RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA E SCIENZE AFFINI PUBBUCATA PER CURA DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA E DIRETTA DA FRANCESCO ed ERCOLE GNECCHl ANNO XVI - 1903 - VOL. XVI MILANO Tip.-Editrice L. F. Cogliati Corso P. Romana, N. 17 1903. PROPRIETÀ LETTERARIA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA Pre»idente Onoretrio S. M. VITTORIO EMANUELE III Re d'Italia I^residente Conte Comm. NICOLÒ PAPADOPOLI Senatore del Regno. Vice - ^Presideììii GNECCHl Comm. Francesco — GNECCHI Cav. Uflf. Ercole. Coìisiglieri AMBROSOLI Dott. Cav. Solone, Conservatore del R. Gabinetto Numisma- tico di Brera e Libero docente di Numism. presso la R. Accad. Scient.-Lett. in Milano {Bibliotecario della Società). GAVAZZI Cav. Giuseppe. MOTTA Ing. Emilio, Bibliotecario della Trivulziana. RICCI Dott. Seraflno, Conservatore-aggiunto nel R. Gabinetto Numisma- tico di Brera in Milano {Vice-bibliotecario della Società). RUGGERO Comm. Col. Giuseppe. VISCONTI March. Carlo Ermes. Angelo Maria Corneuo, Segretario. CONSIGLIO DI REDAZIONE DELLA RIVISTA PEL 1903. Gnecchi Francesco e Gnecchi Ercole, Direttori — Ambrosoli Solone Gavazzi Giuseppe — Motta Emilio — Papadopoli C. Nicolò Ricci Serafino — Visconti M. Carlo Ermes. RIVISTA ITALIANA DI NUMISMATICA E SCIENZE AFFINI FASCICOLO I. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA XVI. Saggio storico sulla monetazione dell'Egitto dalla caduta dei Lagidi all' introduzione delle monete con leggenda latina. Parte II. La monetazione di Nerone. § ^• La serie delle monete di Nerone si apre con una lacuna di due anni, durante i quali non furono emesse monete di nessun metallo. Se in quei due anni non era allo studio il nuovo sistema monetario, è probabile che per lo meno si pensasse a riforme che tosto esamineremo. La monetazione di questo regno, tanto per l'ar- gento come per il bronzo, va divisa in due periodi: I. — Vecchio sistema, dall'anno 3° all'S''" II. — Riforma, „ 9° al 14'"° Con l'anno terzo di regno appariscono i primi tetradrammi apparentemente simili a quelli di Claudio, tanto per la loro tecnica come per l'estetica, ma differenti nella maniera di porre le date; questi la portano sul rovescio e quelli sul diritto. I tipi delle monete di Nerone sono ancor essi cambiati e seni- 12 G. DATTARI brano copiati da quelli delle monete d'oro di Roma, che venivano emessi verso la stessa epoca. Dopo quattro anni di assai grande attività, la fabbricazione cessa per riprendere nel 9"° anno, con tetradrammi di un altro tipo. Quando ebbe principio la monetazione del bronzo è quasi impossibile stabilire ; ma, stando a quello che abbiamo per le mani, sembrerebbe che non avve- nisse prima dell'anno 6°, quella essendo la data più bassa che io conosca. La combinazione che giusto nell'anno 6° cessò la fabbricazione dell'argento, ver- rebbe a confermare che fu da quell'anno che prin- cipiò quella del bronzo. Una delle maggiori difficoltà che si presenta nella serie neroniana sono le monete anepigrafi, le quali in tutti i tempi dettero origine a classificazioni erronee. Quasi tutte queste monete vennero asse- gnate a Claudio. Il Poole per il primo assegnò loro la giusta classificazione. Tra queste monete anepigrafi, avvene alcune di somma importanza e si trovano tanto tra le monete del vecchio sistema, quanto tra quelle della riforma. 3 % m La moneta dell'impronta N. i, tanto il Mionnet (J) che il Feuardent (^\ la classificarono all'anno 10"^° di Claudio, ed ambedue gli autori domandano a loro stessi se il tipo del rovescio voglia rappresentare una clava. Quello stesso segno si trova pure sul di- (i) Mionnet, Descr. des Méd., Tome 6. (2) Feuardent, Numismatique de l'Egypte ancienne. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA I3 ritto di molte monete dell'ultima grandezza, durante i regni da Nerva a Marco Aurelio (vedi impronta N. 3). I detti autori, ancora per quel segno, si fecero la stessa domanda. Il Poole (^), come ho già detto, giustamente le classificò a Nerone e con ragione non vede una clava in quel segno; ma si domanda per il rovescio di quella del N. i se vuol dire io ? Per il segno sul diritto si limita a dire: « Head » laiir. in front I? Dando uno sguardo retrospettivo a quanto ab- biamo già esaminato, troviamo che Caligola fu l'ul- timo che emise le piccole monete, il cui peso oscilla tra gr. 0,73 e gr. 0,87 (i obolo». Opportunamente a suo tempo notai che Claudio, il quale fece emettere monete di tutte le frazioni, non fece battere monete della più grande e della più piccola frazione. Di quelle piccole monete di un obolo battute sotto Augusto e di quelle poche emesse da Caligola, stante la loro dimensione, poche dovevano rimanere ai tempi di Claudio. Se dunque quella frazione non venne abolita con un decreto, le vicende stesse l'a- bohrono, cosicché sotto di Claudio la moneta del peso di 2 oboli rimane la più piccola frazione. La lettera numerale io fu scritta in tutti i tempi, I, mentre il segno che si trova sul rovescio delle monete di cui ho dato le impronte (N.' i, 3) ha questa forma £, per cui si approssima più al numero uno dei romani (Il che al dieci dei greci (IK Sopra il diritto dell'impronta N. i si trova scritta la data L I (anno io); su quella del X. 2, Lt (6°); dunque il segno del rovescio non vuol significare io e nemmeno serve a rappresentare una clava. Sulle monete di Roma della riforma di Nerone Tasse per la prima volta venne contromarcato con (i) Poole, Caia log uè of the Coins of Alexandria and the notnes. H G. DATTARI il segno ì, e serviva per indicare che quella moneta era Tunità del bronzo. Se di quello stesso segno non venne fatto uso sulla moneta unitaria dell' Egitto, sarà forse perchè le due unità differivano di peso, e si sarà pensato a fare una differente marca all'unità dell'Egitto, ma che si avvicinasse a quella di Roma; cosicché la linea — , che stava sopra il segno del- l'asse {]) per l'unità dell'Egitto, fu posta attraverso del segno, cioè a dire : Unità di Roma I — Unità dell'Egitto I Se poi il segno I fosse già prima stato usitato dagU antichi greci per indicare l'unità della loro mo- neta, sia di argento che di rame, non ne ho cono- scenza; ma in tal caso direi che Nerone, per le sue monete di Roma, copiò quel segno dai Greci. In sostanza ritengo che il segno enigmatico vo- glia semplicemente indicare che quella moneta rap- presentava l'unità del bronzo ed era la prima moneta del sistema monetale. Come vedremo più tardi, Nerone basò il suo nuovo sistema aumentando il peso della moneta uni- taria, portandolo a gr. 1,20 anziché gr. 0,73, come era ai tempi dei suoi predecessori. §2. Il nuovo sistema monetario sembra non ve- nisse introdotto prima del 9"° anno; e allora come spiegare che il segno dell'unità già si trova sulle monete che apparterrebbero al vecchio sistema ? Non so veramente come spiegare questo dilem- ma, a meno che si voglia ammettere che già nel- l'anno 6° o giù di lì, si cominciarono a battere delle monete che appai tenevano al nuovo sistema e si APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA I5 cominciarono a fabbricare di quelle frazioni di cui si av^eva maggior bisogno, e stante che la differenza del peso di quelle nuove monete poco differiva da quelle di due oboli, furono messe in circolazione e per un tempo dovettero circolare con un valore maggiore di quello che avessero in realtà. Che il nuovo sistema non fu totalmente intro- dotto prima dell'anno 9"°, lo provano delle monete di Nerone dell'anno 8'° i cui pesi e la tecnica ap- partengono indubbiamente all'antico sistema. Prima di esaminare la metrologia delle monete del nuovo sistema, sarà necessario che faccia notare una inno- vazione che sembra portata da Nerone appena che fu- rono battuti i primi tetradrammi, a partire dell'anno 3°. I prospetti, nella pagina seguente, saranno di guida al lettore alla migliore intelligenza di quanto sto per accennare. Nel primo prospetto notiamo che sopra i tetra- drammi dell'anno 3" il nome di Nerone venne indi- cato con la parola NEP; su quelli dell'anno 4° con NEP ed anche con NEPH; su quelli dell'anno 5°, con NEPfl ed anche con NEPHN; su queUi dell'anno 6° sempre con NEPriN. Xel secondo prospetto, tutti i tetradrammi del- l'anno 9"° hanno una stella nel campo del rovescio; sopra quelli dell'anno 10""°, la testa di Nerone ora è cinta dalla laurea ed ora dalla corona radiata; sopra queUi dell'anno ii""", ora si vede la testa ed ora il busto ; queUi dell'anno 12'"° sono tutti col busto; in quelli dell'anno 13™° la data ora è dalla parte del diritto ed ora da quella del rovescio; finalmente in quelli dell'anno 14™*' sul campo del rovescio vi è sempre una stella. Dunque si noterà che in un anno alessandrino si trovano sempre due tipi di monele differenti tanto nella prima emissione che nella seconda. L' anno o < .2© M •T3 W «•e >8 w ^; o e/) co W 0^ UJ o o z z .2© s © "«■^ •n " 9 '■ © E 00 o V c e o o §2 CJ 0. UJ z CJ a. LU co O z z < o E «Cu .-. o Ss ■«00 w z o ^ H— 1 CS e/) co b-H o s w ji < Q. UJ r=0 « C -S 2? -J V IH o z < Nel campo del rovescio O i> ) Busto a sin. la testa radiata La data dalla parte del B' l- _i e CO M o z z < •i2 : o « Busto a d. la testa radiata La data dalla parte del 00 -1 o M o z z <; •is : 5 OD . an ^ ^ S V ^ 3 « 2 © 2 Ie <^ vi «e T3 CS n Busto a d. la testa radiata La data dalla parte del 1 < 1 -• a M 1 *"* o z z <; •Ì2 il 11 — è^ t3 CB Testa a d. radiata La data dalla parie del o O i-i o z z < is e co S bb 1- 22 Testa a d. laureata La data dalla parte del 2 o z z < •|s il ? dal JQ Agosto al 31 Dicembre 62 a .2 1 2 APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA I7 alessandrino essendo formato da una parte di due anni di Roma (o di C), ne deduco che tutte le monete di un tipo furono battute nello spazio dell'anno di Roma, cioè dal 1° Gennaio al 31 Dicembre; per esempio, la parola NEP si trova scritta sulle monete dell'anno 3° e 4°; ciò vorrebbe dire che furono battute tutte nell'anno 57 di C. La parola NEPfl si trova sulle monete del 4° e 5° anno, per cui sono tutte battute nel 58 di C. ; quelle con la parola NEPflN con le date degli anni 5° e 6", furono tutte battute nell'anno 59 di C, e così si può stabilire che, quantunque l'anno 3° Alessandrino faccia parte dell'anno 56 di C, le monete con quella data furono battute a partire dell'anno 57, e che nell'anno 60 di C. non furono battuti i tetradrammi con la data dell'anno 6°, ma lo furono nell'anno 59. Similmente avviene per le monete della seconda emissione e porterebbe a far vedere che la riforma avvenne nel 62 di C. Di più, questo sistema ci suggerisce che, se l'am- ministrazione della moneta conteggiava con gli anni di Roma, tutte le altre amministrazioni dovevano pure seguire la stessa regola. Questo sistema non deve sorprenderci affatto poiché, se tutte le provincie dell'Oriente avessero inviato a Roma i loro rapporti datati con le diverse epoche dei diversi paesi, è facile immaginare quanta confusione avrebbe arrecato a coloro che dalla Capi- tale emanavano gli ordini nei diversi dominii. La riforma del sistema monetario d'Egitto, come ho detto, pare abbia avuto luogo nell' anno 9"°. Questo lo deduco dalla tecnica dei tetradrammi, i l8 G. D ATT ARI quali, a partire dell'anno 9"°, differiscono da quelli della prima emissione, come pure dalla tecnica delle monete di bronzo che è differente dalle prime. Nel mio appunto N. XII con apposito prospetto feci ve- dere, che in tutti i regni l'anno 9"° fu sempre sterile nelle emissioni della moneta e specialmente in quella di bronzo. Fra le monete di bronzo, che ho classi- ficato a Nerone, ne possiedo una anepigrafa , ma che senza dubbio appartiene a questo imperatore. La data del rovescio è indicata con LEN (anno nono). Le monete d'argento di Nerone, di questo anno, sono assai rare; per cui vedo in queste monete un'emis- sione quasi forzata, tanto da far supporre che Nerone, avendo decretato la riforma della sua monetazione da eseguirsi in tutte le parti dell'Impero nello stesso anno, fissando questo il 62 di C, l'Egitto dovette sottomettersi e battere monete in quell'anno. § 4. Nerone ridusse il valore del denaro di circa 10%. I tetradrammi delle due emissioni, se sono di buona conservazione, hanno un peso normale di gr. 13; l'analisi di due di essi ha dato una media di gr. 2,185 di argento puro. Come vedremo, Nerone portò la monetazione del bronzo d' Egitto ai pesi equivalenti alle monete di Roma di rame e di oricalco, per cui si può rite- nere come sicuro che diminuì il valore del tetra- dramma per portarlo in relazione col nuovo denaro e coll'aureo, il quale pure era stato ridotto. Il peso di argento contenuto in 25 nuovi denari ammontava ad un totale di gr. 87,25 ; per cui, sup- posto 'che il tetradramma contenesse gr. 2,180 ossia gr. 0,005 nieno di quello che non ha dato l'analisi, abbiamo che 40 tetradrammi contenevano un totale APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 19 di argento di gr. 87,20 cioè il valore di 25 nuovi denari (gr. 87,25). I pesi delle monete di bronzo battute dopo l'anno 9"** non si confanno più con le divisioni del peso dell' Uten e nello stesso tempo non apparten- gono intieramente al sistema semionciale di Roma ; ma, come ho detto, il sistema di Egitto venne assi- milato a quello nuovo di Roma. La nuova moneta unitaria fu portata al peso di gr. 1,20, cioè a dire di gr. 0,47 più pesante della prima. Questo peso bene combina con i pesi nuovi delle monete che ho potuto esaminare e da un confronto tra i pesi medi e quelli normali si vedrà che non siamo lungi dal vero. Pesi nonnali Pesi medi! I Obolo, gr. 1,20 . . . • S^- 1,30 2 Oboli, „ 2,40 . . . 2,20 5 ,. 6,- . . . 5'02 IO 12,- . . . 11,20 15 M ., 18,- . . . 21,70 20 ., 24,- . . 29.50 30 36.- 36,- • Le frazioni vennero dunque ad essere sette. 25 denari equivalevano sempre a gr. 4800 di peso di rame, così che 4800 gr. di monete di bronzo d' Egitto dovevano equivalere a 25 denari e ancora a 40 tetradrammi, ciò che vuole dire: un tetradramma eguale a 120 gr. di bronzo. Le sette frazioni erano quindi rispettivamente in relazione col tetradramma nel modo seguente : Peso normale Gr. 100 monete di i obolo 1,20 == I Tetradramma 50 „ 2 oboli 2,40 = n 20 „ 5 „ 6- = » IO „ IO „ 12,- = » 20 G. DATTARI Peso normale Gr. 6 monete di i=; oboli i8 -- io8,— / _ , , ^ ^ / = I Tetradramma I „ IO „ 12 == 12, — ) 5 , .20 „ 24 = == I „ 3 V 30 .; 36 = 108,- I „ IO „ 12 -= 12,— Fra i pesi di queste nuove monete si ritrova l'asse ed il semis di rame, ma non il quadrans, come nel sistema di Roma non si trovano le monete di uno e di due oboli se non per le oscillazioni del peso del suo quadrans. L' analisi di una moneta, di bronzo di Nerone dimostra che non vi è contenuta alcuna parte di argento; dunque le monete di 20 e di 30 oboli vennero rispettivamente assimilate al du- pondio ed al sesterzio di oricalco, nelle stesse pro- porzioni che a Roma si trovava il rame in rispetto all'oricalco stesso, cioè 7 a 12, così : Or. Qr. I Sesterzio di Oricalco 27 ^\^ = i Moneta di 30 Oboli 36 I Dupondio „ 13 '/j = I „ 20 „ 24 I Asse n 7 = I » IO lì 12 I ,, di Rame 12 = r 1) IO ì) 12 Dunque 400 assi erano eguali a 400 oboli. Riassumendo, la monetazione di Nerone del nuovo sistema era: I Aureo = a 40 tetradrammi I Tetradramma = a 120 oboli. § 5. I regni di Galba, di Ottone e di Vitellio, della complessiva durata di circa 19 mesi, dovrebbero garantirci che nessun cambiamento venne fatto al sistema introdotto da Nerone. APPUNTI D[ NUMISMATICA ALESSANDRINA 21 Le monete di bronzo di questi tre imperatori sono estremamente rare, ed in special modo quelle dei due moduli maggiori, cosicché, dato lo scarso numero di monete che ci sono rimaste per ognuno di questi singoli regni, è troppo difficile formarsi una giusta idea se veramente il sistema non ebbe qualche innovazione. I regni di Ottone e di Vitellio (quest' ultimo fu riconosciuto in Alessandria per soli 45 giorni) furono così brevi e per di più lo stato fu allora in preda all'anarchia, che noi possiamo ritenere per sicuro che il sistema monetario non cambiò da quello che lo lasciò Galba. Se dunque riuniamo tutte le monete di questi tre regni come se fosse uno solo, sarà più facile farne un esame. Ecco i pesi medii delle monete di questi tre regni: Pesi medll Pesi normali I Obolo, gr. 1,80 . . . . gr. 1,20 2 Oboli, , 2.80 . . » 2,40 5 n ., 4.80 . . n 6- IO „ ,, 9.10 • • V 12,- 15 ., »> 15»— • • V 18- 20 „ 27,- . . • 24.- 30 . ,, 30.20 . . ■( 36,- Osserviamo che quasi tutte le frazioni diminui- rono di peso; però quegli stessi pesi in minima parte li ritroveremo nella monetazione di Vespasiano. Invece non sappiamo spiegarci come Vespasiano, il quale fu proclamato dalle proprie truppe e dal popolo di Alessandria nel 1° luglio del 69 di C, nel breve spazio di due mesi abbia avuto tempo di modificare il sistema monetario e battere subito monete con la data del 1° anno. Bisogna ammettere che questo è quasi impossibile e che qualche cambiamento sia 22 G. DATTARI avvenuto sotto di Galba ; ma, come ho detto, il mate- riale non ci permette di indagare più oltre. Che qualche cambiamento sia avvenuto sotto Galba ci viene pro- vato da certi segni che per la prima volta si trovano sopra i tetradrammi di lui; in alcuni, dalla parte del rovescio, è rappresentato il simpuhim, in altri una stella ed altri sono privi di ambo i segni. I tetra- drammi di Ottone sono identici a quelli di Galba e senza alcun dubbio furono battuti cogli stessi conii. Mancano quelli con la stella. I tetradrammi di Vitellio di un sol tipo sono privi di quei segni, come pure lo sono quelli di Vespasiano che esamineremo. In un obolo di Galba (se pure gli appartiene), davanti la testa c'è il segno, l. Parte III. § I- La monetazione di Vespasiano va divisa in tre periodi : 1° Usurpatore, anno i° e parte del 2°. 2° Legittimo imperatore, dal 2° al 7° anno. 3° Dal 9'^° al IO*"". • Le monete d'argento emesse durante i primi tre anni e quelle emesse nell'S" anno appartengono al sistema di Nerone. Le monete di bronzo, emesse subito nel primo anno, furono battute senza interruzione fino al 9"" anno; ma dall' 8° anno appartengono ad un'emissione affatto nuova che a suo tempo esamineremo. Negli ultimi due anni di regno (io""* e ii™°) non furono battute monete di sorta. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 23 I tipi delle monete di argento rappresentano le stesse divinità che si trovano sulle monete di Galba e di Ottone; ma mentre sopra a queste vennero rappresentati i busti delle divinità, sulle monete di Vespasiano queste sono rappresentate per intiero. Benché l'analisi di due monete di argento abbia dato per ciascuna gr. 2,340 di puro argento, ritengo che il tetradramma di questo imperatore, allorché il peso é normale, non dovev^a sorpassare il valore del tetradramma di Nerone e credo che possiamo ritenere senza scrupolo che un aureo era eguale a 40 tetradrammi. §2- Fra le monete di bronzo di Vespasiano del primo periodo, troviamo più sovente che sotto ogni altro regno, esemplari il cui modulo apparterrebbe a una data frazione, mentre il peso é doppio ed an- che triplo di quello che dovrebbe essere, stando alle proporzioni del modulo. Questa discordanza tra moduli e pesi, la spie- gherei con questo che negl'ultimi tempi di Nerone deve essere stata preparata un'assai grande quantità di tondelli, pronti ad essere convertiti in moneta; i regni di Galba, Ottone e Vitellio essendo stati di cosi corta durata non si ebbe il tempo di usare tutto quel materiale, e quei tondelli vennero quindi usati per le monete di Vespasiano, il quale, avendo abolito certe frazioni e rimpiazzate con altre, alcuni tondelli vennero adottati a certe frazioni a cui non apparte- nevano. §3- La tecnica delle monete del primo periodo non differisce da quella dei tempi di Nerone. 24 G. DATTARI L'obolo fu mantenuto al peso di gr. 1,20 e le frazioni del bronzo furono ridotte a sei W, i cui pesi normali rappresentavano le frazioni seguenti : 1 J trazione I Ubolo, gr. r,20 II n 2 Oboli, » 2,40 III lì 4 n 1) 4,80 IV » 8 n » 9,60 V » 12 n n 14,60 VI n 20 n V 24,- I pesi medii che ho ottenuto dall'esame di circa 95 monete di questo periodo sono i seguenti: I Frazione I Obolo, gr. 1,50 II . 2 Oboli, ;; 2,50 HI „ 4 y, ■ ì) 5>75 IV „ 8 . » 9,80 V „ 12 „ » 14,40 VI . 20 „ 1) 25»- Questi pesi differiscono assai dai pesi medii delle monete di Nerone e, come dissi altrove, sono più simili a quelli di Galba. Non credo quindi di avere sbagliato dando alle monete di Vespasiano questo nuovo sistema divisionale, che ritroveremo in seguito fino a che la monetazione del bronzo scompare. Parlando della monetazione di Augusto, osservai che generalmente non si battevano in uno stesso anno le monete di tutte le frazioni, ancorché il si- stema monetario venisse trasformato, ed eccone un (1) Si osserva clie le frazioni di 5, io e 15 oboli vennero rimpiazzate da quelle di 4, 8 e 12 oboli, la frazione di 30 oboli venne abolita. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 25 esempio a proposito delle emissioni annue fatte da Vespasiano nel primo periodo. Nel 1° anno si emisero le frazioni I, II ,. 2'' „ . „ I, II, III A^ — — III IV V „ 5'' . n n -, -, HI, IV, V, VI „ 6° , „ „ -, -, III. IV, V, VI r-o _ _ ni _ _ VI Ammetto che posso benissimo mancare di fra- zioni di monete emesse e non rappresentate nel pro- spetto; ma non sarebbe possibile ammettere che esistano monete delle frazioni I e II, battute nel 4°, 5°, 6° e 7° anno. In tutti i casi si può ritenere che se qualche medagliere possiede delle frazioni le cui emissioni non sono rappresentate più sopra, quelle monete, o le date sono male lette, oppure sono molto rare e la loro emissione deve essere stata molto limitata. § 5. Nell'ottavo anno di regno di Vespasiano (75-76 d. C.) la storia non descrive alcunché di straordinario e nemmeno, per quanto io abbia potuto ricercare, le monete della serie romana fanno supporre che in quei due anni, Tito abbia meritato di essere ri- cordato in modo speciale. La serie Alessandrina possiede dei tetradrammi dell'anno 8°, sul cui rovescio viene rappresentata la testa di Tito. Quello stesso tipo di moneta fu, pare, unicamente usato sulle monete della più grande fra- zione, battuta negli anni 8° e 9"°. La ripresa della fabbricazione dell' argento du- rante un solo anno, dopo quattro anni di tregua, la 26 G. DATTARI novità di porre sulle monete di bronzo la testa di Tito vi è ragione a supporre che qualche cosa sia avve- nuto, ma che la storia non ha tramandato. § 6. Le monete dei due metalli battute negli anni 8° e 9"° e sopratutto le monete di bronzo sono una vera rivelazione della tecnica e dell'estetica ; al punto che differiscono intieramente da tutto ciò che fu emesso in Egitto e prima e dopo questo regno. Benché l'arte non sia che lievemente migliorata, nell'insieme, tutto è più studiato; i tipi da ambo le parti sono appiattiti, il contorno delle monete è re- golare, le leggende tutte visibili e, dentro il contorno, le lettere meglio modellate, le aree del diritto e del rovescio sono di eguale circonferenza e sono le uni- che monete che possono essere classificate col si- stema dei moduli. Queste monete, dalla diversità dei loro moduli e dei loro pesi, dimostrerebbero che le frazioni di queste speciali emissioni erano sei (^). Notando però che tra le monete della maggiore frazione ve ne sono di quelle (di buona conservazione) il cui peso differisce di molto dalle consorelle; ma non avendo potuto trovare niente tra questi differenti pesi, che possa suggerire una divisione plausibile, ho preso la media delle monete della più grande frazione riunendo le monete che ho accennato, con quelle di maggiore (i) Possedo una moneta dell'anno 8°, del modulo che sta tra la mo- neta della prima e della seconda frazione; il suo peso è di gr. i8,oo; ma, sebbene i tipi sieno benissimo visibili, essa e estremamente ossidata e sembra gonfiata, ho dunque creduto bene eliminarla e non tenerne conto per questo studio. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 27 peso ed ho ottenuto gr. 25, cioè il peso della frazione sorella della prima emissione. § 7. La monetazione di Tito si limita a pochissime monete di argento, di una tecnica simile a quelle del padre dell'anno 8°. Sopra alcune di quelle mo- nete riappare una stella nel campo del rovescio; sistema che, abbiamo veduto, venne introdotto da Galba e che Claudio aveva usato ponendo quella stella al diritto. L'ascensione di Tito al trono avvenne in pros- simità del primo dell'anno (23 Giugno); ciò potrebbe far credere che non vi fosse stato tempo materiale per battere monete subito nel primo anno; ma ab- biamo veduto sotto di Ottone e Vitellio con quanta rapidità vennero battute in quantità abbastanza grande tante monete di argento e di bronzo, per cui nel caso di Tito vi deve essere qualche altra ragione. Mancano pure le di lui monete con la data del- l'anno 4^ Quantunque Tito fosse morto il 13 Set- tembre e, pure accordando il tempo necessario perchè la nuova della sua morte giungesse in Egitto, non vi è dubbio che si aveva tutto il mese di settembre per battere moneta quanta se ne fosse voluta. I conii potevano essere stati preparati prima del primo del nuovo anno e ciò secondo la regola che spiegai nel mio appunto N. XII. Tutto questo ci prova che la mancanza delle monete del 1° e del 4** anno di Tito non è acciden- tale, ma fatta a scopo; l'emissioni di monete ristrette agli anni 2° e 3° e le due ultime emissioni fatte da Vespasiano nell'S^ e 9"° anno verrebbero a confer- G. DATTARI mare quanto ho detto per Nerone, circa il conteggio de^li anni, cioè : Emissione di VESPASIANO ANNO 8° LH LG ANNO 9° dal 30 Agosto al 31 Dicembre 75 à. C. dal i» Gennaio al 28 Agosto 76 dal 20 Agosto al 31 Dicembre 76 dal I Gennaio al 28 Agosto 77 Non furono emesse monete Emissione delle monete con le date degli anni 8" e 9° (LH . Le) Non furono emesse monete Emissione di TITO ANNO 1° LA ANNO 2° LB Lf ANNO 3° ANNO 4° LA dal 23 Giugno al 29 Agosto 79 d. C. dal 30 Agosto al 31 Dicembre 79 dal 1 Gennaio dal i Gennaio al 31 Dicembre 1 al 28 Agosto 80 8r dal 29 Agosto al 13 Settembre 81 Non furoi battute moi 10 lete Emis delle r degli an (LB sioae nonete ni 2° e 3° . LD Non furono battute monete Se la mia ipotesi è giusta, vengono spontanee queste dimande : Se Alessandria possedeva una Zecca, sul genere delle altre dell'Impero, o diciamo come quella di Roma; come è ammissibile che essa fosse aperta alla lavorazione durante un'anno e quindi chiusa per due o più anni? Cosa accadeva del nume- roso personale . che abbisognava alla lavorazione, allorché la Zecca si chiudeva? e come lo si ritrovava allorché la Zecca si riapriva? Il fatto d'inerzia nella lavorazione delle monete è chiaro anche senza tenere conto della maniera di conteggiare gli anni nel modo che ho indicato. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 29 Io sono fermamente convinto che in Egitto, per lo meno nelle prime epoche, le monete fossero battute da appositi appaltatori sia in Alessandria che in altri importanti centri della provincia ed il nome sotto il quale questa serie è assai conosciuta lo credo abu- sivo ed erroneo e speriamo che un giorno, con do- cumenti alla mano, potremo sciogliere ancora questo problema a soddisfazione di tutti. Parte IV. § I. L'inerzia nella fabbricazione della moneta, che cominciò nell' anno io'"° di Vespasiano e durante tutto il regno di Tito, continua nel primo anno di Domiziano IO; per cui, secondo la regola di conteg- giare, si può ammettere che le monete dell'anno i° vennero battute non prima del i° Gennaio, 82 d. C, il quale anno faceva pure parte del secondo Ales- sandrino (82-83 d. C). Dal secondo anno la fabbricazione delle monete di bronzo si segue senza interruzione fino alla fine di questo regno. Le monete di argento vennero emesse irrego- larmente cioè negli ?nni 2**, 6° e 8''. Lo stile è si- mile a quello del padre, e la lega pure la credo la stessa. Sopra queste monete si accentua un risveglio circa la varietà dei tipi del rovescio. Le monete di bronzo battute tra l'anno 1° ed il 9"° per l'estetica si avvicinano a quelle del padre (i) Di quest'anno non conosco che ima sola moneta della 111 frazione esistente nella mia collezione. 