1581. Raro e finissimo è il suo
tallero d'argento in cui egli è rappresentato armato,
sopra un cavallo a galoppo ; nel rovescio è una
splendida croce mauriziana accostata dai soliti quattro
scudi di Savoia, Chiablese, Aosta e Impero. Su du-
catoni del 1588 vediamo il suo busto in grande, e
nel rovescio un centauro nell'atto di scoccar la
freccia dall'arco e la leggenda Opportune. In altre
monete infine troviamo ancora Ampliar cium premor
e Omnia dat qui justa negat.
Vittorio Amedeo I ritornò ad alcune formule
dei suoi predecessori, ma due specialmente gli sono
personali : Nec numina desunt con nell'esergo TAVR
1631, sopra scudi d'oro e d'argento che hanno nel
campo la corona ducale, dalla quale s'elevano tre
stendardi portanti la croce di San Maurizio, il col-
lare dell'Annunziata e la Croce di Savoia ; e Foedere
Et Religione Tenemur sopra grandi scudi d'oro del
1635, nel campo una croce formata dallo scudo di
Savoia e da lacci avvolgenti il motto F • E • R • T -, del
quale la leggenda è una graziosa interpretazione.
Sue diventano pure alcune formule usate, come
già dissi, dal padre suo : In te Domine confido, — Mxhi
absit gloriari e Benedic Hereditati tnae. La dicitura
Rex Cypri compare la prima volta sopra una lira
d'oro del 1634.
Francesco Giacinto e Maria Christina sono rap-
presentati in busto l'uno accanto dell'altro ; nel ro-
vescio è la Vergine col Bambino, attorniata dalla
leggenda Dedncet nos mirabiliter dextera tua.
Carlo Emanuele II, durante la reggenza di Maria
Christina, vien rappresentato anche lui quasi sempre
in busto a lato della madre, e da solo sopra due
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 249
s
tipi soltanto. Sua leggenda preferita è : Justum de-
duxit per vias recias. Giunto al potere usò spesso lo
scudo di Savoia sostenuto da due leoni, colla dici-
tura Dux Sabaudic, Prìnceps Pedemontiwn, Rex Cypru
Vittorio Amedeo II colla madre Maria Giovanna
Battista trovasi in busto sopra monete d'oro e d'ar-
gento ; quelle di rame han la croce Mauriziana e
patente nel diritto ; nel rovescio un laccio sormon-
tato dalla corona ducale. Sopra monete d'oro del
1675 la Vergine col Bambino è circondata dalla leg-
genda Pupillum et Vidnam suscipiet; sopra altre il
duca è a cavallo, e nel rovescio sta la Giustizia
colla leggenda Patriam tuendo, /idem servando.
Da Carlo Emanuele III in poi i tipi monetari
e le leggende non rappresentano più particolarità
speciali e degne di note : ai detti biblici vien quasi
sempre sostituito nel diritto il nome del principe
accompagnato dalla dizione Rex Sardiniae; e nel ro-
vescio Dux Sabaudiae Prìnceps Pedemontiwn, Rex
Cypri et Jerusalem.
Di più, con Vittorio Amedeo II cessa virtual-
mente la zecca di Chambery, prima ed ultima tra
le zecche della Savoia. Con i suoi successori la mo-
netazione diventa prevalentemente subalpina: le vec-
chie officine sabaude hanno ceduto il posto a Torino e
Genova e di loro più non resta che l'opera gloriosa
rievocante la storia del passato.
Dott. Riccardo Adalgisio Marini.
31
250 RICCARDO ADALGISIO MARINI
BIBLIOGRAFIA
NB. — Raccolgo in questa breve bibliografia soltanto quelle
opere che di proposito studiano la monetazione sabauda;
escludo perciò tutte quelle altre che pur accennando in
qualche loro parte alle zecche di Savoia, non ne trattano
proficuamente e particolarmente.
Guichenon Samuel : Histoire généalogique de la royak Maison de Savoie.
Lyon, 1660.
Vernazza: Moneta di Edoardo conte di Savoia. Torino, 1790.
Cibrario e Promis: Documenti, monete e sigilli della Rea/ Casa di Sa-
voia. Torino, 1833.
Sigilli dei principi di Savoia. Torino, 1834.
Promis Domenico: Mone/e dei Reali di Savoia. Torino, 184 1.
Monete del Piemonte inedite o rare. Torino, 1852.
. Monete inedite del Piemonte (supplemento). Torino, 1866.
Barthélemy Anatole : Monnaye de Louis de Savoye. Revue Numisma-
tique, tom. XV, 1850.
Blanchet A. : Mémoires sur les monnaies des pays voisins du Léman.
Société d'Hisloire Suisse romande, tom. XIII. Lausanne, 1854.
Chaponnière : De l'instilu/ion des ouvriers monnayers du Saint Empire
romain et de leur parlements. Société d'Hisloire et d'Archeologie de
Genève, tom. II, 1842.
Friedlaender : Monnaies des princes francais d'Achaye et d'Athènes.
Revue Kumismatique, 1843.
Feuardent : Gros inédit de Louis II di Vaud. Revue Numisma!., 1860.
Géry : Monnaies du moyen àge trouvées a Paladric (Savoye). Revue Nu-
mismatique, 1865.
Lecoy de la Marche : Testament d'Amcdée III, etc. Revue Savoisienne,
1863.
Lévrier : Histoire des comtes de Genèvois.
ZECCHE E ZECCHIERI DELLA REAL CASA DI SAVOIA 25 1
Morel Fatio : Trouvaille mone/aire de Rumilly (Revue Savoisienne). An-
necy, 1870.
Perrin André : Le monnayage en Savoye sous les princes de celle Maison.
Société Savoisienne d'Histoire, 1872.
De l'Association des monnayeurs du Saint Empire Romain et des
ateliers de Piemont qui en firent partie. Torino, 1873.
Une ntonnaie du comte Thomas de Savoie. Revue Savoisienne, 1874.
Promis Vincenzo : Tavole sinottiche delle monete italiane. Torino, 1869.
Notice sur les jetons de Marguerite de Bour gogne, duchesse de Sa-
voie. Memoires Société Savoisienne d'Histoire, età, tom. XV. Cham-
bery, 1876.
Mone/a inedita di Pietro di Savoia e cenni sulla zecca primitiva dei
principi sabaudi. Torino, Loescher, ]888.
Rabut Francois : i, 2, 3, 4 e 5 notice sur quelques monnaies de Savoie
inèdiles. Memoires Société Savoisienne d'Hist. et Archeol., 1851-54-
59-62-72, tomi I, II, III, V, XIII.
Dénier de l'ivéché de Saint Jean de Maurienne, frappé à Aiguebelle
au XI siede. Société Savoisienne, etc, tom. Ili, 1859.
Perrin André : Catalogne du Mèdailler de Savoie, Mitsée de Chambery ,
1883.
Musée d'Annecy, id. id.
Seraud Elois : Ecu d'or d'Amedée VII. Revue Savoisienne, 1867.
Soret Francois : Lettre sur un gros inédit de Louis de Savoie. Revue
Numismatique, 1850.
Rivista Italiana di Numismatica : Studi e note di Numismatica Sabauda
dei signori prof. Rossi Umberto, prof. A. Ladé, avv. Alfredo Mar-
chisio, Giacinto Cerrato, prof. R. A. Marini.
Ladé A. : Les monnaies anonimes des com/es de Savoie. Genève.
Marini Riccardo Adalgisio : Le antiche zecche di Susa e d'Avigliana. .
Rivista Ital. di Numism., 1908.
Gerbaix de Sonnaz : L'aquila e la croce di Savoia, ecc. Torino, Ma-
rietti, 1908.
R. A. M.
LE MONETE E LE ZECCHE
DI
VOLTERRA
MONTIERI, BERIGNONE E CASOLE
Appresso questo tornammo a Volterra,
Sopra un monte, che è forte ed antica
Quanto in Toscana niun'altra terra.
(Fazio degli Uberti).
Volterra è tra le poche città etrusche che hanno
tramandato fino a noi la serie completa e progres-
siva delle monete della sua antichissima civiltà.
Ma se le monete volterrane fuse al tempo degli
etruschi sono abbastanza note e studiate, non accade
altrettanto per le monete battute nella stessa città e
nel suo territorio durante il medio evo, sebbene
queste appartengano a tempi meno remoti e più
prossimi a noi. Anzi si può con sicurezza affermare
che di questa seconda serie monetale neppur tutti
i tipi oggi sono noti ai numismatici.
È vero peraltro che se molti numismatici e sto-
rici hanno lasciato ricordo delle zecche e della mo-
neta medioevale di Volterra, tutti o quasi tutti ne
hanno trattato incidentalmente ; e per quanto è a
nostra notizia, nessuno fin qui prese a scriverne di
254 ALESSANDRO LISINI
proposito W. Infatti il Bellini ( a ), il Giovannelli (3), il
Catelani (4>, il Promis (5), il Rossi ( 6 ), l'Ammirato ( 7),
il Muratori ( 8 >, il Riccobaldi Del Bava (9), il Targioni
TozzettH 10 ) il Giachi («>, l'Oderici ( 12 ), l'Argelati («3), il
Repetti (m), il Pagnini te), il Luppi ( l6 J, il Kunz ( J 7) ed
(i) Guido Antonio Zanetti aveva promesso la completa illustrazione
della zecca di Volterra, ma non mandò ad effetto la promessa (v. Delie
monete d'Italia. Nuova raccolta. Bologna, 1775, t. I, pag. 363).
(2) Bellini V. De moneiis ltaliae medii aevi. Dissertano. Ferrara,
1755, pag. 113. — Altera disserta/io. Ferrara, 1767, pag. 139.
(3) Giovannelli. Alterthiimliche Entdeckungen in Sudtirol, i8j8. Ixms-
bruck, 1844, n - II -
(4) Catelani M. Memorie della zecca di Fermo (v. opera Zanetti,
t. Ili, pag. 346).
(5) Promis D. Le monete della repubblica di Siena. Torino, 1868,
pag. 23.
(6) Rossi U. Volterra e le sue monete (v. Gazzetta Numismatica,
Como, 1882, an. II, n. 20, pag. 81).
(7) Ammirato S. / vescovi di Fiesole, di Volterra e di Arezzo. Fi-
renze, 1637, pag. 127.
(8) Muratori L. A. Antiquitates Italicae. Milano, 1739, t. II, Dis. 37,
col. 746.
(9) Riccobaldi Del Bava G. M. Dissertazione storico etnisca di
Volterra. Firenze, 1758, pag. 81.
(io) Targioni Tozzetti G. Viaggi in Toscana. Firenze, 1769, t. Ili,
pag- 374-
(n) Giachi A. F. Saggio di ricerche sopra lo stato antico e moderno
di Volterra. Firenze e Siena, 1786, 1706, cap. V.
(t2) Oderici G. Dissertationcs et adnotat'wnes in aliquot ineditus ve-
terum inscriptiones et numismala. Roma, 1765, pag. 128.
(13) Argelati F. Appendice alle opere De Monetis ltaliae. Milano, 1759,
t. V, nella Dissertazione del Bellini.
(14) Repetti C. E. Dizionario geografico della Toscana. Firenze, 1843,
t. V, articolo Volterra, pag. 819.
(15) Pagnini Del Ventura G. F. Della decima, ecc. e della moneta dei
fiorentini. Lisbona, Lucca, 1765, pag. 114, 215.
(16) Luppi C. Moneta inedita dei vescovi di Volterra (v. Rivista Hai.
di Numismatica. Milano, 1891, an. IV, fase. Ili, pag. 383).
(17) Kunz C. // Musco Bottacin (v. Giornale di Numismatica e Sfra-
gistica, an. 1871, t. Ili, pag. 33) Il Rossi cita, sotto la fede del Promis (?),
un grosso del vescovo Ranieri di Volterra che sarebbe stato pubblicato
dal Gazzoletti nella illustrazione della zecca di Trento. Noi abbiamo
consultato quest'opera, ma non abbiamo potuto ritrovarcelo.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 255
altri ancora ne fanno più o meno ricordo ; tuttavia
sulle zecche e sulle monete mediocvali di Volterra
lasciano molte cose incerte ed oscure. E prova ne
sia il fatto di trovare lo stesso tipo di una moneta
volterrana attribuito a più vescovi di quella città,
ancorché essi abbian vissuto alla distanza di quasi
cento anni l'uno dall'altro.
Come rimane accertato da numerosi atti dei se-
coli XII, XIII e XIV, l'officina monetaria di Volterra
e dei suoi castelli dovette esser certamente operosa;
ma è pur da notare che ben pochi sono i tipi va-
riati della moneta conosciuti fin qui; e ciò lascia ra-
gionevolmente supporre che qualche altro tipo debba
rimanere tuttora ignorato.
Quando anche non si voglia tener conto, come
giustamente osserva il Repetti, di un documento ci-
tato dal dott. Antonio Fabroni ,n , che farebbe risa-
lire il ricordo della moneta volterrana all'anno U58,
altri documenti di poco posteriori, dimostrano che
anche prima dell'innalzamento del vescovo Galgano
alla dignità di principe, avvenuto nel 1164 per grazia
dell'imperatore Federico I, nella confermazione del do-
minio temporale sulla città, i vescovi di Volterra.
probabilmente di proprio arbitrio, avevano aperto la
zecca nei loro dominii * 21 . Che sia stata aperta arbi-
(1) Atti dell'I, e R. Accademia Aretina. Delle monete di Arezzo,
voi. I. Il documento è ricordato dall' Alticozzi (Dominio dei vescovi
d'Arezzo in Cortona, t. I, pag. 149) con la data del 1158, ma contenendo
un'allogagione della zecca di Volterra ad alcuni appaltatori che si obbli-
gavano di coniar moneta alla stessa lega delle zecche di Pisa, Lucca,
Siena ed Arezzo, sembra che nel citarlo abbia commesso un errore
cronologico. Si può sospettare che il documento sia quello stesso pub-
blicato dal Pagnini coiranno 1258, di cui parleremo più avanti.
(2) Secondo l'opinione del Gazzoletti, anche i vescovi di Trento
avrebbero aperta la zecca prima che l'imperatore Federico avesse loro
concesso nel 1182 il privilegio di batter moneta (Gazzoletti A. Della
zecca di Trento. Trento, Seiser, 1851).
256 ALESSANDRO LISINI
trariamente, si può dedurre dallo stesso diploma im-
periale, non trovandosi in esso alcun cenno di que-
st'alta prerogativa di coniare moneta, mentre era
costume in ogni nuova investitura di non trascurarne
il ricordo. Di questa concessione non si trova nep-
pure traccia nel diploma del 17 maggio 1185 dello
stesso Imperatore confermante al vescovo Ildebrando
Pannocchieschi e ai di lui successori la dignità di
principi e di governatori della città.
Il diritto di batter moneta, o per dir meglio, il
riconoscimento di questo diritto ai vescovi di Vol-
terra per parte dell'impero, non va oltre l'anno 1189,
quando già da qualche tempo essi battevano moneta.
Il giorno 16 agosto dell'anno predetto il re Ar-
rigo VI, con speciale diploma dato da Wurzburg,
concesse al nominato vescovo Ildebrando et succes-
soribus suis, monetam recto fendo tenendam, dantes,
dice il documento, ei licentiam et plenum potestatem
cudendi eam in quo pondere, colore et forma volnerint,
et in omnibus predictis eam nmtandi prò sua voluutate.
Ed è aggiunto : Pro hac antem Majestatis nostre con-
cessione, predictus Episcopus eiusque successores fìsco
nostro annuatim in pensione persolvent sex marchas
puri argenti ad pondus coloniense in festa Sancii Mar-
tini W. Questa seconda parte del diploma spiega la
ragione del riconoscimento ai vescovi di Volterra
del diritto di batter moneta. Fino allora l' impero
non aveva ricavato alcun lucro da quella preroga-
tiva esclusivamente imperiale e col riconoscimento
avvenuto potè imporre invece una tassa a prò' del-
l' impero.
(1) Il diploma fu pubblicato dal P. Orlandi nell' Orbis sacer et profaiuts
(P. II, lib. 3), poi da Gio. Rinaldo Carli nelle Istituzioni delle zecche
d'Italia e di recente venne edito in varie opere tedesche. Qui lo ripor-
tiamo in appendice, tra i documenti, al n. i.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 257
Nessuno ignora che durante i secoli XI e XII
il governo delle principali città d'Italia dagli impe-
ratori fu conferito ai rispettivi vescovi, affinchè questi
non sfuggissero totalmente alla soggezione dell' im-
pero, e fu rilasciato ai conti soltanto il governo delle
terre e dei castelli. Quindi si può facilmente imma-
ginare che i vescovi salirono ben presto in mag-
giore reputazione e potenza dei conti; e quando pur
non vennero creati di fatto, si considerarono alla
pari dei principi, specialmente quelli che ottennero
giurisdizione nelle grandi città o su vasto e ricco ter-
ritorio come fu appunto quello soggetto al vescovado
di Volterra.
I vescovi non poterono mantenersi a lungo in
tale condizione, perchè essi mancavano di una suc-
cessione dinastica. La lunga ed aspra contesa tra
l' impero e la chiesa offrì in seguito comoda occa-
sione ai maggiorenti delle città di costituire poco
alla volta il governo a comune, deprimendo quasi
dapertutto con la violenza l'autorità vescovile.
I vescovi di Volterra furono tra i primi ad
avere il dominio temporale sul territorio della loro
chiesa e furono poi tra gli ultimi a perderlo, sebbene
anche in quella città le contese tra il vescovo e i
cittadini sien sorte assai presto ('). Nei primi anni
del secolo XIII il governo a comune riuscì ad im-
porsi anche in Volterra, facendo perdere ai vescovi
ogni supremazia nella città. Tuttavia essi anche in
seguito tentarono, ma inutilmente, di riconquistarla
col favore imperiale e papale.
Senza dubbio i vescovi di Volterra aprirono la
zecca, quando trovaronsi all'apice della loro potenza,
cioè intorno alla metà del secolo XII. E ne dovette
(1) Il vescovo Galgano nel 1171 finì la vita trucidato in una solle-
vazione popolare mentre stava per entrare in chiesa.
33
258 ALESSANDRO LISINI
dar loro motivo il trovarsi al possesso delle miniere
argentifere di Montieri e di Gerfalco. Si può sup-
porre che la zecca sia stata aperta contemporanea-
mente a quella fatta aprire dai senesi, seguendone
l'esempio. 1 senesi avevano ottenuto dal vescovo vol-
terrano Ademaro, nel novembre 1137, la metà del
castello e delle miniere di Montieri (I) , e pochi anni
dopo si erano dati a batter moneta di bassa lega,
facendo a meno della sanzione imperiale. Il ricono-
scimento della zecca fatto alle due città dal re Ar-
rigo VI, risulta quasi dello stesso tempo e con soli
tre anni di differenza ( 2 ).
Nessuno oggi può dire con sicurezza quale im-
pronta portarono le più antiche monete volterrane,
non conoscendosi ancora alcun esemplare che si
possa far risalire a quell'epoca. Tutti i tipi della
moneta volterrana, oggi conosciuti, appariscono della
metà del duecento o sono altrimenti posteriori. An-
che le leggende impressevi si riferiscono a vescovi
di nome Ranieri o Ranuccio, di cui non si ha notizia
prima del 1252 , o altrimenti danno certezza che
la moneta fu battuta dal Comune e non dai vescovi,
cosa che avvenne alla fine del secolo XIII e nella
prima metà del secolo successivo.
Tuttavia nessuno può più mettere in dubbio
l'esistenza della moneta volterrana nella seconda
metà del secolo XII e nella prima metà del secolo
(1) L'atto della cessione delle miniere leggesi nel Caleffo vecchio a
e. 13, conservato nel R. Archivio di Stato in Siena. Nel giuramento
che fino dal 1181 prestavano i custodi di Montieri, si legge che la con-
cessione della guardia del detto castello veniva fatta di comune accordo
tra il vescovo di Volterra e i consoli di Siena (v. Schneider: Regestum
Voìatcrranum. Roma, 1907, pag. 74).
(2) 11 diritto di batter moneta fu confermato ai senesi dal re Ar-
rigo VI, con diploma munito di bolla d'oro dato da Cesena il 25 no-
vembre 1186.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 259
susseguente, essendo numerosi i documenti sincroni
che ne fanno ricordo.
A riprova ci sia consentito di dare un elenco
dei documenti a noi noti fino al 1250, cioè fino alla
elezione del vescovo Ranieri, del quale si conosce
indubbiamente la moneta :
1165 dicembre 24, Ind. XII — Lire 3 di buoni denari vol-
terrani e pisani. '
11 75 gennaio 9 — L. 105 vulterrane monete. '
1 194 gennaio 2 — L. 400 di moneta volterrana. '
1196 maggio 3 — L. 300 di denari volterrani vecchi. '
1202 marzo 26 — L. 15 di moneta volterrana. '
1203 agosto 30 — L. 2i e sol. 4 di moneta volterrana. "
1203 settembre 21 — L. 26 di moneta volterrana. "
1204 gennaio 5 — L. 210 di moneta volterrana. s
1204 — Marche 11 Va acquistate con L. 60 di moneta vol-
terrana. 9
1206 — L. 200 di buoni denari volterrani. 10
1209 gennaio 2 — L. 8 di moneta volterrana. "
1209 gennaio 23 — Denari 6 volterrani. '"
1210 gennaio 17 — L. 11 di moneta volterrana. "
121 1 giugno 30 — L. 14 di denari volterrani. "
1212 maggio 8 — L. 40 di moneta volterrana. ir '
1213 maggio 11 — L. 1000 di moneta volterrana. '"
1214 gennaio 7 — L. 42 di moneta volterrana. "
1216 luglio 20 — L. 300 di denari volterrani. IS
1216 settembre 1 — L. 30 di buoni denari volterrani "
1217 giugno 14 — L. 120 di moneta volterrana. ;o
12 19 ottobre 3 — Denari 33 volterrani. "'
1220 giugno 8 — Soldi 50 di denari volterrani. "
1221 ottobre 29 — L. 49, sol. 13, den. 4 di denari volterrani.
1223 giugno 27 — L. 27 di buoni denari volterrani. : '
1224 ottobre 9 — L. 400 in moneta volterrana. "
1225 — L. 100 di denari volterrani... '"''
1226 aprile io — L. 9 di denari volterrani. ~~
1228 — L. 300 di denari volterrani. IS
1231 novembre 5 — Censo di L. 100 in moneta volterrana. '
1232 agosto 26 — Soldi 30 di denari volterrani. 30
2ÓO ALESSANDRO LISINI
1233 novembre 15 — L. 100 di moneta volterrana. "
1234 — Denari io volterrani. 3!
1235 gennaio 26 — L. 100 di moneta volterrana. 3i
1236 giugno 8 — Soldi io volterrani. "
1237 novembre 7 — L. io e sol. io di denari volterrani. '
1238 maggio 26 — L. 50 di denari volterrani. "
1239 — L. 50 di buoni denari volterrani. 37
1244 marzo 9 — L. 23 di denari volterrani. 3
1244 dicembre 26 — L. 13 e sol. 20 di denari volterrani.
1246 febbraio 4 — L. 3 e sol. 5 di denari volterrani. I0
1246 aprile 4 — L. 100 di moneta volterrana. "
1250 marzo 22 — L. 15 di moneta volterrana. ''
N. 1, io, 28, 32, 37. I documenti son citati dal Pagnini nella Decima
fiorentina a pag. 255 e segg. e molti tuttora esistono.
N. 2. Il documento è citato dallo stesso Pagnini come esistente nel-
l'Archivio episcopale di Volterra. E parimente citato dal Riccobaldi
Del Bava come esistente ai suoi tempi nell'Archivio del cav. Mario e
frate'li Maftei, ma egli limita il pagamento a sole L. 5. Però il paga-
mento deve essere di L. 105, perchè trovasi così registrato anche in
vecchi spogli dell'Archivio comunale. Negli Archivi del Comune e del
Vescovado non ci fu possibile rintracciare il documento, ma si può du-
bitare che oggi sia conservato nell'Archivio della famiglia Maffei.
N. 3, 12, 18. Documenti citati dallo Schneider nel Regestum Voìa-
ierranum. Roma, 1907.
N. 4> 5. 1, 9. ll < 13. 14. 15, 16, 17, 25, 36, 39, 40, 4t, 42. Documenti
esistenti nell'Archivio di Stato di Firenze. Diplomatico provenienza di
Volterra ad annulli.
N. 6, 19, 21, 22, 24, 27, 30, 34, 35. Documenti riportati nei Calefiì di
S. Galgano, voi. I, e. 300, 379, 415, 416, 419, voi. Ili, e. 141, 294, 322, 428,
conservati nell'Archivio di Stato in Siena.
N. 8. Archivio predetto perg. Riformagioni Massa di Maremma ad
annum.
N. 23. Archivio predetto. Protocollo notarile dal 1221 al 1229, e. 17.
N. 38. Archivio predetto perg. Bichi Borghesi, I, n. 60.
N. 20, 31, 33. Repetti. Dizionario storico citato. Art. Montevoltraio
e Volterra.
N. 26. Catelani: Monete di Ferino citate.
N. 29. Muratori: Dissertazione cit. XXVII. La moneta volterrana è
ricordata anche nel Liber censuum di Cencio Camerario.
A questo lungo elenco avremmo potuto aggiun-
gere molte e molte altre citazioni, ma a noi basta
provare come senza interruzione si trova ricordo
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 2ÓI
della moneta volterrana nel periodo sopra citato, e
come sia di nessun valore la supposizione messa
fuori dal compianto Umberto Rossi W, con la quale
si tenderebbe a far credere che in quei documenti
non si ricordi la vera e propria moneta volterrana,
ma bensì una moneta ideale e di computo.
Noi invece sosteniamo essere assurdo il sup-
porre che se in un documento o in un contratto si
legge che il pagamento venne eseguito con tante
lire, soldi e denari di moneta volterrana, debbasi in-
tendere che quel pagamento venne invece fatto con
moneta d'altro paese. Ragionando così si giunge-
rebbe a negare l'esistenza della moneta di qualsiasi
altra zecca. I ricordi della moneta volterrana per
tutto quel non breve periodo di oltre 80 anni, son
chiari, ben determinati e troppo frequenti per farci
rigettare a priori quella strana supposizione che non
può trovare logico riscontro. Ma se ancora rima-
nesse qualche dubbio, per toglierlo affatto addurremo
altre prove convincenti. Qui intanto citeremo una
partita che leggesi in un libro della Biccherna, vale
a dire dell'amministrazione della repubblica di Siena.
Sotto la data del dicembre 1249 in quel libro si legge:
« Item xxxij lib. et xiiij sol. minus ij den. quos re-
« nuntiavit nobis dominis Renaldo Alexi, Guinisio
« Venture et Guidoni Jacobi, ex quatuor provisoribus
« Comunis Senarum, dominus Orlandus Arrighi ca-
« merarius Comunis Senarum tempore domini Ber-
« nardini de Faventia senensis potestatis. in primis
« sex mensibus, qui remanserunt sibi de suo offitio.
« iiiter quos fiterunt iiij lib. et xj sol. et iij den. inter
« vulterranos et senenses grossos et minutos et vene-
ti tianos falsos: die v kal. julii ( 2) ». Queste monete
(1) Rossi U. nello scritto citato: Volterra e le sue moneti.
(2) Archivio di Stato in Siena. Biccherna. Libro d'entrata e di uscita
voi. XVI, e. 1 e 14.
2Ó2 ALESSANDRO L1SINI
false di Volterra, di Siena e di Venezia, che il ca-
marlingo Orlando d'Arrigo consegnò ai suoi succes-
sori nell'ufficio, non saranno state certamente ideali
e di computo ! E se facevansi monete di Volterra
false, bisognava bene che vi fossero anche monete
di Volterra non false !
E ben vero che rimane difficile indagare per
quali ragioni le più antiche monete di Volterra re-
stano tuttora sconosciute. Non è quasi ammissibile
l'ipotesi che sieno andate affatto distrutte; esse eb-
bero troppo lungo corso non solo in Volterra ma
anche per gran parte dell' Italia centrale, quindi in
tanta diffusione qualche esemplare almeno dovrebbe
trovarsi. E se pure devesi ammettere che qualche
officina monetaria, per render più accetta al com-
mercio la propria moneta, siasi presa cura di co-
niarla con poca lega di rame, dando modo ad altre
zecche d' incettarla per poi rifonderla e coniarla a
più basso titolo per trarne guadagno . facendola
così divenire rara ai tempi nostri (*); tuttavia non
può esser questa la ragione che rende sconosciuta
la moneta volterrana anteriore alla metà del se-
colo XIII, perchè anche in Volterra si dovettero
coniare denari provenigini e quindi di bassa lega.
Si può invece supporre che i primi tipi della
moneta di Volterra non abbiano una chiara leggenda
per distinguerli e riconoscerli con facilità ( 2 ) o altri-
(i) La poco onesta speculazione di rifondere le grosse monete di
argento di Francia e d' Inghilterra, nel secolo XIII arricchì le molte com-
pagnie mercantili italiane, che frequentavano le rinomate fiere di quei
paesi. La moneta cortonese, che ai suoi tempi incontrò largo favore in
commercio per la bontà dell'argento, venne dappertutto rifusa ed oggi
è ridotta quasi introvabile.
(2) In un acquisto da noi fatto a Taormina di alcuni piccoli denari
del re Manfredi e del re Carlo d'Angiò, trovammo un denaro di rame
fatto coniare da qualche vescovo o da qualche abadia di quella regione;
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 263
menti che la moneta battuta prima del riconosci-
mento legale della zecca porti il nome di altra auto-
rità avente quel diritto. A questo proposito torna
opportuno notare che anche in Siena nel tempo an-
teriore al riconoscimento legale della zecca fatto dal
re Arrigo, coniavasi moneta, ma non se ne faceva
troppa pompa; e nei contratti senesi di quel tempo
raramente è fatto ricordo della propria moneta. Di
preferenza il pagamento è dichiarato in buoni denari
della corrente moneta, ovvero in denari migliori spen-
dibili nella città di Siena. Anche nei contratti volter-
rani anteriori al 1189 raramente è ricordata la mo-
neta di quella città.
Ma questa supposizione si dovrebbe tutto al più
limitare alle monete battute anteriormente al privi-
legio del re Arrigo, e non vale per quelle fatte co-
niare dal vescovo Ildebrando dopo ottenuta la con-
cessione imperiale. E rimane anche ozioso supporre
che questo stesso Vescovo dopo avere impetrato dal
re Arrigo il riconoscimento della zecca non si sia
effettivamente valso di quella speciale concessione.
Che veramente se ne sia valso si dovrebbe presu-
mere dall'atto del 1196, dove si ricordano le L. 330
di denari volterrani vecchi, i quali stanno a provare
come durante il suo governo episcopale si sia pro-
ma la leggenda impressavi non ci aiu;a a riconoscer la zecca. Lo crediamo
inedito e perciò lo pubblichiamo per segnalarlo ai numismatici più com-
petenti di noi. Nel diritto di questa monetasi legge: + AVE MARIA.
Croce nell'area con un punto; nel rovescio: + AVE GRATIA PL.
Un pastorale nell'area. Pesa gr. 0,400.
264 ALESSANDRO LISINI
ceduto in Volterra ad una nuova riforma della mo-
neta, quando mancasse una più esplicita conferma
offertaci da una lettera esortatoria scritta nel 1194
dallo stesso Arrigo VI, allora imperatore. L'impe-
ratore mentre raccomanda ai fiorentini di aiutare
i pisani nell'acquisto del territorio loro assegnato,
soggiunge : « Ceterum precipimus vobis ut monetam
« Fulterrani episcopi in civitate vestra et districtu
« vestro nec recipiatis aliquatenus, nec recipi per-
« mittatis; quia nos prorsus eam deletam habemus
" et cassatam » (0. Come è evidente l'Imperatore
erasi pentito del riconoscimento fatto cinque anni
avanti.
Abbiamo detto che il denaro battuto in questo
tempo nel volterrano doveva essere minuto e di
bassa lega, come era quello di ogni altra officina
monetaria della Toscana ; e a questo proposito ci
sia lecita una breve digressione. Il celebre e com-
pianto numismatico Domenico Promis (2) fu di parere
che sul finire del secolo XII, tra le città di Toscana
sia stata concordata una riforma monetaria. Poiché
— egli dice — Firenze, Lucca, Pisa, Arezzo e Siena
dettero principio a coniare denari d'argento fine,
ossia a denari 11 e 12; bontà massima cui, con i
mezzi chimici d'allora, potevasi portare quel metallo;
e del peso di grani 32 cadauno come erano quelli
di Carlo Magno e di Lodovico Pio. Quei denari di
argento detti grossi vennero lavorati alla ragione di
12 denari piccioli ciascuno, vale a dire rispondenti
al valore di un soldo. Le città di Firenze, di Lucca,
di Pisa e di Arezzo adottando un tipo consimile vi
fecero imprimere nel rovescio la figura di Cristo,
della Madonna o del Santo patrono, cosa nuova nelle
(1) Sani ini P. Nuovi documenti dell'antica costituzione di Firenze
(v. Archivio Storico Italiano, serie V, t. XIX, d. 2, 1897, pag. 286).
(2) Promis D. : La zecca di Siena citata, a pag. 24.
LE MONETE E Lt ZECCHE DI VOLTERRA 265
città dell'Italia centrale; Siena invece continuò ad
imprimere anche nei grossi, lo stesso tipo e la stessa
leggenda dei suoi danari minuti.
Il Promis peraltro cadde in errore. La verità è
che in Toscana si dette principio alla coniazione
dei grossi nel primo ventennio del secolo XIII e non
avanti. E Firenze incominciò a coniare la propria
moneta più tardi delle altre città di Toscana, e
forse il suo grosso d'argento cominciò ad apparire
poco avanti la metà dello stesso secolo ('). Anche
quello di Volterra dovette esser coniato per la prima
volta dal vescovo Ranieri alla metà del dugento.
Che la moneta piccola o minuta di lega sia
stata battuta nel territorio volterrano anche al tempo
del vescovo Pagano dei conti dell'Ardenghesca con
gli argenti che estraevansi dalle miniere di Montieri
e forse in Montieri stesso, stanno a provarlo tre
documenti dell'Archivio vescovile. Il primo di essi
porta la data del 20 luglio 1216. Il vescovo Pagano
avendo bisogno di denaro prese ad imprestito da
Corrado del fu Bonefidanza, L. 300 di denari vol-
terrani e a garanzia della restituzione della somma
dentro un anno, per la festa di S. Michele del mese
di settembre, impegnò intanto alcuni beni del vesco-
vado, ma da questi volle eccettuati paìatium, domos
monete, vineam episcopi de castello ( 2) . Forse allora la
moneta non battevasi esclusivamente per suo conto,
e il lucro di essa doveva esser ceduto in parte ad una
compagnia di mercanti fiorentini.
(1) Il Santini P. pubblica nel voi. X degli Atti della Deputazione
degli studi di Storia Patria Toscana (pag. 23) un documento del 21
luglio 1184, dal quale si rileva clic i fiorentini portavano i loro argenti
a coniare nella zecca di Lucca e questa si obbligava a dar loro la
metà del guadagno astracta prtus inde, wedietate qnam pisani habere
debent, et oinnes expensas.
(2) Pergamena dell' Archivio vescovile di Volterra citata dallo
Schneider nel Regestum ricordato, n. 336, pag. 118.
266 ALESSANDRO LISINI
Da una sentenza d'arbitraggio che fu pronun-
ziata, il 9 giugno i2i 8, da Gerardo di Rinaldo da
Prata e da Usimbardo da Picchena, in una questione
sorta tra il vescovo Pagano da una e i domini montis
et monete de Monterio, cioè Ildobrandino e Jacomo
di Cavalcante, Ranieri di Ranuccio, Gundo, Ranuc-
cino, Bencivenni e Boninsegna figli di Ghislincione,
Tursello e Brunetto del fu Giugno e Jacomo di Tor-
sello per proprio conto e come tutori di Giugno,
Legierio, Falconieri, Cambeo e Rossa figli minori
del fu Cambeo di Giugno costituiti in società dal-
l'altra, si rileva che questi ultimi, eletti dal Ve-
scovo secondo la consuetudine delle argentiere super
monetam et alios redditus de Monterio, lamentavansi
che le eccessive e continue spese che andava com-
mettendo messer Pagano, facessero crescere a di-
smisura il debito che egli teneva verso la loro
società. Il Vescovo da altra parte querelavasi, dichia-
rando, che le grosse spese di viaggi e di perma-
nenza di costoro fossero causa di far diminuire il
lucro a comune. Gli arbitri condannarono il Vescovo
a pagare determinate somme di denaro a ciascuno
dei suoi creditori, ma ordinarono che al Vescovo
fossero date, sulle due parti del reddito della zecca
di Montieri, L. 257 e sol. 13; metà della somma alle
calende di dicembre e metà allo spirare di un anno (*).
Per quanto tempo questa società di fiorentini
abbia esercitato la zecca vescovile, non è possibile
desumerlo dagli scarsi documenti rimastici. Ma sap-
piamo che pochi anni dopo altre società di mercanti
senesi e volterrani, profittando del continuo bisogno
(1) Vedasi il libro citato al n. 363, pag. 128. Nel documento si legge :
De duabas parti bus reddituum Monterii Lece, liabeat cclvij lib. xiij sol:
medietatem ad. Kal: decembris et medieiaiem ad kal: decembris ad unum
annutn. Sulla parola ceca o cecca si consulti l'opera del conte Gian Re-
gnialdo Carli, t. II, pag. 466. Milano 1784.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 267
di denaro che aveva quel Vescovo, con un impre-
stito fattogli di 4000 marchi d'argento e di L. 2000
in denari senesi, riuscirono a farsi cedere l'uso delle
argentiere e della zecca di Montieri. 11 vescovo Pa-
gano stretto dal bisogno, dovette a malincuore farne
la cessione, ma ben presto se ne penti ; e con atto
del 30 giugno 1220 protestò pubblicamente che la
cessione de lucro montis de Monterìo et moneta et ar-
genteria, fcchnus contra nostrum velie. Tuttavia non
avendo modo di far la restituzione dell' imprestito,
poco gli giovò la protesta, come in seguito ve-
dremo (I) .
La moneta battuta in questi anni nel feudo ve-
scovile dovette essere scadente, perchè negoziandola
in Siena veniva valutata molto meno della moneta
senese ( a ).
Le continue controversie che si agitarono du-
rante l'episcopato di Pagano e del suo predecessore
Ildebrando, specialmente con i Comuni di Volterra
e di S. Gemignano, i quali cercavano di affrancarsi
dalla soggezione vescovile, avevano ridotto in gran-
dissimo disordine il patrimonio dell'episcopio. Pagano
per difendere i propri diritti più volte dovette ricor-
rere alla forza delle armi, da che la protezione e i
(1) Arch. vescovile di Volterra. Pergamena riassunta dallo Schneider
nel ricordato libro al n. 391, pag. 139, ma non interamente.
(2) In un contratto del 29 ottobre 1221 leggesi che con L. 40 di
moneta senese si acquistarono L. 49, sol. 3 di moneta volterrana. In
altro contratto, del 28 marzo 1223, con L. 20 di den. senesi si acquista-
rono L. 24 di den. volterrani (Archivio di Stato in Siena, protocollo
notarile di detti anni, a e. 17 e 35).
Guido Antonio Zanetti, nel t. II. Mone/e e zecche d'Italia, pag. 417, ri-
porta da un trattato d'aritmetica compilato durante la vacanza dell'im-
pero di Federico li (1250-1254) conservato ai suoi tempi nella Maglia-
bechiana, un passo sul cambio della moneta allora corrente in Toscana,
dove è detto che, 50 lib. di bolognini valevano 60 lib. pisane; io pisani
valevano 12 volterrani; 12-imperiali valevano 31 pisani; 5 bolognini
valevano 7 pisani e un terzo e 3 pisani valevano 5 volterrani.
268
ALESSANDRO LISINI
moniti degli imperatori e dei papi a suo favore poco
gli avevano giovato : ma neppure con questi mezzi
riuscì a sottomettere gli avversari, anzi essi contri-
Sigillo vescovile di Pagano conte dell'Ardenghesca.
buirono ad accrescere i debiti usurari che già dila-
nianavano la sua mensa. Ridottosi indigente, egli fu
costretto per ogni nuovo imprestito a dare in pegno
anche quei pochi castelli e quelle poche terre che
gli eran rimaste. Finalmente trovandosi vinto in quella
lotta che non aveva giovato ad altro se non ad
esaurire ed a peggiorare le condizioni già gravi del
vescovado, negli ultimi anni di sua vita vollesi ri-
conciliare con i suoi concittadini, e ridottosi alla
sua sede naturale e giunto presso a morte, il 27
agosto 1239, assolvendoli da ogni scomunica, impartì
loro la solenne benedizione ( J ).
Dai pochi atti rimastici non resulta che Pagano
abbia avuto subito un successore. Avvenutane la
morte, il Capitolo volterrano erasi affrettato a con-
ferire la dignità vescovile ad Opizio arcidiacono della
chiesa lucchese, ma papa Gregorio IX negò la con-
(1) Vedasi il libro dello Schneider più volte citato al n. 573, pag. 194.
LE MONETE E LE ZECCHK DI VOLTERRA 2ÓQ
ferma della elezione. Cinque anni più tardi, papa In-
nocenzo IV, con bolla spedita da Lione il io agosto
1245, raccomandava al potestà ed al popolo di Vol-
terra il nuovo vescovo Galgano II, già monaco ci-
stercense della famosa abadia di S. Galgano presso
Chiusdino; ma la città, dominata allora dalla fazione
ghibellina e piena di turbolenze, non volle accogliere
il nuovo presule, e lo stesso arcidiacono Lotterengo
osteggiò la presa di possesso della diocesi, come ri-
levasi da altra bolla dello stesso papa. In questo
tempo mancano notizie per provare che dalla morte
del vescovo Pagano e durante il vescovado di Gal-
gano II, i mercanti senesi abbiano esercitato la zecca;
ma le pretese affacciate in questi anni da Pandolfo
da Fasanella e dagli altri vicari imperiali sulle mi-
niere di Montieri fanno nascere qualche dubbio. Di
sicuro non troviamo che questo ricordo riferito dal
Lami nelle Memorie della chiesa Fiorentina (').
L' imperatore Federico II, il 4 novembre 1243,
trovandosi presso Viterbo ed avendo bisogno di de-
naro, cedette a Bensivegna o Bentivegna del fu Ugo-
lino mercante di Firenze, per la somma di L. it,ooo
di denari minuti pisani, e per la durata di due anni,
le miniere d'argento di Montieri e tutti i proventi
imperiali di S. Miniato, Fucecchio e Val di Nievole.
Nel documento della cessione si legge: « vendidimus
« et tradidimus atque cessimus Bensivegne, merca-
» tori Florentie, filio quondam Ugolini, fideli nostro,
« a die scilicet Mercuri presentis mensis Novembris
« usque ad duos annos completos futuros, Argcnte-
« riam nostrani Monterii, salvis bannis, penis, exer-
« citu atque custodia Castri, quam nobis et imperio
« reservavimus. Concedimus e/iam quod infra eundem
(1) Lami Giovanni: Sanctae ecclesiae florentinac monumenta. Firenze,
1758, t. I, pag. 493.
270 ALESSANDRO LISINI
« terminum ìiceat sibi ìbidem monetarii miliariensium
u elidere et cudi facere, ad modum et formarti que in
« Sicha Pisarum serva tur ».
Il miliarese dovette essere una moneta di buon
argento e probabilmente corrispondeva al grosso, se
pure il grosso in principio non fu così denominato.
A nome di quale città e con quale impronta doveva
esser battuta la moneta milliarese, non è fatto cenno
nella concessione. Si può sospettare che se questo
mercante fiorentino battè veramente moneta, l'abbia
coniata per conto del Comune di Firenze, e che il
primo fiorino d'argento di questa città sia uscito ap-
punto dalla sua officina.
Comunque sia, è poi certo che la zecca dei ve-
scovi di Volterra dovette rimanere aperta ad inter-
valli, come avveniva nelle altre piccole città ; ed in
seguito, quando il governo episcopale venne a per-
dere ogni autorità, il Comune volle sostituirglisi an-
che nella prerogativa della zecca.
Negli statuti municipali di Volterra trovasi un
capitolo che tratta de moneta facieiida. Noi lo tra-
scriveremo dalla compilazione del J252, sebbene ri-
cordando i consoli W apparisca riferito testualmente
da compilazioni più antiche. Il capitolo dice : « Po-
« nimus et ordinamus quod si dominus Episcopus
« Vulterrarum vel aliis prò eo vel eius occasione,
» voluerit facere monetarii vel fieri fecerit, debeat
" fieri et consolari cum tribus bonis hominibus de
« Vulterris et melioribus et idoneoribus quos cogno-
« verint esse in civitate prò ipso opere faciendo vel
« consolando; qui inventi et nominati sint a Pote-
11 state vel Consulibus et eorum Consilio toto vel
« duobus partibus : et si aliter dieta moneta facta
(1) Nelle compilazioni posteriori invece dei consoli è ricordato il
Capitano di popolo.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 271
« fuerit, teneatur Potestas ex inde ad octo dies,
« postquam sciverit, eam disbandire et prò disban-
« dita tenere et teneri lacere. Et Potestas teneatur
« per totum mensem februarii tenere Consilium ge-
« nerale prò moneta facienda in civitate Vulterra-
« rum, et quod prò Consilio generali habuerit, te-
« neatur facere.
« Item in dicto capitulo additum est : quod Po-
« testas faciat generale Consilium prò moneta fa-
« cienda in Vulterris vel in districtu Vulterrarum,
« et quod per duas partes Consilii inde stabilitimi
« fuerit, Potestas observari facere teneatur ».
Per questo capitolo dello statuto si può con
certezza affermare che fino all'anno della sua com-
pilazione, vale a dire fino al 1252, la moneta fu bat-
tuta esclusivamente dai vescovi o per conto di essi,
limitando il Comune la sua ingerenza nel sorvegliare
la bontà della moneta, facendone far saggio a tre
cittadini idonei nominati dai Consoli, dal Potestà e
dal Consiglio minore. Del resto la vigilanza appari-
sce giusta, dovendo la moneta aver corso principal-
mente nel territorio volterrano. Ma l'addizione appo-
sta allo statuto poco tempo dopo la sua compilazione,
fa palese la tendenza nei cittadini e nei governatori di
coniar moneta per conto del Comune, indipendente-
mente dal vescovo.
Succeduto al breve episcopato di Galgano II,
Ranieri degli libertini, egli trovò in gran disordine
la chiesa volterrana. I castelli, le terre e le stesse
miniere non erano più in potere del vescovado. Quei
beni erano stati quasi tutti ceduti o occupati più o
meno legittimamente dai Comuni finitimi e dai cre-
ditori. Con grande sollecitudine ed energia egli si
die a rivendicarli alla sua mensa e a ritoglierli dalle
mani dei detentori, interponendovi, per ricuperarli,
anche l'autorità del papa. Sua prima e principale
272 ALESSANDRO LISINI
cura fu quella di rivendicare dalle compagnie mer-
cantili senesi le miniere di Montieri. Dagli atti che
vennero fatti in quell'occasione si ricava che i diritti
di escavazione del minerale argentifero eran passati
in diversi creditori, cioè : una parte agli uomini di
Montieri, una parte alle compagnie mercantili senesi
degli Arzocchi e dei Cittadini e infine una parte al-
l'abazia cistercense di S. Galgano. Come è naturale
i senesi si valevano largamente dell'argento per for-
nire la propria zecca, ma la tradizione vuole che se
ne sieno giovati altresì i monaci di S. Galgano per
coniare essi pure moneta, sebbene di questo fatto
non si trovi certa notizia nei documenti del tempo (l ).
Lunga fu la controversia tra il vescovo Ranieri
e i senesi per causa di queste miniere. Corsero sco-
muniche non solo contro le ricordate compagnie
mercantili ma anche contro gli ufficiali del Comune
di Siena, i quali naturalmente sostenevano le ragioni
dei loro concittadini. Tuttavia al principio dell'anno
1253 vennero sistemate di comune consenso. Il ve-
scovo Ranieri fattosi imprestare 6600 lire dalla so-
cietà dei Buonsignori e dei Tolomei di Siena, potè
tornare con questa somma di denaro al possesso
delle miniere ; e succeduto tra le parti un amiche-
vole accordo, trovandosi lo stesso Vescovo soddi-
sfatto, il di 1 [ maggio 1253 nominò Guinigi di Giunta
Arzocchi potestà per un anno del castello di Mon-
tieri. E l'Arzocchi, tre anni dopo venendo a morte,
punto da qualche rimorso di coscienza o altrimenti
per mostrarsi grato al Vescovo, ordinò nel suo te-
stamento che venissero restituite al vescovado tutte le
usure estortegli, ascendenti a 7,770 lire volterrane.
Al principio del suo episcopato anche Ranieri
(1) Vedasi il Repetti : Dizionario storico geografico citato, all'arti-
colo : Abazia di S. Galvano.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 273
aveva dovuto lottare con i governatori di Volterra
per la recuperazione dei castelli e delle terre della
sua chiesa ; infine per dirimere pacificamente ogni
questione era stato costretto, con atto del 29 maggio
1253, a rinunziare a favor del Comune i castelli di
Pomarance, di Montecerboli, della Leccia, del Sasso
e di Serrazzano; e cosi in breve tempo tutto potè
acquietarsi.
Il vescovo Ranieri tornato al possesso delle
miniere di Montieri, deliberò quasi subito di batter
moneta e a questo scopo dovette seguire un facile
accordo tra lui ed il Comune perchè, in conformità
delle disposizioni dello statuto, la moneta potesse
aver corso nel volterrano e fuori del volterrano. In-
fatti l'uno e l'altro fecero istanza alla Repubblica di
Siena, affinchè la moneta battuta in Volterra avesse
spaccio anche nel territorio senese. La notizia ri-
cavasi dai libri delle deliberazioni del Consiglio ge-
nerale di Siena e trovasi sotto la data 1 dicembre 1256,
ed è annotata con queste parole: Super licteris missis
a Comuni et domino Electo de Vulterris, quod i/li de
bulgano (zecca) videant eorum monetarti si est equalem
nostre monete, argento pondere et aliis ; et sic ut et qua-
litatem invenerint reducatur ad Consiltum Campane et
Populi (".
Non conosciamo ciò che gli zecchieri senesi
ebbero a riferire su queste monete, perchè negli atti
dello stesso Consiglio manca ogni altra deliberazione
in proposito, ma la notizia basta a provare che
questo Vescovo, anche prima di concedere nel 1258
la zecca a Guido Spizziche nel suo castello di Mon-
tieri, aveva d'accordo col Comune aperta la zecca
nella città di Volterra.
(1) Archivio di Stato in Siena. Deliberazioni del Consiglio, voi. VI,
pag. 129.
35
274 ALESSANDRO USIMI
All'accordo col Comune deve aver contribuito
il fatto d'esser passato il governo della città dal do-
minio dei ghibellini a quello di parte guelfa.
Dopo la morte dell'imperatore Federico II i fio-
rentini andarono osteggiando con vario successo su
tutte le terre e città della Toscana parteggianti pel
re Manfredi. Tra queste trovavasi Volterra, che erasi
dichiarata ghibellina e per conseguenza apertamente
ostile a Firenze. I fiorentini, mal sopportando che
anche i piccoli Comuni della Toscana fossero domi-
nati dal partito loro avverso, cercarono subito di
sopraffare i più deboli e nell'agosto T254, quasi im-
provvisamente, si accostarono coll'esercito alle mura
di Volterra per espugnarla ed abbatterla. I volter-
rani, impreparati alla difesa e neppur tutti concordi
col partito dominante, opposero una debolissima re-
sistenza, tantoché ai nemici fu facile di superare le
mura e di entrare vittoriosi nella città. E mentre questi
stavano per dar principio al saccheggio ed a passare
a fil di spada i miseri abitanti, come in simili im-
prese era costume di quei barbari tempi, il Vescovo
seguito dal clero con croci in mano e da lungo
stuolo di donne, di vecchi, di fanciulli tutti piangenti
e timorosi, presentando la croce, si dettero a gri-
dare pace e misericordia.
L'esercito fiorentino mosso a compassione da
quelle grida disperate e dalle parole di carità e di
misericordia pronunziate con calda eloquenza dal
Vescovo, venne a sbollire i fieri propositi, e ridot-
tosi a più mite e pietoso consiglio verso quei mi-
seri, astenendosi da ogni atto di violenza, si limitò
a cacciare tutti i ghibellini dalla città ; e quindi ri-
formatone insieme al Vescovo il governo a parte
guelfa, abbandonò l' impresa senza arrecare alcun
danno.
A questo tempo devesi riferire il grosso d'ar-
LE MONETE K LE ZECCHE PI VOLTERRA
275
gento che è veramente il più comune tra le monete
volterrane e che ebbe anche buona accoglienza tra
i grossi agontani in molte città d' Italia M. In questo
grosso del peso di circa gr. 1,850 e che deve con-
tenere once io e ; d'argento fine ( 2 \ vedesi nel
B" — + : R • EPS • D' • VVLT' • (Ranerius episcopus de Vul-
terrisj. Figura del vescovo in abito pontificale con
pastorale in mano, benedicente con la mano de-
stra alzata.
R) — : + CX E VITORIÀ NRA (Crux est Victoria nostra).
La croce e la leggenda posta nel rovescio della
moneta probabilmente alludono allo scampato pericolo
del saccheggio e della strage degli abitanti di cui
sopra abbiamo fatto cenno. E da tenere per certo
che il vescovo Ranieri, dopo il ricordato avveni-
(1) La moneta volterrana, specialmente Vagontano in tutto simile a
quello d'Ancona e di Ravenna, ebbe largo corso nelle città e nei paesi
delle Marche. Il Dk Minicis, nei Cenni storici e numismatici di Fermo
(Roma, 1839, paj;. 105), scrive che " le monete ravennati, anconitane e
" bolognesi sono nominate spesso nei contratti di Fermo, ma specialmente
" le volterrane le quali in Fermo più che in altra città ebbero grandis-
" simo corso „. Secondo il Muratori ebbero anche corso in Ascoli e
in Rieti.
(2) In un Liber Abaci conservato prima nella Gaddiana e poi nella
Magliabechiana citato dallo Zanetti (t. II, pag. 417) e poco avanti da
noi ricordato, al cap. 25, ove trattasi delle leghe di diverse zecche, si
legge : La lib. ilei volterrano dille stelle tiene onde dieci e due terzi di
oriento fine. La libbra dei piccioli volterrani casolesi tiene once una e un
terzo di oriento fino. — / volterrani vecchi sono once io, denari 16, che
corrisponde a once io e 2 | 3 di sopra indicate. Il ricordo dei piccioli bat-
tuti nella terra di Casole, ci dà certezza che il libro fu compilato nella
prima metà del 300 e non avanti.
276 ALESSANDRO LISINI
mento, venne eletto all'alto ufficio di Capitano di
popolo della città e che questa deve essere la mo-
neta stessa mandata a saggiare alla zecca di Siena
per darle corso anche in quella città.
Però l'accordo tra il vescovo e il Comune non
ebbe lunga durata. Erano appena passati quattro
anni dalla riforma del governo a parte guelfa
quando il Vescovo abbandonò Volterra per riti-
rarsi nelle sue terre di Casole e di Berignone. Abi-
tando in quei castelli, per utilità e comodo del ve-
scovado, ai 12 dicembre 1258, concesse a m. Guido
Spizziche, rappresentante della società mercantile dei
Feliciani da Piacenza, a m. Giovanni di Durante da
Genova e suoi soci e a Bertoldo e Bondorso del fu
Ugieri e loro soci, la facoltà di batter moneta grossa
e minuta « ad illum modum, ligam et valutam ad
u quam et quem fabricatur, battitur et cuditur hodie
« dieta moneta vulterrana » e come battevasi o al-
trimenti si sarebbe battuta nelle città di Pisa, Siena,
Lucca e Arezzo, dando loro facoltà di coniarla in
Montieri o in altro luogo da concordarsi tra il Ve-
scovo ed i concessionari. L'allogagione doveva du-
rare otto anni principiando dal mese di gennaio, con
obbligo di pagare al Vescovo o ai suoi successori
4 denari per ogni libbra di moneta minuta da bat-
tersi nei primi due anni dell'allogagione, e di 4 de-
nari e mezzo a libbra nei rimanenti sei anni. Bat-
tendo poi moneta grossa, il contributo doveva essere
di denari 9 minuti a libbra.
Il Vescovo obbligavasi di fornire le officine e
le abitazioni occorrenti ai monetieri, a facilitare il
corso della moneta e a non concedere ad altri, per
tutto il tempo della fatta concessione, il diritto di
zecca, sotto pena di 100 marche d'argento. I con-
duttori dal canto loro assumevansi l'obbligo, sotto
la medesima pena, di coniar subito la moneta e di
LE MONETE E LE ZECCHE 1)1 VOLTERRA 277
farla saggiare agli approvateci delegati dal Vescovo
(v. documento allegato n. 2). Nel contratto è omesso
ogni accenno sulla leggenda e sulla impressione da
farsi sulla moneta, la qual cosa fa credere che il
Vescovo se ne sia rimesso interamente al gusto ed
all'abilità degli intagliatori dei coni e degli altri
zecchieri.
Le parole ad illuni modum, ligam et valutarti ad
quarti et quem cnditnr Iwdie dieta moneta vulterraua
contenute nell'atto, inducono a credere che i vecchi
zecchieri d'accordo col Comune abbiano seguitato,
nonostante la partenza del Vescovo da Volterra, a
coniar moneta nella città senza l'intervento di lui.
Infatti il vescovo Ranieri, il 20 febbraio 1259, * ece
fare a mezzo dell'arciprete la seguente inibizione :
« In Xpi nomine. Amen. Pateat evidenter quod do-
« minus Jacobus archipresbiter vulterranus, de raan-
« dato sibi facto a reverendo patre domino R. Vul-
« ter : Electo. corani me notano infrascripto, inibuit
« et precepit dominis Johanni et Guidoni, magistris
« monete, ut non bactant vel fabricent vel bacti seu
" fabricari faciant Vulter: vel alibi, monetam, absque
« speciali licentia dicti domini Electi. Actum Vul-
« terris in canonica, presentibus domino Arrigo ca-
« nonico et Importuno quondam domini Hugonis, te-
« stibus. Die Sancte Marie (0 ». Saremmo inclinati
a credere che sia di questo tempo quel grosso con
Crux est Victoria nostra portante nel diritto la lettera
B invece della lettera R. iniziale del nome del ve-
scovo Ranieri, messavi in cambio per denotare che
la moneta non veniva battuta a nome di lui. E ve-
ramente quel grosso venne impresso con nuovo
conio, notandovisi la variante della S di EPS {episcopns
(il Archivio storico di Volterra, carte Guarnacci. Inibreviature di
Lamberto notaro, n. 8494, e. 71.
27»
ALESSANDRO l.ISINI
posta dopo la figura del vescovo, e la mancanza dei
punti tra parola e parola.
Non conosciamo però la moneta minuta ossia
il denaro che con l'allogagione sopra riferita avrebbe
fatto emettere il vescovo Ranieri nelle terre del suo
feudo, ma non bisogna dimenticare che da questo
vescovo della metà del secolo XIII incomincia una
serie di successori fino al 1324 quasi tutti col nome
di Ranieri e quindi rimane impresa assai difficile
il determinare con sicurezza a quale dei vescovi
d' identico nome possono assegnarsi le monete con
la leggenda R. EPISCOPVS o RANERIVS EPISCOPVS. Tut-
tavia tra gli esemplari di monete volterrane, da noi
conosciuti, non ne troviamo uno che a lui si possa
attribuire.
Dopo l'allogagione fatta da Ranieri II, per qualche
anno non trovansi ricordi della officina monetaria
di Volterra.
Eletto vescovo nel 1291 il fiorentino Rogeri
dei Ricci, alcuni suoi concittadini, conoscendo il pri-
vilegio che avevano i vescovi volterrani di batter
moneta, costituitisi in società impetrarono da lui li-
cenza d'aprire la zecca in Volterra; promettendogli
la compartecipazione degli utili. Nel febbraio 1295
tre deliberazioni dei Difensori del Popolo ci fanno
conoscere che questa compagnia fiorentina, presie-
duta da Fuligno di Doccino, aveva aperto la zecca
con licenza del vescovo, sebbene ciò non sia nella
deliberazione esplicitamente dichiarato. Quei mone-
tieri assumendo la lavorazione della moneta vollero
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 279
chiedere al Comune quei medesimi privilegi e quelle
immunità che solevansi concedere dalle repubbliche
a chi vi esercitava quell'arte. 1 Governatori di Vol-
terra nel nominare, il 2 febbraio di quell'anno, un
sindaco o procuratore per trattare con essi i do-
mandati privilegi, per concederli vollero imporre una
contribuzione a favore del Comune di 2 denari per
ogni libbra di grossi coniati ; ordinando al sindaco,
di non dar corso alle trattative, se questa contribu-
zione fosse stata negata.
Con altra deliberazione del 15 dello stesso mese,
i Governatori nominarono un soprastante alla zecca,
il quale, conformandosi a quanto prescrivevano gli
statuti locali, dovesse vigilare alla coniazione ed al
saggio della moneta, affinchè il Potestà potesse per-
metterne il corso nel territorio volterrano. Nell'atto
della nomina si ripete la stessa condizione, cioè di
far pagare ai conduttori della zecca 2 denari per ogni
libbra di grossi coniati.
Finalmente una terza deliberazione di due giorni
appresso designa a soprastante monete que iimic con-
cuditur in Civitate Vulterrana da Fuligno di Uuccino
e dai suoi soci, un tal Sasso di Ugolino, al quale
viene assegnato uno stipendio di 12 soldi al mese.
Neppur questa volta i Governatori eran sicuri che
la società si sarebbe indotta a pagare al Comune
i due denari richiesti, perciò nella deliberazione viene
aggiunto : 5/ dictus Foligmts noìlet eidem SassQ (dare)
dictos duos denarios prò Comuni, ut dietimi est, dictus
Sassus nullo modo se in dicto officio intromittat.
Da questa deliberazione si deve dunque arguire
che qualche moneta sia stata effettivamente coniata; ed
è cosa anche presumibile che per darle corso i mo-
netieri si sieno assoggettati a pagare la contribuzione
richiesta dal Comune. Nulla però si conosce intorno
al tipo della moneta battuta, né circa il tempo in
280 ALESSANDRO LISINI
cui fu aperta e chiusa la zecca. Si può credere che
questa volta sia rimasta aperta per breve tempo
anche perchè non fu lungo l'episcopato del Ricci.
Succedutogli nel vescovado Ranieri III della
volterrana famiglia Belforti, un'altra società fiorentina
fece accordo col nuovo vescovo per battere moneta
grossa e minuta in Volterra. Anche questa società,
rappresentata da un tal Baldo di Virgilio da Firenze,
prima d'aprir la zecca volle impetrare dal Comune
i consueti privilegi ed immunità. In una istanza pre-
sentata ai Priori, il ricordato Baldo si offrì di co-
niare moneta dentro la città, eo quod — dice l'istanza
— est maioris honoris, et cives et artifices possimi inde
consegni multimi frnctum. Discussa agli 8 di maggio
1310 la domanda nel Consiglio generale, venne ap-
provata a grande maggioranza; ma i consiglieri vol-
lero imporre alcune condizioni che probabilmente
non furono accettate sembrando forse troppo gra-
vose (vedasi il documento di n. 4): ed allora la so-
cietà si deve essere ridotta a batter moneta in qual-
che terra del vescovado, se pure non si sciolse dal-
l'impegno preso col Vescovo. Poiché erano appena
trascorsi sei mesi quando i Difensori del Comune,
ai 23 di dicembre, dettero incarico ai Priori d'inter-
rogare Vanni di Chino e Cetto di Manetto e altre
persone per conoscere il guadagno ricavato dalla
coniazione della moneta, dovendosene riferire in Con-
siglio al seguito della richiesta fatta da un tal Nic-
colò da Lucca di batter moneta in Volterra ('). Anche
(1) La deliberazione dice: Convocatis XI de XII Di /'eusoribus pò-
pulì civitatis Vii//. Item modo et forma prediclis.per viiij ex eis quod Priores
XII habent col/oquium cum Vanne Chini ei Ceplo Manteo et a/iis scien-
/ibiis de mone/a fac/a in civitate Vult : quali/er Comune Vult : non habebat
profec/um, et scito mit/ant ad Consilium Generale qua/iter Nicolaius de
Luca vult monelam facere de novo in civitate Vult : quod dicto Consilio
placet providere et ordinare super predictis consulalur. (Archivio storico
di Volterra. Deliberazioni, Filza A, nera 6, quinterno II, e. 21).
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA
28l
di queste trattative rimangono monche ed incerte
notizie.
Cinque anni dopo, cioè il 23 agosto 1315, il ve-
scovo Ranieri, che ornai aveva portato la sua abi-
tuale residenza nel ben munito castello di Berignone
riacquistato poco tempo innanzi con l'aiuto del papa,
concesse la zecca ad un fiorentino del popolo di
S. Frediano, a Simone di Gianni Orlandini e a Fran-
cesco di Simone Brancaglia d'Arezzo, dando loro
facoltà di batter moneta in quel suo castello, riser-
vandosi il diritto di farla saggiare ed approvare
prima di metterla in corso da appositi saggiatori di
sua fiducia. Nell'atto d'allogagione così vien descritta
la moneta da battersi : « ex una parte predicte mo-
« nete cum quadam crux Domini sic designata, et
« in circuitu ipsius partis et summitate monete, cum
« quadam crux parva et licteris sic dicentibus de
« sic puntatibus DE VVLTERRA. Et de alio latere imago
« episcopi parati in pontificalibus de recta statura
« cum puncto ex quolibet latere cum quadam cruce
« parva in circuitu a summitate monete sic desi-
« gnate et licteris sic dicentibus: EPISCOPVS RANERIVS,
« de liga, ad pondus septem unciarum... argenti prò
« qualibet libra ».
Esiste infatti il grosso di questo vescovo, com'è
descritto nell'atto d'allogagione : & - • + EP RANERIVS.
Il vescovo in abito pontificale col pastorale nella
mano sinistra e benedicente con la destra, ty ■ — • DE :
VVLTERRA. Nell'area la croce accantonata da due
stelle.
Di questo pezzo del peso di gr. 1,600 si co-
36
282
ALESSANDRO LISINI
nosce un altro tipo quasi in tutto simile a quello
descritto, dal quale differisce soltanto per due stelle
poste ai lati della testa del vescovo in luogo dei
due punti, e per un punto dopo le lettere EP che
manca nell'altro esemplare.
Non sappiamo se il denaro piccolo, quasi di puro
rame, del peso di gr. 0,450, spettante come si dirà
in seguito a questo stesso Vescovo, sia opera dei ri-
cordati monetieri.
& - + EPRANERIVS. Nell'area il busto del Ve-
scovo racchiuso dentro un cerchio, ty — + D. VVL-
TERRA. Nell'area croce.
Il Pagnini riassumendo l'atto d'allogagione, opina
che i precitati zecchieri abbiano aperta la zecca vol-
terrana per conto della città di Firenze ('). Egli evi-
dentemente cade in errore perchè anche questa
società dovette coniar moneta per proprio interesse
e per utilità del vescovado ; e non si può credere
altrimenti, sia perchè neppur tutti quei monetieri
erano fiorentini, sia per la leggenda che doveva es-
sere impressa nella moneta allusiva al vescovo di
(1) Della Decima fiorentina, t. I, pag. 114. Eseguite le debite ri-
cerche nell'Archivio del Vescovado, non abbiamo potuto ritrovare que-
st'atto riferito dal Pagnini come esistente nell'Archivio predetto.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 283
Volterra e non al Comune di Firenze. Si potrebbe
tutto al più sospettare che quei monetieri, oltre a
batter moneta a nome del Vescovo come veniva
fatto obbligo nel contratto d'allogagione, abbiano
poi coniato altri pezzi per conto del Comune di
Cortona. La supposizione potrebbe trovare qualche
riscontro in una deliberazione del Consiglio generale
di Volterra de' 22 dicembre dello stesso anno, con
la quale si fa bandire per la città che nessun vol-
terrano potesse più spendere o computare nei pa-
gamenti e nei contratti aliqnem denarìum cnrtonensem
de conio noviter facto; et quod quinciimqne reccperit ve!
sibi computaverit, exinde nullum fiat ei jus (I) . Con
tutto ciò nulla ci autorizza a credere che veramente
la moneta cortonese sia stata coniata nella zecca di
Volterra.
Mentre il vescovo Ranieri faceva batter moneta
nel suo castello, anche il Comune doveva permet-
tere ad alcuni monetieri di tener aperta una zecca
in città. Un concordato passato tra essi, ci fa certi
del fatto. Il 1 maggio 1316 Francesco fratello di
Jacopo de' Ramisini, Pietro e Jacomo di Pistorisio da
Bologna, Sandro di Baldo Lippo e Saracino di Segna da
Firenze, Angelo e Cecco di Guiduccio d'Arezzo, Leone
e Prancazio da Siena, Stefano di Francesco da Co-
gorno del genovesato, Riccardo de Maxio di Napoli
e Giovanni Ispano corriere, lavoranti e fabbricanti
delle monete que preseti tia/iter fabricatur in Civitate
Vulterre, fissarono nella chiesa di S. Giovan Battista
di Volterra per mano di Giovanni da Bologna no-
taro i seguenti patti nel loro reciproco interesse. Il
primo patto fu di nominarsi un capo, che venne
eletto nella persona di Francesco Ramisini; il se-
(1) Archivio Storico di Volterra : Deliberazioni citate. Filza A,
nera 7, e. 16,
284
ALESSANDRO I.ISIN1
cohdo di fissarsi un salario per ciascuno di denari
30 per ogni libbra di moneta completamente coniata.
Il terzo patto, di non ricevere nella compagnia nes-
sun nuovo lavorante senza il consentimento di tutti
gli altri. Ciascuno dei ricordati lavoranti si obbligò
d'osservare tutte queste condizioni sotto pena di
L. 25. Nelle deliberazioni del Comune di Volterra
non trovasi memoria di questa allogagione e si ri-
mane incerti sul tipo e sul valore della moneta bat-
tuta in questo tempo. Si può sospettare che a questo
tempo sia stato coniato quel grossone del peso di
g" r - 3>3°° che descriviamo :
i& — PP SAT IVSTVS Nel centro la figura di un ve-
scovo in abito pontificale, con la testa nimbata,
con pastorale nella mano sinistra e con la destra
alzata in atto di benedire.
9 — * + * DE UVLTERA Nell'area la croce.
La lettera U ricorre anche nel sigillo comunale
di questi anni, invece posteriormente quasi sparisce
nei caratteri lapidari. Il grosso, che sembra per il tipo
e per il peso di questi anni, manca di qualsiasi allu-
sione al Comune o al Vescovo e fa quindi supporre
che dai monetieri ne sia stata intrapresa la battitura
a proprio rischio dando qualche grossa regalia al
Comune per averne permesso la coniazione nella Città.
In Italia era ornai venuta a cessare ogni inge-
renza dell'impero e quindi le città considerandosi af-
fatto indipendenti non impetravano da esso neppure
prò forma quelle concessioni che fino a poco tempo
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 285
innanzi eran considerate di esclusiva competenza
imperiale. Questo stato di cose aveva fatto sorgere
dovunque una fioritura di zecche, di officine mone-
tarie e di zecchieri. Famiglie di banchieri e di orafi,
compagnie mercantili, allettate dal vistoso guadagno
che ritraevasi con l'argento monetato dopo che la
coniazione del fiorino d'oro aveva deprezzato quel
metallo, eransi date alla lucrosa speculazione del
monetiere battendo pezzi d'argento e di bassa lega
che venivano specialmente richiesti dal piccolo com-
mercio. E a questo scopo esse portavansi da una
città all'altra, da un paese all'altro, presso comuni,
vescovadi e signorie ed assumevano a nome di quelli.
ma quasi sempre a proprio rischio, la coniazione
della moneta, rilasciando ai concessionari una parte
del guadagno. Qui basterà accennare che soltanto
in Toscana, al principio del secolo XIV, coniavasi
moneta in Firenze, Lucca, Pisa, Siena, Arezzo, Cor-
tona, Volterra, Massa e Chiusi. E come se queste
officine fossero state poche, il Comune di Volterra
con l'annuenza del suo Vescovo volle aprire una
nuova zecca nella città, mentre il Vescovo per conto
proprio faceva batter moneta nel castello di Beri-
gnone.
Il Consiglio generale ai 29 ottobre 1316 con-
cordava con Meo d'Alberto d'Arezzo e con alcuni
suoi soci, i seguenti patti per tenere aperta la zecca.
Per prima cosa si stabilì che l'allogagione dovesse
avere la durata di due anni dal giorno dell'appro-
vazione fattane. Che la moneta da battere dovesse
essere della medesima lega e bontà dei grossetti
d'argento di 6 denari l'uno, che uscivano dalle zec-
che di Firenze e di Siena. Che la moneta dovesse
esser coniata sotto la vigilanza di alcune guardie a
ciò deputate dal Comune, a tutte spese dei mo-
netieri,. ma a volontà del Comune e del Vescovo.
286 ALESSANDRO LISINI
Che da una parte del conio vi fosse rappresen-
tata la consueta figura del vescovo e dall'altra la
croce del popolo con la leggenda intorno + POPVLO
VVLTERRANO. Che per la concessione i monetieri do-
vessero pagare al Comune 4 denari a libbra e più
3 denari a titolo di gabella ogni volta che si fosse
estratta la moneta dall'officina per darle corso. Né
si dimenticò la condizione, che se durante l'alloga-
gione i Comuni di Firenze e di Siena avessero va-
riato la lega o il peso dei grossi e dei denari mi-
nuti, anche gli zecchieri volterrani dovessero unifor-
marsi a quel peso e a quella lega stessa, quando
così fosse piaciuto al Vescovo od al Comune, ai
quali era riserbata anche la facoltà di far cambiare
le impronte. Non si trascurò poi l'obbligo di farla
accettare per tutto il territorio volterrano a mezzo
di pubblico bando. E si aggiunse anche la condi-
zione che se gli altri Comuni della Toscana non
avessero voluto riceverla e l'avessero sbandita dal
loro territorio, egual trattamento si dovese usare
alla moneta del paese dove fosse stata sbandita. In-
fine il Comune esentò dal pagamento dei dazi e
gabelle e dai servizi reali e personali tutti i mone-
tieri ed artefici per la durata dell'allegagione.
Bisogna ricordare che in Siena ed in Firenze
di comune accordo erasi dato mano a lavorare
mezzi grossi del valore di 6 piccioli l'uno, e la co-
niazione di questi pezzi doveva offrire un discreto
guadagno, superiore a quello che ritraevasi dalla la-
vorazione del grossone. Questo guadagno non do-
vette passare inosservato al monetiere Meo d'Alberto
ed ai suoi compagni allorquando proposero al Co-
mune di Volterra di coniare mezzi grossi consimili.
E incoraggiati dal successo incontrato sul principio
nella emissione di questo pezzo, essi debbono aver
richiesto ed ottenuto il permesso di coniare anche
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA
28-;
grossetti del medesimo tipo e leggende di una lega
anche peggiore, come ne rimane prova da qualche
esemplare esistente che qui descriviamo:
& - + pp RANERIVS *. Il solito vescovo in abito
pontificale come è rappresentato nelle precedenti
monete volterrane.
# - .+• PPL'VS VVLTERA. Croce accantonata da
due stelle contrapposte nella parte superiore e in-
feriore dei bracci della croce. Questo pezzo pesa
1,500 gr., mentre il mezzo grosso pesa circa 1,200 gr.
Ha nel & - '+ PP RANERIVS con la mezza figura del
vescovo e nel ty — ■ PJtO WLTERRA. Croce nell'area u>.
Di questo stesso tempo e di mano dei medesimi
zecchieri deve essere il seguente grossetto il quale
apparisce della stessa lega, sebbene la leggenda del
rovescio differisca dai precedenti e pesi gr. 1,800 :
(1) Il Promis nell'opera Le monete della repubblica di Siena (pag. 24)
a torto nega l'esistenza di queste monete che pure figurano in varie
raccolte pubbliche e private. Nel Museo Civico volterrano conservansi
due torselli, uno dei quali ha la leggenda CX E VICTORIA NRA,
l'altro PPL'VS VVLTERA: ma ambedue malamente incisi si manife-
stano opera di qualche mal pratico contraffattore del secolo decorso.
288
ALESSANDRO LISINI
& — + P P RANERIVS. Busto del Vescovo benedicente
nel mezzo. ty — + DE VLTERRA. Croce nell'area.
Queste monete si manifestano di una lega
molto scadente e peggiori delle senesi e delle fio-
rentine che pure non avevano avuto buona acco-
glienza nel mercato. La repubblica di Siena tro-
vandosi sbanditi questi pezzi da 6 denari in alcune
città della Toscana, per rappresaglia proibì nel pro-
prio territorio tutte le monete d'argento e di lega
delle altre città e paesi, facendo eccezione per i de-
nari minuti vecchi di Firenze e di Cortona e per i
denari nuovi di Firenze ('). La moneta volterrana,
che resultava anche di più basso titolo, non trovò
affatto credito fuori del paese e dovunque venne re-
spinta.
Venne accettata con grande difficoltà in Siena
ed in Firenze per convenzioni precedenti, ma si pro-
curò che ve ne entrasse la minore quantità possi-
bile. Per questo rifiuto i volterrani subirono gravi
scapiti e la intera cittadinanza trovandosi danneg-
giata, se ne riportò con grande lamento al Consiglio
generale. Agli 8 d'aprile 1317, fatta su questa materia
l'opportuna proposta, il consigliere Cavalcuccio di
Mannuccio salito sull'aringhiera propose questo grave
provvedimento, cioè: che si sospendesse immediata-
mente la coniazione della moneta e che i monetieri
venissero subito cacciati dalla città e dal territorio
(1) Archivio di Stato in Siena. Deliberazioni del Consiglio generale
ad annum voi. 88, e. 77.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 289
sotto pena di L. ioo. Ma la proposta giovò a poco,
perchè il danno non venne rimosso. Si tornò sopra
a questa materia alcuni mesi dopo nello stesso Con-
siglio. E questa volta concordemente fu deliberato
che a nessun cittadino fosse permesso di ricevere
monete grosse o piccole coniate negli ultimi due
anni, sotto la pena di 5 soldi per ciascun denaro
ricevuto in pagamento. Si esclusero dal divieto le
monete di Firenze e di Siena e la moneta vecchia
pisana. Ogni altra moneta nel termine di otto giorni
doveva essere spesa fuori del dominio. Provvedi-
mento ingiusto che rese peggiore il rimedio del
male, sebbene al tempo stesso i Governatori del
Comune avessero in animo di rifondere quella mo-
neta e di riconiarne altra migliorata con maggior
quantità d'argento. A questo scopo il giorno ap-
presso fu deliberato d'inviare ambasciatori a Firenze
per riaprire la zecca per conto del Comune e del
Popolo come era stata allogata precedentemente.
Anzi si delegarono intanto due cittadini, cioè m.° Fede
medico» e ser Neri di Rustichino per ogni ulteriore
incombenza sull'affare. Ma il rimedio troppo radicale
adottato, cioè di volere sbandita dalla città e dal terri-
torio tutta la moneta erosa accrebbe, di gran lunga il
danno. E come l'aver cacciato con mal garbo da
Volterra i precedenti monetieri non incoraggiò altri
ad esporsi ad un simile pericolo, cosi la moneta
volterrana ricusata dentro e fuori del piccolo stato
subì, come era naturale, un deprezzamento senza
limiti ; il quale divenne tanto maggiore quanto
maggiore fu il bisogno di chi fu costretto a spen-
derla. E le lagnanze allora crebbero a dismisura e
s'invocarono leggi di protezione. Il io aprile 1318
si tentò di porvi un rimedio coll'ordinare che ciascun
grosso che era stato emesso nella città per 18 de-
nari fosse in seguito computato per 17 denari, man-
37
290 ALESSANDRO LISINI
tenendo il divieto per tutte le altre monete non vol-
terrane, fatta eccezione per i piccioli di Firenze, di
Siena e di Pisa che avevano corso per tutta Toscana.
Ancorché non si fosse rinunziato a tenere aperta
la zecca in Volterra, come ce ne fanno fede due de-
liberazioni del Consiglio, una del 29 e l'altra del
30 aprile, pure in seguito il malcontento generale
prodotto dallo scapito che facevano i cittadini nello
spendere la propria moneta, la quale non avendo
più un valore sicuro e fisso recava continuo danno
al commercio, finì per vincere ogni ostinazione.
Il 17 di maggio il Consiglio tornò a discutere
se veramente sarebbe resultato un utile per il Co-
mune il tenere aperta la zecca. Fatta una diligente
investigazione si esset utile ve! non, moneta cudi in
Civitaie Vulterrana ; et reperto, fuit ventate quod utile
prò Comuni Vulterrarum non est, venne deliberato
quod moneta hinc ad calendas Junii proximi futuri in
Civitaie Vulterrana non debeat nec possit; sed hoc in
futurum per alios dominos Duodecim provideatur, quod
per Priores presentes XII in aliis sepissime dimittant.
Per dare spaccio alla moneta coniata fu neces-
sario mandare un nuovo bando per diminuirne un'altra
volta il valore. Col nuovo bando si ordinò che quei
grossi già ridotti a 17 denari fossero ricevuti in se-
guito per 16 denari, e i grossarelli di qualunque
conio, fino allora computati a 5 denari, si valutassero
a 4 denari e mezzo l'uno; e si ridusse pure il va-
lore del vecchio soldo cortonese che tanta ricerca
aveva avuto per il passato, fissandone il valore a
io denari e non più, perchè appunto non facesse
concorrenza alla moneta erosa. Come vedesi, il va-
lore nominale della moneta d'argento e di lega non
rispondeva più alle esigenze del mercato. La mone-
tazione dell'oro, che facevasi sempre più su larga
scala, procurava ogni giorno la svalutazione della mo-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 29 1
neta d'argento, e in Volterra rendevasi maggiormente
sensibile il danno che derivava dalla svalutazione, a
causa della cattiva moneta che v4 si era coniata e richia-
mata per analogia anche da altre zecche. L'inconve-
niente era arrivato a tal punto che per frenarlo fu ne-
cessario di porvi qualche riparo. Il 6 settembre 1319,
Zampa de' Ricciardi, capitano e vessillifero di giustizia,
propose in Consiglio di emetter qualche ordine relati-
vamente alla cattiva moneta che abbondava in Vol-
terra che pure impediva l'entrata e la circolazione
di quella buona. Per provvedere al caso fu nomi-
nata una commissione di cinque cittadini affinchè
essi curassero quanto era necessario di fare su questa
materia; ma non conosciamo se l'opera di costoro
abbia giovato per rimuovere l'inconveniente.
L'ordinanza di trasmettere in ogni rinnovazione
dell'ufficio dei XII Priori la proposta di riaprire la
zecca dovette esser consacrata in qualche capitolo
dello statuto, perchè almeno nei primi anni la pro-
posta venne rigorosamente presentata. Difatti, trascorso
qualche tempo, tornò a discutersi in Consiglio la con-
venienza di tenere aperta la zecca di Volterra. 11
capitano di popolo m. Francesco Mazzavillani da Bo-
logna ne fece proposta il 14 maggio 1321, ma al-
lora prevalse il consiglio di ser Giovanni Gessie no-
taro, il quale fu d'avviso che sull'apertura della zecca
fosse conveniente soprassiedere per tutta la durata dei
XII Governatori in ufficio, assolvendoli intanto dalla
multa nella quale erano incorsi a norma degli or-
dini per non averla aperta. Ben si conosce che i
tempi correvano poco propizii per tentare simili im-
prese, le quali avendo già arrecato non piccolo sa-
crifizio ai cittadini, non trovarono più grande favore,
ed il Comune stesso d'allora in poi abbandonò per
sempre la velleità di rinnovare siffatta speculazione.
La zecca definitivamente chiusa in Città trovò
292 ALESSANDRO L1SINI
la sua naturale continuazione nei castelli del vesco-
vado. Ranuccio Allegretti nobile volterrano e par-
roco della pieve a Morbo (Montecerboli), contro la
volontà del papa, dal Capitolo, fu eletto vescovo
di Volterra, ed in seguito papa Giovanni XXII, do-
vette agli 8 di febbraio 1321, confermare l'elezione
facendolo consacrare da Gherardo arcivescovo d'Arles.
Il nuovo Vescovo ebbe a soffrire violenze per opera
dello zio materno Ottaviano de' Belforti il quale dopo
essersi fatto tiranno della sua patria, giunse ad asse-
diarlo anche nel forte Berignone: ma noi trascureremo
questi fatti che esorbitano dal nostro compito. Diremo
piuttosto che all'Allegretti, divenuto vescovo, fu subito
richiesta la concessione della zecca da un tal Paniccia
o Panizia di Luto da S. Gemignano a cui si associa-
rono nella richiesta un Fantone di Gretto del fu
m. Lotteringo de' Rossi da Firenze ed altre persone.
Col primo atto del 14 agosto 1321, che chiameremo
preliminare e di massima, perchè non ebbe verun
effetto pratico, fu richiesta la concessione di batter
moneta piccola in Berignone o in Montalcinello o
in altro paese del vescovado per la durata di due
anni nella quantità che ai monetieri fosse piaciuta
e con la condizione espressa che se essi avessero so-
spesa la coniazione per due mesi continui, senza
legittima causa, la concessione poteva essere revocata
dal Vescovo a suo piacere. La moneta che intende-
vasi battere doveva esser della medesima bontà, lega
e peso di quella fatta coniare dal predecessore del
vescovo Ranuccio. Il Vescovo intanto obbligavasi di
non concedere nei detti due anni ad altri il diritto
d'aprire altra zecca, di non gravare i monetieri e
loro sottoposti con gabelle, pedaggi e con altre ser-
vitù, di rilasciarli liberi d'andare e tornare a loro
piacimento, di rifondere loro i danni di furto purché
non fossero stati commessi dagli uomini addetti alla
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 293
zecca, e di permettere alla fine della condotta l'estra-
zione di tutti gli arnesi e ferri della zecca senza spesa
di gabella. Le parti si obbligarono vicendevolmente alla
osservanza dei patti promessi sotto pena di 500 fiorini
d'oro. Nell'atto stipulato nella terra di Montalcinello
dal notaro Guglielmo di Mello del fu m.° Gherardello
da Imola, manca qualsiasi allusione circa il compenso
che doveva ricevere il Vescovo per la concessione fatta;
la qual cosa induce a credere che non fosse un atto defi-
nitivo ma piuttosto compromissorio, perchè altre società
non si facessero avanti. E dovette veramente essere
tale: perchè un anno dopo, ai 9 di novembre, Vanni
di Benvenuto, orefice fiorentino e intagliatore di co-
mi, a richiesta del ricordato Paniccia di Luto, as-
sunse il carico di preparare le ferramenta necessarie
alla lavorazione; e in compenso gli fu promesso un
salario abbastanza lauto di 6 fiorini al mese, e più
le spese di vitto per se e per un cavallo durante il tempo
che avrebbe impiegato nel lavoro. Il Vescovo, dal canto
suo, eleggeva ser lldobrandino di Giovanni da Casole
notaro a saggiatore e approvatore della moneta che do-
veva essere emessa dalla zecca, e a lui affidava la cu-
stodia dei punzoni e degli altri ferri occorrenti alla
stazzatura. È però da notare che l'orefice fiorentino
prometteva d'incominciare il lavoro dal 14 novembre
e di darlo compiuto dopo dieci mesi, vale a dire il
14 agosto del 1323 (0.
Cosicché neppure allora la società si poteva
dire completamente costituita, sebbene proprio il 18
(1) In alcuni appunti lasciati dall'erudito Antonio Ormanni, vissuto
nel sec. XVIII, oggi conservati nella Biblioteca civica di Volterra, si
legge che la commissione d'incidere i conii sarebbe stata data dal Ve-
scovo anche a un m.° Benincasa orefice di Firenze; e che nello stesso
tempo il Vescovo avrebbe nominato ser Bindo di Manno notaro alla
vigilanza della moneta che battevasi in Casole, affidandone il saggio ad
un Fede di ser Guido da Firenze.
294 ALESSANDRO LISINI
novembre, nove giorni appunto dopo l'allogazione
dei conii, si rinnovasse il contratto di concessione
al ricordato Paniccia di Luto, il quale, in luogo di
Fantone de' Rossi da Firenze, erasi questa volta as-
sociato quello stesso Meo d'Alberto d'Arezzo che
venne cacciato dalla città di Volterra dopo che i
Priori gli avevano affidato la coniazione della moneta
nel 1316.
In questa seconda concessione il vescovo Ra-
nuccio non solo permetteva che si battessero denari
minuti a lega di un'oncia d'argento a libbra, dalla
quale dovessero uscire 55 soldi, ma anche una grossa
moneta d'argento di cui si riserbava concordare
la lega, il peso, il numero dei pezzi per cia-
scuna libbra, e l'impronta da farvi. I metodi imper-
fetti usati nella coniazione della moneta in quei tempi
non permettevano una esatta ripartizione del me-
tallo nei pezzi che si monetavano e anche l'amal-
gama delle leghe usate lasciava spesso a desiderare.
Perciò tra i patti concordati fu previsto che se nella
saggiatura e nella pesatura della moneta piccola che
si veniva coniando fosse stata notata una differenza
in più o in meno di 12 denari, e di 2 grani in più
o in meno di lega a libbra, dovevasi nondimeno dai
saggiatori approvare la emissione, purché la diffe-
renza venisse compensata nelle successive tratte.
Se poi questa differenza fosse stata minore, non ri-
chiedevasi alcun compenso. La moneta doveva da
una parte portare l'impronta della croce con l'iscri-
zione all' intorno De Vulterra e dall'altra la figura
del Vescovo benedicente e presso alla testa del Ve-
scovo una crocetta con stella e lo scritto Episcopus
Ranuccius.
Per questa concessione, che doveva durare quat-
tro anni, con altro atto si fissò il compenso o l'as-
segno che doveva ricevere il Vescovo : e bisogna
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 295
credere che le zecche offrissero vistosi guadagni se
permettevano d'esser così generosi col concessionario.
I conduttori dunque si impegnarono di pagare
al Vescovo per ciascuna libbra di piccioli, 3 soldi di
denari, e per assicurargli veramente quest'utile rima-
sero d'accordo di assegnargli 30 soldi tutti i giorni
non festivi, sia che si fosse o non si fosse lavorato ;
e nei giorni in cui la battitura fosse risultata mag-
giore, e quindi le competenze del Vescovo fossero
state superiori ai 30 soldi, il di più doveva essergli
pagato e non compensato con i giorni in cui la la-
vorazione fosse risultata minore.
II Vescovo si riserbò l'elezione dei saggiatori,
e degli intagliatori dei conii e degli altri ferri neces-
sari alla zecca, pur confermando a m.° Vanni da Fi-
renze orefice la commissione precedentemente da-
tagli. Oltre alla moneta piccola ricordata, consentì
che i monetieri battessero altri pezzi con i consueti
segni e lettere, nei quali pezzi dovessero mettere
un'oncia e un grano d'argento fino, il doppio del-
l'argento usato per la lega del denaro. Commise poi
a m. Benedetto abate di S. Salvi presso Firenze di
sorvegliare la cesellatura dei conii, partecipando con
sua lettera all'orafo la delegazione fatta.
Con tutto che negli atti citati sia detto della
moneta que nitnc fabricatiir, si rimane nella incertezza
che la moneta sia stata effettivamente coniata, perchè
un anno dopo, con data 8 giugno 1323, trovasi un
altro atto d'allogazione. Vannuccio di Petruccio di
Cambio mercante e banchiere senese, Paniccia di
Luto da S. Gemignano e Guglielmo di Giuntarino da
Cunigliano del contado fiorentino ed altri loro soci
assumono la coniazione della moneta piccola alla lega
di mezz'oncia d'argento a libbra, da ripartire ogni
libbra di metallo in tanti piccoli denari del comples-
sivo valore di 55 soldi con tutte le condizioni espresse
296 ALKSSANUHO LISÌNI
nei precedenti contratti, dividendo gli utili nel modo
che appresso viene fissato in altro atto consecutivo.
Delle dodici parti degli utili o altrimenti degli scapiti,
quod Deus avertat, dice il documento, quattro dovevano
andare a prò' o a scapito a Vannuccio Petrucci ed
ai suoi fratelli, due parti a Tingoccio di Baldo Tolomei
da Siena, due parti a Meo d'Arezzo, tre parti a Pa-
nicela e finalmente una parte a Guglielmino da Cu-
nigliano. 1 soci assegnano al Vescovo i trenta soldi
al giorno come negli atti precedenti, con promessa
di pagarli anche nel caso che la corresponsione per
la moneta battuta fosse risultata minore. Vannuccio
si obbliga in fine al Vescovo, in nome di tutti, alla
osservanza delle cose promesse sottoponendosi, nel
caso contrario, a pagare fiorini 500 d'oro a titolo
di penale. Quattro mesi appresso la società richiese
ed ottenne dal vescovo Ranuccio, il quale si dichiara
investito a detta concessione per autorità imperiale,
anche il permesso di lavorare monete grosse d'ar-
gento fino, al peso di Siena e di Firenze. Le prime
monete dovevano contenere undici once e mezzo
d'argento a libbra senese e per ogni libbra dovevasi
ricavare il valore di soldi diciassette. E avvertito che
si prò libra essent duo grossi plus ve! minus, dummodo
in deliveratione sequenti f adendo, debeant computar i et
reduci ad dictam rationem solidorum decem et septem.
Si vero essent minoris numeri debeant delivrari non
computando posteci in minori numero, nisi in dictis duo-
bus grossis. Si vero in deliveratione /adendo esset in
fondere, pondus unius denarii argenti fini prò libra plus
vel minus, possit per deliveratores fieri deliveratio, re-
staurando postea in deliverationibus faciendis.
Il conio della moneta doveva avere da una parte,
la croce in mezzo e all'intorno un'altra piccola croce
con la leggenda R' EPS D' VVLT'. (Ranuccius episcopus
de VuUerra) e dall'altra, la figura àe\Y Agnus Dei so-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 297
stenente una croce e intorno altra piccola croce con
punto e la iscrizione: ECCE ÀGNVS DEI.
Le seconde monete d'argento dovevano conte-
nere per ogni libbra fiorentina sette once d'argento
fino e per il valore a libbra di soldi diciassette e denari
dieci da emettersi con le condizioni e compensazioni
sopra accennate II conio doveva avere da una parte
la croce nel mezzo, accantonata da due stelle contrap-
poste, e all'intorno altra piccola croce con punti e la
leggenda DE VVLTERRA; dall'altra l'immagine del Ve-
scovo benedicente come nelle altre monete volterrane,
con la differenza di due mitre in più collocate presso
la testa del vescovo e nel circolo esterno la leggenda
EPISCOPVS RAYNVCCIVS.
Il Vescovo con sua lettera commise a Simone
del fu Gianni Orlandini da Firenze e al più volte
ricordato Paniccia da S. Gemignano non soltanto
l'esecuzione di questi conii, ma ve ne aggiunse un
altro per una moneta più piccola non descritta nel-
l'atto di concessione, ma che si può sospettare do-
vesse essere un bolognino per la disposizione delle
lettere che ordinò incidersi in una faccia della mo-
neta stessa. Nella lettera di commissione si legge :
Item alias ferros prò moneta nostra parva fabricanda
in uno quorum, in medio circuii interioris, sii < rux, et
supra ipsam crucem intra circulum extcriorem sit cru.x
parva puntata citm his lietcris: DE VVLTERRA. Et alio
vero, intra circulum interiorem, sint sculk hec lictere:
CTS et supra dietimi • V • intra circulum e.xteriorem sit
cru.x parva puntata cum his lietcris EPiScopus RAYNVCr///s.
Senza volere escludere l'esistenza di tutte queste
quattro monete ricordate nei documenti, soltanto due
oggi si conoscono del vescovo Ranuccio, cioè il grosso
portante nel & -- + R • EPS : DE : VVLT Nell'area la
croce. 9 — + ECCE : A&NVS DEI. Nell'area la figura
dell'Agnello divino che regge una piccola croce,
298
ALESSANDRO LTSINI
ed il denaro piccolo simile a quello del vescovo Ra-
nieri. La leggenda di questo è, nel Ì& — + EP RA-
NVCCI. Neil' area busto del Vescovo benedicente.
9 — • + • D • VVLTERRA. Croce nell'area. Pesa poco
più di un mezzo grano , mentre il grosso pesa
gr. 1,500 circa.
Con questi pezzi termina la serie delle monete
volterrane coniate nella Città e nelle terre del suo
vescovado. Ranuccio morì nel 1348, forse durante
la memorabile pestilenza avvenuta in quellanno, e
dopo di lui non v'è memoria che i suoi successori
abbiano fatto coniare moneta.
Il Comune di Volterra alla metà del secolo XIV,
si trovò coinvolto in molte guerre civili causate dal-
l'ambizione dei suoi cittadini, e se volle ristabilire una
relativa quiete fu costretto a porsi sotto l'accoman-
digia della Repubblica di Firenze; e perchè questa
più volonterosa ne prendesse la protezione, dovette
obbligarsi a pagarle un censo annuo di 1000 fiorini
d'oro. I fiorentini, per le convenzioni intercedute tra
le parti, mandarono a capo della Città, un loro con-
cittadino col titolo di capitano, il quale poco alla
volta con le sottili arti fatte usare da quella repub-
blica ai suoi rappresentanti, venne a sottoporre Voi-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 299
terra totalmente alla dipendenza di Firenze. Un ten-
tativo di ribellione fu fatto circa il 1472 a causa dell'ap-
palto delle miniere d'allume del territorio, che rende-
vasi lesivo agli interessi dei volterrani. E fu per questa
cagione che suscitatasi nella Città una sedizione
popolare contraria ai fiorentini, si licenziò il Pretore
e si abbassarono tutte le insegne di Firenze e si ri-
conquistò per breve tempo la libertà. Ma i fiorentini
assoldate molte milizie, che posero sotto il comando
di Federico degli Ubaldini conte d'Urbino, fecero
cinger d'assedio Volterra e introdotte di notte tempo
le loro milizie nella fortezza col tradimento dei sol-
dati che i volterrani avevano chiamato a propria difesa,
per due giorni intieri misero a ferro e a fuoco tutta la
città, di modo che Volterra da quel giorno rimase
per molto tempo depressa e desolata, ne valsero i
privilegi e le grazie in seguito concesse ai volterrani
da Lorenzo dei Medici, allora potente in Firenze, per
farla risorgere nel primiero stato : soltanto poterono
quei privilegi render più tollerabile ai cittadini la
soggezione alla repubblica fiorentina.
Il cronista senese Tommaso Fecini, contempo-
raneo a quegli avvenimenti e quindi meritevole di
esser creduto, ha lasciato nelle sue cronache questo
ricordo: « 1472 marzo. 1 volterrani ebbero differenza
u con i fiorentini e ferno una balìa e volersi dare a
« più potentati e batterno la moneta ». Ma di quest'ul-
tima circostanza non trovansi memorie nei documenti
volterrani da noi veduti, forse perchè dai vincitori
furono distrutte le carte di quel breve periodo di
libertà. E se durante questo tentativo di ribellione
alcuni denari furono coniati come affermazione di
ricuperata indipendenza, probabilmente quelle mo-
nete non ebbero corso o lo ebbero soltanto per
tempo brevissimo. Oggi non si conosce alcun esem-
plare di quel denaro e quindi, se pure esiste, deve
considerarsi di una estrema rarità.
300 ALESSANDRO USINI
SIGILLI DEL COMUNE DI VOLTERRA.
11 più antico stemma del Comune di Volterra,
che pur dovettesi incidere nel primo sigillo solenne
della città, consistette nel grifo alato di rosso in
campo bianco.
Questo favoloso animale dal corpo di leone e
dalla testa, ali e piedi d'aquila, che stette a simboleg-
giare la forza con l'agilità, probabilmente fu assunto ad
impresa pel fatto d'averlo trovato di frequente usato
come emblema di vigilanza nei numerosi monumenti
etruschi della antichissima città.
Nel 1254, durante le rivoluzioni politiche avve-
nute in questa regione, cacciati i ghibellini da Vol-
terra e passato il governo della cosa pubblica in
potere dei guelfi, lo stemma del Comune venne mo-
dificato. A dimostrazione del partito politico domi-
nante allora si sottopose al grifo un drago (insegna
dei ghibellini) nell'atto d'esser dilaniato dal grifo,
per denotare la vittoria dei guelfi volterrani o meglio
fiorentini sul partito imperiale.
In quella stessa occasione anche lo stemma in-
nalzato dal popolo, che consisteva in uno scudo
spaccato d'argento e di rosso, subì una trasfor-
mazione.
La croce che dovette impugnare il vescovo
Ranieri II nelle ricordate rivoluzioni per fare argine
alle vittoriose milizie fiorentine che accingevansi a
dare il guasto alla città, fu assunta come impresa
dal popolo a memoria dello scampato pericolo; e
quando si volle riportare questa stessa impresa nella
moneta si aggiunse la leggenda : Crux est Victoria
nostra, completando l'allusione a quel fatto.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA
30I
Il più antico sigillo del comune di Volterra non
si conosce. Nel Museo civico conservasi quello rin-
novato dai guelfi nel 1254, già altra volta pubblicato
dal Manni (0.
Nel sigillo vedesi inciso il grifo nell'atto di di-
laniare il drago, con questa leggenda all' intorno :
VRBI VVLTERRE PAREATIS VNDIQVE TERRE.
Anche il Museo nazionale di Firenze nella sua
copiosa raccolta sfragistica conserva un sigillo del
Comune di Volterra. Questo secondo sigillo, simile
nell'impresa al primo, dovette essere usato nel se-
colo XIV, e porta all'intorno un'altra leggenda, cioè:
SIGILLVM VVLTERRANE CIVITATIS.
(1) Manni Domenico. Osservazioni isteriche sopra i sigilli antichi dei
secoli bassi. Firenze, 1739, tomo III: sigillo n. 7, pag. 59.
302 ALESSANDRO LISINI
Oggi il Comune mantiene la stessa impresa, ma
volta in senso opposto a quella che vedesi incisa nei
vecchi sigilli ; cioè, si rappresenta col grifone di
rosso ed il sottoposto drago di verde rivolti a sini-
stra, il tutto su campo d'argento.
(Continua).
Alessandro Lisini.
DUE MEDAGLIE CASALESI ANONIME
DEL SECOLO XVI
Nella seconda metà del secolo XVI furono coniate nella
zecca di Casale due piccole medaglie, delle quali non tro-
vasi più ai nostri giorni che qualche raro esemplare. E benché
esse abbiano eccitato più volte la curiosità de' numismatici,
nessuno però ne ha fatto cenno finora; forse perchè, essendo
esse anonime e senza data, male si prestavano ad un'esatta
interpretazione dell'epoca e dello scopo della loro coniazione.
Avendo avuto l'opportunità di fare qualche studio su
queste due medagliette, ne presento la figura, aggiungen-
dovi pochi cenni storici, che forse varranno a spiegarne
l'origine rimasta fino ad oggi oscura.
<&' — Effigie del vescovo mitrato, a sinistra ; SANCTVS
EVASIVS, in cerchio di perline.
9 —Nel campo: FRVGI - PARSIMO-NI/E in tre righe,
entro cerchio di perline.
Rame, mill. 16, peso gr. 1,12.
& — Effigie del vescovo mitrato, a sinistra ; SANCTVS
EVASIVS.
304 FLAVIO VALERANI
I}l — Nel campo: FRV- G-ÀLITA— TI in tre righe, in cer-
chio di perline.
Rame, mill. 16, peso gr. 0,85.
Così, nel diritto di amendue le medaglie abbiamo l'iden-
tico busto del vescovo : nel rovescio invece varia è la leg-
genda, benché il concetto ne sia il medesimo.
Che esse appartengano alla zecca di Casale, non può
esservi dubbio; perchè l'effigie di Sant'Evasio, protettore di
questa città, non appare mai sopra alcuna moneta o meda-
glia d'altra zecca. Quanto poi all'epoca della coniazione,
malgrado la mancanza d'ogni indizio (anno, nome o stemma),
la si può argomentare dall'esame comparativo con le monete
di questa zecca; e quest'esame c'induce a credere siano
state battute verso la fine del cinquecento o poco dopo. Ma
quale fu l'occasione che die luogo a questa battitura: quale
lo scopo ? ( l )
Nessun documento né sincrono, né posteriore, viene a
illuminarci : nessun accenno nei libri, negli scritti, negli epi-
stolari dei contemporanei lascia intravedere la soluzione del
problema.
Intanto è da escludere che esse siano state coniate
per ricordare qualche avvenimento politico o militare, man-
cando ogni accenno relativo, tanto nel diritto quanto nel ro-
vescio delle due medagliette.
Fra queste incertezze mi parve opportuno riandare tutta
la storia casalese di quel secolo e del successivo, in traccia
di un evento o di un fatto valevole a darci un'appagante
spiegazione ; ed ora ho la convinzione di aver raggiunto
P intento. Credo di appormi al vero affermando che l'occa-
sione di questa battitura fu presentata dall'inaugurazione del
Monte di Pietà in Casale. Nessun altro evento cittadino, tanto
di quella epoca, quanto dei tempi posteriori, vale a fornirci
una spiegazione di uguale o maggiore evidenza.
La fondazione del Pio Monte devesi quasi intieramente
all'opera benefica del vescovo Benedetto Erba, mantovano,
(1) In alcuni cataloghi queste due medaglie sono erroneamente clas-
sificate tra le monete, quali quattrini del duca Ferdinando.
DUE MEDAGLIE CASAI.ESI ANONIME 305
che resse con esemplare carità la diocesi casalese dal 1570
al 1576. Nello scopo di frenare l'usura, che, con grave no-
cumento dei poveri bisognosi, regnava allora in Casale, il pio
vescovo pensò di creare un Monte di prestito su pegni: e
questo avvenne specialmente per consiglio ed eccitamento del-
l'arcivescovo di Milano S. Carlo Borromeo, che venne a visi-
tarlo a Casale, essendo a lui legato per molta stima ed amicizia.
Grande era la miseria della città in quegli anni calami-
tosi. Le lunghe guerre degli anni precedenti, la scarsità dei
raccolti, la gravezza delle imposte, la peste che continuava
a serpeggiare e a mietere vittime; tutto contribuiva ad ac-
crescere il numero dei poverelli (0. Aggiungasi che parec-
chie famiglie facoltose aveano dovuto lasciare il paese, per
le persecuzioni del duca Guglielmo Gonzaga nella sua lunga
lotta contro Casale, per spogliarla d'ogni privilegio: tanto che
la città, la quale un decennio prima, a testimonianza di Ste-
fano Guazzo, contava quindici mila abitanti, sullo scorcio
del secolo non ne conteneva più che undici mila.
Fu nel periodo di queste strettezze economiche che
mons. Erba, nell'agosto 1575, promosse una sottoscrizione
fra i principali cittadini di Casale (tanto nobili quanto bor-
ghesi d'alto rango, leggesi in un documento), i quali pro-
misero di sborsare una certa somma, a titolo di elemosina,
allo scopo esclusivo di creare il Pio Monte, a sollievo e a
beneficio dei poveri bisognosi di qualunque condizione. La
sottoscrizione non salì che alla somma di 943 scudi ; e a
capo della lista stava il nome del vescovo con 50 scudi.
Egli però non ebbe il conforto di veder compiuta l'opera
sua ; perchè passò di questa vita il 28 dicembre 1576 ( 2 ),
mentre l'inaugurazione del Monte non avvenne che il 6
maggio 1577 (3).
(1) In una lettera di S. Guazzo, in cui e descritta Casale di quei
tempi, e il vivere degli abitanti, si legge : « Rendite piccole, spese so-
verchie, et pegni agli hebrei „ (v. Le/fere del sig. Stefano Guazzo, ediz.
di Venezia, 1590, pag. 15).
(2) Nel suo testamento il vescovo Erba, con altri pii legati, lasciava
ancora 150 scudi all'erigendo istituto del Monte.
(3) V. in line, il documento dell'inaugurazione, che tolgo da un ma-
noscritto esistente nell'Archivio del Monte di Pietà di Casale. Si noti
3°6
FLAVIO VALERANI
All'epoca dell'inaugurazione il capitale versato era so-
lamente di 740 scudi ; somma che venne poi man mano cre-
scendo, grazie alla pietà di successivi benefattori. Alcuni cit-
tadini, fra quelli che maggiormente eransi interessati all'ere-
zione del Monte, furono chiamati ad amministrarlo, col titolo
di Reggenti ( l ).
Tornando ora alle due medaglie, panni non si possa
dubitare che esse siano state coniate appunto all'epoca in
cui fu eretto questo pio istituto. È vero che dalla loro iscri-
zione, in cui si accenna a frugalità e parsimonia, è mani-
festo il pensiero del risparmio ; epperò parrebbe che esse
abbiano a ricordare l'istituzione di una Cassa di risparmio,
anziché quella di un istituto di beneficenza. Giova però no-
tare che la Cassa di risparmio non venne fondata e aggiunta
al Monte se non qualche tempo dopo : i due istituti erano
uniti, ed il servizio amministrativo era comune ; è perciò
probabile che le due medagliette ricordino anche la fonda-
zione della Cassa.
D'altro canto non conviene dimenticare che il Monte,
nei primi anni di sua esistenza, soleva somministrare agli ac-
correnti prestiti in natura, cioè grano, meliga e altre sostanze
di prima necessità; le quali erano poscia restituite, all'epoca
del disimpegno, nella stessa quantità e qualità ricevuta. Era
pertanto utile che venisse ricordato e consigliato a questi
accorrenti il risparmio e la frugalità, se pur volevano met-
tersi in grado di restituire, al debito tempo, le sostanze tolte
ohe il nome di S. Evasio, la cui effigie campeggia sul diritto delle due
medaglie, e pure invocato nell'intestazione del documento; ciò che
viene a conferma del mio asserto sull'epoca e scopo della coniazione.
(1) Anche il duca Guglielmo Gonzaga, che erasi limitato a conce-
dere permesso all'erezione del Monte, ne favori più tardi, l'incremento;
come appare da un suo editto, in data 28 maggio 1580, nel quale or-
dina espressamente a tulli i Notari inanzi che riceviiw il testamento o
codicillo o dona/ione per causa di morte, overo altra ultima volontà, siano
tenuti avvisare li Testatoli, overo Donanti, se le piace di lasciare alcuna
sua facoltà al dello Monte, et che di tale ammoni/ione appaia per esso
medesimo testamento o codicillo o vero altra ultima volontà. Lo stesso
duca poi riordinò l'amministrazione, commettendola a due cavalieri
della città col titolo di Presidenti, dei quali riserbò a sé la scelta.
DUE MEDAGLIE CASALESI ANONIME 307
ad imprestito : e a quest'ufficio servivano benissimo le me-
daglie che portavano impresso il salutare consiglio (0.
È anche da ritenere che le due coniazioni siansi susse-
guite a breve distanza, considerando l'identità del conio
nella protome del Santo vescovo, l'identità del concetto
nella leggenda, e infine l'identità del metallo e delle dimen-
sioni. E verosimile che, esaurita l'emissione della prima me-
daglia, ne sia stata ordinata una nuova battitura, variandone
soltanto il motto. E se la prima è dovuta, come credo, al
vescovo Benedetto Erba, la seconda sarebbe da attribuire
al suo successore Alessandro Andreasi che continuò a pro-
teggere il pio istituto o ad altro vescovo degli anni poste-
riori. Epperò invano si cercherebbe, fra i decreti ducali della
monetazione monferrina, qualche documento riguardante il
conio di queste medagliette; perchè non fu il duca che primo
abbia pensato a erigere il Monte.
La coniazione è dovuta a quelli stessi che, con senti-
mento di carità, s'affaticarono a creare l'istituto ; e scopo
della medaglia era il ricordare un avvenimento importante
per Casale, che fu tra le prime città ad avere un Monte di
Pietà. Ritengo che le medaglie venissero distribuite, nei
primi tempi, quale monito di parsimonia, ai poveri che pi-
gliavano a prestito le sostanze più necessarie al vitto ; forse
coll'obbligo di riportarle, quando si presentavano pel disim-
pegno. E probabilmente ne fu anche fatto dono a ciascuno
di quei generosi cittadini, che colle loro oblazioni avevano
aiutato l'opera pietosa del vescovo, e resa possibile la crea-
zione del Monte e della Cassa di risparmio.
(usale Monferrato, apule 1009.
Dult. Flavio Valekani.
li' Anche il dotto collega ed amico cav. dott. Giuseppe Gioreell : ,
peritissimo della storia del Monferrato, partecipa a questo mio giudizio
su lo scopo delle due medaglie, e su l'epoca della loro coniazione.
308 FLAVIO VAI.KRAN'I
DOCUMENTO.
AI. NOME DEL S." IMO ET DELLA GLORIOSA MADRE
ET DEL PROTETTORE NOSTRO S. EVASIO
in Casale
Aìli 6 WtJgilio 1577.
Doppo l'essersi solertissimamente cantato la Messa del Spirito S.'"
nella Chiesa Cathedralc di questa Città per la fondatione del Monte
della Pietà si è latto la processione geiìale dalla detta Chiesa sino al
Monastero di S. Domenico, ove si è eretto il detto Monte alla presentia
ci intervento dell' III. 1 "" et Rcv.'"" Monsig. Gio. Vincenzo Gonzaga priore
di Barletta come intervenendo a nome et in luogo dell'Ili. 1 " Ecc. S. Duca
nostro Guglielmo et Mons. Andrea Cernola Vie. Episc. le in nome di
Monsig. Reverend." Alessandro Andreasio Vescovo di Casale r; il Re-
verendo Sig. Alessandro Mola Preposto - il Rev.' 1 " Sig. Cesare Na-
zaro Arcidiacono — il R.» Padre Gio. Batta Castiglione Guardiano di
S. Antonio — il R. L. F. Bartolomeo de Monteregali Sotto-priore, et in
nome del Supperiore di S. Domenico r_. il Sig. Corrado Mola dottore =
il Sig. Angustino 'ribalderò medico il S. r Guido Grosso nobile — il
S. r Bonifacio Passato nobile : — il S. Gio. Antonio Guaita il S.' Squartia
mercante — il S. 1 Gio. Domenico Vialardo mercante — tutti Sig. rl Pre-
sidenti, et il S. ! Giacomo Capello depositario et me Evasio Carena No-
taro = et Gio. Antonio Ferrari fattore, officiali d'esso Monte, al quale
se gli è datto principio a imprestare con il nome del Signor Iddio, et
come di sopra, in questo luogo di San Domenico alli 8 di Maggio 1577,
gratis; et se gli attende il Mercore et Sabato due volte il giorno per
buon principio, et coll'aiuto del S."' di bene in meglio.
dott. r Evasio Carena.
NEC R O LOG1 E
VINCENZO DESSI.
Il giorno 30 scorso dicembre moriva a Sassari il cava-
liere rag-. Vincenzo Dessi. Fu appassionato raccoglitore e
studioso delle monete della sua Sardegna, sulle quali pub-
blicò numerosi lavori, di cui tre apparvero sulla nostra
Rivista. Da tempo egli attendeva alla illustrazione completa
delle zecche Sarde, illustrazione che certo sarebbe riuscita
ottima ed esauriente, stante la competenza e la lunga pra-
tica fatta da lui in questo ramo della numismatica. È a spe-
rare che questo materiale non vada disperso e che qualche
persona competente pensi un giorno a riordinare e comple-
tare i materiali radunati dal Dessi e a darci una monografia
completa dalla monetazione Sarda, che fino ad oggi ebbe
pochi cultori.
GIOVANNI PAOLO LAMBROS.
E morto quasi improvvisamente e in età ancor valida
il chiaro archeologo e numismatico ateniese Giovanni Paolo
Lambros, che aveva anche una fiorente casa di commercio
nelle antichità, che era considerata la più antica del genere,
fondata nel 1840. Dotto in tutti i rami dell'archeologia e
della storia antica, si era poi da molti anni dedicato con
passione alla numismatica, possedendo egli stesso una bel-
lissima collezione di monete greche. Di lui è nota l'opera
sulle monete antiche del Peloponneso, con 16 tavole. Appas-
sionato per l'Italia e in relazione di studi con molti italiani,
310 NECROLOGIE
frequentava il nostro paese, specialmente in occasione dei
Congressi, e ognuno lo rammenterà infaticabile relatore di
storia e di epigrafia al Congresso internazionale di Roma,
nel 1903, e a quello internazionale di Berlino nel 1908. Ol-
treché socio della Società Numismatica Italiana, fu tra i soci
fondatori del Circolo Numismatico Milanese, che egli aiutò
continuamente, approvandone il programma di diffusione delle
cognizioni numismatiche in Italia.
PIETRO CHANOUX.
E morto all'Ospizio dell'ordine mauriziano del Piccolo
San Bernardo l'abate comm. Pietro Chanoux, che da 50 anni
viveva lassù nella solitudine alpina al governo di quelPOspi-
zio-ricovero. Il Chanoux era come il venerando della mon-
tagna. Da mezzo secolo si era ridotto nel suo eremo, sepolto
per sei mesi dell'anno nella neve come custode di quel
valico, meta di tante escursioni, pronto a ricevere sotto il
suo tetto ospitale i viandanti ed i viaggiatori per diletto,
bisognosi di letto e di conforto.
Aveva vissuto lassù, nel silenzio solenne, divino delle
sue cime, intento ed assorto nella sublime opera d'amore,
cosicché pare oggi che non solo un santo scompaia: ma che
l'anima stessa della montagna si diparta con lui.
Nel raccoglimento diuturno egli s'era approfondito nelle
scienze naturali : e il giardino, oasi miracolosa su quelle
vette, sarà il gentile simbolo della sua memoria.
Ma l'abate Chanoux era anche numismatico, e in una
sala nell'Ospizio ordinò cronologicamente in vetrine esposte
al pubblico le numerose monete che gli antichi romani per-
devano man mano nel valico del S. Bernardo e che egli
andò amorosamente raccogliendo.
VARIETÀ
Il medagliere di Casa Savoia. Le effigie di Re Vit-
torio e della Regina Elena. — L'u aprile scorso il sena-
tore Frola, sindaco di Torino, fu ricevuto in udienza privata
da S. M. il Re, al quale fece omaggio delle medaglie fatte
coniare da quel Municipio coll'effigie del Re e della Regina
a complemento della Storia metallica della Real Casa di
Savoia.
Successivamente eguale consegna fece al Senato del
Regno, che nelle sue sale tiene il medagliere dei Reali di
Casa Savoia.
Fin dal 1757 Re Carlo Emanuele III aveva concepito il
pensiero di far rappresentare tutti i sovrani di Casa Savoia
mediante una serie di medaglie, le quali portassero da un
lato la immagine del principe e della relativa consorte, dal-
l'altro un emblema allusivo a ciascun personaggio. Affidava
l'incisione dei ponzoni al celebre Lorenzo Lavy, e l'abate
Berta ebbe l' incarico di comporne le leggende e immagi-
narne gli emblemi. Quel principe moriva mentre era com-
piuto il lavoro di 77 ponzoni, ma non ancora coniata alcuna
medaglia, e la splendida opera sua giacque dimenticata nella
zecca di Torino, finché Carlo Felice si persuase di fare al-
meno nota al mondo l'esistenza di un tanto lavoro, pubbli-
cando, incisi su lastre di rame, i disegni dei ponzoni. Questi
disegni apparvero in un volume, col titolo di Storia metallica
della Real Casa di Savoia, in Torino, nel 1828, pei tipi della
Stamperia Reale; la serie delle medaglie, che nei ponzoni
del Lavy giungeva a Vittorio Amedeo III, venne continuata
s
•^ T2 VARIETÀ
fino a Carlo Felice: le incisioni furono opera dell'illustre
Pietro Palmieri; Galeani Napione premise una sua introdu-
zione al volume, e Pietro Datta diede, col concorso del Na-
pione, la spiegazione delle leggende e degli emblemi.
Ma con tutto ciò, il grandioso concetto di Carlo Ema-
nuele III rimaneva ancora sempre abbandonato, e nel tempo
stesso era pure frustrato improvvidamente il grave dispendio
ià fatto per una tanta opera monumentale.
Se non che il colimi. Luigi Torelli, ministro di agricol-
tura, industria e commercio, visitando nel dicembre 1864 la
zecca di Torino, ebbe occasione di vedere quei magnifici
ponzoni colà giacenti da quasi un secolo, inoperosi; e col-
l'intento di soddisfare al lustro della dinastia e della nazione,
deliberò tosto di farne completare la serie, conducendola da
Beroldo, primo conte di Savoia, a Vittorio Emanuele II,
primo Re d'Italia, e procacciare alla storia ed all'arte ita-
liana il presente medagliere. Presi gli opportuni accordi
colla Real Casa, onde provvedere ai mezzi occorrenti, il mi-
nistro commise ai più abili artisti italiani la formazione dei
nuovi conii.
La Regia Zecca di Torino rimise nel 1870 i conii e pun-
zoni alla R. Accademia delle Scienze, e questa poco dopo
al Museo civico.
La Giunta municipale di Torino, in data 8 luglio 1885,
deliberò di completare la storia metallica di Casa Savoia,
mandando ad aggiungere alla collezione dei conii i ritratti
delle LL. MM. il Re Umberto I e la Regina Margherita.
Infine la Giunta, nel 26 marzo 1902, sempre per com-
pletare il medagliere di Casa Savoia, ordinò le medaglie con
le effigie delle LL. MM. il Re Vittorio Emanuele III e la Re-
gina Elena di Montenegro.
Affidò l'incarico di dettare le iscrizioni al comm. prof.
Ettore Stampini, che le dettò nel modo seguente :
Medaglia per il Re. Da un lato : VICTORIVS EMMÀ-
NVEL III - VMBERTI I F. - REX ITALIAE. Dall'altro: FIDIS-
SIMA ITALORVM SPES -- MAGNI AVI OPTIMIQVE PATRIS -
VESTIGIA PREMENS - OMNE DECVS - PATRIA POLLICETVR
Medaglia per la Regina. Da un lato: ELENA A MONTE
VARIETÀ 313
NIGRO - DABEATIVM VICTORII - EMMANVELIS MI VXOR
Dall'altro: SPECIE VENVSTA HABITV PROCERA - MODESTA
PIA MVNIFICA - VXORIS MATRIS REGINAE - PARI VIRTVTE
MVNERA PRAESTAT
L'incarico della incisione e coniazione delle dette me-
daglie venne dato all'incisore Giuseppe Tua.
Il coordinamento dei Medaglieri italiani al Con-
gresso della Società per il progresso delle scienze a
Firenze. — A proposito di questo argomento, già da noi
accennato nel fascicolo scorso, ecco il riassunto contenuto
negli Atti^ ricevuti or ora dalla direzione del Medagliere di
Brera :
" La seduta si apre alle ore 15 con la comunicazione del
prof. Serafino Ricci sul Coordinamento delle collezioni numi-
smatiche nei pubblici medaglieri. Egli parla a nome della So-
cietà italiana di numismatica, del Gabinetto di Brera e del
Circolo numismatico milanese.
" Le condizioni dei medaglieri italiani sono tutt'altro che
felici: vi sono parecchie collezioni notevolissime, ma esse
sono per la maggior parte disgregate, e non rispondono agli
scopi e alle esigenze che sono richieste dalla scienza. Manca
soprattutto il coordinamento dei pubblici medaglieri, nel senso
di completare uno, due o tre medaglieri di indù!; generale,
e di formare poi e completare parecchie collezioni regionali
o locali; ma, per far ciò, occorrono i cataloghi scientifici delle
pubbliche collezioni numismatiche. Al Congresso storico su-
balpino di Voghera (settembre 1908) è stato votato un ordine
del giorno diretto a ottenere una legge sui cambi e sulla
vendita dei duplicati, il che è grandemente desiderabile; ma
ciò dovrebbe andar congiunto a una maggiore libertà da
concedere ai direttori dei singoli Istituti. E però deplorevole
che la numismatica sia stata esclusa dalla Scuola italiana di
archeologia, e non sia rappresentata nelle cattedre degli isti-
tuti d'istruzione superiore. Egli propone quindi l'ordine del
giorno seguente:
" La Sezione XVIII di archeologia al II Congresso della
Società italiana per il progresso delle scienze in Firenze,
3*4
VARIETÀ
" udita la relazione del prof. Serafino Ricci, di Milano, sul-
" l'urgenza del coordinamento delle collezioni numismatiche
" nei pubblici medaglieri, esprime il voto che il Consiglio
" superiore d'Archeologia e Belle Arti faccia oggetto spe-
" ciale dei suoi studi tale coordinamento nei rapporti tanto
'• con le collezioni, quanto con l'insegnamento numismatico,
" in modo che l'Italia mantenga, anche sotto questo rispetto,
" il primato che le spetta nella sua tradizione numismatica.
" Perciò raccomanda vivamente all'illustre suo presidente,
" prof. Luigi Milani, di farsi interprete dei desideri della se-
" zione archeologica del Congresso di Firenze presso il Con-
" siglio, di cui egli fa parte „.
" Milani approva i concetti espressi dal referente sul coor-
dinamento delle singole collezioni, per quanto sia d'avviso
che non tutti siano pratici ed attuabili. Circa ai cambi dei
duplicati essi sono bensì ammessi, ma è pur vero che sono
circondati da tali difficoltà, che si rendono molto scabrosi: oc-
correrebbe maggior libertà ai singoli direttori. Quanto all'in-
segnamento universitario, un breve corso di numismatica sa-
rebbe certo importantissimo, ma tale insegnamento dovrebbe
accoppiarsi a quello della paleografia. Infine, per ciò che con-
cerne l'ordine del giorno presentato dal prof. Ricci, ritiene
che, siccome non tutte le questioni svolte dal Ricci sono ve-
ramente pratiche e attuabili, meglio sarebbe votare un or-
dine del giorno semplicemente per invocare l'insegnamento
della numismatica negli Istituti superiori.
" Pigorini riterrebbe opportuno affidare al prof. Milani
l'incarico di trattare queste questioni in seno al Consiglio
superiore di Antichità e Belle Arti.
" Ricci difende la sua proposta di votare un vero e pro-
prio ordine del giorno per l'intera questione numismatica.
" Pigorini insiste sulla opportunità di affidare l'incarico al
prof. Milani di svolgere quéste considerazioni.
" Milani risponde che è opportuno riconoscere che lo
Stato spende per le collezioni numismatiche somme ingenti,
mentre forse, con somme molto minori, si potrebbero acquistare
pezzi ugualmente importanti. Non ritiene quindi conveniente
un coordinamento che si riduca a continue proposte di acquisti,
tali da diventare uno sperpero del pubblico denaro: tuttavia
VARIETÀ 315
talune proposte del prof. Ricci vogliono certo essere prese
in particolare considerazione, ed egli accetta l'incarico affi-
datogli di trattarne in seno al Consiglio superiore di Antichità
e Belle Arti „.
Osservazioni. — Ogni lettore vede che anche il prof. Mi-
lani trova che tanto la proposta di far presto i cataloghi
delle collezioni numismatiche, quanto quella di coordinare gli
acquisti con un criterio generale costante, siano questioni
gravi e che abbisognino di soluzione, non meno che quella,
già da noi accennata in questa Rivista, della necessità del-
l'insegnamento numismatico negli Atenei, e specialmente
presso la Scuola italiana di archeologia in Roma. Ora il let-
tore leggerà qui sotto la risposta del Consiglio Superiore
Centrale per le Antichità e Belle Arti, auspice il prof. Milani,
alle proposte importanti del prof. Ricci.
Risposta del Consiglio Centrale per le Antichità e
Belle Arti alla proposta di coordinamento delle colle-
zioni numismatiche. — La Direzione del Medagliere Na-
zionale di Brera ricevette tempo fa questa lettera di S. E.
l'on. Rava : La Sezione I del Consiglio Super, per le Anti-
chità e le Belle Arti, relativamente alle proposte contenute
nella comunicazione del prof. Serafino Ricci al Congresso
delle Scienze in Firenze, ha deliberato il seguente ordine del
giorno :
" La Sezione è di parere che non si debba costituire
" un fondo speciale per gli acquisti numismatici, esistendo
" già presso il Ministero un fondo comune, dal quale, caso
" per caso, si può attingere quando sia strettamente neces-
" sario.
" Pei bisogni normali di Gabinetti numismatici crede
" che si dovrebbe provvedere, aumentando le dotazioni spe-
" cialmente nei Musei dove vi sono medaglieri d'importanza
" mondiale, e nei quali, e per i quali conseguentemente, è
* pure necessaria l'opera assidua di uno speciale ispettore.
" La Sezione non crede necessaria la creazione di un
" Consiglio speciale per la numismatica, questa disciplina es-
316 VARIETÀ
" sendo rappresentata sufficientemente nel Consiglio Su-
" periore.
" Quanto al coordinamento delle pubbliche collezioni
" numismatiche è di parere che, in massima, ogni Gabinetto
" debba accrescere particolarmente la serie d'interesse lo-
" cale e regionale, ma non senza trascurare il complemento
" occasionale di quelle serie che sono con le prime intima-
" mente connesse, e delle altre che, per speciali circostanze,
" siano state già costituite e formino una gloria dei singoli
" Istituti.
" Procedendosi ad acquisti di intere collezioni numisma-
" tiche, il Consiglio Superiore sarà in grado di indicarne, a ra-
" gione veduta, il ripartimento nei vari Medaglieri dello Stato,,.
Non si poterono sottoporre al parere del Consiglio Su-
periore le conclusioni relative all'insegnamento numismatico,
essendo tali questioni, come tutte quelle attinenti all' inse-
gnamento, di esclusiva competenza del Consiglio Superiore.
Il Ministro
firmato RAVA.
Osservazioni. — La risposta del Consiglio Superiore è
tutt'altro che esauriente. Il fondo speciale per la numisma-
tica era richiesto dalle speciali condizioni nelle quali si
trovano i soli direttori dei medaglieri, di aver bisogno da
un giorno all'altro (per concludere, come si suol dire, un
buon affare) di una certa somma, spesa con la loro respon-
sabilità, a vantaggio del Museo che essi dirigono. Ci vuol altro
che domandare permessi, telegrafare, ritelegrafare, attendere
che il Consiglio Superiore si convochi, e poi far aspettare
ai rivenditori per lo meno sei mesi per le inevitabili e com-
plesse pratiche di burocrazia !... Cosi, non se ne farà mai
nulla ; oppure si perderanno intere collezioni a buon prezzo,
per riacquistarle col triplo, come è avvenuto ! Bisognerà
quindi insistere per l'aumento delle dotazioni annuali dei
singoli medaglieri. Meno male che rimase impregiudicata
la questione dell'insegnamento, poiché l'aggregarlo alla cat-
tedra di paleografia, secondo l'opinione del Milani, a noi sa-
rebbe parso un grave errore.
VARIETÀ 317
Domanda di aumento di fondo dotale del R. Museo
Numismatico di Brera. — La direzione di questo Museo
diramò agli on. Deputati lombardi questa circolale :
" L'on. conte Carlo Ottavio Cornaggia, deputato di
Milano, accettò gentilmente l'incarico di parlare, in sede di
bilancio, del fondo annuale del Medagliere nazionale di Brera.
Siccome so quanto stia a cuore anche a Lei, illustre Deputato,
le sorti del medagliere più importante della Lombardia e di
uno dei più storici e più ricchi medaglieri d'Italia, m'affretto
ad avvertirLa della cosa, affinchè, o nella forzata assenza del
relatore on. Cornaggia, o nel caso di dover prendere la
parola per corroborarne la proposta, Ella sia edotto dell'ar-
gomento e cerchi di portarvi il pregiato contributo dei Suoi
consigli e dei Suoi mòniti al Governo.
" S. E. l'on. Rava, ministro dell'istruzione, non fu mai
alieno, da due anni a questa parte, dal concedere fondi straor-
dinari, per quanto molto ristretti, per acquisti ad aste pubbli-
che a favore del Medagliere nazionale di Brera; ma non ha
mai portato il fondo dotale da L. 1500 annue a L. 3000 fisse,
come per lungo periodo d'anni fu, quando appunto si notò
il costante incremento nelle collezioni numismatiche di Brera.
" Ora, se Ella considera che nelle L. 1500 sono comprese
tutte le spese di riscaldamento, illuminazione, vestiario dei
custodi, cancelleria, posta, manutenzione e pulizia dell'ufficio,
piccole spese, troverà veramente irrisoria quella somma per
acquisti di monete e medaglie e per compera di libri!
" Qual direttore può stare al corrente della scienza e
non lasciarsi sfuggire i pezzi migliori per completare le col-
lezioni, con quello che resta di tutte le spese suaccennate,
quando un pezzo solo talora raggiunge e supera, per la sua
rarità numismatica, le lire mille! Qui non si tratta di mag-
giore o minore larghezza di bilancio; si tratta di un semplice
scherzo continuatosi per tutta la gestione Ambrosoli, durante
la quale il fondo dotale era di L. 600, e fu da me portato fino
alle famose attuali 1500. Ma si tratta di uno scherzo di cat-
tivo genere, perchè è a danno delle collezioni, della scienza,
e, quel che è più, del decoro nazionale.
* Né si obbietti che il ministro concede una o due volte
318 VARIETÀ
l'anno qualche fondo straordinario, poiché il direttore abbi-
sogna spesso di denaro speciale in cassa, e solo allora può
giungere in tempo, con un pronto e oculato pagamento, a
dare al medagliere pezzi ottimi a poco prezzo, che all'asta
salgono, pur troppo, per la gara dei concorrenti, a somme
talora favolose. Ora l'attuale direttore è obbligato ad anti-
cipare del suo, o a pregare mecenati locali a sborsare per
lui i danari, o a fare contratti a condizione di attesa fino a
sei mesi, tutti ripieghi indegni di una amministrazione sana
ed onesta, quale dovrebbe essere quella d'ogni nostro pub-
blico ufficio.
" Lo scrivente quindi, per tutte queste ragioni, pregò
l'on. Cornaggia di insistere, affinchè il fondo dotale di questo
museo sia raddoppiato in L. 3000 annue.
" Accolga frattanto, onorevole Signore, i miei ossequi e
ringraziamenti anticipati dal devotissimo
" firmato: Serafino Ricci, Direttore „.
Recenti acquisti del Museo Numismatico di Brera.
— Con un fondo straordinario autorizzato da S. E. il Mini-
stro dell'Istruzione di complessive L. 3500, su proposta del
direttore del Medagliere braidense, prof. Serafino Ricci, fu-
rono aggiunti alle collezioni numismatiche di Brera i se-
guenti pezzi :
Nella serie greca e della Magna Grecia. Furono comple-
tate le collezioni sotto il rispetto topografico, colmando le
lacune di monete di città mancanti a Brera con pezzi corri-
spondenti d'argento e di bronzo per i seguenti luoghi: Stur-
ninni, Tyrrheni, Caena, Phistelia, Mesma, Pandosia, Motya,
Graxa, Consentia, Laus, Adranum, Osicerda, Alibani, Tea-
num, Sidicinum, Amestratus, Neapolis, Potidea, Mende, Se-
lymbria, Edessa, Eion, Pidna, Myrina, Ef estia, Calcidice,
Imbro, Ortagoria, Elaeus, Nymphaeum, Odessus, Troiana,
Odrysae, Crithote, Capsa, Madytus, Plotinopolis; inoltre fu-
rono acquistate le monete dei re Sparadacus e Mosses.
Nella serie romana : un denaro della Aemilia e della
Aqnillia, un quinario della Cordia, un medaglione d'argento
di Augusto, un denaro di Clodio Macro con la Sicilia, un
VARIETÀ 319
aureo e un quinario di Domiziano, un gran bronzo di Adriano
con il rovescio della Annona, un medaglione in bronzo di Tre-
boniano Gallo e Volusiano, un medaglione in bronzo di Anto-
nino Pio e un altro di Marc'Aurelio ; inoltre un raro bronzo
imperiale di Smirne e un altro di Ottone per Antiochia ;
tutti pezzi mancanti a Brera e importantissimi.
Nella serie medioevale furono arricchite le collezioni delle
zecche italiane con uno scudo d'oro d'Aosta per Carlo II,
con YAmatrice e la moneta-medaglia di Antonio Pignatelli
per Belmonte, oltreché con pezzi di minor importanza, però
mancanti a Brera, delle zecche non ancora rappresentate di
Capua, Casteldurante, Pontcstura, S. Martino dell' Argine,
Torre del Greco e Valenza.
Nuove Medaglie. — Fra le molte medaglie in questo
primo semestre dell'anno coniate in Italia, notiamo, per inte-
resse storico e artistico, quella offerta a Camillo Boito in
Milano, il 20 marzo se. nella grande aula dell'Accademia di
Belle Arti, con epigrafe di Francesco Novati. Essa riproduce
ridotto (milì. 66) il ritratto somigliantissimo e scultorio di
Luigi Secchi, inciso da Angelo Cappuccio e coniato dallo
Stabilimento Johnson. La medaglia d'oro fu donata su un
dado di lapislazzuli su disegno dell'ardi. Sommaruga, con
ornamenti a cesello del Lomazzi.
Coniate dallo Stabilimento Johnson uscirono pure le me-
daglie d'oro ideate dal Pogliaghi e donate come insegna del
valore ad ogni singolo reggimento italiano e francese del
1859. Le medaglie, del diametro di mill. 44, furono pure in-
cise dal valente Cappuccio e rappresentano da un Iato le
figure d'Italia e Francia e dall'altro la leggenda: EXERCI-
TIBVS LATINIS LIBERATORIBVS ANNO A BELLO GESTO ET
LIBERTATE ADLATA QVINQVAGESIMO CIVITAS MEDIOLA-
NENSIS D. D. MCMIX.
A un altro famoso architetto, che è anche sommo ar-
cheologo, Alfredo d'Andrade, fu offerta una medaglia col suo
ritratto di profilo a sin. da un Iato e dall'altro una castellana
che reca il progetto del castello di Fenis. È opera di D. Ca-
landra, con la data 1909 delle solenni onoranze a lui rese in
quel castello che, per merito suo, rivisse la vita di un tempo.
320
VARIETÀ
Un'altra pregevole medaglia fu offerta al senatore Luigi
Luzzati. Speriamo di poter illustrare maggiormente alcuna
di queste medaglie nel prossimo fascicolo.
Vendita della Collezione Romana Weber. — Nello
scorso maggio ebbe luogo a Monaco, sotto la direzione del
dott. Jacob Hirsch, la vendita della collezione romana già
appartenente al console Weber di Amburgo. Un'altra grande
collezione privata, una delle poche ormai esistenti, che andò
dispersa e buona parte della quale prese posto definitivo
nelle collezioni pubbliche. Alcuni pezzi vennero acquistati
dai gabinetti di Roma e di Milano ; ma la parte migliore
andò ad arricchire quelli di Vienna e di Berlino.