30 G. DATTARI dell'anno 8" e 9"°, ma differiscano nella tecnica; lo spigolo del contorno del diritto ritorna ad essere arrotondato e nell'insieme riprende le caratteristiche delle monete di Egitto. § 2. Con le monete del 10""° anno (alessandrino) suc- cesse un miglioramento artistico e la fabbricazione è tanto accurata, che l'arte e la fabbrica di poco la cedono alle belle monete di Roma. Questa è la vera epoca del rinascimento della monetazione di Egitto. L'anno dopo (ii""") venne fatta l'emissione delle monete dei nomi dell'Egitto che hanno fatto e faranno ancora sprecare molto inchiostro ; come pure è da quest'anno che comincia la serie dei tanti enigmatici rovesci degni delle ricerche dei dotti. Dal prospetto che darò in appresso, vediamo che Domiziano dal 1° anno al 9"° non emise frazioni di 20, 12 e 2 oboli, mentre a partire dall'anno 10*"° furono emesse monete in tutte le frazioni. Degno di nota è che con il perfezionamento accennato della monetazione, il peso dell'obolo sembra più esatto e non dista di molto dal peso normale. § 3. La monetazione di Nerva, Traiano, Adriano e Antonino, è basata tutta sopra la modificazione intro- dotta da Vespasiano (e forse da Galba) ; prima di entrare nei particolari ed esaminare le fasi della monetazione di questi singoli regni, dò qui contro un prospetto dei pesi (medii) delle monete da me esaminate, dei regni che successero a quello di Galba. APPUNTI DI NUMtSMATlCA ALESS.\NDRINA 31 Prospetto cronologico, metrologico e analitico della monetazione da Vespasiano a Antonino Pio PESO DELLA MONETA UNITARIA DI BRONZO Gr. 1,20 i 2 BRONZO ARGENTO IMPERATORI a OBOU ^ 20 il "'■ 12 8 i 4 2 I PESO EPOCA delle Gr. Gr. ! Gr. ì Gr. Gr. IOaiALE VALORE Éll'Ariiiti EMISSIONI - S 24 14,40 9,60 ! 4,8o 1 2,10 1,20 Gr. Gr. VESPASIANO ! emissione 25 147 14 9,80 5,76 2,50 1,50 1,50 13 2,340 dal Luglio 69 d. C all'Agosto 75 d. C dal Luglio 69 d. C all'Agosto 71 d. C Il emissione 25 14.66 8,30 4 — — — dall'Agosto 75 d. C all'Agosto 77 d. C dall'Agosto 75 d. C 13 2,340 all'Agosto 77 d. C TITO — — — — — 13 2,125 dall'Agosto 79 d. C DOMIZIANO ' all'Agosto 81 d. C 1 emissione 9»57 4,60 1,15 13 •> dal Settem. 8i d. C. all'Agosto 90 d. C dall'Agosto 82 d. C all'Agosto 87 d. C Il emissione 26 14,40 9,60 4,14 2,70 1,05 — — dall'Agosto 90 d. C al Settem. 96 d. C NERVA — — — — l,IO 13 2,210 idal Settem. 96 d. C TRAIANO al Gennaio 98 d. C 1 emissione 24,83 12,28 7,02 3,40 1.28 13 2,210 1 dal Gennaio 98 d. C all'Agosto 106 d. C dall'Agosto loi d.C all'Agosto 106 d.C Il emissione 22 13,23 8.38 4.41 13 ? dall'Agosto 106 d.C all'Agosto 117 d.C dall'Agosto 106 d. C ADRIANO all'Agosto 117 d.C 1 emissione 1 22,72 12,76 5-35 1,60 13 2,275 1^430 dall'Agosto 1 1 7 d. C all'Agosto 124 d.C dall'Agosto ii7d.C all'Agosto 123 d.C Il emissione 27,10 14,15 8,36 3,45 2.45 1,16 13 2,340 dall'Agosto 124 d. C all'Agosto 138 d. C dall'Agosto 124 d. C. all'Agosto 138 d.C. ANTONINO PIO 27,60 13 — 8,58 5.45 1,05 13 ^210 2,275 1,820 dall'Agosto 138 d. C. al Marzo 161 d. C 32 G. DATTART Parte V. § I. La morte prematura di Nerva ha privato la nu- mismatica dell'Egitto della più bella serie di monete di bronzo che si avrebbe potuto vantare: questo viene confermato dalle belle monete di argento, i cui tipi sono di grande rilievo e di un'arte vivace e naturale. I tetradrammi di questo imperatore portano tutti la data dell'anno i°, mentre certe piccole monete di bronzo, che soglionsi attribuire a questo regno, hanno quella dell'anno 2°. Ciò porta a concludere che la monetazione di Galba ebbe principio a partire dal 1° di Gennaio al 31 Dicembre del 97 d. C. e che nel 98 non venne battuta moneta affatto. § 2. Le monetazioni di Traiano, Adriano e Antonino Pio sono tanto simili tra loro, che in gran parte possono essere trattate collettivamente. Sappiamo che Adriano e Antonino ridussero il valore del denaro; se riducessero anche il valore del tetradramma è impossibile verificarlo. L'analisi però delle monete di questi tre regni non si oppone all'idea della riduzione del valore del tetradramma. Ecco il risultato dell'analisi che ho ottenuto da una moneta di Traiano, quattro di Adriano e tre di Antonino. Traiano i tetradramma è risultato argento gr. 2,210 Ìi » » w » j> 2,015 I „ » „ n . 2,340 ^ » » H » » ^ »43*^ ^ n n I) n » 2,275 APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 33 I tetradramma è risultato argento gr. 2,210 >; n tt » » ^>^75 „ » n n n 1,820 Togliendo da queste analisi la moneta del peso di gr. 1,430, la quale sicuramente è opera di falsari o di frodi commesse dai monetari, le altre ci danno una media di gr. 2,163, mentre abbiamo trovato che sotto di Nerone la media era di gr. 2,185, cioè a dire: i tetradramma dei regni di cui ora ci interes- siamo, valeva io °/o meno di quello dei tempi di Ne- rone, presso a poco la differenza tra il denaro di Nerone e quelli di Adriano e Antonino. Le monete di argento dei due sistemi avendo diminuito della stesso valore, erano dunque sempre eguali tra loro e rimanevano 25 denari che equivalevano a 40 tetra- drammi. Dal prospetto della monetazione di bronzo di questi tre regni si vedrà che certe frazioni sono di- minuite di peso e qualche altra (in particolare di Antonino) è aumentata. Possiedo un' immensa quantità di bronzi di que- ste epoche tra il fior di conio e la buona conser- vazione; il che darebbe a credere che debba essere stato facile cosa di ottenere una media dei pesi, media che sembrerebbe dover confermare la mo- netazione di Vespasiano. Al contrario : tra le monete delle tre epoche se ne trovano varie di uno stesso modulo, ma alcune consunte pesano più di altre di buonissima conservazione. Se si eccettuano le mo- nete degli ultimi anni di Adriano le cui propor- zioni e pesi sono più costanti, nel numero spesso si trovano monete di uno stesso modulo, ma una pesante quasi il doppio dell'altra. Di queste se ne trovano poche sotto di Traiano, qualche rara sotto di Adriano tra quelle dei primi anni, ed in assai 34 G. DATTARI numero tra quelle di Antonino a partire del- l'anno 20""°. Quelle mezze monete, giacche non pesano che la metà delle altre, le ritroveremo nei successivi regni e specialmente sotto di Alessandro Severo. Esse allora rappresentavano la metà della moneta maggiore ; ma questa assicurazione non è possibile farla per i regni di Traiano, Adriano e Antonino. § 3. L'arte sulle monete di questi tre regni dififerisce, e per due volte, nel lungo spazio di 60 e più anni, dal bello precipita quasi di un tratto a ciò che non merita nemmeno il nome di arte. Nelle prime monete di Traiano seguita l'arte dei tempi di Domiziano, ma già inclinata alla discesa, talché a partire dal io"'° anno va sempre più avvi- lendosi e verso il i6™° diventa la peggiore che si ri- scontra in questa serie. Nei primi anni di Adriano l'arte continua la stessa, e di tanto in tanto si trovano delle monete abbastanza buone. L'arte ritorna in fiore nel to'"" anno e, se non raggiunge l'altezza dei tempi di Domiziano, di poco le sta distante. Seguono simiH a queste le prime monete di Antonino ; ma a poco a poco peggiorano con una gradazione impercettibile, senza però cadere fino al punto di quelle degli ultimi tempi di Traiano. Le monete di mistura hanno lo stesso andamento. È un fatto assai curioso e che merita di essere notato. In tutti i regni che ebbero una durata maggiore di IO anni, all'avvicinarsi del 10'"° (alessandrino) si fecero delle nuove emissioni di monete e con esse, si avverte un miglioramento oppure un peggiora- mento nell'arte. APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 35 § 4. Sulle monete di argento di Traiano, a principiare dall'anno iS""" e così per i due anni che ancora regnò, dalla parte del diritto, davanti la testa dell'impera- tore, si vede una stella; la testa dell'imperatore in questi anni è sempre cinta dalla corona radiata. Le stelle seguitano ad apparire sopra le monete del 2°, 3° e 4° anno di Adriano, come pure di questi anni vi sono monete senza stelle. Dall'anno 4° all' 8°. invece delle stelle, vi è una luna bicorne; questa si trova su tutte le monete del 5° e ó"* anno, mentre sopra quelle degli anni 7° e 8° talvolta quel segno manca. La testa dell'imperatore è sempre laureata. Nel 9"° anno di questo imperatore la fabbrica- zione delle monete di argento prese delle grandi proporzioni e così durò fino alla fine del regno di Antonino. Da quell'anno (q"**), invece della testa, viene rappresentato il busto veduto di dorso. Nell'anno 20 si ricomincia a rappresentare le teste ora rivolte a destra ora a sinistra, talora nude e talora laureate. Questo sistema viene seguito tutto il tempo di Antonino ; ma ancor più variano le posizioni e l'ac- conciatura del busto e verso gli ultimi anni la testa qualche volta è cinta dalla corona radiata. Che cosa volevano significare le stelle, la luna bi- corne e le posizioni e le acconciature delle teste e dei busti? Non saprei quale altra ipotesi fare se non che si volesse con tali varietà indicare in quali officine o da quali appaltatori furono battute tutte quelle monete. Se si eccettuano i segni delle stelle e della luna bicorne, tutte le altre varietà si trovano pure sulle monete di bronzo incominciando da Traiano. Questa regola di porre le effìgi a d. oppure a s., ecc., venne già inaugurata dopo l'anno 10"'° di Domiziano. (Continua). G. Dattari. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO CAPITOLO IL Tipi: Testa di giovane cinta dalla fasce, ovvero coperta da piccolo berretto conico — Un granchio. Questa moneta è senza dubbio fra le più arcaiche di quante ne furono battute in Agrigento: la rozzezza primitiva del suo disegno, specialmente dal lato del granchio, e la forma della medesima, che è molto doppia e quasi biconvessa, sono caratteri i quali dimostrano abbastanza lo stato rudimentale dell'arte, e la poca coltura dei tempi in cui essa fu coniata. E stata edita per la prima volta dal Paruta; Torremuzza la riporta, ma sulla fede di lui, dichia- rando di non averla mai vista (^), e ne offre due impronte diverse, in una delie quali la testina è co- perta, più che da pilos o kynè, da un piccolo berretto a forma conica: io ne ho tre differenti di conio, ma la testa vi è in tutte scoperta. Ritengo questa moneta dedicata esclusivamente alla rehgione del Dio-fiume, e però che tanto il granchio come la testina rappresentino entrambi l'Acragas (Tav. I, n. i). (i) Siciliae Veteres Nummi, tav. VII, n. 4 e 5 e relativa spiegazione. 38 CARUSO LANZA Non recherà meraviglia vedere ricordato quel genio in tutti e due i lati della moneta, e sotto gli aspetti umano e simbolico, imperocché quello si può dire un fatto comunissimo, che si riscontra nei nummi di quasi tutte le città di Sicilia. Gli esempi, che sul riguardo potrei addurre, sarebbero molti, ma per non dilungarmi troppo mi limito ad alcuni solamente. 11 caso più chiaro ed elegante insieme ci viene apprestato da alcuni bronzi della città degli Alontini (0; in essi la sorgente di acqua dolce ricordata da Fazello (2) si presenta effigiata in questa guisa: nel diritto, la testa di un bel giovanotto coperta dal berretto frigio, e nel rovescio un bue dalla cui bocca sgorga un getto d'acqua (Tav. I, n. 2). L' una e l'altra figura principale si addicono perfettamente a quella fonte: il berretto frigio, come le corna, costituisce in genere un distintivo delle personificazioni dei corsi d'acqua; ed anche il bue ha lo stesso significato; difatti sappiamo da Timeo (3) che nel foro degli Agrigentini si vedeva un bue di bronzo, che rappresentava il fiume Gela. Ad ogni modo poi, che quel bue simboleggi la stessa sorgiva è dimostrato in modo esplicito da quel getto d'acqua, che zampilla dalla sua bocca, ed anche dal granchio, che in alcune monete vi è scolpito ai piedi. In quelle di Gela si riscontrano frequentissimi questi tipi: una testa umana, spesso con le corna ovvero coi capelli scarmighati ed ispidi, che si direbbe quasi anguicrinita, accennandosi in cotesto modo ai confluenti, che mettono capo all'unico fiume; e nel lato opposto, il bue od anche il minotauro con la leggenda al nominativo TEAM. È evidente che Tuna (i) Id., ibid., tav. XIV, n. io e ii. (2) Deca I, lib. IX, cap. 4. (3) Frammento II di Spata, pag. 153. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 39 e l'altra impronta si riferiscano al fiume Gela, e le parole di Timeo, delle quali feci menzione, tolgono ogni dubbio sulla interpretazione del simbolo bue. Monete analoghe ha Catana. In alcune di Siracusa quell'emblema è circondato da delfini (Tav. I, n. 3), circostanza questa, la quale rende sicuramente intelligibile l'allegoria. Nelle me- desime però la testa suol essere quella di Cerere ovvero di Proserpina; ma dello identico tipo ne pos- seggo io una di piccolo modulo, inedita ancora, nella quale la testa senza dubbio è quella di Aretusa (Tav I, n. 4), e così affermo per la ragione che essa è di disegno perfettamente uguale a quella che presentano le numerosissime monete di argento, le quali hanno la biga nel rovescio. Gli esempi portati mi pare adunque che siano sufficienti a confermare il fatto da me sopra annun- ziato, che i Greci di Sicilia cioè solevano dedicare monete ai loro sacri corsi d'acqua, rappresentandoli sotto forme umane e simboliche insieme, nella me- desima moneta. Agrigento seguì cotesto uso comune, e ne fa fede quel bronzo ricordato nel Capitolo precedente, in cui vi ha l'aquila sulla colonna jonica; ivi appunto nel campo vi è un piccolo granchio, e nel diritto poi la testa del dio-fiume. Ora, data quella regola generale, io non esito punto a ritenere che la moneta in esame sia stata coniata dai cittadini esclusivamente in onore della divinità fluviale, il granchio la rappresenta in modo simbolico giusto quello, che esposi nel primo capitolo; e attribuisco pure la testina a quel nume, argomen- tandolo dai seguenti indizi: l'età giovane della figura; la fasce, onde è cinta ; e quel pileo in qualche modo simile ad un berretto frigio, che si trova nella mo- netina riportata dal Paruta. 40 CARUSO LANZA CAPITOLO III. Tipi: Aquila, che divora un serpente — Granchio. Sono altresì arcaiche le monete con l'impronta di un'aquila che divora un serpente, ovvero un pesce, o un'altra aquila (Tav. I, n. 5, 6, 9, io e 13); si osserva in esse quella scorrettezza nel disegno, quella ruvidezza nell'arte, le quali sono proprie delle civiltà poco progredite: i barbari nelle loro immagini accen- nano solamente i concetti, spesso grandiosi, senza curarsi gran fatto dei particolari del disegno, mentre i tempi della decadenza amano le peculiarità più minuziose, la barocca ricercatezza (0. Riguardo a cotesto gruppo di monete però, più che qualunque parola se ne possa dire, basterà so- lamente il vederle, toccarle, e metterle in confronto con le più arcaiche e con le altre, di cui ragionerò nei capitoli seguenti, per riportare questa convin- zione piena e sicura: esse non furono le prime co- niate in Agrigento, ma immediatamente dopo quelle. Perchè io non venga frainteso dirò, che non tutti i conii di cotesti tipi sono sempre ed egual- mente ruvidi; altri ve ne sono, i quali raggiungono una sufficiente finezza; essi ricompariscono in tempi a noi più vicini, e contemporaneamente ad altre im- pronte ben diverse, come dimostrerò in altro luogo (2); la qual cosa significa certamente che i fatti, a cui si riferiscono le allegorie in esame, erano di tale importanza, che il popolo amava sempre di averli ricordati e ripetuti. (i) Pagano, Sag^^i Politici. Sag. VI, cap. XII e XIV. (2) Cap. VII. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 4I Ad Ogni modo, per fissare meglio l'epoca della emissione di tali nummi allego l'autorità di persone senza dubbio competenti, riportandomi a questo fatto o aneddoto, che dir si vorrà. Nel museo comunale di Girgenti è una tavola di facsimili, tirati con la galvanoplastica, delle nostre principali monete anti- che; è copia di quella esistente nel British Museum, e fu regalata al nostro Municipio, da un signore inglese il quale faceva le sue meraviglie, come mai a Gir- genti, nel museo archeologico, non vi fossero monete agrigentine. Esse in quella tavola sono disposte per epoca, e quelle ch'io vengo ad esaminare, a Londra, da eccellenti archeologi sono state giudicate appunto del primo periodo della nostra monetazione. Cotesto dato intorno all'epoca della loro crea- zione ci spiana certamente la via : nella storia di un determinato periodo di tempo noi cercheremo la spiegazione dei simboli pesce, serpente ed aquila, di .quegli animali cioè, che vengono ghermiti e di- vorati dall'aquila agrigentina. Solo a guardare cotesti tre tipi e gli altri ap- partenenti ai tempi successivi, che formano il pe- riodo più luminoso della storia d'Agrigento; ad os- servare che mentre prima l' aquila era disegnata stante, ferma e direi quasi accovacciata (V. Tav. pre- cedente, n. I e 5 (0) ed ora invece la si vede in movimento, piena di vita e di brio, che comincia a squassare le penne e batter FaH (Tav. I, n. 3 e 17), ed ora ha ghermito un serpe o un pesce (Tav. I, n. 6, 9 e io), ora ha debellato altra aquila, o una lepre o un cavallo (Tav. I, n. 13, 14, 15, 16, 17 e 19), e' simili, ed in una moneta si mostra con la testa alta e la preda stretta fra gli artigli, in un'altra, che (i) Tav. XVI, anno 1902. 42 CARUSO LANZA lotta con qualche animale, o è intenta a divorarlo; solo a guardare e notare cotesta differenza, dico, un' impressione se ne riceve, ed è questa, che gli Agrigentini nel disegnare l'aquila della loro città in quei modi, nel rappresentarla trionfante sugli altri animali con cui essa ha lottato, abbiano voluto espri- mere il concetto delle loro prime armi e prime vit- torie: è la giovane aquila, che ha lasciato il niao e stende le ali sopra vaste regioni, è la giovane Agri- gento, che si è coverta di gloria sui campi di bat- taglia. E questa impressione viene avvalorata da ciò, che nei tempi della dominazione punica, allor quando la città non avea piìi diritto di vantare illustri gesta, né sottomesso alcun nemico, 1' aquila delle sue mo- nete torna a chiudere le ali, ed a non aver più preda a divorare (^l L'esame dei vari nummi, che mano mano sarà fatto, e il relativo confronto giustificheranno codesto mio modo d'interpretare il significato generico delle cennate impronte. Comincio adesso dallo spiegare che cosa sim- boleggi quella dell'aquila, che divora un serpe (Tav. I, n. 5 e 6). Analoga di significato ve ne è forse un' altra, l'aquila che divora una lucertola: la porta il Torre- muzza (2), però il Salinas non l'ha: che si sia in- gannato quell'eminente archeologo? Ma prima di dare la mia spiegazione, sento il bisogno di premettere alcune notizie storiche, e fare osservazioni e rihevi per giustificare più che sia pos- sibile le mie impressioni. (i) Vedi su questo riguardo il cap. XIII. (2) Siciliae Veteres Nummi, tav. IX, n. ii. Anche Io Schubring fa menzione di tale moneta — op. cit, pag. 183. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 43 La colonia mandata da Gela per fondare una nuova città, venne a stanziarsi in un sito, in cui da tempo esisteva una città antica (0: era Omface se- condo Picone (2), Gamico secondo altri (3). Gomunque si sia chiamata, quel che mi preme di accertare è questo, che Gamico ed Omface eran vicine fra loro, tanto che archeologi di valore pongono, chi V una, chi l'altra in questo luogo; ed Agrigento sorgeva là, dove era stata abitazione da gran tempo. Di più, sappiamo che vicine a quelle due città erano pure Grastos ed Inico; per tanto vengo a questa conclu- sione, che non solamente il suolo e i dintorni, ma ben anche il territorio circostante era frequentato da gente primitiva, la quale vi aveva fondato parecchie città proprie. Alle tradizioni corrispondono i monumenti pre- ellenici, che tuttodì si rinvengono: tombe, vasi, uten- sili, armi, collane, una delle quali con due amuleti io regalai al chiarissimo prof. Orsi, il quale la depo- sitò in mio nome nel museo di Siracusa al N. 20549, e ne fece oggetto di un'apposita monografia nel « Bol- lettino di paletnologia italiana » (4). E più che altro bastano a provare l'esistenza d'una civiltà precedente alla greca gli ipogei, opera ciclopica, i quali dal vertice della collina, su cui siede la moderna Girgenti, si stendono per parecchi chilometri verso sud-est, fin oltre la chiesa di S. Nicola : ed opere simili esistono presso la città di Naro. Adunque, monumenti e testimonianze ci fanno stabiUre con tutta sicurezza, che il luogo in cui fu fondata Agrigento e i suoi dintorni formavano la (i) Scoliaste di Licofrone. (2) Memorie storiche agrigentine, pag. 25. (3) Palmeri, Somma delia storia di Sicilia, pag. 3. — Bonfiglio, Questioni akragantine. (4) Anno XXVII, n. 1012, 1901. 44 CARUSO LANZA stanza di un popolo indigeno. Comprendiamo da ciò, come in principio si siano trovati a contatto due popoli diversi, l'uno natio del luogo, padrone della contrada, e l'altro straniero, che doveva contendere palmo a palmo il terreno su cui adattarsi per isvol- gere la propria attività ; questo che vuol conquistare, l'altro che deve resistere; fin dall'inizio però dovette determinarsi fra essi una guerra ostinata e di ster- minio, la vera lotta per l'esistenza: l'America del cinquecento e l'Africa d'oggi informino. Poche e vaghe sono le notizie arrivate a noi dei fatti importanti seguiti in quei tempi. Delle gesta di Falaride almeno qualche cosa si conosce; ma dei suoi successori fino ad arrivare a Terone (^), non se ne sa nulla. Di Falaride sappiamo questo, che pochi anni dopo la fondazione della città egli usurpava la regia dignità e rivolse tosto le sue cure alle cose della (i) Furon quattro, secondo il Picene: Telemaco, Calciopeo, Emmene ed Enesidemo; due, secondo altri: Alcmane ed Alcaudro (v. Cantù, St. Univ., voi, 63, cap. 27). Dei primi fa menzione lo Scoliaste di Pindaro, alla Olimp. II; dei secondi lasciarono memoria Eraclide Pontico e Scimno da Scio. Molti, compreso il Picene, delle cose agrigentine scrittore ac- curatissimo, non han saputo spiegarsi il come ed il perchè di cotesta differenza di nomi e di numero nei re d'Agrigento; e in fatti, se dopo r uccisione di Falaride la città avesse conservata ancora la forma di governo monarchico, la questione resterebbe irresoluta non potendosi concordare l'uno scrittore e gli altri. Ma quando noi sappiamo, che Agrigento si era retta prima, e dopo Falaride si governò ancora con lo statuto dorico; quando sappiamo che in Isparta sin dai tempi di Ari- stodemo, e poi sanzionato anche dalla costituzione di Licurgo (v. Plu- tarco, Vita di Licurgo, I e II), furonvi due re ereditari, sempre; po- tremo conciliare benissimo quegli scrittori antichi in questo senso, che essi parlano delle due dinastie diverse regnanti nel medesimo tempo in Agrigento: lo Scoliaste di Pindaro parla evidentemente degli ante- nati di Terone, e però di una dinastia; Eraclide Pontico e Scinmo pro- babilmente accennano all'altra. Nel cap. V, parlando di Terone, spiego meglio questo stesso concetto ricavandolo da alcune parole di Pindaro. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 45 guerra; inventò le macchine, le quali dal suo nome per tutta l'antichità falariche si dissero; sottomise Gela, ed a presidio della fatta conquista piantò presso il fiume Imera le due fortezze Ecnomo e Falario ; si spinse fino ai campi leontini, a Catana ed Inessa, distinguendosi sempre per quei tranelli, che furon detti stratagemmi ('); ad Imera fu nominato strate- gota, e si sarebbe impadronito della città a tradi- mento, se non fosse stato il poeta Stesicoro a reci- tare al popolo il noto apologo del cervo e del ca- vallo. Un altro dato di fatto abbiamo da Diodoro <^': ai tempi della guerra di Siracusa ed Agrigento contro Ducezio re dei Sicoli obbediva agli Agrigentini quasi tutta la parte occidentale dell'isola, da Mozia e dall'agro selinuntino al monte Nebrode ed ai due fiumi, che da esso si partono. È meraviglioso! la fonte Fattizza, che scaturisce da quella montagna, dà origine a due fiumi diversi, le due Imere, l'uno dei quali ha il suo corso verso nord, e l'altro a sud, e dividono la Sicilia in due parti quasi eguali i3). Quei due fiumi segnavano allora il confine orientale dei possedimenti agrigentini. Probabilmente la con- quista della parte occidentale dell'isola fu compiuta dai successori di Falaride. Cotesti luoghi sin dall'avvento dei Sicoli erano divenuti la stanza dei Sicani u) e da loro Sicania si dissero; ond'è che se Falaride e successori estesero il loro dominio fino ad Imera e Mozia, vuol dire che dovettero necessariamente combattere e sottomettere (i) PoLiENo, lib. V. — Frontino, lib. III. (2) Lib. XI, cap. XXIV. (3) SiLio Italico, lib. XIV. V. anche Vito Amico, Lexicon topogra- phicum, alla voce Fiume Grande. C4) Tucidide, Iib. VI. 46 CARUSO LANZA i Sicani : Polibio (^) e Polieno (2) ci riferiscono ap- punto di un'aspra lotta sostenuta dal primo tiranno agrigentino contro quel popolo barbaro. Premesse queste notizie intorno al primo periodo della storia d'Agrigento, passiamo ad altre conside- razioni: I Sicani furono le prime genti, che vennero ad abitare la Sicilia (3); col volgere dei secoli perdet- tero la memoria della loro immigrazione e si dissero autoctoni, cioè nati dal suolo, su cui erano cresciuti. Nei tempi più remoti dai Greci furon detti Giganti, parola che si fa derivare da yvi-Y'/i;, terra, ed io vi aggiungerei la radice del verbo ytyvojAai, il latino gigno, trarre origine, aver nascimento, sicché gigante suona addirittura oriundo della terra. Giganti dicevano al- tresì i loro più antichi progenitori moltissimi popoli: gli Egizi, i Rodi, i Cretesi, i Macedoni, gli Italioti dei campi di Flegra, i Filistei nella tradizione bibhca, ecc. I primi abitatori dell'isola nostra adunque si dissero autoctoni e furon chiamati giganti: l'una pa- rola equivale l'altra nel suo intimo significato. I nostri Giganti ebbero ancora degli altri nomi, i quah rispecchiarono le loro varie inclinazioni ed abitudini. A somiglianza di quel popolo d'Africa, di cui parla Erodoto (4), che si nutriva principalmente dei frutti del loto, furono appellati Lotofagi; essi pare siano stati i primi giganti, che dalla vita pa- storale passassero alla coltivazione dei campi; ed il fiore e frutto del loto impresso nelle monete si- cole in genere valgono a ricordare appunto l'agri- (i) Lib. XII. (2) Lib. V. (3) Timeo presso Diodoro, lib. V, cap. IV. — Diodoro, lib. V, cap. VI. (4) Lib. IV. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 47 coltura : e fu tale la nomea d'agricoltori degli antichi abitatori della nostra contrada, che fino al dodice- simo secolo di Cristo si diceva per tradizione : Lo- tophagos eos esse ajtnit, qtti nunc Agrigentini dicuntur (^). Lestrigoni si dissero coloro i quali per mezzo di pali — ^icTpov — escavavano la terra. Ciclopi e Le- strigoni abitavano caverne e spaccature di montagna. Simili a costoro furono i Trogloditi, dei quali dice Diodoro, che avevano abitazioni sotterranee, ove portavano i loro armenti (2) ; e sotto questo riguardo non mi è parso mai infondato il parere di coloro, i quali vogliono, che i nostri ipogei abbiano servito a questo scopo. Erodoto, in fine, afferma che i Tro- gloditi etiopi mangiavano serpenti, lucertole ed altri rettili (3). TaH dunque furono dipinti dalla immaginosa fantasia dei Greci antichi, e tali furono poi descritti da storici e poeti i Sicani, i progenitori di quel po- polo, con con cui dovette imbattersi e lottare la nuova fondazione greca. Dirò per ultimo che gli antichi con l'effigie della lucertola simboleggiarono l'agricoltura, e però la di- cevano sacra a Cerere (4); più ancora, è risaputo, che con la figura del serpe gli Egizi e i Greci rap- presentarono sempre la terra. / serpenti sono figlinoli della terra, risposero i Telmessi a coloro che li in- terrogarono per conto di Creso (5). (i) PicoNE, op. cit., pag. 30. (2) Lib. V, cap. XV. — V. anche Virgilio, Eneide, lib. III. (3) Lib. IV. (4) Ovidio, Metamorfosi, lib. V, trasformazione di Aba. (5) Erodoto, lib. I. Nello stesso senso sono state interpretate le favole relative al serpente ucciso da Cadmo, al serpente Pitone, all'idra di Lerna, ecc. 4^ CARUSO LANZA Adunque, i serpenti eran figli della terra, e la lucertola, l'emblema dell'agricoltura ; ed i Giganti si- cani eran figli della terra, ed i Lotofagi i primi si- cani agricoltori. Giganti, Ciclopi e Lestrigoni, come le serpi e le lucertole, avevano abitazioni sotterra, e nelle caverne e spaccature di montagna. Lestrigoni e Trogloditi si cibavano di serpi, lucertole ed altri rettili. Per tanto il paragone sta: i simboli lucertola e serpente nel linguaggio figurato si adattano bene a rappresentare il popolo dei Sicani, qual esso era, o meglio, così come veniva immaginato e descritto dalla tradizione e dalla fantasia dei Greci. Il portento ap- parso a Creso, di cui teste feci menzione, fu questo, che nella Lidia apparvero una quantità di serpenti, e i cavalli se li mangiavano : Creso, interrogando i Telmessi per conoscere il significato del portento medesimo, ebbe quella risposta : i cavalli sono gli stranieri, i serpenti sono figliuoli della terra, dunque il prodigio annunzia un esercito nemico, che sotto- metterà i cittadini della Lidia (0. Dato tutto ciò, non mi pare fuori proposito spie- garmi la figura della moneta in esame nella stessa guisa, onde fu interpretato quel portento: l'aquila rappresenta la nostra città; il serpe e la lucertola, il popolo natio del luogo, i Sicani; l'intera figura allude dunque a quell'aspra lotta sostenuta vittorio- samente dalla giovine Agrigento contro i barbari Sicani. Parecchie altre città siciliane ebbero monete con quelle impronte: Siracusa, Messana, Morganzio hanno (r) TtXji.7]03é»c fJLÉvToi tóSe eY^uioav, otpatòv àXXód'poov «pooBóxtjiov livat Kpotou) alti fr]v )^(i)p7]v, àittxófiivov 8è xoùtov xacaorpi^l^so^ac toò? sjti)(toptoo;, XìYovtsc otptv iivai f"'!':' itaì8a, Titnov 5à rtoXép.tov xs xoit «iff]Xo8a. — Erodoto, lib. I. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 49 l'aquila che divora la serpe; Camarina ha il gufo, che tiene stretto in una zampa una lucertola. Agrigento ripete lo stesso concetto in una al- legoria analoga a quella trattata nella moneta ri- portata dal Mionnet (^), in cui si vede il granchio che tiene un serpente. CAPITOLO IV. Tipi: Aquila che ha ghermito, o divora un pesce — Granchio. Il pesce è l'emblema del mare e per esso delle città marittime, le quali di fatti nelle loro monete effigiarono sempre pesci di vario genere. Per tanto r impronta, di cui vengo ad occuparmi, l'aquila di Agrigento che abbranca o divora un pesce (Tav. I, n. 9 e io), deve alludere certamente ad una di queste due ipotesi: o alla sottomissione di qualche città litto- ranea, ovvero alla conquista del mare, al predominio nella navigazione da parte della nostra città. La spiegazione data così in termini generali si appalesa plausibile per l'una come per l'altra 'ver- sione, e però fa d'uopo vedere a quale di esse con- venga meglio quell'allegoria. Torniamo alla storia e vedremo. Ho esposto nel capitolo precedente, come in meno di un secolo dalla sua fondazione Agrigento avesse preso uno sviluppo prodigioso ; ai tempi della guerra contro Ducezio e i Sicoli, era già divenuta una grande città, padrona di una buona parte dell'isola. (i) Description.. . Sicile — Agrigenliiw, N. 65. 50 CARUSO LANZA Quello anzi fu il periodo più glorioso per le armi agrigentine; in seguito essa non brillò più per virlù guerresche, ma la gente nova e i subiti guadagni re- sero celebre la nostra città per le sue ricchezze, pei suoi edifici pubblici e privati sontuosi, per il lusso, il fasto e la mollezza dei cittadini — ^55^' mangiano come se dovessero morir domani^ e fabbricano come se non dovessero morir giammai — diceva Empedocle (0. Durante il primo assedio della città, ad opera dei Cartaginesi — 406 a. C. — ci volle un editto dei magistrati per vietare a quelli, che facevano la guar- dia di notte, di portare con se più di un materasso, una coperta, un pannolano e due cuscini (2). E prima di quell'editto dunque che cosa portavano i cittadini, che andavano a guardare le mura della città asse- diata ? In tutto il territorio posseduto dagli Agrigentini erano parecchie le città poste in vicinanza al mare : Gela, Cene, Eraclea-Minoa, Mozia, Imera, e in con- seguenza si potrebbe credere che l'emblema, di cui parlo, sia stato ideato dai cittadini a ricordare la sottomissione di taluna o di tutte quelle città. Ad un attento esame però quella spiegazione non regge ; le città cennàte erano tutte rappresentate da simboli speciali ad esse nelle loro monete: Gela dal minotauro. Cene dall'ippogrifo (Tav. I, n. 11), Eraclea la città dedicata ad Ercole aveva il leone nemeo, Mozia i delfini, Imera il gallo (V. Tav. pre- cedente, n. io); sicché ritengo, che se mai gli Agri- gentini sotto il simbolo del pesce ghermito dalla loro aquila avessero voluto alludere alla conquista di queste città, avrebbero disegnato probabilmente (i) Diogene Laerzio, in Empedocle. (2) DioDORo, lib. XIll, cap. XV, SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 5I qualcuno degli animali teste indicati, il gallo cioè, o l'ippogrifo, il minotauro e simili; o per lo meno avrebbero ideato un altro simbolo qualsia, che a rap- presentare quelle città si sarebbe meglio prestato, che non faccia quello di significato troppo generico, quale è il pesce. Spesso avviene, che alla distanza di tanti secoli non possiamo renderci la ragione dei rapporti, che passavano tra il simbolo e il concetto in esso adom- brato, imperocché ci mancano, a dir poco, i parti- colari dei fatti avvenuti in quei tempi lontanissimi, quando pure qualche notizia è arrivata a noi; mentre per mezzo dei particolari solamente potremmo com- prendere il nesso, che unisce la figura allegorica al- l'idea. Or in mancanza d'altro ci possono servire di guida alla spiegazione dei vari emblemi i simboli accessori, ed altresì le monete simili, o, come le chiamerei, di significato complementare. Spiego meglio il mio concetto : Nelle monete greche, in genere, troviamo spesso delle figurine di piccolo formato intercalate nel campo e specialmente nell'esergo, cioè nel piccolo segmento inferiore, che è separato dal tipo per mezzo di una linea; esse, pur accennando a concetti diversi e per sé stanti, tuttavia non stanno mai in antitesi al sog- getto principale dell'allegoria. Non altrimenti avviene nei quadri, ove lo sfondo e la cornice non formano mai un controsenso al suo contenuto, e nei monu- menti, in cui il piedestallo e le figure secondarie sono sempre in armonia con quella principale. Il Selvatico a proposito del monumento a Bartolomeo Colleoni diceva: Imparino da questo cornicione gli ar- chitetti moderni a scegliere l'ornamento in modo, c/te aiuti la significazione dell'opera: né pongano le sfingi, ove non s'asconde mistero y ne facciano uscir da' canestri 52 CARUSO LANZA i tritoni e gli ippocampi per esser fregio ad opere, che nulla hanno a che far col mare e con Nettuno. I Greci, artisti di genio, non contravvenivano certamente a questo precetto. Da ciò io credo di poter conchiu- dere, che i simboli accessori sopra cennati, a dir poco, ci mettono in condizioni taH da poter inter- pretare con molta probabilità il significato generico della figura principale. Altre volte, ho potuto osservare, il soggetto del- l'allegoria viene rappresentato in due o più modi di- versi, ed anche questo ci aiuta assai a comprenderne il significato : più dati si hanno, più facile riesce la soluzione del problema. Cotesto secondo genere di mo- nete sono appunto quelle, che io direi complementari. A giustificare le mie osservazioni in proposito addurrò degli esempi : dissi nel primo capitolo, che nelle monete agrigentine il granchio semplice è so- stituito dal granchio col volto umano, e l'una e l'altra figura rappresentano lo stesso concetto (V. Tav. pre- cedente, n. I, 9 e 13). Feci notare altresì nel numero precedente, come al tipo più comune di un' aquila che divora la serpe, sta accanto quell'altro del gran- chio che con le sue tenaglie ha stritolato un serpente. Vedremo al capitolo VI, che la battaglia d' Imera è stata rappresentata in tre modi diff"erenti (Tav. I, n. 14, 19 e 20). Osservai del pari che le monete di Siracusa, le quali hanno il bue, nel lato opposto so- gliono avere la testa di Cerere, ed una monetina inedita in vece ha l'effige di Aretusa (Tav. I, n. 4). E per quanto riguarda i simboli accessori ripeto cose già dette, nelle monete di Siracusa teste cennate il bue qualche volta è circondato da delfini (Tav. I, n. 3); ed il bue di quella di Alunzio (Tav. I, n. 2) ha un granchio ai piedi, tanto per dinotare, che la figura di quel quadrupede debba alludere a qualche cosa, che vive nelle acque. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 53 Dalle fatte osservazioni e dagli esempi addotti credo adunque di poter conchiudere, che spesso il bandolo per la spiegazione delle monete ce lo for- niscono le monete stesse; gli accessori e le figure simili sono appunto quelli, che ci fanno raccapezzare il vero significato loro. Tomo quindi all'argomento. Se il pesce impresso in queste monete dovesse ricordare davvero le città marittime soggiogate dagh Agrigentini, essi non avrebbero trascurato di con- fermare vie meglio il loro concetto nei cento segni minori esplicativi dell'idea principale, i quali accom- pagnano quel tipo; e di fronte ad un immenso nu- mero di coni diversi di cotali nummi, avrebbero sa- puto creare certamente qualche impronta comple- mentare, qualche altro emblema, che alla conquista delle città marittime sopra specificate avrebbe meglio accennato. Ma nulla abbiamo di tutto questo, ed il significato dei segni, che numerosi e diversi accom- pagnano la figura principale, ci allontana affatto da quest' idea. Ritengo in vece che i nostri maggiori con l'im- pronta in esame abbiano voluto dar forma sensibile al concetto del predominio nel mare, della naviga- zione e del commercio. Agrigento di fatti intorno all'epoca di Terone e sino alla seconda guerra punica in Sicilia ed alla sua prima distruzione, era padrona delle acque. Tale parola non si dovrà intendere nel senso politico e guerresco, imperocché è accertato, che essa non ebbe mai una marina da guerra, e nessuna battaglia na- vale ci viene indicata dalla storia siccome combat- tuta dalla flotta agrigentina. La città allora fioriva assai in grazia del com- 54 CARUSO LANZA mercio marittimo, dal quale ritraeva immense ric- chezze (^). Siracusa, bellamente fu detto, Qual ampia nave, che le vele spieghi — Ver l'oriente (2), esercitava il suo commercio specialmente con la madre patria e con tutte le coste orientali del Mediterraneo; Agri- gento in vece più direttamente con Cartagine e tutta l'Africa. I prodotti principali del nostro suolo erano, e sono tuttavia, il grano, il vino e l'olio; e di questi, e specialmente degli ultimi due generi, difettava l'Africa (3). Platone il filosofo ritrasse dei grandi guadagni vendendo dell'olio in Egitto (4). Or appunto i segni secondari aggiunti alle mo- nete del tipo in discorso, ed a quelle coeve, di cui tratterò nei capitoli seguenti, sono: granelli d'orzo e spighe di frumento, pampini di vite e grappoli di uva, rami d'olivo e simili, cose le quah accennano in modo semphcissimo ai prodotti del suolo, alla base delle esportazioni. Ed attorno alla figura del- l'aquila che ghermisce il pesce, oltre a quei simboli, vi sono più specialmente cavallucci marini, tritoni e sirene (Tav. 1, n. 17), quei geni delle acque, i quah seguivano il corso delle navi e spesso indicarono la via ai naviganti; sicché possiamo considerarli siccome simboli della navigazione. Ed altresì vi si riscon- trano pesci di mare e di fiume, anguille, gamberi, polipi, conche (Tav. I, n. 9, io, 12 e 14), roba tutta che rispecchia la pesca abbondante, che si faceva nelle nostre acque (s). Cotesti tre generi di èimboli minori messi at- torno all'emblema principale, di cui ragiono, mi pare (i) DioDORo, lib. XIII, cap. XV, (2) E. Perito, Acrogante, canne. (3) Erodoto, lib. II. — Diodoro, loc. cit. (4) Plutarco, Vita di Solone, cap. II. L'Egitto ritraeva l'olio anche dagli Ebrei, come è dimostrato dal libro del profeta Osea. Cap. II, 2. (5) V. cap. xn. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 55 che diano la completa giustificazione della data in- terpretazione. La marineria era Tanima nella vita degli Agrigentini, la sorgente delle proverbiali ric- chezze e delle loro deHzie; e ben si apponeva lo Schubring nel rilevare, che un fatto di tanta impor- tanza non poteva passare inosservato, ma doveva essere registrato e consacrato in un monumento della città, quali sono le monete 'i); però s'ingan- nava nel vedere incarnato questo concetto nella fi- gura del granchio : il pesce è l'emblema del mare, non quello storto crostaceo, come gli uccelli potranno ben rappresentare il concetto della vita e del movi- mento nel regno dell'aere, non i vipistrelli o i draghi volanti. Sicché con l'impronta dell'aquila, che ha gher- mito un pesce accompagnata da cento figurine ac- cennanti ai prodotti d'esportazione, alla navigazione ed al commercio, i cittadini intesero rappresentare il concetto del loro predominio sul mare, su quel- l'elemento, che li aveva resi ricchi e felici. CAPITOLO V. Tipi : Aquila che divora altra aquila — Granchio e due pe- sci sotto. Fra le monete rare di Agrigento sono certamente a noverare quei bronzi, che portano le impronte di un'aquila che ne divora un'altra, e nel rovescio, un granchio e due pesci sotto (Tav. I, n. ii). Io però ne posseggo una di formato piti piccolo, inedita (i) Op. cit., pag. 188. 5^ CARUSO LAN^A ancora, la quale, sebbene alquanto sciupata, è rico- noscibile abbastanza dal lato delle aquile e chiara poi nel lato opposto, e presenta questa particolarità, che invece di due ha un solo pesce al di. sotto del granchio (Tav. I, n. 13). L'aquila, dissi e ripeterò a ogni pie' sospinto, è l'emblema della nostra città: e qui la figura princi- pale della insegna, la solita aquila vittoriosa, identica di disegno a quelle altre che hanno debellato la serpe, il pesce, il cavallo, la lepre, ecc., rappresenta precisamente la città uscita vittoriosa da qualche ci- mento. Non mi sembra ragionevole poi supporre, che i nostri maggiori nella superficie limitatissima di un tondello abbiano voluto, che la medesima figura de- signasse due oggetti differenti, e però anche l'altra aquila, quella uccisa, attribuisco ad Agrigento o ad una parte dei suoi cittadini; specie poi perchè essa non si potrebbe adattare ad alludere all'altra città, che pure dell'aquila veniva rappresentata, imperocché Agrigento non riportò mai alcuna vittoria contro Siracusa. Onde l'impronta di un'aquila, che ne ha soggiogato un'altra, mi dà subito l'idea d'una vitto- ria di Agrigento sopra sé stessa, di una qualche sedizione o lotta intestina felicemente superata. Qui cade in acconcio di notare un fatto: L'aquila vinta di queste monete é molto piccina di fronte alla vincitrice, come la lepre, di cui parlerò nel capitolo seguente, spesso é piccola, ed il cavallo ucciso (Tav. I, n. 19), di cui tratterò pure in quel capitolo, raggiunge le proporzioni di un cagnolino nei rapporti con l'aquila. Queste e simili sproporzioni nei disegni tra la figura principale e le accessorie non rivela l'imperizia o la cattiva scuola degli incisori agrigentini, ma un costume di tutti gli artisti greci. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 57 Il sistema di mettere in maggiore rilievo l'eroe. Io troviamo molto frequente nei monumenti assiri, e dalla Assiria pare, sia stato importato in Grecia : abbiamo infatti statue colossali di quei re, che si tengono stretti al petto dei leoni, i quali sembrano gattini (^ . Nei fregi del Panteon d'Atene v'erano scolpiti cavalli più piccoli dei loro domatori ; tali sarebbero anche quelli dei colossi del Quirinale. E per parlare di cose agrigentine noterò, che negli squisiti altorilievi del sarcofago greco esistente presso la Cattedrale, la Fedra seduta, o meglio sdraiata sulla sedia, raggiunge la stessa altezza delle ancelle in piedi, che le stanno presso. Fra i vari episodi della nostra storia quello, a cui si addice bene il significato di questa allegoria, è la prima vittoria riportata da Terone. Egli ascendeva alla signoria d'Agrigento nel 488 a. C; i figli di suo fratello Senodico, Ippocrate e Capi (2), cominciarono ad eccitare il popolo alla rivolta, ed una fazione di Agrigentini infatti si ribel- lava e scendeva in campo sotto il comando dei detti due sobillatori. Quale la causa di cotesta sedizione non ci viene chiarita dalla storia; mi sembra verosimile, sia stata questa, che Terone otteneva la regia dignità per diritto ereditario, secondo lo statuto dorico stato già adottato in Agrigento; quei re però avevano molto meno di potestà, di quanta ne avessero i con- soli a Roma ; ma Terone, pur divenuto re per diritto proprio, avrebbe usurpato i poteri della città a danno dell' aristocrazia dominante : egli per tanto fu chia- (1) ViARDOT, Le meraviglie della scultura, Cap. II. (2) Vedi la genealogia di Terone dello Scolionte di Pindaro, alla Olimp. II. 8 ^8 CARUSO LANZA mato da Pindaro promiscuamente Suvàd-r/i?, grande, ottimate, e Tópawo;, usurpatore, tiranno (^) ; Ippocrate e Capi sarebbero stati dunque i campioni dell aristo- crazia conculcata. Essi si ridussero ad Imera presso il signore di quella città, Terillo; fu bandita la guerra; Anassila tiranno di Reggio e Messana prese le parti di Terillo suo suocero ; si venne a giornata presso i campi d' Imera ; e Terone li sgominò tutti quanti, e tornato poi in Agrigento festeggiò la sua vittoria contro i ribelli. L' Holm parla di questo fatto d' arme come di avvenimento di epoca posteriore alla grande batta- glia d' Imera (2). Io non comprendo come mai quel sommo maestro abbia potuto incorrere in tale equi- voco, quando Erodoto, scrittore presso a che con- temporaneo, dichiara testualmente che i Cartaginesi furon chiamati in Sicilia da Terillo e specialmente da Anassila per vendicare il suocero, che in seguito a quella giornata era stato cacciato da Imera (3). E poi, ne Ippocrate ne Capi, ne gli Agrigentini si sa- rebbero ribellati dopo la famosa battaglia d' Imera ; ne Terillo avrebbe soccorso dei ribelli contro un re divenuto cotanto potente. Adunque, ritengo che le monete in parola siano state coniate precisamente in memoria di quella gior- nata, e però il suo significato sarebbe questo : la vittoria di Terone sopra i propri nipoti, di Agri- gento contro i ribeUi agrigentini; è un'aquila, che ne ha vinto un'altra. (i) Olimpica II. (2) Storia di Sicilia neW antichità, trad. di Dal-Lago e Graziadei, voi. I, pag. 408 e seg. (3) Lib. VII. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 59 Tali monete sono rare, dicevo, e questo fatto trova la sua spiegazione in ciò, che se in principio Terone nell' esultanza della vittoria pei consolida- mento della sua regia dignità potè volerne registrata la memoria in una moneta, ben tosto dovette di- menticarla a cagione dei fatti politici di molta im- portanza, che seguirono nel giro di pochi anni, la venuta dei trecentomila Cartaginesi, e la loro totale disfatta ad Imera. Da ciò io argomento la scarsità dei conii e del numero di queste monete. Ma — si potrebbe osservare — fu quella so- lamente la lotta intestina, che s'ebbe a lamentare nella nostra città? — No; ben altre occasioni simili vi furono ancora; però se vien preso ad esame ogni singolo fatto nei suoi dettagli, non ci si troverà al- cuna concordanza con l'impronta di queste monete. Così per esempio, ai fondatori della città si sovrapposero ben presto i Tebani, condotti da Te- lemaco: industri, sobri e più ancora ossequenti alla legge erano i primi ; insolenti, violenti e sprezzatori delle leggi i secondi; quelH amavano il regime ari- stocratico, questi invece tendevano alla democrazia: dalla miscela di elementi così disparati e opposti, è naturale, ne seguirono dei torbidi, i quali finirono con la tirannide di Falaride, fine consueto alle dis- senzioni interne. Ebbene, le monete in esame non saprei affatto attribuire a questi avvenimenti. Anche ai tempi di Empedocle, e suscitate dalle teorie e dalla intromissione di lui nel maneggio degli affari pubblici, avvennero delle turbolenze in città ; ma non furono tali, che una guerra civile si possono addimandare; non si venne ad alcun conflitto; furono riforme nella costituzione della città in senso demo- cratico. E neanche tali fatti possono prestarsi bene ad essere considerati come il soggetto di questa allegoria. 6o CARUSO LANZA Dei fatti posteriori non è a parlare perchè sono rappresentati nelle monete da figure simboliche di significato molto chiaro; e poi quelle emesse nell'e- poca, che corse dal dominio punico in poi, hanno tipi specialissimi, che le fanno distinguere abbastanza da queste. Per conchiudere, l'emblema di cui mi sono oc- cupato in questo capitolo non può ricordare alcuna vittoria di Agrigento contro Siracusa; non può ri- cordare neanche ogni altra dissenzione intestina, perche ogni fatto mal si adatterebbe ad essere in cotal guisa rappresentato; un solo episodio della nostra storia antica è quello che corrisponde a cap- pello alla figura allegorica di un'aquila che ne ha soggiogata e uccisa un'altra, ed è quello della vit- toria di Terone contro i propri nipoti, dell'esercito agrigentino contro i cittadini ribeUi. CAPITOLO VI. Tipi: Aquila che divora una lepre — Granchio. Di questo genere di monete ve ne sono di ar- gento e di bronzo. Quelle d'argento sono piuttosto comuni, salvo qualche eccezione; mentre di bronzo ne viene su dalla terra ogni anno una innumerevole quantità, come se davvero se ne battessero ancora. Torremuzza, parlando di questo e di un altro tipo simile, afferma di averne visto circa a seicento di conio diverso; e la sua parola non mi sembra punto esagerata. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 6l Quelle monete hanno come segni caratteristici l'aquila, che divora una lepre nel diritto e un gran- chio nel rovescio (Tav. I, n. 14}. A coteste figure principali sono quasi sempre aggiunti dei simboli minori nell'esergo, e qualche volta anche nel campo; più poi, portano la leggenda, abbreviata o intera, indi- cante il nome della città o dei cittadini di Agrigento. L'aquila di coteste monete non è disegnata co- stantemente nella medesima positura, ma si bene in tre modi diversi. Nel maggior numero essa ha le ali aperte, tirate in su, in atto di volare, il collo inarcato e volto all' ingiù, e col rostro arriva quasi a beccare la lepre, già morta, che tiene fra gli ar- tigli (Tav. I, n. 14, 15 e Tav. precedente, n. 9). In altre è disegnata ferma, intenta solo a divorare la preda fatta (Tav. I, n. 16). Nel terzo tipo infine pare che squassi le ali, e con la testa alta e col rostro semiaperto mandi alte strida, cantando vittoria sulla lepre, ghermita fra suoi unghioni (Tav. I, n. 17). Cotesti tre modi diversi di disegnare l' aquila mi ricordano i versi di Eschilo, riportati da Cicerone, relativi al supplizio di Prometeo (0: Il fiero ministro di Giove ogni tre dì piomba sul povero incatenato, e con gli adunchi artigli prima ne dilania e guasta le viscere (Tav. I, n. 16}; dopo di essersene saziato, manda altissime strida (Tav. I, n. 17); e quindi tutto intriso di sangue al volo si erge sublime, lo non mi azzarderò certamente di dire, che gli incisori agrigentini abbiano avuto presenti quei versi, allor che lavoravano attorno a quei coni. Ora, per quanto sia notevole la differenza di cotesti tre disegni, tuttavia mi si consentirà di af- fermare, che essi accennino ad un unico fatto, ad un (1} TuscoLANE, lib. II, cap. III. 62 CARUSO LANZA unico concetto, giacche l'idea predominante incar- nata in quelle figure è sempre la stessa: una lotta impegnata fra l'aquila e la lepre, e finita con la vit- toria di quello su quest'animale. Gli scrittori di cose agrigentine hanno spiegato in vario modo quest'allegoria, ma nessuno per verità mi pare, ch'abbia colto nel segno. E prima di dire la mia parola in proposito premetterò i soliti appunti di storia, i quali è giusto siano tenuti presenti, perchè si possa accettare la mia spiegazione. Intorno al 495 a. C. era tiranno di Reggio Anassila, e della vicina Zancle, Scite. Questi, volendo fabbricare una città in un luogo amenissimo detto Bei-lido, là dove, molti anni dopo, Ducezio re dei Sicoli fondò Calacta, per aver gente si rivolse ai Ioni allora in guerra coi Persiani, Al- cuni Sami e Milesi mossero a questa volta; però, giunti in Italia, furono rincontrati da Anassila presso i Locri Epizefiri, e persuasi ad unirsi a lui onde occupare Zancle, allora sprovvista di presidio e in- difesa, anzi che sostenere la fatica e il disagio di fabbricarsi da loro una nuova città ; e così fecero (^). Dopo compiuto quel tradimento essi non tolle- rarono il freno di Anassila, il quale, per isbarazzarsi di loro, ovvero opprimerli, chiamò alcuni profughi di Messene; e dallo stanziamento di costoro, ed al- tresì perchè lo stesso tiranno era oriundo di quella città, certo è che da quel tempo in poi, sotto il re- gno di Anassila, la città cambiò il suo antico nome di Zancle in quel di Messena o Messana '2). (i) Erodoto, lib. VII. (2) Tucidide, lib. VI; Diodoro, lib. XV, cap. X. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 63 In Sicilia, come in tutte le isole, era abbondante la caccia dei conigli, e vi mancavano assolutamente le lepri. Anassila ne fece portare parecchie coppie dalla Calabria sopra uno splendido carro tirato da superbe mule, e le buttò nelle campagne di Messana; sicché le lepri, che anche oggi si cacciano da noi, non sono che le pronipoti di quelle portateci da Anassila. Da allora in poi la lepre divenne lo stemma della città di Messana, e fu impressa in tutte le mo- nete dalla medesima (Tav. I, n. i8j, come ci ha traman- dato Polluce ('). Simonide poi cantò la vittoria ottenuta in Olimpia dal tiranno di Reggio con quella stessa carretta tirata da quelle medesime mule, che avevan portato le prime lepri in Sicilia. In quel tempo Terone ascendeva alla signoria di Agrigento. Come abbiam visto nel capitolo precedente, due suoi nipoti si erano a lui ribellati, e rifuggiti a Te- dilo signore di Imera. Fu bandita la guerra ; Terillo invocò Tajuto di Anassila, suo genero; ma Terone battè i due tiranni ed i propri nipoti insieme. Anassila, sia per vendicare il suocero, o più probabilmente per avere occasione di allargare i suoi domini nell'isola, chiamò i Cartaginesi (2). Costoro risposero all'appello, e dopo tre anni di preparazione, mandarono Amilcare con un esercito di trecento mila uomini (3). Questi sbarcò a Panormo; Anassila mandò i suoi pochi ajuti ; la città di Imera fu quindi stretta di assedio; ma vi accorsero in difesa Gelone di Si- (i) Lib. V. (2) Erodoto, lib. VII. (3) DioDORo, lib. XI, cap. I e VI; Erodoto, lib. VII. 64 CARUSO LANZA racusa e Terone di Agrigento, i quali, in seguito a uno stratagemma arditissimo splendidamente riu- scito ('^), riportarono insieme una delle più illustri vittorie, di cui si ornò il nome greco in tutta l'an- tichità: Amilcare vi rimaneva ucciso; l'esercito, parte tagliato a pezzi, e parte fatto prigione; e fu tale il numero di cotesti prigionieri di guerra, che la Sicilia, e pili specialmente il territorio agrigentino ne rimasero allagati, e nella divisione del bottino tra i vincitori a parecchi Agrigentini in proporzione del valore dimostrato, ne toccarono fin a cinquecento per uno (2). Terone impiegò quegli schiavi alla co- struzione dei superbi edifici pubblici e delle chiavi- che sotteranee, per cui la città nostra, dopo Roma e Atene, conserva anco al presente gh avanzi più imponenti di tutta la classica antichità. Gelone fece costruire due tempi a Siracusa, e un altro sull'Etna, che lasciò incompleto, e mandò ad Apollo in Delfo un tripode d'oro in segno di riconoscenza ^3\ Simonide scrisse un epigramma sul tripode col quale indicava i vincitori d'Imera quah liberatori della patria dal giogo barbarico, come gli eroi di Salamina e Platea. Anche Pindaro mette quella vittoria alla pari di queste due memorande battaglie (4). Erodoto afferma, che essa fu riportata lo stesso giorno, in cui Temistocle vinceva a Salamina (5). (i) PoLiENo, lib. I ; DioDORO, lib. XI, cap. VI. (2) DioDORO, lib. XI, cap. VII. (3) Id., ibid. (a) • ■ ■ . Cantando io Salamina — avrei le grazie d'Atene in compenso;' la pugna a pie' del Citeron, da Sparta ; che i Medi dai ricurvi archi prostrati vi tur ; presso le belle onde d' Imera al figlio di Diomene or sciolgo un inno premio al valor pei suoi nemici domi. Pit., F, epad. I, a Terone Etneo, trad. di L. Mariani. (5) Lib. VII. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 65 Secondo Diodoro invece si vuole, che la gior- nata d' Imera sia stata combattuta lo stesso dì, in cui gli Spartani e Tespiesi offrivano sé stessi in olocausto alla patria con Leonida, alle Termopile; e tale coincidenza egli attribuiva all'opera di un nume protettore del nome elleno '^l Tale fu r importanza di quella vittoria e il vanto, che i Greci tutti ne menavano. Queste sono le notizie storiche, le quali mi oc- correva far tenere presenti ; e dopo ciò vengo alla spiegazione dell'emblema in esame. Che l'aquila di cotesti nummi agrigentini sia appunto l'aquila di Agrigento, e rappresenti la città stessa, mi pare che non abbia bisogno di essere di- mostrato. E ritengo della medesima evidenza l'altra idea, che si affaccia spontanea alla sola osservazione di quei tre disegni diversi sopra descritti: la lotta, e la vittoria dell'aquila sulla lepre. Anzi il fatto che la medesima idea si trovi ripetuta e ribadita in dif- ferenti modi, mi pare, che renda molto più facile a riconoscere e interpretare il concetto principale in quelle diverse guise rappresentato. Anche il Cokerell vede adombrato in questo simbolo il concetto di una lotta fra l'aquila e la le- pre, sebbene poi lo esprima in termini molto ge- nerali (2). La lepre infine è l'oggetto passivo di quella vittoria, e però ci resta ad indagare che cosa essa rappresenti. (i) Lib. XI, cap. vili. (2) The Tempie of lupter Olimpius at Agrigeniittn, pag. 4. CARUSO LANZA Dalle notizie storiche sopra riportate si desume, come essa si presti a simboleggiare Anassiia, colui che introdusse le prime lepri in Sicilia, ovvero la città di Messina, ma considerata come repubblica indipendente ed in epoca posteriore alla dominazione di quel tiranno. Seguendo quest'ultima versione, alcuni credono che l'impronta dell'aquila agrigentina, che divora la lepre di Messena, accenni ad una vittoria riportata dalle armi nostre sulle messenie. La storia però non registra un cotal fatto d'armi, e in conseguenza cade di peso la relativa supposi- zione. Non mi pare verosimile infatti, che la repub- bhca di Agrigento abbia voluto incidere in moltissime monete quella vittoria, che non ebbe mai a riportare. La lepre altresì può simboleggiare Anassiia. Tale opinione non solamente è confermata dalla testimo- nianza di Polluce, della quale sopra feci menzione, ma ben anche da quest'altro dato di fatto: i Locri Epizepiri cioè, nemici di Anassiia, effigiarono nelle loro monete un' aquila che ghermisce e divora la lepre; e ciò, come è manifesto, ad imitazione precisa della città di Agrigento. Anassiia dunque, introduttore delle lepri in Sicilia, fu rappresentato mediante quella figura simbolica, non da una, ma da due città. Anche l'Holm crede così; parlando dell'impronta in discorso esprime l'opinione, che essa debba alludere alla 7 un il l'azione di Anassiia (0. Qui bisogna ricordare, che quel tiranno due volte ebbe a venire alle mani con Terone e gli Agri^i^entini: la prima, quando fu chiamato in aiuto da Terillo, e la seconda volta insieme ai Cartaginesi, alla famosa battaglia d'Imera. (i) Storia della Sicilia nell'anlichità, trad. di Dal-Lago e Graziadei, voi. I, pag. 383, nota 3*. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 67 E sul riguardo fa d'uopo un'osservazione: Nessuno degli antichi storici e poeti, i quali decantarono con pari entusiasmo la giornata d'Imera, ha fatto cenno alla parte, che vi abbia avuta il tiranno di Messena; da cotesto silenzio però non si dovrà inferire il convincimento, che lo stesso se ne sia tenuto lontano: ciò non mi pare verosimile. Egli, infatti, fu colui, il quale invitò i Cartaginesi a conquistare la Siciha, e non si sarebbe potuto rifiutare di partecipare all'impresa. Egli fu colui, che desiderava vendicare il suocero e se stesso. Egli dall'esito felice di quella guerra si imprometteva grandi vantaggi, e dai suoi precedenti sappiamo quanto tenesse all'utile. La cosa poi, a considerarla anticipatamente, presentava, se non la certezza, una grande probabilità di esito favorevole: difatti, contro le limitate risorse delle città greche di Sicilia stava la grande potenza di Cartagine , con apparecchi di guerra durati per tre anni; e poi si poteva far asse- gnamento sulla tradizionale antipatia degli originari Sicani e Siculi contro i Greci. Òr in tali condizioni non è verosimile che Anassila si sarebbe rifiutato a partecipare all' impresa. Come spiegheremo dunque il silenzio tenuto in proposito dagli antichi scrittori? Nulla di più semplice. De iiiinniiis non curai praetor, dicevano i Romani. Di fronte alla morte di Amilcare, Anassila, il quale o non è presente, o se presente trova scampo nella fuga, non si nomina; di fronte alla strage del copioso esercito cartaginese i pochi soldati, che vi potè perdere Anassila, non hanno importanza; di fronte a quella cifra tonda di trecentomila Puni, le poche centinaia, di cui poteva disporre quel tiranno, non si contano. Si aggiunga poi che i Greci tutti, poeti e pro- satori, a buona ragione di quella battaglia ne hanno 68 CARUSO LANZA fatto un'epopea, e per regola d'arte l'epopea non comporta ne minuzie ne puerilità. Dunque, a ben rifletterci, la cosa si spiega da se stessa; e per altro, si vedrà meglio in appresso, che la figura allegorica, di cui mi occupo, indica chiaramente, come Anassila abbia avuto la sua parte alla battaglia e rotta d'Imera. Questa volta potremo dire che le monete suppliscano ad una lacuna degli antichi scrittori. Per ora intanto mi basta conchiudere così, che resta dimostrato come il tiranno di Messana per ben due volte venne alle mani con gli Agrigentini, tanto per proporre la questione, a quale dei due fatti d'arme converrà meglio quell'emblema, ed evitare, dove sia possibile, di tenermi sulle spiegazioni generali. L'Holm nel luogo sopra citato non lo specifica. Il Picone lo attribuisce al primo: parlando della sconfitta toccata a Terillo e Anassila, scrive : Questa vittoria fu celebrata in Acragante, ove furono coniate le monete, nelle quali si vede ora una, ora due aquile che abbrancano la lepre (^l Non ostante la speciale competenza del dotto autore delle nostre Memorie storiche^ ritengo non esatta quella versione; se non ci fossero altri argo- menti, mi basterebbe questo solo per convincermi della erroneità di quell' apprezzamento : la vittoria degli Agrigentini sui tiranni di Imera e Messana co- stituisce un fatto di poca o nessuna importanza storica e politica, e non è tale da legittimare l'orgoglio dei nostri cittadini nel volerne registrata la memoria in tutte- le loro monete di un lungo periodo d'anni. 11 fatto a cui alludeva quel simbolo doveva essere davvero rilevante; così almeno fa d'uopo giudicare, (i) Memorie storiche agrigentine, pag. 73. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 69 se si deve tenere ad una certa proporzione nelle cose. Un'infinità di monete di bronzo portano quel tipo; e poi quelle di argento; e poi una moneta, di cui appresso dirò, la quale ci offre dei tipi molto simili; e poi quelle con due aquile, numerosissime, ed il cui disegno accenna al medesimo concetto, come afferma lo stesso Picone. Ebbene, fermando la nostra attenzione su tale circostanza di fatto, dob- biamo conchiudere necessariamente questo, che i cittadini andavano troppo superbi dell'impresa adom- brata in quell'allegoria ; ne sentivano molto lusingato il loro amor proprio; il fatto doveva essere glorioso nel vero e pieno senso della parola; senza di che non si potrebbe capire come mai essi per mille conii diversi abbian voluto rappresentare lo stesso sog- getto, e con tanto fasto e pompa ne abbian voluto tramandare il ricordo alla posterità- Or, non è certamente la disfatta di Terillo e Anassila, che può giustificare l'operato degli Agri- gentini, ma sola, esclusivamente l'altra, l'epopea d'Imera. Comprendo bene come una tale versione a prima giunta potrà lasciare dei dubbi, imperocché nessun legame, nessuna intima attenenza si riscontri fra il simbolo lepre e la cosa dal medesimo adombrata in linea principale, cioè l'esercito punico. Col nome di battaglia d'Imera, infatti, si intende quella, in cui le armi unite degli Agrigentini e Siracusani debella- rono un esercito di trecentomila Africani: l'esercito punico è dunque il soggetto principale del fatto, e, come dicevo, non sono stati mai tenuti in verun conto i pochi aiuti di Anassila; per tanto sarebbe stato più logico mettere un emblema qualsiasi, che ricordasse Cartagine o l'Africa tutta, anzi che quello speciale di Anassila, la lepre. 70 CARUSO LANZA Calzante l'obbiezione; però lo dissi nei capitoli precedenti e lo ripeterò altre volte ancora: alla distanza di tanti secoli, e con le scarse notizie storiche arrivate a noi non è sempre possibile comprendere e dare tutti i perchè. E così, per esempio, chi potrebbe dire qual parte abbiano avuto i Messeni ed Anassila alla giornata d' Imera ? — se mai nella zuffa alle schiere di Terone non sia toccato di sgominar quelli principalmente? — chi lo sa, se nella divisione degli schiavi i Messeni non siano stati tutti assegnati agli Agrigentini? — ovvero anche se la figura di un Greco, che chiama i barbari alla conquista di una terra greca, e insieme ad essi combatte per la schia- vitù dei propri connazionah, non abbia destato il maggiore corruccio dei nostri cittadini, i quali, per reazione, vollero imprimere con quell'emblema il marchio d'infamia sulla fronte di Anassila? Via, data alcuna di coteste, o altra simile ipotesi, ipotesi tutte quante verosimili e possibili, la cosa si spiegherebbe facilmente. E tralasciando d'indagare più oltre intorno al perchè della figura simbolica in esame, vengo a giustificare più tosto la mia parola; e la giustifica- zione sarà data nel modo più sicuro, quale e quello che deriva dalla osservazione e confronto di alcune monete. Siamo sempre lì, una moneta spiega l'altra. Il primo argomento, che mi fa inclinare alla data spiegazione — dicevo — lo abbiamo nella proporzione fra Tidea incarnata in quel simbolo ed il vanto, che ne menavano i cittadini, deteggendo cotale vanto dalla moltiplicità dei coni e dal numero stragrande delle monete. Per giustificare meglio cotesta mia impressione aggiungo questo, che i tipi più comuni di tali nummi SPIEGAZIONE STORICA VELLE MONETE DI AGRIGENTO 7I sono appunto quelli, onde s'intitola il presente Capo: l'aquila che divora la lepre, nei tre disegni diversi sopra descritti, e il granchio nel rovescio. Ma i cittadini non si arrestarono a quelli soli, altri ne crearono, nei quali cambiarono solamente il rovescio, ed invece del granchio misero, in alcune la testa di Giove, monete anche queste comunissime, ed in altre, molto rare, la testa di Ercole. Altre monete, cennai dianzi, hanno impronte molto simili a queste, ed a prima vista si comprende del pari come il soggetto della relativa allegoria rimanga sempre quello del tipo principale. In fine, le medaglie con due aquile che sbranano una lepre. Per conchiudere sul riguardo adunque : lo stesso soggetto fu rappresentato dai cittadini in un numero strabocchevole di monete, mediante una vera molte- pHcità di coni diversi, e tale fatto materiale per potersi spiegare convenevolmente, e direi megHo ancora, coerentemente per parte degli Agrigentini, dovrà trovare il suo riscontro in un fatto grandioso compiuto dalla loro città; e tale non sarebbe mai da considerare la vittoria di Terone sopra Terillo. Ma la spiegazione sicura di quell' impronta — dicevo — la troviamo nel confronto di alcune monete agrigentine fra loro ; e difatti : Posseggo anch'io un campione di quelle pregiate monete d'argento le quali offrono un simbolo di interpretazione non equivoca, l'aquila di Agrigento cioè, che divora un quadrupede — diceva Mionnet ('' — ma che il Salinas ci presenta nella sua vera forma di un cavallo (2) (Tav. I, n. 19). La forma, la dimen- (i) Description de Medailles antiques grecques et romaines — Sicile — Agrigenttmt, n. 33. (2) Le Monete delle antiche città di Sicilia, Tav. IX, n. 6. 72 CARUSO LANZA sione, lo spessore, della medesima, il disegno, l'arte corrispondono a capello con quelli delle moltissime monete che hanno l'aquila che sbrana la lepre (Tav. I, n. 14): l'unica differenza fra esse sta in questo, che alla lepre è stato sostituito il cavallo. Sappiamo abbastanza come e perchè la città di Cartagine abbia tolto il cavallo per suo speciale emblema (^), ed abbia impressa quella figura nelle sue monete battute nel continente africano e nei possedimenti europei; in conseguenza noi compren- diamo subito che l' impronta dell'aquila agrigentina, la quale ha debellato il cavallo di Cartagine, non può avere altro significato che quello di una vittoria riportata dalla città di Agrigento sull'esercito car- taginese. Altre monete^ diceva sopra, hanno per insegna due aquile, le quali insieme hanno raggiunto ed ucciso una lepre, e la tengono fra gli artigli, e la divorano. A questo genere appartengono i medaglioni agrigentini (Tav. I, n. 19), capolavori d'arte, alcuni dei quali portano il nome dell'incisore, Mirone '2). 1 ro- vesci dei medesimi sono vari, ora la quadriga, ora il granchio semplice e con la faccia d'uomo (V. Tav. precedente, n. 13), e nei bronzi che sono ovvi e diversi, vi è sempre la testa di Apollo (Tav. I, n. 21). Già lo stesso Picone nel passo sopra riportato accenna alla identità di significato fra quelle monete e queste dalle due aquile. Ed è facile veramente a riconoscere cotale identità: il disegno è quasi lo stesso in entrambe; in quest'ultimo tipo la figura dell'aquila (i) Virgilio, Eneide, lib. I, v. 443; ....sigittiin. quod rei^ia Loto — Monsirarat, caput acris equi. (2) Vedi il capitolo seguente. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 73 agrigentina e della lepre è precisamente uguale a quella dell'altra moneta, soltanto vi è aggiunta un'aquila di più (Tav. I, n. 20 e 21). Ebbene, io non credo che quelle aquile possano alludere entrambe alla città di Agrigento; non mi pare ragionevole infatti, che si abbia a sdoppiare il concetto individuo di una sola città per presentarlo effigiato in due emblemi identici nello stesso spazio di luogo e di tempo. Se quelle due figure allegori- che fossero differenti, ma riferibili entrambe ad Agri- gento, — come sarebbero per esempio l'aquila ed il granchio — si potrebbe credere che l'artista abbia voluto rappresentare la medesima città, ma conside- randola sotto diversi punti di vista; però il fatto che quelle due figure sono un semplice duplicato, allontana l'ipotesi teste espressa. Io non ho visto mai, che Roma sia stata effigiata mediante due lupe, Cartagine, da due cavalli, e simili. Per tanto mi sem- bra una necessità quella di scartare l'idea, che le due aquile di queste monete rappresentino entrambe la città di Agrigento, e viceversa credo, che faccia d'uopo indagare, meglio che non abbiano fatto l'Holm ed il Picone, a chi o a che cosa si debbono riferire l'una e l'altra. Secondo me, esse sono una l'aquila di Agrigento, e l'altra l'emblema della città sovrana dell'isola, Siracusa, la quale, come notai nel primo capitolo del presente lavoro, è spesso rappresentata dal reale uccello nelle sue monete. L'intero disegno dunque esprime questo concetto, che le due città, alleate, combatterono insieme una memoranda battaglia ri- portando un' insigne vittoria contro il comune nemico, simboleggiato dalla lepre.- Tale versione è resa più accettabile dall'esame e confronto di due monetine di bronzo di fattura «74 CARUSO LANZA elegantissima, le quali hanno precisamente quel tipo (^). Nella prima al di sopra delle due aquile sta l'iscrizione *i (Tav. I, n. 21), abbreviativo di 91X71-71;, amicizia, alleanza. E che così debba interpretarsi quella leggenda abbreviata, ce lo dimostra l'altra moneta, di cui intendo parlare: in essa, egualmente sopra le due aquile, vi è scolpito il Caduceo. Il Caduceo, si sa, è il noto bastone regalato da Apollo a Mercurio, e che, in seguito all' incidente dei due serpi, divenne simbolo di pace e di concordia. Questi due nummi però, mediante un simbolo di significato non equivoco, e l'altro con una leg- genda, ci ricordano entrambi la pace, l'amicizia, l'al- leanza, che intercedeva fra le due aquile, — e vai quanto dire fra Gelone e Terone, fra Siracusa ed Agrigento — allorché combatterono contro il comune nemico e lo debellarono. Ora, se si pensa che Agrigento nei suoi giorni migliori fu sempre la rivale e spesso in lotta con Siracusa, e l'unica volta che le due città si videro far causa comune, e coronata l'opera loro da un completo successo, fu appunto nel 480 a. C, alla battaglia d' Imera, si comprenderà tosto come l' al- legoria in esame rappresenti ed inneggi alla concor- dia fra le due città principali dell'isola, in virtù della quale unione si potè ottenere quella strepitosa vit- toria e la liberazione della patria dal giogo barbarico. E riassumendo in unica sintesi le cose fin qui discorse particolarmente, abbiamo questo, che gli Agrigentini nei tre tipi diversi, dei quali mi sono (i) Vedi le monete riportate dal Mionnet, op. cit. Agrigenium, n. 49; dal ToRREMUzzA, Sicliae Vcieres Nummi, Tav. VÌI, n. 3 ed Ancia- rium Secundum, Tav. I, n. 6; e dal Salinas, Tav. XI, n. 15 e Tav. XII, n. i. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 75 occupato, vollero sempre rappresentare il medesimo fatto, ma considerandolo e presentandolo sotto diffe- renti punti di vista: In queste ultime monete dalle due aquile ha maggiore risalto l'amicizia, l'alleanza fra i vincitori d' Imera, Gelone e Terone. In quelle, ove è effigiato il cavallo, è messo in evidenza appunto il cavallo, l'emblema dell'esercito cartaginese distrutto dalle armi agrigentine. Nel tipo più comune poi, l'aquila che sbrana la lepre, ci vien mostrata l'umiliazione di Anassila, per servirmi delle parole dell' Holm, di colui che fu la prima origine della guerra e della rotta dei Car- taginesi. 1 tre disegni considerati insieme ci offrono la figura completa della cosa, mettendoci sotto gli oc- chi gli Agrigentini e Siracusani alleati, i quali muo- vono contro i comuni nemici, Anassila e i Cartaginesi, e li vincono entrambi in memorabile giornata. Con" quelle figure allegoriche, adunque, ed in un numero inesauribile di monete, i nostri cittadini vollero ricordare al popolo ed ai posteri il fatto d'arme, che li rendeva maggiormente illustri e nobili, quell'epopea degnamente magnificata dai maggiori poeti. Quale l'epoca in cui furono coniate quelle monete? Quella della maggiore potenza, della ricchezza, dello splendore di Agrigento: dal 480 al 406 a. C. Come ho osservato sopra, il numero stragrande delle monete, la varietà e la bellezza dei coni, e l'emissione dei decadrammi, famosi per la loro ele- ganza, indicano chiaramente la circolazione del da- naro, la ricchezza, ed altresì il lusso ed il fasto degli Agrigentini. Segno come punto di partenza il 480, perchè in quell'anno seguiva la rotta dei Cartaginesi; ma 76 CARUSO LANZA è molto probabile che quelle medaglie siano state coniate qualche tempo dopo, giacche le gloriose gesta non sono mai magnificate da coloro stessi che le hanno compiute, ed i monumenti a loro sogliono essere eretti sempre dai posteri. E vado sino al 406, all'epoca cioè in cui la no- stra città fu presa, arsa e distrutta dai Cartaginesi, rimanendo soggetta alla loro dominazione. Non mi pare verosimile infatti, che mentre essa obbediva a feroci conquistatori, ed era ridotta in uno stato pur troppo miserevole, abbia potuto pensare ad incutere nelle sue monete un emblema, che suonasse un inno alla propria grandezza e virtù militare, onta e ver- gogna ai suoi stessi dominatori. Ne questi certamente lo avrebbero consentito. Alla medesima conclusione si viene consultando i risultati della paleografia. Si vuole infatti che i Greci cominciassero ad usare generalmente l'omega intorno al 408 a. C, sebbene se ne attribuisca l'introduzione in Sicilia a Simonide ed Epicarmo, i quali vissero oltre a mezzo secolo prima: in Atene fu adoperata nell'Olimpiade 94.2 = 398 a. C. essendo arconte Euclide. Ebbene, in quei nummi è quasi sempre scritto il nome del po- polo agrigentino, e là, dove la leggenda è intera, si trova adoperato soltanto Vomtcron, giammai l'omega; così per esempio nei medaglioni abbiamo questa iscri- zione bustrofeda entro un quadrato AKFATAN-nomit. Se non sono erronei i risultati di quella scienza, da cotesto fatto solamente potremo indurre ciò, che per altri argomenti io affermava : tutte quelle monete cioè furono create precisamente in quel periodo di tempo che precede la prima distruzione di Agrigento, innanzi il 406 a. C. (Continua). M. Caruso Lanza. LA LEGGENDA DEL TORNESE D'ODDONE III DEL CARRETTO Illustrando le monete dei marchesi Del Carretto in questa Riiista (a. XV, 1902, pag. 67 e segg.), l'egregio signor Giuseppe Gavazzi s' è al pari dei predecessori suoi trattenuto a discorrere deiroscura leggenda che si svolge sul rovescio dell'argenteo e rarissimo tornese, battuto, secondo è comune cre- denza, ad imitazione di quello Astegiano, da Od- done III del Carretto sullo scorcio del sec. XIII o sui primi del XIV. E dopo aver accennato come della leggenda stessa siano state proposte varie in- terpretazioni, dichiara di considerare come di tutte più attendibile quella messa innanzi dal Morel-Fatio in un suo studio sulle monete di Cortemiglia e Ron- zone (^). Il dotto numismatico svizzero, cominciando difatti la lettura dalla zona interna della moneta, che (i) A. Morel-Fatio, Cortemiglia et Panzone, Monnaies inédites, Bru- xelles, 1865 (Extr. de la Revue de la Numismatique Belge, 4* sèrie, tom. III). Per gli scritti anteriori sull'argomento veggasi Gavazzi, op. ciL, pag. 67. 78 FRANCESCO NOVATI reca faxes imveriAiÀs a, e proseguendola nel centro, dove spiccano le tre lettere p e x, e quindi risalendo alla zona esterna che dà moneteqw^ hawc . MArcmoni forma;;/ co/^cessit odoni, ne ricava la seguente di- citura: Faxes, imperialis apex, monetaeque hanc mar- chioni formam concessit Odoni (^), che traduce : « Un « décret imperiai a accordé au marquis Odon le « pouvoir souverain et le droit de battre cette mon- naie » (2). Per verità, se cotest' interpretazione può dirsi nel complesso suo soddisfacente, giacché essa pone in chiara luce il significato dell'iscrizione, rimasta prima che il Morel-Fatio vi spendesse d'intorno la sua critica solerzia, quasi indecifrabile per tutti gli illustratori del grosso famoso; essa non è però in ogni parte così compiuta da toglier adito a dubbi ed interrogazioni. Veggasi un poco. Il dotto illustratore della zecca di Cortemiglia osserva giustamente che la leggenda, di lunghezza davvero fuori del comune, in- scritta nel breve campo della moneta, è imitata da quella la quale si legge nel celebre tornese d'Asti, di cui questo del marchese Del Carretto è a definire una contraffazione (3). « Dans l'une et l'autre pièce, " scrive il Morel-Fatio, on trouve une longue phrase « exprimée en vers léonins, et pour compléter la « ressemblance, la désinence pex (que jusqu'ici l'on a " prise pour un mot latin inconnu ou pour des ini- " tiales non moins indéterminées), placée au milieu « du gros de Cortemiglia, simule très bien le mot « REX de la monnaie d'Asti » (4). Niun dubbio che la leggenda di codest'ultima moneta sia formata da (i) Veramente il Morel-Fatio scrive ntonetae que, e non moneteque; ma si tratta probabilmente d'un semplice errore di stampa. (2) Op. cit., pag. 6-7. (3) Gavazzi, op. cit., pag. 80. (4) Op. cit., pag. 6-7. LA LEGGENDA, ECC. 79 un verso leonino : ASTE • NITET • MVNDO • SANCTO • CV STODE • SECVNDO ; e di regolare fattura; ma il leonino dov' è, o, per dir meglio, dove sono i leonini nel- r iscrizione del grosso di Cortemiglia, quale l' ha ri- costruita il Morel-Fatio ? In quella lunga e male or- dinata proposizione noi sentiamo bensì il tintinnìo di due rime [Odoni = Marchiom), ma non rinveniamo per fermo ne un verso ne più versi ubbidienti alle leggi costanti della ritmica latina medievale, vuoi per ciò che concerne l'accento, vuoi per ciò che riguarda il numero delle sillabe. Ora, poiché è inammissibile che colui al quale il marchese Del Carretto affidò l' incarico di dettar l'epigramma destinato a fare pompa di se sulla nuova moneta, fosse incapace di metter insieme de* leonini di buon conio, non zoppicanti né sgangherati ; é pur d'uopo presumere che la ricostruzione data dal Mo- rel-Fatio sia difettosa. E che tale realmente sia ci tor- nerà facile provare. Battiamo dunque la via proprio opposta a quella cui il nostro predecessore si è at- tenuto; iniziamo, cioè, la lettura dell'iscrizione dalla zona esterna della moneta, anzi precisamente da quel luogo di essa, dove un grosso punto fermo collocato in alto tra l'abbreviazione di qiie ed il pronome /lattc, sta a segnare chiaramente una separazione di senso tra quanto precede e quanto segue i^\ Procedendo quindi per la zona interna fino a raggiungere il centro del tornese, noi vedremo svolgersi tosto questo distico, il quale, senz'essere un miracolo d'arte, ha però tutti i suoi piedi, le rime a posto, e risponde esattamente alle regole della ritmica latina d'allora : HANC MARCHIONI FORMAM CONCESSIT ODONI MONETEQVE FAXES IMPERIALIS APEX : (i) Il punto è omesso nella riproduzione del grosso data dal M.-F. nella tavola annessa al suo lavoro. 