Diamo qui un saggio dei prezzi ottenuti per i pezzi più
importanti.
N.
46
747
773
1234
1259
1453
1548
1597
1776
1779
1791
1794
1810
1964
2044
2061
2121
2136
2252
2268
2301
2310
2349
2351
2362
2365
2377
Dupondio di Sutrio .
Aureo di Lepido
Aureo di Numonio Vaala
Aureo di Tito e Giulia
Med. d'argento di Domiziano .
Aureo di Trajano, Adriano e Plotina
Medaglione di bronzo d'Antonino Pio
Medaglione di Lucilla
Aureo di Manlia Scantilla
Aureo di Didia Clara
Aureo d'Albino ....
Med. di bronzo d'Albino .
Med. di bronzo di Sett. Severo
Aureo di Diadumeniano .
Med. di bronzo di Aless. e Mamea
Aureo d'Uranio Antonino
Med. d'argento di Gordiano
Med. d'oro di Gordiano
Aureo d'Emiliano
Med. d'oro di Valeriano .
Med. d'oro di Gallieno
Med. d'argento di Salonino
Aureo di Leliano
Aureo di Vittorino .
Aureo di Claudio
Med. d'oro d'Aureliano
Aureo di Severina
M.
1875
»
2950
1500
n
1650
»
3825
ma
»
1800
Pio
n
2550
V
1000
»
2325
n
2200
n
3400
»
1825
n
1000
1
ìt
3700
1000
»
3000
»
1800
M
1200
1300
V
1400
n
1500
»
1325
»
4725
»
1300
J275
V
»675
»
2725
VARIETÀ
321
N. 2394 —
Aureo di Floriano M.
2600
. 2453 —
Med. d'oro di Diocleziano
11
3400
,, 2491 -
Aureo di Carausio
»i
1425
» 2501 -
Aureo di Alletto
„
1975
» 2519 —
Aureo di Elena .
11
2150
» 2579 ~
Med. d'oro di Costantino M.
11
8000
„ 2580 -
» » *i
„
i°75
. 2592 —
n » v
»
11600
„ 26I4 -
Med. d'arg. di Crispo
11
'55°
„ 2627 —
Med. d'oro di Costantino II
w
6700
,, 2643
Med. d'oro di Costanzo II
ti
4000
„ 265O —
v « »
.11
1125
» 2734 —
„ „ Valente
..
1300
Il Museo Britannico ha acquistato la collezione di mo-
nete antiche della Palestina già appartenuto al defunto si-
gnor Leopoldo Hamburger di Francoforte sul Meno. Questa
serie, ricca di 2700 pezzi, contiene delle rarità, specialmente
fra le monete della seconda rivolta degli Ebrei sotto Adriano.
Ripostiglio di monete bizantine. — A Varna sul
Mar Nero i lavori del porto misero in luce un ripostiglio di
circa 150 kilogr. di monete di bronzo dell'epoca di Giustiniano.
Gli avanzi della zecca di Milano romana. — In una
nota Recenti ritrovamenti a Milano, letta all'Istituto Lom-
bardo di scienze e lettere, agli 11 giugno 1908, il prof. At
tilio De Marchi ha trattato dei ruderi di un vasto edificio,
apparso negli sterri fatti per la costruzione del nuovo palazzo
della Banca d' Italia. L'edificio fu già ritenuto da altri un
tempio ; ma il De Marchi ne dubita per più ragioni, ed os-
servando come esso sorgesse in una località vicina alla quale
corre una via detta Moneta e sorgeva nei secoli scorsi una
chiesa di S. Mattia alla Moneta, e come altri esempi mila-
nesi dimostrino quanto è tenace la tradizione dei nomi locali,
mette innanzi l'ipotesi che quei ruderi siano gli avanzi della
Moneta, ossia della zecca di Milano romana, ricordata anche
da Ausonio fra gli edifici monumentali di Milano.
Una grida monetaria del 1438 per Viterbo. — No-
tiamo nell'ultimo fascicolo uscito dell' 'Archivio della R. So-
41
322
VARIETÀ
cietà Romana di Storia Patria (voi. XXXI, fase. III-IV) l'ar-
ticolo di C. Pinzi : Lettere del legato Vitelleschi ai priori
di Viterbo dal 14JJ al 1440. In data 29 giugno 1438 egli
decretava che i provisini si spendessero e si ricevessero ogni
cinque per un denaro. In appendice a questo decreto è data
la tariffa o valuta delle monete in corso, bandita di quei
giorni per ordine del Vitelleschi in Viterbo e in tutte le terre
della sua legazione, e cioè :
Bolognino romano, cinquini IV.
Bolognini aquilani et altri bolognini picholini, cinquini III.
Grossi della colonna dì peso, bolognini IV romani III, cinquini et de-
nari III l'uno.
Carlini, overo grossi papali di peso, XXVI cinquini : cioè bolognini VI
et mezzo.
Ducato romano et altri fiorini di camera di peso, carlini X et bolognini
III ovvero bolognini LXVIII romani.
Ducato veneziano et ducati nuovi coll'arma del papa Eugenio, bolognini
LXX romani, o vero carlini X et bolognini V.
Bolognini marchisciani et celle aquilane, cinquini VI l'uno.
Bolognini nuovi romani papali, li quali abiano da uno canto scolpita la
figura di San Pietro, et dall'altro dui chiavi incrociate, vagliano et
currano VI cinquini et IV denari l'uno.
Medaglie di Isabella d' Este. — Alessandro Luzio
nell'Archivio Storico Lombardo (fase. IV, 1908) ha pubblicato
dei documenti interessantissimi intorno ad Isabella d' Este
all'epoca del sacco di Roma (1527) e della sua passione per
l'acquisto delle medaglie antiche. E fornisce l'elenco di quelle
trovate nella Grotta d'Isabella d' Este, aggiungendo alcuni
pezzi cavati dal libretto di spesa di quell'anno. Ad es. 19
febbraio. " A Zo. banchero de piaza Giudea schudi 37 d'oro
di sole per la valuta de medaglie 16 di metallo antique „.
" A Francesco che vende medaglie schudi 7 e l / t d'oro di
sole per medaglie 15 antiche di metalo „. " A Nichollò di
Firenze iuli 23 per una medaglia antiqua de uno Vespa-
siano „. 3 marzo. 4 scudi io per 4 medaglie comperate in
Campo di fiore, / marzo. 1 ducato per due medaglie: * uno
Adriano et una Faustina „.
VARIETÀ 323
Due documenti per le zecche di Desana e di Frinco.
— Inutile, in una rivista d'indole così speciale come la no-
stra, qualificare o squalificare la produzione delle famose
zecche di Desana e di Frinco sotto i Tizzoni, i Tornielli
ed i Mazzetti. Troppi autori ne hanno trattato ed alle diverse
pubblicazioni, più o meno remote del Gazzera, del Promis,
del Morel-Fatio, del Demole, del Dionisotti, elencate nella
Bibliografia Numismatica dei fratelli Gnecchi, s'aggiunsero,
ultimi contributi, non spregevoli, quelli del Papadopoli, di
E. Gnecchi, del San Rome, del Grillo, del Cunietti, del Ciani
e d'altri, apparsi in questa medesima Rivista e nel Bollettino
Numismatico.
Noi, che della zecca di Desana ci siamo pure un tantino
occupati, producendo il privilegio a favore del conte Filippo
Tornielli (1527) e la concessione a Maffeo da Civate, il ce-
lebre medaglista, di recarsi presso Aloisio Tizzoni a dirigerne
nel 1525 la zecca ('), aggiungiamo qui un nuovo documento
del 1585, in cui è cenno dell'arresto in Vercelli di un " messer
Rolando mastro di zecca „ per smaltimento " di monete
fabricate in Desana „. Trattasi di una lettera di Ludovico
Valperga al marchese Filippo d'Este, luogotenente del duca
di Savoia in Torino ( 3 ), che è tale :
JU.mo e t Ecc.™» Signore,
Inviai una mia delli due d'aprile a V. E. per staffcta, per la quale
le fecci intendere, come era qui in castello all'arcsto, un messer Ro-
lando mastro di zecca, per informationi che s' havevano contro di lui,
d'hayer smaltite molte monete fabricate in Desana, a diversi mercanti
di questo Stato, contra gl'ordini di S. Altezza et perchè egli ha confessato
et accusati parecchi di questi mercanti eh' hano fatto trafico di simil
monete prohibitc, viene il Fiscale di Vercelli da V. E. per dargli mi-
nuto conto di quanto s'è fatto, acciò se le puossi provedere conforme
a quello che da lei sarà sopra questo ordinato, et perchè da detto ti-
fi) Cassetta numismatica, a. VI, 1886, 11. 12. — Rivinta Hai. di Niim.,
1893 e sgg. (Doc. visconteo-sfurzeschi, 11. 471, 495 e 499).
(2) Biblioteca Trivutsiana. Fondo Belgioioso: corrispondenza d'Este-
Suvoia, a. 1585.
324 VARIETÀ
scale intenderà il tutto, io non sarò più lungo, ma solo, baseiando a
V. E. le mani humilmente pregandola a tenermi in sua gratia.
Di Vercelli li 5 d'Aprile 1585.
Di V. E.
devotissimo Servitore
Ludovico Valperga.
Di Frinco e dei Mazzetti si occuparono di recente, più
specialmente, il Ciani ed il Grillo (').
Importante e sintomatica assai ci sembra la lettera che
qui segue, dal Mazzetti indirizzata nel febbraio 1600 al mar-
chese d'Este, allora a Fossano, e tolta come la precedente
dalle ricche collezioni trivulziane :
III.™ et Ecc.mo m io Sig. r
Già per un'altra mia diedi ragguaglio à V. S. Ill. ma et Ecc." 1 " che
la zecca di Frinco lavorava di continuo con gran concorso de' mercanti
et contra la forma della capitulatione accordata con S. A. Ser. m ", hora
di novo ho voluto raguagliarla che non si cessa di lavorar con la im-
pressione della stampa delle monete di Milano come mandandosi a
veder se uè ritroverà il chiaro effetto. Io di ciò ne sento fastidio perchè
simili abusi sono poi ascritti in generale alli Signori dil loco et pur io
non ne sono né colpevole ne consentiente, oltra che sento malie che
si alla scoperta si contravenghi alli capitolli accordati con S. A. et dar
occasione al Stato di Milano di dolersi, pur poi che non si è fatto conto
di provedergli, non né scriverò più di questo né d'altri molti abusi che
si cometteno, bastarà sollo che io resti escolpato et habbi fatto il debito
mio. La supplico nondimeno non comunicar questi avisi, con alcuno di
quei Sig. ri Ministri per la causa che già nel'altra mia scrissi, et anco
perchè ho suspetto che non vi intravenghi il consenso d'alcuno poi che
totalmente si comporta questo misfato. Con qual fine basiando a V. S.
Ill. ma et Ecc." m le mani, le pregilo dal Signore ogni contento. D'Asti li
22 febrajo 1600.
Di V. S. 111.'" 1 et. Ecc.™
Ser.re obligatiss.'no
Giulio Cesare Macetti (2).
(1) Rivista Hai. di Numism., Ili, 1902, pag. 88. — Bollettino Nudi.,
luglio 1907, pag. 102.
(2) Trivulziana. Fondo Belgioioso, citato, ad annum.
VARIETÀ 325
La zecca di Desana diede più a lungo da fare a' tri--
bunali. Fra le consulte del celebre poeta dialettale e segre-
tario del senato milanese, Carlo Maria Maggi, segnalate
agli studiosi dal prof. Antonio Cipollini, ve n'ha una del
9 luglio 1674 ancora accusante il conte di Desana d'intro-
durre nel proprio feudo monete adulterate (>).
E. Motta.
Falsi monetari nella chiesa di Piona. — L'ing. Gius-
sani nel suo pregevolo articolo : // priorato di S. Niccolò di
Piona dopo i restauri (in Riv. archeol. di Como, fase. 56-58,
1908, pag. 90) accenna anche agli ultimi anni di vita di quel
monastero, che non corsero certamente splendidi, se nella
chiesa s'erano perfino annidati i falsi monetari. Ne fanno
prova i quattro coni usati per batter due monete d'argento,
che il 19 settembre 1907 furono scoperti murati in un foro
della parte destra della navata, sopra la porta che dà ac-
cesso al chiostro, poco sotto il soffitto. Delle monete, l'una è
un testone di Galeazzo Maria Sforza (1466-76); l'altra è un
marcello di Pietro Mocenigo, doge di Venezia (1474-76). I
quattro coni vengono ora conservati nel Museo civico di Como,
cui furono donati.
Quando operassero in Piona quei falsi monetari sarà dif-
ficile di stabilire: forse nel 1574?....
Si potrebbe crederlo, ricordando che ai 9 luglio di quel-
l'anno le tre Leghe dei Grigioni istituivano uno speciale
tribunale penale per la punizione di una banda di tali mal-
fattori scoperta sul lago di Como e che appunto falsificava
monete milanesi, veneziane e genovesi (2).
Monete gettate al popolo. — Il Perini nel Bollettino
Ital. di Num. (n. 8, 1908) ha ricordato Le monete gettate al
(1) " De inditijs resultantibus contra Coniitem Desanae occasione
introductionis assium adulterinarum „. Cfr. Ardi. S/or. Lomb., XI, 1899,
Pag- 3^7-
(2) Cfr. Jeckun (F.): Materialien sur Standes-und Landesgtschichte
Gem. Ili Blinde Bd. /. Bascl, 1907, pag. 211.
326
VAR1KTA
popolo nella solenne incoronazione di Vincenzo 11, duca di
Mantova nel 1627.
Eguali episodi e nei diversi secoli, si ripetevano in Mi-
lano. Così nel 1646 per l'entrata di Maria Anna di Spagna,
nella nostra città dovevano venir gettati via " denari stampati
a questo effetto... di valore di 3 fiorini l'uno, con l'effigie da
una banda di Filippo IV e dall'altra della Ser. ma regina con
lettere che dicevano Caracena Gubernante et il nome de
proprii principi „. ma, aggiunge il cronista Cremosano (Ardi.
Stor. Lomb., Vili, 1880, pag. 285), ne forte tumultus fieret in
populo si tralasciò ed i " denari furono poi distribuiti a cu-
rati delle parrocchie acciò essi a poveri della cura di cia-
scuno fossero con carità ripartiti „.
A festeggiare nel luglio 1701 l'elezione del nuovo re,
dal cocchio del Governatore di Milano, lo scudiero di lui, un
Egiél francese gettava " a piene mani monete d'argento
coll'effigie del nuovo monarca coniate nella nostra zecca pel
valsente di scudi 2000, e la plebe, aggiunge il Cusani (St. di
Milano, II, 64), s'arruffava a raccoglierle, con diletto dei
patrizi che senza smettere la contegnosa gravità d'etichetta,
si divertivano di quella brutta gazarla „.
Anche l'assunzione al trono di Francesco II imperatore
fu come la sopra citata, sfarzosamente festeggiata nel 1792.
Monete d'argento coniate per quella circostanza vennero
gettate al popolo gremito nella piazza ducale. Avevano da
un lato l'effigie dell'imperatore, dall'altro la leggenda: Loti-
gobard. Fides Sacramento firmata, die 16 Sept. ijg2 (Cusani,
op. cit, IV, 126).
Saltando nel secolo decimonono troviamo ricordata ai
15 maggio 1815 la solennità del giuramento di fedeltà al re
Francesco I col vecchio cerimoniale spagnuolo che Maria
Teresa e i suoi figli avevano conservato. Da quattro finestre
del palazzo di corte vennero gettate al popolo le monete ri-
cordatrici del fausto giorno ; monete d'argento del valore di
una lira austriaca coniate nella nostra zecca. La biscia vi-
scontea e il leone veneto sormontati dalla corona ferrea ;
sotto un'ancora; all' ingiro: Franciscns Anstr. Imp.Hnn. Boh.
Longob. Venet. Gal. et Lod. Rex A. A. Nel rovescio, sotto
la corona imperiale : Fides Novi Regni Sacramento Firmata
Mediolam XV Mail MDCCCXV (Cusani, VII, 255).
VARIETÀ 327
Medaglie nelle fondamenta del teatro della Scala.
— Ai 25 gennaio 1776 un incendio distruggeva, come è noto,
il teatro ducale di Milano e tosto si procedeva all'erezione
dell'attuale della Scala, su disegno dell'arch. Piermarini, il
di cui centenario è stato solennemente celebrato nello scorso
settembre.
Come l'usanza voleva, e tuttora si mantiene, varie me-
daglie furono gettate fra le fondamenta del nuovo teatro,
e parecchie in onore della marchesa Cusani-Litta coli' iscri-
zione : Decus Insubri ae.
A tal episodio richiama un sonetto dell'abate prof. An-
gelo Teodoro Villa (Poesie. Pavia, Galeazzi, I, 144) che qui,
a titolo di pura curiosità, riproduciamo.
ALLA SIGNORA MARCHESA
Donna CLAUDIA CUSANI nata LITTA
IN OCCASIONE CHE FURONO GETTATE VARIE MEDAGLIE IN SUO ONORE
FRA LE FONDAMENTA DEL NUOVO TEATRO DI MILANO
COLL' INSCRIZIONE
DECUS INSUBR1AE.
Donna immortai, se qual mi sembri, e sei
Oso ritrarti nel tuo stato altero,
I versi, ove adombrarti io sol potrei
Fregi si crederan, ch'io tesso al vero.
Cara a Natura, al Ciel, su colli Ascrci,
Cara alle Grazie hai d'ogni cuor l'impero:
Ma non avran poi fede i versi miei,
Chiamandoti d' Insubria onor primiero.
L'avranno un di, quando atterrate e dome
L'alte Moli dal tempo uscirà franco
Dalle rovine il tuo superbo nome.
E portando bei raggi impressi in fronte,
Raggi di gloria, con quest'inno al fianco
Vedrassi andar d'eternità sul monte.
Ritrovo di monete del Canton Ticino nel Vallese. —
Nello scorso settembre 1908 è stata trovata a Bovernier,
328 VARIETÀ
presso Martigny, nel Vallese, una cassa seppellita nel terreno,
la quale conteneva circa 3000 pezzi da soldi 3 del Cantone
Ticino, coniati nel 1835: essi sono perfettamente conservati.
Il sig. Ch. de Rivaz, presidente della Società per la conser-
vazione dei monumenti storici del Cantone Vallese, crede che
quel gruzzolo sia il risultato dell'opera di falsi monetari. In-
fatti quelle monete hanno il peso di grammi 1,73 ed il dia-
metro di mill. 18,5, mentre i pezzi autentici pesano gr. 1,80
e misurano mill. 20 di diametro. Il lavoro è abbastanza gros-
solano {Boli Stor. d. Svizz. Ita/., nn. 7-12, 1908, p. 97).
ATTI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Seduta del Consiglio io Giugno 1909.
(Estratto dai Verbali).
Il Consiglio è convocato alle ore 14 nella Sala Sociale
al Castello Sforzesco.
I — Il Segretario A. M. Cornelio, dà lettura del Bi-
lancio Consuntivo 1908 da presentarsi all'Assemblea gene-
rale dei Soci. È approvato ad unanimità.
II — Il Vice-Presidente, comm. Francesco Gnecchi,
legge la Relazione sull'andamento morale della Società, du-
rante il 1908, ch'è approvata.
Ili — Si approva del pari la formazione del secondo
fascicolo e di buona parte del terzo.
IV — Il Presidente, conte Papadopoli, riferisce sulle
sue pratiche col Ministero a proposito dell' insegnamento
della Numismatica e dell'ordinamento delle collezioni pub-
bliche («), pratiche che finora purtroppo non ottennero alcun
risultato. II Consiglio discute sui modi di proseguire la
campagna.
V — Il Presidente chiede poi ai Consiglieri milanesi
notizie intorno al trasferimento della Collezione di Brera al
Castello, trasferimento che a quest'ora dovrebbe essere un
fatto compiuto ; ma, avuto notizie che le cose sono ancora
a un dipresso al punto dove si trovavano or fa un anno,
propone d'inviare una sollecitazione al Ministero della P. I.,
proposta che viene accolta all'unanimità.
La seduta è sciolta alle ore 14 3 /\.
(1) Vedi particolari nella relazione sull'Assemblea generale qui in
seguito.
33°
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Assemblea Generale dei Soci io Giugno 1909.
{Estratto dai Verbali).
L'Assemblea generale è convocata nella Sala Sociale al
Castello. Il Presidente conte Papadopoli alle ore 15 dichiara
aperta la seduta e dà la parola al Vice-Presidente Francesco
Gnecchi per la lettura della Relazione annuale, di cui ecco
il testo :
Soci e Collezioni Sociali.
Alla fine del 1908 la nostra Società contava 16 Soci Be-
nemeriti, 53 Effettivi e 64 Corrispondenti. Gli Associati alla
Rivista sommavano a 130. Notiamo con dispiacere una di-
minuzione nel numero di questi ultimi, in gran parte pur
troppo rapitici dalla morte. Alcuni nuovi Soci entrarono du-
rante l'annata, non sufficienti però a colmare completamente
i vuoti.
La nostra Biblioteca contiene oggi :
Volumi N. 684
Opuscoli ..... „ 1405
Il medagliere, ora distribuito più razionalmente coll'aiuto
di due benemeriti nostri Soci, signori Monti e Laffranchi,
contiene:
Monete
Oro .
Argento
Bronzo
Vetro .
Medaglie j £ rgento
f Bronzo
Piombi
N.
14
1215
9610
448
24
472
161
Totale pezzi N. 11944
Dal grosso fondo di monete romane e tolomaiche, pro-
venienti dal dono del benemerito Socio, cav. Giannino Dat-
tari del Cairo, furono destinati gli ultimi tre lotti, di circa
ATTI DKLLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 33I
500 monete ciascuno, al Museo Civico di Brescia, a quello
di Susa e al Gabinetto Num. del Collegio Rosmini a Domo-
dossola. Così furono dieci le collezioni che fruirono di questo
ammasso di monete, senza contare la nostra collezione so-
ciale, la quale, secondo il desiderio del generoso donatore,
ne ebbe la prima scelta.
La " Rivista „.
Possiamo dire che ormai la Rivista è entrata nel suo
periodo di virilità, e la sua esistenza — se non materialmentej
al che però si arriverà pure assai prima di quanto era lecito
sperare — moralmente la possiamo dire assicurata.
La Direzione non si è mai trovata in difficoltà per la
materia. Essa affluì sempre abbondante, talché talora si do-
vettero pregare alcuni nostri buoni collaboratori di pazien-
tare, perchè l'estensione della nostra Rivista ha pure un li-
mite che non possiamo di troppo oltrepassare. La varietà
della materia ci pare che nell'anno scorso sia stato mante-
nuta con sufficiente equilibrio.
Le Collezioni pubbliche di Milano.
Quando lo scorso anno annunciavamo la prossima riu-
nione delle Collezioni pubbliche di Milano, la governativa e
la municipale, al Castello Sforzesco, avevamo la convinzione
che al giorno d'oggi la cosa dovesse essere un fatto com-
piuto. Invece le trattative fra il Comune e il Governo si tra-
scinarono — come pur troppo avviene di solito — tanto per
le lunghe, che non sapremmo veramente dire quale passo
si sia fatto durante il corso dell'anno.
L' idea tuttavia permane, e noi ci limitiamo a sperare
che ormai la realizzazione non sarà più lontana.
Studi Numismatici.
I voti espressi dal vostro Consiglio nella seduta del 19
scorso gennaio vennero trasmessi al Ministero della P. I.
accompagnati da una lettera del nostro Presidente.
Crediamo che il mezzo più opportuno e più spiccio per
informare i soci di tali trattative sia quello di comunicare
la corrispondenza intervenuta.
332 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Alla lettera del nostro Presidente il Ministro Rava ri-
spondeva :
" Ironia, addì y maggio njoy.
" Ministero della pubblica istruzione. Direzione Generale per
la Istruzione Superiore. Divisione II. N. di Posiz. 2j,
Prot. J928.
" Era già noto a questo Ministero l'estratto della Rivista
Italiana di Numismatica, che la S. V. mi ha trasmesso con
la lettera dell'8 aprile volgente ; ed io non posso che espri-
merle tutto il mio compiacimento per l'interesse che codesta
on. Società dimostra, non soltanto alle discipline numisma-
tiche in generale, ma alla sistemazione delle nostre collezioni
e dei medaglieri.
" Debbo però significarle che due o tre anni fa fu fatta
una proposta per l' istituzione di un corso di numismatica,
da parte della Facoltà di Lettere di Roma : ma la proposta
non potè essere accolta, perchè il Consiglio Superiore della
P. I. espresse parere contrario. Se altre simili proposte per-
verranno dalle Facoltà di altre Università, questo Ministero,
che ben comprende l'importanza delle discipline numisma-
tiche, non mancherà di prenderle in esame con tutta bene-
volenza e di chiedere su di esse il parere del Consiglio Su-
periore, riservandosi di deliberare poi in merito, a seconda
di questo.
Al Presidente della
Società Numismatica Italiana IL MINISTRO
Venezia. firmato RAVA „.
A questa il Presidente replicava il 17 maggio colla
seguente :
" Venezia, iy maggio 1909.
" Eccellenza,
" Onorato della lettera dell' E. V., prendo occasione
dall'interessamento in essa proclamato per gli studi numi-
smatici, che, nel fervore di rinnovamento scolastico ond'è
pervasa l'Italia, non vogliono essere trascurati, per richia-
mare l'attenzione dell' E. V. su alcune mie idee al riguardo.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 333
" Che il Consiglio Superiore della P. I. abbia espresso
parere contrario alla istituzione di Cattedre di Numismatica
nelle singole Università, non mi fa meraviglia, perchè forse
non volle aprire l'adito a una troppo abbondante fioritura
di esse, ciò che non contribuirebbe certamente a mantenere
il prestigio in che tutti vorremmo si conservasse questo spe-
cialissimo insegnamento. Per tagliar corto a simili richieste,
mi parrebbe opportuna e ragionevole l' istituzione di una
Cattedra di Numismatica nella Scuola Superiore di Archeo-
logia di Roma, dove appunto debbono formarsi quelli che
saranno preposti ai nostri Musei.
" Ed eccomi naturalmente condotto a parlare di ciò che
costituisce la nostra vera e grande deficienza : le raccolte
numismatiche dei Musei pubblici. Esse sono molte e ricche;
ma, fatta qualche rara eccezione, sprovviste di cataloghi e
prive di personale che possa mettersi a disposizione degli
studiosi. Una raccolta numismatica è come una Biblioteca,
senza catalogo e senza personale ; rimane un cumulo di te-
sori inutili e male difesi. Alla vigilia dell'approvazione di una
legge restrittiva che si propone d' impedire l'esodo delle
monete, credo dovere imprescindibile del Governo provve-
dere alla sistemazione delle raccolte esistenti, perchè non
debba un giorno deplorarsi dagli studiosi che le monete siano
rimaste in Italia per trovare nei Musei una nuova sepoltura
poco dissimile da quella della terra donde sono uscite. Nei
Musei esteri non solo è facile vedere e studiare le monete,
ma da essi è agevole avere impronte e notizie sempre utili
per quelli che non possono andarvi di persona : in quei
d' Italia le cose vanno ben diversamente ed è inutile che io
stia qui a ripetere fatti e notizie che tutti sanno.
" Al senno e all'amore dell' E. V. per la nostra cultura
non può mancare il modo di prescrivere sollecitamente di
mettersi sulla buona via della formazione dei cataloghi al
personale che abbiamo, di provvedere alle deficienze di questo
con elementi nuovi e volonterosi, di far cessare insomma
uno stato di cose troppo umiliante per il nostro amor pro-
prio scientifico e nazionale.
" Io sarei ben lieto se le mie parole dettate dall'amore
che professo a questa scienza nobilissima alla quale ho con-
334 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
sacrato la mia vita intera, avessero la virtù di provocare
provvedimenti savi e pronti che sarebbero al certo lodati
dagli studiosi presenti e più ancora dai futuri che ne trar-
ranno maggiore benefizio.
" Con perfetto ossequio
" firmato Pai'adopoli
" Presidente della S. N. I. „
All'ultimo momento, in data cioè di ieri l'altro, giungeva
al nostro Presidente l'altra seguente lettera del Ministro
della P. I.
" S Giugno iyoy.
" Onorevole ed illustre Senatore,
" Mi riservo di rispondere con separata lettera a quanto
Ella mi ha scritto circa le raccolte numismatiche dei Musei
pubblici ed ai provvedimenti eh' Ella, col grande amore che
porta alla nobile scienza, suggerisce per rendere più utili e
meglio sistemare le raccolte medesime.
" Intanto, per quanto riguarda l'insegnamento della Nu-
mismatica, che Ella desidererebbe fosse istituito nella Scuola
di Archeologia di Roma, debbo osservarle che questa non
è un istituto autonomo, ma fa parte integrante dell'Univer-
sità ed è annessa alla Facoltà di Filosofia e Lettere, onde
io non potrei di mia iniziativa istituirvi nuovi insegnamenti,
poiché, a norma delle vigenti disposizioni, occorre all'uopo
la proposta della Facoltà competente. Se la Facoltà romana
di Filosofia e Lettere rinnoverà la proposta, che già fece
qualche anno fa, per l' istituzione di un corso di Numisma-
tica, io non avrò difficoltà a sottoporre la proposta stessa
all'esame del Consiglio Superiore di P. I.; ma non posso
tacerle a tale proposito che questo ebbe in passato a mani-
festare parere contrario all'accoglimento della proposta.
" Gradisca i miei ossequi e mi creda,
" Aff. RAVA ,,.
All'Onorevole
Nicolò Papadopoli-Aldobrandiki
Senatore del Regno
VENEZIA.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 335
La Società però non si tiene paga di questa risposta,
ma insisterà, principalmente sui due punti :
I. Che in Italia venga istituita, a Roma o dove meglio
crederà il Ministero, una cattedra di Numismatica ;
II. Che sia provvisto a che le collezioni dei Musei,
che non possono pretendere d'avere un direttore proprio,
siano poste in grado di riuscire di utilità agli studiosi, vale
a dire che siano provviste di buoni cataloghi redatti da per-
sone competenti.
Bilancio.
Ed ora, venendo alla parte finanziaria, eccovi il Bilancio
Consuntivo del 1908:
Rimanenze attive del 1907.
Quote da riscuotere da Soci ed Abbonati
pel 1907 L. 120 —
Fondo di cassa » 6292 65
L. 6412 65
Entuate dell'anno 1908.
Quote di Soci e di Abbonati alla Rivinta L. 4527 60
Interessi sul fondo di cassa in conto corr. » 211 35
L. 4738 95
Rimanenze passive.
Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1909. . L. 180 —
L. 11331 60
Rimanenze passive del 1907.
Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1908. . L. 60 —
Spese del 1908.
Stampa della Rivista e accessori. . . . L. 5167 60
Fotoincisioni, eliotipie e disegni .... » 940 —
Spese di Segreteria . •> 100 —
Custode dell' Ufficio » 100 —
Spese per la collaborazione della Rivista » 665 —
Posta » 49 40
L. 7022 —
336 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Da riportarsi L. 7082 —
Rimanenze attive al 31 Dicembre 1908.
Quote da riscuotere da Soci e da Abbo-
nati pel 1908 L. 80 —
Fondo di Cassa » 4169 60
L. 4249 60
L. 11331 60
Di
mostratone.
Attività in principio di esercizio . . . . L. 6412 65
Passività » 60 —
L. 6352 65
Attività in fine di esercizio L. 4249 60
Passività » 180 —
L. 4069 60
Diminuzione di patrimonio L. 2283 05
Entrate dell'anno 1908 L. 4738 95
Spese » 7022 —
Disavanzo L. 2283 05
// Segretario Amministratore: Angelo Maria Cornelio.
Il nostro Bilancio dello scorso anno presenta dunque un
disavanzo di L. 2283,05 pari al triplo di quello verificatosi
nell'anno precedente. Mentre le entrate del 1908 furono
press'apoco le stesse, la differenza passiva fu costituita to-
talmente dalla spesa della Rivista, la quale, fra stampa, foto-
incisioni, tavole e spese di collaborazione, raggiunse l'ammon-
tare di L. 6821, superiore di circa L. 1400 alla spesa della
Rivista nel 1907. Questo aumento corrisponde perfettamente
alla maggiore spesa incontrata nel 1908 in causa del Fascicolo-
Omaggio, pubblicato in onore di Solone Ambrosoli. Questo
fascicolo, che contava ben 344 pagine e buona parte de'
suoi Estratti furono stampati in un grandissimo numero di
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 337
copie per poterle distribuire, com'era doveroso, alle Autorità
e a tutte le persone che onorarono di loro presenza la bella
cerimonia fatta in onore del rimpianto direttore del Gabinetto
di Brera.
Nell'anno corrente, cessata ogni opera straordinaria, la
Direzione potrà rientrare per la Rivista nei limiti normali e
dedicare invece i fondi esuberanti ad acquisti di libri, e ad
altre spese pure necessarie, che furono sempre procrastinate
per mancanza di mezzi.
Pubblicazioni Numismatiche.
Siamo lieti di poter chiudere questa nostra relazione
annunciando che l'attesa dei numismatici italiani sta per es-
sere soddisfatta. Il lavoro cui da tempo S. M. Vittorio Ema-
nuele III Re d' Italia e nostro Presidente Onorario dedica
le sue cure, è presso ad essere compiuto. Sono dodici
anni che 1' idea dell'opera venne definitivamente concre-
tata e decisa, e dodici anni certamente non furono troppi
per maturare un lavoro di tanta importanza e di tanta mole,
se si riflette alle molteplici e profonde cognizioni storiche
che esso richiede e al moltissimo tempo che l'Augusto Au-
tore non può sottrarre alle cure di Stato.
Ma ormai le cose sono a buon porto, e crediamo non
saranno che graditi alcuni particolari circa l'imminente pub-
blicazione, particolari che solo da pochi giorni ci sono noti.
Del primo volume contenente le monete di Savoia la
materia è pronta e si darà mano alla stampa entro il cor-
rente mese, ai Lincei (Salviucci) con caratteri fusi apposita-
mente e con carta di Fabriano a mano.
Nelle quattrocento o cinquecento pagine di questo vo-
lume saranno descritte circa 3500 monete, delle quali circa
700 saranno riprodotte in 42 tavole calcografiche, cui già
da tempo sta lavorando la Ditta Danesi di Roma.
Il secondo volume descriverà le monete del Piemonte,
con un appendice delle zecche d'Oltremonti, di Savoia e
Sardegna.
Siamo dunque, come si dice, al principio della fine e
speriamo che l'anno iniziato non terminerà senza che sia
43
338 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
apparso il primo volume di un lavoro di cui siamo fieri per
il nostro paese e per l'Augusto Autore che ebbe il coraggio
di accingersi a un'impresa che nessun altro numismatico
vivente avrebbe osato tentare.
L'Assemblea approva la Relazione della Presidenza e il
Bilancio Consuntivo 1908.
Si passa da ultimo alla nomina di tre Membri del Con-
siglio in sostituzione dei signori : cav. Giuseppe Gavazzi,
prof. dott. Serafino Ricci, magg. generale Giuseppe Ruggero,
scadenti per anzianità. Fatta la votazione, i tre Consiglieri
uscenti, risultano riconfermati in carica.
Vengono pure riconfermate per acclamazione le cariche
sociali in corso per l'anno 1910.
Alle ore 16 '/»> esaurito l'Ordine del Giorno, l'Adunanza
è sciolta.
Finito di stampare il 30 Giugno 1909.
Achille Martelli, Gerente responsabile.
FASCICOLO IIHV.
APPUNTI
DI
\
NUMISMATICA ROMANA
xciv.
MEDAGLIONI SENATORI
E BRONZI ECCEDENTI.
Nulla di più ingrato che fare una ritrattazione;
ma è pure altrettanto doveroso il farla, quando si è
convinti d'aver commesso uno sbaglio.
Diciasette anni sono, vale a dire nel 1892. pub-
blicai uno de' miei Appunti, il XXV, dal titolo // Me-
daglione Senatorio, nel quale assegnavo tale denomi-
nazione a quei bronzi del Senato, i quali, coniati
su di un disco più erto e più largo del comune, as-
sumono l'apparenza del medaglione, pure essendo
stampati coi medesimi conii delle monete correnti.
Tre anni dopo e precisamente il 28 febbraio
1895 il cav. Camillo Serafini faceva all'Accademia
Pontificia Romana una lettura dal titolo : Di una re-
cente teoria sulla classificazione del bronzo romano, pub-
blicata poi nelle Dissertazioni dell'Accademia stessa,
ed esponeva le sue osservazioni contro il citato mio
articolo. Siccome però, ne io appartenevo a quel-
l'Accademia, ne avevo allora l'onore di conoscere
044 FRANCESCO GNECCHI
personalmente il cav. Serafini, della memoria non
ebbi alcun sentore e fu solo parecchi anni più tardi
che essa mi venne comunicata dal compianto amico
Ambrosoli, nell'occasione che il discorso ci aveva
portati sull'argomento.
La lessi, la studiai, me ne convinsi e, dopo
tanto tempo, trovo finalmente l'opportunità di esporre
una evoluzione d'idee provocata da quella memoria
piena di buon senso e di acume critico. Essa com-
batte dapprima la nota teoria del Kenner sulla mo-
netazione leggera e pesante del bronzo romano ; ne
prova la pratica assurdità e in questo l'autore è in
perfetto accordo con quanto avevo anch'io scritto
in proposito ; anzi nella memoria trovai citati pa-
recchi passi di articoli miei inseriti nella Rivista.
L'autore viene poi a combattere anche me ed è qui
ove debbo ammettere che ha ragione lui, e per con-
seguenza ho torto io, se non proprio in tutto, al-
meno in gran parte.
Prescindendo dalle piccole oscillazioni del se-
sterzio — e dico piccole per modo di dire, mentre
tali oscillazioni sono abbastanza sensibili, tanto che
il Kenner ha trovato necessario di fabbricare su di
esse tutto un nuovo sistema — io. avevo assegnato
il nome di Medaglione senatorio a quei pezzi che,
stampati coi conii comuni , rappresentano per lo
meno un doppio sesterzio e talvolta raggiungono
anche il peso di cinque, sei o più.
Ora il Serafini, considerando che tali pezzi sono
individualmente troppo rari e troppo irregolari, che
non possiedono cioè quella sequenza e quella uni-
formità che è necessaria per costituire una serie,
paragonabile a quella dei medaglioni imperatorii, ne
alcuna delle caratteristiche del medaglione eccetto
la dimensione del disco, non li vuole considerati
come tali; ma piuttosto come pezzi eseguiti acciden-
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 345
talmente di quando in quando, vuoi come prove, vuoi
per semplice capriccio e li vorrebbe chiamare bronzi
pesanti o eccedenti.
Le ragioni del cav. Serafini ben ponderate mi
inducono ad accettare la sua opinione, salvo qualche
piccola riserva ; come accennai e come spiegherò
più tardi.
Ammetto quindi che saranno meglio designati
colla sua denominazione e rinuncio fin d'ora alla
primitiva di Medaglioni senatori, con cui designai già
questi bronzi.
Con questo però non intendo punto che la serie
dei Medaglioni senatori sia a radiarsi ; mi affretto
anzi a soggiungere che la serie esiste sempre ; solo
non è quella da me erroneamente indicata e invece
la ritrovo e la riconosco in quei pezzi di gran mo-
dulo, che portano impresse le lettere S C, presen-
tando nello stesso tempo tutti i caratteri del meda-
glione, conii speciali, rilievo più accentuato e arte
superiore.
Negli antichi cataloghi i medaglioni contrasse-
gnati dalle lettere SC sono confusi senz'altro cogli
altri medaglioni; vale a dire, alla piccola variante
non si era badato.
Alcuni numismatici espressero in seguito l'idea
che le lettere SC vi fossero state impresse per er-
rore, e anche il Serafini, seguendo la congettura di
Eckhel, che tutto il bronzo fosse coniato nell'officina
senatoria, la quale non imprimeva la sigla SC sui
medaglioni perchè non destinati alla circolazione, ac-
cetta e conferma la supposizione dell'errore. Ma io
questa non la posso assolutamente accettare.
È parlando d'un bronzo di Gallieno apparte-
346 FRANCESCO GNECCHI
nente al Gabinetto Vaticano, che il Serafini attri-
buisce la sigla SC a un errore dello zecchiere. E la
cosa potrebbe anche non recare meraviglia, se si trat-
tasse di un unico pezzo di Gallieno. A quell'epoca
può essere ammesso un errore di questo genere ;
ma l'errore non è più ammissibile, quando si rifletta
che il caso è tutt'altro che isolato, e che il mede-
simo errore sarebbe stato ripetuto tante volte du-
rante un periodo di tre secoli.
Il Cohen ancora titubante, non sa appigliarsi ad
un partito deciso e colloca alcuni di questi pezzi
tra i gran bronzi, assegnando invece alla serie dei
medaglioni quelli che ne mostrano più spiccatamente
i caratteri; ma vi aggiunge la frase: « Vrai médail-
lon malgré les lettres SC » frase che ha l'aria non
solo di dubbio, ma quasi di tolleranza o di scusa.
Io tolgo ogni indecisione e li chiamo senz'altro :
Medaglioni con S C o Medaglioni Senatori, coniati cioè
dall'autorità del Senato. E il fatto si spiega assai
naturalmente.
Le occasioni che si presentavano all'Imperatore
o alla zecca imperiale di coniare pezzi speciali di
dono o di ricordo, si presentavano pure, quantunque
assai meno frequentemente, al Senato. Le due ca-
tegorie di medaglioni aventi la medesima origine e
la medesima significazione offrono i medesimi dati
caratteristici esterni e, per quanto non paragonabili
l'una all'altra ne pel numero, ne per l'importanza
dei soggetti rappresentati e raramente per la bel-
lezza dell'arte, pure formano due serie molto simili
e parallele, contraddistinte unicamente dalla assenza
o dalla presenza delle lettere SC.
La divisione delle due serie non venne mai sta-
bilita nettamente, e l' istituzione della serie senatoria
è appunto quello che tento di fare in questo studio,
seguendo il criterio accennato, il quale mi condurrà
MEDAGLIONI SENATORI E ISRjNZI ECCEDENTI 347
a mutare parecchie delle classificazioni stabilite da
altri e per ultimo dal Cohen. Vi figureranno pezzi
del Cohen collocati fra i bronzi comuni e vi saranno
invece omessi altri che il Cohen collocò fra i me-
daglioni, e d'ogni cambiamento darò la ragione.
Prima di descrivere la nuova serie tenterò di ab-
bozzarne un insieme generale e incomincierò accen-
nando un fatto fin qui ignorato e che a molti anzi
desterà meraviglia. Il medaglione senatorio è ante-
riore all'imperatorio. Questo non appare che con
Adriano, l'altro incomincia coi Flavii, precedendo
quindi quello che doveva poi di tanto sorpassarlo
in numero, di circa mezzo secolo.
Cohen descrive, come appartenente al Gabinetto
di Parigi, al n. 434/476 di Vespasiano, un gran bronzo
di quest'imperatore colla quadriga trionfale e la sem-
plice sigla S C all'esergo.
Nella prima edizione vi fa seguire la nota: « Le
» médaillon pareil estimé 150 f.cs par Mionnet ap-
u partient au Cabinet des médailles. C'est un G B
» frappé sur un gran flan » (0 e ne dà il disegno.
Ora Cohen ha torto ed è il Mionnet che aveva ra-
gione. Cohen non avverti che non si ha a che lare
puramente col volume del metallo; ma che invece a
questo corrispondono anche gli altri caratteri. Il cir-
colo di perline ha un diametro superiore di circa
due millimetri a quello dei sesterzi ordinarli di Ve-
spasiano e il conio non è quello del gran bronzo.
Il rilievo, specialmente nel rovescio, è assai superiore
al comune e più grande è il disegno generale della
(1) Nella seconda edizione si dice semplicemente " Le Cabinet de
France en possedè un exemplaire frappé sur un flan du module 12 „.
348 FRANCESCO GNECCHI
quadriga, come è facile verificare confrontando il
pezzo in quistione con altri sesterzi comuni dello
stesso Vespasiano aventi il medesimo rovescio. Non
si tratta dunque di un sesterzio eccedente; ma bensì
di un vero medaglione, del primo (almeno finora)
medaglione senatorio. E il secondo segue a brevis-
sima distanza o anzi probabilmente gli è contem-
poraneo.
Il bel pezzo di Parigi mi fece sovvenire di posse-
derne io pure uno simile di Tito. Lo ritrovai difatti
frammisto agli altri sesterzi. Se non altrettanto bello
e pesante come quello di Vespasiano, pure presenta
le medesime proporzioni di diametro, di disegno e di
rilievo. I due pezzi sono coniati nello stesso anno,
nel settantadue o settantatre d. C, essendo Vespa-
siano console per la quarta volta e Tito per la se-
conda. Sono essi che aprono la serie del Medaglione
senatorio e stabiliscono la priorità di questo sul Me-
daglione imperatorio (I ).
Sotto Domiziano non trovo conii che escano
del comune, quantunque siano più frequenti che
sotto ogni altro regno i sesterzi eccedenti e i cer-
chiati. E qui, pure lasciando da parte questi pezzi,
dacché non dobbiamo prendere in considerazione che
quelli apprestati con conii speciali, non posso a
meno d'accennare come in essi si debba riconoscere
(1) Tra i sesterzi di Vespasiano e di Tito ve ne sono alcuni altri
che eccedono alquanto la dimensione comune. Il diametro del circolo
di perline è generalmente di 30 millimetri, giusti per Vespasiano, un
pochino scarsi per Tito ; talvolta questo diametro è superiore di uno o
due millimetri e lo verifico nei rovesci PAX AVCVST dell'uno e del-
l'altro imperatore.
Malgrado ciò, il rilievo e le dimensioni delle figure non eccedono
l'ordinario o l'eccedono di poco, e, perciò, non essendovi tutti gli ele-
menti richiesti, non oso mettere questi pezzi nella categoria dei meda-
glioni, nella quale non posso pienamente riconoscere il diritto d'entrare
che ai due accennati.
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 349
una specie di parentela con quelli cui ora diamo il
nome di Medaglioni senatorii, avendo con questi co-
munanza d'origine e di scopo. Tale parentela l'intrav-
vedo, senza avere per ora dati positivi che mi per-
mettano di precisarla nettamente; ma se l'ho accen-
nata è perchè fu questa visione che mi fece mettere
qualche riserva all'ammissione completa del mio er-
rore primitivo e all'accettazione pura e semplice del-
l'opinione del Serafini.
Nerva non ha alcun pezzo che esca dalla mo-
netazione ordinaria, Traiano parecchi bronzi pesanti
o per ertezza di tondino o per cerchio, come Domi-
ziano ; ma nessun conio senatorio speciale ( J ).
È solo al regno d'Adriano che, oltre a qualche
pezzo che troviamo ancora indeciso, il Medaglione
senatorio (come avviene dell'imperatorio) assume ve-
ramente il suo tipo definitivo. La piccola serie trova
un discreto sviluppo sotto Antonino Pio; ma declina
tosto con M. Aurelio. Da questi W con due soli nomi
(1) Del tempo di Traiano possiedo un piombo di Plotina, il quale,
imitando in dimensioni maggiori (diam. mill. 40) il suo Gran Bronzo col
rovescio FIDES AVGVST, colla semplice variante AVGVSTI, par-
rebbe indicare d'essere la prova d'un medaglione senatorio. Mi pro-
venne con parecchi altri piombi dal ripostiglio di Narni di cui parlai
altre volte, e ciò attribuisce assai al ritenerlo antico. Ma non oso met-
terlo nella serie, perchè non potrei garantire che proprio voglia indi-
care un medaglione di bronzo realmente esistito, e invece non sia sem-
plicemente una moneta eseguita per lo scopo che avevano le altre
monete di piombo, una semplice imitazione, cioè delle monete correnti,
ma di minor valore intrinseco. Difatti il disegno è meno fine e l'ese-
cuzione meno accurata di quanto vediamo nei bei sesterzi di quest'epoca.
(2) Qui conviene sbarazzare il terreno da un sedicente medaglione
di Lucio Vero. Nella prima ediz. del Cohen, al n. 93, è descritto il se-
guente bronzo :
/& - |MP CAES L AVREL VERVS AVG Testa laur. a destra.
IP - (FELICITAS?) SAECVLI S C La Felicità a sinistra col
caduceo e il cornucopia,
dato timidamente quale medaglione. Dico timidamente, perchè ciò mi
sembra comprovato dal fatto che la valutazione è di sole L. 150.
45
35° FRANCESCO GNECCHl
intermedii , Giulia Domna ed Alessandro Severo,
giungiamo a Traiano Decio, unica epoca veramente
abbondante, tanto da lasciar supporre che allora il
medaglione senatorio o doppio sesterzio fosse coniato
veramente come moneta corrente Poi da Gallieno
saltiamo ai quattro ultimi di Tacito, Carino, Nume-
riano e Massimiano Erculeo.
La serie è dunque composta di 15 nomi e da
38 tipi, dai quali, se togliamo i 6 di Traiano Decio ed
Etruscilla, non ne restano che trentadue, ventotto dei
quali sono rappresentati da un unico esemplare, e
circa la metà sono finora inediti. Né credo che il
numero possa venire sensibilmente aumentato in se-
guito, avendo ormai esaurite le ricerche in tutti i
Musei. Ciò porta alla conclusione che i Medaglioni
senatori — sempre coli' accennata esclusione di
Traiano Decio — sono incomparabilmente più rari
degli imperatori, la proporzione numerica di quelli a
questi essendo inferiore al due per cento.
Nella seconda edizione (n. 85) si aggiunge : " Cette pièce est probable-
ment un G B frappé sur flanc de médaillon ,. E lo è difatti perchè
nulla al di là del disco pesante dinota il medaglione, né il rilievo, né
le dimensioni del disegno, né la composizione del rovescio, la quale
è anzi una delle più semplici. Ma v' ha di peggio.
Si tratta di un gran bronzo e neppure legittimo... Il pezzo è scon-
servatissimo ; nel rovescio rimane di antico la figura della Felicità;
ma della leggenda, a destra non si leggono che le prime lettere FEL...
mentre il resto è scomparso e la parola SAECVLI a sinistra è rifatta
e rifatta assai male. La malversazione venne evidentemente eseguita
sull'altro bronzo di L. Vero descritto al n. 168 (il quale è tutt'altro che
comune come Cohen lo classifica, anzi va annoverato fra i più rari
grandi bronzi di L. Vero) sul quale, conservata la figura della Felicità,
le parole FEL TEM COS II vennero tramutate in FELICITAS
SAECVLI, anticipando questa leggenda di circa un secolo.
Anche nel Catalogo della collezione Weber, venduta lo scorso
maggio a Monaco, viene pubblicato (n. 1664) come medaglione malgrado
le lettere S C, un pezzo che debbo omettere, non trattandosi che di un
bronzo eccedente. Esso corrisponde esattamente, come conio, al gran
bronzo ordinario.
MEDAGLIONI SFNATORÌ E BRONZI ECCEDENTI 35 1
Come nella serie imperatoria, ai medaglioni pro-
priamente detti vengono ad aggiungersi anche altri
pezzi eli moduli minori, cui l'intendimento artistico e
l'accurata fattura danno il diritto di aggregarsi a
quella serie, così avviene anche nella serie senatoria
e noi abbiamo specialmente sotto Alessandro, Gor-
diano e Filippo, alcuni bronzi speciali che, pure por-
tando la sigla del Senato, sia per l'effigie imperiale
rappresentata a mezza figura e generalmente volta a
sinistra, mentre sulle monete comuni è sempre a de-
stra, sia per l'ornamentazione del busto, sia per le
rappresentazioni più complesse e più finamente ese-
guite del rovescio, presentano un aspetto speciale e
debbono entrare nella serie dei medaglioni, qualunque
sia la definizione che di questi si voglia dare. La
distinzione di questi però non è sempre facile, e,
se ve ne sono alcuni di classificazione sicura, ve ne
sono invece molti altri che lasciano dubbiosi. Citerò
ad esempio alcuni bronzi d'Adriano, d'Antonino, di
Commodo, dei Severi e di qualche altro imperatore,
che, per alcune delle particolarità più su accennate
e talora anche pel duplice metallo, parrebbero de-
stinati ad un ufficio superiore a quello della circo-
lazione ordinaria. Forse col tempo nuove -indagini e
nuovi criterii potranno condurre alla completa sele-
zione, la quale per ora non mi riescirebbe possibile
che pel periodo da Alessandro a Filippo.
Nell'elenco seguente quindi io non darò che i
medaglioni senatori di gran modulo , trascurando
quelli non superanti le misure comuni, i cos'i detti
medaglioncini, i quali potranno eventualmente for-
mare materia d'altro studio in avvenire.
gr 2 FRANCESCO GNECCMI
Elenco dei Medaglioni Senatori
VESPASIANO.
i. & — IMP CAES VESP AVO PMTRPPP COS IMI CENS
Testa laureata a destra.
R) — S C Vespasiano con lo scettro in quadriga lenta
a destra. Sul fianco del carro è scolpita una
Vittoria. Sul davanti una corona, nel centro
della quale forse un'aquila (a. 72 o 73 d. C).
Cohen, 434/476, dato come gran bronzo comune.
Gabinetto di Parigi. — Diam. mill. 40, gr. 40,500.
(Tav. II, n. 1).
TITO.
2. & — T CAES VESPÀSIÀN IMP PON TR POT COS II
Testa laureata a destra.
9( — S C Tito col ramo d' ulivo in quadriga lenta a
destra (a. 72 o 73 d. C).
Coh. 235/226, dato come gran bronzo comune.
Coli. Gnecchi. — Diam. mill. 36, gr. 28,000. (Tav. II, n. 2).
Gabinetto imperiale di Vienna.
ADRIANO.
3. & — HADRIANVS AVGVSTVS Testa laureata a destra.
R) — COS III SC Ercole a destra appoggiato alla clava
e con un ramo sulla spalla e la pelle del leone
sul braccio sinistro.
Museo di Parma. — Mill. 37, gr. 43. Inedito. (Tav. II, n. 3).
4. i& -- IMP CAESAR TRAIAN HADRIANVS AVG P M TR P
COS III. Testa laureata a destra.
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 353
9 DIVAE MATIDIAE SOCRVI SC Tempio a due co-
lonne col frontone ornato da statue. Nel centro
si vede la statua di Matidia divinizzata ; ai lati
del tempio in due nicchie due altre statue (due
Vittorie). Due edifici laterali costituiti da due
portici con piano superiore formano corte ed
ingresso al tempio.
Coh. 543/550.
Gabinetto Imp. di Vienna. — Mill. 45, gr. 63,620.
(Tav. Ili, n. 1).
Museo Archeologico di Madrid. — Mill. 39, gr. 43,200.
(Tav. Ili, n. 2).
L'autenticità di questo importantissimo medaglione venne antica-
mente discussa. L'unico esemplare conosciuto era quello del Museo
Imperiale di Vienna, proveniente dalla collezione dei Padri Certosini
colla maggior parte dei medaglioni di quel Museo. Eckhel è piuttosto
dubbioso, Arneth invece dice: " genuinum mihi videtur „. Cosa ne pen-
sasse'il Kenr.er non so. Lo omise nella sua descrizione dei medaglioni
di Vienna; ma forse a causa delle lettere S C; Cohen nelle due
edizioni lo descrive, ma lo lascia senza indicazione di prezzo quasi in
segno di dubbio. Quanto a me, dopo averlo attentamente esaminato, lo
ritengo perfettamente autentico, come lo ritengono gli attuali conserva-
tori del Gabinetto di Vienna, come lo ritiene il prof. Dressel, che gli
consacrò una dotta monografia nella Corolla Numismatica e come mi
pare debbano ritenerlo tutti i numismatici moderni, il cui giudizio non
sempre si accorda con quello degli antichi... e a ragione.
L'esemplare di Vienna fu il solo conosciuto finora, ma un secondo
esiste al Museo Archeologico di Madrid. È di conservazione molto in-
feriore, tanto che le lettere S C sono scomparse completamente e nes-
suno avrebbe potuto immaginare che vi fossero state, senza la guida
dell'esemplare di Vienna. Del resto l'esemplare di Madrid è per me
autentico come quello di Vienna e, stante l'importanza storica del me-
daglione e le discussioni suscitate, ho creduto bene riprodurli ambedue
nella tavola, onde il lettore possa giudicare per sé stesso.
5. & — IMP CAESAR TRAIANVS HADRIANVS AVG Busto
laureato a sin. col paludamento e la corazza.
9 - P M TR P COS III (in alto) SC (all'esergo). Troja
a destra all'ombra di un albero, allattante i suoi
piccoli.
Coh. 550/1168.
Museo Britannico. — Mill. 42, gr. 68,400 (medaglione ornato di un
piccolo cerchio). (Tav. II, n. 4).
354 FRANCESCO GNECCHI
6. B- -- |MP CAESAR TRAIAN HADRIANVS AVG P M TR P
COS III Testa laureata a destra.
IJf — Rappresentazione identica a quella del precedente;
ma le parole o non esistevano o sono del tutto
scomparse.
Medagliere fiorentino. Firenze. — Mill. 41, gr. 43,090. Inedito.
(Tav. II, n. 6).
Dò questo medaglione con riserva. Potrebbe essere una varietà
del precedente pel diritto, oppure essere anepigrafo e mancare forse
anche delle lettere S C. Credo più probabile il primo caso sia per
l'identità del rovescio, sia per la riproduzione nel diritto del conio del
medaglione senatorio (11. 5) col rovescio del tempio di Matidia. Ad ogni
modo non sarà che l'apparizione di un esemplare meglio conservato
che scioglierà definitivamente il dubbio.
7. & -- IMP CAESAR TRAIAN HADRIANVS AVG Busto lau-
reato a destra con paludamento e corazza.
R) - - P M TR P COS III (in giro) S C (all'esergo) La lupa
a sinistra coi gemelli (a. 118 a. C).
Coh. seconda edizione, 1055 (dato come G B).
Coli. Gnecchi, già Laborde. — Mill. 33/47, gr. 72,000 (con cerchio).
(Tav. Ili, n. 3).
Nel Cohen questo pezzo è dato come gran bronzo contornato da
cerchio, ma il diametro del cerchio di perline e il rilievo lo affermano
vero medaglione.
8. B 1 - HADRIANVS AVGVSTVS COS MI P P Testa nuda
a destra.
9 — SC (all'esergo) Ercole seduto di fronte su di un
ammasso d'armi su cui è stesa la pelle del leone.
Tiene colla destra la clava, appoggiata a una
corazza.
Gdb. Imp. di Berlino. — Mill. 33/54, gr. 88,850. (con cerchio). Ined.
(Tav. II, n. 5).
La dimensione del conio è quella di un gran bronzo, ma il rilievo
è da medaglione come l'arte bellissima che si ammira specialmente nel
rovescio, il diritto essendo molto sciupato. È battuto su disco largo e
pesantissimo.
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 355
ANTONINO PIO.
9. & — ANTONINVS AVG PIVS PPTRP XVIII Testa lau-
reata a destra.
^ — COS III (in giro) S C (all'esergo). Ercole ignudo di
fronte seduto su due corazze sulle quali è stesa
la pelle del leone, appoggia il braccio destro
disteso alla clava e tiene un oggetto indistinto
(delle freccie?) colla sinistra. Accanto alle co-
razze uno scudo (a. 155 d. C).
Coli. Gnecchi. — Inedito, ritoccato. — Mill. 36, gr. 35,850.
(Tav. IV, n. 1).
Questo stesso medaglione esiste pure colla medesima data nella
serie imperatoria. Il rovescio è identico, meno le lettere S C. Nel di-
ritto presenta due varietà. L'esemplare del Gabinetto di Parigi (Cohen,
385/215) ha il busto laureato a destra col paludamento e la corazza ;
l'altro, appartenente al Gabinetto di Berlino (inedito) ha la testa lau-
reata a destra fregiata dell'egida.
io. & — ANTONINVS AVO PIVS P P Busto corazzato e lau-
reato a destra.
9 - ITALIA (all'esergo) TR POT COS III (in giro) S C
L' Italia turrita collo scettro e il cornucopia as-
sisa a sinistra sul globo.
Museo Archeologico di Bologna — Mill. 40, gr. 44,600 (Inedito).
(Tav. Ili, 11. 4).
Tipo del medaglione imperatorio conosciuto in unico esemplare al
R. Gabinetto di Brera e del gran bronzo comune.
ri. & - ANTONINVS AVGVSTVS PIVS Busto laureato a de-
stra coll'egida.
P — P P TR P COS III SC Enea a destra che porta
sulle spalle il vecchio padre Anchise, con gli Dei
Penati, conducendo per mano il piccolo Ascanio.
Coli. Gnecchi, già Weber. — Mill. 38, gr. 36,650. (Inedito).
(Tav. IV, n. 4).
Tipo del gran bronzo. Il conio del diritto potrebbe anzi dirsi di
G B; e difatti il Catalogo della vendita Weber lo dà come tale; ma
le dimensioni e il rilievo del rovescio sono decisamente da medaglione.
35&
FRANCESCO GNKCCHI
12. B* — ANTONINVS AVG PIVS PP TR P COS III Busto a
destra con paludamento e corazza, visto da
tergo. Testa scoperta.
R) — TIBERIS S C II Tevere sdraiato a sin. il gomito
sinistro appoggiato a un'urna da cui esce l'acqua,
un giunco nella sinistra e la destra appoggiata
a una nave (a. 140 a 143).
Coli. 401/817.
Gabinetto di Parigi. — Mill. 38. (Tav. Ili, n. 6).
Tipo identico al gran bronzo.
13 . B> _ | M p T AEL CÀES HADR ANTONINVS AVG PIVS
Testa laureata a sinistra.
I}( — TR POT COS II Vittoria a sinistra con una co-
rona (?) e una palma. Nel campo S C
Gab. Vaticano. Roma. — Mill. 40, gr. 52,250 (Inedito).
(Tav. IV, n. 2).
14. B' -- IMP CAES T AEL HADR ANTONINVS AVG PIVS PP
Testa laureata a destra.
R) — TR POT XV COS IMI S C Statua equestre d'Anto-
nino colla destra alzata a sinistra.
Coh. 915/966.
Gabinetto di Parigi. — Mill. 37, gr. 42,500. — Museo di Modena. —
Coli. Gnecchi. (Tav. IV, n. 3).
Cohen nella seconda edizione fa seguire la descrizione di questo
pezzo dall'osservazione : " Le médaillon avec le méme type décrit par
" Mionnet et estimé 72 f.cs existe au Cabinet des médailles. C'est un
" grand bronze frappé sur un flan de médaillon „. — Questo pezzo di
Parigi è precisamente quello di cui dò l' impronta nella tavola. Da essa
si può vedere come, se il diritto potrebbe anche dirsi gran bronzo, il
rovescio presenta un rilievo da medaglione, superiore a quello dei
gran bronzi d'Antonino. E tale rilievo lo noto nel mio esemplare, in
quello di Modena e anche in un quarto che vidi, ma di cui non conosco
l'ubicazione. Così pure il peso è sempre molto eccedente quello del
sesterzio, e il cerchio di perline presenta un diametro da due a tre mil-
limetri superiore a quello di tutti gli altri gran bronzi d'Antonino Pio.
15. B" -- ANTONINVS AVG PIVS P P TR P COS III Busto a
destra con paludamento e corazza, visto da
tergo. Testa scoperta.
MEDAGLIONI SKNATORÌ E BRONZI ECCEDENTI 357
9 — VICTORIA AVGVSTI S C Vittoria volante a sinistra
con una ghirlanda (a. 140 a 145).
Coh. 407/1086.
Gabinetto di Parigi (già Vaticano). — Mill. 38. (Tav. Ili, n. 5).
16. i& — ANTONINVS AVG PIV P P IMP II Testa nuda a d.
P — VOTA PVBLICA (all'esergo) S C (ai lati nel campo).
Antonino velato sacrificante a sinistra su di
un'ara. Davanti a lui il vittimano che abbatte
un toro e un fanciullo. Al secondo piano un
suonatore di tibia e un altro personaggio (a. 156).
Museo di Modena. — Mill. 37, gr. 39,000. — Coli. Gnecchi (Scavi
di Roma) (1). — Mill. 40, gr. 70,000. Inedito in Cohen.
(Tav. IV, n. 5).
M. AVRELIO.
17. & AVRELIVS CAESAR AVG PII T COS Busto con pa-
ludamento e corazza a destra visto da tergo.
Testa scoperta.
9 PIETAS AVG (in giro) S C (all'esergo). Coltello da
vittimario, aspersorio, vaso da sacrificio, lituo
e simpulo (a. 140, 145 d. C).
Coh. 374/453-
Gabinetto di Parigi. — Mill. 38. (Tav. IV, n. 6).
Lo stesso tipo esiste in oro, in argento, in grande e medio bronzo.
18. & ■ - M ANTONINVS AVG TR P XXIII Testa laur. a des.
R) - PROFECTIO AVG (all'esergo) COS III (in alto) SC
M. Aurelio a cavallo a destra in abito militare
coll'asta, preceduto da un soldato e seguito da
tre altri (a. 169 d. C.
Coh. prima ediz. 375.
Gabinetto di Parigi. — Mill. 38 (ritoccato).
Nella seconda edizione del Cohen, questo medaglione è omesso
perchè le leggende sono ritoccate. Ma a questa stregua ce ne sareb-
bero troppi da omettere.
(1) Pubblicato per la prima volta in Rivista ltal.di Numism., 1892
Appunti di Num. Romana N. XXV, tav. Vili, n. 2.
46
358 FRANCESCO GNECCUI
19. & — AVRELIVS CAESAR AVG PII F Busto a destra visto
da tergo col paludamento. Testa scoperta.
9' — TR POT XV COS III S C M. Aurelio in quadriga
lenta a sinistra con una corona e lo scettro.
Coli. Gnecchi. — Mill. 35, gr. 49,500. Inedito (Tav. V, n. 1).
Simile al gran bronzo, descritto da Cohen ai nn. 114, 788. Cohen
difatti avverte che il Duca di Blacas possedeva un esemplare (passato
ora al Museo Britannico) coniato su disco da medaglione. Probabilmente
si tratta di un secondo esemplare dello stesso medaglione.
FAVSTINA CIOVANE (1).
20. & — DIVA FAVSTINA PIA Busto a destra.
R) — AETERNITAS S C Vittoria o donna alata con una
fiaccola in atto di portare Faustina in cielo.
Coh. 98/9.
Già coli. Duprè.
SETTIMIO SEVERO.
21. & -
R) -- CONG II POP R D SC L'imperatore seduto
su delle armi e davanti a lui una figura col
cornucopia. Nel mezzo il modio...
Coh. 462/79.
Da Mionnet.
(1) Cohen nella sua prima edizione (n. 101 e suppl. 17) pubblicava
i due seguenti medaglioni :
i& — FAVSTINA AVG ANTONINI AVG PII FIL Busto a des.
9 — S C Tre Sacerdoti e tre Vestali accompagnate da un
fanciullo, sacrificanti su di un'ara davanti a un
tempio (n. 101).
i& — Come il precedente.
R) — VESTAE S C medesima rappresentazione del prece-
dente (suppl. 17).
Ambedue questi medaglioni appartenenti al Gabinetto di Parigi,
sono omessi, credo, a ragione, nella seconda edizione, il che vuol dire
che non furono ritenuti autentici. Nel 1892 io diedi la descrizione del
primo tipo e ne riprodussi un esemplare del Gabinetto di Brera; ma
ora, riesaminato questo esemplare, come pure quelli di Parigi e due
altri che mi appartengono, ritengo che ci troviamo davanti a un lavoro
del secolo decimosesto o decimosettimo. Perciò li ometto ambedue.
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 359
22. &" — L SEPTIMVS SEVERVS PIVS AVG Busto laureato
a destra col paludamento.
9 — IOVI SOSPITATORI AV& SC Serapide in un tempio
(a. 198 a 201).
Coh. 471/246.
Da Welzl de Wellenheim. — Mill. 38.
GIVL1A DOMNA.
23. !& - IVLIA AVGVSTA Busto a destra.
9 — VESTA MATER (in giro) S C (all'esergo). Sei ve-
stali sacrificanti sopra di un'ara accesa davanti
a un tempio rotondo, nel centro del quale si
vede la statua di Vesta.
Diam. mill. 40, gr. 42,50 (a due metalli). (Tav. V, n. 2).
R. Gabinetto di Brera. Milano (Inedito in Cohen).
ALESSANDRO SEVERO.
24. B — IMP SEV ALEXANDER AVG Testa laur. a destra.
R) — P M TR P VII COS II PP SC Quadriga di fronte
condotta da due militi coli' imperatore coronato
dalla Vittoria.
Gabinetto Imperiale di Vienna (già Bachofen v. Echt). — Mill 39
(molto consunto e molto ritoccato). (Tav. V, n. 3).
Altro esemplare simile (mill. 39, gr. 51,300) nel medagliere fioren-
tino, al Museo Archeologico di Firenze (Inedito) pure assai consunto.
25. jy — IMP SEV ALEXANDER AVG Busto laureato e coraz-
zato a desta col paludamento sulla spalla,
lj» — PROFECTIO AVGVSTI SC Alessandro a cavallo a
destra, preceduto dalla Vittoria.
Coli. Gnecchi. — Mill. 38, gr. 43,000 (1).
TRAIANO DECIO.
26. & - IMP C M Q TRAIANVS DECIVS AVG Busto radiato
a destra in corazza.
9 - FELICITAS SAECVLI S C La Felicità a sin. col ca-
duceo e il cornucopia.
Coh. 57/39-
In tutte le collezioni.
(1) Vedasi la riproduzione di questo medaglione nella Rivista Hai.
di Num., 1892. Tav. Vili, n. 2, ove fu pubblicato per la prima volta.
a 6 °
FRANCESCO GNliCCHI
27. Variante del precedente colla corazza e il paludamento
visto da tergo.
Coh. 57/40.
Gabinetto di Parigi.
28. Altra variante del precedente senza la corona radiata.
Coh. 58/41.
Welzl de Wellenheim.
2g# ,F - IMP C M Q TRAIÀNVS DECIVS AVG Busto radiato
a destra con paludamento e corazza.
$ — LIBERALITAS AVG S C Decio ed Erennio seduti a
sinistra su di un palco. Davanti a loro la Libe-
ralità ; in basso un popolano che sale i gradini
del palco (a. 249).
Coh. 59/74.
Gabinetto Imp. di Vienna. (Tav. V, n. 4).
30. 1& — IMP C M Q TRAIANVS DECIVS AVG Busto radiato
a destra in corazza.
fy — VICTORIA AVG S C Vittoria corrente a sin. con
una corona e una palma.
Coh. 61/114.
In tutte le collezioni. (Tav. V, n. 5).
ETRVSCILLA.
31. & — HERENNIA ETRVSCILLA AVG Busto diademato a
destra circondato dalla mezza luna.
9 — PVDICITIA AVG S C La Pudicizia assisa a sin. con
lo scettro in atto di coprirsi il viso col velo.
Coh. 18/21.
In tutte le collezioni. (Tav. V, n. 6).
GALLIENO.
32. & — GENIVS P R Testa radiata di Gallieno ornata del
modio a destra,
tj — S C in una corona d'alloro.
Medagliere fiorentino. Firenze. — Mill. 39, gr. 32,300.
(Tav. VI, n. 2).
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 361
Cohen cita da Banduri questo medaglione come d'argento ; ma
credo per errore. Prima di tutto le lettere S C del rovescio lo dichia-
rano di bronzo; poi assai probabilmente Banduri, che di solito trae le
sue descrizioni dal Museo di Toscana, si riferisce a questo medesimo
esemplare da me descritto, il quale è di bronzo e fu erroneamente
scambiato con argento di bassa lega.
33. & — IMP GALLIENVS PIVS FEL AVG Busto a mezza
figura laureato e corazzato a destra, armato
d'asta e di scudo.
$ — VOTIS DECENNALIBVS S C in una corona d'alloro.
Coh. 735/1341.
Gabinetto di Parigi (già Vaticano). — Mill. 34. (Tav. VI, n. 3).
34. Lo stesso medaglione con la testa di Gallieno ornato
della pelle di leone.
Già Gabinetto Vaticano, scomparso dopo il 1797. — Dalle impronte
di Lodi. (Tav. VI, n. 1).
TACITO (1)
35. & - - IMP CMCL TACITVS AVG Busto laur. a sinistra
con paludamento e corazza (marca del Museo
Estense).
(1) E necessario spendere qualche parola sulla estensione cronolo-
gica di questa serie, la quale incomincia quasi al principio dell'impero, e
si prolunga fin verso la fine del terzo secolo, si estende cioè fino ad epoca
così tarda che da alcuni non si vorrebbe più vedere nelle lettere S C
l'espressione di una autorità che si andava spegnendo o che forse era
già completamente spenta. E opinione generale fra gli storici che l'au-
torità del Senato finisca con Floriano, e da tal fatto si deduce che alle
lettere S C ritrovate su monete posteriori a quest'epoca debba attri-
buirsi un nuovo significato. Non è però solamente sui pochi medaglioni
da me citati che queste lettere S C diedero a pensare, ma pure su
qualche aureo di Tacito, Diocleziano e Massimiano. Furono anzi questi
che richiamarono l'attenzione ed è quindi opportuno dare un rapido
sguardo retrospettivo alle varie eccezioni delle lettere S C su monete
che non siano di bronzo.
Esse incominciano proprio al principio dell'impero. Abbiamo dap-
prima gli aurei dei triumvirati, colla sigla o gli emblemi del Senato, dei
quali nessuno discute l'origine ; poi i denari dell' interregno di Galba e
di Clodio Macro, un denaro di Sabina col roveseio VESTA e più tardi
uno di Treboniano Gallo e uno di Volusiano con PAX AVGVS.
Di questi nessuno si accorse o si occupò per quanto mi consta,
062 FRANCESCO GNECCHI
9 — ÀVENTVI (il posto della lettera D mancante sarebbe
occupato dalla testa di Tacito) AVGVSTI Al-
I'esergo SC L'imperatore a cavallo a sinistra
colla destra alzata e preceduto da una Vittoria.
R. Gabinetto di Brera. Milano. — Mill. 41, gr. 53,800.
(Tav. VI, n. 5).
di modo che passarono finora inosservati. Vengono infine gli aurei di
Tacito (ROMAE AETERNAE) di Diocleziano e Massimiano Erculeo
(FATIS VICTR1CIBVS) e questi furono ripetutamente oggetto di
discussione.
Missong pel primo si occupò degli ultimi due e, sia riflettendo
all'epoca tarda, sia considerando che le monete d'oro erano all' infuori
dell'autorità senatoria, sospettò che le lettere S C potessero essere l'in-
dicazione della zecca e vi lesse SISCIA.
Voetter, posteriormente tentò di dimostrare la cosa e fece rimon-
tare tale interpretazione anche all' aureo di Tacito. Di più vi con-
globò anche i medaglioni di bronzo di questo periodo che portano le
lettere S C.
Egli ritiene che le lettere S C per Siscia siano analoghe a
S D per Serdica
T S per Tessalonica
S IVI per Sirmium.
Contro tale analogia però osservo che nelle tre ultime di queste
abbreviazioni sono esposte le iniziali delle due prime sillabe, mentre
le lettere SC non possono considerarsi come tali per SISCIA; mentre
dovrebbero invece essere S S, la seconda S essendo evidentemente
collegata col C seguente (SI-SCIA).
D'altronde, un'altra ragione che si oppone a questo nuovo signi-
ficato è che l'abbreviazione comunemente usata per Siscia è SIS, come
la troviamo su innumerevoli monete, incominciando dal tempo di Gal-
lieno e su molti medaglioni d'oro e d'argento dell'epoca costantiniana
in poi, sigla perfettamente corrispondente a quella delle altre zecche
come CON per Costantinopoli, TES per Tessalonica. OST per Ostia,
ANT per Antiochia, LVG per Lugdunum e così via.
Abbiamo poi anche parecchi medaglioni di bronzo coniati a Siscia
(Probo, Coli. 85I797 e altro inedito del Museo di Budapest; Diocleziano,
Supplemento 10/529; Galerio Massimiano, Coh. seconda edizione, 205),
contemporanei agli ultimi nostri citati con S C, ma portano la sigla
comune SIS.
Non si vede quindi la ragione dell'adozione di questa nuova sigla
S C, ia quale, mentre offre una forma diversa dalle altre contempo-
ranee, e non corrisponde neppure a quelle adottate in tempi posteriori
come R V, R IVI, IVI D, tutte formate dalle iniziali delle due prime sii-
MEDAGLIONI SENATORI E BRONZI ECCEDENTI 363
Presento questo medaglione per quello che vale, essendo troppo
difficile giudicarlo dopo il deplorevole ritocco di cui fu vittima, tanto
che si può dire quasi completamente rifatto. Il diritto, per quanto ro-
vinato, pare risponda ancora all'originale se lo confrontiamo con uno
simile e bellissimo del Museo di Berlino. Il rovescio invece ispira
pochissima fede. Tutto vi fu alterato e il D di ADVENTVI certa-
mente scomparve per opera del ritoccatore, il quale con molta pro-
babilità avendo occupato colla testa della Vittoiia il posto del primo
A, collocò questo al posto del D, supponendo questo dietro la testa
dell'imperatore... a meno che tutta la leggenda sia una rifacitura o una
invenzione.
NVMER1ANO.
36. Bf — IMP C NVMERIANVS P F AVG Busto laureato e co-
razzato a destra.
R) — P M TR P COS P P (in giro) S C (all'esergo) Nu-
meriano e Carino in quadriga lenta a destra.
Quello a destra tiene un ramo.
Coli. Gnecchi (già coli. Kaiser di Zagabria). — Mill. 35-40, gr. 27,000.
(Inedito). (Tav. VI, n. 4).
labe, offre per di più il grave inconveniente di confondersi con quella
troppo antica e troppo nota del Senato.
Aggiungerò poi anche che, se alcuni medaglioni come quelli p. es.
di Carino e Numeriano, che pubblico qui per la prima volta, muniti
della sigla SC offrono anche il tipo materiale della fabbrica di Siscia,
l'aureo di Diocleziano con queste lettere offre invece i caratteri del-
l'officina di Cizico. Non si può quindi affermare che per legge gene-
rale S C a questi tempi voglia indicare SISCIA.
Un'ultima osservazione poi è questa, che la storia è molto oscura
a questo punto e molto incerte sono le notizie che ci pervennero sulla
decadenza e sulla fine del potere del Senato. Tali incertezze risultano
evidentemente dalla monetazione da Gallieno in poi.
La sigla è saltuaria sulle monete di Postumo, scompare sotto Aure-
liano ; ricompare poi su alcuni medii bronzi di Floriano; nessuna me-
raviglia che l'uso, qualunque fosse allora l'autorità del Senato, si sia
prolungata ancora qualche anno dopo quest'epoca. Il fatto anzi potrà
forse riuscire prezioso a chiarire un punto storico di quest'epoca poco
conosciuta.
Chi ci assicura che fosse estinto sotto C'arino, Numeriano e Massi-
miano, ogni potere di quel Senato che troviamo risorto sotto Co-
stantino ?
E per queste ragioni, che pure professando il più alto rispetto ai
numismatici eminenti ed autorevoli che abbiamo citati, io non mi so
decidere per ora ad adottare la loro opinione e persisto a mantenere
alla sigla S C l'antico e unico significato di Autorità senatoria.
364 FRANCESCO GNECCHI
CARINO.
37. - IMP CARINVS P F AVG Busto laureato a destra in
corazza, visto da tergo e con lo scudo che gli
copre la spalla destra.
R) -- P M TR P COS P P SC Carino e Numeriano in
quadriga lenta a destra. Uno di loro tiene un
ramo.
Coh. 39/80.
Eremitaggio imperiale. Pietroburgo (già coli. Fontana). — Mill. 35.
(Tav. VI, n. 6).
MASSIMIANO ERCVLEO.
38. & - IMP C M A VAL MAXIMIANVS P F AVG Busto lau-
reato a destra a mezza figura col manto impe-
periale e lo scettro.
R) ADVENTVS AVGG (in giro) S C (all'esergo) Massi-
miano Erculeo e Diocleziano a cavallo a sini-
stra, preceduti dalla Vittoria e seguiti da un
milite con lo scudo. Al secondo piano un'aquila,
uno stendardo e due insegne.
Coh. 119/4.
Coli. Recamier (già Colson de Noyon, anticamente Fontana).
Si ignora l'ubicazione attuale.
Francesco Gnecchi.
L'EPOCA DEL PROCONSOLATO IN ASIA
di C. ASINIO POLLIONE
e le leggende eponimiche sulle monete
Le leggende contenenti i nomi dei magistrati
locali sulle monete delle città, dei municipi e delle
colonie all'epoca dell'Impero romano, hanno una
grande importanza, come date eponimiche, per la
ricostruzione degli annali e delle singole costituzioni
interne, per la menzione dei proconsoli e legati im-
periali, e sono una fonte preziosa di notizie per il
ristabilimento dei fasti provinciali dell'Impero ro-
mano W. Tuttavia intorno ad alcune di esse, special-
mente di quelle riguardanti la numismatica della
provincia d'Asia, che il sommo Eckhel ha tentato
di elucidare, regna ancora molta oscurità ( 2 ). Sopra-
tutto le leggende al dativo, non sicuramente eponimi-
che, a mio vedere, offrono motivo a nuove riflessioni;
ed io penso, anche per i pochissimi esempì che se
ne incontrano, che esse debbano riferirsi ad un pe-
riodo posteriore all'esercizio della carica dei procon-
soli, degli asiarchi, degli arconti e di altre supreme
magistrature. Sarebbero da paragonarsi a quelle così
dette formule di dedicanza onoraria che si leggono
sulla specie greca, la cui natura è più quella di me-
daglie commemorative che di monete propriamente
(i) Lenormant Fr. La mannaie dans l'Antiquité, III, 113.
(2) Eckhel. Doclr. num. vtt., IV, 368-374.
47
366 GIOVANNI PANSA
dette, poiché non hanno mai avuto carattere mone-
tario o tutt'al più, come pensa il Lenormant (0, lo
hanno avuto in linea eccezionale. A questa categoria
apparterrebbero specialmente quei bronzi coloniali
con la testa divinizzata di Antinoo, destinati allo
scopo di onoranza postuma anziché all'uso di specie
circolante.
Sotto il titolo di « Un cas singulier d'abrasion
« et de surfrappe monétaire », il eh. Mowat, non è
molto, ha pubblicato uno studio sopra un curioso e raro
medio bronzo coloniale, appartenente alla Comunità
di Sardes (Lydia), con la primitiva epigrafe oblite-
rata e sostituita da un'altra ricordante un C. Asinio
Pollione, proconsole romano in Asia ( 2 ).
Precedentemente il dr. B. Pick, conservatore del
Medagliere Ducale di Gotha, aveva di quella moneta
fatto obietto di un accurato esame per la sua impor-
tanza in rapporto allo studio dell'antica tecnica mo-
netale. La moneta, tuttavia, era stata già nota al
Vaillant, al Morelli, all'Eckhel ed al Sanclemente, i
quali , quantunque inesattamente , la ricordano (3).
Trattasi d'uno dei soliti casi d'abrasione ovvero mar-
tellaggio di leggende monetali; con questo però di
singolare, che alle due intere leggende del diritto e
del rovescio furono sostituite altre due pure intere,
per tutta la periferia della moneta. Di solito il mar-
tellaggio o l'abrasione erano praticati sopra il solo
nome del principe, oppure del magistrato a cui ap-
parteneva la moneta; e quell'operazione derivava dal
fatto dell'indegnità o dell'infamia in cui erano incorsi,
dalla così detta damnatio memoriae, trattandosi spe-
(1) La mannaie, età, III, 135.
(2) Revtie Numtsmatique, IV Ser., t. VI. Paris, 1902, pag. 286 et suiv.
(3) Cfr. Musei Sanclementiani numisma/a selecta, etc. Romae, 1808,
Pars I, pag. 67 e seg.
l'epoca del proconsolato in asia 367
cialmente d'Imperatori romani W. Qui, invece, si è
in presenza di un nummo di carattere tutto diverso,
con le due primitive leggende abrase e riconiate
mediante un processo che consisteva nell'impiego
di due conii anulari, ossia vuoti nel mezzo, i quali
non offendono i tipi della parte centrale, mentre la ri-
coniazione avviene soltanto nella superficie circolare
in cui erano apposte le due iscrizioni.
Quale fu lo scopo, quali i fini per cui venne
praticata quella strana sostituzione ?
Nel suo stato primitivo il medio bronzo, di cui
ci occupiamo, risponde alla seguente descrizione:
& — APOYIOI KAI TEPMANIKOI KAIIAPEI NEOI 0EOI
4>IAAAEAOI Druso e Germanico laureati, in
toga, seduti a sin., l'uno accanto all'altro, in due
sedie curuli. Il secondo, che sta più indietro, ha
un lituo nella mano destra, ch'è protesa.
9 — Eni ÀPXIEPEHI ÀAEEANAPOY KAEANOI IAPAIA-
NflN, attorno ad una corona di quercia, nell'in-
terno della quale si legge, in due linee, KOINOY
AIIAZ (■).
(1) Cfr. Movvat R. Martelage et abrasion des monnaies sous l'Empire
romain fin Revue Nuntism., IV ser., t. V, 1901, pagg. 443471).
(2) Nell'esemplare appartenuto alla collezione Waddington il titolo
il Apxiepeouc manca (Babelon E. Inveiti, de la collect. Waddington. Paris,
1897, n - 5 2 37); così P llre in quello ricordato dal Boutkowski nel suo
Petit Mionnel de poche (Berlin, 1889, deux.» part. e , pag. 324). Si tratterà
certamente di uno sbaglio, perchè tutti e nove gli esemplari che esi-
stono nel Gabinetto delle medaglie di Parigi, dei quali, per cortesia del
signor Dieudonné, ho potuto avere i calchi, hanno quel titolo. Così pure,
l'esemplare della mia collezione.
368
GIOVANNI PANSA
In seguito all'abrasione, una leggenda identica
a quella obliterata fu sostituita nel diritto; ed al ro-
vescio un'altra leggenda nuova prese il posto della
prima, ed è la seguente :
TAin AIINNin nOAAIfìNI ANeYTTÀTn.
Come vedesi, questa moneta fu coniata per ono-
rare la memoria di Druso Cesare, figlio di Tiberio,
e quella del cugino Germanico, figlio di Nerone
Druso, durante il sommo sacerdozio di Alessandro
figlio di Cleone. Secondo il Waddington, il C. Asinio
Pollione della leggenda ribattuta sarebbe figliuolo di
quel C. Asinio Gallo che sposò una Vipsania Agrip-
pina, ripudiata da Tiberio, e che, condannato a morte
da costui, morì nell'anno 33 d. C. 0). Ma la moneta,
egli soggiunge, non potette essere coniata sotto Ti-
berio, perchè questi avea fatto perire Germanico ;
né è supponibile che concedesse il proconsolato di
Asia a C. Asinio Pollione, il cui padre avea con-
dannato a morte. La data della coniazione va dun-
que rimandata all'anno primo dell'impero di Cali-
gola, essendo Tiberio morto il 16 marzo del 37 ;
quindi l'anno proconsolare di C. Asinio Pollione
dev'essere il 37-38.
Cronologicamente la congettura del Waddington
non presenta difficoltà. Ne presenta, invece, dal punto
(1) Waddington W. H. Fasles des Provinces Asiatiques de l'Empire
Romain, I.« part., Paris, 1872, pag. lai.
l'epoca dei. proconsolato in asia 369
di vista numismatico per la singolarità della doppia
coniazione, la quale, come si vedrà, ci conduce a
conclusioni diverse. Si tratta, anzi, di uno dei casi più
curiosi in cui la numismatica viene in soccorso della
storia, dove questa è oscura o manchevole.
Non è a dubitarsi che il nummo Sardiano e
tutti gli altri coniati dai municipi e dalle colonie in
onore di Druso e Germanico, sieno di carattere
commemorativo e quindi da rimandarsi ai primi anni
dell' impero di Caligola ( J ). Per regola generale, i
figli ed i nipoti degl'Imperatori cominciarono soltanto
sotto i Flavii a coniare monete per conto proprio
e parallelamente a quelle del padre. Di Germanico
non si conosce, all'infuori del denaro coniato in Ar-
menia in forza dei suoi poteri speciali ( 2) , che il solo
medio bronzo trionfale che il Senato gli fece coniare
in vita, dopo la riconquista da lui fatta delle insegne
di Varo tolte ai Germani <3). In queste monete, tutta-
via, non appare mai il suo ritratto. Tutti gli altri pezzi
di bronzo con l'effigie di Germanico sono comme-
morativi, battuti cioè sotto Caligola e Claudio. Col-
l'effigie di Druso parimenti furono battute monete
(1) Fanno riscontro al nummo sardiano quelli coniati a Laodicea
(Phrygia) ed a Pergamo (Mysia) in onore di Druso e Germanico
(Mionnet. Suppl. V, pag. 430, 944). Si conoscono, inoltre, alcune monete
di Smirne con le teste affrontate dei due Cesari e col rov. di Vesta»
altra avente nel dr. la testa di Druso (APOTEOSI KA1SAP) e nel rov. la
leggenda rKPMA.NIK.OS; KAISAP ribattuta sopra un'altra leggenda che
dice 1WI0S SEB...IMT... (Mionnet. Suppl. VI, pag. 330, 1635). Il Se-
stini (Lettere e Dissert. Nutnism., t. IX, pag. 44 e di continuaz., t. VI.
Firenze, 1819, pag. 65 e segg.), descrive ancora un pezzo con l'effigie
commemorativa di Druso e Germanico, coniato a Taba (Caria), che pure
faceva parte della provincia d'Asia. Altre monete postume di Druso e
Germanico sono pubblicate dal Lobbecke (in Zeitschrift fiir Nutnism.,
Bd. XII, pag. 347, n. 1, pi. XIV, f. 3).
(2) Cohen H. Descript '. des monti, frappces sous l'Empire, II edit., voi. I>
pag. 225, n. 6.
(3) Ivi, "• 7-
37Q
GIOVANNI TANSA
solo durante i due anni in cui, sotto Tiberio, fu as-
sociato alla potestà tribunizia.
Essenzialmente commemorativo, come abbiamo
detto, è il nummo sardiano coi due Cesari riuniti ;
ma esso non può ascriversi all'anno 37 d. C, secondo
afferma il Waddington. Trattandosi di una moneta
ribattuta in ambedue i lati mediante un processo di
riconiazione parziale, bisogna ritenere che prece-
dentemente, nel suo stato integro, avesse avuto corso
per un certo periodo di tempo, fino a quando almeno
durò la magistratura asiarcale di Alessandro di Cleone.
Supponendo ora che sia stato coniato nel primo anno
dell'impero di Caligola, la riconiazione è certamente
posteriore a quell'anno. L'epoca, dunque, del pro-
consolato di C. Asinio Pollione non può ricadere
nell'anno 37.
Ma vi sono ragioni anche più evidenti per con-
cludere che la menzione di C. Asinio Pollione sulle
monete di Sardes è soltanto commemorativa e non
eponimica, come ha creduto il Waddington, e che
quindi la data del proconsolato di lui debba essere
rimandata ad un periodo anteriore a quello del primo
anno dell'impero di Caligola.
Il diritto di battere moneta, tanto nelle provincie
imperiali che in quelle sottoposte alla giurisdizione
del Senato, sotto Augusto dipendeva dall'Imperatore,
mentre sotto Tiberio ed i successori poteva essere
accordato dal proconsole o legato imperiale della
provincia ('), al quale spettava il controllo sulla le-
galità o meno delle emissioni che si facevano. Però
(1) Mommsen-Blacas. Hist. de la monti, rom. Paris, 1873, voi. Ili,
P a g- 339 et suiv -
L EPOCA DEL PROCONSOLATO IN ASIA 37I
non bisogna credere che il nome di quei proconsoli
o legati sulle monete, specialmente dell'Asia e della
Siria, provi il loro diritto alla concessione della
zecca ( J ). Questo diritto apparteneva solo alle città, ed
i nomi dei proconsoli o legati non vi rappresentano
che semplici menzioni eponimiche. Così la formula
protocollare costituita da Eni o YTTO innanzi al genitivo,
dal genitivo assoluto o dal semplice nominativo con o
senza ivéSxxs, è relativa sempre all'epoca in cui fu
emessa la moneta, oppure alla elargizione che ne
facevano alle città quei magistrati eponimi, mai alla
giurisdizione che essi avrebbero potuto rappresen-
tare sulla zecca locale ( 2 ). Non vi ha finora esempio,
osserva il Lenormant, d'inframmettenza di quei ma-
gistrati imperiali sui diritti riguardanti la zecca delle
città e delle colonie (3).
« Nous laissons de coté (soggiunge) le rares
« exemples de légendes de monnaies de villes grcc-
« ques qui offrent un nom de proconsul au datif,
« par une formule de dédicace honorifique (4' ».
Questa dedicanza onorifica consisteva, il più delle
volte, nel semplice ricordo del nome del proconsole
o legato, dopo la morte. E si hanno esempì, tanto
sulle lapidi che sulle monete, di queste glorificazioni
postume.
Le città, come si è detto, erano libere di co-
niare monete; ma ciò non tolse che la grande de-
vozione verso i rappresentanti o legati imperiali
delle provincie le portasse a tributar loro, oltre quelli
(1) Mommsen-Blacas. Ivi, pag. 340, nota.
(2) Lenormant. La monnaie, II, 361; III, 93 et suiv., 115 et suiv.,
135 et suiv. Cfr. Reinach S. Traile d 'épigraphii grtcque. Paris, 1885,
pag. 348. Gilbert O. Handbuch dtr griech. Alterili., II, pag. 329 e segg.
Manca sinora uno studio sulle magistrature eponime tanto delle iscri-
zioni lapidarie che delle monete.
(3) Lenormant. Ivi, III, 133 et suiv.
(4) Lenormant. Ivi, II, 362.
372
GIOVANNI PANSA
della eponimia, anche altri titoli solenni. I quali
titoli, sotto la repubblica, arrivavano persino all'ere-
zione di templi a loro ricordo W. La legge stessa
autorizzava questi tributi di carattere divino ( 2 ).
Di tali esagerati onori, però, gl'imperatori fu-
rono gelosi, ed Augusto vi mise fine. Ma il diritto
d'effigie sulle monete rimase ed i proconsoli conti-
nuarono a valersene ponendovi in alcuni casi il loro
ritratto accanto a quello dello stesso imperatore ; e
quest'uso regnò a preferenza nelle due provincie d'Asia
e d'Africa(3). Però il diritto all'effigie dei viventi sulle
monete cessò sotto Tiberio, nell'anno 6 dell'Era vol-
gare (+), e fu mantenuto soltanto in alcune città e co-
lonie per i proconsoli, ma dopo morti, quasi per ono-
rarne la memoria. Queste glorificazioni postume così
ridotte non potevano più ingelosire il potere impe-
riale. Così ci appare sulle monete di Caesarea-Tralles
il ritratto di P. Veidius Pollio, l'amico d'Augusto, dopo
morto (5). Anzi, come ha notato il Von Sallet, queste
effigi commemorative erano generalmente apposte
sulle monete quasi subito dopo la morte di quel
proconsole o del personaggio di cui si voleva cele-
brare la ricordanza ( 6 ).
(1) Cfr. Mongault. Mem. de l'Acad. des Inscript. Anc. Ser. I, 353
et suiv. Waddington. Rev. Numism., 1867, pag. 104 et suiv.
(2) Cicer. Ad Quint. fra/., I, 1, 9.
(3) Sopra una moneta di Temnos si vede appunto l'effigie di C. Asinio
Gallo, padre di C. Asinio Pollione, di cui ci occupiamo, il quale fu pro-
console in Asia nell'anno 6 d. C. (Mionnet, Suppl. VI, pag. 41. Borghesi.
Ouvres, I, 179. Sestini. Lelt. Numism., IV, pag. 112. Head. Hist. Num.,
pag. 482. Waddington. Fastes, cit., pag. 94. Id. Mélanges de Numism.,
1867, 2" ser., pag. 145, 147). Così pure in un medio bronzo di Hierapolis
è riportata la testa di Fabio Massimo, proconsole d'Asia sotto Augusto
nell'anno 4 av. C. (Waddington. Mélang., cit., pag. 137 et suiv. Babelon.
Invent. de la collect. Waddington, n. 6142, pi. XI, fig. 24).
(4) Lenormant. Ivi, li, 335 et suiv. Muller L. Numism. de l'ancien
Afriquc. Suppl., pag. 43 et suiv.
(5) Pellerin. Mélanges, II, 6. Sestini. Lelt. e Disseti. Livorno, 1779,
t. Ili, pag. 63, n. 2.
(6) Von Sallet., in Zeilschr. fiìr Numis., III, pp. 136-139; IV, p. 198
l'epoca del proconsolato in asia 373
All'epoca di C. Asinio Pollione non s'incon-
trano più ritratti di proconsoli sulle monete e forse
l'onore postumo che ad essi era decretato, consi-
steva nel semplice ricordo del loro nome. A questo
concetto mi sembra informata la presenza del nummo
di Sardes con la espressa menzione di quel perso-
naggio al caso dativo.
Il dativo, nei pochissimi esempì che si cono-
scono, suppone una menzione onorifica e non costi-
tuisce una data eponimica, come da alcuni s'è cre-
duto. Così in una moneta aneddota coniata in Taba
(Caria) sotto Adriano, si trova nel rovescio una de-
dica dei Tabini a Traiano, il cui nome è espresso al
dativo ('). In due monete di Prusias ad Hypium s'incon-
tra la nota eponimica di Marco Plancio Varo procon-
sole (Eni fóAPKOY TTAÀNKIOY OYAPOY ÀNeYTTÀTOY); ma è
curioso che sul diritto di una di esse è posto il nome
di Vespasiano al nominativo, mentre sul diritto del-
l'altra quel nome è al dativo < 2) . Si desume da ciò
che la seconda delle monete fu coniata dallo stesso
proconsole, ma dopo avvenuta la morte di Vespasiano.
Non credo, tuttavia, che le città, le colonie ed
i municipi tributassero l'onore di quelle menzioni com-
memorative esclusivamente dopo la morte dei procon-
soli. Lo stesso, secondo me, doveva accadere anche
essendo in vita, ma dopo spirato il termine della
carica, che sotto l'Impero durava un solo anno
(Sveton. Aug., 47; Tacit. Annui, III, 58), quando
avessero rivestite qualità straordinarie per lustro e
dottrina, per grandi benemerenze e avessero per-
corso, con larga liberalità, il cursus honorum (3).
(1) Sestini. Lett. e ciiss. numism. di continuaz. Firenze, 1819, t. VI,
pag. 66.
(2) Sestini. Op. cit, t. VII, Firenze, 1820, pag. 58.
(3) Cfr. Lenormant. La monnaie, III, 138. I n. 251, 252 e 168 (Hie-
rocaesareia) del Suppl. di Mionnet hanno la leggenda ANH1TIATS2
48
374 GIOVANNI PANSA
A testimonianza di Plinio il giovane < J ) , il
noto poeta C. Silio Italico acquistò molta cele-
brità durante il proconsolato in Asia ; e tre città
come Smirne, Dorilaeum e Cotiaeum (Cutaia), conia-
rono monete in suo onore, accordandogli l' eponi-
mia e la menzione onorifica. Dorilaeum coniò moneta
sotto il nome di lui forse dopo il ritiro dal procon-
solato; infatti quel nome vi è apposto al dativo (2 ).
Cotiaeum, invece, appose il nome stesso sopra al-
cune sue monete al caso genitivo preceduto dalla
formola protocollare ETTI; segno manifesto che furono
coniate durante il proconsolato del poeta fe). Una
conferma a quanto abbiamo detto, del significato di-
verso delle due leggende al genitivo e al dativo, ci
offrono le monete di Smirne pure coniate a nome
di C. Silio Italico. Sopra alcune di queste monete, le
quali risalgono al tempo di Tito, si leggono promi-
scuamente la dedicanza onoraria al dativo e la data
eponimica al. genitivo, in questa maniera: UAAiKfl
AN9Y • Eni ioyaiai • Ar[PHNOi] CMYP (Heracles bibax) ;
oppure in quest'altra: ITAAIKfl • AN6 • ETTI • C • ArPHNOC •
ZMYP (4).
Queste monete coniate dalla Comunità di Smirne,
sotto il proconsolato di C. Giulio Agrone, in onore
di Silio Italico, dimostrano evidentemente che la leg-
genda eponimica al genitivo è cosa tutta differente
da quella onorifica al dativo.
K?OKI e sono evidentemente monete postume, coniate sotto Traiano
in memoria di un /. Ferox, com'è manifesto da un'altra moneta pure
coniata sotto Traiano che ne ricorda il nome. Di lui Plinio il giovane
{Litt., lib. II, u) dice ch'era " Vir rectus et sanctus „. Babelon. Invent.
de la Collect. Waddington, n. 5005.
(1) Litt., lib. Ili, 7.
(2) Sestini. Leti, e dissert. numism., di continuazione, t. IX (Firenze,
1820), pag. 74.
(3) Sestim. Ivi, t. Ili (Milano, 1817), pag. 113.
(4) Mionnet. Suppl. VI, 335, n. 1662.
L EPOCA DEL PROCONSOLATO IN ASIA 375
Del resto, nessuno fino ad oggi si era occupato
della questione dei titoli proconsolari al dativo nelle
monete coloniali. Lo stesso Lenormant, a cui devesi
lo studio più accurato delle iscrizioni eponimiche
sulla specie imperiale greca, rimanda, per quelle al
dativo, al lib. IV, cap. 2." della sua opera La mon-
naie dans l'antiquité. Disgraziatamente l'opera a quel
punto è rimasta interrotta.
A proposito dell'anno proconsolare di C. Asinio
Pollione, il Waddington ( J ) osserva: « Si le tour de
« C. Galba, consul en 22, était arrivé en 36, celui
« de Pollio, consul en 23, pouvait très-bien étre ar-
« rive en 37. Il gouverna donc l'Asie pendant l'année
u proconsulaire 37-38 ; Tibère était mort le 16
« mars 37 ».
Si è già detto per quale ragione il nummo
di Sardes non può appartenere all'anno primo del-
l'impero di Caligola. L'anno proconsolare di C. Asi-
nio Pollione va, dunque, rimandato ; ma nemmeno a
dopo quell'anno può essere fissato, per quelle stesse
difficoltà cronologiche che vi si oppongono a giudi-
zio del Waddington. Dovrà dunque risalire al tempo
di Tiberio, fra l'anno 23, epoca in cui fu console < 2 ),
e l'anno 30, quando il padre di lui, C. Asinio Gallo,
fu condannato a morte, non potendosi supporre che
dopo la condanna del padre, Tiberio avesse voluto
(1) Fastes, loc. cit.
(2) Da Augusto in poi le due sole provincie senatoriali d'Asia e
d'Africa furono riservate ai proconsoli, i quali avevano rivestito l'uf-
ficio di console. Ai proconsoli delle altre provincie invece bastava avere
esercitato in Roma la sola pretura (Dion. LUI, 13. Sveton. Aug., 47.
Plin. Hist. Nat., XIV, 22, 144). Per tale ragione, C. Asinio Pollione non
poteva essere eletto proconsole prima dell'anno 23, in cui fu console.
376
GIOVANNI PANSA
conferire la dignità di proconsole al figliuolo. La
menzione, dunque, di C. Asinio Pollione fatta dai
cittadini di Sardes al tempo di Caligola, è molto
posteriore alla morte di quel proconsole, del quale
eglino intesero celebrare la memoria, associandola a
quella di Druso e Germanico, che furono a lui cugini
per parte della madre Vipsania Agrippina W.
Il nummo di Sardes, per la sua speciale strut-
tura, apre l'adito a molte considerazioni. Il Pick, il
Mowat e l' Head ( 2 ) avevano sagacemente osservato
che l'obliterazione delle due leggende è dovuta al-
l'opera del bulino. L'esemplare, infatti, è stato dap-
prima raschiato parallelamente a tutta la dicitura
del bordo, rendendosi così più sottile lo spessore
della moneta; poscia è stato adattato fra i due conii
anulari, ma non con quella facilità con cui si co-
niava un pezzo qualunque; sibbene, con molta cau-
tela, avendosi cura che le prominenze centrali com-
baciassero con la parte vuota dei conii, ed i bordi
circolari abrasi con le nuove leggende scolpite nei
nuovi conii. Per fare le due operazioni del raschia-
mento col bulino e dell'adattamento al nuovo conio
anulare, occorreva certamente maggior tempo di
quello che si sarebbe impiegato adoperando un
conio interamente nuovo ; però il lavoro era di
gran lunga minore. Com'è noto, i conii si rompevano
con molta facilità e bisognava rifarli spesso. Gli
antichi dovettero, senza dubbio, bilanciare le difficoltà
che si sarebbero incontrate nelle due operazioni,
in quella cioè del raschiamento delle due leggende
e della costruzione del conio parziale ed in quella di
rifare un conio interamente nuovo.
(i) Waddington. Ftis/es, cit., § 58.
(2) (.citai, of the Britisli. Mus. (Lydia), 1901, pag. 252, n. 106-109,
pi. XXVI, f. 5.
l'epoca del proconsolato in asia 377
È evidente che la prima operazione è meno
difficile e più conveniente della seconda, giacche il
tempo che si perdeva nella raschiatura delle due
leggende (operazione facile e materiale) veniva lar-
gamente compensato da quello minore che s'impie-
gava nella lavorazione d'un conio parziale, con le
sole lettere e senza le figure. Questo fatto ne con-
ferma anche dell'abbondanza del numerario sotto-
posto alla riconiazione parziale, perchè con un nu-
merario ridotto non sarebbe valsa la pena di ricor-
rere a quello speciale artifizio, ma si sarebbe prov-
veduto a coniare un tipo di moneta del tutto nuovo.
Dalla sola abbondanza del numerario può ricavarsi
la spiegazione per cui gli antichi s'indussero ad
adottare il sistema più facile e sbrigativo , per
quanto antiestetico, di riconiare parzialmente le mo-
nete. E quell'abbondanza dovrà anche costituire una
prova, che la primitiva emissione cioè con la nota epo-
nimica dell'asiarca Alessandro stette lungamente in
corso e che la leggenda sostituitavi, non eponimica,
è posteriore all'anno primo dell'impero di Caligola.
Per siffatti motivi, l'anno del proconsolato di
C. Asinio non può rimandarsi al 37-38, ma va fis-
sato fra l'anno 23 e il 30.
In tutta la numismatica greca imperiale, come
abbiamo veduto, l'eponimia è contrassegnata dalle
tre specie di leggende: al genitivo, con o senza la
preposizione, al nominativo, col supposto àvé^ws, c
al dativo. Queste tre formule, diremo protocollari,
rappresentano, non v'ha dubbio, tre concetti diversi
e precisi, che non è presumibile si confondessero
fra loro. Abbiamo esaminato il caso di qualche mo-
neta coniata sotto uno stesso proconsolato, ma con
due diciture al dativo e al genitivo ; così pure,
quello di monete che adottano contemporaneamente
i due casi per esprimere due fatti diversi, la nota
eponimica e la dedicanza onoraria.
378
GIOVANNI PANSA
Da tutto ciò si deve concludere che se i citta-
dini di Sardes avessero voluto dare alla leggenda
che ricorda C. Asinio Pollione il significato eponi-
mico, avrebbero continuato a servirsi della forma
genitivale che vi era prima, sostituendo semplice-
mente il nome del proconsole a quello dell'asiarca;
e tutto questo, allo scopo di non ingenerare dubbio e
confusione.
Quale fosse stato poi il motivo per cui i Sardiani
abrasero sulle monete la leggenda ricordante il
sommo sacerdote Alessandro di Cleone, per sostituirvi
quella di C. Asinio Pollione, non si può giudicare.
1 casi d'obliterazione di leggende tanto sulle la-
pidi che sulle monete, riflettono generalmente la
condanna all' infamia. A tale proposito va notato che
oltre a Sardes, città della Lydia, parte della pro-
vincia proconsolare d'Asia, anche altre sette città
della stessa provincia offrono monete abrase o mar-
tellate , come Sylandos (Lydia). Cibyra (Phrygia),
Stratoniceia (Caria), Ephesus (Jonia), Smyrne (Jonia),
Pergamus (Mysia) e Perperene (Mysia) (*). Ma siffatte
obliterazioni avvengono soltanto sul nome degl'Im-
peratori , dei Cesari o dei loro ministri, mai su
quello dei magistrati locali; sono parziali e non in-
tere come quella del nummo di Sardes, che costi-
tuisce fino ad oggi il primo e l'unico esempio.
Giovanni Pansa.
(i) Mowat. In Rev. Numis., cit., t. VI, 1902, pag. 289.
Della moneta paparina del Patrimonio di
S. Pietro in Tuscia e delle zecche
di Viterbo e Montefiascone.
PARTE PRIMA.
Il Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, sulla fine
del XII secolo, era costituito da tutta la regione che
aveva per confini al N. la Toscana, ad E. il Tevere,
al S. il ducato o distretto di Roma, ad O. il mare;
o meglio, da tutto il territorio compreso fra il Te-
vere, il Paglia, la Flora ed il mare. Il Patrimonio di
Tuscia fu però amministrativamente considerato come
una divisione dello stato ecclesiastico solo al tempo
di Innocenzo III (1198-1216), e definitivamente costi-
tuito regnante Onorio III (1216-1227) (I ).
I distretti di Amelia, Terni, Narni, Rieti e la
terra degli Arnolfi fecero anch'essi parte del Patri-
monio, ma solo amministrativamente.
I comuni maggiori erano Viterbo, Orte, Corneto,
Orvieto ed Acquapendente ; venivano poi Sutri, Ve-
tralla, Bolsena, Toscanella, Gradoli, Valentano, Bas-
sano, Montefiascone, Civitavecchia, Civitacastellana,
Nepi, ecc.
(1) Per maggiori notizie sulla costituzione del patrimonio vedi l'ec-
cellente lavoro del prof. Calisse : Costituzione del Patrimonio di S. Pirtro
in Tuscia (Archivio della R. Società Romana di Storia Patria, 1892,
xv . Pag- 55, e segg.).
3«°
EDOARDO MARTINORI
Il Patrimonio era soggetto, come le altre Pro-
vincie della chiesa, al Rettore ed agli ufficiali che
ne componevano la Curia.
La nomina di questi spettava al Pontefice che
qualche volta nominava un vice-Rettore.
Un tesoriere era incaricato di riscuotere i tri-
buti e di fare i pagamenti alla Camera apostolica.
I registri che questi ufficiali ci hanno lasciato costi-
tuiscono la fonte delle maggiori notizie che si hanno
sulle vicende del governo di questo Patrimonio.
Il Rettore e la Curia hanno risieduto quasi
sempre, specie dopo la traslazione della Sede apo-
stolica in Avignone, in Montefiascone, luogo ben
munito, e, solo verso la metà del XIV secolo, Be-
nedetto XII accolse la domanda dei Viterbesi che
il Rettore dovesse fare, almeno per qualche tempo,
residenza nella loro città. Viterbo infatti si poteva
considerare come la capitale di quella regione e ad
intervalli vi si recavano anche i Pontefici con la
loro corte e vi si trasportava il governo e la Curia
pontificia. Ma le varie vicende, cui le fazioni rende-
vano soggetta la città ed il continuo pericolo per la
sicurezza degli ufficiali papali, consigliavano una re-
sidenza più tranquilla ed in località più facilmente
difendibile.
Prima di entrare a parlare della moneta che i
Pontefici fecero coniare espressamente per aver corso
in questo Patrimonio, e delle altre coniate in Viterbo
ed in Montefiascone, nei vari periodi di quel go-
verno, non sarà inutile dare un rapido cenno delle
vicende che, dalla metà del XIII secolo, subì il Pa-
trimonio fino al ritorno della Santa Sede in Roma
da Avignone.
Abbiamo già detto come la costituzione di questo
Patrimonio si debba a Innocenzo III. Questo ponte-
fice nel settembre del 1207 tenne in Viterbo un con-
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 381
cilio (0 al quale intervennero tutti i Vescovi, Abbati,
Conti, Baroni, Podestà e Consoli delle varie Pro-
vincie del Patrimonio, nonché del ducato di Spoleto
e della Marca di Ancona ; ed in questa riunione di
tutti i rappresentanti civili e religiosi della chiesa,
pose per la prima volta le basi della costituzione
politica dello Stato pontificio, e gittò le fondamenta
dell'autorità papale in tutti i domini di S. Pietro.
Prepose al governo delle provincie i Rettori Aposto-
lici con giurisdizione di supremi giudici di appello
presso i quali tutti i comuni dello Stato dovessero
sottoporre le loro controversie.
Un primo atto che ci rivela la costituzione ef-
fettiva di questo Patrimonio, fu quello col quale
Onorio III nel 1227 vi nomina a Rettore, o meglio
a suo vicario, Giovanni di Brienne, re titolare di
Gerusalemme, che era venuto a domandare aiuto e
protezione al Pontefice, il quale, nella speranza di
averlo propizio agli interessi della Chiesa contro Fe-
derico li, che al di Brienne aveva usurpato il titolo,
lo nominò a quell'ufficio e gli concesse in appan-
naggio tutte le terre del Patrimonio da Viterbo a
Montefiascone. Il successore di Onorio, Gregorio IX
vi nominò nel 1234, a Rettore e Capitano delle mi-
lizie papali, il Cardinale Capocci, che si pose a capo
di una potente reazione contro Federico all' intento
di frenarne le conquiste specie nei possessi della
Chiesa.
Distolse Viterbo sua patria dalla fede all'impe-
ratore e vi compiè e diresse quella splendida difesa
che fu uno dei più interessanti episodi delle guerre
di quell'età ( 2 >.
Quando papa Innocenzo IV nel 1244 si ricoverò
(1) Pinzi C. Storia della città di Viterbo (voi. I, pag. 248). Roma 1887.
(2) Pinzi, op. cit., pag. 376 e segg.
49
082 EDOARDO MARTINORI
in Lione per pronunciare in quel famoso concilio la
deposizione di Federico, il Capocci rimase Legato
papale nella Tuscia. Morto Federico nel 1250 il Car-
dinale mosse, in qualità di Legato Pontificio, a ricu-
perare tutti i domini della chiesa, spazzarli dai Te-
deschi e nel T251 ridusse la provincia del Patrimonio
sotto l'ubbidienza papale.
Viterbo, che nel 1240 aveva accolto con grande
entusiasmo Federico II fra le sue mura ed aveva
ottenuto da questo imperatore grandi concessioni e
privilegi, fra cui quello di coniare moneta (del quale
parleremo in seguito nel discorrere della zecca), nel
1251 emana il proprio statuto, dopo instaurata la
concordia cittadina, ed aver fatto omaggio ad Inno-
cenzo IV, che di buon grado concede una generale
amnistia e l'assoluzione di tutte le censure nelle
quali era incorsa la città quando patteggiava per
Federico C 1 ).
Nel 1257 papa Alessandro IV, che era succe-
duto fin dal 1254 a Innocenzo IV, malsicuro in Roma,
venne a trapiantare la Sede papale in Viterbo, ini-
ziando in questa città una nuova fase di incremento
cittadino, che segnò l'apogeo della sua floridezza
medioevale < 2 '. Ed è in questa circostanza che il co-
mune profittò del privilegio concessogli da Federico
per iniziare la coniazione del denaro che chiamossi
Vilerbino.
In Viterbo nel 1261 ebbe luogo la incoronazione
di Urbano IV che nell'estate del 1262 si portò in
Montefiascone « Castellania papale ricca allora di
« ben mille casipole che si stendeva in una grossa
« borgata dalla Pieve di San Flaviano alla sommità
(1) Nel 1255 troviamo a Rettore un Dominus Leo, e nel 1256 L. For-
tebraccio di Panicale.
(2) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 57.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 383
« della collina. L'amenità e la fortezza del sito, l' in-
u cantevole vista che s'apria d'ogni intorno, il do-
« minar che esso faceva sul sottoposto lago e su
u quell'ampie distese di terre confinate dai Cimini,
« dalla lontana marina e dai monti di Castro, invo-
« gliarono Urbano a rizzare colassi: una munita cit- '
« tadella che stesse a guardia a nella contrada, e fosse
« stanza ad un tempo e baluardo dei Rettori Papali
« posti a sorvegliare la provincia » ( J ).
Nel 1262 nominò a Rettore Guiscardo di Pie-
trasanta. Costrusse anche una rocca nell'isola Bisen-
tina, che volle dal suo nome si chiamasse isola Ur-
bana; nome che per altro non le rimase. Ricondusse
la terra degli Arnolfi, sulla quale gli Spoletini ave-
vano poste le mani, sotto il demanio della Chiesa e
sotto il governo del Patrimonio di S. Pietro in Tu-
scia. Ricuperò Marta, riscattò Valentano dalla Si-
gnoria di Pandolfo Capocci ed ingiunse ai Viter-
besi di rompere la loro alleanza con Todi e con
Spoleto a lui ribelli, ed a vendicare l'uccisione del
Rettore Guiscardo avvenuta per mani dei Signori
di Bisenzo {2) .
Ma mentre Urbano era in travaglio per le ri-
balderie dei Baroni e le protervie dei comuni delle
sue terre, ben più gravi danni lo minacciavano ; la
fazione ghibellina montava in superbia per l'avan-
zarsi di Manfredi, mentre egli, esausto l'erario, non
osava scendere in campo. Il partito guelfo era sco-
rato ; ed a lui non rimase altra risorsa che ricorrere
alla corte di Francia e nel 1262 inviò a Carlo, mi-
nore fratello di Luigi IX, il suo notaio Alberto, per
offrirgli senz'altro la corona di Sicilia, in compenso
dell'aiuto, che avrebbe dovuto prestargli, contro i
nemici della Chiesa.
(1) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 94.
(2) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 88 e segg.
384
EDOARDO MARTINOR1
Entra ora sulla scena la famiglia dei Prefetti
Di Vico, potenti signori e baroni; dei quali darò
più ampia notizia in seguito quando illustrerò alcune
monete da loro coniate nella zecca di Viterbo.
Pietro Di Vico, il quarto di questo nome, figlio
dell'altro Pietro, cui Urbano aveva tolto Marta da
lui usurpata alla Chiesa, si era ribellato al Papa ed
erasi schierato fra i fautori ed amici di Manfredi; e
raccolti i ghibellini del Lazio e della Tuscia, li in-
focava di speranze, e si erigeva a loro capo, mi-
rando alla conquista delle terre del Patrimonio. Il
Papa, in attesa dell'oste liberatrice che gli doveva
giungere di Francia, bandì la crociata contro il
Di Vico, e chiamò i fedeli in armi sotto il gonfa-
lone della Chiesa. Pandolfo Conte d'Anguillara si
pose a capo dei guelfi del Patrimonio, e presto venne
alle mani col suo odiato rivale. Non starò a rifare
la storia di tutto questo periodo turbolento e di tutte
le vicende che subirono i comuni ed i castelli del
Patrimonio. Citerò solo alcune date storiche.
Nell'aprile 1264 Pippione di Pietrasanta, Rettore
'del Patrimonio, e Nicolò di Ranuccio Signor di Far-
nese, danno l'assalto al castello di Ghezzo, lo diroc-
cano, ed uccidono uno dei baroni. Dal canto suo il
Di Vico, aiutato dalle milizie tedesche inviategli da
Manfredi, assedia Sutri, la prende ma non riesce a
tenerla; che il Cantelmi, vicario di Carlo d'Angiò,
piomba rapidissimo sopra la città, la riprende, e co-
stringe il Di Vico a fuggire nel suo castello sul
lago di questo nome.
Quivi fu assediato dalle milizie papali, che per
altro dopo pochi dì rinunciarono all'assedio e fecero
ritorno in Roma.
Il Di Vico, appena si vide libero, raggranellate
le reliquie dei Tedeschi, che, dopo la rotta di Sutri
si erano sparsi per le terre vicine, si precipitò su
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 385
Pandolfo dell' Anguillara, che con forte nerbo di sol-
datesche, speditegli da Roma, era venuto a dargli
battaglia nei pressi di Vetralla. La vittoria sorrise
al Di Vico, e fatto prigione Pandolfo e non pochi
nobili romani, li trascinò prigioni alle sue rocche.
Ciò avvenne nell'agosto del 1264 (0.
Urbano, all'annuncio di quel disastro, depose
ogni speranza di più tenere il Patrimonio. Domandò
soccorsi a Narni, a Perugia, a Todi, ad Assisi ed a
Spoleto; ma non ebbe che ripulse. Orvieto stesso,
ove risiedeva, gli divenne ostile e lo costrinse a ri-
fuggiarsi in Perugia. Quivi lo colse la morte il 2 ot-
tobre dello stesso anno.
Con la fine di Urbano IV e la venuta di Carlo
in Roma , le sorti del Patrimonio cominciarono
a volgersi a profitto del nuovo Pontefice Cle-
mente IV.
Pietro Di Vico, appena veduta arridere la for-
tuna alle audacie del Provenzale, rimutò fede ed
amici. Sollecitò la grazia di Carlo, e si sottomise a
Clemente, giurando al Rettore del Patrimonio fedeltà
e soggezione. Lo troviamo poi all'assalto di S. Ger-
mano, ove rischiò la vita combattendo fra le schiere
dei Francesi. Clemente, non revocando in dubbio la
sua conversione, gli concede in feudo i Castelli di
Civitavecchia e di Bieda, per l'annuo censo di dieci
bisanti d'oro ( 3) .
Viterbo e le terre del Patrimonio nelle contese
(1) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 124.
(2) I bisanti d'oro erano moneta che si cominciò a coniare, come
rivela la parola, in Costantinopoli e fino dai tempi di Costantino. Il loro
valore non si mantenne sempre eguale e secondo il Catalani (v. Za-
netti, Monete e zecche d'Italia, toni. Ili, pag. 141) sulla fine del XII se-
colo valevano ciascuno a6 paoli circa, cioè lire italiane 13,90 circa. —
Lo Zanetti poi al tomo II, pag. 379 ce ne da una distesa notizia. Desta
meraviglia vedere ancora sulla fine del XIII secolo valutare i censi in
moneta da tanto tempo fuori di corso.
3*
liOOARDO MARTINOR1
di Carlo d'Angiò con Manfredi cercarono di mante-
nersi neutrali.
Dopo la morte dello Svevo, e le fortune del-
l'Angioino, Clemente IV temè che questi avesse delle
velleità di conquista anche sulle terre del Patrimonio,
e si affrettò a raggiungere Viterbo (30 aprile 1266).
Da questa città scrisse a Carlo, intimandogli di di-
mettere l'ufficio di Senatore di Roma, come da patti
stabiliti già dal suo predecessore. Ai primi di aprile
del 1267 avvenne in Viterbo un incontro dell'An-
gioino con il Papa, che gli concesse il vicariato nel
governo di Toscana. Nello stesso tempo Clemente
emana una bolla a tutti i comuni del Patrimonio in-
giungendo loro di non dare ascolto ai comandi di
Arrigo di Castiglia, che dalla fazione ghibellina era
stato nominato Senatore di Roma, ed ambiva alla
conquista del Patrimonio. Nel settembre dello stesso
anno Arrigo prende Sutri ed assedia Vetralla. Carlo
torna in Viterbo nell'aprile del 1268 e si pone d'ac-
cordo col Pontefice per tentare un colpo di mano
su Roma. Ma le milizie di Carlo furono sconfitte ed
egli da Viterbo se ne partì pel reame di Napoli.
Pietro Di Vico lo troviamo ora dalla parte di
Arrigo alla battaglia contro gli Angioini, mentre
Pandolfo dell'Anguillara rifa la sua comparsa fra le
milizie guelfe che erano accorse in aiuto di Carlo.
Avvenuta la sconfitta di queste ultime a Ponte
a Valle sull'Arno, per opera di Corradino, che era
sceso in Italia a vendicare Manfredi, le popolazioni
del Patrimonio si misero in trepidazione e a grande
stento il Papa riusciva a tenersele fedeli.
Il 22 luglio 1268 si videro da Viterbo balenare
le prime schiere di Corradino, che però passarono
oltre e, per Vetralla, Sutri e Monterosi, giunsero in
due giorni alla vista di Roma.
Corradino entrò in città il 24 luglio 1268, e
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 387
pose stanza in Laterano, ricevuto festosamente dal
popolo romano. Ne ripartì il 18 agosto ed il 23 di
questo mese fu sconfìtto a Tagliacozzo.
Clemente muore in Viterbo il 29 ottobre. Dopo
33 mesi di interregno, fu eletto Papa Tedaldo Vi-
sconti di Piacenza, che prese il nome di Gregorio X.
Parlerò più diffusamente di questo famoso interregno,
in seguito, illustrando la moneta paparino, che fu
coniata in quel periodo di tempo.
La nuova conversione di Pietro Di Vico al
partito ghibellino gli fu fatale. Alla battaglia di Ta-
gliacozzo, ove combatteva per Corradino, fu ferito
a morte e, condotto prima in Roma poi al Castello
di Vico, rimutò amici e fede, e morì fra vescovi e
frati, dopo aver ricevuto l'assoluzione dall'anatema
e dalle censure, grazie a buone lascite fatte alla
Chiesa per la redenzione dell'anima sua. Ordinò, in
un codicillo del suo testamento, di fare del suo corpo
sette brani a detestazione dei sette peccati mortali
o vizi capitali dei quali si era macchiato in vita |J ).
Carlo d'Angiò re di Sicilia torna in Viterbo l'u
marzo del 1271 con Filippo IH re di Francia, che
riconduceva in patria le ossa di suo padre Luigi IX
morto sotto le mura di Tunisi.
Gregorio X che, quando fu eletto, trovavasi in
Siria, appena giunto in Italia si recò difilato in Vi-
terbo, donde l'i 1 marzo 1272 partì per recarsi in
Roma a ricevere la tiara. Durante il suo pontificato
nessun fatto notevole avvenne nel Patrimonio. Da
Viterbo il papa si condusse a Lione per tenervi un
Concilio, nel quale fra le altre cose riconobbe Ro-
dolfo d'Absburgo a re dei Romani e gli pose sul
capo la corona di Carlomagno.
Ritornato in Italia nel 1275 morì in Arezzo nel
(1) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 261
388 EDOARDO MARTINORI
gennaio 1276, ed i Cardinali, adunatisi in questa città
gli diedero tosto a successore Pietro di Tarantasia,
che si fece chiamare Innocenzo V. Breve fu la du-
rata di questo pontificato. Il Papa, giunto in Roma,
vi moriva ai 22 giugno dello stesso anno 1276.
Nel conclave che ne seguì, Carlo si era prefisso
far collocare sul soglio pontificio un Papa francese,
ma non vi riuscì. Invece fu eletto il genovese Car-
dinale di S. Adriano, Ottobono del Fiesco, che prese
il nome di Adriano V. Ma anche questo Papa dopo
39 giorni di pontificato, senza essere stato nemmeno
incoronato, nella estate, morì in Viterbo, ove erasi
recato per fuggire la canicola di Roma.
Gli successe Giovanni XXI, al secolo Pietro di
Giuliano Card, vescovo di Ostia e Velletri. Questo
pontefice si era fatto costruire una residenza sul pa-
lazzo Episcopale di Viterbo ; ma sfortuna volle che
la stanza, nella quale egli aveva preso alloggio,
crollasse d' improvviso, e lo travolgesse fra le ma-
cerie uccidendolo dopo soli 8 mesi di regno. Ciò
avvenne il io maggio 1277 ('). Nel novembre dello
stesso anno fu eletto Papa Giovanni Gaetano Orsini,
romano, col nome di Nicolò III. Grandi furono le
feste colle quali lo ricevettero i romani (che da
60 anni non avevano più acclamato un Papa citta-
dino) con dispetto dei Viterbesi i quali si vedevano
disertare la loro città dalla corte, e perder tanti lucri
e benefici.
Si studiarono per altro i Viterbesi di facilitarne
il ritorno almeno nella stagione estiva offrendo alla
Corte vantaggiate condizioni ( 2) .
Viterbo godeva tutti i privilegi del comune fi-
li) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 344.
(2) Pinzi, op. cit, voi. II, pag. 354 e segg. e Theiner, Codex dipi., ecc.
Doc. 359.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 389
bero ; ed il potere politico del Papa non era che ap-
parente. Ciò si arguisce dalle concessioni, che per
mero interesse s' inducevano i Viterbesi a fare alla
Curia papale, concessioni d' indole politica, come
quella di dare esecuzione alle bolle contro gli ere-
tici, di nominare podestà consoli e altri funzionari
timorati di Dio e ligi alla Chiesa, nonché d' indole
economica, rimettendosi al vescovo per stabilire i
prezzi degli alloggi e delle derrate. Si obbligavano
i Viterbesi a munire le strade e risarcire i danni di
ladroneggi o malefici, e ad allontanare dalla città le
meretrici ed i lenoni.
Una speciale concessione, della quale non mi è
dato conoscere la ragione, era quella di togliere
dalla circolazione la moneta così detta paparino, (*),
della quale è parola in questo mio lavoro e che non
potrei spiegare altrimenti che a causa del deprezza-
mento avvenuto o delle falsificazioni che ne fossero
state fatte. Correvano invero molte specie di monete
nelle terre del Patrimonio, ma quella che rappresen-
tava l'autorità della Chiesa era propriamente la pa-
parino,, e la sua proscrizione non comprendo come
potesse servire a contentare il pontefice e la curia.
Ma' di ciò in seguito.
Nicolò III accettò di buon grado l'invito dei Vi-
terbesi e ratificò le concessione che questi gli ave-
vano fatte.
Da Viterbo il Pontefice bandì la celebre costi-
tuzione, nella quale si affermò per la prima volta
con la solennità di un decreto papale e con lin-
guaggio reciso, il diritto dei pontefici su Roma.
I Romani lo elessero senatore a vita, ed egli
nominò suo vicario il fratello Matteo Orsini, mentre
(1) Vedi un estratto del docum. in appendice, doc. 2.
5"
39°
EDOARDO MARTINORI
Orso, altro fratello, era stato insignito dell'ufficio di
Podestà in Viterbo.
Quest'ultimo, profittando della sua posizione e
col favore del Papa, cominciò ad allungare le mani
sopra alcuni castelli del versante dei Cimini, sui
quali Viterbo vantava diritti di signoria. Spogliò i
Signori di Soriano del loro feudo, ed il Papa, fat-
tane a lui l'investitura, nell'estate del 1279 vi si recò
a villeggiare. Vi ritornò nell'agosto del 1280 ma,
fulminato da apoplessia, vi lasciò la vita.
I Cardinali si adunarono in Viterbo per l'ele-
zione del nuovo pontefice, e Carlo d'Angiò vi corse
ancora una volta per ottenere che si eleggesse un
Papa francese. Gli riuscì facilmente a far deporre il
Podestà Orso ed a nominare a quell'ufficio Riccardo
degli Annibaldi, suo partigiano, il quale, postosi al
fianco come capitano del popolo Visconte Gatti di
Raniero, si piantò con gran sussiego a custode del
conclave. Nello stesso tempo fu ingiunto agli Orsini
che, come Cardinali, ne facevano parte, di restituire
Soriano ai loro legittimi proprietari, i Guastapane.
Ed in seguito all'opposizione che gli Orsini facevano
a queste ingiunzioni, il popolo li oppresse di contu-
melie e d'insulti e li fece prigionieri.
Sgominata così la fazione degli Orsini, riuscì a
Carlo di far nominare a pontefice Simone de Brion
Card, di S. Cecilia, francese, che tolse il nome di
Martino IV.
II nuovo Papa non volle perdonare ai Viterbesi
le violenze fatte ai cardinali di parte Orsini, quan-
tunque la sua elezione si dovesse alla fazione op-
posta, ma il grave insulto fatto al conclave non do-
veva andare impunito; che Martino scagliò l'anatema,
condannando Viterbo all' interdetto ecclesiastico.
Appena eletto non potendo recarsi in Roma,
essendo questa città in scompiglio per la rivalità tra
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMOTIO DI S. PIETRO 39I
gli Annibaldeschi e gli Orsini, si portò, accompa-
gnato da Carlo, in Orvieto, ove ebbe luogo la sua
incoronazione il 23 marzo 1281.
I Viterbesi esacerbati per la dipartita della Curia
e per la durezza del Papa contro la loro città, si
rivolsero a Pietro Di Vico, figlio dell'altro Pietro
morto nel 1268.
Questo rampollo della famiglia dei Prefetti, ne-
mico giurato degli Orsini e cupido di ricuperare al-
cuni castelli aviti, concordò con il comune un'alleanza.
Furono aperte subito le ostilità contro i patrizi della
città, e fu eletto un gonfaloniere del popolo nella
persona di Pietro di Valle. Si scese a battaglia nelle
vie di Viterbo e da quel dì cominciò l'era di lotte,
di tirannie e di odi cittadini, che funestò per due
secoli le terre del Patrimonio.
Martino IV si recò di sovente in Montefia-
scone, ove, per maggior sicurezza della Curia e
del Rettore del Patrimonio, ampliò la rocca ed il
palazzo.
Possiamo fin d'ora considerare questo castello
come vero baluardo del Patrimonio di S. Pietro in
Tuscia, se non come capitale, che era sempre vir-
tualmente la città di Viterbo. Ma l'ambita autonomia
ed il desiderio di libertà, che animava quel popolo,
vi rendeva troppo malsicura la dimora della Curia
e della ufficialità pontificia, che finì per stabilirsi de-
finitivamente in Montefiascone.
Avvenuta la morte di Martino IV e l'elezione
di Onorio IV Savelli (15 maggio 1285), i Viterbesi
cercarono rappacificarsi con la Chiesa e l'ottennero,
ma a duri patti. Oltre all'obbligo di distruggere le
mura e le torri della città, i Viterbesi furono costretti
a reintegrare nei loro castelli gli Orsini, rinunciare
alla libera elezione del Podestà, perdere il privilegio
del mero e misto imperio, e subire un processo, nel
392
EDOARDO MARTINORI
quale furono implicati tutti i cittadini accusati di ec-
cessi specie durante il conclave del 1281.
Anche Roma, l'eterna nemica dei Viterbesi, dopo
morto Onorio IV (3 aprilo 1287), ed eletto Giovanni
d'Ascoli (22 febbraio 1288) al soglio pontifìcio, col
nome di Nicolò IV, cercò di ridurre a vassallaggio
la città ed il distretto di Viterbo; ma essendo ri-
corsi i Viterbesi al papa, questi diede loro ragione;
e ricordando come la loro città appartenesse di di-
ritto alla Chiesa, l'incoraggiò nella ripulsa alle pre-
tese del Senato romano.
Fu bandita la guerra. Questa riuscì molto po-
polare fra i romani, i quali non potevano perdonare'
ai Viterbesi l'aver nei tempi passati dato sempre ri-
fugio ai papi ogni qualvolta erano stati discacciati
da Roma, e l'aver ostacolato l'annessione della Tu-
scia al ducato romano. Ma nell'assedio posto alla
città di Viterbo le milizie romane perdettero molti
capitani e nobili patrizi; i quali, fatti prigionieri in
una sortita degli assediati furono dalla plebaglia bar-
baramente uccisi. I Romani dovettero accontentarsi
di dare il guasto alle campagne ; e, ricchi di bottino,
fecero ritorno in Roma, ove la perdita di tanti baldi
giovani appartenenti al fiore della cittadinanza rin-
carò l'odio ed affermò il proposito di radere al suolo
la città nemica.
Nicolò IV, a por termine alle contese, nella sua
carica di Senatore di Roma comandò ai Viterbesi
di venire ad un accomodamento, e, temperando le
pretese dei Romani, ottenne, bene o male, la paci-
ficazione fra le due rivali. Viterbo dovette pagare
grandi taglie per l'uccisione dei nobili romani e per
la rifazione dei danni, e giurare vassallaggio a Roma.
Il Papa fece aggiungere nel trattato di pace la clau-
sola: salvo il vassallaggio e la fedeltà dovuta alla Chiesa.
Così i Viterbesi dovettero, e ben di mala voglia,
DELLA MONETA PAPAR1NA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 39^
acconciarsi alle bizze di due padroni eternamente in
lotta fra di loro, il Papa ed il popolo di Roma l 1 ).
Sul principio dell'anno 1292 una coalizione di
tutte le corporazioni delle Arti rovesciò e rimutò
per intiero l'ordinamento municipale di Viterbo; e
primo atto del governo popolare fu l'ampliamento
dei confini settentrionali del distretto del Comune.
Anche Orvieto volle ridurre alla sua soggezione al-
cune terre del Patrimonio; quelle cioè che si trova-
vano sul lago di Bolsena e che andavano sotto il
nome di Valdilago.
Nicolò IV era morto nel 1292; ed i Cardinali
divisi in due fazioni, adunati a conclave in Perugia,
scrissero ai Viterbesi perchè si preparassero ad
aiutare con un esercito il Rettore del Patrimonio a
scacciare gli Orvietani dalle terre e dai Castelli, che
avevano occupati.
Dopo 27 mesi di dissenzioni, i Cardinali, non
essendosi potuti accordare sopra la scelta di uno di
loro, elessero l'eremita di Monte Morrone e lo in-
signirono della carica di pontefice, coronandolo il
24 agosto 1294 in Aquila, col nome di Celestino V.
Ma il Santo anacoreta desioso della pace e della
solitudine dopo soli cinque mesi di pontificato fece
« il gran rifiuto » ed abdicò.
Benedetto Cattaui gli successe col nome di Bo-
nifacio Vili. Ad un umile fraticello subentrava nel
governo della Chiesa un uomo scaltro, di note ten-
denze teocratiche, di propositi tenaci, di grande dot-
trina e talento diplomatico, quantunque violento e
superlativamente altero < 2 '.
I Viterbesi accolsero con gioia l'annuncio di
questa elezione. Il Caetani era notoriamente bene-
(1) Pinzi, op. cit., voi. II, pag. 467, doc. in nota.
(2) Pinzi, op. cit., voi. Ili, pag. 14.
394
EDOARDO MARTINORI
volo alla loro città, ove aveva fatto dimora da pro-
tonotario apostolico al tempo che la Curia vi si era
insediata sotto Nicolò III ed in altre circostanze suc-
cessive. Ricordavano con orgoglio essere stato lui
a venire in soccorso dell'erario del comune quando,
nel 1291, dovettero pagare le forti taglie imposte
dai Romani. Il Cardinale diede in prestito, in quella
occasione, ben 8500 fiorini d'oro ( 1] . Bonifacio non
smentì la fiducia che in lui riponevano i Viterbesi.
Egli ottenne subito la pace con i nobili banditi dai
popolari « pena la testa a chi rompesse detta
pace » (2 ); e dagli Orsini, specie dal vecchio Car-
dinale Matteo che aveva subito villanie e prigionia
al conclave del 1281, piena rimissione degli eccessi
commessi contro di lui e della sua casa (3). Final-
mente ai 4 febbraio 1296 Bonifacio emise una bolla
di arbitraggio che risolveva la questione dei possessi
degli Orsini e dei diritti dei Viterbesi.