8o FRANCESCO NOVATI che tradotto suona : " L' imperatore ha concesso al marchese Od- « done questa forma di moneta e l' onore [di co- u niarla] w. Ed ora poche parole per giustificare la versione da noi offerta del distico, che si diff'erenzia, come è agevole vedere, in più punti da quella eh' ebbe a proporre il Morel-Fatio. Traduco innanzi tutto « l'imperatore » le parole imperialis apeXy che il chiaro numismatico interpreta invece « un decreto imperiale ». In favor suo il Mo- rel-Fatio ha allegato l'autorità del Du Gange, il quale spiega difatti apex con decretitm imperatorium, ed ag- giunge: Saepe occurrunt apex, apices, prò mstrumentis, diplomatibus, epistolis ('). Che apex al singolare abbia proprio così frequentemente, come assevera qui l'au- tore del Glossarium mediae ac infimae latinitatis, il significato di « decreto », " strumento », ecc., a me non parrebbe (2)j e del resto il Du Gange stesso non sa addurne — indizio abbastanza eloquente ! — che un esempio soltanto. Ma ammettiamolo pure ; ciò non toglie difatti che la parola abbia continuato a conservare di preferenza presso gli scrittori medie- vali il suo senso primitivo di « cima „, « sommità », « tiara », « corona », e quello traslato, che dall' ori- ginario era naturalmente rampollato, di « persona ri- « vestita d'altissima dignità » (3). Sicché come ponti- li) Du Gange, Glossar, med. et infimae latinit., ed. Favre, 1883-1837, s. V., n. I. (2) Lo ha al contrario con somma frequenza fin dai tempi del basso impero, come è ben noto, il plurale apices, per cui ved. Forcellini, Du Gange stesso, s. v. apices^ ecc. (3) 11 Du Gange, s. v. apex, n. 3, non cita che un solo esempio di apex — episcopus; quant'altri però ne potrebbe riunire chi assumesse l'ardua ma nobile impresa di rifare l'opera sua ! LA LEGGENDA, ECC. 8t ficalis apex è il papa, imperialis o imperatorius apex è nel linguaggio medievale l' imperatore. La cosa riesce troppo nota, perchè occorra esemplificarla ; tuttavia io non mi asterrò qui dal fare due citazioni calzantissime. Traggo la prima dalla Vita S. Adal- hertt Episcopi Pragensis, celebre scrittura d'un mo- naco romano (sia desso poi o no Giovanni Cana- pario, poco a noi monta), vissuto sullo scorcio del secolo decimo: Rediens interea de Sarracino bello — egli scriveva — adiit Veroiiam imperatorius apex, scilicet Otto secundus (^). L'altra, anche più efficace, perchè desunta da un'opera, che nel corso del secolo XIII ogni persona mezzanamente colta aveva letta e stu- diata sopra i banchi della scuola, mi deriva dalla Poetria nova di Goffredo de Vinsauf, poema dedicato dall'autore a papa Innocenzo III (1198-1216), ed in pari tempo all' imperatore Federigo II. A costui ri- volgesi Goffredo nell'epilogo : Imperialis apex, cui servii poplite flexo Roma caput mundi, cuius prudentia remus Totius imperii, etc. (2). Per quanto spetta poi 2ifaxeSy accusativo plurale di fascis, dove la sibilante sorda ci appare resa me- diante X, secondochè avveniva spesso nei testi tanto latini quanto volgari dell'Italia nordica nei secoli XIII e XIV <3), r interpretazione del Morel-Fatio non brilla per molta precisione; ma anche qui il torto del va- lentuomo è stato quello di appoggiarsi con soverchia (i) Pertz, Mon. Germ. Hist., S cripton, toni. IV, pag. 584, § 8. (2) Gaufridi de Vinosalvo, Poetria nova, v. 2075 e sgg.,'in Leyseri, Historia Poetar, et Poemat. medii aevi, Halae Magdeb., MDCCXXI, p. 976. (3) Si cfr. la Relazione presentata al VI Congresso Storico Italiano in Roma l'a. 1896 dal prof. Sensi e da chi scrive sull'ortografia de' testi medievali, pag. io dell'estratto, nonché Salvioni, Annotaz. sistematiche alla " Antica parafrasi lombarda „ ecc., in Arch. Glottolog. Ital., XIl^ 382. 82 FRANCESCO NOVATI fiducia alle parole del Du Gange: « Le Glossaire de « Du Gange w, così egli s'esprime, « explique le mot « faxes ou fasces par la phrase suivante: Apud scrip- u tores meda aevi prò suprema potestas usurpatiir; et dit a ailleurs o^^ faxis se trouve employé pour fascis ... u in quadam epistola ducis Januensium, a. ij^8 » (0, Ei propone quindi di spiegare fasces: « le pouvoir u souverain de battre .... monnaie ». Che fasces, come il Du Gange afferma, equivalga presso gli scrittori medievali a suprema potestas, non è per nulla provato. A conforto dell'asserzione sua il vecchio erudito francese non allega che un solo esempio : e quest' esempio è senza valore alcuno, poiché egli ha frainteso il passo citato ^2). In realtà (i) Dopo queste parole il M. F. soggiunge: " Cette dernière citation " est doublement précieuse, car on remarquera qu'elle est empruntée " à la langue officielle d'un pays peu distant de Cortemiglia, et que sa " date est presque contemporaine de notre monnaie „. Queste osser- vazioni son prive d'ogni fondamento. Come dichiara il Du Gange stesso la parola faxis =z/ascis ha nella lettera genovese il solo significato che le sia lecito avere: quello di " fascio „; tant'è vero che l'articolo co- mincia così nel lessico: " Faxis prò fascis, gaììice : fatsseau. „ Ora che cosa importa per l'interpretazione del plurale fasces, metaforicamente usato da chi compose la leggenda del tornese di Cortemiglia^ che un documento genovese del 1358 rechi la parola fascis al singolare e nel suo senso naturale? Il Du Gange del resto non cita faxis se non per la ortografia : e qui soltanto v'è un punto di contatto - del resto insi- gnificante — tra i due termini. (2) Questo passo è ricavato dal testamento con cui Rodolfo vescovo diBourges fondò nell'anno 846 un convento di monaci in un suo fondo detto Belloloco, e suona così : " Placuit etiam huic inseri testamento, ut nec " meo nec parentum meorum [arbitrio?] nec fasci bus regiae magni- ■ " tudinis nec cuiuslibet terrenae dignitatis subiaceant, sed quencumque " praefati monachi e semetipsis abbatem vel pastorem suique rectorem... " eligere voluerint et vero in omnibus iure eligendi potiantur „. Ma- BILLON, Ada SS. ord. s. Bened. saec. IV pars I, Venetiis, MDCCXXXVlII^ p. 172. Come ognun vede, i fasces regiae magniti(dinis o cuiuslibet ter- renae dignitatis sono gli " oneri „, i " gravami „, che il potere regio o altre autorità civili potrebbero imporre al convento, non già la " su- " prema potestà „ essa stessa. LA LEGGENDA, ECC. 83 COSÌ i lessicografi come i grammatici dell' età di mezzo danno concordi a fasces (plurale) il doppio significato di « pesi » e di « onori w (insegne degli onori), Pluraliter hi fasces fascitim — scrive Giovanni Balbi da Genova nel suo Catholicon, tesoreggiando gli ammaestramenti de' lessicografi anteriori — idest insigma honorum: et quandoqiie ipsi honores dicimtiir jasces, quasi a fascibiis lignorum, quia graves sunt pondere dignitatis et auctoritatis secunduni Huguiiomm... Unde versus: " Pondera sunt fasces, fasces dicuntur honores (0. „ Fasces monetae ; per quanto il ricollegamento delle due parole risulti abbastanza strano ; non può nella leggenda del tornese oddoniano significar dunque altro che « l'onore di battere moneta ». Riguardo a forma non parrebbe dubbio che il vocabolo designasse qui la figura, il tipo della mo- neta stessa, giacché tale è il senso della voce così presso gli scrittori dell'antichità come presso quelli del medio evo. Ma il Morel-Fatio, tanto ossequente per solito, come s'è veduto, all'autorità del Du Gange, in questa circostanza neppure si degna ricordarne l'articolo ben nutrito (2) j e ragiona così : « Quant à « Texpression forma... je ne puis croire qu'il soit « possible de la traduire par forme ou figure, ce « qui impliquerait que l'empereur a spécifié dans sa « concession monétaire que la monnaie serait fabri- u quée à un type déterminé et que ce type serait « celui de la répubhque d'Asti. Cela est doublement « impossible ; l'usage n'était pas de prescrire d'une « manière absolue le type futur de la monnaie con- « cédée, et aucun pouvoir régulier, à plus forte (i) JoH. Balbi, Catholicon, s. v. (2) Du Canoe, op. cit., s. v. forma. 84 FRANCESCO NOVATI « raison le pouvoir imperiai, n'a jamais accordé u le droit de contrefaire la monnaie d'autrui! Il li me paraìt plus vraisemblable que forma monetae u doit se prendre dan le sens de formatto, fabrica- « don ou création et, par extension, signifier ici le « droit mème de battre monnaie w (i). Quale valore debbasi attribuire agli argomenti di cui il Morel-Fatio si giova per negare tanto riso- lutamente la possibilità che l' imperatore, di cui fa cenno la leggenda, avesse autorizzato i Del Carretto a riprodurre nella zecca loro un tipo già ben cono- sciuto di moneta, lasceremo giudicare ai competenti. Ma poiché taluno fra loro non sembra alieno dal- Topinare diversamente dal numismatico svizzero C^)^ ci permetteremo avvertire come noi stimiamo inam- missibile la interpretazione bizzarra eh' egli dà di forma. Forma monetae non può certo voler dire altro che « tipo ", « figura ». Paghi così d'avere rischiarata in ogni sua parte, se non andiamo errati, la leggenda tanto ingegnosa- mente ristretta nel rovescio della moneta di Corte- migha^ noi termineremo qui le nostre osservazioni. Ma prima di deporre la penna ci sia lecito rivolgere ai cultori della numismatica la preghiera di voler intraprendere nuove indagini rispetto all'età in cui il grosso oddoniano sarebbe stato battuto. Fin qui ninno ha cercato di sapere chi sia stato Vimperiahs apex, da cui la casa dei Del Carretto ripeteva in forma tanto solenne il privilegio di batter moneta e di batterla sulla foggia del tornese d'Asti. Il Gavazzi sembra inclinare ad identificarlo con Enrico VII di Lussemburgo, il quale, in siffatto caso, dopo aver tolto col famoso editto del 1310 al marchese Oddone (i) Op. cit, p. 7 seg. (a) Cfr. Gavazzi, op. cit., p. 80. LA LEGGENDA, ECC. 85 la facoltà di coniar moneta, gliela avrebbe resa qualche tempo dopo (1313?). Ma quest'ipotesi non è fatta per sorriderci. Riflettendo invece che tra le monete uscite dalla zecca di Cortemigha se ne rinvengon talune — quali il grosso ed il danaro illustrati dal Gavazzi medesimo nella sua diligente monografia sotto i 'numeri 2 e 3 — in cui al nome del marchese Oddone I (1191-1233) leggesi associato quello d'En- rico VI di Svevia 'i), non verrà fatto di pensare che si tratti per l'appunto di costui? Ma se l' imperatore di cui ragiona il distico del tornese è il figHuolo di Federico Barbarossa, nel marchese Del Carretto, cui toccò l'onore di batter, primo della sua stirpe, moneta, sarebbe da riconoscere Oddone I, e non già Oddone III. Che il tornese nostro però possa essere ricon- dotto ad età sì remota, vieta di crederlo la sua fattura, la quale ci richiama invece alla tecnica del sec. XIII declinante o del sec. XIV appena iniziato. Che cosa dovremo quindi concludere ? Questo soltanto : che quando Oddone III del Carretto s'indusse a battere moneta, ei volle perpetuare in essa il ricordo della concessione che l'avo suo aveva conseguita dall' im- peratore Enrico VI. Francesco Novati. (i) Cfr. Gavazzi, op. cit, p. 8i. LA ZECCA FRANCO -ITALIANA DI CHARLEVILLE o CARLOPOLl L'articolo che segue fu già presentato nel 1900, sotto la forma di una comunicazione e il titolo : Un trait d'union numismatique entre la France et l'Italie, al Congresso In- ternazionale di Numismatica tenutosi in quell'anno a Parigi ; e fu poi pubblicato nel volume di rendiconti del Congresso medesimo (0. Qui si ristampa per dargli una più larga dif- fusione, lusingandosi l'a. che l' idea espressa nell'articolo possa forse incontrare favorevole accoglienza presso i rac- coglitori italiani. È noto che un ramo della illustre famiglia Gon- zaga, trapiantato in Francia verso la metà del se- colo XVI, venne in possesso del ducato di Nevers e Rethel. Ed è altrettanto noto che essendosi poi estinta nel 1627 con Vincenzo II duca di Mantova la linea primogenita dei Gonzaghi, in séguito alla celebre guerra di successione lo stesso ducato di Mantova passò alla Hnea di Nevers e Rethel, la quale per conseguenza si trovò a dominare contemporanea- mente in Francia ed in Italia. (i) Congrès International de Numismatique réuni à Paris, en 1900. Procès-verbaux et mémoires publiés par MM. le Comte de Castellane, président, et Adrien Blanchet, secrétaire general. Paris, au siège de la Sociétéfranfaise de Numismatique (à la Sorbonne), 1900 — (a pag. 360-63). 88 SOLONE AMBROSOLI Nei loro possessi francesi, quei Gonzaghi batte- vano moneta, approfittando della circostanza che la loro signoria di Arches, appartenente al feudo di Rethel, godeva dei privilegi di principato sovrano. Prescindendo dal tipo, che spesso era scelto a mero scopo d'imitazione e contraffazione (com'era malvezzo purtroppo comune a que' tempi), le loro monete sono nel resto vere monete di casa Gonzaga, portando di questa e l'arme, e talora i motti, quasi sempre poi il nome; e anche, dopo l'assunzione al ducato di Mantova, il titolo relativo. Il rapporto di queste monete con quelle mantovane è così stretto, che condusse ad una vera commistione; talché in più cataloghi e collezioni italiane vediamo che le monete francesi dei duchi di Mantova sono frammiste a quelle mantovane. È singolare tuttavia che a ninno, per quanto a noi consti, si sia affacciata l'idea così naturale, che quelle monete, pur appartenendo in qualche modo alla numismatica italiana, debbano avere un tratta- mento speciale, non possano, insomma, esser collo- cate puramente e semplicemente sotto la zecca di Mantova. Con ciò non intendiamo di fondarci sulla mate- rialità della cussione, essendo risaputo che l'espres- sione di « zecca », nella Numismatica italiana, ha un significato più largo di quel che indica la parola. L'espressione " zecca », quando si parla di monete medioevali e moderne italiane, va presa piuttosto come sinonimo della città capitale o della terra prin- cipale dello Stato o del feudo cui appartiene una data serie monetale, come sinonimo anzi di questo Stato o feudo medesimo. Ciò posto, è evidente che la città di Mantova non può esser considerata come capitale dei possessi trancesi dei Gonzaghi, tanto più quando si rifletta LA ZECCA FRANXO-ITAL. DI CARLOPOLI 89 che questi vi avevano già cominciato a batter moneta avanti la loro accessione al ducato di Mantova. È, come si è detto, in forza della loro qualità di u principi sovrani d'Arches » che i Gonzaghi di Nevers e Rethel vi avevano incominciato e vi conti- nuarono a batter moneta; lo stesso duca che in Italia coniava monete mantovane, coniava in Francia delle monete che affermavano il suo diritto di zecca in virtù del titolo di principe sovrano d'Arches. Sono, insomma, due monetazioni parallele ma distinte; e ciò è tanto vero che nei libri e nelle collezioni francesi tutte le monete dei Gonzaghi pei feudi di Nevers e Rethel si descrivono e si collocano tra le monete feudali francesi. Poiché (sia detto incidentalmente), se talune di queste monete sono considerate come italiane dagl'italiani, tutte sono considerate come francesi dai francesi, e ciò ad altrettanto buon diritto, quantunque partendo da un diverso punto di vista. Dopo quanto abbiam esposto, ci si vorrà conce- dere che se le monete dei Gonzaghi di Nevers e Rethel non si possono collocare nelle collezioni italiane, sotto la zecca di Mantova, mentre d'altra parte esse tutte (anche quelle anteriori alla succes- sione nel ducato mantovano) debbono formare, a parer nostro, come un'aggiunta alla monetazione italiana, perchè appartengono ad un ramo della fa- miglia Gonzaga, è giuocoforza escogitare in qua! forma si debbano collocare nelle collezioni medesime. E poiché in queste è generalmente adottato il sistema di distribuzione per zecche, è chiaro che dovrebbero collocarsi sotto il nome del borgo di Arches, perchè da esso derivava a quei Gonzaghi il diritto di zecca. Senonchè, sin dal 1606, il borgo di Arches aveva, per così dire, cessato di esistere, poiché il fastosis- simo Carlo Gonzaga, volendo creare pei propri stati 90 SOLONE AMBROSOLI una capitale degna di lui, lo aveva trasformato nella simmetrica e graziosa città ch'ebbe nome appunto di Charleville {Carolopolis, Carlopoli (0), e dove egli aveva aperto precisamente, come duca di Nevers e Rethel ma più particolarmente come SVPREMVS PRINCEPS ARCHENSIS, quella zecca di cui l'attività ci è attestata da numerosi e svariati prodotti e che funzionò almeno per tutta la prima metà del se- colo XVII (2). È dunque sotto il nome di Charleville, o di Carlopoli, che i numismatici italiani, a parer nostro, dovrebbero collocare le monete battute dai Gonzaghi in Francia, comprendendo fra esse anche quelle anteriori alla assunzione al ducato di Mantova; e Carlopoli dovrebbe quindi assumere per essi il ca- rattere di zecca italiana, da inserire al suo posto alfabetico nelle collezioni ordinate con questo sistema, oppure da mettere in appendice, fra le monete battute da italiani all'estero, dopo le zecche papali di Avi- gnone e Carpentrasso, nelle collezioni ordinate geo- graficamente. Solone Ambrosoli. (i) Hubert (Jean). Hisloire de Charleville. Ivi, 1854. (2) Secondo il Poey d'Avant (Monttaies féodales de France), la moneta datata più recente, uscita dalla zecca di Charleville, è del 1655. IL MIGLIOR MODO per conservare le bolle di piombo Or sono due anni il senatore conte Nicolò Papadopoli, intendendo di riordinare la sua bella raccolta di bolle dei Dogi di Venezia, mi proponeva di studiare quale fosse la miglior maniera di conservarle dopo averle ripulite e libe- rate dalla crosta di sali colla quale gli agenti atmosferici le ricoprono. Si sa infatti che il piombo risente enormemente l'azione dell'ossigeno, anidride carbonica, vapor acqueo, così che una bolla lasciata all'aria si copre prestissimo di una patina più o meno spessa, costituita prevalentemente da carbonato di piombo; peggio poi se l'ambiente è umido, o ancora, come in palazzo Papadopoli, se ci sono caloriferi ad aria calda, che non raramente portano un contributo di gas solforosi. Se in una maniera qualunque si toglie questo velo di sali, la bolla non tarda a ricoprirsene. Impedire questo fatto con un mezzo di conservazione qualunque era il quesito che mi si proponeva. Qualcuno aveva proposto, dopo ripulite, di chiuderle in piccole vetrine a tenuta d'aria, magari sostituendo l'aria con un gas inerte. Tralasciando l'inconveniente della mancanza di maneggiabilità, c'è sempre il fatto che la bolla, appena netta, assorbe immediatamente l'ossigeno e l'anidride carbo- nica dell'aria che resta nella vetrina e quindi si ricopre di un nuovo straterello di patina. Il sostituire l'aria con un altro gas, se teoricamente va, non va praticamente: infatti l'idrogeno, che sarebbe il migliore, non è consigliabile perchè oltre al pericolo d'esplosione sarebbe difficilissimo il sosti- tuirlo all'aria di una scatola. 92 GIULIO CERESOLE Da quanto ho visto nella raccolta Papadopoli pare che gli antichi, e forse anche i moderni collezionisti di bolle, tentassero di difenderle dagli agenti atmosferici rivestendole di vernice, e forse di semplice colore ad olio di lino. A parte il fatto che restano impiastricciate e perdono nei dettagli, la vernice funziona bene quando sia di fresco data, ma poi coU'andar del tempo le resine si alterano, perdono la loro trasparenza e quindi si ha una bolla coperta di croste gial- lastre che ne alterano l'aspetto quanto e forse più che la patina naturale, senza proteggerle. Quando impresi l'opera di pulitura non sapevo an- cora come avrei risolto il problema; intanto cercavo di difenderle ungendole con vaselina purissima, perfettamente neutra, metodo abbastanza buono perchè la vaselina non irrancidisce, quindi non intacca il piombo e non ha azione sul metallo: però, specie nell'ambiente caldo evapora e, se non si è vigili, le bolle si tornano ad ossidare e rovinare, quindi nuova pulizia chimica con danno non indifferente del pezzo. A me sembra inoltre che l'untuosità, che di conse- guenza presenta la bolla, sia molto noiosa. Escogitai altri mezzi. Sostituire la paraffina alla vaselina: così si hanno mi- gliori risultati, ma non duraturi. Vernici a base di collodio: servono solo temporaneamente ed imperfettamente. Ricoprirle d'oro colla galvanoplastica: questo sarebbe stato il metodo più bello ma lo abbandonai per le seguenti considerazioni. Secondo me, tale metodo protettivo deve avere i se- guenti requisiti: I. Non alterare la natura della bolla. II. Non impedirne il maneggio e lo studio scrupoloso facendone perdere i dettagli. III. Essere perfettamente trasparente, facilmente allon- tanabile, duraturo, impermeabile così da impedire qualsiasi azione dannosa degli agenti atmosferici. IV. Esser estetico. IL MIGLIOR MODO PER CONSERVARE LE BOLLE DI PIOMBO 93 Mi parve quindi che il metodo migliore sarebbe stato di chiudere ogni bolla pulita in una scatolina trasparente, e mi sorse l'idea della celluloide che tosto rifiutai perchè troppo cara, infiammabile, non perfettamente trasparente e non as- solutamente impermeabile. Pensai allora al vetro. Esistono certe scatole di vetro che i batteriologi ado- perano per i loro studi, dette dal nome del loro inventore Capsule di Petri. Sono delle scatoline di vetro, rotonde, basse, di dia- metro variabile a piacimento, che si chiudono per scorri- mento (fig. i). In queste pensai rinchiudere ogni singola bolla e la mia idea fu approvata dall'esperienza. Noi ne adoperiamo di 2 diametri, da 5 e da 6 centi- metri, secondo la dimensione della bolla, e alte un centi- metro. A questo punto mi limito a descrivere il processo da me seguito, che ritengo senz'altro il migliore. Se le bolle sono inverniciate si liberano scaldandole a bagnomaria con la seguente miscela: Essenza di terebentina . . . parti 3 Benzina „ i Alcool assoluto _ 1 facendo attenzione al fuoco. Si lavano poi in alcool comune. Se sono unte con vaselina si lavano nel cloroformio. Se con paraffina, o con sostanze grasse, colla benzina. Per togliere poi la patina salina si mettono per un certo tempo in un bagno di acido acetico al io °/o nell'acqua. 94 GIULIO CERESOLE strofinandole poi con una spazzolina non troppo rigida; si neutralizza poi l'acidità passandole in una soluzione di am- moniaca al 5 °lo , poi si asciugano in alcool assoluto dove si lasciano 4-5 minuti. Tolte da questo si scaldano un po' sopra una lampada a spirito o sopra un becco Bunsen e si fregano allegramente con una spazzolina calda appena unta di pa- raffina, si strofinano poi ben bene con una pelle di daino e si chiudono nelle scatole di Petri previamente perfettamente pulite e tenute calde sulla stufa. a FlG. 2 Nella intercapedine fra i due margini della scatola (fi- gura 2 a) con un contagoccie caldo, o con una pipetta calda si fa .colare il seguente mastice fuso a 60 70 gradi: Paraffina parti 95 Balsamo del Canada . . . „ 5 Colore grasso „ io Il colore grasso serve a dare al mastice la tinta che si preferisce: ce ne sono di vari toni: noi adoperiamo la Brillant Purpur Fettfarbe delle fabbriche tedesche che dà una tinta che armonizza assai bene col piombo. Infine si lascia raffreddare e si ripulisce. Resta così chiusa la bolla in una cella, dove c'è un paio appena di centimetri cubici d'aria che non reca alcun danno alla bolla. Sarà bene fare l'operazione in giornata di gran sole estivo, o, se d'inverno, in una stanza riscaldata a 18" C. senza vasi d'acqua, perchè l'aria resti secca. Noi usiamo incollare attorno alla scatolina una striscia di carta su cui sono stampate le indicazioni riguardanti la bolla. IL MIGLIOR MODO PER CONSERVARE LE BOLLE DI PIOMBO 95 tm. 3. Il preparato è estetico al massimo (fig. 3), perfettamente duraturo: la bolla è assolutamente protetta dall'aria, si man- tiene bella eternamente, può venir rivoltata in tutti i sensi, esaminata, studiata, star esposta, senza risentirne danno alcuno. Venezia, Febbraio 190J. Dottor Giulio Ceresole. CRONACA DELLE FALSIFICAZIONI <*^ The spurious gold coins of King Amyntas of Galatia. The latest comment on the well-known gold coins which bear the name of King Amyntas of Galatia is that of Mr. Warwick Wroth (j). The writer, while disinclined to accept anyofthese coins as genuine (2), qualifies his verdict by adding that " the consensus of condemnation is not complete „, and there seems, indeed, of late a marked (♦) Vediamo con soddisfazione come la Rubrica che abbiamo aperta relativamente alle falsificazioni, non solo interessi vivamente tutti i rac- coglitori; ma ci procura dei collaboratori vicini e lontani. Ben volon- tieri accogliamo il presente articolo che ci viene dall' Inghilterra e ac- condiscendiamo di buon grado al desiderio dell' autore di pubblicarlo nel testo originale, perchè sia meglio inteso dai suoi compatrioti. Lo facciamo però seguire dalla traduzione. Nella Rivista abbiamo finora parlato di falsificazioni romane e me- dioevali. Ora viene la volta anche della serie greca, e certamente anche in questa le falsificazoni sono molte e molto pericolose. Non conosciamo de visii le monete di cui tratta il sig. Seltman e quindi non possiamo proferire alcun giudizio in proposito. Abbiamo però vedute parecchie falsificazioni greche (fra cui una dello staterò di Pirro) fatte con tale abilità da rendere estremamente difficile il giudizio. Il che ci persuade sempre più che nelle monete d'oro specialmente c'è la possibilità d'ar- rivare sia artisticamente sia tecnicamente a un punto tale d'imitazione dell'antico, da poter ingannare anche l'occhio più esperto, il che non sarà certo argomento di consolazione pei raccoglitori! La Direzione. (i) Brit. Mus. cat. " Galatia „ etc. Introd., pp. xviii to xx. (2) " I must own that it seems to me hazardous to assert that one sèries is false, and the other genuine, „ etc, p. xx, ibid. 13 98 E. J. SELTMAN disposition among English collectors to give the coins " the benefit of the doubt „ (i). From scientific reasons, as well as on practical grounds, it will not be amiss, then, to cali attention to a point ot evidence not mentioned by the author. Mr. Warwick Wroth's comments on the subject may be classified under a threefold aspect, viz: I. Circumstantial evidence, or evidence of " provenance „ — which is adverse to the coins. II. Internai or scientific evidence ~ which, a priori, condemns them. III. External evidence, or evidence of fabric — by which, hitherto, the coins could not be condemned. For althongh the author mentions slight differences in the treatment of the hair as possibly suspicious, he does not, and with reason, condemn on such insufficient evidence, for " so dose is the resemblance in style and lettering between ali the gold coins that purport to be of Amyntas „. This, in my opinion, applies in an equal degree to the goldstater of the Bibliothèque Nationale (2). The question, then, remains if anything decisive can be put forward against the fabric of anyone of these pieces. For, since ali are specious in the matter of style and lettering, the condemnation on good grounds of even one, in con- junction with the condemnation of ali under the other raain aspects, would seem to complete the evidence against the whole class. There is an exemple in the British Museum collection inferior to none in regard to style and lettering, and possessed of a special recommendation as compared with the rest, viz: the mellow tint of old gold. Its weight, 20 grains, slightly (i) A coin in Messrs Sotheby's May sale of 1900 (" Collection of a late Collector „) sold for ten pounds; when, before, they averaged from three to four pounds. (2) My thanks are due to Mr. Wroth and to M. de Foville, of the Bibliothèque Nationale, for casts of the coins in both collections. CRONACA DELLE FALSIFICAZIONI 99 exceeds that of the others. The flan is not quite flat, like ali the Silver coins, but slightly concave on one side, the reverse impression being- well struck home, in the manner of thin little gold pieces of an earlier age. Lastly, the types are in an inverted position, i. e. when we look at the head of Pallas, the figure of Nike on the reverse stands reversed, and vice versa. Now it seems certain that we bave no genuine coins, either in silver or copper, of Amyntas with such an inverted type position; presumably, because there was in use some minting appliance that made deviations impossible. Nor is it possible to account for the irregularity by assuming that this piece was struck before the introduction of the practise since it, the practise, antedates the coinage of Amyntas by very many years, being invariable even when the first of the predecessors of bis tetradrachms, those of Side, were minted. The conclusion that the coin must be false is, therefore, irresistible. The forger over-reached himself in trying to be too clever. He seems to bave begun by making use of a valueless, because much worn, antique coin, perhaps a gold dioboi of Agrigentum, which would weigh about 20 grains. Hence the colour of ancient gold. One side of these coins often showing a depression, he adopted it for bis fabrication, and crowned his labours by imitating the irregular type position of the earlier coin. But his style and lettering were faultless from the first. A yet closer comparison of the tetradrachms enabled him, subsequently, to correct his initial mistakes. Yet such as they are, they serve as ** straW'S that show the wind. „ E. J. Seltman. lOO E. J. SELTMAN TRADUZIONE Le monetine d'oro spurie del Re Aminta di Galazia. Il cenno più recente alle ben note monete ' d'oro che portano il nome del Re Aminta di Galazia è quello del Signor Warwich Wroth (0. Lo scrittore, quantunque non propenso ad accettare come genuina alcuna di queste mo- nete (2) spiega il suo giudizio aggiungendo che " il consenso di condanna non è completo „. E difatti pare che il col- lettore inglese si inchni ad accordare a tali monete " il be- neficio del dubbio „ (3). Non sarà male quindi, sia per ragioni scientifiche sia dal punto di vista pratico, richiamare l'attenzione su di una cir- costanza aggravante, non contemplata coll'autore. 