Dagli Orvietani ottenne la restituzione delle
terre di Valdilago, blandendoli e facendo sperare
il trasferimento della corte papale nella loro città,
iniziandovi la costruzione del palazzo papale e
portandovisi realmente a risiedere nel giugno del
1297 (4).
Non è mio compito narrare le tumultuose vi-
cende di questo pontificato. Per ciò che riguarda il
Patrimonio ricordo la cooperazione prestata al Papa
dai Viterbesi colle milizie proprie contro i Colonnesi
e contro Nepi.
Le milizie, che in quell'epoca andavano ad in-
grossare quelle pontificie, erano composte di nobili,
combattenti a cavallo, e di popolani, a piedi, sotto
(1) Pinzi, op. cit., voi. Ili, pag. 15.
(2) Della Tuscia Cronache di Viterbo.
(3) Margarita di Viterbo, t. I, pag. 82.
(4) Luigi Fumi. // Palazzo Soliano o dei Papi in Orvieto. Roma, 1890.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 395
gli ordini di connestabili e di gonfalonieri in pieno
assetto di guerra con le insegne del Comune spie-
gate, ed a spese tutte del Comune stesso ; ed erano
vere prestazioni militari, che, come quella del fodero 1 * 1 ),
dell'omaggio della fedeltà, erano reclamate dai papi
con tutto il rigore feudale e sotto pena d'interdetto
e di gravissime ammende.
Per ricompensare i Viterbesi dell'aiuto presta-
togli, Bonifacio li assolvette dal pagamento della
taglia {tallia Tusciae) che pagavasi dai Comuni al
Rettore del Patrimonio per la sicurezza delle strade
e del territorio ( 2 ).
Ampliò il Pontefice i privilegi e le giurisdizioni
del Comune, proteggendolo inoltre dalle angherie
degli ufficiali papali.
Egli promulgò, il 20 gennaio 1299, una nuova
costituzione pel governo delle terre del Patrimonio,
che fu per molti anni il codice civile di tutte le città
della Tuscia.
In questa costituzione oltre stabilire le varie at-
tribuzioni degli ufficiali e dei Podestà, si leggifera
contro la falsificazione della moneta e si stabilisce
la dimora del rettore nella rocca e palazzo di Monte-
fiascone fe).
La via Cassia, questa grande arteria che da
Roma portava in Toscana, traversava per lungo
il territorio del Patrimonio, ed era frequentatissima
in tutti i periodi dell'anno.
(1) Il fodero o fodro era un'antica forma di regalia o tributo di man-
tenimento dovuto agli imperatori ed alle corti di accompagno nel pas-
saggio a traverso feudi o città.
(2) Vedi il riparto di questa taglia nei Comuni del Patrimonio, in
Fabre, Un registrt canterai du Card. Albornoz nei Melanges d'Hist. et
Arch., P. II, doc. n. 4.
(3) La copia autentica di questa costituzione esiste nell'Archivio
comunale di Viterbo (pergamena n 310), ed è più completa ed esatta
di quella pubblicata dal Theiner nel suo codice diplom. doc. 528. Pinzi,
op. cit., pag. 33.
396
EDOARDO MARTI NOR1
Il via vai de' romei, per il famoso giubileo del
1300, fu di grande vantaggio per i Viterbesi e per
quei di Montefiascone. Il Rettore del Patrimonio W
fece erigere le forche sulla via verso Viterbo, per
mettere timore ai malandrini che infestavano la con-
trada, ed il colle, ora di Monte Arminio, ha conser-
vato per molto tempo il nome di Poggio delle
Forche 12) .
Ma nemmeno in questo periodo di grande pro-
sperità per tutte le terre del Patrimonio vennero
meno le ribellioni e le defezioni alla Chiesa. Le mi-
lizie Viterbesi dovettero unirsi all'esercito del Ret-
tore per spegnere le sollevazioni di Bagnorea e dello
stesso Montefiascone mentre la città di Toscanella
veniva dai Romani aggiogata alla signoria del Cam-
pidoglio.
La morte di Bonifacio, avvenuta in Roma 1' ti
ottobre del 1303 poco dopo l'aggressione subita in
Anagni per opera del proscritto Sciarra Colonna e
dei baroni del Lazio, non destò alcun rimpianto,
come in Roma, così nelle terre del Patrimonio da
lui beneficate. A ciò contribuirono certamente le
calunnie sparse sul suo capo dai numerosi nemici,
che la sua indole superba gli aveva procacciati, dalle
quali non riuscì interamente a purgarlo neppur la
odierna critica storica.
Nicolò Boccasini da Treviso, uomo pio e di na-
tura mite, raccolse i suffragi dei Cardinali riuniti in
conclave a Roma, e fu eletto Papa il 1." novembre
col nome di Benedetto XI.
Erano corsi pochi giorni dalla sua assunzione
al pontificato che già Roma, il Patrimonio e la Cam-
pania si erano riempiti di turbolenti faziosi. Gli Or-
(1) Era rettore del Patrimonio il Card. Teodorico di Orvieto.
(2) Pinzi, op. cit., pag. 37.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 397
sini spadroneggiavano nel Vaticano, i Caetani ane-
lavano a vendetta, i Colonnesi si preparavano a rien-
trare minacciosi contro gli uni e contro gli altri,
per rivendicare i loro castelli e le terre confiscate
da Bonifacio. Nel Patrimonio durante il breve pon-
tificato di Benedetto XI nessun fatto notevole si pro-
dusse all' infuori dell'invio, per parte del Pontefice,
in Viterbo, dell'inquisitore domenicano fra Consiglio
degli Amfanelli incaricato di riassumere i processi di
eresia, e riferire onde provvedere agli interessi della
fede.
Benedetto mal sicuro in Roma, per Viterbo e
Montefiascone, ove dimorò qualche giorno nell'aprile
del 130-1, riparò a Perugia; e quivi morì il 7 luglio
di quello stesso anno, non senza il sospetto di es-
sere stato avvelenato per opera dei Cardinali Orsini
e Le Maine o dello stesso Filippo il Bello, perchè
ritenuti responsabili dal Papa, benché velatamente
nella sua bolla di scomunica per il misfatto di
Anagni (').
Nel periodo del lungo conclave per la nomina
del nuovo Papa, le ostilità fra le varie fazioni si ac-
cesero più vive che mai. e quando si seppe che
l'eletto di Perugia Bertrando de Got si era fatto in-
coronare in Lione, col nome di Clemente V (14 no-
vembre, 1305) ed invece di venir in Italia, aveva
chiamato in Francia la Curia ed i Cardinali, il par-
tito ghibellino alzò la testa e si sentì pienamente
padrone nei Comuni, abbandonandosi alle più audaci
speranze.
I Viterbesi per dare un governo più forte e
compatto alla loro repubblica avevano sostituito a
Stefano Colonna, loro Capitano e Podestà, divenuto
Senatore di Roma, il concittadino Pietro de Gatti,
(1) Tosti, Storia di Bonifacio Vili. II, 232, Roma, 1886.
39»
EDOARDO MARTINORI
detto Messcr Guercio, il quale prese il titolo finora
mai usato di Difensore del Comune e del popolo
oltre a quello di Rettore e Governatore, iniziando
la serie dei piccoli tiranni Viterbesi <".
Clemente V aveva intanto pensato a provve-
dere provincie; e, come aveva inviato a Roma due
suoi vicari O), nominò un cavaliere francese, tal Ama-
nevo di Labreto, a Rettore del Patrimonio. Sulla
dominazione pontificia in questa provincia, durante
il periodo della dimora della S. Sede in Avignone,
ha scritto un interessante memoria il chiaro autore
M. Antonelli, dalla quale ritraggo le principali no-
tizie sulle vicende che vi si riferiscono (3).
Avvenuta la partenza della Sede Apostolica da
Roma e dall'Italia, l'organizzazione politica del Pa-
trimonio rimase grandemente turbata. Tutto lo Stato
fu in rivolta e l'autorità papale ridotta quasi al nulla,
e quella dei Rettori e degli altri ufficiali di Curia,
quasi tutti venuti dalla Francia di null'altro curanti
che di ammassare denaro, divenne strumento di ti-
rannide provocando l'odio dei sudditi, ribellioni e
guerre.
La venuta in Italia di Enrico VII fece imbal-
danzire la fazione ghibellina; e l'anarchia raggiunse
il colmo. Montefiascone stesso, ove risiedeva la Curia,
il governo cioè del Patrimonio, fu preso di mira, e
vi fu attentato persino alla vita del Rettore.
Il 24 novembre del 131 5 un poderoso esercito
mosse da Orvieto contro Montefiascone per vendi-
carsi di quel Rettore , che per sue mire speciali
aveva prestato aiuto ai ghibellini in guerra con Ca-
(1) Pinzi, V. Ili, pag. 55.
(2) Theiner, 1. doc. 588.
(3) Antonelli M. Vicende della dominazione pontificia nel Patrimonio
di S. Pietro in Tuscia, ecc. Roma, a cura della R. Società romana di
Storia Patria, 1904.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 399
nino e con i Farnese, i quali si erano messi sotto
la protezione di quella città. Ne seguì un terribile
saccheggio alle case dei ghibellini e l'assedio della
rocca ove risiedeva il vicario ( J) , che poco mancò
non dovesse rendersi a discrezione. Manfredi Di Vico
e Sciarra Colonna a capo di una forte masnada di
ghibellini, per la maggior parte Viterbesi, vennero
in suo soccorso e posero in fuga gli Orvietani. È
degno di nota, come ben rileva l'Antonelli, il vedere
il rappresentante dell'autorità della Chiesa schierarsi
così apertamente contro i guelfi; e ciò perchè questi
maggiormente si opponevano alle sue angherie. Vi-
terbo ed il Di Vico ottennero in premio dal Vicario
la sottomissione di Montefiascone per la durata di
dieci anni. Ma la lotta continuò micidiale fra gli Or-
vietani ed i Viterbesi. Montefiascone fu di nuovo
saccheggiato, le terre orvietane devastate, molti ca-
stelli distrutti ; quasi tutto il Patrimonio fu per più
mesi in fiamme.
Il 21 giugno 131 7, esausti i contendenti, nel pa-
lazzo di Montefiascone fu stipulata una pace fra Vi-
terbo, Orvieto ed il Vicario di Coucy < 2) .
Dell'anarchia che regnò nel Patrimonio durante
il pontificato di Clemente V profittò il Senato ro-
mano per estendere la sua giurisdizione sopra al-
cuni comuni che appartenevano alla Chiesa.
Oltre a Toscanella, passarono dalla giurisdizione
della Curia a quella di Roma. Amelia, Porchiano,
Corneto e Sutri.
Messi romani giravano continuamente nelle terre
del Patrimonio per esigere tributi, e contro chi non
ubbidiva veniva spedito l'esercito a fare esecuzioni.
(1) Era vicario del Rettore, Bernardo di Coucy (Cucniaco). Il Ret-
tore Gagliardo di Falguières arcivescovo di Arles non risiedeva nella
provincia, ma governava per mezzo del suo vicario.
(2) Antonella, op. cit., pag. 362 e segg.
,00 EDOARDO MARTINORI
Nel 13x2 si presentavano a Montefiascone, a Mon-
talto, a Canino ed in altri luoghi della Maremma"».
Clemente V protestò ma i Romani non gli die-
dero ascolto. L'anarchia giunse al colmo. Corneto
nel T316 fece i suoi proventi della castellania di Ci-
vitavecchia (2) . Narni occupò Miranda sopra Terni.
Le guerre civili proruppero più fiere e le gare fra
i baroni desolarono quelle contrade ove più non era
che disordine, squallore e ruina.
Il successore, Giovanni XXII, si adoperò con
molta energia a ristabilire l'ordine e rialzare la de-
caduta autorità della Chiesa. Cambiò il Vicario e
spedì come Rettore Guglielmo Costa, suo cappellano
che assunse le redini del Patrimonio il giorno 30
ottobre 1317. Il primo nemico che il Costa cercò di
debellare fu Manfredo Di Vico capo del partito ghi-
bellino. Con l'aiuto degli Orvietani gli ritolse Gal-
lese, lo scacciò da Montalto e lo molestò negli aviti
castelli Di Vico, Giulianello e Bieda.
Contro altri potenti ghibellini combattè il nuòvo
Rettore con successo, e si diede anche a ripristinare
l'autorità della Chiesa ed il riconoscimento dell'alta
sovranità di essa in molti comuni e feudi, solleci-
tando dai morosi il pagamento dei censi arretrati.
Il Costa non potè compiere la sua opera restau-
ratrice, che morte lo colse il 3 settembre 1319.
Fu nominato a suo successore Guitto Farnese,
Vescovo di Orvieto, che appena entrato in carica
spedì al Pontefice una dettagliata relazione sullo stato
della provincia. Documento interessantissimo, dal
quale ricavansi tante preziose notizie non solo sullo
stato politico, ma anche su quello economico delle
(1) Antonelli, op. cit., pag. 365.
(2) Questa castellania pagava circa quattrocento libbre di paparini
al tesoriere del Patrimonio. Arch. Vai. Intr. et exit. Patr. n. II, A.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S PIETRO 4OI
terre del Patrimonio u) . Questa relazione è anche
documento gravissimo del decadimento della sovra-
nità pontificia in tutta la provincia avvenuto dopo
che la sede apostolica si era trasferita in Avignone.
Giovanni XXII volle correre energicamente ai
ripari ed emise bolle, annullò concessioni ; ma con
poco frutto. Le contese degli ambiziosi baroni non
avevano tregua; le gare tra i Bisenzo, i Farnese, i
Di Vico, i Capocci e gli Orsini infierivano sempre
più. ne riusciva al Pontefice condurre la pace fra i
discordi.
A premunirsi contro i ribelli Giovanni racco-
mandò la buona manutenzione delle rocche papali,
specie di quella di Montefiascone ; provvide contro
gli abusi e le malversazioni degli ufficiali di Curia
cambiando i tesorieri ed eleggendo alle cariche per-
sone amanti della giustizia e fedeli alla Chiesa.
Guitto Farnese non durò a lungo al governo,
e non furono risparmiate calunnie sul suo conto, nò
potè sottrarsi alla nomea di uomo venale ed inetto.
I ribelli ne profittarono; e tutti più o mòno rialza-
rono la testa e fecero man bassa sulle terre della
Chiesa; e molti luoghi si sottrassero alla obbedienza
di questa, negandole i diritti e le prestazioni.
Il nuovo Rettore Roberto d'Albarupe (t 323-1 329)
si diede a tutt'uomo a porre un riparo al disfaci-
mento del Patrimonio ; ed ottenne subito vari suc-
cessi, ricuperando castelli, componendo liti e riu-
scendo a porre concordia fra i contendenti. Ma
mentre spegneva un incendio altri se ne suscitavano.
Durante la sua assenza da Montefiascone per
l'impresa di Miranda, che occupavano i Narnesi a
(1) Antonelli. Una re/azione del incarto del Patrimonio a Gio-
vanni XX II in Avignone. Aichivio della R. Società romana di storia
patria, 1895, XVIII, pag. 447 e segg.
402
KDOARD0 MARTINORI
danno della Chiesa, Silvestro Gatti cercò afferrare
la Signoria di Viterbo ; ed avendo saccheggiato ed
arso Montegiove, appartenente agli Orvietani, per
vendicare l'uccisione di un suo figliuolo, ne seguì
una nuova e più aspra guerra fra Orvieto e Viterbo.
Tutto il Patrimonio riandava in fiamme. Viterbo da
quella campagna ebbe grandi guai e perdette Castel
Fiorentino che possedeva a N. O. di Montefiascone
e che fu raso al suolo (1 ).
L' impresa di Narni ebbe fine nel marzo del
1327 con la sottomissione della città.
La venuta del Bavaro fece sospendere le lotte
che si erano nuovamente accese fra il Gatti e Vi-
terbo da una parte. Orvieto ed il Rettore dall'altra
per il ricupero di Orchia e Ghezzo, asili di ribelli.
Ludovico iu accolto dappertutto con festa durante
il suo passaggio per recarsi in Roma a cingere la
corona imperiale (17 gennaio 1328J.
I ghibellini profittarono del passaggio delle mi-
lizie tedesche per dare unitamente a queste il sacco
alle terre ed ai castelli ancora devoti alla Chiesa,
specie nella Valdilago, ove Gradoli, Latera, Valen-
tano, furono letteralmente distrutti. Solo Bolsena il
cui presidio era stato rinforzato, resistette al loro urto.
Montefiascone si fortificò maggiormente, e tutte
le altre rocche del Patrimonio furono munite ed eb-
bero aumentato il loro presidio.
II Bavaro, nel suo ritorno, assediò Bolsena che
fortemente difesa dagli Orvietani e da Cataluccio di
Galasso di Bisenzo resistette anche questa volta ;
ma il territorio fu messo a sacco, e Borgo a Sesto,
lì vicino, fu completamente distrutto (2 ). Fallita l'im-
presa di Orvieto, partì alla volta di Todi che, ghi-
(1) V. Pinzi, op. eh., V. Ili, pag. 144.
(2) Antonelli, op. cit., pag. 262.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 403
bellina fervente lo accolse con entusiasmo e gli diede
la Signoria del comune, cui egli tenne per mezzo
di vicari. Partì quindi per Pisa lasciando nel Patri-
monio come suo rappresentante l'Antipapa, che aveva
fatto acclamare dal popolo romano, dopo aver pro-
nunciata la sentenza di deposizione di Giovanni XXII,
e che aveva preso il nome di Nicola V <'>. Anche
l' Imperatrice, che era rimasta in Viterbo, dopo pochi
mesi raggiunse con l'Antipapa l'Imperatore a Pisa* 2 ).
Il Capitano del Patrimonio si diede subito a ra-
dunare milizie per cacciare il Catti da Viterbo e ri-
stabilirvi il governo della Chiesa. Ma non fu che
dopo molti assalti e dopo che i Viterbesi, stanchi
dalla resistenza e perduta la speranza di aiuto per
parte dell' imperatore, che accingevasi ad abbando-
nare l'Italia, il io settembre 1329 si ribellarono al
Gatti, l'uccisero, ed aprirono trattative per avere la
pace. Il legato del Papa, Giovanni di S. Teodoro,
potè entrare in Viterbo, ove il popolo lo accolse
con esultanza; e Giovanni XXII con bolle del 15
febbraio 1330 riammise la città in grazia, e la pro-
sciolse dall'interdetto. Contemporaneamente avvenne
la sottomissione di Corneto e la riduzione delle terre
della Sabina e più tardi quella di Todi e di Amelia.
Ma dopo pochi mesi Viterbo era tornata alla
ribellione fomentata da Faziolo Di Vicu, l'uccisore
del Gatti. Anche i Todini rimbaldanziti nel 1332 ri-
presero a devastare la terra degli Arnolfi, sulla
quale avanzavano delle pretese. Amelia mosse in
armi contro Foce e fattovi strazio degli abitanti la
diede in preda alle fiamme. Questo stato di cose
alternato da ribellioni e sottomissioni, censure e in-
terdetti, remissioni e perdoni, durò ancora per molto
(1) Era questi un frate Minorità di nome Pietro Rainalucci di Corbara.
(2) 3 gennaio 1329.
4°4
EDOARDO MARTINOR1
tempo ; e non solo non accennò a cessare ma andò
sempre più peggiorando, e sulle rovine della domi-
nazione pontificia andava ad innalzarsi la potenza
vittoriosa dei Prefetti Di Vico.
Giovanni XXII era morto in Avignone nel 1334,
e Benedetto XII che gli era succeduto ben poco
potè ottenere per ricondurre il Patrimonio in un
assetto durevole di pace e tranquillità. Allo scopo
di avere Viterbo dalla sua, die facoltà al Rettore di
trasferirvi la sede del Patrimonio; ma non risulta
che questi l'abbia fatto. Orvieto, allo scopo di con-
durre nella propria città la Curia, elesse nel 1343
a Capitano del popolo il Rettore del Patrimonio
Bernardo del Lago, che ottenuto l'assenso del Pon-
tefice, vi si recò e vi. risiedette per circa un anno
e mezzo. Ma il malcontento della popolazione pel
vessatario governo degli ufficiali ecclesiastici fu esca
potente agli ambiziosi disegni di Giovanni Di Vico
e quando Clemente VI, succeduto a Benedetto XII,
si rallegrava con il detto Bernardo (lett. del 13 gen-
naio 1345) della fedeltà e della pace regnanti nel
Patrimonio, era ben lungi dall' immaginare che pro-
prio in quell'anno la dominazione della Chiesa do-
vesse precipitare sull'orlo della rovina.
Gli avvenimenti del reame di Napoli, fatali al
guelfismo, la morte di re Roberto, e con essa la ca-
duta della monarchia angioina, che era stata finora
il punto d'appoggio dello stato temporale della Chiesa,
misero i ghibellini in grande fermento specie in
Viterbo, ove, capitanati dal Di Vico, erano divenuti
potenti e manifestarono liberamente il loro entu-
siasmo ponendosi in aperto contrasto colla Chiesa.
Il Papa non potè opporre alle mire ambiziose di
Giovanni Di Vico che scomuniche e censure. Sulla
città fulminò 1' interdetto che ebbe ancora una volta
qualche effetto conducendo pel momento ad un ac-
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 405
cordo stipulato fra il Rettore ed il Prefetto al co-
minciare del 1347 (').
Entra ora in scena Cola di Rienzo, il tribuno
romano il quale, come aveva fatto con gli altri ba-
roni, ottenne dal Di Vico la sottomissione incondi-
zionata. Il Patrimonio passò sotto la protezione del
tribuno e Cola scrisse al Pontefice essere ciò avve-
nuto « onde liberarsi dalle angherie degli ufficiali
« ecclesiastici e dalla rabbia dei tiranni ». Il Pon-
tefice non tenne per buone queste ragioni; ed or-
dinò al Rettore Guiscardo di Comborino di fronteg-
giare in tutti i modi l'opera di Cola e di liberare il
Patrimonio, anche colle armi, dalla sua indebita in-
gerenza. Il tribuno cadde ; ed il Di Vico riprese la
sua opera per ottenere il dominio delle terre del
Patrimonio. Ai danni prodotti dalle lotte politiche si
aggiunsero per queste terre i flagelli naturali. La
famosa peste nera distrusse quasi due terzi degli
abitanti, e lo stesso Rettore Guiscardo ne mori il
16 luglio 1348, e, come ciò non bastasse, il 9 set-
tembre dell'anno successivo un violento terremoto
sconquassò la maggior parte della città e dei castelli
del Patrimonio. Ne soffersero specialmente Viterbo,
Orvieto, Onano, Toscanella e Tarano in Sabina, che
ebbero le mura, le torri e le rocche rase a terra.
Altro flagello si scatenò sul Patrimonio nel 1350,
l'anno stesso del giubileo, che si sperava avesse li-
berato quelle terre dagli influssi diabolici, quello cioè
delle bande del Guarnieri, le quali avevano già se-
minato la 'Campania di rovine. Il Di Vico si alleò
subito coli' invasore, e grandi furono le devastazioni
commesse i 2 ).
Scaduto il periodo di concordia fra il Prefetto
(1) La durata della concordia fu stipulata per anni 3.
(2) Antonelli, op.' cit., pag. 145.
406 EDOARDO MARTINORI
Di Vico e il Rettore del Patrimonio, quegli si diede
a consolidare la sua influenza ed a preparare il ter-
reno a future conquiste. Ma all'offensiva in campo
aperto il Di Vico preferiva quella occulta dell' in-
sidia e del tradimento. Non vi era città o terra ove
egli non contasse amici devoti pronti ad aprirgliene
le porte.
Col novembre del 1351 cominciò la serie dei
suoi successi; Orchia, l'Abbadia al Ponte e Montalto
sono occupate a tradimento; Canino e Marta cadono
in suo potere prima che finisca l'anno. Il Pontefice
invia soccorsi in danaro, e tutte le rendite del Pa-
trimonio vengono impiegate nella guerra. Si doman-
dano aiuti a Firenze, a Siena ed a Perugia. Roma
spedisce milizie contro Giovanni al comando di Gior-
dano Orsini, che, morto il Rettore Serra per una
caduta da cavallo, prende il governo della provincia.
Ma non ha ancora preso possesso di quell'ufficio
che il Prefetto favorito da fortunate circostanze ot-
tiene la signoria di Orvieto. L'Orsini domanda una
tregua, durante la quale il Di Vico non cessa di
stancare la vigilanza del Rettore.
Muore frattanto Clemente VI il 6 dicembre 1352;
ed a stento l'Orsini ottiene una proroga alla tregua.
Il nuovo Pontefice, Innocenzo VI, a restaurare la
sovranità pontifìcia in Italia, ricorre al Card. Egidio
Albornoz, e lo invia con estesissimi poteri nel 1353
nelle terre del Patrimonio, ove giunge il 20 di no-
vembre. Il Di Vico non si smarrisce e gli corre in-
contro in Orvieto per fargli riverenza. Ne profitta
il legato per concludere subito un accordo. Ma dura
poco la fede del Prefetto, che accortosi della debo-
lezza delle forze dell'Albornoz, ritira la parola ed
affila le armi per un duello finale.
Il consiglio di Orvieto riconferma la sua devo-
zione al Di Vico e si prepara a difendere la libertà
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 4O7
cittadina, minacciata dall'Albornoz. Questi comincia
collo scagliargli contro l'interdetto; e nel dicembre
espugna la rocca di Castello d'Agliano occupata dal
Prefetto. Ne segue l'assedio di Orvieto, e con l'aiuto
di milizie Senesi e Perugine attacca in vari punti
quelle del Di Vico. È un succedersi continuo di ca-
valcate e di offese; nelle quali il Di Vico prevale,
grazie alla miglior qualità delle sue milizie composte
in gran parte di Tedeschi.
Il Legato assolda genti in Lombardia, altre nella
Marca ; toglie per denaro ottanta delle migliori bar-
bute all'avversario e sollecita da Avignone i mezzi
necessari per approntare un grosso esercito e poter
condurre onorevolmente a termine la guerra. Mentre
Giovanni Orsini assedia Orvieto, viene snidato da
Latera Giovanni di Pistoia, uno dei migliori con-
dottieri del Di Vico, che opprimeva le terre della
Val di Lago. Presa Toscanella il Rettore ne ottiene
subito la sottomissione ('). Vengono egualmente ri-
cuperati alla Chiesa Graffignano, l'Abbadia al Ponte,
Montalto e Canino. La stella di Giovanni Di Vico
tramonta. Il Papa esulta alla nuova dei successi del
Legato e lo stimola alla totale disfatta del tiranno.
Si riesce persino a stornare Fra Moriale dal portarsi
ai servigi di Giovanni e non rimane che ricuperare
Corneto e Viterbo che vengono presi d'assalto nel
maggio 1354. Il Di Vico, vistosi perduto, si arrende
e conclude la pace coll'Albornoz consentendo al ri-
conoscimento della supremazia della Chiesa in Vi-
terbo e Corneto, ed alla restituzione di Orvieto al
Legato, che volle in questa circostanza eccedere
in mitezza accordando all'avversario tante agevola-
zioni e ricevendolo subito in grazia della Chiesa non
solo, ma allo scopo di allontanarlo da Viterbo, no-
minandolo Vicario di Corneto.
(1) Antonelli, op. cit., pag. 153.
_|.o8 EDOARDO MART1NORI
In Viterbo fu iniziata la costruzione di una rocca,
ove poi nel 1361 furono collocati gli uffici della
Curia del Patrimonio, e vi prese stanza il Rettore
soddisfacendo così ai voti tante volte espressi dai
Viterbesi, che videro la loro città perdere le prero-
gative di comune libero ed indipendente ma acqui-
stare quelle di capitale della ricostituita provincia.
La rocca di Montefiascone non fu abbandonata
del tutto. Urbano V comandò al Rettore di risiedervi
qualche tempo dell'anno ed egli stesso vi passò
l'estate del 1368 (»).
E qui dovrei far sosta nel narrare le vicende
del Patrimonio pel periodo che interessa il mio studio
sulle monete papaline. Ma volendo dire qualche cosa
anche su quelle che furono coniate in Viterbo dai
Di Vico, occorre che riassuma brevemente la storia
di questa famiglia ancora per qualche anno suc-
cessivo. Giovanni Di Vico non smentì il suo carat-
tere ambiguo e di fedifrago. Le sue ostilità con la
Chiesa durarono fino alla morte di lui avvenuta
nel 1366.
Il figlio Francesco che gli successe nella pre-
fettura di Roma seguì l'orme del padre. Partito
l'Albornoz dal Patrimonio, dopo di averlo ricondotto
sotto il governo della Chiesa, cominciarono ben
presto i malumori e le insurrezioni delle popolazioni,
specie contro gli ufficiali ed i funzionari prepotenti
e rapaci che vi aveva lasciati. Era Rettore Giordano
Orsini e Tesoriere Angiolo Tavernini che, quantunque
non stranieri, seguivano i medesimi sistemi di quelli
nel taglieggiare ed opprimere la provincia.
La venuta di Urbano V in Italia unì tutti i cuori
in un giubilo immenso, e fece tacere il malcontento
generale. Ma appena ripartito il Pontefice, il malu-
(1) Theiner, doc. 444, 445, 446, 447, 448, 449.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 4O9
more si accentuò. Legati e Vicari francesi che si
successero, continuando il sistema usato dai loro
predecessori, con angherie e con ingiustizie di ogni
sorta, misero a disperazione la provincia già dis-
sanguata da continue imposte di guerra.
Alla fine la misura fu colma e traboccò. Quando
Firenze al grido di libertà chiamò alla riscossa nel
1375 quanti si trovavano malcontenti del governo
dei Legati pontifici, tutte le città e le terre del Pa-
trimonio insorsero a cacciare gli ufficiali della Chiesa.
Prime Orte e Narni; Montefiascone. la fida cittadella
della Curia, si ribellò anche essa. Viterbo si diede
a Francesco Di Vico che introdottovisi nascostamente
il 18 novembre, si fece proclamare signore della
città (0.
Da Avignone, donde già era stato scagliato
sopra Firenze il più grande anatema che bocca di
pontefice abbia mai pronunciato, si fulminarono con-
danne contro il Di Vico ed i suoi fautori ( 2) .
La venuta di Gregorio XI ed il ritorno della
S. Sede in Roma non bastò a disarmare gli ostinati
ribelli. Il Di Vico con aiuti ricevuti da Firenze battè
i mercenari di Gregorio che lo precedevano nel suo
viaggio per Roma. Quivi giunto il 13 gennaio 1377
il Papa rinnovò subito contro di lui una bolla fie-
rissima di condanna, cui rispose Francesco con l'as-
salto a Montefiascone, l'occupazione di Bolsena e
facendo prigione il nepote del Papa, Raimondo di
Turena. Ma mossogli contro un esercito di Brettoni,
il Di Vico fu disfatto sotto Viterbo, mentre Bolsena
fu presa e saccheggiata (3).
(1) Antonelli. La dominazione pontificia nel Patrimonio negli ultimi
20 anni del periodo Avignonese in Arch. della R. Soc. Rom. di st. pat.,
XXX, MI, pag. 144.
(2) Antonelli, op. cit., pag. 148.
(3) Antonelli, op. cit., pag. 156.
410 EDOARDO MARTINORI
Alla fine fu stipulato ancora un accordo, e Gre-
gorio il 27 dicembre emanò bolle di assoluzione a
favore di Di Vico e dei Viterbesi dalle censure ec-
clesiastiche W. Ma nello scisma religioso, che seguì
l'elezione del nuovo Papa Urbano VI, Francesco pat-
teggiò pel Papa francese ( a ). Urbano eccitò i Viter-
besi a ribellarsi al Prefetto ed incarcerò in Roma la
moglie di lui, madonna Perna, ed egli di ricambio
fece prigioniero in Viterbo Pietruccio di Raniero
mandato dal Papa come ambasciatore ai Viterbesi;
si gittò quindi sui domini della Chiesa e cercò di
prendere a tradimento la città di Toscanella, ma non
vi riuscì te). La guerra continuò nel Patrimonio fra il
Di Vico coadiuvato dalle bande Brettoni inviategli
dai cardinali scismatici e le milizie fedeli ad Urbano
sorretto anche dai romani, gli eterni nemici di Viterbo.
Questa città si era data al Di Vico per sottrarsi
al malgoverno dei Rettori Papali ; ma si accorse
ben presto di essere ricorso ad un rimedio peggiore
del male.
Il Di Vico, natura proterva e repulsiva, come
la descrive il Pinzi, disprezzava ogni arte di governo
intesa a far parere men cruda la ferrea inesorabilità
del suo volere U).
Nell'aprile del 1385 avvenne l'assedio e la presa
della rocca di Montefiascone, che segnò l'apogeo
della sua potenza. Egli dominava, oltre che a Cor-
neto a Toscanella ed a Montalto, anche al di là dei
Cimini, in Civitacastellana, nella Sabina, nel ducato
spoletano e sulle città di Amelia e di Terni ( 5).
(1) V. Pinzi. Storia di Viterbo, III, pag. 392.
(2) Ne è una prova la moneta di Clemente VII coniata in Viterbo
e della quale parlerò nella seconda parte.
(3) Pinzi, op. cit., Ili, pag. 405.
(4) Pinzi, op. cit., Ili, pag. 421.
(5) Theiner, II, doc. 644. — Pinzi, op. cit., pag. 417, nota.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 4II
Urbano Vi, sottrattosi all'assedio di Nocera e
rifugiatosi a Genova (23 settembre 1385), nominò a
Vicario onde restaurare la sua sovranità nel Patri-
monio, Tommaso Orsini, detto il Cardinale di Ma-
nopello, con l'incarico di debellare il Di Vico e ri-
condurre tutte le terre da lui usurpate sotto il do-
minio della Chiesa.
Un primo successo ebbe l'Orsini col ricupero
di Montefiascone, seguito dalla uccisione del Prefetto.
Francesco si era rifugiato in Viterbo, ove insidiato
da congiure e odiato dal popolo per le sue esosità,
in una rivolta viene trascinato sulla piazza del co-
mune dopo essere stato trafitto dalla spada di uno
dei congiurati tal Angelo di Palino Tignosi (0.
Ciò avvenne l'8 maggio 1387.
Durante il periodo del suo dominio in Viterbo
abbiamo notizia certa aver Francesco Di Vico co-
niato moneta al suo nome come vedremo in seguito.
PARTE SECONDA.
Nel periodo, del quale abbiamo narrate le vi-
cende, i Papi fecero coniare nella provincia del Pa-
trimonio di S. Pietro una moneta, che doveva ser-
vire per le transazioni con i propri sudditi e correre
come moneta ufficiale in detta provincia. Questa per
distinguerla da quella che coniava il Senato romano
nella zecca di Roma, prese il nome di papalina o
paparino, cui si aggiunse « del Patrimonio » quando
i Pontefici ne fecero coniare allo stesso scopo nel
contado Venesino prima e poi nella città di Avignone.
Passando in rivista i rari autori che nei tempi
(1) Pinzi, op. cit., pag. 427.
AI2 EDOARDO MARTINOR1
andati si sono occupati della numismatica papale,
troviamo scarse e poco concludenti notizie intorno
a questa moneta; causa forse la mancanza di do-
cumenti e la deficienza di nozioni storiche riflettenti
quella provincia, che , come abbiamo veduto , fu
sempre funestata da turbolenze e ribellioni.
Lo Scilla (I ) ed il Fioravanti ^) non fanno pa-
rola di moneta papalina e, quando ne presentano il
tipo e lo descrivono, vagano nel regno delle ipotesi,
e ne traggono le più strane deduzioni. L'Argelati (3)
confessa di non poter dire di che moneta si tratti,
quid autem Papalina pecunia fuerit incompertum mihi
fateor e congettura possa essere moneta senatoriale
che abbia preso il nome dalla famiglia dei Paparoni.
Lo Zanetti ( 4) afferma trattarsi di moneta papale
coniata in Orvieto quando i Papi vi trasportarono
la loro residenza e specialmente sotto Urbano IV
dopo il 1261.
11 Cinagli (5), nel presentarci i tipi, attribuisce
a queste monete i nomi generici di grossi, grassetti,
mistura e rame, seguendo pedantemente le orme dello
Scilla e del Fioravanti.
Il Garampi, nella sua pregievole opera sulle
monete pontificie ( 6 ), fa un fugace accenno alla mo-
neta papalina presentandoci un primo documento che,
peraltro, si riferisce alla coniazione o meglio al corso
che questa moneta doveva avere nel contado Ve-
nesino nel 1302. Ma poca luce se ne può ricavare
sulla origine di questa moneta del Patrimonio, e solo
(1) Breve notizia delle monete pontificie. Roma, 1715.
(2) Antiqui romanorum pontificum DENARI, etc. Roma, 1738.
(3) De MONETIS Italiae, etc. Milano, 1750.
(4) Delle monde d'Italia, etc. T. Ili, pag. 264 (in nota 2521. Bolo-
gna, 1775-89.
(5) Le monete dei Papi, e/c. Fermo, 1848.
(6) Saggi di osservazioni, etc. Opera incompleta stampata verso il 1790.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 413
in una nota l'autore vi fa accenno CO. Riporto testual-
mente questa nota :
« paparinorvm: Cosa siano cotesti Paparini niuno
« è che lo sappia, scrive il sig. co. Carli, t. I, p. 391 ^ 2 >
« il quale inclinerebbe trarne la denominazione dal-
« l'antica famiglia Romana de Paperoni. Noi però,
« riserbando di trattare in altro luogo e tempo del
« giusto valore e ragguaglio della moneta Paparina,
« ci contenteremo di qui accennare, essersi primie-
« ramente così denominata la moneta che poco dopo
« la metà del XIII secolo, i Romani Pontefici fecero
« battere in Viterbo e nel Patrimonio di S. Pietro
« e che fu diversa affatto in valore dalla Provisina
« o Romana; e così essersi anche chiamata Papa-
ti ritta quella che fecero battere per uso dei loro
« propri sudditi nel Contado Venesino. Sicché la
« voce Paparina viene ad essere sinonima di Papa-
ti lina o Papakna come altrove enuncio ».
L'opera del Garampi rimasta incompleta, con
grande iattura dello studio sulle monete papali, per
la morte dell'autore, manca precisamente della terza
parte, nella quale doveva, come aveva promesso,
trattare della moneta minuta e perciò anche della
paparina.
Ai nostri giorni il Capobianchi, in un eccellente
lavoro sopra la moneta senatoriale '3) coniata in
Roma dal 1184 al 1439, non trascura di darci qual-
che notizia sulla moneta paparina, ma ne parla in-
di Garampi, op. cit. Appendice di documenti, Ili, pag. 7 e pag. 8,
nota 4.
(2) L'autore si riferisce all'opera di Carli-Rubbi Gianrinaldo inti-
tolata : Del commercio della moneta e dell'istituzioni- delle zecche d'Italia.
Venezia, 1751. Come si vede nella nota del Garampi, il Carli riporta
la stessa cervellottca opinione dell'Argelati.
(3) V. Capobianchi. Appunti per servire all'ordinamento delle monete
conia/e dal Senato di Roma, e/c. A cura della R. Società romana di
storia patria. Roma 1895.
53
414
EDOARDO MAKTINORI
cidentalmente, in una nota a pag. 8, quando (a pro-
posito della falsa interpretazione data alle sigle espri-
menti la voce papiensis lette erroneamente papalis)
dice che « l'attributo derivato dal titolo papa, come
« riferibile alla moneta, non comincia ad apparire che
u nella seconda metà del XIII secolo, per quella
u nuova specie che i papi principiarono allora a co-
li niare nel Patrimonio di S. Pietro, provincia sog-
« getta alla loro immediata giurisdizione, che perciò
« denom inossi moneta papalina » ed aggiunge con
molta avvedutezza, come « il segno speciale che do-
« veva distinguere quella moneta erano le due chiavi
« di S. Pietro poste in palo ».
A lui dobbiamo dunque la prima designazione
sicura di questa moneta. Infatti questo segno fregiò
tutte le monete battute nel Patrimonio di S. Pietro
durante la seconda metà del XIII secolo e buona
parte del XIV; e quelle coniate nel contado Vene-
sino ed in Avignone nel XIV e XV secolo.
Perciò che riguarda la località, ove i Pontefici
avevano impiantato la loro zecca nel Patrimonio,
vedremo come non sempre questa fosse stata aperta
in Viterbo, ma anche in Montefìascone, ove hanno
risieduto per molto tempo i Rettori di quella pro-
vincia.
Il Lisini, l'attuale benemerito conservatore del
R. Archivio di Siena, aveva già messo in sull'av-
viso i cultori della numismatica papale sulla impos-
sibilità nella quale si trovarono spesso gli ufficiali
della Curia di esercitare i loro poteri in Viterbo,
stante le continue ribellioni e defezioni di questa
città contro la chiesa che obbligavano la detta Curia
a ramingare in Montefìascone od Acquapendente (0.
Espresse così in succinto le opinioni di quanti
(i) Rassegna numismatica. Orbetello, 1904, pag. 22.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO
4'5
mi hanno preceduto nello studio di questa moneta
vediamo quale ordinamento debba darsi ai vari esem-
plari che se ne conoscono e che portando l'emblema
o il segno (,) del Patrimonio, come lo chiama il Ca-
(1) 11 segno delle due chiavi in palo lo ritroviamo in alcune monete
di Carlo d'Angiò [Poey d'Avant : Descriptìon des monnaies segneuriaks
francaises, eie, pag. 93, n. 533 (1853) e Monnaies feitdales de France
(1858), pag. 207, n. 1524 e 1525]. Le riproduco trovandoci un certo nesso
con le monete paparine sia del Patrimonio che del Contado Venesino.
B - - ■* : K REX SICILIE Due chiavi a palo.
91 — + : C ANDEGAVIE Croce con piccola corona ed un
giglio al secondo ed al quarto.
Arg. Denaro, gr. 0,92.
Lo stesso tipo e la identica leggenda.
Bill. Obolo. '
Il Poey d'Avant nel riprodurle non nasconde la sua meraviglia
nel trovare un cambiamento cosi brusco nella monetazione di Carlo
d'Angiò, ma non sa dirci ove e quando queste monete siano state co-
niate. Quel titolo peraltro di Rex Sicilie unito all'altro di Comes Ande-
gavie ci dice chiaramente come la coniazione di dette monete si debba
riportare ad un'epoca posteriore alla venuta di Carlo in Italia ed alla
sua investitura del reame di Sicilia. L'offerta di questo regno fu fatta
a Carlo la prima volta da Innocenzo IV nel 1254, ma non venne accet-
tata per l'opposizione della Francia (Gregorovius, II, pag. 878). Ur-
bano IV riprese le trattative nel 1262 e nell'anno seguente trattò con
Carlo sulle condizioni dell'investitura. Nel 1264 i Romani offrirono al
medesimo l'officio di Senatore e ciò all' insaputa e contro il volere del
Pontefice, che dovette fare di necessità virtù per non vedere quell'uf-
ficio cadere nelle mani di Pietro d'Aragona, col patto espresso, peraltro,
EDOARDO MARTINOR1
pobianchi, si debbono ritenere coniati nelle due zec-
cbe di esso cioè in Viterbo o in Montefìascone.
Cercheremo, alla stregua dei pochi documenti
che ci sono stati trasmessi o recentemente rinvenuti,
di precisare l' epoca e le circostanze della loro
emissione.
I» -- + SANCTVS PETRVS Testa barbuta e ricciuta del
Santo.
fy — + SANCTVS PETRVS Due chiavi a palo addossate,
con una crocetta in alto fra le medesime.
Arg. gr. 0,94 - 1,14. — Gabinetto Vaticano.
che Carlo rinunciasse alla durata vitalizia di quell'ufficio. Sulla fine del
1265 Clemente IV l' investì del regno di Sicilia, o meglio gli confermò
l'investitura, mentre i primi diplomi firmati da Carlo con quel titolo
datano dal luglio di quell'anno (Gregorovins, II, pag. 898, nota). Non
prima della fine del 1265 dobbiamo supporre coniate quelle monete, ed
evidentemente nel comitato d'Angiò, come lo dice il titolo del quale si
pregia. Il Capobianchi non stenterebbe a crederle coniate nel Patri-
monio, ma, esaminando bene il tipo, le lettere e lo stile ultramontano,
dobbiamo escludere affatto simile ipotesi, ed un'altra considerazione,
che ha pure il suo peso in tale ricerche, viene a provare si tratti di
moneta coniata fuori d'Italia; il fatto cioè che simili monete, specie il
denaro, siano comuni, cioè di facile rinvenimento, in Francia; mentre
non è a mia cognizione se ne siano mai ritrovate fra noi. Sulle monete
di Carlo d'Angiò coniate posteriormente alla sua investitura del regno
di Sicilia ha scritto una importante memoria il dotto numismatico fran-
cese Conte di Castellane dal titolo Le gi'os turttois de Charles d'Anjou
in Revtte numismatique, Paris, 1904, pag. 533.
Alle considerazioni del chiaro autore debbo aggiungere come le
due chiavi in palo che troviamo nelle monete col titolo di re di Sicilia
siano a dimostrare il vassallaggio di quel regno alla chiesa che Carlo
dovette riconoscere.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 417
Si sono occupati di questa moneta in vario senso
molti autori. Il De Magistris nella sua confutazione
dell'opera di Carlo Rubbi la vuole battuta da Gre-
gorio II « che fu il primo Papa che assunse il go-
« verno del Ducato Romano ». Il Fioravanti è me-
glio avvisato quando l'attribuisce al Patrimonio di
S. Pietro il cui capoluogo è la città di Viterbo, ma
anticipa di molto l'epoca della sua coniazione quando
crede doversi riportare a poco dopo che questa re-
gione fu regalata dalla Contessa Matilde a Gre-
gorio VII (»). Il Garampi, dal non trovare nella mo-
neta nome di Papa, argomenta possa essere stata
battuta in tempo di conclave od in assenza del Pon-
tefice da Roma o forse anche dagli stessi Romani.
E per ultimo il Capobianchi la crede anch'egli pro-
dotta dalla zecca di Viterbo regnante Papa Cle-
mente IV (1265-1271). Ma riflettendo, come anche
fece il Garampi, che vi manca il nome del Ponte-
fice trovo più plausibile il crederla coniata in periodo
di conclave, e forse in Viterbo capoluogo del Patri-
monio, posteriormente peraltro al 1268, trattandosi
certamente di grosso paparino, che nei documenti
comincia a comparire per la prima volta in un do-
cumento del 1269 ( 2 >. Vedremo come con tutta pro-
babilità nel lungo periodo del conclave che seguì
la morte di Clemente IV e che ebbe la durata di
trentatrè mesi, dal 19 novembre dell'anno 1268 al
(1) Non è dimostrato che fra i beni che la Contessa aveva in Tu-
scia fossero compresi quelli che costituivano in appresso il Patrimonio
di S. Pietro.
(2) Castelvecchio venne in potere del comune di Viterbo fin dal
1269 che l'aveva acquistato per il prezzo di 2100 libbre di paparini da
Rosicchiano e Bartoluzzo di Messer Guidone e da Gregoriuzzo di Por-
cello che ne erano Signori. Margarita di Viterbo, t. I, pag. 68 e Pinzi,
op. cit. V. Ili, pag. io. È questo il più antico documento che fa accenno
a questa specie di moneta.
418 EDOARDO MARTINORI
settembre del 1271, la zecca di Viterbo lavorò per
conto del Sacro Collegio ed emanò le prime monete
ufficiali del Patrimonio che presero il nome di pa-
parine.
Ho voluto peraltro mettere in forse che questo
grosso paparino possa essere stato coniato in Viterbo
per le seguenti ragioni.
I grossi ed i denari minuti o piccoli paparini
del Patrimonio portano sempre la leggenda PATRI-
MONIVM B. PETRI con leggere variazioni mentre la
moneta in questione porta la sola leggenda SANCTVS
PETRVS.
La fattura della moneta, nello stile della figura
e delle lettere, ricorda quella delle monete di Pro-
venza e specialmente di quelle coniate da Carlo
d'Angiò dopo il 1257, quando s'impadronì di Mar-
siglia ( l >, e non sarebbe temerario il supporre la detta
moneta coniata in qualche zecca provenzale e anche
nel Venesino in periodo di vacanza della S. Sede,
che potrebbe essere tanto la vacanza che corse dal
1268 al 1271, come qualche altra successiva.
Nella speranza che venga fuori dagli Archivi
Vaticani qualche documento che ci dia maggior luce
in proposito, lascio agli studiosi di esaminare il que-
sito, che per ora non ha sufficienti argomenti per la
sua definitiva risoluzione.
II peso (in media di un grammo) ed il titolo di
questa moneta sono pressoché eguali a quelli del
grosso coniato nel contado Venesino da Bonifa-
cio Vili ( 2 \ mentre i grossi paparini del Patrimonio
variano nel peso da gr. 1,70 a 1,65.
(1) Vedi i tipi in Poey d'Avant, Monnaies feudales de France, ta-
vola LXXXVIII, n. 16-19.
(2) Martin-ori. Zecca di Ponte della Sorga in Rivista Ilal. di Nu-
mismatica, 1907, pag. 215.
DELLA MONETA PAPAR1NA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 419
& — + PATRIMONIV Croce,
p — + BEATI PETRI Due chiavi a palo.
Grosso paparino, arg. gr. 1.700 - 1.250. — Gabinetto Vaticano. —
Coli. Martinori.
Leggenda come sopra.
Denaro paparino piccolo, mist. gr. 0.750 - 0,650 - 0,500. — Id., id.
Queste due monete non possono ingenerare al-
cun dubbio sulla loro attribuzione. Esse ci danno il
prototipo della moneta paparino, del Patrimonio ; ed
a noi non rimane che indagare e stabilire il luogo
e l'epoca della loro coniazione. Se si dovesse tener
conto del parere degli autori che le hanno pubbli-
cate, vedremmo come anche in questo caso esse
siano le più svariate ed inconsulte.
Il Fioravanti (I ) le crede coniate fin dal tempo
di Gregorio VII o di Pasquale II; alla fine cioè del-
l'undicesimo secolo « poco dopo la donazione della
« Contessa Matilde ». Lo Scilla |2) in mancanza di
argomenti le suppone emesse al tempo di Gio-
vanni XXII (1316-1334) « per essere somiglianti a
« quelle che portano il nome di questo pontefice ><;
ed il Cimigli ( 3), che, nel suo utilissimo lavoro di
(il Op. cit., pag. 4.
(2) Op. cit., pag. 200 e pag. 156, n. 3.
(3) Cin\, pag. 29, n. 11.
420 EDOARDO MARTINORI
descrizione di quante monete pontificie erano note
al suo tempo, segue le opinioni dei suoi predeces-
sori senza discuterle, riporta il denaro solo (che il
grosso gli era sconosciuto), attribuendolo a Gio-
vanni XXII e ciò sulla fede dello Scilla.
Non discuto l'opinione del Fioravanti basata
sull'erronea credenza che la Contessa Matilde pos-
sedesse fra le altre tutte le terre che vennero col
tempo a formare il Patrimonio di S. Pietro nella
Tuscia, e ne facesse dono a Gregorio VII. Basta il
rammentare come dalla fine del decimo secolo a
quella del tredicesimo i Papi non coniarono più mo-
neta, trovandosi la zecca di Roma in mano al Se-
nato romano che gelosamente la custodiva. Ne più
convincente è la deduzione dello Scilla.
Il Garampi ( : ), l'unica fonte attendibile per simili
ricerche, accennando alla moneta paparino, del Pa-
trimonio ci assicura essere stata coniata verso la fine
del tredicesimo secolo « in Viterbo o nel Patrimo-
nio »; e ce ne dà il valore dicendo come « \\ fiorino
« d'oro valse a moneta paparina del Patrimonio, circa
« l'anno 1270, soldi 25 ».
Anteriormente dunque a quest'anno va ricercata
l'epoca della coniazione della moneta paparina.
Il più antico documento che fra tante ricerche
mi è riuscito di trovare che si riferisca a pagamenti
fatti in tale moneta è un istromento di vendita fra
il Comune di Viterbo ed i proprietari del castello
di Castelvecchio dell'anno 1269 riportato nella Mar-
garita di Viterbo, pag. 67 e 68 e del quale ho fatto
già cenno indietro ( 2) .
Questa data ci riporta in un periodo storico di
grande importanza per Viterbo, non solo, ina anche
( t) Op. cit., appendice, doc. III.
(2) V. Nota 2, pag. 417.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 421
per il Papato; e vale la pena di svolgerlo con una
certa latitudine, portandoci indirettamente, ma con
qualche presunzione di verità, a conclusioni soddi-
sfacenti al nostro scopo.
Avvenuta la morte di Urbano IV in Perugia
nell'ottobre del 1264, fu eletto Papa il Card, francese
Guido Le Gross Fulcodi, che prese il nome di Cle-
mente IV. Nelle contese fra questo Papa patteggiante
per Carlo d'Angiò e Manfredi, Viterbo volle mante-
nersi neutrale ; lo che diede occasione al zelante
Rettore del Patrimonio Giovanni Franciosi, Cardi-
nale portuense, d'inveire e perseguitare quanti Vi-
terbesi credeva fautori della fazione ghibellina, pro-
cessando gli accusati di eresia, ridestando ire di
parte da lunga pezza sopite, e sollevando tumulti e
ribellioni da venirne alle mani persino nelle vie
della città.
In quei trambusti il partito guelfo ebbe la peg-
gio, ed i suoi partigiani, il Cardinale compreso, fu-
rono costretti a fuggire da Viterbo per non incor-
rere nella vendetta del popolo.
Clemente non gradì troppo lo zelo del suo Ret-
tore, che gli alienava gli animi dej suoi sudditi in
un momento nel quale si trovava in grandi imba-
razzi finanziari ed aveva il nemico d'appresso (I ).
Clemente IV, appena salito al trono aveva do-
vuto soddisfare le inesauribili domande di denaro,
che Carlo d'Angiò gli faceva ; ed aveva dato in pe-
gno per un prestito di oltre centomila libbre di
provisini tutti i beni della Chiesa l 2 ).
(1) Vedi l'Epistola di Clemente al Rettore del Patrimonio data da
Perugia il 18 agosto 1265, in Marlene. Thes. anecd., n. 137, t. II, pag. 190.
(2) È interessante e curioso il riassunto che il De Chevrier (Lcs
luttes des Papes et des Empereurs, t. Ili, lib. IX, pag. 176) ci dà dei de-
biti creati nel 1265 dal Papa con i banchieri fiorentini ed altri per sov-
54
422 EDUARDO MARTINOKI
Ma Carlo, non ancora contento, volle ingiun-
gere ai Viterbesi alcune prestazioni militari ed altri
tributi. A causa di queste pretese il Pontefice si af-
frettò ad ammonire l'Angioino ed a minacciarlo per-
sino di scomunica se non avesse cessato di vessare
i suoi fedeli sudditi, cui scrisse di non cedere per
verun conto a quelle ingiuste pretese.
Anzi, nella tema che, dopo preso possesso del
regno di Napoli, Carlo non volesse estendere le sue
mire ambiziose anche sul Patrimonio, decise trasfe-
rire la sede apostolica in Viterbo; e vi si portò con
tutta la sua corte il 30 aprile 1266,
Giova notare come fin dal marzo di questo anno
la zecca di Viterbo era aperta ed aveva dato com-
missione a tal Magistro Tagliapanc, zecchiero, di
coniare moneta grossa e minuta n \
In mezzo alle più grandi angustie ed assediato
dai creditori il Papa venne a morte il 29 novembre
1268, appena un mese dopo la tragica fine dell'in-
felice Corradino.
Fu, con molta probabilità, in questo scorcio di
tempo, durante il quale, il Papa fece dimora in Vi-
venire a Carlo d'Angiò ipotecando i beni della chiesa. Eccone il
prospetto :
Da Ugone di Giacomo, senese Lib. 7,000
„ Giacomo Riccomanno, fiorentino . . . „ 3,000
„ Bonav. di Bernardino, senese , 2,000
„ Bindo Galigai, perugino „ 1,000
„ Faccio Restano, senese , 20,000
„ Bonaguido Neri, fiorentino „ 4,000
„ Tomaso Spigliati, senese , 2,930
„ Perugino Cassini, fiorentino „ 3,000
„ Pietro di Casigliano, di Montpensier . „ 1,000
„ Bonaventura di Bernardo e soci, senesi „ 70,500
Totale Lib. 114,430
riportato dal Pinzi, op. cit., V. II, pag. 162.
(1) Vedi il documento, in Appendice, n. 1.
DELI A MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 423
terbo, che deve aver avuto il pensiero di ricorrere
alla zecca di Viterbo per emettere moneta e riparare
alla grande penuria nella quale egli si trovava e
poter soddisfare così alle esigenze dei creditori.
Ma la morte gli impedì di effettuare il suo di-
segno ; e quello che non potè fare lui dovette farlo
il Sacro Collegio appena riunito in conclave. I di-
ciotto Cardinali, che tanti ne convennero in Viterbo
per l'elezione del nuovo Pontefice, si trovarono su-
bito fra loro discordi e si divisero in due fazioni ;
una composta di undici italiani e l'altra di sette
stranieri. I primi lottavano per la riuscita di un
papa nostrano, e gli altri per quella di uno francese,
o meglio, i due partiti subivano l'influenza dell'im-
peratore l'uno, e di Carlo d'Angiò l'altro.
Dei Cardinali ciascuno voleva essere il campione
della sua parte; ed i giorni ed i mesi passavano
senza che potessero accordarsi.
Sul cadere del 1269 stanchi i Viterbesi dal
lungo indugio, per mezzo del loro Podestà, Corrado
di Alviano, cominciarono a protestare ed anco a mi-
nacciare i convenuti nel conclave ; ma questi per
tutta risposta scomunicarono e destituirono il detto
Podestà. E qui cade acconcio notare come nel pe-
riodo di interregno il Sacro Collegio riuniva in se
tutta l'autorità sovrana del Pontefice ; e, da quanto
ci risulta, si sostituiva anche a quella del governo
del Comune, usando a suo vantaggio dei privilegi
e delle franchigie del Comune stesso.
Il popolo, passato ancora qualche tempo senza
che si addivenisse ad un accordo, capitanato da Al-
berto Montebuono e da Raniero Gatti, il i.° giugno
del 1270, chiuse le porte della città, e colti i Cardi-
nali alla sprovvista, li ridusse colla forza nella
grande aula del palazzo vescovile e li ammonì
che non li avrebbe tratti fuori di quelle mura, se
424 EDOARDO MARTINORI
non quando avessero provveduto la Chiesa di un
nuovo pastore. Ne si fecero i Viterbesi intimidire
da moniti e proteste e nemmeno dalle pene tempo-
rali e spirituali comminategli dai reclusi ; che anzi,
come risposta a quelle rappresaglie scoprirono il
tetto della sala e minacciarono di assottigliare il vitto
quotidiano che erano soliti apprestare ai congregati ( r) .
Ma quei pertinaci prelati durarono incrollabili
nelle loro contese ancora per molto tempo ; e non
fu che l'u marzo del 127 1 che si potè venire ad
un accordo fra il Comune ed i Cardinali onde questi
potessero godere di una maggiore libertà. Quel
giorno infatti Viterbo era in festa per l'arrivo di
due grandi monarchi della cristianità, Carlo I di Si-
cilia e Filippo III di Francia, che riconducevano in
patria le ossa del loro padre Luigi IX, il Santo, e
di suo fratello Giovanni Tristano, ambedue morti
sotto le mura di Tunisi. Questi Sovrani si diedero
anche essi, ma con risultato negativo, ad esortare i
Cardinali a volersi porre d'accordo. Il numero di
questi si era di già assottigliato, che tre di essi ave-
vano per salute dovuto ritirarsi dal conclave. So-
praggiunta la canicola del 1271, che minacciava di
ridurre ancora quel piccolo numero di contendenti,
e tocchi i Cardinali dalle preghiere di San Bona-
ventura, si addivenne alla fine ad un compromesso,
dal quale, esclusi per patto tutti i Cardinali, venne
fuori la scelta di un semplice arcidiacono italiano,
di nome Tedaldo della famiglia de' Visconti di Pia-
cenza, che in quel momento trovavasi in Siria presso
Edoardo d'Inghilterra che vi combatteva la crociata.
L'eletto giunse in Viterbo il io febbraio del 1272 e
quivi fu incoronato col nome di Gregorio X.
Mi sono dilungato nella narrazione delle vicende
([) Pinzi, op. cit., V. II, pag. 265 e segg.
DELLA MONETA PA FARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 425
di questo conclave, perchè proprio in questo scorcio
di tempo la zecca di Viterbo deve aver coniato per
ordine dei Cardinali la moneta papalina della quale
stiamo ragionando.
Ed è congettura che si basa sopra qualche fon-
damento. L'esser infatti la moneta priva del nome
del Pontefice, cosa insolita nelle monete papali, la
necessità grande che il Sacro Collegio o la Curia
aveva di coniare moneta sia per la inopia nella quale
si trovavano alla morte di Clemente IV, sia per le
ingenti spese del conclave e per quelle necessarie
al ricevimento dei monarchi francesi, debbono aver
suggerito di servirsi della zecca che allora allora il
Comune aveva aperto. Il fatto poi che i primi do-
cumenti, nei quali si fa parola di detta moneta, non
sono anteriori al 1269, come già si è detto, hanno
contribuito a formarmi la convinzione che le due
monete il grosso ed il picco/o paparino si debbano as-
segnare alla zecca di Viterbo divenuta zecca del
Patrimonio nel periodo del conclave 7268-1271.
Per ciò che riguarda il valore di questa moneta
papalina abbiamo già veduto come nel 1270 si com-
putasse a ragione di soldi venticinque a fiorino d'oro
o anche di denari trecento'".
Mancandoci i documenti relativi a questa co-
niazione, non ne conosciamo i capitoli. Sappiamo
solo come pochi anni dopo la comparsa di questa
moneta, cioè nel 1278, Papa Nicolò III, fra le con-
dizioni della sua venuta in Viterbo, e della trasla-
zione della Curia in detta città, impose quella della
proibizione del corso della moneta papalina che pure
aveva conservato lo stesso valore iniziale ,2 '.
(1) Il valore del fiorino in quell'epoca corrispondeva in moneta
corrente a lire 12 e cent. 18; il valore del soldo paparino risulta perciò
di lire 0,4872 e quello del denaro di lire 0,0406.
(2) Vedi il Documento, in Appendice, n. II. Nella tariffa stabilita in
426 EDOARDO MARTINORI
Ho già accennato nella prima parte di questo
lavoro alla sorpresa che ingenera il vedere proibito
dal Pontefice, nel suo Patrimonio, il corso di questa
moneta; la quale fra tutte le altre che vi circolavano
era la sola a rappresentare la sua indipendenza po-
litica in quella provincia; e solo si può spiegare col
tatto che detta moneta non doveva servire che per
transazioni locali, per pagamento di tributi, censi ed
altri oneri nella cerchia del Patrimonio e fosse perciò
rifiutata fuori dei confini di esso. E questo mio pa-
rere è dimostrato all'evidenza dal non ritrovarsi in
alcun documento (che non si riferisca al Patrimonio)
alcun accenno a questo genere di moneta. Ora la
Curia pontificia aveva rapporti d' interesse in tutte
le parti del mondo cattolico ed abbisognava per le
sue operazioni finanziarie di moneta che avesse cre-
dito oltre che nei propri domini anche al di fuori.
Troviamo infatti nei documenti di tempi poste-
riori, ma relativi a transazioni locali, come l'uso di
questa moneta e di quella autonoma Viterbese (*)
abbia continuato per molti anni.
Un documento del 1284 ci dice come Anibaldo
di Trasmondo, Senatore di Roma, e Podestà di Vi-
terbo, arbitro fra il Comune e Pietro Scolari, ordi-
nasse il pagamento, per rifazione di danni, di 1500
libbre di paparini (2 K
Il Bussi (3) ci riporta una bolla di Onorio III,
del 1285, nella quale si fa obbligo ai Viterbesi di
quella occasione di comune accordo fra il Papa ed il comune di Vi-
terbo troviamo che il fiorino d'oro si doveva computare 48 soldi e de-
nari 6 corlonesi e 4 soldi e % di romanini ed ogni romanino 28 denari
paparini; donde ci risulta che il fiorino equivaleva a 301,5 di paparini.
( 1) Vedi in seguito quando discorreremo della moneta Viterb'ma.
(2) Savignoni. Archivio storico di Viterbo. — Archivio della R. So-
cietà di sturia patria, 1895, V. XVIII.
(3) F. Bussi. Storia della città di Viterbo. Roma, 1742, pag. 175 e
Pinzi, op. eie, II, pag. 428, in nota.
DKLLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 427
spendere, per la creazione di un ospedale, 25000
libbre di denari papalini.
Nel 1286 Bomarzo viene ceduto a Viterbo dai
baroni per il prezzo di 1000 libbre di paparini {1) .
Nei registri della Curia del Patrimonio dell'anno
1289 troviamo spesso la formula: Soìvebant enim pa-
parinorum ìib... et sol , solvimi modo lib. provisi-
norum ovvero Soìvebant ab antiquo... et solvunt modo...
Gallese p. e. Solvebat olìm prò focatico paparinos...
solvit modo provisinos (2) .
Questi brani di documenti ci addimostrano chia-
ramente come alla moneta papalina del Patrimonio
si andasse sostituendo dai collettori della Curia la
provisina, moneta del Senato Romano che aveva
maggior credito e meglio si prestava per le transa-
zioni con le aire provincie confinanti (3).
Dal 1291 al 1297 il valore della moneta papa-
lina era ridotto di circa un sesto; e ne andavano
trenta soldi, ovvero trecentosessanta per fiorino. Ciò
nonostante si seguitarono a pagare i censi in alcune
località a moneta paparina ancora per molto tempo.
Un documento del T29J ci fa conoscere come il Sin-
daco del Castello di Centocelle (Civitavecchia) si
obbligasse a pagare alla Chiesa l'annuo censo di
cinquanta libbre di paparini U>. Nel 1293 la propor-
zione fra il denaro paparino ed il provisino era da
cinque a quattro (5).
(1) Margarita di Viterbo. Istrom. 5 Ag. 1286, t. I, pag. 115 e Pinzi,
op. cit., Ili, pag. 9.
(2| Theiner, t. I, pag. 303, Doc. 457, Ex. reg, dir. patr. B. Petri in
Tuscia, Ibi. 17.
(3; I provisini del Senato nell'anno 1285 contenevano once 2, e
den. 2 di argento fino per libbra, come risulta dalla tariffa di Francesco
Balducci Pegolotti inserita nel t. Ili della Decima e Moneta fiorentina,
pag. 294 e riportata dal Caki.i-Rcbbi, t. Ili, parte II, App. pag. 160. I
paparini invece non contenevano di fino che oncie 1 e denari 22.
(4) Argelati, op. cit., t. I, pag. 11.
(5) V. Documento n. XXIV in Garamì>i, op. cit., pag. 90.
428 EDOARDO MARTINORI
In altro documento del 1298 la moneta paparino,
è chiamata usualis monda, e già in un documento
anteriore troviamo che Bonifacio Vili fu dai Tosca-
nesi (Toscanella) eletto a loro Podestà con l'annuo
stipendio di mille libbre di paparini (').
Anche nel Contado Venesino i Papi fecero co-
niare moneta paparino da servire come moneta lo-
cale; ed il Garampi ce ne dà notizia asserendo come
il corso di questa moneta avesse luogo fin dal tempo
del Rettore Mattia di Theate che fu nominato a
quell'ufficio da Bonifacio Vili il 5 giugno 1300 ( 2 ).
Questo paparino del Venesino nelle rimesse che si
facevano alla camera apostolica era computato nel
1301 a soldi ventitre e mezzo per fiorino d'oro; e
nel 1302 a soldi venticinque e mezzo; mentre quello
del Patrimonio era disceso tanto di valore da com-
putarsene ben quaranta per ogni fiorino.
Per trovare una nuova emissione di questa mo-
neta nel Patrimonio dobbiamo arrivare al pontificato
di Benedetto XI, volendo prestare fede allo Scilla
ed al Fioravanti che ci hanno descritto uno di questi
denari con :
& — + PP BENEDICI VN Croce nel campo (3).
f£ — + S PETR PATRIMOMVM Due chiavi in piedi.
ed un altro ci riporta il Cinagli ( 4> :
i& -- + pp BENEDETV XI Croce nel mezzo.
R) - + PATRIM S PETRI Due chiavi in piedi (5).
(1) Theinek, t. I, doc. 517.
(2) Garampi, op. cit., doc. Ili e Martinori, op. cit., pag. 227.
(3) V. Cimagli, op. cit., pag. 28, n. 1.
(4) Id., n. 3.
(5) L'antica dicitura BEATI PETRI si converti in SANCTI
PETRI sotto il pontificato di Benedetto XII dopo che Giovanni XXIII
l'aveva già trasformata in DIVI PETRI nelle ultime emissioni. Argo-
mento notevole per la mia tesi.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 429
Ho messo in dubbio la coniazione di questa
moneta al tempo di Benedetto XI, oltre che per la
breve durata di questo pontificato, che fu di soli
otto mesi (dal i.° novembre del 1302 al 7 luglio
del 1303), anche per il fatto di non trovarne alcun
cenno nell'opera del Garampi; il quale, se fu man-
chevole, e non per sua colpa, nel fornirci documenti
anteriori al 1300, potè invece compulsare a tutto
suo agio l'archivio secreto vaticano, specie per la
parte che riguarda le convenzioni e le ordinazioni
monetarie posteriori (0.
Con molta probabilità lo Scilla ( 2 ) che fu il primo
a rivelarci quella moneta deve aver scambiato il
n. XII per le lettere VN come il Cinagli il n. XII
per 1' XI. Il fatto poi che in verun gabinetto numi-
smatico trovatisi tali monete maggiormente mi con-
ferma nella opinione che trattasi di una lettura mal-
fatta di moneta appartenente a Benedetto XII te).
A Benedetto XI successe il guascone Bertrando
de Goth, Arcivescovo di Bordeaux, che prese il nome
di Clemente V. Invece di recarsi in Roma il nuovo
eletto, che trovavasi in Francia, invitò i Cardinali a
raggiungerlo a Lione ; e quivi si fece incoronare il
14 novembre del 1305.
(1) Il Garampi tenne dai 1749 al 1792 l'ufficio di Coadiutore prima,
e poi di Prefetto dell'Archivio Vaticano.
(2) Lo Scilla infatti confessa a pag. 199 essere " l'unica che finora
si sia veduta „ ed aggiunge " ma per essere consumata dal tempo, ed
anche mal battuta resta mancante di molte lettere „.
(3) Il chiaro conservatore del Gabinetto Num. Vaticano prof. Ca-
millo Serafini, al quale mi sono rivolto per qualche schiarimento, è anche
egli di opinione si tratti di errata interpretazione. Profitto di questo
inciso per porgere all'amico i miei ringraziamenti per le facilitazioni
prestatemi nell'eseguire i calchi di quasi tutte le monete che qui ri-
produco.
55
43°
KDOARDO MARTINOR!
Questo Papa, il primo della serie dei pontefici
che si usano chiamare Avignonesi, non coniò mo-
neta papalina, ma di lui si hanno solo grossi e mezzi
grossi dal tipo del farnese, coniati nel Contado Ve-
nesino W.
IY -- + lOS- PAPA. XXII. Due chiavi a palo.
Ri — + PATRIM. BEI. PE. Croce e scudetto nel giro.
Den. pap., diam. mill. 17-18, peso gr. 0,71, 0,67, 0,66, 0,60.
Cinagli, n. 8, 9, io, 12, 16 (2). — Coli, di S. M. il Re e Gab. Vatic.
Giovanni XXII (Giacomo d' Euse di Cahors)
successe a Clemente V nell'agosto del 131 6; e sua
prima cura fu di introdurre nei domini della Chiesa
la moneta d'oro a somiglianza di quella già emessa
dalle repubbliche di Firenze, di Venezia e di Genova.
Il fiorino d'oro ed il grosso d'argento, imitazione del
gigliato di Carlo li d'Angiò, furono da lui fatti co-
niare nella zecca papale di Ponte della Sorga (3) e
non trascurò la moneta minuta che per altro emise
solo in Italia (4) e dove la Chiesa esercitava la sua
autorità.
Fin dal 1321 Giovanni XXII aveva scritto da
Avignone al Rettore del Patrimonio perchè facesse
coniare moneta paparino, nuova.
(1) Mautinori, op. cit, pag. 229.
(2) Molte sono le varianti di questa moneta oltre quelle riportate
dal Cinagli. In alcune trovasi il segno delle zecchiere che è rappresen-
tato da uno scudetto con una stella ovvero da una sola stella. V. n. 5 e 4.
(3) Martinori, op. cit., pag. 231.
(4) A l'arma fra il 1326 ed il 1329 e nella Marca di Ancona.
DELLA MONKTA PAPAR1NA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 43]
Si era indotto il Pontefice a dare tale ordina-
zione u in seguito a relazione avuta da persone de-
« gne di fede che lo informavano della grande con-
« fusione che la diversità di moneta corrente nel
« Patrimonio induceva, ed ai danni non lievi che ne
« risentivano i fedeli ( J) .
Correvano infatti in quell'epoca nella provincia
del Patrimonio di S. Pietro promiscuamente fiorini
d'oro, lire e soldi Cortonesi e Lucchesi, grossi Ro-
manini, Tornesi, Aquilini e Veneti, oltre ai piccioli
denari Ravennati e Perugini, e a quelli paparini e
provisini del Senato i2 \
Nessun altro documento posteriore alla lettera
di Giovanni viene ad assicurarci che gli ordini del
Papa furono eseguiti; ma, trovando tanti e svariati
tipi nei paparini col nome di quel Pontefice, dob-
biamo supporre che varie e frequenti siano state le
emissioni.
Nel mese di maggio del 1334 Giovanni XXII
torna a scrivere al Rettore ed al Tesoriere del Pa-
trimonio, residenti in Montefiascone, perchè ordinino
la coniazione di nuova moneta paparina » per comodo
« della provincia, e con il consenso ed il consiglio
« del Vescovo di Viterbo ( 3) ».
Il Tesoriere, tale Stefano Lascoutz, scrisse su-
bito ad Angeluzzo Peponi mercante di Orvieto, per
invitarlo a venire in Montefiascone e prendere gli
accordi necessari col Rettore per la coniazione della
moneta; e ciò « per mandato del papa ». Nel docu-
mento si fa accenno alla esperienza dell'Angeluzzo
in tale lavoro.
(ij Vedi il documento, in Appendice, n. III.
(2) Theinkr, doc. 709. Il paparino del Patrimonio era ridotto al va-
lore di lire 0,0232 a moneta corrente.
(3) Vedi i documenti in Appendice, n. IV e n. V.
432
EDOARDO MARTIXORI
Questa importante notizia che ricavo dal lavoro
dell'Antonelli : Notizie Umbre, età, 1904, si trova
fra le Solutiones, etc. Pati: B. Retri in Tuscia ab
anno 1331-1336.
Possiamo quindi con certezza asserire che la
zecca del Patrimonio si trovava al tempo di Gio-
vanni XXII, in Montefiascone e non in Viterbo,
come viene da tutti gli autori creduto; e nello stesso
tempo siamo certi che la moneta paparino, doveva
aver corso nella provincia e per comodo di questa.
Tutte le città, i castelli e le terre soggette al
Rettore del Patrimonio pagavano infatti i loro censi
ed i tributi in moneta papalina, salvo qualche ecce-
zione. Amelia, p. e., pagava in libbre di antichi Luc-
chesi e Bagnorea in quelle di Cortonesi (*).
B 1 — + ■ P. P. BENEDITV XII. Croce nell'area.
$ — + PATRIM S. PETRI. Due chiavi, a palo, pendenti.
Grosso paparino, arg. gr. 1,68. — Cinagli, pag. 30, n. 1, 3. — Ga-
binetto Vaticano.
Leggenda come sopra. Impronta id.
Denaro paparino, mist. gr. 0,66. — Cin. pag. 30, n. 5 (2). — Rac-
colta di S. M. il Re.
(1) V. Theiner, t. I, doc. 709.
(2) Di questo denaro sono molte le varianti.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 433
Il successore di Giovanni XXII che fu Papa
Benedetto XII ( J) (Giacomo Forner di Tolosa) non
mancò di dare ordinazione ai suoi rappresentanti nel
Patrimonio per la emissione di nuova moneta papa-
ritta grossa e piccola.
Abbiamo infatti che nel 1337 Benedetto scrisse
al Rettore ed al Tesoriere in Montefiascone dando
loro il permesso di far coniare moneta papalina;
si ntììitati reipublicae expedire cognoverint ( a ).
Un documento inedito che mi è stato fornito
dal lodato Antonelli, cui rendo pubblicamente i miei
ringraziamenti, viene a proposito per assicurarci che
l'ordine o meglio la concessione del Papa fu ese-
guita. Infatti vi leggiamo che nel 1338 il Capitano
ed il Tesoriere fecero venire in Montefiascone Ser
Cecho di Mastro Pietro de Senis (Siena) per la co-
niazione della monete, secondo il mandato ricevuto
dal Papa, e che detto Pietro venne in Montefiascone
il i.° di maggio e vi stette continuamente fino all' 11
di luglio a spese del Tesoriere « con il cavallo ed
« un familiare » ed era accompagnato da tal Angelo
di Orvieto (forse l'Angeluzzo del quale si parla nel
documento del 1334); e furono fatti i patti per la
coniazione (3).
Montefiascone dunque fra le altre cose che la
rendono interessante storicamente può aggiungere
alle sue glorie l'aver ospitato una zecca papale nel
periodo che i Pontefici avevano disertato 1' Italia.
Questa zecca ebbe vita corta, che dopo Benedetto XII
non mi risulta vi abbiano i Papi, che sono a lui
succeduti, battuto ulteriormente moneta.
La moneta papalina si seguitò a coniare in Avi-
(1) Non risulta da documenti che abbia fatto coniare moneta nel
contado Venesino ma solo in Macerata e Montefiascone.
(2) V. docum., in Appendice, n. VI.
(31 Doc, in Append., n. VII.
434 EDOARDO MARTINORI
gnone da molti altri Papi dopo il loro ritorno in
Roma. Questa moneta differisce da quella del Pa-
trimonio in ciò che al posto di PATRIMONIVM S. PETRI
si legge SANCTVS PETRVS ovvero S. PETR. ET PÀVL.
Coniarono moneta paparino, in Avignone :
Urbano V. 1362-1370 t 1 )
Urbano VI. 1 378-1 399 ( 2 )
Benedetto XIII. 1394-1417 (3)
Giovanni XXIII. 1410-1417 (4)
Eugenio IV. 1431-1447 (5)
Nicolò V. 1447-1455 ( 6 )
Innocenzo Vili. 1484-1499 b)
Leone X. 1515-1521 < 8 ).
Cessata la coniazione della moneta paparina nel
Patrimonio, si continuò ancora molto tempo a con-
teggiare in quella specie; e nei resoconti del Teso-
riere Tavernini troviamo che, all'anno 1359, tutte le
varie monete da lui riscosse venivano ridotte nel
conteggio a moneta paparina, che peraltro era an-
data continuamente deprezzandosi tanto che mentre
nel 1270 il fiorino d'oro si computava a ragione di
25 soldi di denari paparini nel 1359 valeva ben
58 soldi! (9).
Lo studio della moneta paparina del Patrimonio
di S. Pietro in Tuscia mi ha facilitato alcune ri-
ti) Cinagli, op. cit., pag. 32, n. 17.
(2) Coli. Martinori e Gabin. Vaticano.
(3) Cin-., pag. 38, 11. 9 e tav. I, n. 32.
(4) Cin., pag. 41, n. 13 e tav. I, n. 34.
(5) Poey d' A vant, op. cit. (1853), tav. XIX, 2.
(6) V. Rivista Hai. di Num., Ili, 220.
(7) Cat. Rossi, 1895, n. 91.
(8) Gab. di Medaglie di Marsiglia.
(9) Theiner, II, pag. 360, doc. 338.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 435
cerche sulla zecca di Viterbo che ho creduto opportuno
pubblicare unitamente ai documenti finora trascurati,
che varranno a dare la giusta importanza a questa
zecca medioevale. Questa nella varietà dei tipi e
delle leggende rispecchia le tumultuose vicende della
città nei periodi della sua autonomia e della sua
soggezione ai Pontefici ed ai tiranni.
Fin dal 1240 Federico II aveva concesso alla
città di Viterbo il privilegio di coniare moneta. Ma
non ci risulta che il Comune ne abbia profittato per
conto proprio; e forse ciò si spiega con le fortunose
vicende e con le calamità cui andò soggetta quella
città nelle lotte fra il Papa e 1' Imperatore ''l
Dopo la morte di questi (2 ), i Viterbesi tornati
alla obbedienza della Chiesa, ed, ottenuta una certa
autonomia, rivolsero le loro cure a restaurare la
città e riformare gli statuti '3).
Nel 1257 Alessandro IV, poco fidandosi di di-
morare in Roma, ove era stato minacciato dai ghi-
bellini e dallo stesso Senatore Brancaleone, abban-
donò il Laterano e trapiantò la sede papale in Vi-
terbo. Questa città si avvantaggiò non poco per
quella buona ventura : crebbero gli agi ed il lusso
e si può dire che in quella circostanza essa rag-
giunse l'apogeo della sua floridezza medioevale (4).
Gli statuti del 1251, riprodotti fedelmente dal
Pinzi nella sua pregevole storia della città di Viterbo,
non parlano ne di zecca ne di emissione di moneta;
ma trovando documenti fin dal 1262 che ci parlano
(1) Vedremo in appresso come con tutta probabilità Pietro di Vico
nel periodo che Viterbo fi era data all'imperatore abbia profittato del
privilegio concesso alla città per coniarvi moneta in nome proprio.
(2) Federico II morì nel Castello di Fiorentino presso Luceria
addì 13 dicembre 1250.
(3) Pinzi, op. cit., voi. I, pag. 497.
(4) Id. voi. II, pag. 57.
436 EDOARDO MARTINORI
di moneta viterbina dobbiamo supporre che fra il
1257 ed il 1262, poco dopo cioè della venuta della
corte pontificia in quella città, siasi aperta quella
zecca.
La moneta che nei documenti va col nome di
denaro viterbese o viterbino minuto è quella che qui
riproduco e della quale abbiamo molte varietà fra
loro distinte da segni di zecchiero fra loro diversi.
Tutte portano la stessa dicitura:
• •
i& — + S. LAVRENTI. Busto del Santo nimbato.
9 ■ - + D. VITERBIO. Croce nel campo.
Denaro, mist. gr. 0,49 - 0,53. — Coli. Martinori.
11 più antico documento che parla di questi de-
nari viterbini è riportato dal Calisse ('>, e si riferisce
ad un pagamento fatto da Pietro Di Vico nel 1262
al Comune di Viterbo pel possesso del Castello di
S. Giovenale colla somma di cento libbre di denari
viterbesi minuti.
Un altro documento del 1264 parla di denaro
viterbino a proposito delle espropriazioni per fare
una piazza nella città di Viterbo ( 2) .
Ma un primo o proprio documento di zecca non
lo troviamo prima del 1266. In questo si dice come
il comune di Viterbo concede a Dno. Taliapane
factionem et fabricationem et incussionem monete crasse
(i) Calisse. I Prefetti di Vico. Archivio della R. Società di storia
patria, voi. X, doc. n. 47.
(2) Ptnzi, op. cit., II, pag. 143, nota.
DELLA MONETA PAPARINA DEL PATRIMONIO DI S. PIETRO 437
et minute in civitate Viterbis cum certis pactis et con-
dì tionibus [1) .
Il documento non ci fa conoscere queste condi-
zioni, ma ci dice come, oltre la moneta minuta, cioè
ai denari, venne concessa a quello zecchiere anche
la coniazione della moneta grossa. Di grossi autonomi
peraltro non ne sono giunti fino a noi, e, forse, non
ne furono coniati.
Come già ho rilevato, molte furono le emissioni
dei viterbini minuti se si tiene conto dei vari esem-
plari che si trovano nelle collezioni ( 2 >.
In un documento del 1269 questi viterbini ven-
gono chiamati denari punctati ad unum punctum <3».
Sono quelli che qui riproduco e che hanno un
punto sia nel campo del diritto che fra due bracci
della croce nel rovescio.
m<
Dal 1269 bisogna arrivare al 1323 prima che
troviamo un altro documento nel quale si parli di
viterbini minuti. È questo un testamento a favore
del Vescovo di Viterbo, nel quale il testatore lascia
al medesimo due soldi di viterbini e ad altri legatari
tre libbre di viterbini minuti (4). In un documento del
(i) Savignom. Archivio storico di Viterbo, pag. 266.
(2) Nella raccolta di S. M. il re d'Italia vi sono ben cinque conii
differenti e con segni di zecca vari. Debbo alla cortesia del generale
Ruggero che, con il consenso di S. M., volle darmi notizia delle mo-
nete Viterbesi che trovansi nella raccolta reale, fornendomi molti calchi
e descrizioni di queste monete. Approfitto di questo inciso per render-
gliene pubbliche grazie.
(3) V. Margarita Cornetana, pag. 9 e Pinzi, op. cit., voi. I, pag. 374.
(4) Pinzi, op. cit., voi. I, pag. 374.
56
438 EDOARDO MARTINORI
1430 W si accenna ancora alla vecchia moneta Vi-
terbese e se ne stabilisce il valore.
Il viterbino correva promiscuamente al paparino,
emesso come abbiamo veduto dalla Curia pontificia
in Viterbo qualche tempo dopo ; ma aveva corso
solo nel distretto di questa città, non essendone no-
tizia in alcuna carta dell'epoca, di altre regioni, che
ne faccia menzione.
(Continua) E. Martinori.
(1) V. Documento IX in Appendice.
LE MONETE E LE ZECCHI:
DI
VOLTERRA
MONTIERI, BERIGNONE E CASOLE
(Continuazione e fine, vedi fase. II, 1909)
DOCUMENTI.
1.
Privilegio concesso dal re Arrigo VI, al vescovo Ildibrandino ed
ai suoi successori, di batter moneta.
In nomine Sancte et individue Trinitatis. Heinricus Sextus
divina favente clementia Romanorum Rex et semper Augustus.
Excellentie nostre benignitas serenitatem nostrani induit, ut devota
fidelium nostrorum obsequia clementer attendentes liberali muni-
ficentia Maiestatis Nostre beneficiis, ipsos studeamus sublimare.
Notum igitur facimus universis Imperii nostri fidelibus presentibus
et futuris quod Nos considerantes fidem ac devotionem dilecti Prin-
cipis nostri Ildebrandi Vulterrani Episcopi quam nobis preclaris
obsequiis constanter obstendit, Regali excellentia ipsi et successo-
ribus suis monetam recto feodo tenendam in perpetuum concedi-
mus, dantes eis licentiam et plenam potestatem cudendi eam in
quo pondere colore et forma voluerint et in omnibus predictis
eam mutandi prò sua voluntate. Pro hac autem Maiestatis nostra
concessione, predictus Episcopus ejusque successores fisco nostro
annuatim persolvent sex marcas puri argenti ad pondus coloniense
in festo Sancti Martini, preter illam pensionem quam pio aliis re-
galibus dare tenentur. Si vero aliquis successorum predicti Epi-
scopi monetam resignare voluerit, non teneatur ad earumdem sex
marcarum persolutionem. Statuimus igitur et regali auctoritate san-
cimus ut nullus Dux, Marchio, Comes, Vicecomes, Capitaneus,
Consul nulla potestas, civitas, nullum Comune nulla denique per-
sona humilis vel alta, saecularis vel ecclesiastica, predictum Vulter-
ranum Episcopum vel eius successores in hac sublimitatis Nostre
440 ALESSANDRO LISINI
concessione audeat gravare vel aliquam eis inferre molestiam; quod
siquis facere actemptaverit viginti Iibras auri prò pena componat,
medietatem Camere Nostre et reliquum passo iniuriam. Iluius rei
testes, sunt. Cunradus Maguntine sedis Archiepiscopus, Wigmannus
Magdeburgensis Archiepiscopus, Conradus Wormatiensis Episcopus,
Einricus Argentensis Episcopus, Bertoldus Nuvemburgensis Epi-
scopus, Eberhxirdus M....ensis Episcopus, Octo Barnembergensis
Episcopus, Otto Frisigensis Episcopus, Heinricus Pragensis Epi-
scopus, Conradus palatinus Comes Reni, Otto illustris frater Noster
Marchio Burgundie, Otto Dux Boemie, Otto Marchio de Minensis
et filius eius Marchio Albertus, Dedo Marchio de Lusiz, Comes
Sifridus de Orlamunde, Comes Gibertus de Wrde (?), Comes Vol-
marus de Castello, Heinricus Marscalcus de Bappenheim, Humfri-
dus de Valchenstem et alii quam plures.
Signum domini [Heinrici] sexti Romanorum Regis invitissimi.
Ego Johannes imperialis Aule Cancellarius vice Conradi Maguntine
Sedis Archiepiscopi et Germanie Archicancellari, recognovi.
Acta sunt hec, anno Dominice Incarnationis Millesimo centesimo
octuagesimo nono. Indictione septima, regnante domino Heinrico
Sexto Romanorum Rege gloriosissimo Anno regni eius decimo nono.
Datum apud Wircebe per manus Heinrici imperialis Aule Pro-
tonotarii, decimo septimo kal. septembris.
(Archivio vescovile di Volterra, Copia in pergamena fatta
l'anno 1348).
II.
Il Vescovo Ranieri concede a Guido Spicziche, rappresentante della
società dei Feliciani da Piacenza, il diritto di tenere aperta per
otto anni la secca in Montieri.
Anno dni : millesimo ducentesimo quinquagesimo octavo, In-
dictione secunda, die secundo idus decembris. Appareat omnibus
evidenter presens instrumentum inspecturis quod dns: Ranerius dei
gratia Vulterranus electus, nomine et vice sui episcopatus et com-
modo et utilitate eiusdem et ob infrascriptam causam concessit et
dedit licentiam et liberam potestatem dno: Guidoni Spicziche, reci-
pienti prò se et sotiis suis et sua sotietate que appellatili- sotietas
Felicianorum de Plagentia prò tertia parte duodecim partium, et
dno: Johanni Durantis de Janua recipienti prò se prò quarta parte
earumdem duodecim partium et Bertoldo quondam Ugierii recipienti
prò se et Bondono fratre suo et sotiis suis prò quinque partibus
dictarum duodecim partium, fabricandi, battendi, cudendi et mone-
tandi et fabricari, batti, cudi et monetari faciendi mondani Vulter-
ranam grossam et minutam ad illuni modum ligam et valutam ad
quam et quem fabricatur, battitur et cudi tur hodie dieta moneta
LE MONETE E I.E ZECCHE DI VOLTERRA 44I
vulterrana vel ad quam sive quem fabricatur, battitur et cuditur
nunc seu fabricabitur, battetur et cudetur in antea pisana vel se-
nensis seu Iuccensis vel aretina moneta, in Monterio vel alibi
ubicumque eis et duo : Electo concorditer placuerit in vulterrano
episcopati!, a proximis venturis kalendis Januarii ad octo annos
proxime complendos. Et promisit et convenit eisdem recipientibus,
ut dictum est, dare et concedere eis in Monterio usque dictum
tempus et alibi ubi de eorum communi concordia et voluntate et
dicti dui: Electi, ipsi dns: Guido et dns: Johannes et Bertoldus pre-
fati, in dicto episcopati! dictam monetam fabricari, cudi et batti
facerent, domos necessarias ad ipsam monetam battendam, cuden-
dam et fabricandam, et ad habitandum per se et familias suas,
promittens per se et successores suos dno: Guidoni, dno: Johanni
et Bertoldo prefatis recipientibus, ut dictum est, ipsos et familias
suas et omnes et singulas personas que in loco in quo dieta mo-
neta fabricaretur, cuderetur et batteretur starent occasione diete
monete vel ad locum in quo dieta moneta fabricaretur, ut dictum
est, cuderetur et batteretur accederent occasione ipsius monete ma-
ntenere et defendere in avere et persona per omnes et singulas
terras sui episcopatus in eundo, redeundo et stando sine aliqua
exactione prestanda; et se facturum ita et taliter curaturum quod
dieta moneta per universas terras sui episcopatus curret et expen-
detur et dare auxilium et favorem quod ipsa moneta cuirat et expen-
datur per Tusciam iuxta posse. Promisit insuper dictus dns: Electus
nomine et vice dicti episcopatus dno: Guidoni, dno: Johanni et Ber-
toldo prefatis recipientibus, ut dictum est, dictam monetam fabri-
candam, battendam et cudendam alicui seu aliquibus aliis homini-
bus vel personis non concedere vel concedi facere ullo modo, nec
permittere, quod dieta moneta fabricetur, battatur seu cudatur per
aliquem alium seu alios aliquo modo usque tempus predictum, que
omnia et singula supradicta et quodlibet predictorum dictus dns :
Electus per se et successores suos dno: Guidoni, dno: Johanni et
Bertoldo prefatis recipientibus, ut est dictum, attendere facere et
observare; promisit et contra ea vel eorum aliquod non venire,
per se vel alium seu alios ullo modo, nullamque exceptionem de
iure vel de facto contra predicta, vel aliquod eorum opponere, vel
opponi facere ullo modo sub pena centum marcharum argenti.
Quam penam eis recipientibus, ut est dictum, dare promisit et sol-
vere si committeretur et ea soluta predicta servare promisit, ita
quod pena intelligatur super quolibet articulo repetita. Pro quibus
omnibus et singulis supradictis firmiter observandis et plenarie
adimplendis et attendendis dns: Electus predictus se et successores
suos et omnia bona episcopatus predicti mobilia et immobilia, pie-
sentia et futura, predictis dno: Guidoni, dno: Johanni et Bertoldo ut
dictum est recipientibus pignori obligavit, et hec ideo fecit et con-
cessit eisdem, quia predicti dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus
promiserunt et convenerunt dicto dno: Electo recipienti prò se et
442
ALESSANDRO LISINI
successoribus suis dare et solvere ei ad -Vili- dies post suam
voluntatem et inquisitionem de qualibet libra ad pondus Vulterre
totius monete minute Vulterrane adiudicate et traete ad monetam
quam fabricari, cudi et batti et monetari facient infra tempus pre-
dictum quatuor denarios a dictis kalendis ianuarii ad duos annos
proxime complendos, et ab inde ad residuos sex annos, quatuor
denarios et dimidium, et de qualibet libra monete grosse vulter-
rane adiudicate et traete ad monetam ad dictum pondus Vulterre
si eos dictam monetam grossam fabricari, batti et cudi facere con-
tigerit novem denarios minutos prout inferius continetur, et etiam
omnia alia et singula facere, que inferius et prout inferius conti-
nentur. Renuntians in omnibus et singulis supradictis dns: Electus
predictus exceptioni non facte concessionis promissionis et obli-
gationis et non sic celebrati contractus, benefitio clericali, privi-
legio fori et omni et cuique iuris et legum auxilio, conditioni in-
debiti et sine causa vel ex iniusta causa et omni exceptioni ac
defensioni et cuique rei que obici possit contra hoc instrumentum
vel factum. Preterea Gualteroctus Notarius infrascriptus nomine
iuramenti et guarentisie dicto dno: Electo volenti et confitenti pre-
cepit ut presens instrumentum predictis dno: Guidoni, dno:Johannì
et Bertoldo recipientibus, ut dictum est, observet per singula. Et
dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus prefati pura solempni ac
legittima stipulatione interposita promiserunt et convenerunt dno:
Electo predicto nomine et vice sui Episcopatus recipienti dictam
monetam fabricari, batti et cudi et monetari facere suis expensis
bonam rectam et legalem, ad valutam ligam et modum predictos,
omni fraude malitia soffismate et malo ingenio remotis et de qual-
libet libra ad pondus Vulterre totius monete minute adiudicate et
traete ad monetam quam fabricari, cudi et batti et monetari facient
usque dictum tempus ei dare et solvere quatuor denarios minutos
a dictis kalendis ianuarii ad duos annos proxime complendos, et
ab inde ad sex annos residuos quatuor denarios et dimidium et
de qualibet monete grosse vulterrane adiudicate et traete ad mo-
netam ad pondus dictum Vulterre si eos dictam monetam grossam
fabricari, batti et cudi facere contigerit novem denarios minutos
ad octo dies post requisitionem et voluntatem dicti dni:Electi vel
certi nu"tii sui. Promiserunt insuper et convenerunt dno: Electo
predicto, quod totani monetam quam fabricari, batti et cudi fece-
rint infra tempus predictum, facient mitti in unum scrineum ad vo-
luntatem et requisitionem illius qui tenuerit clavim dicti scrinei prò
dno: Electo predicto in quo scrineo voluerunt dns: Electus predictus
et dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus prefati et dixerunt con-
corditer, quod deberent esse due claves, unam quarum retineant
dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus prefati vel alius quem vo-
luerint et aliam retineat qui positus fuerit ad eam tenendam prò
dicto dno: Electo, inter quos dnm : Guidonem, dnm: Johannem et
Bertoldum prefatos et ipsum dnm: Electum, actum fuit expressim
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 443
quod dieta moneta non possit nec debeat expendi, nisi primo fuerit
approbata et ponderata per approbatorem vel approbatores seu
adiudicatorem vel adiudicatores ponendum vel ponendos ad eam
approbandam vel adiudicandam, cui approbationi vel adiudicationi
dictus dns: Electus dno: Guidoni, dno: Johanni et Bertoldo predictis
stare promisit et contra non facere vel venire, seu fieri facere ullo
modo, quem approbatorem vel approbatores seu adiudicatores vo-
luit dns: Electus predictus quod dns: Guido, dns: Johannes et Ber-
toldus prefati possent et deberent eligere ad voluntatem eorum et
salarium ipsius solvere teneantur. Fuit insuper actum inter ipsum
dnm: Electum et predictos quod si dieta moneta inveniretur minoris
ponderis uno denario vel duobus per libram vel uno grano ar-
genti per sagium factum medie uncie ob hoc non remaneat quin
ipsa moneta approbetur et debeat approbari et expendi, ita tamen
quod in aliis approbationibus debeat suppleri quod tunc defuit
cum pondere in ipsa moneta, et quod si contingeret dictam raone-
tam inveniri maioris ponderis vel pluris argenti quam esse debe-
ret, dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus prefati debeant restau-
rari in aliis approbationibus de eo quod pluris in pondere vel ar-
gento fuissei. Fuit insuper inter ipsum dnm : Electum et predictos
actum expressim quod si ipsi infra tempus predictum aliquo impe-
dimento detinerentur ita quod fabricari, batti et cudi facere non
possent, liceat eis et possint per tantum tempus dictam monetam fa-
bricari batti et cudi facere post tempus predictum per quantum tempus
impediti infra dictum tempus fuissent, excepto quam eorum impe-
dimento, in quo casu noluit dns: Episcopus quod possent de aliquo
tempore restaurari. Quam monetam bonam, rectam et legalem ad
ligam valutam et modum predictos et quatuor denarios minutos
per libram ad dictum pondus a dictis kalendis ianuarii ad duos
annos et ab inde usqce dictum tempii < quatuor denarios et dimi-
dium monete predicte minute et novem denarios minutos monete
grosse, ut dictum est supra, dns: Guido, dns: Johannes et Bertoldus
prefati dno: Electo predicto facere et fieri facere et attendere et
observare et solvere proniiserunt sub pena centum marcharum ar-
genti, quam penam eidem dno: Electo, ut dictum est recipienti, dare
et solvere promiserunt si committeretur, et ea soluta predicta ser-
vare et omnia alia predicta et singula eidem attendere et obser-
vare promiserunt sine pene adiectione. Acto inter eos et dnm: Elec-
tum predictum quod ipsi non obligentur nec teneantur ad penam,
nisi solum in premissis duobus articulis, scilicet de faciendo fieri
dictam monetam bonam et legalem, et de dictis quatuor denariis
et dimidio per libram monete minute et novem denariis minutis
monete grosse ut supra dictum est solvendis, in aliis vero tenean-
tur et obligentur sine aliquo lapsu pine: pio quibus omnibus et
singulis firmiter observandis et attendendis, dns: Guido, dns: Johan-
nes et Bertoldus prefati se et suos heredes et bona eorum predicto
dno: Electo recipienti ut dictum est suisque successoribus pignori
444
ALKSSASDRO LISINI
obligaverunt, renuntiantes in premissis omnibus exceptioni non
factarum promissionum et obligationum et pactorum, ut dictum est,
rei dicto modo non geste, renuntiantes nove constitutioni, conditioni
indebiti et sine causa vel ex iniusta causa fori privilegio et omni
iuris et legum auxilio. Preterea Gualteroctus Notarius infrascriptus
nomine iuramenti et guarentisie dno: Guidoni, dno: Johanni et Ber-
toldo prefatis, volentibus et confitentibus predicta precepit, ut pre
sens instrumentum per singula observent dno : Electo prefato. Et
actum fuit quod de predictis posset facere cuilibet predictorum
unum instrumentum per se.
Acta sunt predicta in Casule de Vulterris in dormitorio plebis
ipsius castri, coram magistro Bernardino preposito diete plebis,
donino Galgano Canonico eiusdem, dno: Inghirramo dni: Albertini
de Certaldo, Porcello Bonsignoris de Casole et Fede Marini testibus
ad hoc prescntibus et rogatis.
Kgo Gualteroctus Notarius quondam Mammoli filius, predictis
omnibus et singulis interfui et ea omnia scripsi et publicavi rogatus.
(Archivio vescovile di Volterra, Pergamena del sec. X11I,
decade VI, n. 65).
III.
Condizioni fatte dai Priori del Comune di Volterra a Fuligno di
Duccio da Firenze e ai suoi soci monetieri, per la concessione
delle immunità richieste al Comune.
1295. Die secunda februarij.
Congiegatis X ex XII Defensoribus populi Vult: in palaiio &..
stantiatum quod Sindicus Comunis qui debet facere certas promis-
siones prò Comuni Vult: Fuligno Duccii de Florentia monetario et
etiam abbeo (sic) recipiente prò Comuni, faciat sibi promissam, et
ita curet et faciat quod dictus Fulignus promissam sibi latificet
prò Comuni dare duos denarios prò qualibet libra denariorum
grossorum qua coniaverit vel coniari fecerit ; et aliter vel alio
modo, nullo modo se cum dicto Foligno vel aliis prò eo intromittat.
Die xvi februarij.
Congregatis X ex Xll Defensoribus &. Stantiatum et Armatura
et provisum fuit quod eligatur unus suprastans super moneta que
nunc cumeuditur in civitate Vult : per Fulignum et sotios, qui su-
prastans recipiat et recipere debeat a dicto Fuligno vel ab alia
persona dante prò eo (1), prò qualibet libra ipsius monete, post-
quam reducta fuerit ad finem et sagiata prò Comuni Vult: Et si
(1) Qui nella deliberazione mancano le parole duos den.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 445
dictus Fulignus nollet ita eidem solvere dictam pecuniam (?) prò Co-
muni [soprastansj non intromictat se in dicto officio alio modo.
Die xvij februarij.
Congregatis XI de XII Defensoribus ropuli Vult: Stantiatum <&.
quod Sassus Ugolini sit et esse debeat prò Comuni Vult: supra-
stans monete que nunc concuditur in civitate Vult: per Folignum
Duccini de Florentia et suos sotios, ad salarium sol: XII prò quo-
libet mense recipiendum a dicto Foligno prò se, et ad recipiendum
prò Comuni Vult. et vice et nomine dicti Comunis a dicto Foligno
vel ab alia persona dante prò eo, den : ij de qualibet libra diete
monete compresse que cudetur per ipsum Folignum vel alium prò
eo in civitate Vult : videlicet de illa libra que reducta fuerit ad
finem diete monete. Et si dictus Folignius nollet eidem Sasso dictos
duos den : prò Comuni, ut dictum est, dare, dictus Sassus nullo
modo se in dicto officio intromictat.
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni. Filza A nera i,
a e. 2' 3. g.').
IV.
La società fiorentina di Baldo di ni. Virgilio, avendo ottenuto dal
Vescovo t'allogagione della zecca, domanda al Comune le fran-
chigie solite concedersi a chi batteva moneta in Volterra.
1310. Die viij mensis Madij.
Coram vobis dominis XII Defensoribus populi civitatis Vult:
Baldus filius quondam domini Virgilii de Florentia prò se ipso et
sotiis suis exponit et dicit, quod ipse et sotij eius sunt in contractu
et concordia cum venerabili Patre domino Ranierio Dei et aposto-
lice sedis grafia Episcopo Vult : facere et facere fieri et cudi mo-
netam grossam et minutam bonam veram et legalem in Civitate
Vulter : vel eius episcopatu. Unde cum hec sint utilitatis et honoris
in civitate in qua fit et cuditur ipsa moneta, et dicti Baldus et sotii
optent magis eam facere et fieri facere et cudi in ipsa civitate
quam alibi, eo quod est maioris honoris et cives et artifices pos-
sunt inde consequi multum fructum ; petit quod per vos et illud
consilium per quod fieri potest, quatenus sub protectione et licentia
vestra et Consilii generalis diete civitatis, predirti Baldus et sotii
dictam monetam facere et fieri facere et cudi possint et valeant :
et in predictis velitis providere ut melius videritis convenire.
Insuper, est sue intentionis et sotiorum quod ipse neque sotii
graventur vel molestentur honeribus personalibus vel realibus per
dictum Comune Vult: nisi quatenus de eius et sotiorum processerit
volumptate.
446 ALESSANDRO LISINI
Bindo consultore.
(Omissis) Super tertia imposita, de petitione quam fecit Baldus
domini Virgilii prò se ipso et sotiis de moneta fatienda, consuluit:
quod fiat et executione mandetur prò ut in dieta petitione conti-
netur, dummodo quod dieta moneta fieri debeat in civitate Vult :
tantum et non alibi, cum illis pactis, modis, forma et condictionibus
eisdem Baldo et sotiis dandis per dominos XII populi civitatis, et
secundum illa pacta et tenorem, formam et modum que et quas
eisdem XII videbitur, convenerint et extiterint concordes cum pre-
dictis Baldo et sotiis.
Item facto et misso partito per supradictum dominum Pote-
statem ad bussolas et palloctas, secundum formam statutorum, ve-
runi procedatur supra dieta petitione Baldi de Florentia et sotiorum
aut supra contradictione dicti banditoris, obtentum et firmatum
fuit per lxxxviiij consiliarios qui miserunt eorum palloctas in
bussola rubea del si quod supradicta imposita procedatur: xxv
consiliarios qui miserunt eorum palloctas in bussola alba del no
et contradicentes dicti banditoris, non obstante.
Item simili modo et forma facto et misso partito per supra-
dictum dominum Potestatem ad bussolas et palloctas secundum
formam statutorum, obtentum et firmatum fuit et stantiatum per
i.xxxxviij consiliarios qui miserunt eorum palloctas in bussulam
rubeam del si, quod supradicta imposita de petitione Baldi et so-
tiorum fiat et executioni mandetur prout dictum est et arengatum
fuit per supradictum dominum Bindum consultorem supradictum,
et xvj consiliarios qui miserunt eorum palloctas in bussulam albani
de no, non obstantibus.
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni del Consiglio.
Filza A nera 6, e. 68 e seg).
V.
Gli zecchieri residenti a Volterra fanno alcune convenzioni tra loro,
cioè di nominarsi un capo, d' assegnarsi un salario di jo de-
nari pisani per ogni libbra di moneta coniata e di non ricevere
nella loro società altri lavoranti se non col consentimento di
tutti loro.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis eiusdem millesimo
trecentesimo sesto decim, Indictione quartadecima, die vigesimo
primo mensis mady. Omnibus hanc in instrumenti seriem inspectu-
ris appareat manifeste quod Franciscus. frater Jacobi de Ramisinis,
Petrus Pistorisij et Jacobus eius frater de Bononia, Sandrus Baldi,
Lippus Sengne et Saracinus ejus frater de Florentia, Angellus Gui-
ductij et Cecchus ejus frater de Arisio, Leone Prancatij de Senis,
Stefaninus Francischi de Cogorno de Janua, Riccardus de Maxio
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 447
de Regno et Johannes Yspànus curerii, laboratores et fabricato-
res monete que presentialiter fabricatur in Civitate Vulterre ,
congregati in simul in Ecclesia sancti Johannis Batiste de Vul-
terris, ad tractandum, ordinandum et statuendum de bono et pa-
cifico statu ipsorum, statuerunt et ordinaverunt infrascripta : In
primis, quidem statuerunt et ordinaverunt unum facere prepositum
ex ipsis, qui aliis debeat preesse, et cui obediatur per alios omnes
et singulos. Et in continenti omnes predicti, dominimi Franceschum
eorum prepositum fecerunt et ordinaverunt. Item statuerunt et or-
dinaverunt quod nullus ipsorum audeat vel presumat palam vel
occulte, per se vel alium, minuere salarium quod presentialiter sol-
vitur eis, videlicet denarios xxx pisanos prò libra argenti laborati
et fabricati usque ad pontum monetandi. Item statuerunt et ordinave-
runt quod nullus alius extraneus recipiatur in ipsorum sodimi et
ad ministerium antedictum nisi de conscientia, voluntate et con-
sensu dicti prepositi et omnium predictorum sociorum supra no-
minatorum nemine discordante. Qui predicti omnes et singuli per
se et ipsorum heredes promiserunt observare et adimplere omnia
suprascripta et infra scripta sub pena vigiliti quinque librarum
denarioruir. ; quam penam, observantes predicta ab ilio vel illis non
servantibus predicta, ubicumque locorum terrarum et fori petere et
exigere possit cum effectu, videlicet quilibet predictorum observan-
tium predicta prò parte supra contingente. Et predicta pena in sin-
gulis capitulis hujus contractus in solidum promissa, et pena soluta
vel non, predicta omnia et singula firma permaneant et perdurent.
Item statuerunt et ordinaverunt quod sacramento trium ex supra
noniinatis credatur et fìd;s piena adhibeatur si quis in aliquo contra
fecerit. Item statuerunt et ordinaverunt sub pena superius nominata,
observare et adimplere ac executioni mandare omnia et singula
stantiamenta ordinationes et statuta, per dictum prepositum cum
consensu et conscientia aliorum sociorum suorum facienda in po-
sterum concedentes michi notario ex mine quod unicuique ipsorum
possim instrumentum predictum in formam publicam exibere. Actum
Vulterris in Ecclesia sancti Johannis Batiste de Vulterris, presen-
tibus Philippino de Aleo di Cremona, Cambio I'uccij de Florentia
et Masino Benevicnis de Florentia testibus ad hoc vocatis.
(Archivio vescovile di Voltkrra. Protocolli del notaio Gio-
vanni da Bologna, dal 1313-1316 ad annum).
VI.
Condizioni fatte dal Comune di Volterra alla società di Meo d'Al-
berto d' Arezzo per tenere aperta la zecca nella città.
Anno domini millesimo trecentesimo xvj. Indictionc xv. Die
xxviij. Ottubris.
448 ALESSANDRO LISINt
Undecim de xu Defensoribus et Gubernatoribus Comunis et
Populi civitatis Vult : ad consilium ad sonimi campane in camera
palatii Comunis Vult : super doanam salis et iuxta turrim Comunis
existentem, mandato Priorum XII more solito, convocatione et con-
gregatione facta :
Primo inter eos proponitur diligenter de infrascriptis per unum
ex dictis Prioribus, de licentia et voluntate aliorum Priorum, et
audito Consilio super ea dato et posito, exinde facto et misso par-
tito inter eos per eumdem Priorem de voluntate aliorum, ad bus-
sulam et palloctas, secundum formam statutorum ; stantiatum fir-
matimi et obtentum fuit per omnes suprascriptos XI de XU in
concordia, qui eorum palloctas miserunt in bussolo rubeo del si,
nullum in contrarium in bussolo albo del no repertum ; quod in-
frascripta pacta facta intèr XI, de dictis dominis XII, prò Comuni
Vult : et cuditores seu battitores volentes monetam vel cudi fa-
cientes, et monetarios scilicet inter Meum Alberti de Aritio et sotios
observetur et sine fraude prò Comuni Vult : et econtra prò parte
Comunis non fiat in quantum prò parte suprascriptorum cuditorum
seu battitorum observent illesa, et monetarios magistrum Ugonem
ser Jacopi Dietifecis, ser Johannem notarium Bonvicini et Petri-
nura Seghenini tres honorabiles homines positos ad predicta prò
Comuni Vult : per approbatores.
In primis, quod moneta quam intendunt seu volunt cudere vel
battere seu cudi facere, initietur cudere per predictos ad presens ,
et durent ad cudendum vel battendum ab eorum initio ad duos
annos proxime subsequentes et non ultra.
Item, quod moneta quam incipient predicti Meus et sotii cudere
seu battere, sit illius leghe et illius bonitatis et ponderis cuius vel
quorum sunt grossi de argento ad sex denarios deputatos qui
Ount et cuduntur ad presens in civitate Florentie et Senarum.
Item, quod dieta moneta quam suprascripti intendunt cudere et
battere seu cudi facere, cudatur et fiat in civitate Vult : in publico
loco et sit illius bonitatis et ponderis ut dictum est. Et fiat et cu-
datur cum suprastantibus seu guardianis ; que diete monete sint et
esse debeant designate et cum aliis cautelis que necessarie sunt
prò dieta moneta cudenda et fienda, expensis dictorum monetario-
rum et cuditorum, ad voluntatem Comunis Vult : et domini Epi-
scopi vulterrani.
Item, quod dieta moneta sit cum cuneo, videlicet ex uno latere,
cum forma sine imagine domini Episcopi Vulterrani, et ex alio la-
tere sit et esse debeat in dieta moneta quedam crux ad similitu-
dinem et signum armorum popoli civitatis Vult : cum hiis licteris
et vocabulis, scilicet : populo vulterrano.
Item, quod de dieta moneta Comune Vult: vel alia persona
prò dicto Comune recte habeat a dictis monetariis seu cuditoribus,
prò dricto de quolibet libra diete monete, denarios iiij. or et prò ga-
bella denarios ij, solvendam tamen dictam pecunie quantitatem Co-
muni Vult : quando de Bolzano extraheretur.
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 449
Item, si acciderit quod inter dictum tempus duoruni annorum
Comune Florentie vel Senarum vel alìquod eorum mutaret legham
monete grossorum de argento seu de picciolis, quod dicti mone-
tarii possint facere vel lìeri facere ad illam similem legham et
pondus dictarum civitatum vel alicuius earum, in quantum placuerit
Comuni Vult: et domino Episcopo, et cuilibet eorum in concordiam
sint (et) cum illa forma cuneo et dritto que placuerint dictis Co-
muni Vult: et domino Episcopo in concordia cum dictis monetariis.
Item, quod dieta moneta facta predicto modo et cum dictis
pactis et condictionibus, possit et debeat expendi in civitate Vult :
et eius districtu, et sic banniatur quod expendatur in dieta Civitate
et districtu.
Item, quod si acciderint quod per aliquod Comune de Tuscia
disbandiretur quod non expendatur seu non teneretur firma dieta
moneta facta suprascripto modo in dieta civitate Vult: quod si-
militer fiat et fieri debeat prò Comune Vult: de dicto tali Comuni
et terra, inde exbamniendo eius moneta, et non recipere nec per-
mictere quod recipiatur in civitate Vult: vel eius districtu.
Item, quod dicti monetarii et eorum laboratores et monetam
cuditores foreases tantum sint liberi et ab-^oluti ab omni datio et
imposita et achatus et ab omnibus fationibus et servitiis, realibus
seu personalibus, debentibus Comuni Vult: quocumque modo et
causa, et ad predicta facienda per aliquod oftictium civitatis Vult:
non possint modo aliquo coartare.
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni del Consiglio.
Filza A. nera 7, e. 28 e seg.).
VII.
Provvisioni relative alla cattiva moneta che battevasi in Volterra e
alla convenienza di tenere aperta la zecca nella città.
1317. Die viij mensis aprelis.
Consilio generali Comunis et populis etc.
Item, quod placet dicto Consilio et consiliariis de Consilii stan-
tiare, providere et ordinare si moneta qua presentialiter cuditur et
fit in civitate Vult : fiat ulterius nec ne, cum magna querela expo-
sita sit ab hominibus mercatoribus civitatis Vult : de dieta moneta,
dicentibus ipsani monetam non esse rectam nec pure factam
Cavalcuccius Mannuccii, unus ex dictis consiliariis, surgens in
dicto Consilio, arengando, consuluit .. Item, super secunda pro-
posita de moneta, consuluit arengand > quod ab hodie in antea
moneta in civitate Vult: non fiat nec cudatur : nec monetari qui
eam cudunt et faciunt in dieta civitate, stare et morari possint. Et
dictus Potestas teneatur eos expellere et eis precipere quod ad
450 ALESSANDRO LISINI
penam C. lib : prò quolibet, amplius dictam monetarii non cudant
nec faciant, et ipsi discedant de civitate Vult : et suo districtu.
[La proposta venne approvata da 104 consiglieri nonostante il
voto contrario di altri 17 consiglieri).
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni. Filza A nera 7,
e. 30' ).
Anno Domini Millesimo trecentesimo septimo decimo.
Die prima octubris.
Item, stantiatum et firmatum est per omnes eos in concordia
qui miserunt eoruni palloctas in buxolo rubeo del si, quod nullus
generis homo audeat vel presumat recipere aut tollere aliquam
nionetam noviter factam a duobus annis citra, grossam vel parvam,
ad penam solidorum quinque denariorum prò quolibet denario re-
cepto vel apud eum invento, exceptam aliquam nionetam floren-
tinam et senensem, quam quilibet possit et sibi liceat impune tol-
lere et dare ; et quod nullus audeat ad Civitatem Vult : aliquam
aliam nionetam novam aportare ad penam admissionis eius quod
apportaverit. Et quod quilibet qui alias monetai novas, quum
dictum sit habere possit, teneatur et debeat eam expendere et
sgombrare infra octo dies ad dictam penam sol : quinque prò
quolibet denario. Quas monetas florentinas et senenses tam gros-
sam quam parvam, et monetam pisanam veterem quilibet possit
expendere et tenere absque pena et banno.
Die ij octubris.
Item, proposuit, dictus Prior, quod eis videtur et placet esse
provvidendum super ambaxiatoribus mictendis ad civitatem Flo-
rentie, facto monete noviter fiende in civitate Vult : prò Comuni
et populo Vulterrano.
Anno Millesimo trecentesimo septimo decimo. Indictione prima,
die xv. octubris.
Item, proposuit unus ex supradictis Prioribus Duodecim de aliorum
suorum Priorum voluntate et presentia ; si videtur et placet dicto
Consilio providere, stantiare et ordinare quod moneta fiat et cu-
datur in civitate Vult: prò Comuni et populo vulterrano:
Ser Martinus notarius ser Galgani, unus ex infrascriptis con-
siliariis, surgens in dicto Consilio ad aringheriam, arenghando dixit
et consuluit :
Item, super secunda proposita predicta, arengando dixit et
consuluit, quod prò Comuni et populo vulterrano fiat et cudatur
in civitate Vult: nionetam.
Item, facto et misso partito per dictum Priorem ad buxolos et pal-
loctas, secLindum formam statutorum, super secunda proposita stan-
tiatum et firmatum est per i.xxj, consiliarios qui eorum palloctas
miserunt in buxolo rubeo del si, non obstantibus iiij qui eorum
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 45I
palloctas miserunt in buxolo albo del no, quod fiat et observetur
in omnibus et per omnia prout et sicut in dictis proposita et dicto
dicti ser Martini arengatoris plenius continetur.
Die xvj octubris.
Ser Magister Fede medicus et Ser Nerius Rustichini, etc. ad scru-
ptinium ad buxolos et palloctas, secundum formam statutoruin electi
sunt ad procurandum omni via modo quo melius poterint quod
moneta fiat in civitate Vult: prò Comuni et populo vulterrano, iuxta
reformationem factam per Consilium pieni dominii. Qui eorum of-
fitium bene et legaliter facere iuraverunt.
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni . Filza A nera 7,
e. 3', 4, 19', 20).
Vili.
Altre provvisioni relative alla valutazione delle monete che avevano
corso in Volterra, e alla convenienza di tenere aperta la zecca
nella città.
Anno Domini Millesimo trecentesimo decimo octavo, Indictione
prima, Die lune x Aprelis.
Convocatis... Item modo et forma predictis, stantiatum firma-
tum et obtentum est per omnes predictos in concordia, scruptinio
facto inter eos ad bussulas et palloctas, quod quilibet grossus de
arento qui mine computatur et mittebatur prò denariis decem et
octo, tam factus in civitate Vult: vel alibi, detur, recipiatur et com-
putetur deinceps prò denariis decem et septem tantum. Et nullus
de civitate Vult: vel alibi in civitate Vult: vel eius fortia debeat
nec possit dare, expendere vel recipere aliquem denarium parve
monete, nisi solum denarios florentinos, senenses et pisanos.
Die sabati xxviiij Aprelis.
Item modo et forma predictis, firmatum obtentum est per
omnes suprascriptos in concordia, scruptinio facto inter eos, quod
eras fiat consilium pieni dominii Capitanei Vexilliferorum et Con-
siliariorum iiij or centum populi et ipsorum XII. Et in ipso Con-
silio fiat propositum per unum ex dictis Prioribus, quod videtur et
placet dicto Consilio, quod moneta fit, bacti et coniali debeat prò
Comuni et populo Vult: et quicquid in dicto Consilio fuerit obten-
tum executioni mandetur.
Die xxx Aprelis.
Item modo et forma predictis, proposuit et dixit dictus Prior,
de voluntate et presentia aliorum suorum Priorum, quod videtur et
placet dicto Consilio providere stantiare et ordinare quod fieri et
452 ALESSANDRO LISINI
bacti et coniari debeat prò Comuni et populo Vulterrano in civitate
Vult : secundum forinam statutorum :
Ser Martinus ser Galgani de Vult : dixit super secunda vero
proposita, etiam consulendo dixit, quod per offitium Dominorum
XII, populi, diligenter inventa facti veritate, prò Comuni et populo
utile fuerit quod moneta cudetur et fiat prò predi' to Comuni et
populo in civitate Vult : fiat et coniatur in civitate dieta eo modo
et forma ut eisdem Dominis XII utile videbitur prò predicto Co-
muni et populo ; et id quod circa predicta factum fuerit sit firmum
et habeat robur firmitatis.
Die xvij Maij.
Convocatis et cohadunatis Dominis XII Defensoribus et Gu-
bernatoribus Comunis et populi civitatis Vult : mandato dominorum
Priorum dictorum XII, in Camera palatii Comunis Vult : in quo do-
mini Priores XII, morantur prò ipsorum offitio exercendo ad sonum
campane ad consilium ut moris est : in quo quidem Consilio facta
et missa proposita per unum Priorem ex dictis Prioribus, de volun-
tate et presentia aliorum suorum Compriorum, et audito Consilio
et examine facto et misso partito ad bussolos et palloctas per
dictum Priorem de voluntate aliorum suorum Compriorum et in-
frascriptorum et quolibet ipsorum; stantiatum, firmatum et obtentum
est per omnes suprascriptos in concordia, scruptinio facto inter
eos, quod facta diligenti inquisitione et investigatione verum prò
Comuni Vult: esset utile vel non, moneta cudi in civitate Vult: et
reperta facti veritate quod utile prò Comuni Vult : non est, sed
inutile, quod moneta huic ad calendas junii proximi futuri in ci-
vitate Vult : cudi non debeat nec possit, sed ad hoc in futurum per
alios Dominos XII provideatur quod per Priores presentes XII in
nota aliis sepissime dimictant.
Anno Domini wcccxviij, Indictione prima, Die xviij Maij.
Item, stantiatum firmatum et obtentum est, modo et forma pre-
dictis, per novem ex predictis decem de XII in concordia scruptinio
facto inter eos ad bussolos et palloctas secundum formam statu-
torum, quod qualibet persona de civitate Vult : vel eius districtus
vel aliunde in civitate Vult: vel eius districtus debeat, teneatur et
possit dare et contende- e et recipere et sibi computare quemlibet
grossum de argento, qui nunc computatur de xvij den :, sexdecim
denarios tantum ; et quemlibet grossarellum cuiuscumque condi-
tionis qui nunc computatur denarios quinque, prò denariis quatuor
et dimidio ; et quemlibet solidum denariorum curtunensium veterani
pio denariis x tantum ; et sic debent dicti grossi ac pecunia dari,
recipi et computari in civitate Vult: et eius fortia et districtu, co-
mitatus ab hodie retro et non aliter vel alio modo. Et sic bannatur
et preconizetur in civitate, publice, Vult :
(Archivio storico ni Volterra. Deliberazioni. Filza A nera 7,
P a g- i9, 35 '. 3 6 ', 37 e P a S- 6 > IO )-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 453
IX.
Altre provvisioni sul corso delle monete erose in Volterra, e sul-
l'apertura della secca.
Anno Domini Millesimo trecentesimo nonodecimo. Indictione
tertia. Die sexto mensis Septembris.
In Dei nomine, Amen. Convocati et congregati XI de XII De-
fensoribus et Governatoribus Comunis et populi civitatis Vult: et
XII de Capitaneis Vexilliferis et Consiliariis iiij or populi predicti etc...
Zampe de Ricciardis honorabilis capitaneus et Vexillifer iustitie Co-
munis et populi Vulterrarum proponit etdicit: Item proponit et dicit
dictus Potestas, modo et forma predictis, quicquid ipsi Consilio
placet providere ordinare et stantiare esse facendum super moneta;
cum moneta minuta et alia mala moneta abundet Vult : et alia
bona moneta cesset :
Dominus Pannocchia judex de Vult : unus ex dictis consilia-
riis... Item, dixit et consuluit dictus dominus Pannocchia super se-
cunda proposita de moneta, quod sit in sex bonis hominibus eli-
gendis per dictos XII, et dictis XII, ad providendum que sint utile
prò Comuni et hominibus et personis civitatis Vulterrarum.
(La proposta messa ai voti fu approvata da 41 consiglieri, con-
tro 2 consiglieri).
1319. Febbraio 6.
Congregati, etc.
Item, statutum et firmatimi est per eos, modo et forma predictis,
quod eligantur sex boni homines civitatis Vult: qui sint et esse
debeant cum dominis XII populi ad providendum de facto monete
ut stantiatum fuit per dictum Consilium ad hoc ut bona moneta
sit in civitate Vult: et quicquid provisum fuerit executioni mandetur.
Vannes Chini \ , ., tl . . ..
_ . „ . . J de Vult: electi sunt per dictos
Petrinus Segenni I ,„.. ,•-,?, , ,.
.. ... ,. I XII. populi Vult: ad predieta
Mone Vichi ; ., v ,. r
r, . „. , . 1 providendi supra monete pre-
Puccius Cianghi I ,. r
Johannes Inghirami )
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni. Filza A nera 5,
quad. 7, e. 8 ').
1321. Anno et Indictione proxime suprascriptis, Die quarto decimo
Marti j.
Convocatis et congregatis dominis Duodecim Defensoribus et
gubernatoribus Comunis et populi Vult : et li de consiliariis con-
silii pieni dominij et XII de XVI Capitaneis consiliariorum et ve-
454 ALESSANDRO LISINI
xilliferorum vi. populi antedicti in palatio populi antedicti de man-
dato nobilis viri Francisci de Mezzavillanis de Bononia honorabilis
Capitanei et Vexilliferi populi antedicti ad sonum campane et nuntii
requisitionem vocemque preconis ut moris est. Et Franciscus pro-
posuit et dixit, unus ex dictis Prioribus de presentia et voluntate
suorum sotiorum, quod videtur et placet dicto Consilio providere et
deliberare et stantiare de faciendo et coniando monetam prò Co-
muni Volterrano, quod dicant et consulent in nomine altissimi
Dei vivi.
Ser Vannes notarius Gessie, unus ex dictis consiliariis, surgens
in dicto Consilio ad aringheriam, consulendo dixit, quod supradicta
proposita supersedeatur toto tempore presentis offitii Dominorum
Duodecim, et quod presens offitium Dominorum Duodecim et eorum
notarios sint de predictis libberi et absoluti.
(La proposta venne approvala con 71 voti favorevoli nonostante
4 voti dati in contrario).
(Archivio storico di Volterra. Deliberazioni. Filza A nera 8,
quinterno V, e. 90 ' ).
X.
Panicela di Luto da S. Gcmignano e altri suoi soci ottengono dal
vescovo Ranuccio Allegretti il diritto di batter moneta nei ca-
stelli del vescovado.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis Eiusdem millesimo
trecentesimo vigesimo primo, Indictione quarta, die quirtodecimo
mensis Augusti. Hec sunt pacta et conventiones ordinate inter ve-
nerabilem in Christo patrem et dominum, dominum Raynuccium
divina et apostolica gratia episcopum vulterranum, et discrttos viros
Paniziam Luti de Sancto Gemignano et Fantcnem Gretti olim do-
mini Lottoringhi de Rubeis de Florentia prò se et aliis ecrum sotiis,
in infrasciipta moneta super opere et in opere zecche seu monete
parve dicti domini Episcopi fabricande et cudende. Quam quidem
zecham si ve monetam dicti mercatores conduxerunt a dicto vene-
rabili patre hinc ad duos annos proximos, ut continetur instrumento
publico sci ipto manu mei notari infrascripti. Inprimis videlicet quod
ipsi mercatores possint et eis Iiceat, auctoiitate dicti domini Episcopi,
cudere et cudi facere dictam zecham seu monetam parvam libere
et publice in episcopalibus castris de Berignone vel de Montalcino
in altero videlicet dictorum castrorum in modica vel magna quan-
titate et aliquando nichil prout eis videbitur, hac tan.en conditione
adiecta, quod si propter defectum ipsorum mercatorum dieta mo-
neta non cudereretur per spatium duorum mensium continuorum,
Iiceat ipsi domino Episcopo ipsam fabricatiorem monete dictis mer-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 455
catoribus tollere et ad se et episcopatum revocare et alij vel aliis
mercatoribus locare prò sue libito voluntatis. Quibus quidem mer-
catoribus, nomine quo supra recipientibus, idem venerabilis pater
per se et suos successores promisit et convenit stipulatione solepni
eisdem mercatoribus et eorum sotiis dictam fabricationem monete
non tollere vel molestare hinc ad duos annos proxime venturos
nisi in eo casu videlicet cum per spatium duorum mensium non
cuderetur, ut superius est expressum, et nullam aliam monetam
parvam vel magnam alicujus alterius forme vel ponderis cudi fa-
cere in aliquo alio loco dicti episcopatus ve] per alias quascumque
personas. Que quidem moneta parva debeat esse illius ponderis
conij et bonitatis prout erat et cudebatur tempore olirti domini Ray-
nerij episcopi vulterrani proximi predecessoris dicti domini Ray-
nucci nunc episcopi, ut continetur in ultimo instrumento tunc de
locatione diete monete confecto per ser Genarium de Berignone
notarium vel per ser Landum de Coneo notarium. Idem quod dicti
mercatores totaque eorum gens qui laboraverint in opere diete mo-
nete, sint liberi penitus et exclusi ab omnibus et singulis factio-
nibus et servitiis diurnis et nocturnis communibus dictorum ca-
strorum vel =.Iicujus eorum impendendis et prestandis. Et similiter
ab omnibus et singulis datiis impositis pedagijs et gabellis eundo
redeundo et stando in dictis castris vel eorum aliquo aut eorum
districtibus sint esclusi, ita tamen quod si ipsi vel aliquis eorum
aliquem execssum commiserint in ipsis castris vel eorum aliquo
aut eorum districtibus vel ad hec dederint auxilium, consilium vel
favorem, pena debita puniantur. Insuper si aliquod dapnum recipe-
rent de dieta moneta in dictis castris vel earum aliquo aut eorum
districtibus occasione furti vel depredationis alicujus persone, pre-
terquam operariorum laboratorum artificum et aliorum offitialium et
familiarum dictorum conductorum et diete monete et omnium alia-
rum personarum quas ipsi mercatores secum ducerent vel haberent,
promisit idem pater nomine, quo supra, dictis conductoribus dicto
nomirie stipulantibus et recipientibus totum hujusmodi dapnum
restaurare et resarcire de sua pecunia propria integraliter cum
effectu. Itero, quod in fine dicti termini duorum annorum dicti mer-
catores et eorum gens et operarii et Iaboratores ipsorum possint
et eis liceat extrahere et deferre de dictis castris et quolibet eorum
et ipsorum districtibus omnia eorum ferramenta suppelettilia et
omnes et singulas alias res suas perìinentes ad opus diete monete
libere et expedite sine aliqua exactione pedagy vel gabelle. Et e
converso dicti conductores, nomine quo supra, promiserunt et con-
venerunt dicto venerabili patri, dicto nomine stipulanti et recipienti,
dictam monetam parvam hinc ad dictum terminimi bene et legaliter
cudere et cudi et fabricari facere iuxta formam superius nomina-
tam. Que omnia et singula supradicta promiserunt sibi ad invicem
diete partes solepnibus stipulationibus hinc inde intervenientibus
firma et rata habere, tenere et non contrafacere vel venire aliqua
456 ALESSANDRO LISINI
ratione vel causa, de jure vel de facto, sub pena quingentorum
florenorum auri ad invicem inter ipsos stipulatione promissa et
refectione dapnorum et expensis litis et extra et pena soluta vel
non predicta omnia et singula firma perdurent. Pro quibus omnibus
et singulis firmiter observandis obligavit una pars alteri omnia sua
bona, videlicet dictus venerabilis frater, nomine quo supra, dictis
conductoribus, dicto nomine stipulantibus, omnia bona sui episco-
patus, et dicti conductores eidem venerabili patri, dicto nomine,
omnia sua bona tam habita quam habenda. Actum in Episcopali
palatio castri Montalcini Vulterrani Episcopatus, presentibus domino
Sigherio olim Franciscii de Vulterra, Rectore ecclesie de Spechaiola,
presbitero Lotto Bindi de Ripamarantia cappellano dicti domini
Episcopi, testibus ad hec vocatis et rogatis.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis eiusdem mille-
simo trecentesimo vigesimo secundo, Indictione sexta, die nono mensis
Novembris. Pateat publice quod magister Vannes Benvenuti aurifex
de Florentia promisit et convenit stipulatione solepni, Panicie olim
Luti de sancto Gemignano, recipienti et stipulanti prò se et aliis
suis sotiis conductoribus fabricationis monete venerabilis patris et
domini domini Rainuccy dei gratia episcopi Vulterrani, se facturum
et fabricaturum a die quartodecimo presentis mensis novembris in
antea usque ad diem quartumdecimum mensis Augusti proxime
subsequentis, ad omnem ipsius Paniccie requisitionem omnia ferra
que dictis Paniccie et sotiis suffitiant prò fabricatione diete monete,
que nunc fabricatur vel alterius lige aut forme que fabricaretur
infra dictum tempus, minute vel grosse. Et hoc ideo quia dictus
Paniccia dicto nomine promisit et convenit dicto magistro Vanni,
prò se et suis heredibus stipulanti, se daturum et soluturum eidem
magistro Vanini prò suo salario, labore et mercede diete fabrica-
tionis ferrorum mense quolibet quo dieta moneta fabricaretur in
magna vel parva quantitate, in principio cujuslibet mensis, sex fio-
renos boni et puri auri, et etiam dare et facere sibi expensas victus
quamdiu Iaboraverit circa fabricationem dictorum ferrorum et expen-
sas etiam prò se et equo in eundo et redeundo de Florentia oc-
casione predicta. Hoc acto specialiter inter eos, quod si dicti Pa-
nicela et socij ex aliqua emergenti causa non facerent fabricari
monetam in aliqua quantitate, non teneantur ipsi Paniccia et sotij
dictos sex florenos vel aliquod aliud solvere aut dare magistro
Vanni predicto prò tempore quo non fabricaretur ipsa moneta nisi
ut supra dictum est. Que omnia et singula supradictii promiserunt
vicissim, scilicet unus alteri adinvicem solepnibus stipulationibus
hinc inde intervenientibus firma et rata habere tenere et non con-
trafacere vel venire aliqua ratione vel causa de jure vel de facto
sub pena quinquaginta librarum denariorum florentinorum parvo-
rum ad invicem inter ipsos stipulatione promissa et refectione
dapnorum et expensarum litis et extra et obligatione omnium suo-
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 457
rum honorum. Et pena soluta vel non rata maneant omnia et sin-
gula supradicta. Actum Casulis vulterrane dioecesis in domo plebis
dicti castri in presentia dicti domini Episcopi, presentibus domino
Andrea proposito diete plebis, presbitero Buto rectore ecclesie
Sancti Alexandri de Vulterra et Jacobo domini Baronis judicis de
Vulterra, testibus ad hoc vocatis et rogatis.
Eisdem die et loco tt corani dictis testibus. Pateat universis
quod venerabilis in Christo pater et dominus, dominus Rainuccyus
divina et apostolica gratia Episcopus vulterranus, elegit et assumpsit
ser Udebrandinum Johannis notarium de Casulis in suum notarium
et offitialem ad vidtndum ponderari monetam suam que cuditur et
fabricatur ad presens et que cudetur prò tempore custodiendum
capsam et ferra cum quibus fabricatur et fabricabitur ipsa moneta,
claves ipsius capse tenendum ac dieta ferra operarys exhibendum,
et alia fatiendum et exercendum, que hujusmodi offitio necessaria
dinoscuntur.
(Archivio vkscovii.e di Volterra. Locazioni, Elezioni, etc,
1321-1323, rogiti di Guglielmo da Imola, notaio).
XI.
Altra allogazione alla zecca fatta a Paniccia da 5. Gattigliano dal
vescovo Ranuccio.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis Eiusdem mille-
simo trecentesimo vigesimo secundo, Indictionc sesta, die decimo
octavo mensis Novembris. Evidenter appareat universis hoc instru-
mentum pubblicum inspecturis quod venerabilis in Christo pater et
dominus, dominus Raynuccius, divina et apostolica gratia episcopus
vulterranus, auctoritate imperiali qua fungitur suo et suorum suc-
cessorum et ecclesie vulterrane nomine, dedit, concessit et locavit
Paniccie ohm Luti de Santo Gemignano vulterrane dioecesis et Meo
olim Alberti de Aretio, recipientibus et stipulantibus prò se ipsis et
prò omnibus et singulis mercatoribus, quos ad hec sibi duxerint
sociandos, monetam grossam et parvam ipsius domini episcopi cu-
dendam et fabiicandam dans eis et sociis ipsorum plenam liberarci
et expressam licentiam et mandatum cudendi et fabricandi seu cudi
tt fabricari faciendi in castro de Casulis, vel in alio loco vulterrani
episcopatus sicut dicto patri et dictis conductoribus videbitur et du-
xerint deputandum. Que moneta grossa sit et esse debet de illa
liga de ilio numero et pondere et de illis figuris et signis ac licteris
quibus idem pater cum dictis conductoribus erunt concordes tem-
pore fabricationis ipsius, moneta vero parva ex pacto dicti venera-
bilis patris domini episcopi cum predictis Paniccia et Meo inito te-
I58 ALESSANDRO LISINI
nere debeat in liga mediarti unriam argenti boni et puri prò qua-
libet libra, in pondere vero quelibet libra tenere et capere solidos
qu'nquaginta quinque. Et si contigerit quod libra diete monete
contineat duodecim denarios plus vel minus in pondere ipsius
libre, plus vel minus denariorum duodecim et duo grani plus
vel minus in liga, quando venirent ad deliverationem ipsius per
assagiatorem et deliveratorem ad hoc specialiter deputatum, vo-
luerunt et convenerunt posse approbari et deliverari, dum tamen
id quod inveniretur superfluum vel diminutum suppleatur et sup-
pleri debeat infra tertiam proximam deliverationem venturam.
Si vero accideret quod ipsa moneta descenderet prò libra usque
ad soldos quinquaginta tres, possit deliverari sine aliquo re-
stauramento de dictis duodecim denariis ultra quinquaginta tres.
Cujus monete parve signa figure ac Iictere in hunc. modum con-
cesse fuerunt per dictum dominum episcopum, videlicet quod ex
parte una in circulum inferiorem debeat esse crux integra cum
quadam cruce parva desuper, Iictere vero circumferentie de Vulterris.
Ex alia vero parte infra interiorem circulum debet esse media
ymago episcopi parati in pontificalibus et cum mitra in capite et
pastorali in manu sinistra, in circumferentia vero sive in circulo
exteriore, supra caput ymaginis episcopalis quedam crux cum stella
e latere destro et puncto ex sinistro, cum his licteris: Episcopus Ra-
nuccius. Que concessio et licentia facta fuit per dictum dominum
venerabilem patrem dominum episcopum vulterranum, nomine quo
supra, predictis Paniccie et Meo, nomine quo supra recipientibus,
hinc ad quartum decimum diem mensis Augusti proximi venturi et a
dicto quartodecimo die ad quatuor annos tunc proxime subsequen-
tes. Promittens idem dominus episcopus, nomine quo supra, pre-
dictis Paniccie et Meo quo supra nomine stipulantibus et recipien-
tibus, prefatam monetam non dare vel concedere seu locare toto tem-
pore suprascripto alicui seu aliquibus personis sine eorum expressa
voluntate, licentia et mandato: hoc etiam pacto interveniente inter
ipsos quod idem dominus episcopus convenit et promisit predictis
Paniccie et Meo, nomine quo supra stipulantibus, tractare eos in
omnibus habere et tenere tamquam suos familiares domesticos, et
non gravare eos nec gravari faccre aliquo gravamine heris et per-
sonarum, hac etiam conditione interveniente inter eos, videlicet quod
si predicti Paniccia et Meus seu monetarii propter suam negligen-
tiam vel defectum, cessarent cudere et fabricare seu fabricari fa-
cere per duos menses continuos, idem dominus episcopus prefatam
monetam ex tunc ad se revocare possit vel locare quibus placuerit,
non obstantibus obligationibus predictis. Et promiserunt dicti Pa-
niccia et Meus, nomine quo supra, eidem domino episcopo, dicto no-
mine stipulanti et recipienti, dictam monetam bene et legaliter cudi
et fabricari facere ut superius est expressum. Que omnia et sin-
gula supradicta promiserunt sibi invicem nominibus quibus supra,
videlicet una pars alteri ad invicem, solepnibus stipulationibus hinc
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 459
inde intervenientibus, firma et rata habere et tenere et non contra
facere vel venire sub pena mille florenorum auri stipulatione pro-
missa et refectione dapnorum et expensarum litis et extra et obli-
gatione omnium suorum bonorum, et pena soluta vel non, predicta
omnia et singula firma perdurent; quam penam pars non observans
parti observanti solvere teneatur, prò quibus omnibus et singulis
firmiter observandis, obligando quelibet pars sponte et libere vo-
luit quod possit cogi et conveniri coram quolibet judici ecclesiastico
et civili et in omni curia ubi actori placuerit convenire. Actum Ca-
sulis in domibus plebis de Casulis, presentibus domino Andrea
preposito plebis de Casulis. Jacobo domini Baronis iudice de Vul-
terra et Guilielmino Junctarini de Empoli, testibus ad hec vocatis
et rogatis.
In Christi nomine, Amen. Supradictis Anno, Indictione, die, loco
et coram diclis testibus : pateat publice quod predicti Paniccia et
Meus, nominibus quibus supra, idest eorum proprio et privato no-
mine et prò mercatoribus quibus ad predicta habere voluerint, prò
quibus de rato promiserunt, promiserunt solepniter sine aliqua
exceptione juris vel facti, se obligando dicto venerabili patri, quo
supra nomine recipienti, dare et solvere eidem prò qualibet libra
monete parve cudende et fabricande per ipsos, prò directos soldos
tres denariorum parvorum de moneta vero grossa fabricanda per
ipsos dare et solvere eidem patri, illam quantitatem de qua fucrint
in concordia tempore fabricationis, et facere et curare ita et taliter
nominibus quibus supra, quod dictus pater habebit fructum de ipsa
moneta, idest de dicto directo trium soldorum prò libra, soldos tri-
ginta denariorum parvorum prò qualibet die non festiva, etiam si
non bateretur, si vero ultra fabricari facerent quod dietimi directum
ascenderet ultra dictos triginta soldos solvere et dare eidem patri,
illud plus quod ascenderet ad dictam rationem, et propter hoc illud
plus non debeat compensari in aliis diebus quibus bateretur in mi-
nori quantitate, quam sit illa que ascendat ad dictum directum
trium soldorum denariorum parvorum. Et si accideret quod batti et
fabricari non facerent, infra dictum terminimi quatuor annorum,
nihilcminus dictos triginta soldos prò die qualibet non festiva sci-
vere integraliter teneantur. Concedens idem pater dictis Paniccie et
Meo, nominibus quibus supra recipientibus, quod possint fabricari
facere de dieta moneta illam quantitatem que sibi videbitur et pla-
cebit, reservans sibi idem pater electione assagiatoris, intalliatoris
ferrorum et guardiani capse, quibus per dictum patrem electis, so-
lutio eis electis particulariter fieri debeat per predictos Panitiam et
Meum et ipsorum socios prout decens et iustum fuerit.
In Christi nomine, Amen. Supradictis, anno, indictione et loco
et presentibus predictis domino Andrea et Jacobo testibus, die de-
cimo nono mensis novembris, diclus pater elegit magistrum Vannem
de Florentia aureficem intalliatcrem et scultorem ferrorum supra-
460 ALESSANDRO LISINI
diete monete et eidem absenti tamquam presenti commisit quod
possit intalliare et sculpire iuxta formam et modum sibi per dictum
patrem exibendum, cum salario ordinando, solvendo per predictos
conductores monete, et elegit assagiatorem diete mo-
nete, cum salario etiam ordinando et solvendo eidem per predictos
mercatores et conductores monete.
Supradictis anno, indictione, die, loco et coram dictis testibus,
dominus pater concessit predictis Paniccie et Meo, nominibus quibus
supra, quod possint facere monetam que teneat prò libra unam
unciam et unum granum argenti fini, sub signis, figuris, et licteris
et in illa quantitate que fuerit in concordia.
Provido viro Vanni Benvenuti aurifici de Florentia. Raynuccius
divina et apostolica gratia Episcopus vulterranus, salutem: ad vota
felicem de tue probitatis et legalitatis industria de qua apud nos
plurium fidedignorum testimonio commendatis plenarie confidentes,
te fabricatorem, factorem, sculptorem et intalliatorem ferrorum om-
nium necessariorum prò moneta nostra tam grossa quam minuta
cudenda, tenore presentium duximus elligendum. Quo circa discre-
tionem tuam rogamus quatenus ad requisitionem et instantiam Reli-
giosi et honesti viri domini Benedicti abbatis monasterii sancti
Salvi prope Florentiam, cui in hac parte per presentes committimus,
vices nostras, ferra omnia opportuna prò dieta nostra moneta cu-
denda et fabiicanda in ea stampa et cum illis figuris et signis ac
licteris, quibus idem abbas sibi duxerit exponendum fabricare fa-
cere sculpire et intalliare placeat tocens quocens ab eodem fuerit
requisitus que per te effectualiter ut predicitur executa, eidem ab-
bati, vel alteri, cui idem sibi duxerit nominandum sub tuo sigillo
inclusa nobis integraliter defferenda exhibeas et consignes. In cujus
rei testimonium, presentes licteras nostro sigillo mandavimus com-
muniri.
Datum Vulterris in nostro Episcopali palatio. Anno Incarna-
tionis Domini millesimo trecentesimo vigesimo primo, indictione
quinta, die primo mensis octobris.
(Archivio vescovile di Volterra. Locazioni, Elezioni, eie,
1321-1323, rogiti di ser Giovanni da Bologna, notaro).
XII.
Atti relativi alla conferma della secca fatta dal vescovo Ranuccio
a Vannuccio Petrucci da Siena, a Meo d'Alberto d'Arezzo e
a Paniccia di Luto da S. Gemignano.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis eiusdem millesimo
trecentesimo vigesimo tertio. Indictione sesta, die octavo mensis
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 461
Juny. Evidenter appareat universis hoc instrumentum publicum
inspecturis, quod videlicet in Christo pater et dominus, domi-
nus Raynuccius, divina et apostolica gratia episcopus vulterra-
nus, auctoritate imperiali qua fungitur, suo et suorum successo-
rum et ecclesie vice et nomine, dedit, concessit et locavit Va-
nuccio Petrucci Cambi de Senis recipienti prò se et Meo Alberti
de Aritio, Paniccie Luti de Santo Geminiano et Guilelmino Juncta-
rini de Cunigliano (sic) fiorentini comitatus prò se ipsis et ipsorum sociis
et ipsorum heredibus, monetam parvam ipsius domini episcopi cu-
dendam et fabricandam dans eis plenam liberam et expressam li-
centiam et mandatimi cudendi et fabricandi seu cudi et fabricari
faeiendi monetam parvam in castris de Casulis vel de Berignone
aut de Montalcino Vulterrani episcopatus et in aliis locis in dicto
episcopatu, per dietimi patrem dominum episcopum vulterranum de
predictorum consensu deputandorum. Que moneta ex pacto dicti
domini episcopi cum predicto Vannuccio, nomine quo supra, tenere
debeat in ligha mediani unciam argenti boni et puri prò qualibet
libra, in pondere vero quelibet libra tenere et capere solidos quin-
quaginta quinque. Et si contigerit quod libra diete monete contineat
duodecim denarios plus vel in pondere ipsius libre, plus vel minus
denariorum duodecim et duo grani plus vel minus in ligha, quando
veniret ad deliverationem ipsius per assagiatorem et deliveratorem
ad hoc specialiter deputatum voluerint et convenerunt posse appro-
bari et deliverari, dum tamen id quod inveniretur superfiuum vel
diminutum, suppleatur, et suppleri debeat, infra tertiam proximam
deliverationem venturam. Cujus monete signa, figura ac lictere in
hunc modum concesse fuerunt, per dictum dominum episcopum,
videlicet quod ex parte una in circulum inferiorem debeat esse
crux integra cum quadani cruce parva desuper, lictere vero circum-
ferentie, de Vulterra: ex alia vero parte infra interiorem circulum
debeat esse media ymago episcopi parati in pontificalibus et cum
mitra in capite et pastorali in manu sinistra, in circumferentia vero,
sive in circulo exteriore supra caput ymaginis episcopatis, quedam
crux cum stella ex latere destro et puncto ex sinistra, cum his lic-
teris : Episcopus Ramtccius. Que concessio et licentia facta fuit per
dictum dominum episcopum nomine quo supra, dicto Vannuccio
quo supra nomine recipienti et predictis Paniccie et Guilelmino
nomine quo supra, hinc ad Promittens idem dominus
episcopus, nomine quo supra, predictis Vannuccio, Paniccie et Gui-
lelmino, dicto nomine stipulantibus et recipientibus, prefatam mone-
tam non dare vel concedere seu locare toto tempore suprascripto,
alicui sive aliquibus personis sive expressa ipsorum licentia et man-
dato; et ipsi Vannuccius, Paniccia et Guilelminus, nominibus quibus
supra, solepni stipulatione promiserunt dicto Venerabili patri quod
aliquam monetam sive zeccham, per se vel alios non accipient infra
terminimi supra dietimi. Hoc etiam pacto interveniente inter eos,
quod idem dominus episcopus convenit et promisit predictis Van-
59
462 ALESSANDRO LISINI
miccio, Paniccie et Guilielmino, nomine quo supra stipulantibus,
tractare eos et in omnibus habere et tenere tamquam suos fami-
liares domesticos et non gravare eos nec gravari facere aliquo gra-
vamine heris et personarum, hac etiam conditione interveniente inter
eos, videlicet quod si predicti mercatores seu monetarii propter
suam negligentiam vel defectum, cessarent cudere vel fabricare, seu
fabricari facere per duos menses continuos, idem dominus episco-
pus prefatam monetam ex nunc ad se revocare possit vel locare
quibus placuerit, non obstantibus obligationibus supradictis, et pro-
miserunt dicti Vanuccius, Paniccia et Guilelminus, nominibus quibus
supra, eidem domino episcopo dicto nomine stipulanti et recipienti,
dictam monetam bene et legaliter cudi et fabricari facere ut supe-
rius est expressum. Que omnia et singula supradicta promiserunt
sibi vicissim, videlicet una pars alteri adinvictm solepnibus stipula-
tionibus hinc inde intervenientibus, firma et rata habere et tenere
et non contra facere vel venire sub pena mille florenorum auri sti-
pulatione promissa cum refectione dapnorum et expensarum litis et
extra, et obligatione omnium suorum honorum, et pena soluta vel
non, predicta omnia et singula firma perdurent. Que pena pars non
observans parti observanti solvere teneatur, prò quibus omnibus et
singulis firmiter observandis quelibet pars sponte, nominibus quibus
supra et libere voluit quod possit cogi et conveniri corani quolibet
indice ecclesiastico et civili et in omni curia ubi actori placuerit
convenire. Actum in castro de Radicondoli vulterrane dioecesis in
domibus plebis de Radicondoli, presentibus presbitero Locto Bindi
capellano majoris ecclesie vulterrane et dicti patris, ser Chelino ca-
nonico plebis de Radicondoli, Martino vocato domino Philippo de
Fataglano et Johanne Magistri Jordani de Senis, testibus ad hoc
vocatis, habitis et rogatis.
In Christi nomine, Amen. Hec sunt pacta et conventiones or-
dinate inter venerabilem in Christo patrem et dominum, dominum
Raynuccium divina et apostolica gratia episcopum vulterranum et
Vannuccium Petruccy Cambi de Senis prò se et Meo Alberti de
Aritio, Panitiam Luti de Santo Gemignano et Guile'minum Juncto-
rini de Sumiglano comitatus fiorentini, prò eis et ipsorum sociis,
prò quibus de rato promiserunt super opere et in opere zecche
seu monete parve dicti domini episcopi fabricande et cudende,
quam quidem zeccham sive monetam dicti Vannuccius, Paniccia et
Guilelminus, nominibus quibus supra, conduxerunt a dicto venera-
bili patre, hinc ad ut continetur instrumento publico
scripto manu mei Johannis notari. Imprimis, videlicet, quod ipsi
mercatores possint et eis Iiceat auctoritate dicti domini episcopi
cudere seu cudi facere dictam zeccham seu monetam parvam libere
et publice in episcopalibus castris de Casulis, de Berignone vel de
Montalcino in altero videlicet dictorum locoium seu castrorum, in
modica vel magna quantitate et aliquando sicut et prout eis videbitur;
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 463
hac tamen condictione adiecta, quod si propter difectum ipsorum
mercatorum dieta moneta non cuderetur per spatium duoium men-
sium continuorum, liceat ipsi domino episcopo ipsam fabricationem
monete dictis mercatoribus tollere et ad se et episcopatum revocare
et alii vel aliis mercatoribus locare prò sue libito voluntatis. Quibus
quidem mercatoribus, nomine quo supra recipientibus, idem venera-
bilis pater per se et suos successores promisit et convenit stipulatione
solepni eisdem Vannuccio, Paniccie et Guilielmino, nominibus quibus
supra recipientibus, dictam fabricationem monete non tollere vel mole-
stare hinc ad dictum terminum nisi in eo casu videlicet cum per spa-
tium duorum mensium non cuderetur, ut superius est expressum, et
nullam aliam monetam parvam vel magnam alicujus alterius forme,
vel pondere cudi facere in aliquo alio loco dicti episcopatus, vel
per alias quascumque personas. Que quidem moneta parva debeat
esse illius ponderis, conij et bonitatis, prout erat et cudebatur tem-
pore bone memorie domini Rayneri, olim episcopi vulterrani pre-
decessoris venerabilis patris domini Raynucci episcopi nunc vul-
terrani predicti, ut continetur in instrumento tunc confecto. Item, quod
dicti mercatores et tota eorum gens que laboraverint in opere diete
monete sir.l liberi penitus et exclusi ab omnibus et singulis factio-
nibus et servitiis diurnis et nocturnis comumbus dictorum castro-
rum vel aliorum eorum imponendis et prestandis et similiter ab om-
nibus et singulis datiis, impositis, pedagys et gabellis, eundo, redeundo
et stando in dictis castris vel eorum aliquo aut eorum districtibus
sint exclusi. Ita tamen, quod si ipsi vel aliquis eorum, aliquem exces-
sum commiserint in ipsis castris vel eorum aliquod aut eorum di-
strictibus, vel ad hoc dederint auxilium etconsilium vel favorem, pena
debita puniantur. Insuper, si aliquod dapnum reciperent de dieta
moneta, in dictis castris vel eorum aliquo aut eorum districtibus,
ocasione furti vel depredationis alicuius persone preterquam ope-
rariorum, laboratorum, aurificum et aliorum ofiitialium et familia-
rium dictorum conductorum et diete monete, et omnium aliai uni
personarum, quas ipsi mercatores vel haberent, promisit idem pater,
nomine quo supra, dictis conductoribus, dicto nomine stipulantibus
et lecipientibus, totum hujusmodi dapnum restituere tt resercire de
sua propria pecunia integraliter cum effectu. Item, quod in fine dicti
termini dictorum annorum, dicti mercatores et eorum
gens et operarij et laboratores ipsorum possint et eis liceat extra-
nere et deferre de dictis castris, et quolibet eorum et ipsorum di-
strictibus, omnia eorum feramenta suppeletilia et omnes et singulas
alias res suas pertinentes ad opus diete monete, libere et expedite
sine aliqua exactione pedagij vel gabelle. Et e converso dicti con-
ductores, nomine quo supra, promiserunt et convenerunt dicto Ve-
nerabili patri, dicto nomine stipulanti et recipienti, dictam monetam
parvam, hinc ad dictum terminum, bene et legaliter cudere et cudi
et fabricari facere iuxta formarli superius nominatam. Que omnia
et singula supradicta, promiserunt sibi adinvicem diete partes, no-
464 ALESSANDRO LISINI
minibus quibus supra, solepni stipulatione hinc inde interveniente
fuma et rata habere et tenere et non contra faccre vel venire,
aliqua intenderne, vel causa de jure vel de facto, sub pena mille
florenorum auri adinvicem inter ipsos stipulatione promissa et
refectione dapnorum et expensarum litis et extra, et pena soluta
vel non, predicta omnia et singula firma perdurent, prò quibus om-
nibus et singulis firmiter observandis, obligans una pars alteri no-
minibus quibus supra, omnia sua bona videlicet dictus Venerabilis
pater nomine quo supra, dictis Vannuccio et aliis conductoribus
quo supra nomine stipulantibus omnia bona, sui Episcopatus, et
dicti Vannuccius et alij conductores eidem venerabili patri, omnia
ipsorum bona tam habita quam habenda, sub anno Incarnationis
Domini millesimo trecentesimo vigesimo tertio. Indictione sesta, die
octavo mensis Junij. Actum in castro de Radicondoli, Volterrane
dioecesis, in domibus plebis de Radicondoli, presentibus presbitero
Locto Bindi capellano maioris Ecclesie Vulterrane et dicti patris,
ser Chelino canonico plebis de Radicondoli, Martino vocato domino
Philippo de Fataglano et Johanne magistri Jordani de Senis, te-
stibus ad hec vocatis, habitis et rogatis.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis eiusdem, mille-
simo trecentesimo vigesimo tertio. Indictione sesta, die octavo mensis
Junij. Evidenter appareat universis hoc instrumentum pubblicum
inspecturis, quod venerabilis in Christo pater et dominus, dominus
Raynuccius divina et apostolica gratia episcopus vulterranus, de vo-
luntate et consensu predictorum Vannuccy Petrucci Cambi de Senis,
Paniccie Luti de santo Gemignano et Guilelmini Junctarini de Si-
migliano fiorentini comitatus, et una cum eis et ipsi una cum eo,
declamavei unt predictam locationem monete hodie factam et per me
Johannem notarium scriptam non obstantibus contcntis in eis, esse
per formam infrascriptam, videlicet, quod de duodecim partibus
ipsius monete quatuor partes sint dicti Vannuccij et ad eum spec-
tent et pertineant tam comodi quam, quod deus avertat, incomodi
sequentis, ex ipsa et fratrum suorum prò quibus fratribus suis, idem
Vannuccius per stipulationem solepnem de rato promisit: due partis
de dictis duodecim, sint Tingocci Baldi de Tholomeis de Senis
et ad ipsum pertineant modo predictos, presenti et recipienti et Io-
cationi jam diete et omnibus contentis in eis, et pactis edam infe-
rius adnotatis, volenti, consentienti et se sponte et sua bona obli-
ganti : due partes Mei predicti : tres partes ipsi Pannicele et una
pars dicti Guillielmini et ad ipsos ut predicitur spectent et pertineant
et sint pieno jure. Actum in Castro di Radicondoli vulterrane dioe-
cesis, in domibus plebis de Radicondoli presentibus presbitero Locto
Bindi capellano majoris Ecclesie Vulterrane et dicti patris, ser Che-
lino canonico plebis di Radicondoli, Martino vocato domino Phi-
lippo de Fataglano et Johane magistro Jordani de Senis, testibus
ad hec vocatis, habitis et rogatis.
I E MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 465
In Christi nomine, Amen. Anno, Indictione, die et loco predictis
et coram testibus superius nominatis. Evidenter appareat universis
hoc instrumentum publicum inspecturis, quod predicti Vannuccius,
Paniccia, Tingoccius et Guilelminus et quilibet ipsorum in solidum
promiserunt et convenerunt per stipulationem solepnem dicto vene-
rabili patri domino Rainuccio, episcopo vulterrano, quod idem do-
minus episcopus, die qualibet, hinc ad terminum in locatione diete
monete contentum, habebit fructum et ex ipsa moneta et fabrica-
tione ipsius fructum et proventum consequetur triginta soldorum
denariorum usualis monete, et si directum ad dietimi episcopum
pertinentem, ad dictam summam non ascenderet, promiserunt so-
lepniter et in solidum solvere de proprio. Et hoc ad penam quin-
gentorum florencrum auri, ad quam se sponte obligarunt et omnia
ipsorum bona obligata eidem patri prò predictis servandis voluerunt.
In Chribti nomine, Amen. Supradictis Anno, Indictione die et
loco et corani dictis testibus, Vannuccius piedictus solepni stipula-
tone promis t et convenit, die t ^ venerabili patri quo supra nomine
recipienti, quod predicti onines et singuli in instrumento locationis
diete monete nominati afendentes ob-servabunt et adiplebunt omnia
et s'ngula per ipsorum et ipsoruru nomine promissa in supradict's
omnibus insti umentis locationis et promissionis, occasione diete mo-
nete, prò quibus omnibus et ipsorum pr^cibus et mandato extitit
fi'lejupsc rum et si id non facerent et observarent, ut supra pro-
missum est, piomisit solepuiter facere, solvtre et adimplere de suo
proprio, sub pena quingentorum florenorum ami, pio quibus omnibus
et singulis observandis et adimplendis, obligans se et sua bona
presentia et futura.
In Christi nomine, Amen. Anno Incarnationis eiusdem millesimo
trecentesimo vigesimo tertio, Indictione septima, die quartodecimo
mensis Gvtubris. Evidenter appareat universis hoc instrumentum
publicum inspecturis quod venerabili^ in Christo p; ter et dominus,
dominus Raynuccius divina et apostolica gratia episcopus vultera-
nus, Imperiali auctoritate qua fungitur suo et suorum successorum
et Ecclesie vulterrane vice et nomine, dedit et concessit licentiam
Paniccie Luti de Santo Gemignano, recipienti pio se, Vannuccio
Petrucci Cambi, Meo Alberti de Aiitio et Guilielmino Juntarini de
Simiglano comitatus fiorentini, conductoribus monete fabricande et
zecche dicti domini Episcopi, prò tempore contento in locatione
eis facta, ut constat manu mei Johannis notari, cudendi et fabri-
candi monetam grossam de argento, que teneat prò qualibet libra
undecim uncias cum dimidio de argento lino et sint ad pondus
Senarum prò libra qualibet soldorum deceni et septem. Et per
deliveratores ipsius monete possint deliverari si prò libra essent
duo grossi plus vel minus, dummodo in deliveratione sequenti
facienda, debeant computari et reduci ad dictam rationem soldorum
466 ALESSANDRO LISINI
decem et septem. Si vero essent minoris numeri, debeant deliverari
non computando postea in minori numero, nisi in dictis duobus
grossis. Si vero in deliveratione facienda esset in pondere pondus
unius denarii argenti fini pio libra, plus vel minus, possit per ipsos
deliveratores fieri deliveratio; restaurando postea, in deliverationibus
faciendis. Cuius monete, ex una parte sit + in medio circuii interio-
ris et supra + predictam, in circulo exteriori, sit + parva cum hisHcteris
k' (Ranuccyus) eps (Episcopus) volt' (de Vulterra). Ex alia vero parte,
in medio circuii interioris, sit figura Agni Dei, cum +' more solito,
sculta; in circulo exteriori, sit + parva punctata cum his licteris :
Ecce agnus Dei. Item, cudendi et fabricandi aliam monetam ar-
genti, que teneat in pondere prò qualibet libra septem uncias ar-
genti fini et sit prò libra solidorum decem et septem et denariorum
decem ad pondus florentinum, et possit et debeat deliverari per
deliveratores monete predicte, ut supra proxime dictum est de su-
pradicta moneta, cujus quidem monete, ex una parte, in circulo in-
teriori sit >ì< cum duabus stellis sub forma hac +* et supra + in
circulo exteriori, sit + parva punctata, lictere vero : de Vulterra.
Ex alia vero parte sit ymago Episcopi parati in pontificalibus cum
mitra: lictere vero circuii exterioris sint sub hac forma, videlicet +
Episcopus Raynuccius, et a capite Episcopi, circa caput ymaginis
Episcopalis due mitre scilicet ex utraque parte una mitra. Actum
in castro de Radicondoli, vulterrane dioecesis in domibus plebis
dicti castri de Radicondoli, presentibus domino Andrea preposito
casulano, Nicoluccio Petrucci Cambi de Senis et Figletto Figlucci
de Vulterris, testibus ad hec vocatis, habitis et rogatis.
Providis et discretis viris Simoni olim Jannis Orlandini de Flo-
rentia et Paniccie Luti de. Santo Gemignano, salutem ad vota fe-
licem: de vestre legalitatis et probitatis industria de qua per expe-
rientiam cognovimus plenarie confidenter, vobis presentium tenore
committimus quatenus cum intendamus de diversis monetis facere
fabricam nostro nomine ferros prò ipsa nostra moneta cudenda sub
signis, formis et figuris infrascriptis scolpiri et intalliari faciatis.-
Imprimis, videlicet, ferros pio quadam nostra moneta grossa fabri-
canda, in uno quorum sit sculta crux intra circulum interiorem et
supra dictam crucem, intra circulum exteriortm, sit crux parva cum
uno puncto ex qualibet parte crucis, cum his litteris: R. Ep. de Vttlt.
In alio vero, intra circulum interiorem, sit sculpta figura unius
agni Dei cum cruce in pede destro more solito et supra caput
ipsius agni, iuxta circulum exteriortm, sit crux parva punctata cum
his licteris: Ecce agnus Dei. Item, alios ferros prò alia nostra mo-
neta grossa fabricanda, in quibus quidem in uno ipsorum sit sculta
ymago unius Episcopi parati in pontificalibus, cum mitra in capite,
et ex qualibet parte capitis sit quedam mitra parva cum his licte-
ris, intra circulum exteriorem : Episcopus Raynuccius. In alio vero,
intra circulum interiorem, sit crux cum duabus stellis scilicet ex
LE MONETE E LE ZECCHE DI VOLTERRA 467
parte superiori; ex parte recta una stella et ex parte inferiori ex
sinistra parte alia; et supra ipsam crucem, intra circulum exteriorem,
sit crux parva punctata ex qualibet parte cum his licteris de Vul-
terra. Item, alios ferros prò moneta nostra parva fabricanda, in uno
quorum, in medio circuii interioris, sit crux, et supra ipsam crucem,
intra circulum exteriorem, sit crux parva punctata cum his licteris:
de Val terra. In alio vero, intra circulum interiorem, sint sculpte
hec lictere : C"S et supra dictum -V* intra circulum exteriorem,
sit crux parva punctata, cum his licteris: Eps Raynuc. Concedentts
ac plenarie tenore presentium committentes omnibus et singulis fa-
bricatoribus, factoribus, sculptoribus et intalliatoribus ferrorum mo-
nete quod ad instantiam et petitionem dictorum Simonis et Panie-
eie dictos ferros et quelibet ipsorum possit fabricari, facere, scul-
pire et intalliare semel et pluries et quocens fuerit postulatimi.
|>B Raynuccius divina et apostolica grada episcopus vulterranus.
(Archivio vescovile di Volterra. Locazioni, Elezioni, etc, 1321-
1323, rogiti di ser Giovanni da Bologna, notaro).
Alessandro Lisini.
MONETE INEDITE
DELLA COLLEZIONE CORA
Il valente collezionista signor Luigi Cora di
Torino mi ha gentilmente concesso di pubblicare le
monete della sua bella collezione, che, per essere
inedite o varietà di tipi rari, possano interessare
così gli studiosi come i raccoglitori.
Mentre ringrazio il signor Cora per l'onore che
mi ha fatto, dichiaro che sono ben lieto di potere
per questa guisa portare il mio modesto contributo
all'incremento della scienza numismatica, offrendo
agli studiosi la descrizione di nuovi pezzi scono-
sciuti o rari.
CORTEMIGLIA.
Oddone III Del Carretto marchese
1284-13 13.
}y — OD — ON — VS-MÀ intercalate fra i bracci di una
croce estesa a tutto il campo e tagliata da un'altra
minore.
Od
47°
T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
R) — * DECH * ARRETO ì Aquila spiegata con la testa
volta a sinistra (I segni divisori sono trifogli).
Argento. Grosso tiro/ino. Peso gr. 1,480. Ottima Conservazione.
Questa rarissima moneta è stata oggetto di una
mia precedente pubblicazione ('), essendo in allora
inedita, e la riproduco allo scopo di avere in una
sola memoria riunite le monete inedite della colle-
zione Cora. Mi limiterò perciò ad un semplice cenno
intorno alla moneta, rimandando, per i maggiori par-
ticolari storico-numismatici, lo studioso alla citata
mia pubblicazione.
Il grosso tirolino del marchese Oddone III è
sconosciuto a tutti gli scrittori ed illustratori della
zecca di Cortemiglia : Gazzera, San Quintino, Gio-
vannelli, Promis, Morel-Fatio, Ambrosoli e Gavazzi^).
11 tipo del grosso tirolino venne emesso per la
prima volta dal conte del Tirolo Meinardo II. che
(1) Cunietti Alberto : Una moneta inedita di Cortemiglia in Ras-
segna Numismatica, a. 1909, n. 1.
(2) Gazzera Costanzo : Discorsi intorno alle secche e ad alcune rare
monete degli antichi marchesi di Ceva, Incisa e del Carretto in Memorie
della Reale Accademia delle scienze di Torino. Tomo XXXVII, 1834.
Corderò di San Quintino Giulio : Discorsi sopra argomenti spet-
tanti a monete coniale in Italia nei secoli XIV e XVII in Memorie della
Reale Accademia delle scienze di Torino. Serie 2. a , tomo 1X-X, 1849.
Giovannelli Benedetto : Alterthiimliche Entdeckitngen itti Siidtirol
im Jahre 183S. Innsbruck, 1840.
Promis Domenico : Monete del Piemonte inedite o rare. Torino, 1852.
Monete del Piemonte. Supplemento. Torino, 1866.
Monete di zecche italiane inedite o corrette. Memoria 3." To-
rino, 1871.
Morel-Fatio Arnold : Cortemiglia et Ponsone, monnaies inédiles in
Revue de la Numismalique Belge. 4"™ serie, t. Ili, 1865.
Ambrosoli Solone : // ripostiglio di Lurate Abbate in Rivista Ita-
liana di Numismatica, a. 1888.
Gnecchi Ercole: // ripostiglio di Cavriana in Rivista Italiana di
Numismatica, a. 1897.
Gavazzi Giuseppe : Monete dei marchesi Del Carretto in Rivista Ita-
liana di Numismatica, a. 1902.
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 47 1
fu signore di Merano dal 1276 al 1295. e venne poi
imitato dalle zecche di Acqui, Cortemiglia, Incisa,
Ivrea, ecc. Onde il grosso suddescritto non può evi-
dentemente attribuirsi ad Oddone I che visse nel
1191 e 1233 e tanto meno ad Oddone II che pre-
morì all'avo Oddone I : deve perciò appartenere ad
Oddone III, che tenne il marchesato dal 1284 al 1313,
epoca in cui già da parecchi anni erano in circola-
zione i grossi tirolini di Merano.
Di questa rara moneta esiste nella collezione
Reale privata di Roma un altro esemplare legger-
mente variato.
Dopo la mia precedente pubblicazione sulla
Rassegna Numismatica, l'egregio cav. Perini, in un
suo pregevole articolo in un periodico estero, ha
pure accennato al grosso tirolino del terzo Oddone
quale imitazione italiana della moneta meranese (1 ).
IVREA.
Seconda Repubblica
1310-1313.
H
1> — + IM.PATOR Nel campo in cerchio di perline P • R
•I»
9 — + IVREA Croce in cerchio di perline.
Mistura. Denaro imperiale piccolo. Peso gr. 0,470 (2). Discreta con-
servazione.
(1) Perini Quintilio : ilber Meraner Mùnsen und ihre Ualienischen
Beischltige in Frankfurter Mitnzzeitung. Jahrg IX, n. 101. Frankfurt a.
Mani, 1909.
(2) Ne esiste un esemplare nella collezione Reale privata di Roma
del peso di gr. 0,340.
472 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
Anche riguardo a questa rara- moneta, che ri-
tengo inedita, riassumo in poche parole quanto fu
oggetto di una mia precedente pubblicazione (') alla
quale rimando il lettore per i maggiori particolari.
Essa non deve confondersi con l'obolo citato al
n. 1812 del catalogo della collezione Gnecchi, ne
con quello pubblicato dal cav. Perini ( 2 ) che appar-
tengono a quelle monete adulterine dette caratini,
emesse dalle minori zecche del Piemonte verso la
fine del secolo XIII ed il principio del XIV, giacche
il vero denaro imperiale è del titolo di 300 mille-
simi di fino, mentre il caratino non è che della metà
o meno ancora.
Ma ciò che forma la parte più interessante della
monetina in discorso si è l' impronta del diritto
H
IM,PAT0R col monogramma p»R, mentre tanto nei
denari imperiali quanto negli oboli sinora pubblicati
si vede costantemente la leggenda S • BESVS e nel
campo l • P • R • T • {impevator).
Premetto che la sigla H debba ritenersi real-
mente per una acca e non per una emme, poiché
sarebbe assurdo che in una stessa impronta si usas-
sero caratteri diversi per rappresentare una mede-
sima lettera, bastando all' uopo osservare come è
fatta la emme nella leggenda IM-PATOR.
Ammesso pertanto che sia una acca, la sigla H
non può significare se non HENRICVS, mentre riman-
gono a spiegarsi le rimanenti tre sigle P • I • R •
Mi pare dovere senz'altro escludere che quelle
tre lettere vogliano indicare IMPERÀTOR, essendo tale
(1) Cunietti Alberto: // denaro imperiale d'Ivrea battuto nel tempo
in cui la città si governava per la seconda volta a comune (ijio-ij) in
Bollettino Hai. di Numism. e di arte della medaglia, a. 1909, pag. 102.
(2) Perini Quiniilio: Nelle secche d'Italia. III. Ivrea in Bollettino
Italiano di Numismatica, ecc., a. 1907, pag. 20.
MONKTE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 4/3
parola già posta nel giro della leggenda ; e, sebbene
in moltissimi denari imperiali del principio del XIV
secolo vi sia il monogramma I • P • R ■ T • per deno-
tare quel titolo, tuttavia non ho mai riscontrato in
nessuna moneta la ripetizione della detta parola, cosa
evidentemente illogica.
Laonde riterrei che le tre lettere P • I • R • pos-
sano essere le iniziali di tre attributi del titolo IM-
PERATOR, ossia che l' impronta della moneta possa
ricostruirsi HENRICVS PIVS INVICTVS ROMANORVM IMPE-
RATOR (i).
Ammessa pertanto questa congettura, rimane a
stabilirsi a quale Enrico voglia alludere la nostra
moneta ed a quale epoca risalga la sua battitura.
Verso la metà del secolo XIII Ivrea cadde nelle
mani dei Vercellesi, che nel 1278 la cedettero al
marchese del Monferrato Guglielmo VII, il peggiore
tiranno dell'epoca ( 2 >.
Estinta nel 1305 con Giovanni la linea Alera-
mica, il marchesato d'Ivrea passò, sebbene contra-
stato, a Teodoro Paleologo.
Sembra però che gli Iporediesi approfittassero
dell'estinzione degli Aleramici per rivendicarsi in li-
bertà, giacche nel 1310 alla venuta in Italia dell'im-
peratore Enrico VII molte terre del Monferrato si
erano sottratte a quel marchese e fra esse Ivrea
che già si reggeva a governo popolare. Come ri-
sulta da parecchi documenti, Ivrea fu la prima città
che prestò a quell' imperatore il giuramento di fe-
deltà viri de fpporegia primi /iterimi qui fidelitatem
(1) Ripeto quanto ebbi già a dichiarare in altra occasione che, cioè,
questa è una pura induzione, giacché mancano i documenti al riguardo,
e sarò ben lieto se altri potrà dare una interpretazione migliore della mia.
(2) Cfr. Cunietti: La zecca di Alessandria in Rivista Italiana di Nu-
mismatica, a. 1908, pag. 117.
Acqui, la sua secca, ecc., in Rivista, ecc., a. 1909, pag. 59.
474 T - COLONNELLO ALBKKTO CUNII'.T 1 1-CUNIETTI
fecerunt dicto Henrico ('); ed essa ne ricevette in com-
penso tutti gli antichi diritti perduti insieme colla
propria libertà.
Per questa considerazione a me pare che l'En-
rico, cui voglia alludere la sigla segnata sulla mo-
netina sopradescritta, non possa essere se non En-
rico VII, avendo gli Iporediesi voluto indicare il
nome di lui sulla loro moneta in omaggio al prin-
cipe che restituiva alla città gli antichi privilegi, fra
i quali vi era anche quello di zecca.
Ad Enrico VII deve quindi alludere il mono-
gramma improntato nel campo del diritto e la mo-
neta stessa deve perciò essere stata battuta nel breve
periodo di tempo in cui Ivrea si governava per la
seconda volta a comune dal i3ioal 131 3, corrispon-
dendo anche nella paleografia e nel tipo alle monete
imperiali coniate al principio del XIV secolo.
CREVACUORE.
Anonima dei Fieschi
sec. XV.
{%$>&
±V - -b MONETA trifoglio NOVA Aquila spiegata con la
testa volta a sinistra senza corona.
$ — Trifoglio CR-EPA — CHO — RII Doppia croce di cui
la maggiore interseca la leggenda in quattro e la
minore raggiunge appena il cerchio di perline.
Argento. Grosso tiro/ino. Peso gr. 1,200. Buona conservazione.
(1) G. Ventura . Chron., e. 58.
Gabotto Ferdinando: Un millennio di storia eporediese, pag. 171.
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA
475
Questa moneta esiste pure nel Museo Bottacin.
Il Kunz (0 vuole forse alludere ad essa accennando
al grosso tirolino colla leggenda MONETA NOVA CRE-
PACHORII, ma non la descrive.
È da annoverarsi fra le anonime dei Fieschi,
sebbene potrebbe appartenere al tempo di Lodo-
vico II Fieschi, nel cui tirolino ,2 > si notano parec-
chie lettere di tipo gotico e per di più osservasi un
gambo di trifoglio che divide le parole della leggenda
del diritto, eguale al gambo che si ripete nel diritto
e nel rovescio della moneta sopra illustrata (3).
MASSERANO.
Francesco Filiberto Ferrerò Fieschi principe
1584-1629.
f'' •• ì\
fi 'i/i "A
& - - CLEM • Vili • P ■ MAX • A • VS Busto del pontefice a
destra.
9 — BONA • OMNIA • A • DEO • NRO Leone rampante a si-
nistra con vessillo fra le zampe anteriori, sul ves-
sillo due chiavi in croce.
Argento. Doppio giulio, contraffazione bolognese. Peso gr. 3,710.
Buona conservazione.
(t) Kunz Carlo: // museo Bottacm in Opere numismatiche pubbli-
cate per cura della Società Numismatica Italiana, pag. 65. Milano, 1907.
(2) Promis Domenico : Monete delle zecche di Messcrano e Crevacuore
dei Fieschi e Ferrerò. Tav. II, n. I. Torino i86g.
(3) Questa ipotesi mi è stata gentilmente suggerita dall'egregio con-
servatore del Museo Bottacin prof. Luigi Rizzoli.///;».
476 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETT1-CUNIETTI
Questo principe, che lasciò di sé tristissima me-
moria, continuò, anzi accrebbe, nel suo stato l'indu-
stria della falsificazione delle monete degli altri stati,
non risparmiando neppure il pontefice Clemente Vili,
che nel 1598 gli concedeva l'investitura degli stati
aviti, la conferma degli antichi privilegi, nonché
l'erezione del marchesato di Masserano in principato.
Ne è una prova la moneta che illustriamo.
Essa e la contraffazione del doppio giulio o lira
di Clemente Vili per Bologna ( T ).
Il Promis ( 2 ) al n. 5 della tav. Vili pubblica la
stessa moneta, ma che porta per leggende :
CLEMEN ■ Vili • PONT • MAX • AVSP
BON • OE • A • DEO - FRA • FI • FÉ . FL • MAR • MES
Come vedesi, essa varia essenzialmente dalla
nostra, perchè in questa manca la parte di leggenda
che si riferisce a Francesco Filiberto. Nonostante la
mancanza di questo dato, non ho esitato ad attri-
buire allo stesso Francesco Filiberto la moneta so-
pradescritta, anche prescindendo dalla perfetta so-
miglianza del tipo, per la seguente considerazione.
Il giulio descritto da Promis era stato battuto nel-
l'anno 1596 (3), prima, cioè, che il detto marchese
(1) Malaguzzi- Valeri nella Zecca di Bologna così la descrive al n. 6 :
& — CLEMENS- Vili PONT • MAX Ritratto del Pontefice
a destra.
R} BONONIA • MATER • STVDIORVM Leone con bandiera.
Cinagli, n. 85.
(2) Promis Domenico : Op. cit. Questa stessa moneta è poi ripetuta
con leggera varietà al n. 39 della tav. IV della Memoria quarta di Vin-
cenzo Promis.
(3) Secondo Promis questo pezzo deve essere stato emesso prima
del finire del 1596, poiché il 22 maggio dell'anno seguente lo si trova già
tassato dalla Camera ducale di Torino a grossi 16 del Piemonte.
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 477
avesse ricevuto da Clemente Vili i benefizi a cui si
è accennato in principio.
Dopo essere stato così beneficato, sembra na-
turale che Francesco Filiberto ommettesse di porre
il suo nome sulle contraffazioni papali non già per
pudore, ma per timore d'incorrere nella disgrazia
del pontefice, pur volendo continuare nell'ignobile
commercio di falsificare le altrui monete. A tale
scopo è ovvio che egli tacesse il suo nome su tali
monete per distogliere da lui il sospetto di falsario
e per dare agio alla moneta di circolare liberamente
come fosse una moneta papale genuina. Perciò sarei
d'avviso che la nostra moneta sia stata battuta dopo
il 1598.
Paolo Besso Ferrerò Fieschi principe
1629- 1667.
& — • P • FER • MAP ■ ET • MAR • CREP • MDCXXXV Busto
corazzato a destra con gorgiera alla spagnuola.
R) — PROTECTOR NOSTER ASPICE MDCXXXV S. Giorgio
a cavallo armato di tutto punto in atto di trafig-
gere il drago colla lancia.
Argento. Scudo o tallero, imitazione di quello di Vincenzo I Gon-
zaga duca di Mantova per Casale. Peso gr. 30,880. Ottima conseivaz.
Di questo tallero mi limito alla pura descrizione,
trattandosi soltanto di una varietà da aggiungere
cdle quattro seguenti già pubblicate. Esso varia :
i.° Da quello illustrato dal Promis ( x ) al n. i
della tav. XII, le cui leggende sono :
\y — ® P • FER • MES • P • ET • MARCREP MINI XXXIII ;
sotto il busto L ■ I
(il Promis Domenico: Op. cit.
478
T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUMETTI
9' — PROTECTOR NOSTER ASPICE nell'esergo * S • G •
NI
CAS L •
2. Da quello pubblicato da Vincenzo Promis (1 )
avente per leggende :
,B' _ _ P FER • MA • P • • ET • MAR • CRE • III • Il busto
non ha la gorgiera alla spagnuola ma il toson d'oro.
P PROTECTOR NOSTER ASPICE MDCXXXV; nell'esergo
NI
• S • G • CA • S • L •
3. E finalmente dalle due varietà pubblicate
dal Caucich, le cui leggende sono rispettivamente :
& - ® P • FER ■ MES • PET • MARCR M • XXXIII; sotto il
busto L • ® I
^ — PROTECTOR NOSTER ASPICE; nell'esergo SC-
NI ,
CAS- ( 2 )
e
& — ■ PFEMA • CRE : ECDS [REF] MDCVXVIII • P
$ — PROTEC NOSTERASPIC MDCXXIII ; nell'esergo
•S-G-CA-S-L- (3).
NOVARA.
Pier Luigi Farnese marchese
I538-I547-
XY — P • LOY • F • DVX • P • Z • P • NOVAR MI Scudo car-
tocciate sormontato da corona in forma di sem-
plice cerchio lavorato a perle, diviso in tre pali,
(1) Promis Vincenzo : Mone/e di zecche italiane inedite corrette. Me-
moria quarta. Tav. IV, n. 42. Torino, 1882.
(2) Caucich A. R. : Bullettaio di Nnm. Hai., a. II, n. 1, pag, 4.
(3) id. id. a. Ili, n. 2, pag. 17.
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 479
nel 1 e 3 i tre gigli sovrapposti l'uno all'altro, in
quello di mezzo le chiavi decussate sotto il pa-
diglione.
Iji - Giglio • S • QAVDENTIVS • EPISCOPVS Sopra una
linea orizzontale a guisa di piedestallo il Santo
di fronte in abito pontificale, benedicente colla
destra e tenendo il pastorale nella sinistra.
Argento. Grosso. Peso gr. 1,55. Ottima conservazione.
Alessandro Farnese, uomo sommamente ambi-
zioso ed astuto, salito al papato col nome di Paolo III,
si era prefisso, ad esempio di quel perverso suo pre-
decessore che lo aveva creato cardinale a soli 25 anni,
di rendere ricca e potente la propria famiglia senza
badare ai mezzi.
Così fu che sotto la parvenza di alleviare i po-
poli travagliati e smunti dalle lunghe guerre com-
battute dagli eserciti stranieri nel nostro infelice
paese, volle interporre la sua mediazione per otte-
nere la pace fra i due potenti rivali Francesco I e
Carlo V. Paolo III infatti riuscì a fare tenere un
congresso a Nizza, ove fu segnata una tregua, con-
vertita poi in pace. E sebbene i patti di essa non
venissero in seguito osservati , egli tuttavia ot-
tenne il suo intento, poiché Carlo V per rimunerarlo
dei suoi buoni uffici, eresse la città di Novara in
marchesato e, con diploma del 27 febbraio 1538. lo
concesse in feudo al figlio di lui Pier Luigi Farnese,
già creato duca di Castro l'anno precedente e che
poi nel 1545 fu fatto duca di Parma e Piacenza.
Pier Luigi, nonostante venisse in simile guisa
beneficato da Carlo V. brigava segretamente coi
Francesi : ma non seppe così scaltramente fingere
che l'imperatore non si accorgesse della sua dop-
piezza ; epperciò Carlo V, sotto pretesto delle gra-
vissime spese cui doveva sottostare, gli richiese il
castello e i redditi del feudo di Novara per due anni.
480 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTICUNIETTI
Sebbene tale richiesta desse assai da temere a Pier
Luisi, tuttavia finse di acconsentire volentieri.
Poco durò nel principato quest'uomo terribile,
che, avendo avuto l'origine sua simile a quella di
Cesare Borgia, pose in pratica l'infernale politica
di Macchiavelli. La sua doppiezza fu senza esempio:
avendo il cuore doppio, tenne ancora due sorta di
ministri, fra i quali ne aveva dei valenti come Fila-
rete e Annibal Caro ; palesava agli uni ciò che agli
altri teneva rigorosamente celato. Fu pessimo come
principe, infame come cittadino ; nelle brutali sue
passioni non faceva distinzione alcuna di sesso, di
età, di condizione. Formatasi una congiura dalle fa-
miglie Pallavicini, Landi, Anguissola e Confalonieri,
fu nel proprio palazzo di Piacenza pugnalato il io
settembre 1547 ( J ).
Le monete battute da quésto principe sono tutte
di bel conio e, se si confrontano quelle di Paolo III
per Roma, Parma e Piacenza con le monete di Pier
Luigi, prima per Castro e poi per Novara, sembrano
essere tutte opere dello stesso artefice. Havvi quindi
tutta la probabilità che provengano dal bulino di
Alessandro Cesari detto il Grechetto, il quale lavo-
rava nella zecca di Roma per Paolo III e che nel
1561 fu chiamato a Torino per formare i nuovi
coni, quando Emanuele Filiberto duca di Savoia ri-
formò la propria moneta ( 2) .
La moneta sopradescritta varia da quelle con-
simili pubblicate, che sono lire, per essere di minore
dimensione e quindi di minore peso, per avere il
ti) Moriìio Carlo: Storia dei municipi italiani illustrata con docu-
menti, voi. V, Milano, 1846.
(2) Promis Domenico: Monete di secche i/aliane inedite. Memoria se-
conda, pag. 36. Torino, 1868.
Caire Pietro : Numismatica e sfragistica novarese, pag. 35. No-
vara, 1882.
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA
4 8l
Santo su un piedestallo rappresentato da una linea
orizzontale, mentre nelle altre i piedi del Santo sfio-
rano la leggenda e finalmente perchè in essa leg-
gesi NOVAR
invece di NOVA (').
PASSERANO.
Conti Radicati di Cocconato
1581-1598.
%3>
& -- COMITES • IMI • PACERANI Scudo con due chiavi in-
crociate, sormontato da tiara, ai lati A — A-
9 - SIT • NOME • DOMINI • BENE • 1585 Croce patente
accostata in due angoli opposti al vertice da leone
rampante e negli altri due da due E addossate a
monogramma.
Rame (forse una volta argentato). Contrattazione del bianco dozzeno
avignonese. Peso gr. 2,570. Buona conservazione.
Fra le piccole zecche del Piemonte che acqui-
starono trista fama per avere imitato e contraffatto
le monete dei maggiori stati italiani ed esteri, tiene
principale posto questa di Passerano, la quale non
fece che contraffare esclusivamente le altrui monete
ed ebbe per zecchieri gli stessi contraffatori che
(1) Cfr. Zanetti Gltidanto.nio : Nuova raccolta delle monete e secche
d'Italia. Tomo V, pag. 35572.
Caire : Op. cit.
Rossi Umberto: Monete inedite del Piemonte in Gazzetta Numisma-
tica, a. Ili, n. n-12, pag. 91.
{82 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
esercitavano quel mestiere nelle zecche di Dezana
e di Frinco.
Il diritto di zecca ai conti Radicati rimonta con
certezza al 1530, come risulta da una investitura
concessa a quei signori dall' imperatore Carlo V.
Si è voluto da taluno fare risalire ad epoca
assai più remota siffatto diritto, ma i documenti re-
lativi furono riconosciuti apocrifi M e d'altra parte se
vera fosse una tale precedente investitura che sarebbe
del 1249, non sembrerebbe tuttavia verosimile che
i Radicati avessero ancora atteso oltre tre se-
coli a valersi di un diritto così onorifico e lucroso
quale è quello di battere moneta, giacche i primi
prodotti di questa zecca portano la data del 1581.
La zecca di Passerano aperta dunque l'anno
T581, si chiuse nel 1598 per vendita volontaria fatta
dai capi dei terzieri dei Radicati al duca di Savoia,
col quale atto questi signori rinunziarono al diritto
di battere moneta dietro compenso di un' annua
rendita di 300 scudi d'oro, somma che dà una
ben meschina idea dell'importanza di quella zecca,
oppure varrebbe forse a dimostrare che all'atto
della vendita la zecca avesse già cessato di funzio-
nare H
In allora lo stemma dei Radicati consisteva in
uno scudo inquartato 1 e 4 di aquila d'oro mono-
cefala coronata con ali spiegate in campo nero, 2 e
3 di un castagno nero sbarbicato in campo d'oro.
La moneta che sopra presento è una contraffa-
zione del denaro dozzeno avignonese di Clemente
Vili (3). Porta la data del 1585, quando era ret-
(1) Promis Domenico: Monete dei Radicati e dei Mazzetti, pag. io.
Torino, 1860.
(2) Morll-Fatio Arnold : Monnaies tnédites de Desana, Frinco et
Passerano. Troisième panie. Passerano, pag. 78. Paris 1865.
(3) Poey d'Avani così descrive in Les inomiaies fiodales de France,
MONETE INEDITE DELLA COLLEZIONE CORA 483
tore e capitano del consortile dei Radicati il conte
Ercole.
Secondo il Promis ('), appunto in quell'anno
venne ripetuta per parte del duca di Savoia la proi-
bizione del corso nei suoi stati delle monete basse
di Cocconato. Tuttavia le monete si continuarono a
battere e contraffare nella zecca di Passerano, risul-
tando da una convenzione del 9 settembre 1591 che
la zecca di Passerano venne data dai terzieri dei
Radicati in appalto per anni quattro all'ebreo Ven-
tura Lodi di Moncalvo per la battitura di monete
d'oro, d'argento e di lega.
E la moneta in discorso ritengo possa per l'ap-
punto appartenere a quelle coniate in quest'epoca
dal detto ebreo, nonostante porti una data anteriore.
Infatti mentre essa imita il bianco dozzeno di Cle-
mente Vili per Avignone, che resse il pontificato
dal 1592 al 1605, porta però il millesimo 1585.
Ma nulla può meravigliare quando si pensi che
a questi contraffatori non faceva certo difetto l'im-
pudenza e la malafede e che essi non avevano quindi
scrupolo di alterare anche le date, se così loro con-
veniva per allontanare i sospetti dal vero falsario e
per dare maggiore facilità di circolazione ai loro
prodotti.
n. 4334 (Tab. XCV, n 21) il grosso dozzeno di Clemente Vili:
B — CLEMENS • Vili • PONTI • MAX Scudo con due chiavi
incrociate sormontato da tiara, ai lati A — A
9 — ® SIL ■ SARELLVS • VICELEQ • AVEN • 1593 Croce
patente accostata in due angoli opposti al vertice
da leone rampante e negli altri due da rosetta.
E il Cimagli {Le monete dei papi) al n. ni lo riproduce similmente
colla differenza che la leggenda del rovescio è :
OCT ■ CAR • D ■ AQVIVA • LEG • AVE • 1594 •
(1) Promis Domenico: Op. cit., pag. 18.
484 T. COLONNELLO ALBERTO CUNIETTI-CUNIETTI
Vi sono poi le due E a monogramma che mi
pare vogliano alludere ad Ercole Radicati e ritengo
che siano state fatte di una particolare forma allun-
gata e stretta per imitare le chiavette, quali si os-
servano nelle monete avignonesi di Gregorio XI,
Clemente VII antipapa, Benedetto XIII antipapa, Ni-
colò V, Sisto IV, Alessandro VI e Giulio III.
T. Colonnello Alberto Cunietti-Cunietti.
IL SIGILLO DEI CAVALIERI LAURETANI
OPERA DI BENVENUTO CELLINI
Diametro o,o<>.
Il Pontefice Paolo III (Alessandro Farnese) nel 1545
istituì un Ordine cavalleresco, col titolo di Collegio dei Ca-
valieri Lauretani, a difesa della Santa Casa di Loreto e delle
prossime spiaggie adriatiche, continuamente infestate da pre-
doni di terra e di mare.
Diego Calcagni, Gesuita, che nelle sue Memorie storiche
di Recanati {*) si estende nei particolari di tale fondazione,
cioè sul numero e sull'ufficio dei Cavalieri, sulle rendite e
(1) Messina, Mafiei 171 1, pag. 96.
6a
486 ORTENSIO V1TALINI
privilegi loro, fa pure conoscere come nelle mire del Pon-
tefice fondatore, non fosse soltanto la tutela armata dell'in-
signe Santuario, ma eziandio l'aumento del pubblico erario;
poiché la collazione del nuovo titolo equestre non si otte-
neva che mediante lo sborso di cinquecento scudi.
Io non starò qui a ripetere le parole del Calcagni o di
altri che, più o meno largamente, illustrarono l'Ordine d),
perchè sarebbe fuori del mio proposito; ma dirò soltanto
che la Milizia Lauretana andò sempre scemando d'impor-
tanza nei pontificati dei successori di Paolo III, fino a Gre-
gorio XIII, che ne decretò la soppressione.
La rinnovazione del nobile istituto era riserbata ad un
grande Pontefice Marchigiano: e salito difatti al trono papale,
col nome di Sisto V, Felice Peretti da Grottamare, per an-
tica ed intensa devozione alla Vergine di Loreto, incominciò
subito a favorire quel luogo con speciali privilegi ed onori,
facendo pure rivivere i soppressi Cavalieri Lauretani con la
bolla Postquam divina dementici, in data 28 maggio 1586, e
mantenendone il duplice scopo di tutelare la Santa Casa e
di avvantaggiare il tesoro dello Stato.
È naturale che, fin dalla primitiva costituzione, il Col-
legio dei Militi Lauretani sentisse la necessità di avere, per
gli atti della propria amministrazione e per quelli provenienti
dall'esercizio dei suoi molteplici privilegi, uno speciale si-
gillo; e così è ovvio intendere come, data la nobiltà del-
l'istituto, si volesse affidarne l'esecuzione ad uno dei migliori
artisti del tempo.
Questo sigillo, fino ad ora ignorato, io ebbi la fortuna
di trovarlo e di acquistarlo nella vendita pubblica, fatta nello
scorso aprile dalla Ditta Jandolo e Tavazzi, di tutti gli og-
getti antichi appartenenti allo scultore signor Gioacchino
Ferroni.
(1) Memnenius Franciscus. Dcliciae equestrium sive milttarium or-
dimmi, eie. Coloniae Agrippinae, MDCXIII; Giustiniani B. Histoire ero
nologiche della vera origine di tutti gli ordini equestri, eie. Venetia 1672
Michfli Marquez. Teso) o militar de Caballeria, e/c. Madrid, 1642; Pasini
Frassoni Ferruccio. Rivista araldica, anno IV, fase, novembre 1906
Sanesi E. Annali della Santa Casa di Loreto, anno XIII, n. IV; Moroni
Dizionario di erudizione eeclesiaslica.
IL SIGILLO DEI CAVALIERI LAURETANI 487
Il sigillo era così indicato nel catalogo, al n. 658 :
CELLINI BENVENUTO
GRAN SCEAU EN BRONZE OFFRANT LA VIEUGE DE LORETTE, LES
ARMOIRIES DES FARNESE ET DES DEUX CÒTÉS GROUPES DE GUER-
RIERS. À l'eXERGUE L'iNSCRIPTION : " COLLEG1UM MILITUM LAU-
RETANORUM „.
Esso corrisponde negli elementi principali all'insegna
dell'Ordine, che, secondo il citato Calcagni 0), portava da
un lato la Vergine Lauretana e dall'altro lo stemma del Pon-
tefice fondatore; ed esprime inoltre, con i due gruppi di ca-
valieri in veste militare, il concetto della difesa del Santuario,
e con eleganti lettere romane nell'esergo, il titolo del-
l' istituto.
Un particolare di grande rilievo fu però taciuto nella
sommaria descrizione del catalogo, cioè che la Vergine, er-
gentesi al disopra della Santa Casa sostenuta da serafini, è
in atto di conferire, con la destra protesa, l'insegna equestre
ad uno dei militi genuflesso.
L'attribuzione di questa mirabile opera al grande mae-
stro fiorentino, non fu temeraria — come spesso interviene
nei cataloghi, dove, per artifizio di reclame, si cerca di esa-
gerare il valore degli oggetti offerti a pubblico incanto; —
ma provenne da maturo giudizio, come qui appresso mi
adoprerò a dimostrare.
La dimostrazione si rende agevole per due capi: i° per-
chè per ragionata esclusione, si arriva al Cellini come unico
possibile autore dello stupendo sigillo; 2 perchè l'esame di
alcune particolarità del sigillo medesimo, rivelano in modo
sicuro l'esimio artista.
Tra i contemporanei del Cellini, in quell'arte speciale,
(1) Op. cit., pag. 96.
488 ORTENSIO VITALIN!
primeggiò un Perugino a nome Lautizio di Meo Roteili ('),
al quale sono con certezza attribuiti due superbi sigilli, cioè
quelli dei Cardinali Giulio ed Ippolito de' Medici, ora nel
Museo nazionale di Firenze, e l'altro del Card. Della Valle
del titolo di Santa Prisca, già esistente nella collezione del
Principe D. Camillo Massimo ed ora nella Galleria nazio-
nale del Palazzo Corsini (Lincei), illustrato dal Prof. Passe-
rini ( 2 '.
Il Cellini, ricordando Lautizio, dopo averlo proclamato
unico al mondo nella professione dei suggelli, soggiunge :
" Anchora a questo valente huomo io portava una honesta
invidia ; sebbene questa arte è molto appartata da l'altre arti
che si intervenghono nella oreficeria; perchè questo Lautitio
facendo questa arte de' suggelli, non sapeva fare altro. Mes-
somi a studiare anchora in essa arte, sebbene difficilissima
la trovavo, non mai stancho per faticha che quella mi dessi,
di continuo attendevo a guadagnare et a imparare „ (3). Lau-
tizio però era morto nel 1537; e non poteva essergli com-
messo il sigillo dei Cavalieri Lauretani, creati nel 1545.
Mentre rapidamente saliva in fama il Cellini in mezzo
ad una folla di orafi minori (4), grande nomea si erano pro-
cacciata due maestri marchigiani: Lucagnolo da Iesi '5) e
Tobia da Camerino ( 6 >.
Benvenuto, che ebbe Lucagnolo compagno di lavoro in
Roma, nella bottega di un Maestro Sante orefice, in questi
termini ne discorre : " Questo giovane lavorava meglio che
(1) Vita di Benvenuto Cellini. Testo critico con introduzione e note
storiche per cura di O. Bacci. Firenze, Sansoni, 1901, pag. 51, nota 24.
Cfr. pure Adamo Rossi in Giornale di erudizione artistica, Perugia,
1872, voi. I, pag. 361.
(2) Periodico di numismatica e sfragistica per la storia d'Italia, di-
retto dal march. Carlo Strozzi. Voi. V, pag. 265, tav. X.
(3) Vita, ed. cit, pag. 50.
(4) Della sola mia Camerino lavoravano in Roma, oltre il famoso
Tobia, Antonio di Maestro Paolo, Giammaria e Felice, tutti conosciuti
col nome del luogo di origine.
(5) Annibaldi Giovanni. Il Lucagnolo ovvero saggio di memorie sul-
l'oreficeria di Jesi. Jesi, tip. Fazi, 1879.
(6) Santoni Milziade. Maestro Tobia da Camerino orafo ed emulo
di Benvenuto Cellini (ijjo-ijjo). Camerino, Succ. Borgarelli, 1888.
IL SIGILLO DEI CAVALIERI LAURETANI 489
huomo che io vedessi mai insino a quel tempo con grandis-
sima facilità et con molto disegno: lavorava solamente di
grosseria, ciò è vasi bellissimi et bacini et cose tali „ C 1 ).
Tobia era stimato tanto eccellente che il Cardinale Sai-
viati, Legato apostolico in Parma, così ne scrisse al Ponte-
fice Clemente VII: " Se voi fate venire questo grande huomo
a Roma, vostra Santità sarà causa di abbassare quella grande
alterigia del vostro Benvenuto et sono certissimo che le
opere di questo Tobia vi piaceranno molto più che quelle
di Benvenuto „ O). Il Papa lo fece venire ; ma il maestro
Camerinese si applicò sempre a lavori di oreficeria artistica,
come, ad esempio, la guarnizione del corno di liocorno, do-
nato da Clemente VII ad Enrico d'Orleans, sposo della sua
nepote Caterina de' Medici; né mai si trova che eseguisse
lavori ed incisioni in ferro (3).
Il Cellini invece, che, per onesta invidia, si era tanto
affaticato neii'emulare il celebrato Lautizio, doveva certa-
mente esserne considerato il successore nella specialità dei
sigilli, dopo aver data luminosa prova del suo valore in
quelli di Ercole Gonzaga, Cardinale di Mantova, e d'Ippo-
lito d'Este, Cardinale di Ferrara, che egli descrive nel Trat-
tato dell'Oreficeria, notando l'alto prezzo che gli furono pa-
gati U). È quindi lecito argomentare che egli fosse, anche
dai Cavalieri Lauretani prescelto per la fattura del sigillo
del loro Collegio.
Si dirà da qualcuno che il Cellini nel 1545 era assente
da Roma: ma egli in quell'anno trovavasi a lavorare in Fi-
renze, nel Guardaroba del Granduca (5). Chi oserebbe per
ciò escludere, che fosse colà richiesto dell'opera sua da Lo-
reto, dove, non solo per fama, ma di persona era conosciuto,
(1) Vita, ed. cit., pag. 38.
(2) Vita, ed. cit. pag. 118.
(3) A Tobia e Lucaglielo, non ho aggiunto l'oralo Lombardo Ca-
radosso Foppa giudicato dal Cellini eccellentissimo valente Intorno perche
morto tra il 1526 e 1527. l'ita, ed. cit., pag. 50; Bertolotti. Gli artisti
lombardi. Hoepli, 1881, voi. I, pag. 274-281.
(4) Cellini Benvenuto. / trattati dell'oreficeria e della scultura per
cura di Carlo Milanesi. Firenze, Le Mounier, 1857, P a S- 10 °-
(5) Plo.n. Benvenuto Cellini. Paris, 1883, P a o- ■ I 47-
490 ORTENSIO VITALINI
essendovi andato da Ferrara qualche anno prima per devo-
zione ?('). E come potrebbe asserirsi che il sigillo venisse
eseguito proprio nell'anno della fondazione dell'Ordine, e
non piuttosto quando ne fosse pienamente costituito il Col-
legio, coll'ammissione dei cento e più cavalieri prescritti dalla
bolla di prima erezione?
Un'altra osservazione è pure da prevedersi, cioè che del
suddetto sigillo negli scritti del Cellini non si trova cenno :
ma egli, per quella grande alterigia che notava il Cardinale
Salviati, e che emerge da tutti i suoi atti, doveva di pre-
ferenza darsi vanto delle maggiori opere condotte per Papi
e Re, per Granduchi, Principi e Cardinali, trascurando quelle
da lui stimate di minor conto.
Mentre, difatti, esiguo è il numero dei sigilli di cui il
grande Artefice ha lasciato singolare menzione, da più luoghi
della Vita e del Trattato si ritrae che moltissimi ne furono
da lui eseguiti.
Nel parlare dei sigilli cardinaleschi dice : " Di questi
sigilli cotali ne feci dua fra gli altri „ ( 2 ). E, ricordando
l'unico Lautizio ed il proprio ardore nel volerlo emulare, ci
fa sapere che, operando in quell'arte di continuo, attendeva
a guadagnare e imparare (3). Altrove, poi, accennando a co-
loro che si erano messi ad intagliare sigilli senza prima
gettarli, soggiunge: " in cotal guisa mi è occorso ancora
di LAVORARNE „ (4).
A far dileguare ogni dubbiezza su quanto ho detto fin
qui, e per uscire dal campo delle ipotesi, soccorre lo stesso
nostro sigillo con taluni particolari che equivalgono, per
così dire, alla firma del suo autore: voglio dire con la forma
(i) Vita, ed. cit., pag. 194: " Partitomi (da Ferrara) la mattina, me
ne andai a Santa Maria dal Loreto, e di quivi, fatto le mie oratione,
ne andai a Roma „.
(2) Tra/tali, ed. cit., pag. 100.
(3) Vita > ed - c it-; pag- 5 2 -
(4) Trattati, ed. cit., pag. 108.
IL SIGILLO DEI CAVALIERI LAURETANI 49I
delle lettere nell'esergo e con i piccoli gigli adoperati, in
luogo di punti od altri segni, negli spazi tra le parole (').
Dei gigli usati a quel modo, non si ha esempio in opere
simili di altri artisti : ma se ne trova preciso riscontro nella
leggenda dello scudo d'oro di Paolo III i. 2 \ nel quale si vede
pure lo stemma papale identico nella fattura a quello del si-
gillo Lauretano. Resta soltanto incerto se l'insigne artefice
con l'uso di quei piccoli gigli, intendesse riferirsi all'arme
Farnesiana od a quella della propria famiglia, che così egli
stesso descrive: " Un leone rampante di color d'oro in campo
azzurro con un giglio rosso posto nella zampa diritta e sopra
il rastrello con tre piccoli gigli d'oro „ (3).
Per riconoscere poi la mano del Cellini nelle lettere del
nostro sigillo, se non è sufficiente la loro somiglianza a quelle
dello scudo d'oro sopraccennato, gioverà ripetere quanto
egli stesso ne disse nel trattato dell'oreficeria (4). Ecco le
sue parole : * Et ancora si bisogna fare un alfabeto di let-
tere d'acciaio intagliate in nel modo diligente che tu hai fatto
le testoline e l'altre cose. E perchè quando io ho in Roma,
o in altro luogo lavorate cotai opere, volentieri ho sempre
rifatto il mio alfabeto di lettere nuovo, e così mi son fatto
onore perchè le si logorano : e le lettere vogliono essere
belle fatte con quella bella ragione che ti mostra una penna
tagliata alquanto grossa, cioè larga ; e secondo che la penna
si gira nella mano, quei corpi che da essa ti vengon fatti,
quella è la vera ragione; avvertendo che le non sieno troppo
grosse o cortacciole, perchè sono dispiacevoli da vedere, et
anche le troppo lunghe e sottili „ (5).
Bandito dunque il vecchio sistema di far lettere con
(1) Non deve trascurarsi di osservare die il Cellini ne' suoi sigilli
ha usato sempre la forma circolare come nel nostro, diversamente da
tutti gli artisti del tempo.
(2) Questa moneta trovasi nella collezii ne di Sua Maestà, nella mia
ed in quella del conte Papariopoli di Venezia.
(3) Vita, ed. cit., pag. 104 e noia 26.
(4) Trattati, ed. cit., pag. 107.
(5) Lo stesso modo teneva nelle medaglie a proposito delle quali
al cap. XV del Trattato dell' oreficeria, dice: " Di poi. si mette le sue let-
tere all'intorno fatte in punzonetti di acciajo „.
492
ORTENSIO VITALINI
ciappolette e bulini, Benvenuto usava i punzoni di acciaio
seguendo tecnica e forma propria, l'una e l'altra evidentis-
sime nel sigillo Lauretano.
Dopo aver messo in rilievo tali dati caratteristici del
Cellini, non sarà fuor d'opera notare come nella fattura di
sigilli e di lavori affini, fosse per lui di grande compiacenza
l'abbondanza delle figure, potendo meglio con quella dimo-
strare la sua valentia nel disegno, nella composizione e nel-
l'esecuzione.
Basta ricordare com'egli parla (') del bottone del piviale
di Clemente VII, che destò le meraviglie di Carlo V; dei
sigilli dei due Cardinali di Mantova e di Ferrara, e della me-
daglia coll'istoria di Moisè fatta pel detto Pontefice: opere
tutte copiosissime di figure che, all'occhio del sagace osserva-
tore, rivelano la stessa genesi artistica del nostro sigillo ( 2 ).
Per le suesposte considerazioni, non esito a dichiarare
opera certa di Benvenuto Cellini il sigillo del Collegio dei
Cavalieri Lauretani; augurandomi che tale mia sentenza sia
per riportare il consenso di tutti i dotti cultori della sfragi-
stica italiana : come, intanto, mi è caro avere a mio favore
il parere dell' illustre Direttore del " Kaiser Friedrichs Mu-
seum „ di Berlino, signor Bode, il quale, andato a visitare
la Raccolta Ferroni, mi dicono che, indugiatosi alquanto a
contemplare l'ora nostro sigillo, rivolto al proprietario escla-
masse : " Voi avete qui una opera indubbia del Cellini :
tenetela cara „.
Roma, 2j giugno 1909.
Ortensio Vitalini.
(ì) Trattati, ed. cit., pag. 80, 100, 118; Vita, ed. cit., pag. 94, 139, 246.
(2) Cfr. le tavole X e XI nell'opera citata del Plon.
BIBLIOGRAFIA
LIBRI NUOVI E PUBBLICAZIONI.
G. F. Hill (M. A). Historical Roman Coins Jroni the ear-
liest times to the reign of Aiigustn's.
Ho letto d'un fiato, il che vuol dire con grande piacere,
il nuovo libro di G. F. Hill, che è fatto nello stesso ordine
d'idee dell'altro che lo precedette tre anni sono intorno alle
monete greche.
E una erudita illustrazione delle monete della repubblica
romana, una continua spiegazione del perchè di ogni emis-
sione, del significato dei diversi tipi, una interpretazione delle
monete secondo il loro significato storico. La lezione segue
ordinata, profonda e dilettevole nello stesso tempo e tutti
avranno qualche cosa a impararvi, non solo i novizii , ma
anche chi è, o si crede addentrato nella numismatica romana.
Per parte mia ci ho trovate molte utilissime cognizioni, e mi
auguro che l'Autore continuando il suo lavoro, ci dia in altro
volume la spiegazione dei tipi delle monete imperiali, il quale
non riescirà certo meno interessante di quello ora pubblicato.
F. G.
Luschin von Ebengreuth. Steirische Mùnzfunde.
È giunto alla Società Numismatica l'estratto deWJahr-
buch fùr Altertumskunde dell'anno 1907, pubblicato per cura
della Commissione Centrale per i monumenti storici e arti-
stici, il quale estratto illustra in 47 pagine quei ritrovamenti
più recenti di monete della Stiria di pfennige del XIV se-
colo, i quali fanno sèguito ai ritrovamenti più antichi di mo-
nete del XIII secolo illustrati l'anno precedente nel mede-
simo Jahrbuch.
63
494 BIBLIOGRAFIA
In quel primo fascicolo fu data relazione dei primi quattro
ritrovamenti di pfennige avvenuti nella Stiria ; quest'ultimo
lavoro invece contiene una esattissima, esauriente relazione
intorno al ritrovamento di Sachsenfeld, presso Cilli, nella
primavera del 1893, consistente in un vaso, rinvenuto in oc-
casione di rimozione di terreno per giardino, ripieno di circa
300 pfennige d'argento.
Segue una relazione più diffusa dei ritrovamenti di
Kohlberg, non lungi da Marburg (nel 1885, di 500 pfennige),
di Gross-Kanizsa (nel 1885, 14 pezzi), di Kalkgrub presso
Wies (20 pezzi), di Hohenmauten presso Mahrenberg (nel
1884, circa io decagrammi di pezzi), di Kunigund presso
Cilli e di Marburg.
Infine sono raccolti nell'ultimo capitolo gli altri ritro-
vamenti di pfennige che son rimasti — malgrado tutte le
ricerche — privi di provenienza sicura, ma che formano coi
precedenti di origine nota un complesso di elementi di primo
ordine per la storia del pfennig nell'Alto Medio Evo in
quella regione.
Pritze (von Hans)-Gaebler (Hugo). Nomisma. Untersuchun-
gen ciuf dem Gebiete der antiken Miìnzknnde. Berlino,
Mayer u. Mùller, 1909, 3." puntata.
Alla prima e seconda puntata, contenente gli studi su
Sestos, Terina e Beroia (di cui già a suo tempo si occupò
la nostra Rivista, composti insieme dallo Fritze e dal Gae-
bler), e più recentemente il lavoro del Fritze stesso sulle
statue di Asklepios in Pergamon e intorno al Corpus nu-
mortim, e dell' Imhoof-Blumer intorno alle Amazzoni sulle mo-
nete greche, ora vien fatta seguire la pubblicazione della
terza puntata, nella quale il valoroso Hans von Fritze parla
con competenza ed esaurientemente delle monete autonome
della città di Abdèra. Il lavoro è composto con criterio cro-
nologico e storico, e svolge lo studio prima della coniazione
dell'argento in generale, poi della determinazione dei pe-
riodi di quella coniazione nella città, infine della cronologia
del bronzo (fine del V secolo a. C). Il lavoro è illustrato
con tre nitide tavole.
BIBLIOGRAFIA ^95
Demole (dott. Eugène). Description des médailles concernant
Jean Calvin.
Questo interessantissimo estratto della Iconographie cai-
vinienne, diretta da E. Uoumergue, contiene e illustra ben
97 tipi differenti di medaglie, dedicate alla memoria del grande
riformatore Calvino, e di cui in tre grandi tavole si illustrano
le migliori.
La descrizione è disposta in ordine cronologico, dalla prima
medaglia, d'autore ignoto, della metà circa del sec. XVI, fino
ai medaglioni commemorativi del 1909. Interessante per il
Medagliere nazionale braidense è il n. 1 a tav. XXI (della
serie completa del lavoro), rappresentante in grandezza natu-
rale, la grande medaglia del 1835, posseduta da Brera. L'esem-
plare illustrato nel lavoro del Demole è tolto dalla collezione
di F. Raisin a Ginevra (ved. pag. 13, n. 66 a, collocata dopo
il n. 66, dell'incisore ginevrino Antonio Bovy.
Forrer (Léonard). Sir John Evans K. C. B. (1823 1908).
Biographie et bibliograpliie. Chalon sur Saòne. E. Ber-
trand, 1909.
Fra le biografie pubblicate in occasione della morte del-
l'illustre sir John Evans, di cui si occupò nella nostra Ri-
vista specialmente Francesco Gnecchi, questa occupa il primo
posto, e per numero di notizie relative alla sua vita, e per
cenno completo dei lavori composti dall' Evans, posti in ap-
pendice, segnando l' ordine cronologico della sua attività
scientifica ininterrotta dal 1849 al 1907. L'infaticabile e dot-
tissimo autore del Dizionario dei medaglisti, di cui è uscito
ora il quarto volume (che formerà argomento di recensione
nei prossimi fascicoli della Rivista) non poteva, del resto,
essere meglio di qualsiasi altro in condizione di narrarne
la vita scientifica in tutti i particolari, quale si svolse so-
pratutto presso la Reale Società di Londra.
Il lavoro del Forrer è estratto dalla Gazette numisma'
tique francaise (1909).
Serafino Ricci.
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N. 101, maggio. — Nessel (X.). Die Munzen der Abtei Selz. — Pe-
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Ebner (d. r J.). Peter F/òlner oder Matthes Gebel ? — Beck (S.). Schul-
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smatischen Zeìtschriften. — III. Miinz-und Bucherverzeichnisse.
Mitteilungen der Oesterr. Gesellschaft fiir Miinz-und Me-
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rtchten. — Verschiedenes. — Anzeigen.
N. 226, marzo. — Renner. Die Schlacht bei Aspern, ecc. [fine]. —
Fund rbmischer Mitnzen des 4. Jahrhunderts n. dir. in IVien 1908. —
Medaillen und Plaketten von Hans Schaefer [con 4 tavole]. — Aus der
Jubilàumsattstellung der Oesterr. Gesellschaft fùr Munzkunde: V.Hariig
und Schwerdtner jun. [con 3 tav.]. — Epilog zur Kaiser j ubi làutns-Auss-
tellung [con 3 tav.]. — Vereinsnachrichten. — Verschiedenes.
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utismatik. — Renner. Medaille zur J ahrhundertfeier der Schlacht von
Aspern. — Die Medaille in der 35 Jahresaustellung im Kimstlerhause. —
Aus dem Atelier Marschall. — Porlràtplakette Kempf von Anton We'tn-
berger. — Die Pariser Miinze. — Vereinsnachrichten. — Verschiedenes.
N. 228, maggio. — Landwehr (M. von). Erzherzog Karl in der Numi-
smatik [cont.J. — Themessl (J.). Kàrtner Jahrhundermedaille. — Renner.
Medaillen von prof. Rodolf Marschall [con 3 tav.]. — Neue Uusiker-
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VARIETÀ
A proposito dei medaglioni d'oro d'Abukir. — La
questione sull'autenticità di questi pezzi nacque alla loro ap-
parizione e dura tuttavia. I numismatici si divisero in due
campi e numerosi articoli apparsi o in pubblicazioni speciali
o in diversi periodici, talora serii e cortesi, talora anche tra-
scendenti al di là dei limiti della calma discussione, attacca-
rono o difesero questi medaglioni, senza che una delle parti
sia riuscita a convincere l'altra. Ma il fatto più memorabile
di questa vessata questione fu la conversione di uno dei più ac-
caniti oppositori, vogliamo dire dello Svoronos, il quale, dopo
di avere accusati di falso i medaglioni, e d'avere promesso
una carica a fondo contro di essi, li rivede, li riosserva e
colpito da una inaspettata ispirazione, a guisa di Paolo sulla
via di Damasco, cambia parere e scrive un articolo quale
nessuno se lo sarebbe aspettato. Il male si è che l'articolo
è scritto in greco, e il greco chi lo capisce? Non crediamo di
far torto ai pochi ellenisti affermando che la generalità cer-
tamente non ha potuto leggerlo, ed è per questo motivo che,
per quanto la nostra Rivista si sia sempre tenuta estranea
alla questione (la quale a vero dire è più archeologica che
numismatica, trattandosi in ogni caso di oggetti di dono, non
di monete) abbiamo creduto giusto e anche doveroso verso
chi da questo articolo può sentirsi favorito, di darne la tra-
duzione, onde chi della questione voglia interessarsi, possa
imparzialmente attingere a tutte le fonti e giudicare dopo
d'aver udite ambe le parti.
Ecco dunque la traduzione dell'articolo del signor Svo-
ronos apparso nell'ultimo fascicolo della Revue Internationale
de Nutnismatique.
* I MEDAGLIONI D'ABUKIR.
" Nella grande questione della autenticità o non auten-
ticità dei medaglioni detti d'Abukir, in parte acquistati dal
VARIKTÀ 5I6
Museo Numismatico di Berlino, io mi ero schierato — dacché
ne avevo avuto cognizione dalla pubblicazione del sig. Ar-
vasutakis — fra quelli che li condannavano come falsificazioni.
" Uno studio che feci in seguito, basandomi su delle
fotografie e delle impronte, m'ha convinto così completa-
mente che, quantunque non avessi avuto l'occasione, mal-
grado tutte le mie pratiche, di avere nelle mie mani i
pezzi originali, io ho creduto mio dovere d'esporre pubbli-
camente e dettagliatamente davanti al primo Congresso di
Archeologia ad Atene le ragioni che m'avevano indotto in
questa convinzione.
" Io m'ero altresì deciso a pubblicare in questa Rivista
i miei argomenti, pensando che monumenti in parte acqui-
stati da un eminente collega non dovevano essere condan-
nati vagamente, irresponsabilmente e solo verbalmente, af-
finchè quelli che erano d'opinione contraria avessero potuto
conoscere per parole precise quella di uno di coloro che con-
dannavano i 20 medaglioni in questione.
" Se non ho realizzato tale mia intenzione, fu perchè
il mio venerato collega sig. Dressel, vale a dire il compra-
tore di cinque di quei medaglioni pel Museo di Berlino, mi
raccomandò di non pubblicar nulla sull'argomento prima che
egli stesso avesse pubblicato uno studio in difesa della tesi
contraria, col quale pensava di convincere anche me. Lo
studio del sig. Dressel andò per le lunghe per l'estensione
che assunse durante la redazione.
" E giacché, né la lettura di quella pubblicazione, né lo
studio che ne feci avevano potuto convincermi della giustezza
dell'opinione del suo autore e neppure gli scritti appoggiami
l'opinione contraria m'erano parsi abbastanza decisivi per
provarne la falsità, e d'altra parte neppure un esemplare
che il possessore mi aveva lasciato in mano per qualche
istante m'era parso autentico, decisi di pubblicare immedia-
tamente il mio studio dopo aver fatto tradurre in lingua stra-
niera il mio manoscritto greco, cui avevo aggiunto tutto ciò
che diventava necessario alla rettifica minuziosa degli argo-
menti del sig. Dressel.
" Fortunatamente quando il mio lavoro fu terminato, al-
l'edizione di questa Rivista sopraggiunsero delle difficoltà, in
seguito alle quali mi fu impossibile farlo comparire nel terzo
fascicolo del 1907, nel quale comparve solo una parte delle
tavole; e il quarto fascicolo 1907 non potè vedere la luce
che nel febbraio 1909 in altra tipografia. Ho detto fortuna-
tamente, perchè nell'intervallo ho potuto visitare Berlino nel
corso del viaggio da me intrapreso pel Corpus delle monete
Ateniesi nell'estate del 1908, ed ebbi così occasione d'avere
nelle mani con tutto agio cinque dei celebri medaglioni
d'Abukir.
VARIETÀ 5T7
" La mia prima impressione fu ancora che si trattasse
di falsificazioni. Ma a poco a poco, di mano in mano che i
pezzi, a mia richiesta, erano messi davanti a me, si sviluppò
in me una forte impressione d'autenticità, impressione che
né il minuzioso studio degli esemplari né la critica più se-
vera non poterono cancellare dalla mia mente.
" In breve, la conclusione di questo studio, durato circa
un mese, fu che la mia convinzione si scosse a tal punto che
non mi era più consentito di sostenere l'opinione contraria,
di modo che m'affrettai da Berlino a sospendere la pubbli-
cazione del mio manoscritto.
" Ed ora, perduta la confidenza di me stesso, io ignoro
se in me non si manifesta l'effetto contrario che già si pro-
dusse nella mente del sig. Dressel, il quale, dopo aver com-
perato quattro di questi medaglioni nella piena convinzione
della loro autenticità, incominciò — da quanto mi scriveva
allora — a dubitarne, dacché ebbe la riproduzione degli altri
sedici.
" Io ignoro pure, se alcuni de' miei colleghi, cui confidai
la mia nuova opinione, hanno ragione dicendomi che la prima
impressione è sempre la buona; e che io sono stato certa-
mente suggestionato dalla vista dell'oro e dalla meravigliosa
bellezza dei medaglioni di Berlino.
" Quello che io so in ogni caso con certezza è che ora,
avendo a torto o a ragione, perduta la convinzione assoluta
che io possedevo sulla non autenticità di questi pezzi, il do-
vere scientifico più elementare m'impone di confessarmi pub-
blicamente e d'astenermi da ogni pubblicazione in senso
contrario.
" Certamente io penso che la pubblicazione del mio la-
voro potrebbe mettere in imbarazzo sotto più d'un aspetto
i partigiani dell'autenticità di questi pezzi, tanto più che nel
corso delle discussioni con questi ultimi, riesci loro impos-
sibile di rispondere a parecchie delle questioni che loro
eran poste.
" Ma questo sillogismo non potrebbe dimostrare né la
falsità di questi monumenti né la loro autenticità ; tanto più
che, non essendo monete, non solamente non potrebbero es-
sere giudicate alla stregua della numismatica, ma altresì ap-
partengono a una classe di monumenti che ci è poco co-
nosciuta.
" D'altra parte il sig. Dressel ha provato col suo studio
che sarà possibile sciogliere scientificamente qualcheduna
delle numerose questioni sospese, principalmente se la nuova
categoria di monumenti numismato-morfi sarà aumentata.
" In ogni caso, invece di rimpiangere questa disgrazia
personale nella questione dei medaglioni d'Abukir, io me ne
66
5i8 VARIETÀ
rallegro particolarmente perchè in questo modo ci si presenta
l'occasione d'apprezzare il coraggio di chi osò, malgrado la
corrente d'opinione contraria, acquistare a un prezzo elevatis-
simo alcuni medaglioni per conto del Museo affidato alla sua
direzione.
" J. N. Svoronos „.
A proposito del R. Gabinetto di Brera. — Le trat-
tative lungamente protratte fra il Governo e il Municipio di
Milano pel trasporto delle Collezioni Numismatiche di Brera
al Castello, non approdarono finora ad una soluzione. Le
proposte del Governo non sembrarono finora accettabili al
Municipio di Milano, il quale per mezzo dell'Assessore an-
ziano, ora Sindaco di Milano, comm. avv. B. Gabba, rivolse
ai membri della Commissione dei Musei Municipali una let-
tera circolare, in cui si domanda il parere di ciascuno sulla
questione. Trattandosi di argomento che così da vicino tocca
gli interessi della Società Numismatica Italiana che fu una
delle prime promotrici e propugnatrici dell' idea, e di chiun-
que si occupa di numismatica, crediamo bene dare qui la
risposta che il Vice-Presidente della nostra Società nella sua
qualità di membro della Commissione dei Musei Municipali
al Castello, diede alla citata circolare, onde ciò serva ad in-
formare i nostri lettori del modo in cui la nostra Società
intenderebbe fosse risolta l'importante questione.
Milano, io novembre 1909.
On. Giunta Municipale
Milano.
" Rispondendo alla circolare diretta il io sett. scorso
ai membri del Consiglio Direttivo dei Musei Municipali
(97408-684 Riparto 6°/n), non posso che riassumere le idee
da me ripetutamente espresse a voce nella Commissione e
anche in parecchi scritti.
11 problema da risolvere è il seguente : Conviene al
Governo e conviene al Municipio di Milano il trasloco del
R. Gabinetto di Brera al Castello? In tal caso, quali dovreb-
bero essere le condizioni?
VARIETÀ 5 ig
Ora i fatti della posizione attuale e gli effetti dell'even-
tuale trasporto sono i seguenti :
Il R. Gabinetto Numismatico ha nel palazzo di Brera
un locale perfettamente idoneo, sufficiente e decoroso, direi
anzi che la sua sede potrebbe essere invidiata da parecchi
gabinetti esteri. Non avrebbe quindi alcuna ragione di cer-
carsi una sede migliore; ma invece è alla Biblioteca o alla
Pinacoteca che questi locali farebbero molto comodo e da
ciò l'idea prima e le successive pressioni all'esilio del Ga-
binetto numismatico.
Locali governativi adatti allo scopo non ve ne sono in
Milano; perciò si rivolsero gli occhi al Castello di proprietà
Municipale.
Il Municipio di Milano, quale proprietario del Castello,
offrendo ospitalità alle raccolte del Governo, avrebbe non
solo il vantaggio di accogliere una nuova e insigne collezione
che certo aggiungerebbe lustro ai suoi Musei ; ma anche
l'altro maggiore di approfittare di tale occasione per render
vive e utili agli studiosi le sue collezioni numismatiche, le
quali ora, senza direzione, sono morte e inutili e, aggiungerò
anche, poco decorose pel proprietario. Per ciò fare però, per
affidare cioè le proprie collezioni al direttore della collezione
governativa, il Municipio dovrà necessariamente assumersi
il carico di fare una congrua aggiunta all'onorario del detto
direttore.
" Sic stantibus rebus „, rimane a considerare :
I. - - Se nel Castello si possa trovare quel gruppo di
locali in cui collocare le due collezioni, opportunatamente
separate e distinte, la direzione e la biblioteca numismatica,
poiché è naturale che colle collezioni di Brera debba tra-
sportatisi anche quella parte di libri che alla numismatica si
riferisce, quella parte cioè che già apparteneva al Gabinetto
Numismatico e che poi per ragioni non bene chiarite venne
incorporata al rimanente della Biblioteca Braidense. Traspor-
tare le sole monete senza la Biblioteca numismatica sarebbe
un non senso. E questo lo dichiaro anche a nome della So-
cietà Italiana di Numismatica;
II. — Dato che il gruppo di locali sia dalla Commis-
sione trovato e accordato, rimano a stabilire quali dovreb-
bero essere le condizioni reciproche del trasporto.
VARIKTA
E qui, sorvolando o meglio, calcolando come non av-
venute le trattative fatte a spizzico e a lunghi intervalli in
questi due ultimi anni fra il Governo e il Municipio di Milano,
trattative che non arrivarono a nulla di organico e di posi-
tivo, ecco come, riprendendo la cosa a nuovo, sarebbe, a
mio modo di vedere, giusto per le due parti procedere.
" Lo Stato, il quale non ha alcuna plausibile ragione
di diminuire il suo onere attuale circa il Gabinetto numisma-
tico, mentre sarebbe ingiusto caricarne il Municipio di Mi-
lano che gli offre ospitalità gratuita, continui a sostenere le
spese fin qui sostenute, spese che potrebbe continuare a
versare direttamente alla Direzione del Gabinetto, oppure, se
meglio credesse, anche versare in una sola cifra 0) annual-
mente al Municipio di Milano coll'obbligo a questo di ero-
garla come lo è attualmente.
" Di più dovrebbe essere a carico del Governo la spesa
di trasporto e collocazione, concretando tale spesa nella cifra
di L. 20.000, la quale non sarebbe che un assai tenue com-
penso ai locali goduti gratuitamente in perpetuo.
" Il Municipio di Milano da parte sua si obbligherebbe
a ricevere, collocare e custodire le collezioni numismatiche
dello Stato, divise dalle proprie, sotto l'unica direzione del
Direttore governativo, allo stipendio del quale aggiunge-
rebbe un paio di migliaia di lire per proprio conto : e così
pure si obbligherebbe ad erogare la somma annuale pagata
dal Governo, quando fosse a lui versata, a norma dell'ero-
gazione attuale „.
Questa, secondo me, sarebbe nelle sue linee generali
la convenzione più semplice, più equa e più ragionevole per
(1) La quale cifra si compone come segue :
Spese annuali per l'Ufficio e acquisti . . . L. 2000
Onorario pel Direttore „ 3000
Stipendio amanuense e custode „ 2800
Fondo generalmente accordato per acquisti di
monete e libri , 1300
L. 9100
E la cifra potrebbe essere arrotondata in L. 10,000, accordando
qualche cosa di più alla dotazione ben meschina per gli acquisti.
VARIETÀ 521
ambe le parti, fra le quali però, se una dovrà aggiungere
un atto di ringraziamento all'altra sarà il Governo il quale
dovrà riconoscere che il Municipio di Milano fu largo e gene-
roso ,,.
Francesco Gnecchi.
La Numismatica al III Congresso per il progresso
delle scienze in Padova (20-26 settembre). — Con no-
stra soddisfazione segnaliamo anche quest'anno lo svolgi-
mento di temi numismatici al Congresso delle scienze. La
numismatica, che è scienza autonoma, abbraccia l'archeologia,
la storia medioevale e moderna, ha a suo sussidio la meda-
glistica, la sfragistica, l'araldica, la paleografia e l'epigrafia,
non può a meno di essere col tempo apprezzata come si
conviene e di essere posta accanto alle altre discipline sto-
riche, non già come ancella, ma come collega utilissima per
tutti gli studi che hanno per base e fine la illustrazione sto-
rica dei popoli e delle regioni.
Quest'anno a Padova, la Società numismatica italiana
fu rappresentata dal prof. Serafino Ricci di Milano, il quale vi
rappresentava anche la Direzione del Medagliere braidense,
il Circolo numismatico milanese e gli Amici dei monumenti
di Milano e della Lombardia.
La Direzione del Museo Civico di Padova era rappre-
sentata dal prof. Luigi Rizzoli junior, nostro socio e colla-
boratore, conservatore del Museo Bottacin di Padova e li-
bero docente di numismatica e sfragistica a quella Università.
I temi svolti furono un nuovo contributo alla numisma-
tica padovana (relatore Rizzoli) e la storia della zecca di
Padova in relazione col nuovo progresso delle discipline
numismatiche (relatore Ricci).
L'adunanza riservata alla numismatica fu quella della
mattinata del 25 settembre, e fu aperta dal presidente pro-
fessore Pellegrini, il quale diede la parola al prof. Rizzoli.
Questi aggiunse un altro contributo a quelli notevolissimi
già da lui portati alla numismatica padovana, presentando
un denaro piccolo di Jacopo 11 da Carrara e un bagaltino
detto della Rosa, e offrendo una nuova ipotesi sul significato
522 VARIETÀ
che ha la testa raffigurata sul testino negro appartenente a
Novello da Carrara.
Il prof. Ricci, dopo brevi parole di plauso per il contri-
buto che il prof. Rizzoli reca alla storia della numismatica
padovana, tenne poi la sua comunicazione sulla storia della
zecca di Padova e il progresso delle discipline numismatiche
in Italia.
Tracciata rapidamente la storia della zecca di Padova,
accennato al buon ordinamento delle serie numismatiche nel
Museo Bottacin e considerato l'odierno risveglio degli studi
relativi alla storia della monetazione e della medaglistica,
propose i seguenti due ordini del giorno, i quali furono appro-
vati all'unanimità :
" La Sezione storica della Classe C del III Congresso
" della Società Italiana pel progresso delle scienze in Pa-
" dova, udita la Relazione del prof. Serafino Ricci, di Mi-
" lano, Sulla stona delta zecca di Padova e sul progresso
" delle discipline numismatiche in Italia, plaude all'opera della
" città di Padova, anche in queste discipline, pel riordina-
" mento del Museo Bottacin, degna all'antica fama di dotta „.
" La Sezione storica della Classe C del III Congresso
" della Società italiana pel progresso delle scienze in Pa-
dova, si augura che almeno nella Scuola italiana di archeo-
logia presso l'Università di Roma, e possibilmente in qual-
che altra Università, si istituisca l'insegnamento numisma-
tico, che prepari gli studiosi competenti pel riordinamento
scientifico dell'ingente e prezioso patrimonio numismatico
" della nazione „.
Entrambe le relazioni numismatiche furono ascoltate con
religiosa attenzione e vivo interesse, e riuscirono applaudi-
lissime. Il secondo ordine del giorno, presentato dal prof. Se-
rafino Ricci, accese una calorosa discussione sulla necessità
dell'insegnamento universitario della numismatica. Fu anzi
osteggiato un ordine del giorno più vago, e invece appro-
vato ad unanimità quello più concreto, che domandava senza
altro qualche cattedra di numismatica nelle Università ita-
liane, prima quella di Roma.
VARIFTÀ 523
La tutela dei monumenti e del patrimonio artistico
e storico della nazione, del quale son parte importante
pure le monete e le medaglie, fu argomento di discussione
vivacissima al Congresso di Novi Ligure, indetto dalla So-
cietà storica subalpina. Da un lato si riconobbe che la Dire-
zione Generale per le Antichità e Belle Arti fa tutto quello
che può per arrivare in tempo, dall'altro si lamentò da molti
l'insufficienza dei fondi e del personale, cause costanti di
deficiente tutela, di mancati restauri, di imperdonabili oblìi.
Riconosciuta quindi molto pratica la proposta di nominare
una Commissione, che studii i mezzi migliori per riparare a
così grave danno, si accolse ad unanimità l'ordine del giorno
seguente, riuscito dalla fusione dei due ordini distinti del
prof. Patrucco e del prof. Ricci :
" Il Congresso, constatando che con tutta la professata
" buona volontà dell'autorità superiore, il Ministero è scien-
" temente impotente a provvedere alla conservazione del
" materiale artistico e storico dei monumenti d'Italia, si au-
" gura che il Governo provveda subito ai fondi ed al per-
" sonale necessario, adeguato ai bisogni in tutto il Regno ;
" riconosce l'isolamento in cui è lasciata l'attuale Direzione
" Generale delle Antichità e Belle Arti e l'intelligente opera
personale del corani. Corrado Ricci, e delega una Com-
" missione di competenti, che portino personalmente al Mi-
" nistero della Pubblica Istruzione le lagnanze ed i voti dei
" congressisti subalpini „.
La Carta numismatica italiana. — Al XII Congresso
storico subalpino, tenutosi in Novi Ligure lo scorso settem-
bre, il Circolo Numismatico milanese prese l'iniziativa di
richiamare l'attenzione dei dotti, archeologi, storici, numisma-
tici sulla necessità di compilare, nel più breve tempo possi-
bile, la Carta numismatica italiana, la quale deve servire,
come la Carta archeologica d' Italia, di punto di partenza
negli studi topografici, archeologici e storici della regione.
Era relatore del tema il prof. Serafino Ricci, presidente
del Circolo di Milano.
Rilevata la necessità di detta Carta, il Ricci mostrò i
524
VARIETÀ
modi coi quali si può allestire, affermando che, con la divi-
sione del lavoro, pure quest'opera gigantesca potrebbe ve-
nire portata a compimento. Concluse col promettere che il
Circolo numismatico milanese si porrà all'opera, coadiuvato
validamente dalla Società numismatica italiana, per preparare
gli elementi alla Carta per quello che riguarda la Lombardia,
sperando che le Società storiche del Piemonte facciano lo
stesso per la loro regione.
Il Congresso approvò quindi il seguente ordine del
giorno :
" Il Congresso, riconosciuta l'importanza della numisma-
" tica per l'archeologia e per la storia italiana, ed udita la
" relazione del prof. Ricci intorno ai lavori preparatori per
" la Carta numismatica, a nome del Circolo numismatico
" milanese, plaude alla iniziativa del Circolo stesso, di pre-
" parare la Carta numismatica d'Italia, e di inaugurarne la
" compilazione con quella della regione lombarda e piemon-
" tese, e fa voti che, per il prossimo Congresso, la Società
" storica subalpina e le altre affini siano pronte a riunire gli
" elementi della Carta numismatica suddetta, per quel che
" riguarda la regione piemontese „.
L' insegnamento superiore della numismatica in
Italia sarà discusso, secondo una lettera recente di S. E.
l'on. Rava all'on. Morelli, in sessione plenaria del Consiglio
Superiore della Pubblica Istruzione. Qualora la discussione
porti all'approvazione delle proposte d'incarico presentate
da alcune Università, oppure alla istituzione d'una cattedra
di numismatica e medaglistica in Italia, S. E. il Ministro del-
l'Istruzione, secondo lettera da lui scritta al sen. conte Pa-
padopoli, nostro presidente effettivo, darebbe voto favorevole,
apprezzando l'importanza degli studi numismatici e l'urgenza
di avere dei giovani competenti in numismatica anche nel-
l'amministrazione delle Antichità e Belle Arti.
Vendita Stroehlin. — Nei giorni 15, 16, 17, 18, 19 e
20 del passato novembre, ebbe luogo a Ginevra la vendita
d'una parte delle collezioni già appartenute al defunto nu-
VARIETÀ 525
mismatico signor P. Ch. Stroehlin. Questa prima parte con-
teneva una splendida e numerosissima serie di monete di
Ginevra, la più ricca che sia mai apparsa in vendita, oltre
a molte altre monete e medaglie Svizzere, specialmente di
Losanna, di Sion, di Vaud, del Vallese, di Neuchàtel e di
Friburgo. Per riguardo all'Italia, la collezione conteneva una
magnifica serie delle monete di Casa Savoia, e un certo
numero di altre monete di zecche italiane.
L'insieme della collezione, oltre la rarità di molti pezzi,
si distingueva per la magnifica conservazione di gran parte
di essi.
Di rado si constatò tanto concorso ad un'asta di mo-
nete. Notammo fra i presenti, i direttori dei Musei di Gi-
nevra, di Losanna, di Friburgo e di Nyon ; i negozianti :
signori E. Bourgey e J. Florange di Parigi, Leo Hamburger
di Francoforte, E. Merzbacher-di Monaco, Rodolfo Ratto e
Carlo e Cesare Clerici di Milano; e, fra gli amatori, oltre
una quantità di stranieri, i signori Luigi Cora e Mentore
Pozzi di Torino. La gara fra i compratori fu animatissima.
e i pezzi salirono in proporzione. Tralasciando di dare la
nota di molte monete svizzere, che pure raggiunsero prezzi
non mai praticati, daremo qui nota di alcuni prezzi ottenuti
per monete italiane. Da questa, chi ha un poco di pratica
del commercio delle monete, vedrà come i loro prezzi in
pochi anni si siano più che raddoppiati :
1029.
Savoia
Fr.
615 -
1038.
»
VII
,,
650 —
1064
»
Vili
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Filiberto I „ „
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460 —
1156.
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400 —
1206.
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655
1207.
»
»
615 -
1226.
„
Carlo II, scudo d'oro di Vercelli ....
»
55° —
1432
w
Carlo Emanuele I, dieci ducati d'oro . .
..
910 —
1512.
n
Vittorio Amedeo I, dieci scudi d'oro 1633
„
1500 —
I5I3-
■
» i°3S
n
860 —
I5I4-
w
» II » »» » "
»
710 —
I5I5-
»
n „ mezzo ducatone 1632 .
»
650 —
67
526 VARIETÀ
N. 1522. Savoia M. Cristina e Carlo Emanuele II, dieci
scudi d'oro 1641 Fr. 625
1540. „ Carlo Em. II, venti ducati d'oro 1660 .)
1541. „ dieci ducati d'oro 1663 \ " 20 °°
1542. „ doppia 1655 )
1552. „ (Ramo d'Acaia) Amedeo, fiorino d'oro . „ 650
1853. „ Filippo, testone di Cornavin ... „ 500
1856. „ „ mezzo „ „ . . . „ 650
1857. „ „ „ „ „ ... „ 575
1861. „ Filiberto II, testone di Cornavin .... „ 430
1872. Asti. Luigi XII re di Francia, testone (Promis,
tav. V, 8) „ 1425
Vendita Merzbacher. — Presso i successori del dot-
tore Eugenio Merzbacher di Monaco ebbe luogo in principio
di novembre scorso una vendita di monete romane e greche.
Ecco alcuni dei prezzi ottenuti pei pezzi principali :
N. 1122. GB. d'Augusto col tempio Marchi 1575
„ 1130. „ „ coniato in Siria .... „ 210
„ 1209. „ di Nerone (tempio di Giano) ... „ 200
» 1213. „ „ „ „ • • • « 425
„ 1246. „ di Galba (Libertas) „ 305
„ 1268. „ di Vitellio (Victoria) „ 445
„ 1304. Aureo di Vespasiano (Roma) .... „ 220
„ 1434. „ di Trajano, Trajano padre e Nerva „ 325
„ 1452. „ d'Adriano (Lupa) , 305
„ 1485. GB. d'Adriano (Mauritania) ,, 255
„ 1731. „ di Commodo ,, 305
„ 1783. Aureo di S. Severo e Giulia , 400
„ 1784. „ di Settimio Severo con Giulia, Ca-
racalla e Geta „ 495
„ 1824. „ d'Eliogabalo (Adventus) .... „ 420
„ 1830. GB. di Giulia Paola ., 355
„ 1914. „ di Gordiano Africano „ 195
„ 2016. Antoniniano di Cornelio Supera ... „ 325
„ 2018. Quinario di Mariniana „ 275
„ 2056. Medaglione d'oro di Costanzo II . . . „ 750
MONETE GRECHE.
N. 2351. Didramma di Crotone Marchi 795
„ 235 2 - « » " I 4°°
» 2354. „ „ , iaoo
,, 2356. „ „ „ 525
VARIETÀ
5^7
N. 2391. Tetradramma di Reggio Marchi 500
„ 2403. Didramma di Reggio p| 420
„ 2434. Semidramma d'Agrigento n 1^
„ 2546. Tetradramma arcaico di Siracusa ... „ 530
„ 2572. Decadramma di Siracusa 2200
» 2 573- » » , 1575
„ 2661. Bronzo di Taornina „ i o
„ 2669. Asse d'Olbia „ 195
„ 2681. Tetrobolo di Dicea „ 205
„ 2716. Tetradramma di Calcidice „ 820
„ 2884. Statere di Locri „ 625
„ 2901. Statere di Tebe „ 905
« 3°55" Tetradramma di Cizico ,, 1150
„ 3056. Statere di Lampsaco „ 1500
Un pubblico plauso, per così dire, numismatico fu
dato dal prof. Ricci, a nome della Direzione del Museo nu-
mismatico di Brera a S. E. il Ministro on. Rava, tanto nel
Congresso di Novi Ligure, quanto in quello di Padova, per
l'incoraggiamento e per l'aiuto pecuniario dato generosa-
mente in questi ultimi anni all'incremento delle collezioni
pubbliche di monete e di medaglie.
La Società numismatica italiana si augura di poter at-
tribuire a S. E. l'on Rava anche il merito d'aver sistemato
in modo definitivo e adeguato alle necessità scientifiche tutta
l'amministrazione numismatica in Italia.
Ad entrambi i Congressi fu anche rilevato con vero
compiacimento l'opera intelligente e amorosa di Corrado
Ricci e dei suoi attivi collaboratori alla Direzione Generale
per le Antichità e Belle Arti in Roma.
Il riordinamento generale delle collezioni numi-
smatiche in Italia, tanto per le direzioni dei medaglieri,
quanto pei cataloghi scientifici, e stato trattato, per interessa-
mento dell'illustre Direttore Generale per le Antichità e Belle
Arti, comm. Corrado Ricci, nell'ultima convocazione della
Commissione centrale superiore per le Antichità e Belle
Arti. Speriamo che le conclusioni di questa Commissione
corrispondano finalmente alle necessità della scienza e ai
voti non solo dei numismatici, ma anche delle persone colte.
Ne parleremo più ampiamente nel prossimo fascicolo.
528 VARIETÀ
Ripostiglio di Monete in San Giorio di Susa. —
Nello scorso mese di luglio furono ritrovate in San Giorio
di Susa, regione Martinetto, circa 100 monete d'argento del
secolo XVII. Diligentemente visitate dal conte prof. Riccardo
Adalgisio Marini, vennero riconosciute appartenenti per la
maggior parte a Luigi XIV di Francia, a Carlo Emanuele II
e a Vittorio Amedeo II di Savoia. La loro conservazione è
buona.
Collezione donata allo Stato. — Il prof. Gustavo e
l'avv. Camillo, figli al corani. Vittorio Padoa, di Firenze, il
quale aveva già appartenuto alla nostra Società rendendo-
sene benemerito per importanti doni, e morì pochi anni sono,
fecero dono allo Stato della Collezione da lui formata di
oltre 4500 pezzi relativi al Risorgimento Nazionale, perchè
sia collocata in una delle aule del grande monumento che
Roma sta apparecchiando al Padre della Patria.
Per le medaglie di Casa Savoia. — Il nostro colla-
boratore, conte prof. Riccardo Adalgisio Marini, prega tutti
quanti gli studiosi, i lettori e gli abbonati della Rivista di
volergli indicare — Via Moncenisio, 12, Susa — quelle no-
tizie che fossero a loro conoscenza sulle medaglie e i meda-
glisti Sabaudi del Rinascimento, per lo studio in proposito,
al quale attivamente attende.
Musei di Milano. — Nel testé pubblicato n. 4 del Bui-
lettino dei civici musei di Milano è dato l'elenco delle molte
medaglie commemorative donate a quei Musei dalla con-
tessa Matilde Mirasole vedova Beretta.
ATTI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Seduta del Consiglio 6 Settembre 1909.
(Estratto dai Verbali).
Il Consiglio è convocato nella Sala Sociale al Castello
Sforzesco alle ore 14 :
I. — Lettura e approvazione del Verbale del Consi-
glio precedente ;
II. - Presentati dai Vice Presidenti Francesco ed Er-
cole Gnecchi, vengono ammessi in qualità di Soci Corrispon-
denti i Sigg. Giuseppe Ancona Martucci di Lizzano (Lecce),
G. A. Castoldi di Roma ;
III. — Si approva la composizione del Fascicolo III-IV
della Rivista;
IV. — Dietro proposta dei Vice-Presidenti, si dà in-
carico al Collega, prof. Serafino Ricci, di rappresentare la
Società al XII Congresso indetto dalla Società Storica Su-
balpina a Novi Ligure, e al III Congresso per il progresso
delle scienze in Padova ;
V. — Il Segretario, A. M. Cornelio, dà lettura dei
seguenti doni pervenuti alla Società durante l'ultimo trimestre:
Bordeaux Paul di Neuilly.
La sua pubblicazione :
Une nouvelle variété de la picce de 40 francs de Napoléon I Em-
pereur et Roi d'Italie. — Milan, 1909 (Estratto).
c^O ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Comitato per le onoranze a Luigi Cavenaghi.
Una copia in bronzo della medaglia d'oro offerta a L. Cavenaghi nel-
l'occasione del ristauro della Cena di Leonardo.
Demole dott. Eugène di Ginevra.
La sua pubblicazione :
Description des médailles concernant Jean Calvin (Estratto dalla
" Iconographie Calvinienne „. Losanna, 1909).
Forrer sir L. di Londra.
La sua pubblicazione :
John Evans K. C. B. Biographie et Bibliographie (Estratto dalla
Gazetle numismatique francaise).
Qnecchl cav. uff. Ercole.
N. 60 Cataloghi di vendita di Monete e Medaglie.
Qnecchl cornili. Francesco.
O Archeologo Portugues, annata 1909.
Annales de la Société Archéologiqne de Bruxelles, annata 1909.
20 Cataloghi diversi.
Hill Q. F. M. A. di Londra.
La sua pubblicazione :
Historical Roman Coins. Londra, 1909.
Luschin von Ebengreuth dott. Arnold.
La sua pubblicazione :
Steirische Mùnfunde (Estratto).
N. N.
Una moneta d'argento di Lucca.
Alle ore 15 '/* . esaurito 1' Ordine del Giorno, la seduta
è levata.
COLLABORATORI DELLA RIVISTA
NELL'ANNO 1909
Memorie e Dissertazioni.
Bordeaux Paul
cunietti-cunietti alberto
Giorcelli Giuseppe
Gnecchi Francesco
Goubastow Costantino
Lisini Alessandro
Magnaguti Alessandro
Marini Riccardo Adalgisio
Martinori Edoardo
Pansa Giovanni
Rizzoli Luigi
Valerani Flavio
Vitai.ini Ortensio
Cronaca.
Gnecchi Ercole
Gnecchi Francesco
Motta Emilio
Ricci Serafino
Varisco Achille
ELENCO DEI MEMBRI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
E DEGLI
ASSOCIATI ALLA RIVISTA
PER L'ANNO 1909
SOCI EFFETTIVI (•).
1. *S. M. il Rk.
2. S. M. la Regina.
3. "Arcari Dott. Cav. Francesco — Cremona.
4. Caruso Lanza Avv. Michele — Girgentu
5. 'Castellani Prof. Giuseppe — Venezia.
6. Celati Avv. Luigi Agenore — Livorno.
7. 'Ciani Dott. Cav. Giorgio — Trento.
8. Circolo Numismatico Milanese — Milano.
9. Cornaggia Gian Luigi (dei Marchesi) — Milano.
io. Dattari Giovanni — Cairo (Egitto).
11. f Dessi Cav. Vincenzo — Sassari.
12. Dotti Enrico — Milano.
13. Fasciotti Barone, Consigliere alla R. Ambasciata — Vienna.
14. 'Fasella Comm. Carlo — Milano.
15. 'Fiorasi Colonnello Cav. Gaetano — Pavia.
16. 'Gavazzi Cav. Giuseppe — Milano.
17. Gavazzi Dott. Carlo di Pio — Milano.
(*) I nomi segnati con asterisco sono quelli dei Soci Fondatori.
68
534
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC.
18. 'Gnecchi Cav. Uff. Ercole — Milano.
19. 'Gnecchi Corani. Francesco — Milano.
20. Grillo Guglielmo — Milano.
21. Hirsch Dott. Jacopo — Monaco di Baviera.
22. Jesurum Cav. Aldo — Venezia.
23. "Johnson Comm. Federico — Milano.
24. Lazara (De) Conte Antonio — Padova.
25. 'Marazzani Visconti Terzi Conte Lodovico — Piacenza.
26. 'Mariotti Sen. Dott. Comm. Giovanni — Parma.
27. Mattoi Edoardo — Milano.
28. Menchetti Nob. Andrea — Ostra.
29. 'Milani Prof. Cav. Luigi Adriano — Firenze.
30. 'Motta Ing. Emilio — Milano.
31. Naville Luciano — Ginevra.
32. f Nervegna Cav. Giuseppe — Brindisi.
33. Novati Prof. Comm. Francesco — Milano.
34. 'Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò — Venezia.
35. Pisani Dossi Nob. Comm. Alberto — Milano.
36. Puschi Prof. Cav. Alberto — Trieste.
37. 'Ratti Dott. Luigi — Milano.
38. Ricci Prof. Serafino — Milano.
39. Rizzoli Cav. Dott. Luigi — Padova.
40. Rocca Conte Mario Leone — Venezia.
41. 'Ruggero Comm. Magg. Gen. Giuseppe — Roma.
42. 'Salinas Comm. Prof. Antonino — Palermo.
43. San Rome Mario — Milano.
44. Savini Cav. Paolo — Milano.
45. Seletti Avv. Cav. Emilio — Milano.
46. 'Sessa Cav. Rodolfo — Milano.
47. 'Sorniani Andreani Conte Lorenzo — Milano.
48. Strada Marco — Milano.
49. 'Tatti Ing. Paolo — Milano.
50. Traversa Francesco — Bra.
51. Trivulzio Principe Alberico Luigi — Milano.
52. 'Visconti Ermes March. Cav. Carlo — Milano.
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 535
SOCI CORRISPONDENTI.
i. Ancona Martucci Giovanni — Lizzano (Lecce).
2. Balli Emilio — Locamo.
3. Bartolo (Di) Prof. Francesco — Catania.
4. Belimbau Piero — Firenze.
5. Boeri Osvaldo — Terracina.
6. Bordeaux Paul — Neuilly.
7. Bosco Ing. Emilio — Omegna.
8. Bourgey Etienne — Parigi.
9. Bruscolini Emilio — Castelnuovo Val di Cecina.
io. Cahn E. Adolfo — Francoforte sul Meno.
11. Camozzi Dott. Guido — Ce/alù.
12. Canessa Cesare — Napoli.
13. Castellani Cav. Ten. Colonnello Raffaele — Fano.
14. Castoldi G. A. — Roma.
15. Cerrato Giacinto — Torino.
16. Clerici Ing. Carlo — Milano.
17. Coen Comm. Maurizio — Pielungo.
18. Conconi Cap. Giulio — Busto Arsizio.
19. Cora Luigi — Torino.
20. Cuenca di Niceto — Alicante.
ai. Cunietti-Cunietti Ten. Col. Cav. Alberto — Torino.
22. De' Ciccio Mario — Palermo.
23. Dell'Acqua Dott. Cav. Girolamo — Pavia.
24. Egger Arminio L. — Vienna.
25. Fantaguzzi Ing. Cav. Giuseppe — Asti.
26. Forrer L. — Bromley.
27. Fovyler Prof. N. Harold — Cleveland.
28. Galeotti Dott. Arrigo — Livorno.
29. Gamba Castelli Conte Gian Nicola — Firenze.
30. Garzia Avv. Raffaello — Maglie.
31. Gazzoletti Dott. Cav. Antonio — Nago.
32. Geigy Dott. Alfredo — Basilea.
33. Giorcelli Dott. Cav. Giuseppe — Casalmonf errato.
34. Haeberlin Dott. E. J. — Francoforte s. M.
35. Hess Adolf Nachfolger — Francoforte s. M.
36. Koeniger Dott. Carlo — Gardone (Riviera).
37. Laffranchi Lodovico — Milano.
38. tLambros Giovanni Paolo — Atene.
39. Lenzi Furio — Orbetello.
536 ELENCO DKI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC.
40. -i-Leone Dott. Coram. Camillo — Vercelli.
41. Majer Nicolò — Venezia.
42. Marchisio Nob. Avv. Alfredo Federigo — Torino.
43. Mariani Prof. Cav. Mariano — Pavia.
44. Marini di Villafranca Nob. Prof. Riccardo Adalgisio — Susa.
45. Martinori Cav. Ing. Edoardo — Narni.
46. Monti Pompeo — Milano.
47. Nahmann M. — Cairo (Egitto).
48. Nuvolari Francesco — Castel d'Ario.
49. Olcott Dott. Giorgio — Nuova York.
50. Pagnoni Ernesto — Vaprio d'Adda.
51. Paulucci Panciatichi Marchesa M. a — Firenze.
52. Pansa Avv. Giovanni — Sulmona.
53. Perini Cav. Quintilio — Rovereto.
54. Pinoli Avv. Galileo — Ivrea.
55. Pinto Avv. Gerardo — Venosa.
56. Podetti Francesco — Trento.
57. Porta Carlo — Costantinopoli.
58. Pozzi Mentore — Torino.
59. *Romussi Dott. Carlo — Milano.
60. Salvaro Vittorio — Verona.
61. Santini Ing. Zemiro — Perugia.
62. Savo Doimo — Spalato.
63. Scaglione Francesco — Sciacca.
64. Schiavuzzi Dott. Bernardo — Pola.
65. Simonetti barone Alberto — S. Chirico Rapaio.
66. Società Svizzera di Numismatica — Ginevra.
67. Spink Samuele — Londra.
68. Stettiner Comm. Pietro — Roma.
69. Valerani Dott. Cav. Flavio — Casale Monferrato.
70. Vitalini Cav. Uff. Ortensio — Roma.
71. Witte (De) Cav. Alfonso — Bruxelles.
72. Zane Cav. Riccardo — Milano.
73. Zitelli Pietro — Smirne.
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 537
BENEMERITI DELLA SOCIETÀ.
S. M. il Re.
-j- Ambrosoli Dott. Cav. Solone.
Cuttica de Cassine Marchesa Maura.
Cuzzi Ing. Arturo.
Dattari Giovanni.
Gnecchi Antonio.
Gnecchi Cav. Uff. Ercole.
Gnecchi Comm. Francesco.
Y Gnecchi Comm. Ing. Giuseppe.
Hoepli Comm. Ulrico.
Johnson Cornm. Federico.
■]■ Luppi Prof. Cav. Costantino.
Noseda S." Erminia ved. Bonacossa.
Osnago Enrico.
y Padoa Cav. Vittorio.
Papadopoli Conte Sen. Comm. Nicolò.
ASSOCIATI ALLA RIVISTA.
American Journal of Archaeology — Nuova York.
American Journal of Numismatics — Boston.
Annales de la Société d'Archeologie — Bruxelles.
Archeologo Portoghese — Lisbona.
Archivio della Società Romana di Storia patria — Roma.
Archivio Storico Baliano — Firenze.
Archivio Storico Lombardo — Milano.
Archivio Storico Napoletano — Napoli.
Bagatti Valsecchi Nob. Cav. Fausto — Milano.
Baglio Vassallo Cataldo — San Cataldo.
Bahrfeldt Colonnello Max — Breslavia.
Bari — Museo Provinciale.
Bassano — Museo Civico.
Behrentz Ermanno — Bonn.
Benson Sherman Frank — Brooklyn |S. U.).
Berarducci Emiliano — Roma.
Bignami Comm. Giulio — Roma.
508 ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC.
Bocca Fratelli — Torino (copie 2).
Boghandel Tillges — Copenaghen.
Bollettino di Archeologia e Storia — Spalato.
Bologna — Biblioteca Municipale.
Borgna Ten. Giuseppe — Roma.
Bret Edoardo — Nimes.
Brockhaus F. A. — Lipsia (copie 3).
Bullettino dell' Imp. Istituto Archeologico Germanico — Roma.
Cagliari — Regio Museo di Antichità.
Capobianchi Cav. Prof. Vincenzo — Roma.
Carpinoni Michele — Brescia.
Ceppaglia Tenente Colonnello Cav. Federico — Padova.
Cini Avv. Tito — Montevarchi .
Como — Biblioteca Comunale.
» — Museo Civico.
Comparetti T. L. — Philadelphia.
Cuzzi Ing. Arturo — Trieste.
Del Hierro Dott. José — Madrid.
Detken e Rocholl — Napoli.
Domodossola — Collegio Rosmini.
Dressel Dott. Enrico — Berlino.
Dulau e C. — London.
Eddé J. — Alessandria d'Egitto.
Engel Dott. Arturo — Parigi.
Firenze — Biblioteca Marucelliana.
Fioristella (Barone di) — Arcireale.
Formenti Giuseppe — Milano.
Genova — Biblioteca Civica.
Gentiloni Silverj Conte Aristide — Tolentino.
Goubastow Constantin — Pietroburgo.'
Grassi-Grassi Barone Antonino — Acireale.
Guiducci Dott. Antonio — Arezzo.
Jolms Hopkins — Baltimora.
Hiersemann Carlo — Lipsia.
Hoepli Dott. Comni. Ulrico — Milano.
Journal international d'Archeologie numismatique — Atene.
Lamertin H. — Bruxelles.
Loescher Ermanno e C. — Roma.
Lussemburgo — istituto Granducale.
Magnaguti Rondinini Conte Alessandro — Mantova.
Magyar Numizmatikai Tàrsulat — Budapest.
Mantova — Biblioteca Comunale.
ELENCO DEI MEMBRI DELLA SOCIETÀ, ECC. 539
Marsiglia — Biblioteca Civica.
Marucci Nicola — Castelpizzuto.
Milano — R. Gabinetto Numismatico di Brera.
» — Biblioteca Braidense.
» — Biblioteca Ambrosiana.
Modena — R. Galleria Estense.
Molgatini Giacomo — Vanzone.
Napoli — R. Museo di Antichità.
Nnmismatic Chronicle — Londra.
Numismatische Zeitschrift — Vienna.
Nuovo Archivio Veneto — Venezia.
Nutt Davide — Londra.
Obermuller G. — Genova.
Osnago Enrico — Milano.
•j- Pancera di Zoppola Conte Nicolò — Brescia.
Parisi Rosalia — Roma.
Parma — R. Museo di Antichità.
Paulou Luigi — Craiova di Rumania.
Pavia — Museo Civico di Storia patria.
Pesaro — Biblioteca Oliveriana.
Piacenza — Biblioteca Passerini-Landi.
Polybiblion — Parigi.
Ratto Rodolfo — Milano.
Renner Prof. (V. von) — Vienna.
Revue francaise de Numismatiquc — Parigi.
Riggauer Dott. Prof. Hans — Monaco di Baviera.
Rivani Giuseppe — Ferrara.
Rivista di Storia Antica — Padova.
Rizzini Dott. Cav. Prospero — Brescia.
Roma — R. Accademia dei Lincei.
» — Direzione generale delle Antichità e delle Belle Arti.
» — Direzione della R. Zecca.
» — Biblioteca della Camera dei Deputati.
« — Biblioteca del Senato.
» — Gabinetto Numismatico Vaticano.
Roma — Museo Nazionale Romano.
Rosenbey e Sellier — Torino.
San Marco (Conte di) — Palermo.
Scarpa Dott. Ettore — Treviso.
Scheyer Joachim — Milano.
Schultz Albert — Parigi.
Seltman E. J. — Berkhamsted.
e±o ELENCO DEI MEMHRr DELLA SOCIETÀ, ECC.
Smithsonian Institution — Washington.
Società Neerlandese di Numismatica — Amsterdam.
Société d'Archeologie — Bruxelles.
Société R. de Numismatique — Bruxelles.
Strolin Teopisto — Schio.
Tinti Cesare — Bologna.
Tolstoy Conte Giovanni — Pietroburgo.
Tonizza P. Giacinto — Beirut.
Torino — R. Biblioteca Nazionale;
» — R. Museo di Antichità.
Torrequadra Rogadeo Conte Giovanni — Bitonto.
Trentini Ing. Adriano — Vienna.
Trento — Biblioteca Comunale.
Vaccari Emanuele — Ferrara.
Varese — Museo Archeologico.
Vasconcellos (de) Prof. Leite — Lisbona.
Venezia — Ateneo Veneto.
» — R. Biblioteca Marciana.
» — Museo Civico.
Verona — Biblioteca Comunale.
Vienna — Gabinetto Num. di Antichità della Casa Imperiale.
Volterra — Museo e Biblioteca Guarnacci.
Zeitschrift filr Numismatik — Berlino.
Zurigo — Biblioteca Civica.
INDICE METODICO
DELL'ANNO 1909
NUMISMATICA ANTICA.
(Memorie e Dissertazioni).
Appunti di Numismatica Romana. F. Gnecchi:
XCI. Il ripostiglio d'Ostia; assi e dupondio coniato (fig.) . Pag. n
XCII. Ritrovamenti diversi (i tav.) ,,19
XCIII. Assi imperiali a due diritti o a due rovesci (fig.) . „ 155
XCIV. Medaglioni senatori e bronzi eccedenti (5 tav.) . . „ 343
Tesoretto monetale scoperto nei fondi dei sigg. Romanin-
Jacur in Casaleone (Verona). L. Rinsoli . . . . „ 97
Contributions au Corpus Numorum Romanorum (fig). Gou-
bastow C. „ 165
L'epoca del proconsolato in Asia di C. Asinio Pollione e le
leggende eponimiche sulle monete (fig.). G. Pansa . , „ 365
(Varietà).
Diocesi e zecche monetarie Pag- 147
Il tesoro di Atene „ ivi
Vendita della Collezione romana Weber „ 320
Il Museo Britannico „ 321
Ripostiglio di monete bizantine , ivi
Gli avanzi della zecca di Milano romana , ivi
A proposito dei medaglioni d'oro d'Abukir (J. N. Svoronos) „ 515
Vendita Merzbacher „ 526
69
542
INDICE METODICO DELL ANNO I909
NUMISMATICA MEDIOEVALE E MODERNA.
(Memorie e Dissertazioni).
Una grida di Carlo I, duca di Mantova e di Monferrato per
la zecca di Casale. G. Giorcelli
Acqui; la sua zecca, lo stemma comunale, il sigillo vesco-
vile (fig.). A. Cunielli-Cunietti
Une nouvelle variété de la pièce de 40 fr. de Napoléon I em-
pereur et roi d'Italie (fig.). P. Bordeaux ....
Mantova a Virgilio. A. Magnaguli
Zecche e zecchieri della Real Casa di Savoia. Contributo al-
l'opera del Promis (fig.). R. A. Marini ....
Le monete e le zecche di Volterra, Montieri, Berignone e
Casole (fig.). A. Lisini
Idem idem. (Continuazione e fine)
Della moneta paparino del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia
e delle zecche di Viterbo e Montefiascone (fig.). Cont.
E. Martinori
Monete inedite della Collezione Cora (fig.). A. Cunielli-Cunietti
Pag. 27
43
85
89
169
253
439
379
469
(Varietà).
Rara collezione di medaglie e monete polacche
La tavola della zecca di Firenze nella Galleria degli Uffizi
Uno zecchiere lombardo del 1430
Un antenato del Sindaco di Milano zecchiere?...
Una grida monetaria del 1438 per Viterbo
Due documenti per le zecche di Desana e di Frinco. E. Motta
Falsi monetarii nella Chiesa di Piona
Monete gettate al popolo .....
Ritrovo di monete del Canton Ticino nel Vallese
Vendita Stroehlin
Ripostiglio di monete in San Giorio di Susa .
Pak
144
146
147
ivi
321
323
325
ivi
327
524
528
MEDAGLIE E SIGILLI.
(Memorie e Dissertazioni).
Due medaglie casalesi anonime del secolo XVI (fig.). Flavio
Valerani Pag. 303
Il Sigillo dei Cavalieri Lauretani : opera di Benvenuto Cellini
(fig.). O. Vitalini „485
INDICE METODICO DELL ANNO I9O9 543
(Varietà).
Per la medaglistica di San Carlo Pag. 145
Il medagliere di Casa Savoia. Le effigie di Re Vittorio e
della Regina Elena „ 311
Nuove medaglie , 319
Medaglie di Isabella d' Este „ 322
Medaglie nelle fondamenta del teatro della Scala . . . „ 327
Per le medaglie di Casa Savoia „ 528
NECROLOGIE.
Vincenzo Dessi Pag. 309
Giovanni Paolo Lambros „ ivi
Pietro Chanoux „ 310
BIBLIOGRAFIA.
Maurice Jules. Numismatique constantinienne (F. Gnecchi) . Pag. 105
Frilze (Hans vonyGaebler (Hugo). Nomisma. Untersuchungen
auf dem Gebiete der antiken Munzkunde (S. Ricci) . „ 109
Mannucci (Umberto). La moneta e la falsa monetazione (S. ./?.). „ no
Demole (Eugène). Numismatique de l'Evéché de Genève au
XI.™ et XII.™ siècle (E. G.) , 113
Calleja Settembri (H.). Coins and medals of the Knights of
Malta (A. K) „ 114
Faville (Jean de). Pisanello et les médailleurs italiens (Fran-
cesco Gnecchi) „ 115
Rizzoli (Luigi). I Sigilli nel Museo Bottacin di Padova, vo-
lume II (S. Ricci) „ 116
G. F. Hill (M. A.). Historical Roman Coins from the earliest
times to the reign of Augustus (F. G.) . . . . „ 493
Luschin (von Ebengreuth). Steirische Munzfunde . . . „ ivi
Frilze (von HansyGaebler (Hugo). Nomisma. Untersuchungen
auf dem Gebiete der antiken Munzkunde . . . . „ 494
Demote (doti. Eug'ene). Description des médailles concernant
Jean Calvin „ 495
Forrer (Léonard). Sir John Evans K. C. B. (1823-1908). Bio-
graphie et bibliograpie (Sera/ino Ricci) , ivi
Pubblicazioni diverse Pag. 117, 496
544
INDICE METODICO DELL ANNO I909
(Periodici di Numismatica).
Bollettino di Numismatica e di Arte della Medaglia
Rassegna Numismatica
Revue Numismatique francaise
Revue belge de Numismatique
Revue suisse de Numismatique
Zeitschrift fiir Numismatik
Frankfurter Munzzeitung
Numismatisches Literatur-Blatt
Mitteilungen der Oesterr. Gesellschaft fur MOnz=und Me-
daillenkunde
Numismatische Zeitschrift
Monatsblatt der numismatischen Gesellschaft in Wien
Numizmatikai Kòzlony
Zeitschrift fllr Munz=und Medaillenkunde ....
The Numismatic Chronicle
Spink & Son's Monthly Numismatic Circular .
Tijdschrift van het Koninklijken NederlandschGenootschap
voor Munt- en Penningkunde
American Journal of Numismatics
Journal International d'Archeologie numismatique .
Articoli di Numismatica in Periodici diversi.
ìg. 121,
49*
„ 122,
499
„ IVI,
500
v 123,
5°i
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5°9
„ 132,
IVI
510
» 133.
511
MISCELLANEA.
S. M. il Re d'Italia e l'Associazione Numismatica Americana
Il Ministro delle Finanze Giuseppe Prina e il R. Gabinetto
Numismatico di Brera (S. Ricci)
L' insegnamento libero universitario della numismatica a Pa
via, a Milano, a Padova e a Roma ....
La prolusione del prof. S. Ricci al corso libero di numisma
tica e di medaglistica nella R. Università di Pavia .
Recenti acquisti per il R. Museo Numismatico di Brera
Nomina accademica
Secondo Congresso internazionale d'archeologia al Cairo
Congresso di Bruxelles 1910
Il coordinamento dei medaglieri italiani a Congresso della
Società per il progresso delle scienze a Firenze
Risposta del Consiglio Centrale per le Antichità e Belle Arti
alla proposta di coordinamento delle collezioni numi-
smatiche
Pag.
37
138
141
142
143
145
ivi
ivi
313
315
INDICE METODICO DELL ANNO I9O9 545
Domanda di aumento di fondo dotale del R. Museo Numi-
smatico di Brera Pag- 317
Recenti acquisti del Museo Numismatico di Brera . . . „ 318
A proposito del R. Gabinetto di Brera (Francesco Gnecchi) . „ 518
La Numismatica al III Congresso per il progresso delle
scienze in Padova (20-26 settembre) „ 521
La tutela dei monumenti e del patrimonio artistico e storico
della nazione „ 523
La Carta numismatica italiana „ ivi
L'insegnamento superiore della numismatica in Italia . . « 524
Un pubblico plauso, per così dire, numismatico . . . „ 527
Il riordinamento generale delle collezioni numismatiche in
Italia „ ivi
Collezione donata allo Stato „ 528
Musei di Milano „ ivi
Collaboratori della Rivista per l'anno 1909 , 531
Elenco dei Membri della Società Numismatica Italiana e degli
Associaci alla Rivista per l'anno 1909 ,33
Atti e Memorie della Società Numismatica Italiana.
Seduta del Consiglio 18 gennaio 1909 P<*g- 149
10 giugno 1909 329
Assemblea generale dei Soci io giugno 1909 , 330
Seduta del Consiglio 6 settembre 1909 „ 529
Finito di stampare il 20 dicembre 1909.
IW»MHIIHMII)tHHimHMHIM4MMMHMtWMWttH4*WHHH4INttHI4Hm<
Achille Martelli, Gerente responsabile.
I*** ****************************** **************** HHt»*4HHH»«H>Hm* ♦»»*»«♦♦
TAVOLE.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Tav. I.
FRANCESCO GNECCH1 - Ritrovamenti diversi
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Anno 1909. Tav _ „
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Axxo 1909 Tav m
FRANCESCO GNECCH] - Medaglioni Senatori e Uron/.i Eccedenti.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Anno 1909. Tav. IV.
FRANCESCO GNECCHI - Medaglioni Senatori e Bronzi Eccedenti.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Anno 1909. Tav v
FRANCESCO GNECCHI - Medaglioni Senatori e Hronzi Eccedenti.
RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA
Anno 1909. Tav . yj
>.
m-y fi-
£*-+J
FRANCESCO GNECCHI - .Medaglioni Senatori e Bronzi Eccedenti.
?
CJ Rivista italiana di numisma-
9 tica e scienze affini
R6
v.22
PLEASE DO NOT REMOVE
CARDS OR SLIPS FROM THIS POCKET
UNIVERSITY OF TORONTO LIBRARY
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