11 commento del Sig. Warwich Wroth sull'argomento può essere considerato sotto un triplice aspetto: I. Evidenza di circostanza o sicurezza di provenienza. E queste sono contrarie alle monete. II. Evidenza intima, scientifica. E questa le condanna a priori. III. Evidenza esterna, ossia evidenza di fabbricazione. Su questa le monete non poterono essere condannate finora, perchè, quantunque l'autore accenni a certe piccole differenze nell'acconciatura dei capelli come possibilmente sospette, non le condanna però, e con ragione, su tale insufficente apprez- zamento, essendo " tanto stretta la rassomiglianza nello stile (i) Cat. del Museo Btit. Galatia. Introduzione, pp. XVIII a XX. (2) " Io debbo confessare che mi sembra arrischiato l'asserire che una serie è falsa e l'altra genuina „ di pag. XX ibid. (3) Un esemplare della vendita dei Signori Sotheby nel mag- gio 1900 " collezione di un collettore morto „ venne venduto per IO sterline, mentre prima il prezzo medio non era che da 3 a 4 sterline. CRONACA DELLE FALSIFICAZIONI IDI e nella paleografia fra tutte le monete d'oro che si attribui- scono ad Aminta „. Questo giudizio a mio modo di vedere, deve egualmente applicarsi allo staterò d'oro della Biblioteca Nazionale di Parigi (i). La questione ora sta in questo; se alcun che di decisivo può esser messo innanzi contro la fabbrica di alcuna di queste monete, perchè, dacché tutte sono soddisfacenti sotto l'aspetto dello stile e delle leggende, la condanna, per buone ragioni, di una sola, aggiunta alla condanna che tutte le col- pisce sotto gli altri aspetti, dovrebbe completare l'evidenza contro tutta la classe. C'è un esemplare nella Collezione del museo britannico, inferiore a nessun altro per quanto riguarda lo stile e le leggende e che possiede inoltre una speciale raccomanda- zione, in confronto agli altri, cioè il colore maturo dell'oro vecchio. Il suo peso, 20 grani, di pochissimo eccede quello degli altri. Il tondello non è perfettamente piano, come quello delle monete d'argento, ma leggermente concavo da una parte, l'impressione nel rovescio essendo improntata con forza, come nelle piccole monete d'oro di epoca anteriore. Finalmente, i tipi sono impressi in posizione inversa, vale a dire, quando si guarda la testa di Pallade, la figura della Vittoria nel rovescio è rovesciata e viceversa ; ma pare certo che nessuna moneta in argento o in bronzo d'Aminta presenta un tale rovesciamento di posizione, presumibilmente perchè si era adottato nella coniazione un meccanisnao pel quale tale deviazione riusciva impossibile. Né è ammissibile che il pezzo in questione sia stato coniato prima dell'appli- cazione dell'accennato meccanismo, perchè il sistema era stato adottato molti anni prima che si coniassero monete al nome di Aminta, la relativa posizione dei conii essendo invariabile fino dal primo dei predecessori, cioè i tetradrammi auto- nomi di Side. (i) I miei ringraziamenti al Sig. Wroth ed ai Sig. De Foville della Biblioteca Nazionale per le impronte delle monete esistenti nelle due collezioni. I02 E. J. SELTMAN La conclusione quindi che la moneta sia falsa riesce fatale. Il falsificatore si tradì nel cercare d' essere troppo abile. Sembra che egli abbia incominciato col far uso di qualche moneta antica senza valore perchè troppo consunta, forse un diobolo d'oro d'Agrigento, che avrebbe avuto ap- punto il peso di circa 20 grani. Da qui il colore dell'oro antico. Siccome un Iato di queste monete spesso offre una depressione, egli se ne servì per la sua fabbricazione, e co- ronò l'opera sua adottando la posizione irregolare dei tipi, propria nelle monete di tempo anteriore. Ma il suo stile e le sue leggende riuscirono addirittura senza difetti. Un confronto ancora più accurato dei tetradrammi lo mise in grado di correggere in seguito il suo errore iniziale. Ma, quale esso è, fa l'ufficio del pulviscolo, che segnala il vento. E. J. Seltman. VARIETÀ Congresso Intemazionale di Scienze Storiche in Roma (29 aprile 1903). — x\lle notizie inserite nel prece- dente fascicolo della Rivista (pag. 535) siamo in grado di aggiungere V elenco dei temi e delle comunicazioni finora — per quanto ci consta — presentati al Comitato del Con- gresso dagli iscritti alla Sezione Numismatica e qui disposti in ordine di progressiva presentazione. Te m i. Solone Ambrosoli: Intorno all'uso delle lingue nazionali negli scritti di Numismatica (con Relazione). Serafino Ricci: Dell'ordinamento delle collezioni di monete italiane medioevali e moderne (con Relazione, — A nome del Circolo Numismatico Milanese). Comunicazioni. Solone Ambrosoli : I. A proposito delle cosidette " restitu- zioni ,, di Gallieno o di Filippo. IL Di alcune nuove zec- che italiane. Ercole Gnecchi : Uno scudo di G. B. Spinola, Principe di Vergagni. Francesco Gnecchi : Le Personificazioni allegoriche sulle monete imperiali romane. ZiELiNSKi: Notices biographiques sur Jean Marie Mosca (Pa- dovano) et J. Jacob Caraglio artistes italiens en Pologne au XVP siècle. JuLEs Maurice : L'Atelier monétaire de Sirmium pendant la période constantinienne. A. Blanchet: Le " Congiarium ., de Cesar et les monnaies signées PALIKANVS. I04 VARIETÀ M. Caruso Lanza: Lo studio delle monete greche nei rap- porti con la storia, la mitologia e la scienza delle reli- gioni comparate. Alberto Simonetti : I tipi delle antiche monete greche. Max BAHRFELDT'.La cronologia delle monete di Marco Antonio. Ernest Babelon : Quelques mots sur l'iconographie de l'em- pereur Julien l'Apostate. Serafino Ricci: La Numismatica nell'insegnamento. A. Spigardi : Le Medaglie del Risorgimento Italiano. Giannino Dattari : " n€PIOAOC „ sulle monete Alessandrine. Nicolò Papadopoli : Una tariffa veneziana del 1467. Alfredo Marchisio : Studi sulla Numismatica di Casa Savoja. Luigi Correrà : Osservazioni intorno a una moneta di Neapolis. Alfonso De Witte : Les relations monétaires entre l'Italie et les Provinces Belges au moyen àge et à l'epoque moderne. E. J. Haeberlin : La monetazione deìVaes grave dell' antica Italia. Luigi Rizzoli jun. : Monete Veneziane del Museo Bottacin di Padova. Parecchi furono i Signori che si iscrissero dopo l'elenco già da noi pubblicato nella Rivista (pag. 536); i nomi di que- sti saranno pubblicati dopo il Congresso insieme con quelli degli iscritti a Roma, non ancora giunti a nostra conoscenza. Quanto poi al programma del Congresso, ecco quanto abbiamo potuto sapere per comunicazione dell'Agenzia Ste- fani ai giornali cittadini : Il Comitato ordinatore del Congresso, nelle adunanze degli scorsi giorni, deliberò alcune aggiunte al regolamento e approvò il programma generale del Congresso. Essendo stati successivamente presi gli opportuni accordi con le autorità, tale programma resta definitivamente così stabilito : 1 aprile (ore io) seduta preparatoria privata del Congresso per comunicazioni, rendiconti ed elezioni. Ore 16, seduta speciale per i delegati e per le rappresentanze ufficiali. 2 aprile (ore 9,30). Inaugurazione solenne del Congresso in Campidoglio (sala del Consiglio comunale) alla presenza del Re e VARIETÀ 105 della Regina. Successivamente inaugiirazione della Forma Urbis (la più antica Pianta di Roma), nel cortile del palazzo de* Conser- vatori in Campidoglio. Nel pomeriggio del giorno 2 alcune sezioni inizieranno i loro lavori, e dal mattino del 3 tutte le sezioni, alternatamente, si ra- duneranno dalle 9 alle 12 o dalle 15 alle 18 nelle aule del Collegio Romano e in poche altre località. La sera del 2 aprile i congressisti avranno libero ingresso all'illuminazione del Colosseo promossa in loro onore. Il giorno 3 alle ore 9 pom. avrà luogo l'inaugurazione della mostra di topografia romana^ nella R. Biblioteca nazionale centrale Vittorio Emanuele. La sera alle ore 9, per invito dell'on. sindaco di Roma, i con- gressisti interverranno ad un grande concerto vocale ed orchestrale di musica classica corale nel teatro comunale Argentina. Il 5 saranno invitati dal Ministro della pubblica istruzione alla visita del Foro Romano e all' inaugurazione della Rampa Imperiale (di accesso al Palatino) e del chiostro di Santa Francesca Romana, futura sede del Museo del Foro. Seguirà la visita al Palatino con im ricevimento ivi offerto dal Ministro della pubblica istruzione. Il 6 aprile avrà luogo nei musei del Campidoglio il solenne ricevimento del Sindaco e del Municipio di Roma in onore dei mem- bri del Congresso. 11 9 aprile alle ore 4 pom. si farà nell'aula massima del Col- legio Romano la chiusura del Congresso. Raccogliendosi sufficiente numero d'iscrizioni, avranno luogo il giorno 11 la gita Roma- Ninfa-Norma-Scavi di Norba Sermoneta, e dal 14 al 22 aprile l'escursione in Sicilia, promossa a scopo archeologico-storico-arti- stico da un gruppo di iscritti al Congresso. Il programma dei lavori delle singole sezioni e gruppi del Congresso è in corso di stampa. ^RAFiNO Ricci. Guida Namismatica Universale, — In questi giorni esce coi tipi Cogiiati, edita dall'Hoepli di Milano, la IV edi- zione della utilissima Guida Numismatica Universa/e dei sigg. fratelli Francesco ed Ercole Gnecchi, non solo rive- duta e corretta, ma si può dire interamente rifatta ed aumentata, raggiungendo gli indirizzi il n. 6278. Nessun libro riuscirà più gradito di questo ai nostri confratelli di tutto il mondo. io6 VARIETÀ I^a medaglia per il XXVI di pontifìcato di leeo- ne XIII fu fatta per iniziativa della Diocesi di Milano, desi- \ ■^ derosa di offrire a Sua Santità una medaglia che emergesse da quelle finora coniate in suo onore. Essa ha un diametro di mm. 67: eseguita con intendimenti artistici moderni, pur VARIETÀ 107 mantenendo sempre il carattere classico, fu coniata in due soli esemplari d'oro e cinque d'argento. Ora Sua Santità, avendone espresso tutto il suo sovrano gradimento e la piena approvazione sotto l'aspetto artistico, si riserva di commet- terne alcuni altri esemplari. La medaglia venne eseguita nello Stabilimento Johnson di Milano, il modello è opera dello scultore Boninsegna, l'incisione del Cav. Cappuccio. La Direzione. Finito di stampare il 26 Marzo 1903. ■«« "" « »«»■« i nn i III iii u >>»««iiiiiiiiiiiiiiiii m iii mn i nu > i >!>♦««»« »«» Achille Martelli, Gerente responsabile. FASCICOLO IL SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO CAPITOLO VII. Tipi : Due aquile che ghermiscono una lepre - Una quadriga, e la Vittcria, che corona l'auriga. È stato sempre detto e ripetuto che l'arte di incidere i coni in Sicilia raggiunse il più alto grado di perfezione, ed è comune consentimento altresì, che fra le più belle monete sicole sono a noverare i me- daglioni agrigentini. Uno di essi porta inciso il nome dell'artefice mediante le lettere MYP u); non mi è stato mai dato di trovare fra i Greci altri nomi, i quali comincino con quelle tre lettere, che quelli di Mirone e Miro- nide: Mirone, un antico re di Sicione e lo scultore famoso; Mironide quel capitano degli Ateniesi, il quale nell' 80^ olimpiade battè i Tebani ; l' autore dunque di questo medaglione dovea chiamarsi pro- ba bihuente Mirone o Mironide. E qui si consenta un po' di sfogo alla immagi- nazione per trovare la persona di cotesto incisore. (i) Pennisi di Fioristella, L'arte nella Numismatica greco-sicola. 112 CARUSO LANZA In Grecia fu un artista eccellentissimo di quel nome, discepolo di Agelade d'Argo, di colui il quale divenne celebre più per i suoi discepoli, che per le sue opere, producendo i più grandi statuari dell'epoca di Pericle : Fidia, Policleto e Telentero Mirone. Questi si distingueva dagli altri nel rappresen- tare con verità e semplicità grandissima la forza fisica, la vita nei suoi svariati fenomeni: a lui si at- tribuiscono in fatti parecchi Ercoli, il Discobulo esi- stente nei Musei Vaticani, e poi dei mostri marini, un cane, una vacca che allatta il vitello, ecc. Quella vacca destò l'entusiasmo, e fu oggetto di molti epi- grammi lusinghieri pel suo autore: Pastore, scostati con le tue vacche, che non abbia a condurre teco anche quella di Mirone. — Questa vacca non l'ha scolpita Mirone; il tempo l'ha cambiata in bronzo, e lo scultore la fa passare per sua — e simili. Egli seppe modellare gli animah a preferenza di tutti gli altri artisti. Nel tempio di Esculapio in Agrigento eravi una statua di Apollo, la quale portava il nome di Mirone a caratteri minuti d'argento incastrati in una coscia. Essa fu tolta via dai Cartaginesi nel 406, restituita alla nostra città da Scipione Africano, e indi rapita da Verre ('). Questa notizia ci fa comprendere come probabilmente delle relazioni siano corse fra gli Agri- gentini e l'illustre scultore. Mirone dunque era uno speciaHsta, per dir così, nel rappresentare a vivo gli animali, e nei deca- drammi in esame abbiamo molto elegantemente scol- piti da un lato due aquile ed una lepre, e dall'altro quattro cavalli pieni di brio e di fuoco (^\ Egli si dilettò di effigiare dei mostri marini, e nella moneta (i) Cicerone, Verrina IV. (2) V. Salinas, Le monete delle antiche citfà di Sicilia, tav. Vili, n. 5 e 6. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO II3 analoga, di cui mi occuperò nel capitolo seguente, abbiamo appunto la figura di uno di cotesti mostri (V. Tav. II, n. 2). Questi medaglioni appartengono a quel periodo luminoso per la Sicilia, che dalla bat- taglia d'Imera va sino alle conquiste dei Cartaginesi — il tempo di Pericle per la Grecia — e Mirone fioriva appunto in quell'epoca. Sono capolavori d'arte, e però opera di artista eminente; portano scritte le lettere MYP, abbreviativo di IMirone, il quale ebbe rapporti con gli Agrigentini. Via, parecchie circo-, stanze potrebbero indurre la convinzione, che le nostre più eleganti monete siano uscite dalle mani dell'insigne condiscepolo di Fidia; ma ripeto, sul pro- posito non si possono far altro che supposizioni, e sarebbe troppo ardimento il volerlo affermare con sicurezza. Di tipi analoghi ai decadrammi sonvi parecchie altre monete di dimensioni più piccole, ed anche piccoHssime, opera anch'esse di artisti provetti, fra le quali quelle di cui offro le incisioni (V. Tav. I, n. 20 — Tav. II, n. I, 2 e 6 — Tav. XVI dell'Anno 1902, n. 13). Alcune sono segnate col nome di IIAAN02. E quello uno dei pochi nomi propri, che ho riscontrato comune ai Greci ed ai Romani: tra i primi, oltre a questo Agrigentino, abbiamo memoria in Senofonte di un augure ambraciota (0; ed in Roma eravi un ramo della famiglia Giulia detta dei Silani, il cui nome si riscontra in parecchie monete, e un D. Giunio Silano fu colui, il quale proponeva in senato la pena di morte per Catilina e pei congiurati tutti (2). Quel nome si trova non solamente in queste (i) Anabasi, lib. III. (2) Sallustio, De Catilinae conjuratione, 50. 114 CARUSO LANZA monete dalle due aquile, ma altresì in quella d'oto (V. Tav. I, n. 5) agrigentina, che riportai nel III ca- pitolo, ed in un'altra di bronzo della città d'Imera (^). Torremuzza crede quel Silano un magistrato agrigentino (2), io invece son di parere che esso sia stato l'incisore del conio. Comunque si sia, quel che mi preme far notare in proposito, a maggior chiarimento di quello, che dissi nel precedente capitolo, è questo: sia stato l'in- cisore quel Silano ovvero un magistrato, certo è che egli incideva o emetteva moneta nello stesso tempo in Agrigento e Imera. Questa circostanza ci porta necessariamente a pensare ad intimi rapporti fra l'una città e l'altra nell'epoca, in cui venivano coniate quelle monete. Ebbene sappiamo che cotali relazioni, co- minciate con l'influenza esercitata da Falaride sopra imera, finirono con una vera e propria signoria: Terillo si vuole da alcuni, sia stato fìgho di Terone, e Terone stesso vi regnò per mezzo del figlio Tra- sideo. Con la caduta d'Imera nel 408 a. C. cessarono per sempre i rapporti fra le due città; sicché la coincidenza notata dimostra all'evidenza ciò, che affermai nel capo precedente, che quelle monete cioè furono emesse prima del 406 a. C, prima della caduta d'Agrigento. Che cosa rappresentano i tipi di quelle me- daglie? Delle due aquile che ghermiscono la lepre ra- gionai abbastanza in quel capitolo; aggiungo qui altre poche osservazioni per dare la riprova della mia spiegazione: Alcune di quelle monete hanno nel campo del (i) Torremuzza, Siciliae Veteres Nummi, tav. XXXVII, n. 7. (2) Op. cit. Spiegazione dei n. 2 e 3 della tav IV. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO II5 diritto la testa di un leone ('^ simbolo che allude manifestamente alla regione dei leoni, all'Africa. Di significato più esplicito poi mi sembra quel- l'altra edita dal Salinas C^i nella quale al di sopra delle aquile vi è scritto ITPATflN — degli eserciti — come per avvertire che le due aquile rappresentano eserciti, e la loro vittoria è vittoria riportata da due eserciti. Ebbene, quale potrebbe essere cotesta vittoria se non quella ottenuta dagli eserciti di Gelone e Terone? Se si riuniscono insieme adunque tutti i dati offerti dalle varie monete, e le osservazioni fatte nel precedente capitolo e in questo, si vedrà che la spiegazione data corrisponde esattamente all'avveni- mento, che si volle rappresentare. L'altro lato della moneta rappresenta una vit- toria riportata nei pubblici agoni, e lo desumo age* volmente dal movimento dei cavalli, dalla positura dell'auriga, che spesso è curvato e sferza i cavalli, ed in ispecie dalla Vittoria, che vola sopra costui, e gli posa una corona sulla testa (V. Tav. II, n. i e 6). Più volte ho fatto menzione dell' importanza attribuita a quei ludi dai Greci, e dell'entusiasmo, che destavano quelle vittorie; anche i re non disde- gnavano di prendervi parte: Pisa è di Giove: il glorioso vanto D'aprir l'olimpia arena Ebbe il figliuol d'Alcmena diceva Pindaro (3\ e le vittorie d'Olimpia si possono paragonar all'acqua, all'oro, al sole (4); egli è per. (i) Salinas, op. cit., tav. Vili, n. ii e 12 e Torremuzza, op. cit., n. 12, 13 e 14. (2) Op. cit., Tav. Vni, n. 14. (3) Olimpica IF, a Terone, trad. del Borghi. (4) Olimpica I, a Cerone di Siracusa. Il6 CARUSO LANZA ciò, che non vi fu monarca o città autonoma, i quali potessero vantar un vincitore in Olimpia, Delfo, Corinto o Nemea, e che poi non ne avessero traman- data nelle monete la memoria ai posteri. Agrigento ebbe molti vincitori ai giuochi pub- blici: Terone trionfò due volte in Olimpia con la quadriga; a Delfo ottennero la palma Mida, a:ulete, e Trasibulo, nipote di Terone, che fece attribuire la palma a Senocrate, suo padre; e di ciò fa testimo- nianza Pindaro. Empedocle, nonno del filosofo, Me- tone, padre di lui, e lo stesso filosofo furono pari- mente vincitori; e si narra anche, che quest'ultimo da pitagorico, e sotto questo riguardo diremmo noi da vegetai iano, offrì agli spettatori un bue fatto di farina, miele ed aromi ; così riferiscono Eliano e Diogene Laerzio. Diodoro registra e magnifica le due .vittorie consecutive di Esseneto nelle XCI e XCII oUmpiadi. A chi meglio potrebbe alludere l'impronta di queste monete? Non è punto facile dare un giudizio, imperocché mancano argomenti tali da farci preferire l'un fatto o Tun personaggio all'altro. Terone fu ri- guardato in Agrigento siccome padre della patria, e Pindaro lo dice occhio della Sicilia, sostegno d*Agri-r genio (0; Trasibulo col suo atto di reverenza verso il padre destò l'ammirazione del popolo, e da Pindaro assai fu lodato (2) ; Empedocle ebbe offerta la corona, ed anche dopo morto ottenne onori divini (3\ Ma se vogliamo tenere presente quel, che dice Diodoro riguardo alla seconda vittoria di Esseneto, l'entu- siasmo dei cittadini ed il ricevimento trionfale, che (i) Olimpica II, a Terone. (2) Pitia VI, a Senocrate. (3) Diogene Laerzio, Empedocle. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO II7 essi gli fecero (^\ potremo più verosimilmente credere che la figura delle medaglie in discorso ricordi appunto i trionfi di Esseneto. CAPITOLO Vili. Tipi: Due aquile che ghermiscono una lepre — Un granchio, e al di sotto una sirena dai femori della quale sporgono due teste di lupo. Torremuzza, parlando di questa medaglia agri- gentina (V. Tav. II, n. 2), la dice prae reh'quis est rari tate et artis perfectione praestantior. In eo sub pa- guro adest figura cujusdam foeminei marini monstri (2). Mionnet la descrive pure, e specificando il nome di cotesto genio marino, lo qualifica per le monstre Scylla; au dessus un crake (3). Cockerell accetta quel batte- simo (4) ; e dal Mionnet e Cockerell sino ad uno degli scrittori più recenti, lo Schubring (5\ quel mostro è stato unanimemente appellato Scilla, e più non ci si è discusso sopra. Però, domando io, e Scilla così dai Greci come dai Romani fu mai ideata o disegnata a quel modo? Omero la descrive minutamente: In uno scoglio è incavato uno speco profondo, Scilla ivi alberga, che moleste grida Di mandar non rista. La costei voce Altro non par, che un guajo!ar perenne (1) DioDoRo, lib. XIII, cap. VI e XV. (2) Siciliae Veteres Nummi. Spiegazione del n. i, tav. V. (3) Dtscription des Médailles. Agrigentum, n. 37. (4) The Tempie of lupter Olimpius at Agrigentum, pag. 4. (5) Op. cit., pag. 188. }l8 CARUSO LANZA . Di lattante cagnuol: ma Scilla è atroce Mostro, e sino ad un Dio, che a lei si fèsse Non mirerebbe in lei senza ribrezzo. Dodici ha piedi anteriori tutti, Sei lunghissimi colli, e su ciascuno Spaventosa una testa, e nelle bocche Di spessi denti un triplicato giro, E la morte più amara in ogni dente. Con la metà di sé nell'incavato Speco profondo ella s'attuffa, e fuori Sporge le teste, riguardando intorno, Se delfini pescar, lupi, o alcun puote Di quei mostri maggior, che a mille a mille Chiude Anfitrite nei suoi gorghi e nutre (i). Per quanto quella orrenda figura omerica col progredire della civiltà si sia pure, relativamente, ingentilita nella fantasia del popolo e dei poeti, tuttavia è rimasta pur sempre tale da destar ribrezzo. Il risultato di queir evoluzione fu questo, che aveva dodici piedi da cane e il resto del corpo nascosto sotto le acque, e l'immaginazione supplì a ciò, che non si vedeva attribuendole tutto il corpo di cane con coda di delfino, e le sei teste da idra divennero testa e busto di donna; con picciole differenze così la descrivono Virgilio (^\ Ovidio (3) e Servio (4), insomma ne fecero qualcosa di simile ai Centauri: questi eran mostri mezzo uomini e mezzo cavalli (5); e Scilla metà donna e metà cagna, circondata da cani ^^). Da cotali descrizioni si ricava nettamente, come l'immagine scolpita nella presente moneta non cor- ei) Odissea, lil>. XII, trad. di Pindemontc, v. 112 e seg. (2) Eneide, iib. 111. (3) Metamorf., Iib. XIV. {4) Ad Aen., Iib. III, 420. (5) Anche i Centaiu'i subirono una simile trasformazione: la forma, o de sono arrivati a noi, l'ebbero soltanto ai tempi di Fidia-Stoll, Miiol già, pag. 143. (6) Ovidio, Metamorfosi, Iib. XIII, 20, e Iib. XIV, i. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I I9 risponda affatto all'idea, che gli antichi tutti si for- marono di Scilla; e quando una fotografia non corri- sponde per nulla ai tratti della fisonomia d' una persona, non diremo certan^ente, che ne sia il ritratto. Si aggiunga poi, che altre considerazioni di ordine secondario dimostrano sempre piii, quanto sia inve- rosimile, che quella figura rappresenti quel mostro: Scilla, dicevano gli antichi, allorquando fu da Circe tramutata in modo sì abominevole, si chiuse in quello speco, in cui era andata bella e col pensiero rivolto al suo Glauco, e più non ne volle uscire, rimanendovi come incatenata ^^); soltanto Virgilio la tolse di là una volta, ma per collocarla insieme a Cariddi alla porta dell' inferno, quasi a formarne i due pilastri dell'ingresso '2). E qui invece essa sta in un campo libero, e di riscontro a lei, non l'inse- parabile Cariddi, ma trovasi il granchio, l'emblema del fiume caro agli Agrigentini. Scilla era un mostro atroce al segno, che neppur un dio potea sostenerne la vista; ed in questa figura non vi ha nulla di ributtante: ai Greci anzi doveva far impressione meno spiacevole di quel, che faccia a noi per la ragione, che essi simboleggiarono in quella guisa i Tritoni e le Sirene loro deità. Scilla era uno spavento; e qui al contrario il suo atteggiamento è dolce e delicato. In fine poi, non mi saprei punto spiegare, perchè mai gli Agrigentini avessero voluto così innalzare un monumento ad un nume straniero, atroce e ma- lefico. E per tutte queste ragioni insieme, contraria- mente alla comune credenza, giudico che la figura di questa moneta non sia affatto quella di Scilla. (i) Scilla loco niansit — Ovidio, Ioc. cìL (2) Eneide, lib. VI. T20 CARUSO LAN ZA Scartata la versione del Mionnet, mi pare che , faccia meglio al caso nostro tornare alle cose agri- gentine, dove, cercando, è molto probabile trovare la spiegazione di una figura allegorica incisa in una moneta d'Agrigento. E credo opportuno altresì di limitare le ricerche fra i soli esseri mitologici del regno delle acque, però che quelT innesto di donna e di pesce non consente, che ci si assegni un posto nel regno delle ombre o sull'Olimpo, ne fra rupi o foreste. Tutti gli antichi scrittori, i quali si occuparono della nostra città, la dissero sempre situata alle sponde dell'Acragas, e di altri fonti o corsi d'acqua vicini non fecero cenno; così Empedocle e Pindaro, Tucidide e Diodoro, Duris ed Eliano, vStefano Bisanzio e Diogene Laerzio, ed altri; solo Polibio fa menzione d'un secondo fiume, che lambiva pure la città, l'ipsas. Ebbene, nella presente moneta abbiamo due fi- gure allegoriche nella stessa faccia : un granchio, che rappresenta l'Acragas, e un' altra divinità aquatica, la quale nella nostra città, che non ebbe altri corsi d'acqua o fontane, verosimilmente può rappresentare r Ipsas, il secondo fiume di cui parla Polibio. Questa prima impressione viene confermata da un gruppo dipinto in un bellissimo vaso antico esi- stente nel Museo archeologico di Girgenti. Esso è un crosso, e contiene ancora le ossa di un cadavere cremato. Fu rinvenuto a i6 aprile 1881 dal Direttore del nostro Museo, sig. Alfonso Celi, a Villa Seta, nelle vicinanze di Girgenti. Nel coverchio sono dipinti due geni marini posti l'uno di fronte all'altro; nel loro mezzo v'hanno parecchi pesci e due ippocampi; e dietro a loro poi guizzano degli altri pesci ancora. La disposizione di quei pesci evidentemente significa, SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 121 che fra l'un nume marino e l'altro sta un tratto di mare, e mare ancora seguita ad essere dietro a loro. Una figura è perfettamente uguale a quella della moneta in esame così nelle forme e proporzioni, con le medesime teste di lupo, che le si innestano ai fianchi, come nella positura; soltanto le braccia ha entrambe distese, e con le mani sembra nell'atto di far cenno e chiamare i pesci e gli ippocampi. Altri vasi, trovati pure nelle nostre terre, ho visti io con la medesima figura; tale fatto, se non vado troppo oltre con la mente, ci dice questo, che i vasi trovati nel contado agrigentino, e che hanno un'immagine uguale a quella di una moneta agri- gentina, sono stati plasmati o graffiti in Agrigento. L'altro genio dell' osto feca in parola ha le sem- bianze di un giovinetto dal petto in su, dai lombi gli si partono due pinne, e termina con la solita coda di delfino; anche quest'altro nume ha la stessa posa, e pare egualmente, che chiami i pesci. L'un mostro è stato creduto Scilla, e in conse- guenza quelle due figure sono state qualificate per Scilla e Cariddi. Tale definizione però si manifesta sbagliata da se stessa, solo a ricordare, che Scilla e Cariddi erano entrambe di genere femminile, e nel vaso descritto un genio è evidentemente maschio. Come conseguenza della falsa interpretazione del Mionnet, adunque, è parimente sbagliata l'opinione di coloro, i quah credono Scilla e Cariddi le figure graffite in questo vaso; e possiamo aggiungere anzi, che le medesime alla loro volta valgono a suggellare l'errore del Mionnet e di coloro, che lo hanno seguilo. Le deità in esse simboleggiate debbono racchiu- dere in se le seguenti condizioni: esseri mitologici, che vivono nelle c.cque; che si guardino l'un l'altro stando a una certa distanza; separali, da una breve distesa di mare; ed abbiano ancora mare dietro ad 122 CARUSO LANZA essi. Tali estremi si riscontrano insieme soltanto nella personificazione di due fiumi vicini, i quali mettono foce a breve distanza, determinando una limitata porzione di spiaggia ricca di pesci; e difatti sap- piamo, che la pesca abbonda maggiormente nei porti e presso le foci dei fiumi, anzi che nel mare libero. Anche Siracusa ha parecchi medaglioni dei piìi belli, uno dei quali porta scritto il nome del suo autore, Eumene, con una figura simbolica uguale a quella della moneta e dei vasi agrigentini. Quei decadrammi offrono queste insegne: nel diritto, la testa di Aretusa fra quattro delfini, e nel rovescio, come motivo principale una quadriga, e poi nelFesergo hanno un mostro marino delle mede- sime forme e proporzioni di quello inciso nella nostra moneta (^): in alcuni medaglioni esso ha le medesime teste di lupo, che sporgono dai femori, e in altri no; un mostro insegue un pesce, un altro dà la caccia a un'aragosta, un terzo ha il tridente in spalla. I soliti confronti ci danno questi risultati : Nei medaglioni siracusani si rileva con maggior evidenza il concetto della pesca, imperocché quella figura simbolica dà la caccia a pesci minuti, a differenza di quei mostri maggiori, che formavano il pasto abituale di Scilla; e nel vaso agrigentino i due numi chiamano, allettano i pesci, i quali numerosi si fanno attorno ad essi. In questo vaso cinerario le due figure rappre- sentano manifestamente le foci di due fiumi vicini; ed in un vaso agrigentino quella di sesso maschile e giovane d'età si può subito riconoscere per la personificazione dell'Acragas, e nell'altra, coerente- mente, si può vedere simboleggiato l'Ipsa, fiume che (i) TouREMUzzA, op. cit., tav. LXXII, n. 8, 9 e 10; tav. LXXHI, n. 7. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO 123 scorreva pure vicino alla città mettendo foce a breve distanza dall'Acragas. In fine, nella moneta in esame abbiamo due fi- gure allegoriche nella stessa faccia, le quali è ragio- nevole, che abbiano qualche connessione fra loro: il granchio, simbolo del biondo Acragante, è posto in prima riga, qual dio protettore della città; e al disotto, come figura secondaria, abbiamo l'immagine di un altro nume aquatico (V. Tav. II, n. 2), di un .altro fiume, che in Agrigento, dopo l'Acragas, e in correlazione con lo stesso, non può essere altro che ripsa. Questa spiegazione, che a me sembra piana ed agevole, ha bisogno però di un ulteriore chiarimento. La maggior parte degli eruditi, spiegando le parole di Polibio, a cui sopra accennai, son venuti a determinare questo, che l'Acragas non sarebbe altro, che un torrentello di poca importanza influente dell'lpsas, tanto che Schubring è inclinato a chiamare tutto il fiume Ipsas in omaggio alla maggior portata e lunghezza di questo (0, e dire per ciò che allo sbocco dell'lpsas giaceva il porto (2), e simili. Egli, sostenendo questo, si mostra perfettamente logico, ma se io non m'inganno, si mette in aperta contradizione ad Em- pedocle, agrigentino, a Diodoro, siculo, a Pindaro, che fu alla corte di Terone, ed a tutti gli altri scrit- tori antichi, i quali, parlando del nostro fiume^ il fiume agrigentino per antonomasia, lo dissero sempre Acragas. Quella interpretazione del passo di Polibio me- nerebbe alla conclusione, che non sarebbero più due (i) Op. cit., pag. 23. (2) Ibid., pag. 30. 124 CARUSO LAN ZA i fiumi attorno alla città, ma un solo, avente un affluente ed una foce. In tale ipotesi la mia spiega- zione sarebbe evidentemente sbagliata, per la ragione che le due figure della moneta essendo simboli di- versi e per se stanti, senza alcun tratto di unione, che possa farci comprendere, come gli esseri in quelle adombrati debbano vivere necessariamente legati insieme come i fratelli siamesi; e le figure del vaso descritto, site a distanza e separate da un tratto di mare, non potrebbero prestarsi aff'atto a simbo- leggiar i due confluenti formanti un unico fiume. Per giustificare la mia opinione adunque sono costretto a dir qualche cosa dei fiumi agrigentini, ed ingolfarmi così in una questione di topografia storica, mentre da ogni discussione su tale materia mi dovrei astenere nel discorrere delle monete di Agrigento e del loro significato. Però mentre altri hanno scritto sul proposito monografie e volumi, io mi limiterò a pochi argomenti, tanto per mantenermi piìi che sia possibile entro i confini del mio soggetto. Polibio descrive la città d'Agrigento, e fra le altre cose parla dell'acropoli, e dei fiumi che la circondavano (0. Holm (2) e Schubring (3), i quali vanno sempre di accordo, notano entrambi, che trat- tando dell'acropoli, o Polibio cadde in errore, o devesi correggere il testo alterato dai copisti. Il giudizio di cotali archeologi darebbe altrui il diritto di dir altret- tanto per ciò che riguarda la descrizione dei fiumi; io limito il dubbio alla sola seconda ipotesi, alla possibilità di uno dei soliti errori dei copisti, e così (i) Lib. IX. (2) Storia della Sicilia neW antichità , trad. di Dal-Lago e Graziade , voi. I, pag. 236, nota 27. (3) Op. cit., pag. 75. SPIEGAZIONE STORICA DiTLLE MONETE DI AGRIGENTO I25 la cosa mi sembra più modesta e meno irreverente verso Polibio. Le sue parole tradotte alla lettera sono queste: (Agrigento) è circondata da fiumi, poiché scorre presso il lato meridionale della medesima quello, che ha lo stesso nome della città, e presso il lato volto verso i tramonti e la pioggia quello denominato Ipsas (0. Se non fosse lecito pensare ad un errore dei copisti, da cui non è andato immune verun testo antico, noi non potremmo discutere, e l'Acragas sa- rebbe quel ruscello chiamato S. Biagio, ed Ipsas il Drago, un torrente di maggior importanza, il quale sotto le mura dell'antica città riceve le acque del S. Biagio, e dopo un percorso di due chilometri e più in tortuosi giri va a metter foce nel iVlediterraneo; e ciò precisamente come vogliono Picone e Darà, Holm e Schubring, e tanti altri. Malgrado che la cosa sembri chiara, come ap- presso dirò, non è passata senza discussione, e dal Fazello (1498-1570) ad oggi una schiera elettissima di archeologi si è occupata di tale argomento, ed il Duca di Serradifalco ordinò un'apposita pianta topo- grafica per potersi meglio raccapezzare (2). Questo fatto di una discussione più che secolare dimostra certamente due cose: innanzi tutto che non è stata mai pronunziata l'ultima parola in proposito, ed intanto si è discusso, in quanto ogni parere ha lasciato sempre dei lati scoperti e vulnerabili, e però materia alla discussione; ed in secondo luogo prova (i) .... Kepd/iza.'. Sé notafi-oi!:, psì 'fap aÒTrjc wapà }ièv tTjv vótiov icXeopàv b aovutvufio^ T^ nóXsi, zapà òè ff|v èrcl tà; Suoet? xaX tòv Xi^a Tstpa|ifiévTjV 6 icpoaappapEvopL8vo; 'X^a^. (2; Vedi le opere di Fazello, Pancrazio, Cluverio, Maurolico, Buon- figlio Costanzo, Vito Amico, D'Orville, il Duca di Serradifalco, lo Stato Maggiore Italiano, Picone, Darà, Siefert, Holm, Schubring, Toniazzo, Oliveri, ecc. 17 120 CARUSO LANZA l'importanza deirargomento: quando noi sappiamo, che la città era circondata da due fiumi, la ricerca dei medesimi riesce indispensabile, non solo per la loro identificazione, ma ben anche per determinare i limiti estremi, entro i quali essa si estendeva. Di qui adunque l' importanza maggiore del quesito e lo studio dei dotti per risolverlo. In un capitolo del presente lavoro non è certa- mente concesso di esporre uno per uno i singoli pareri e le ragioni addotte da quegli eruditi, e confu- tarli partitamente, che sarebbe troppo lungo il farlo; riferirò per sommi capi soltanto le loro conclusioni. Alcuni vogliono che l'Acragas sia quel fiume, che oggi chiamiamo Drago, e riconoscono in questa parola una corruzione dell'antico nome; altri invece sostengono che esso sia l'Ipsas, ed in quanto all'A- cragas, parte credono che sia il S. Biagio, e parte il fiume di Naro: Chi nega l'esistenza del S. Biagio nei tempi antichi, e chi lo farebbe scaturire dai pressi di Canicattì, alla distanza di più che 40 chilometri da Girgenti. Vi sono di coloro, i quali sostengono che il S. Biagio ebbe origine dai fossi scavati da Cartaginesi (406 a. C.) e Romani (262) attorno ai loro accampamenti onde renderli inaccessibili all'oste nemica; e per la medesima ragione altri crede, che sia deviato l'antico corso del Drago: come se quei valli fossero stati qualcosa di gran lunga superiori a certi fossati, che i proprietari fanno attorno ai loro poderi, quali fossi poi a capo a pochi anni sono ricolmati dalle piogge. Alcuni fanno l'ipotesi, che il S. Biagio allora dovesse scaricare le acque nel Naro, senza riflettere, che fra l'uno e l'altro fiume ci è un piano abbastanza elevato, detto la Torre che parla, distante tre chilometri circa nei punti più vicini. Altri, per fargli scansare il lato meridionale della SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I27 città, pretendono, che fosse girato a nord della Rupe Atenea e della collina su cui siede Girgenti, alte entrambe 350 metri, per andar a defluire nel Drago sì, ma otto o dieci chilometri più sopra dell'attuale punto di confluenza. Ed in fine, è stato manifestato il dubbio, se mai oggi la faccia dei luoghi non si trovi cambiata a causa di rivoluzioni telluriche e cataclismi, dei quah non si ha memoria, e che pur ingoiando colline esistenti e sollevandone delle nuove, avrebbero poi rispettato e lasciato in piedi le misere colonne dei nostri tempi. E si sopprimono montagne ed altipiani; si eli- mina un torrente, che è il prodotto necessario di una catena di colline, alcune delle quali alte più che 500 metri; si fanno inarpicare fiumi; s'invocano perfino dei cataclismi; e tutto questo per non far succedere un cataclisma di molto minor importanza, quale sarebbe quello di supporre uno sbaglio nei testi di Polibio, ed aggiustarlo in modo più rispondente alla posizione dei luoghi ed alle parole di tutti gli altri scrittori antichi. I due torrenti S. Biagio e Drago scorrono attorno all'ex feudo Civtta{s), su cui numerosi e spessi sor- gono gli avanzi dell'antica città, pigliando le seguenti direzioni : Il lato di nord-est, dietro la Rupe Atenea, è bagnato per poco dal S. Biagio, il quale costeggia tutta la parte orientale sino al tempio di Era, e quindi da questo tempio a Porta Aurea prende la posizione di sud. Là è il punto di confluenza dei due torrenti. Da quella porta sino al tempio di Vulcano il lato meridionale della Civita continua ad essere in linea retta come il tratto precedente, ed è bagnato dal Drago; il quale, salendo fin alla Serra Darà, piglia la direzione di ovest, per poi tornar a stare a sud della necropoli principale, che è posta tutta alle falde della collina di Girgenti. 128 CARUSO LANZA Essendo questa la posizione dei luoghi, com- prendo bene, come si sia data quella interpretazione al passo di Polibio, che il S. Biagio sia l'Acragas, e il Drago Tlpsas: questo avrebbe il suo corso a ponente, sebbene per due buoni tratti scorra pure a sud dell'antica città; e quello, sebbene stia tutto ad oriente, ed arrivi anche alla direzione di nord-est, non di meno nell'ultima parte del suo corso si trova a sud della tenuta Civita. Noto però che qui Polibio lascerebbe molto a desiderare in fatto di chiarezza, mentre suol essere sempre preciso e scultorio nelle sue descrizioni (^); imperocché se davvero a quei due torrenti avesse voluto accennare, o li avrebbe descritti più minutamente, o indicandoli con una sola parola avrebbe dovuto prendere i punti centrali dei mede- simi, e dire, che il primo scorre ad oriente, e l'altro a libeccio della città. Molti per evitare a Polibio quella inesattezza traducono Vèm tòv in^x per uerso libeccio, ed altri per Africo oppositam partem; mentre Xi^a? XifiiaSo;, accusa- tivo irregolare >tfia, significa umido, goccia d'acqua, umidità che sgocciola ; deriva dal verbo T^eipw, render fluido, ammollire, e non già da Ai|i6n, Libia, Africa; egli è per ciò che sopra io tradussi pioggia. Polibio inoltre non avrebbe taciuto la circo- stanza salientissima, che i due fiumi in sostanza ne formano un solo perchè l'uno influente dell'altro. Ora io dico così: certe mancanze di proprietà e precisione in un testo antico ci dovrebbero far pensare meglio ad un errore dei copisti anzi che dell'autore, e consigliarci quindi ad accomodare il testo alla condizione dei luoghi, invece di sopprimere montagne e far inarpicare fiumi per accomodare i luoghi secondo le parole del testo. (i) Vedi per esempio la descrizione della città dei Leontini. SPIEGAZrONt STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I29 Per determinare l'identità dei fiumi agrigentini stimo necessario seguire un sistema di ricerche op- posto a quello tenuto fin qui dagli eruditi: Stabilire prima cioè il perimetro delle mura d'Agrigento per poi trovare i f.umi; trovati i quali, sarà molto facile attribuirvi i nomi in guisa da mettere di accordo Polibio con tutti gli altri scrittori antichi. E dico metterli di accordo, in quanto che una certa anti- nomia a me sembra esistere nelle loro parole: l'uno dice la città posta tra due fiumi, e tutti gli altri la mettono in riva a un solo, all'Acragante. Però qui bisogna riflettere come Agrigento nel corso della sua esistenza abbia subito le solite vi- cende della vita umana: ebbe umili natali, crebbe, cadde, risorse e giacque; sicché fa d'uopo fermare il momento, e stabilire a quel epoca si riportasse Polibio allorquando parlava della nostra città. Anche questo mi sembra logico. Sul riguardo non manifesto una mia opinione, sì bene l'opinione comune: quello storico cioè nel descrivere pomposamente la città, la sua magnifi- cenza, la sua fortezza si lasciò trasportare dalla fantasia ai tempi più felici. Schubring, fra gli altri, lo deduce molto ragionevolmente dall'uso dei verbi, i quali si trovano un po' al tempo presente e un po' al passato; ed anche dalla considerazione che all'e- poca, in cui Polibio venne in Agrigento, la città aveva subito parecchie arsioni e devastazioni, le sue mura erano state da un pezzo smantellate, gli edifici ed i campi distrutti, la ricchezza e la popolazione svanite per sempre, e dopo tante sciagure non era possibile presentasse ancora quella materiale bellezza e fortezza, che Polibio descrive <^). (i) Op. cit., pag. 215. 130 CARUSO LANZA Ciò posto, bisognerà vedere qual'era l'ambito della città nei suoi giorni migliori. Essa fu detta sempre una grande città; al dire di Beloch, Siracusa, Agrigento e Taranto superavano in estensione tutte quelle della madre patria, e sola Atene poteva gareggiar con esse , ma quando si consideravano insieme l'Asty ed il Pireo (^'. Siracusa però era la piti grande e la più bella di tutte le città greche secondo la testimonianza di Diodoro Siculo (2) e di Cicerone (3); sicché Agrigento e Taranto eran grandi come Atene e il suo porto. Strabone ci lasciò la notizia che le mura di Si- racusa avevano un circuito di 180 stadi (^), ventidue miglia romane e mezzo; e gli scavi e gli studi recenti hanno confermato alla lettera la parola dell'antico geografo. Agrigento era la seconda città dell'isola: ai tempi di Falaride, di Cerone, di Ducezio aspirò alla ege- monia della Sicilia; due volte insorse contro Agatocle, la prima quando creò duce lo spartano Acrotato figlio del re Cleomene, e più tardi poi venne a fatti d'arme con Senodico agrigentino. Questi dati di fatto, che ci somministra la storia, ci mettono nella necessità di mantenere una certa proporzione tra le due città sovrane e rivali, tanto in ordine alla rispettiva popolazione, come riguardo alla grandezza delle medesime; e se Siracusa occu- pava l'area contenuta in un perimetro di 180 stadi, crederemo bene che Agrigento ne abbia avuto molto di meno, ma è giusto che non facciamo delle diffe- {1) La popolazione antica delia Sicilia, trad. di Allegra De Luca, pag. ai. (2) Lib. XVl, cap. IV. (3) Verrina, IV. (4) Lib. VI. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I3I renze troppo stridenti. Gli stujdl di oggi però, — studi da tavolino e non sui luoghi e mediante scavi — hanno attribuito alle mura di questa città un'esten- sione molto ristretta, in guisa da rompere quella tale proporzione, che le notizie storiche ed indiscutibili ci costringerebbero a mantenere. Sul proposito mi son formato questa convin- zione, che i moderni archeologi non han saputo trovare il giro delle mura per quella benedetta preoc- cupazione del passo di Polibio relativo ai fiumi ; secondo essi l'Acragas e l'Ipsas sono i nostri S. Biagio e Drago, si creano così le muraglie della China, le colonne di Ercole, che non è lecito varcare, e misu- rando il terreno posto fra i medesimi, arrivano ad un circuito di 37 stadi, ed altri comprendendovi anche il colle di Girgenti lo portano sino a 50 stadi o poco piti, stabilendo così una differenza enorme fra Agri- gento e Siracusa. Anche questa considerazione deve consigliarci ad uscir fuori dai confini segnati da quei due torrenti per trovare l'intiero ambito della città. Ai tempi della seconda spedizione punica in Si- cilia Agrigento contava una popolazione di 200.000 cittadini giusta la testimonianza di Diodoro (0, e Diogene Laerzio (2) facendo il calcolo secondo la proporzione costante nel popolo greco fra gli uomini atti alle armi ed il resto della popolazione, che era come di uno a quattro, dice, che essa ne aveva 800.000: così almeno spiegano i dotti quella differenza fra i due numeri, e quella corrispondenza esatta alla pro- (i) Lib. XIII, cap. XV. (2) Veramente egli cita l'autorità di un Potamiila, autore ignoto, e da tutti si consente, che in quel passo il testo di Diogene sia stato alterato dagli eterni copisti. 132 CARUSO LANZA porzione comune; sicché le due notizie, le quali sembrano cotanto discordanti fra loro, corrispondono a capello. Quelle cifre sono state sempre accettate anche dai più recenti scrittori quali il nostro storiografo Picone, Fischer, Holm, Schubring, ecc.: essi sono di accordo nel ritenere che quegli 800.000 non abitas- sero tutti entro le mura, ma parte in città e parte nel suo fiorente territorio; e chi fa ascendere il nu- mero dei cittadini a 200.000 (0, chi a 300.000 (^^ e simili. Tutti, compreso il Beloch il quale poi dissente da quelle conclusioni, osservano, che non si può negar fede a Diodoro, storico dell'isola, specialmente perchè egli dichiara di aver attinto la sua notizia da Timeo, storico coscenzioso, parimente dell'isola, e quasi contemporaneo di quei tempi felici, il quale alla sua volta potè avere quel numero dal censimento, che fecero i magistrati d'Agrigento al tempo dell'as- sedio dei Cartaginesi. Quelle cifre adunque hanno tutta l'apparenza della verità, e stanno in armonia alla densità della popolazione della Sicilia in quell'epoca: Holm le at- tribuisce 3.620.000 abitanti, Fischer 3.000.000, e si- mili; e corrispondono a certi dati storici e monu- mentali, che non vanno soggetti a discussione : Ero- doto, storico quasi contemporaneo alle cose narrate, e che non aveva afcun interesse ad esagerare o mentire, dice che al tempo delle guerre persiane la sola Siracusa poteva mettere insieme più fanti e cava- lieri, più navi e vettovaglie, di quante non ne potevan dare Atene, Sparta e tutte le città greche confede- rate (3); Agrigento e Siracusa alleate tennero testa (i) Schubring, op. cit., pag. 90. (2) Picone, Memorie storiche agrigentine, pag. 123. (3) Lib. VII. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I33 contro Cartagine, la secolare rivale di Roma; Sira- cusa debellò le forze degli Ateniesi; Agatocle potè trionfare dei Cartaginesi in Sicilia e in Africa; Agri- gento si ornò di tempi sontuosi ed opere pubbliche magnifiche prima ancora di Atene; i suoi senatori erano niente meno che mille, detti perciò i Chi- liarchi (^); ecc. Tutti gli scrittori antichi e moderni adunque convengono in quelle cifre; solo il prof. Beloch ne dissente, e porta il massimo della popolazione d'Agri- gento dai 50 ai 60 mila (^ì^ assegnandone alla città ed al suo territorio insieme 124.000, ed a tutta la Sicilia 800.000 (3). È ben vero che i Greci furono esagerati nel magnificare le cose loro e quelle dei Romani, loro vincitori, e dal Vico, Micali e Niebhur in qua, ci è stata una specie di reazione contro di essi ; però lo studio del prof. Beloch, a me sembra, che abbia il peccato dell'esagerazione nella reazione. Io non scendo a particolari, né intendo stabilire una cifra neanche per approssimazione; mi limito soltanto a notare, che se gli antichi non facevano il censimento della popolazione ai fini della statistica, pur tuttavia tenevano il ruolo dei cittadini per sapere chi e quando avesse l'obbligo di prestare il servizio militare alla città; era quella una necessità dello stato, ed anco in questa guisa si giungeva benissimo a conoscere il numero dei cittadini (4). Pertanto, se Diodoro e Diogene danno delle cifre affermandole con sicurezza; se essi, o le fonti a cui attinsero, erano al caso di conoscere la verità ; se le loro notizie concordano con tutte le circostanze di fatto, che dalla (i) Diogene Laerzio, Vita di Empedocle. (2) Op. cit., pag. 68. (3) Op. cit., pag. 60. (4) Plutarco, Vita di Nicia, cap. XVII. 18 134 CARUSO LANZA storia si ricavano, non mi sembra logico che dobbiamo smentirli in modo soverchiamente assoluto. Crede- remo a delle esagerazioni, e sia; i cittadini di Agri gento non saranno stati 800.000, ma assai meno; però ad arrivare alla cifra di Beloch, a 50.000, ci corre abbastanza, la differenza è troppo forte, e un po' di discrezione credo che sia sempre prudente ^^). (i) Il prof. Beloch dà ad Agrigento nel V e IV secolo a. C. la po- polazione di 50.000, ed a tutta la Sicilia di 800.000. Egli ottiene quei risultati cosi meschini in base a certi criteri fondamentali ed a termini di paragone, che in fatto non mi sembrano per nulla esatti. Non posso certamente in una nota del presente capitolo occuparmi di tutti gli ar- gomenti svolti dall'illustre Professore; ne toccherò uno soltanto, che poi è fra i principali: Non vi può essere questione di una decadenza dell'isola, d'un esauri- n.enlo della terra in confronto dei tempi antichi; che anzi la rendita dei campi nativi, probabilmente, non fu giammai più, alta di quanto lo è oggidì — così egli scrive a pag. 22 e calcola un prodotto medio del frumento del sei per uno di semenza. Oggi — continua — la Sicilia non è più in grado di esportare grani, e appena basta a sé stessa — pag. 27 — mentre allora ne mandava fuori in assai grande misura; e però, dal- l'intera produzione del frumento detraendo quel che si pagava come tributo, quello che si esportava, la semenza, e via, ne rimaneva così poco nell'isola, che in ragione della quantità bisognevole al consumo di ogni individuo, la Sicilia non poteva affatto avere una popolazione densa come quella di oggi — pag. 36; — di qui gli 800.000 in tutto, distribuiti un po' per una alle singole città. Nessun maggior errore che giudicare delle cose antiche con criteri moderni; per esempio a voler paragonare la Palestina dei tempi di Cristo, un giardino di palme, ulivi e cedri, con quella che è oggi, un deserto. Io non son agronomo e potrei ingannarmi; ma sino a prova con- traria crederò, che una terra sfruttata per tremila anni e più non possa avere la stessa forza produttiva dei terreni vergini: nella Babilonide non si ha più quella produzione del 300 per uno, che vide Erodoto — lib. I. — Però quel, che mi fa vedere come il Beloch non si sia reso un esatto conto della cosa, è un argomento, il quale egli adduce come prova contraria, per assottigliare il totale della produzione di allora. Nei tempi antichi — osserva — le montagne di Sicilia, dail'Ema al Mar Tirreno, erano coperte di boschi, prova ne sia che i fiumi ancora al tempo della dominazione araba erano più ricchi di acqua, pag. 26. Verissimo ciò, e prove di cotale fatto potrei addurne parecchie. Questo significa sempli- SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I35 Ove abitarono essi? quale dovette essere lo sviluppo progressivo della città? Il feudo Civita presenta anche oggi questa spe- cialità, che dal lato di oriente, e giù per tutta la linea meridionale, e poi per la parte occidentale è tutto terminato in giro da un ciglione di pietra calcare, che forma un unico balzo tagliato a picco sul sotto- cemente che allora pioveva molto, ed oggi no; le sorgenti, ed in con- seguenza i fiumi, sono animate dalle acque piovane; e posso aggiungere sul proposito, che da noi per sei ed anche sette mesi dell'anno non piove mai, ed in inverno le acque si fanno spesso desiderare. Prima dunque la Sicilia era irrorata da continue piogge e dai raggi del sole, ed ora l'acqua ci manca e ci è rimasto il sole cocente. Ciò posto, è mai possibile il confronto tra la produzione dej V secolo a. C. e quella di oggi? si potrebbero ragionevolmente paragonare il bacino irriguo del Nilo e l'arida Abissinia? Alla mancanza dell'acqua si aggiungono le conseguenze del regime feudale e del monachismo, le quali non sono affatto scomparse ancora. Nel medio evo le terre furon tutte dei baroni e dei conventi; eranvi dunque i latifondi, e del latifondo in Sicilia e dei suoi tristi effetti ri- guardo all'agricoltura si è abbastanza discusso alle Camere legislative, sicché nulla io dirò. Monaci e baroni poi non coltivarono il terreno, ma tenendolo soltanto ad uso di pascolo lo lasciarono covrire in buona parte di palme selvatiche, che lo isteriliscono. Dato ciò in fatto io mi so spiegare il perchè gli antichi favoleg- giassero del soggiorno di Cerere e del ratto di Proserpina in Sicilia; come Diodoro e perfino Fazello videro nascere e produrre bene il frumento non seminato; perchè Livio avesse scritto che la conquista della nostra isola sollevò il mercato di Roma e dell'Italia tutta; Catone la chiamò Nutrice della plebe romana; Cicerone afferma che la Sicilia sola vestì e provvide di vitto i più grandi eserciti romani. Tutto questo si può bene spiegare con quel che dice Fazello, che ai suoi tempi, cioè nel millecinquecento, la produzione del grano in Sicilia dava il cento per uno; ma riesce assolutamente incomprensibile con quello, che scrive Beloch, con una produzione del sei per uno di semenza. Per tanto, mi persuade la parola di lui, pag. 27, che Pindaro e Teocrito oggi non riconoscerebbero più. la Sicilia da loro decantata; ma non mi convince affatto il confronto tra la produzione di venticinque secoli fa e quella d'ora, con tutte le conseguenze, che ne tira il prof Beloch in ordine alla densità possibile della popolazione. E non è giusto neppure desumere la quantità del frumento, che si raccogheva in Sicilia nel V secolo a. C. da quel, che si ricava dalle 136 CARUSO LANZA Stante avvallamento, e torreggia su quel pianoro dal lato nord la Rupe Atenea, i fianchi della quale chiu- dono perfettamente quel piano mclinato. Il fiume gira attorno alla tenuta Civita da tutti i lati, soltanto ad ovest giunge fin sotto la Serra Darà, e da qui alla estrema punta della Rupe Atenea quel ciglione so- vrasta un profondo e rapido avvallamento, il vallone della Fontana o delle Cavoline, il quale nel punto in cui viene a separare quella rupe dal colle di Girgenti, piglia il nome di Nave per la ragione, che assume la forma di una carena. Ai miei giorni la Nave è stata in buona parte ricolmata. Tutto questo circuito ha egregie difese naturali; Verrine di Cicerone: Allora eranvi repubbliche autonome, popolose, industri, commercianti, floride, e la base della ricchezza sta sempre nei prodotti della terra; ed al tempo del grande oratore l'isola era deserta. Diodoro e Sirabone ci descrivono Io stato della Sicilia nell'uno e nell'altro periodo di tempo: dice il primo, che dopo la battaglia d'Imera coltivando i Sicelioti in piena pace il territorio loro fermissimo, ben presto l'abbondanza li fece ricchi; e tutto il paese fu pieno di servi, che lavora- vano, e di bestiame d'ogni sorta, e d'ogni cosa in fine per la quale si vive felicemente, crescendo ogn'ora i proventi, lib. XF, cap. XVII; hanno gli Agrigentini vigneti d'ampiezza spaziosiss:ma e di amenità egregia. La parte massima del loro paese è coperta di ulivi, dei cui frutti o in olio, in natura andavano a far mercato a Cartagine, e per tal via guada- gnavano immense somme, lib. XIII, cap. XV e simili. Viceversa, Stra- bene descrive l'isola al tempo della dominazione romana in ben altro modo : Degli altri lati della Sicilia quello, che dal Pochino tira al LUibeo è tutto abbandonato, serbando solamente qualche vestigio degli antichi edifici, tra i quali è Camarina, colonia dei Siracusa. Vi è rimasto pure Acragante degli Ioni, e la stanza delle navi, e il Lilibeo. Perciocché essendo state queste parti in massima soggette al Cartaginese, per le spesse e lunghe guerre che vi si facevano, molte ne andarono in mina. L'ultima e la maggiore costa (la settentrionale) ancor che essa non sia molto abbondante di abitatori, è non di meno assai bene edificata.... Questi deserti adunque essendo stati conosciuti dai Romani, poiché ne furon padroni, concessero e le montagne e la maggior parte delle pianure ai guardiani di cavalli, di buoi e di pecore, dai quali fu l'isola molte volte posta in pericolo, lib. VI. Ora domando io, se i dati sono eguali, e se il paragone riesce possibile. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I37 in poche parti era accessibile, e sappiamo che fu suppHto con l'arte in quei punti, in cui la natura dei luoghi difettava (0. Fu quello lo spazio assegnato alla città dai suoi fondatori, e senza bisogno di ri- correre a prove, le quali risultino dai libri e dall'e- rudizione, lo dicono i luoghi, lo dice il buon senso, quel sano criterio che dovette guidare gli oicisti Aristonoo e Fistilo, allorquando determinarono di fermare qui la sede della loro colonia. La cosa non potrebbe essere diversamente, giacche se si volesse accrescere o togliere un qualche spazio a quel pia- noro, importerebbe lasciare assolutamente scoperta la città privandola di quelle difese naturah, che la rendevano inespugnabile, rompere il giro di quelle mura così importanti, che furon chiamate maxima moenia (2). Si guardi cotesto piano inclinato dal suo vertice, la Rupe Atenea, ovvero dal mare; si tenga presente il nome di Civita ad esso conservato dagli antichi, e si giudicherà ad occhio e croce molto meglio che stando a tavolino con tutti i testi di Po- libio alle mani, e con tutte le spiegazioni varie e contradittorie, che se ne sono date. L'ex feudo Civita ha un circuito di sei chilometri, o poco più; e nel 580 a. C. pensare a gittar le fon- damenta di una città, la quale avrebbe dovuto occu- pare tutta quell'area, fu anche troppo ardito: Romolo, o chi per esso, non avrà neppur sognato, che quelle mura tracciate con l'aratro un giorno si sarebbero allargate tanto da includere i sette colli circostanti. In Agrigento, per quanto grandioso fosse stato il concetto dei fondatori, la cosa sortì effetti superiori alle previsioni. * (i) Polibio, lib. IX, 27. (2) Virgilio, Eneide, lib. III. T38 CARUSO LANZA In genere lo sviluppo delle colonie greche in Sicilia fu qualche cosa da destar meraviglia: oggi non si comprenderebbe come mai una città fondata da un secolo, e meno ancora, possa acquistare tanta potenza da dare origine alla sua volta a parecchie altre città; e ciò avvenne in Sicilia: Siracusa trasse dal suo seno tre colonie, e fondò Acre, Casmena e Camarina; Zancla fondava Mile e Imera; Gela, Agrigento; e questa dopo appena vent'anni di esi- stenza dava origine a due castelli, l' Ecuomo ed il Falario. Non sembrerà inverosimile dunque quello, che di essa sarò per dire. Quivi, come sappiamo, più che altrove affluirono i forestieri allettati dai grandi guadagni, che si ri- traevano dalle industrie e dal commercio, e dopo la giornata d' Imera una buona metà dell'esercito punico fu qui condotto come schiavo. Quegli schiavi furono impiegati principalmente alla costruzione di opere pubbliche, e prima fra tutte fu quella, di cui fa men- zione Polibio, cioè compiuto il giro delle mura in guisa da riuscire inaccessibili in tutte le sue parti. Quello, secondo me, dovette essere il tempo in cui la città venne ad occupare tutta l'odierna tenuta Civita, quello spazio cioè, che le avevano assegnato cent'anni prima i fondatori. Comunque si sia, è certo che dopo quel fatto d'armi Agrigento ebbe un notevole incremento; ed attinse poi la massima potenza, la magnificenza delle opere pubbliche e private, la massima ricchezza, e si abbandonò a quelle mollezze e lusso sibarita di cui parla Diodoro, nei settantaquattro anni successivi, sino alla sua prima caduta. Ora, siano stati trecento o duecentomila i suoi cittadini, come altri vuole, od anche centomila sol- tanto, quel che si rende evidente è questo, che essa SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I39 non poteva più essere contenuta entro quegli augusti confini assegnatile due secoli innanzi. Infatti: togliamo a quella superficie tutte le ine- guaglianze di terreno, che sono parecchie, e sulle quali non si poteva fabbricare. Togliamo tutta la parte orientale della Rupe Atenea, su cui non si riscontra veruna traccia di abitazione, ma solo un antichissimo tempio e due strade, che ad esso con- ducono (0. E poi se ci facciamo un'idea del numero (1) La parte orientale della Rupe Atenea non fu abitata, e più che da ogni altro argomento si desume daiia esistenza di un acquedotto greco, o dico più propriamente, da una rete, di acquedotti praticata in essa: è un lavoro di drenaggio, il sasso vi è stato bucherellato in tutti i sensi, e le acque, che a stilla a stilla si raccolgono, vanno ad immettere tutte in un'arteria principale, e danno anche adesso l'acqua migliore di cui gode Girgenti. In alcuni punii quei meati sotterranei hanno pozzi d'areaggio. Ebbene, dato ciò, si comprende di leggieri, come gii Agri- gentini abbiano voluto fare di quella crosta di tufo conchiliare un grande lambicco per ottenere una buona sorgente. Però dovevano far modo di alt rarvi le acque piovane, e sarebbe stata una mera contradizione, se 1. avessero ricoperta di cast ggiato. Viceversa è molto probabile che ivi sia stata una selva, sia nata spontaneamente che piantata ad arte, per ciò, che gli alberi hanno la proprietà di attirare le acque. Pindaro nell'ode VI delle Pitie chiama Agrigento, per antonomasia, aurea selva apollonea — èv icoXo^^pósu) AnoXXoviqt xeteóx'.ata: vórea — segno evidente che entro il perimetro della città esistesse una selva splendente come l'oro, anzi di molto oro, sacra ad Apollo. In tutta l'area della tenuta Civita non vi è alcun luogo, in cui poter mettere la detta selva tranne che quello, e nel resto ogni palmo di terreno presenta avanzi di antiche costruzioni. Su quella roccia esiste ancora un tempio antichissimo, in autis, creduto di Cerere, ma senza alcun fondamento. Io invece inclinerei e credere che il medesimo sia stato consacrato ad Apollo e ciò per parecchie ragioni: innanzi tutto dobbiamo ricordare qual'era il culto che i Dori tutti prestavano ad Apollo, il loro dio nazionale, culto che in Agrigento ci è reso manifesto dalle molte monete ad esso consacrate. E ragionevole supporre altresì, che i Dori agrigentini sin dai primi tempi abbiano eretto un delubro a quel nume, ed il tempio, di cui parlo, è vetustissimo. Infine la circostanza di quella selva ricordata da Pindaro, e che nel nostro territorio non si potrebbe mettere in altro sito, che attorno a quel tempio. 140 CARUSO LANZA e dell'ampiezza delle strade e delle piazze; se aggiun- giamo il foro e tutti gli edifici pubblici, il teatro, i bagni, l'odeone, l'ippodromo, ecc.; l'area occupata d:ii numerosi tempi e relativi spazi circostanti, e via. Anzi, se si pon mente, che la città fu detta magnifica e bellissima, ed i resti, che ne avanzano, giustificano veramente quella nomea, dobbiamo senza meno cre- dere che tutte quelle opere pubbliche abbiano avuto delle proporzioni grandiose. Ed abbiamo sul propo- sito la testimonianza di Erodoto, il quale afferma che in tutte le città greche eranvi piazze larghissime nelle quali conveniva il popolo per trattare gli affari pubblici e privati (0; e per Agrigento in ispecie vi ha la parola di Polibio, il quale celebra la nostra città per le sue piazze spaziose, e pel numero ed importanza dei suoi tempi N, Quanto agli edifici privati sappiamo, che la casa greca con uno, o più probabilmente con due cortili e un giardinetto dietro, occupava molto spazio: aveva un solo piano, e soltanto Agatocle ebbe l'ardire di costruirsene una, detta per antonomasia dai sessanta tetti, più alta dei sacri tempi — i quali poi non su- peravano l'altezza di un primo o secondo piano delle nostre costruzioni — e Giove offeso di tanta irrive- renza scagliò il fulmine su quella casa (3). In Agri- gento i fabbricati dovevano avere certamente pro- porzioni grandiose: Dicearco dice di Atene, che facevan contrasto le case piccole, le strade polverose e strette con la magnificenza degli edifici pubblici, e viceversa non v'ha scrittore antico, il quale non inneggi alla grandiosità di Agrigento. E poi tale idea si può ricavare in modo indiretto dalle parole di (1) Lib. 1. (2) Lib. IX. (3) DioDORo, lib. XVI, cap. XVIII. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I4I Empedocle sulla durata eterna delle costruzioni, e da quelle di Ateneo relativamente ai pranzi continui, che ci si davan entro — parole da me riportate in altro luogo — e certamente queste cose non si sarebbero dette di case anguste e meschine. Del resto sappiamo da Diodoro, che il solo Gelila ospitò in casa sua cinquecento Geloi (i); non tutte certamente saranno state capaci di accogliere cinquecento forestieri; ma è verosimile che troppo distacco non si debba fare fra la casa di Gelila e le altre, specie se si tiene presente che Empedocle, il quale visse quasi mezzo secolo prima di Gelila, tanto lodava la proverbiale ospitalità dei suoi concittadini: Son le lor case agli ospiti sacrate E scevro d'ogni mal porlo felice (2). Gli Agrigentini inoltre eran amantissimi di cavalli: Esseneto trionfando la seconda volta in Olimpia fu ricevuto da 300 bighe tirate tutte da cavalli bianchi appartenenti ad Agrigentini, e la figlia di Antistene il Rodo il giorno delle sue nozze fu accompagnata a casa dello sposo da 800 bighe. Vi dovevan essere per ciò molte scuderie, e di tale grandezza ed ele- ganza da giustificare la passione dei cittadini, ed il lusso di tenere stregghie d'oro e d'argento, e d'innal- zare mausolei ai migliori cavalli (3). Ora, domanderei, entro lo spazio limitato della tenuta Civita, in un circuito di 37 stadi, è mai possi- bile che sia stato contenuto tutto il materiale della sontuosa città, quale ci è stata descritta? Catania vista dall'Etna, Palermo da S. Martino, senza bisogno (i) Lib. XIII, cap. XV. (2) Frammento di Empedocle riportato da Diodoro, lib. XIII, cap. XV. (3) DiODORo, loc. cit. — Plinio, Historia nattiralis, lib. Vili, ff. LXIV, Agrigenti compluriunt equorum tumuli fyramides habent. 19 142 CARUSO LANZA di ricorrere a misure, si vede che occupano superficie molto più estese dell'ex feudo Civita, e si noti che hanno palazzi, in media, di quattro o cinque piani, la qual cosa importa, che se le loro case fossero ad una sola elevazione, dovrebbero occupare uno spazio quattro o cinque volte maggiore. La nostra città adunque, sorta in un sol punto del pianoro posto alle falde della Rupe Atenea, mano mano che aumentava la sua popolazione, dovette occuparlo tutto quanto per poi uscire dai suoi confini prestabiliti e riversarsi sui luoghi circostanti, for- mando quartieri nuovi o sobborghi; ed abbiamo ap- punto notizie di cotesti sobborghi esistenti in quel periodo di tempo (^). Avvenne però in Agrigento qualcosa di simile a quello che accadeva in Firenze ai tempi de la gente nova e i subiti guadagni, che la parte contenuta entro le antiche mura fu la vera città dei cittadini (2), e il resto servì principalmente pel popolino, pei forestieri e gli schiavi. Ov'eran situati quei sobborghi? A nord delle mura non ve ne potevan essere perchè la Rupe Atenea, come anche il colle di Gir- genti, finiscon con dei tagh perpendicolari alti in alcuni punti più di 40 metri. A sud, presso il mare, era l'emporio, il quale occupava una superficie limitatissima, il solo fondo Caruso, oggi Caruso e Carotozzolo, in contrada S. Leone, giacche le terre attigue, Picone e Riggio, sono tutte coperte di tombe. Ad ovest, di là dal fiume, non si hanno tracce di abitazione, salvo in pochi punti isolati, come ad (1) DlODORO, loC. Cit. (2) Vedi Dante, il canto di Cacciaguida: Fiorenra dentro dalla cerchia antica Ond'ella toglie ancora e sesta e nona.... SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I43 esempio presso la Casina Velia, e certamente nei dintorni di una grande città non mancano mai casine •e ville. S-illa collina di Girgenti si riscontrano parecchie bocche d'immissione agli ipogei sicani, di cui feci menzione nel III capitolo; quivi dunque ebbe la sua stanza quel popolo primitivo, col quale lottarono i fondatori della città. Sulle alture esistono altresì gli avanzi di un tempio dorico, sopra i quali fu poi edificata l'antica madre chiesa di Girgenti, S. Maria dei Greci. La presenza di questo solo monumento elleno in un villaggio sicano non dovrebbe lasciar correre troppo la fantasia per trovare l'acropoli d'una città posta alle falde della collina limitrofa, special- mente se pensiamo, che Sicoli (^) e Sicani venuti a contatto coi culti EUeni presto si ellenizzarono; sicché quel solo tempio greco in un villaggio sicano ci autorizza semplicemente a fare queste due ipotesi: o che di là furono cacciati i Sicani e vi si insedia- rono i Greci, ovvero che quel castello seguitò ad essere tenuto dai primi abitatori poi rinciviUti. Anco a considerarlo come sobborgo della città, faccio os- servare, che esso non potè avere una notevole esten- sione, ma limitarsi alla sola vetta della collina: dalla parte bassa, infatti, sino alle mura dell'attuale città e per tutta la sua lunghezza è una sequela non inter- rotta di tombe greche incavate nel vivo del sasso. Non possiamo stabilire fin dove arrivassero le tombe dalla parte alta, essendo stato il suolo da molti secoli occupato dall'attuale città; pure mi risulta, che in occasione di alcuni scavi eseguiti nei rioni Madonna degli Angeli e S. Michele per costruirvi degli acque- dotti si rinvennero molte tombe greche. Ad est della Civita havvi un altro pianoro difeso (i) DioDORO, lib. V, cap. IV. 144 CARUSO LANZA da balzi di roccia calcare, quasi nella stessa guisa ond' è circondata questa tenuta ; è un altipiano fors' anche più bello perchè meno accidentato; è detto la Torre che parla, e non saprei donde abbia preso quel nome ; è separato dalla Civita dal solo avvalla- mento su cui scorre il S. Biagio, e la sua punta più vicina, lo Sperone, dista dal tempio di Era un trarre d'arco, dai loo, ai 150 metri appena. Quivi il suolo è stato manifestamente ridotto dalla mano dell'uomo, imperocché forma un piano perfettamente orizzontale terminato da rocce verticali. Tutto il resto della te- nuta è stato piantato ad ulivi spessissimi, che sembra una selva; alcuni di essi, specie quelli sotto la Casina Giudice, hanno tronchi colossali, da sei a sette metri di circonferenza: tale circostanza dimostra che quella piantagione fu fatta parecchi secoli fa, e da noi vi ha la tradizione che tutti gli ulivi del con- tado egualmente vecchi siano stati piantati dai Sara- ceni nel decimo e undecimo secolo di Cristo. Un terreno coperto da una selva così annosa non può offrire certamente molte tracce di antica abita- zione, e credo siano sufficienti quelle poche, ch'io verrò a dare per potere porre anche in quel luogo un altro sobborgo della città. Schubring afferma, che ivi nulla potè osser- vare (0, e non bisogna fargliene un torto: certe pe- culiarità dei luoghi sono conosciute e forse giudicate meglio dai naturali dei luoghi stessi, anzi che da persone, le quali pur avendo l'erudizione di Schubring e di Mommsen vengano a fare delle ricerche di pochi giorni in una città grande come Atene. Ad oriente della Civita dunque abbiamo i se- guenti resti: Schubring stesso parla di alcune tombe greche e sicane a nord, e di altre a sud dello Sperone (i) Op. cit., pag. 24 e segg. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I45 al COSÌ detto Passo di Mandri ^0. Ebbene, sulla stessa linea di quel Passo, nella pianura del Cannateli©, sotto l'estrema punta orientale della Torre che parla vi sono molte tombe greche, sebbene da un pezzo hanno aperto colà una cava di pietra, ed una buona parte delle medesime sia stata portata via. Nel tratto intermedio fra le une e le altre tombe il prof. Giulio Emanuele Rizzo, colto e intelligente, ha rinvenuto gli avanzi di un villaggio sicano (2)j sicché tutta la costa meridionale della Torre che parla presenta indubbi segni di abitazione antica. A metà dell'erta fra il piar.o del Cannatello e quella tenuta vi è un giardino: esso è irrigato dal- l'acqua, che scaturisce ancora da un acquedotto greco. L' ho riscontrato io, e per convincermene meglio vi son penetrato dentro per un buon tratto, e l'ho trovato dell' identico tipo di tutti gli altri acquedotti antichi, che esistono nel nostro territorio. Salendo quell'erta, sulla parte più alta del ciglione sono sparsi per terra molti cocci di vasi e terrecotte antichi, ed altri se ne rinvengono qua e là per tutta la tenuta e specialmente sulla trazzera regia, appena si passa il fiume. In fine, nelle terre Giudice, di fronte alla Casina, nel poggio denominato Mosè, un pò al di sotto di un casaleno diruto, ho rinvenuto avanzi di un imponente fabbricato: tale debbo giudicarlo dalle proporzioni di una colonna, senza che mi sia possibile fare alcuna congettura sulla destinazione del mede- simo, se prima non viene sgombrato il terreno cir- costante. Osservai dunque a fior di terra un concio della nostra pietra calcare di forma circolare; esso misura il diametro di m. 1.90; lo feci scoprire per (i) Loc. cit. (2) V. Bullettino di paletnologia italiana, anno XXIII, n. 1-3 e 79 — P. Orsi, Nuovi materiali siculi nel territorio di Girgenii. 146 CARUSO LANZA una buona metà, e potei osservare che la sua forma continua per oltre 60 centimetri di altezza, sicché non esitai a convincermi, che si trattava del tam- buro di una colonna. Esso alla base si allarga sino a raggiungere m. 1.95 di diametro; probabilmente quella differenza, e la mancanza di scalanature si deve all'opera della zappa e del vomere del contadino, se pure non costituisce la base di una colonna dorica dei bassi tempi, come ne abbiamo l'esempio in quelle del nostro tempio di Giove Ohmpio. Per convincermi se mai si trattasse di un concio buttato lì a caso, ovvero di una colonna piantata al suo posto, feci scovrire il terreno attiguo, e potei osservare che il masso, su cui era stato tagliato quel tamburo di colonna, continuava per altri cm. 44 in linea orizzon- tale, e attaccato allo stesso v'era un altro concio di cm. 60; sicché dalla colonna all'estremità vi è una piattaforma, lo stilobata, su cui si elevava l'edificio. Qui si arrestarono i miei scavi, ma seguendoli chi sa che cosa ne potrebbe venir fuori. Certo è questo, quello che io scopersi, e che è ostensibile a coloro i quali lo voghon vedere, dimostra all'evidenza, che ivi doveva sorgere un edificio di dimensioni non volgari, giacche le colonne del diametro di m. 1.95 non possono addirsi che a costruzioni grandiose. Non sono molti quei resti, e lo comprendo, ma attesa la condizione dei luoghi, i quali non sono stati rimossi da parecchi e parecchi secoli, non li credo neppur pochi, e li ritengo sufficienti per autorizzarmi a conchiudere, che anche ad oriente dell'antica città sia stato un altro sobborgo. Si noti poi che la Torre che parla si prestava meglio d'ogni altro luogo circostante alla fabbrica- zione di nuovi quartieri, godendo sugli altri punti di questi vantaggi : è un sito pianeggiante, elevato e salubre, mentre dalla cima di Girgenti sino al fiume SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I47 è tutto alpestre e in molte parti scosceso, e nel basso poi presso l'Acragas regna la malaria; è molto vicino al centro dell'. mtica città, alla parte più bella, ove sorge ancora la fila dei nostri tempi; è altresì vicino al mare ed all'emporio, e ci si potevano sviluppare strade più comode di quel, che non riesce possibile per mettere in comunicazione il cocuzzolo tortuoso ed erto del colle di Girgenti col centro della città e col porto; e dobbiamo tenere presente sempre, che la vita di Agrigento consistè nel commercio marit- timo, sicché i luoghi più vicini al mare dovevano essere preferiti alle impervie cime delle montagne. Per tutte queste ragioni adunque io credo, che allorquando la città sentì il bisogno di estendersi sopra altri luoghi, al di là di quelli statile assegnati dai fondatori, ebbe a scegliere quel sito per fabbri- carvi il sobborgo principale; ed ivi appunto, in base a tali considerazioni sono andato a cercare, e rin- venni gli indizi, che ho sopra esposti. La Torre che parla dal lato di oriente è bagnata dal fiume di Naro, che ha pure i suoi affluenti ed una portata molto maggiore di quello, che scorre sotto Girgenti. L'ex-feudo, il quale costeggia quel fiume, proprio sotto la Torre che parla, si chiama Ibisa. Nella pronunzia noi del luogo conserviamo meglio l'antico nome di Ipsa, imperocché facciamo la prima i molto lunga — j — e la seconda tanto stretta, che non si sente, diciamo Jbsa: è precisa- mente "^v^t;, il secondo fiume di cui parla Polibio. Ora, se fosse lecito correggere il passo sopra riportato e dire, che l'Ipsas è quel fiume volto ad oriente della città, potremmo spiegarci facilmente tante cose, le quali hanno dato luogo a molti dubbi e lunghe discussioni. 148 CARUSO LANZA Innanzi tutto osservo, che non si dovrebbero fcire alle parole di Polibio delle larghe modificazioni — cosa della quale ci dovremmo sempre guardare — ma sostituire soltanto la parola oriente ad occidente; otterremmo così che la descrizione di lui corrispon- derebbe a capello alla posizione dei luoghi, e gli risparmieremmo il torto di non averli saputo descri- vere. L'Agragas considerato nel suo insieme, quan- tunque verrebbe a sporgere le braccia un po' ad est e ad ovest delle originarie mura, tuttavia starebbe principalmente a mezzogiorno delle medesime, verso quel punto in cui la città aveva la sua esposizione; difatti, dal tempio di Era a quello di Vulcano — come volgarmente si appellano — per una linea retta di due chilometri e piti guardava direttamente il corso del torrente principale, il Drago, e del suo affluente il S. Biagio. Ad oriente e verso la pioggia scor- rerebbe ripsa; e quell'inciso £~ì t^òv 'Xipa sarebbe anche ben appropriato, imperocché i venti dominanti della nostra costa, queUi che portano continua- mente le piogge e le tempeste sono il libeccio ed il greco; e l'Ipsa sta appunto alla direzione di oriente e greco. Troveremmo altresì la soluzione di un fatto anormale, e direi inesplicabile, in riguardo al sistema consueto della religione greca. I nostri padri vivificarono e divinizzarono ogni corso d'acqua, loro tributando molti onori, special- mente a quelli vicini a luoghi abitati. Dato quel che si crede, che l'Acragas fosse stato cioè il nostro torrente S. Biagio, ed Ipsa il Drago, dovremmo ri- levare questo fenomeno paradossale; che mentre sarebbero stati due i fiumi vicini alla città, l' Ipsas di maggior importanza, che ne avrebbe bagnato le coste per un tratto più lungo deli'Acragas, i cittadini SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO T49 poi avrebbero tanto parlato e decantato un ruscello minore, avrebbero a lui resi tutti gli onori; e dell'altro, non che trascurato, ma si sarebbe taciuto perfin il nome: il solo Polibio ne fa menzione. Metteremmo di accordo Polibio, che parla di due fiumi, con tutti gh altri scrittori, i quali uniforme- mente dissero la città di Agrigento situata in riva a un solo, al biondo Acragante. Questo difatti lambiva la città propria, quella, che idearono i fondatori, la abbracciava da tutti i lati, ed appunto per questo potè imporle il suo nome; di esso parlano tutti gli scrittori antichi; mentre ripsas scorreva presso il sobborgo principale degli Agrigentini, di quello, che nato dopo la battaglia d' Imera, veniva ad essere distrutto nel 406 dai Car- taginesi per non ricomparire mai più; e Polibio — notai — nel descrivere la città si riporta ai tempi della maggiore potenza della stessa. Con tale distinzione riesce facile e rispondente ai luoghi la spiegazione di alcune frasi di Pindaro. Egli inneggia alla nostra città siccome ben posta sovra il colle in riva all'erboso Acragante (^). In queste parole tradotte fedelmente dal Mariani è scolpita la posizione dei luoghi: Agrigento era posta sull'aprico e inespugnabile pianoro alle falde della Rupe Atenea — sOSfAx-rov xoXtóvav significa ben costrutta collina; è usato al numero singolare, la qual cosa ci porta a conchiudere, che la rupe attigua di Girgenti non fa- ceva parte della città, in caso contrario Pindaro non avrebbe usato il singolare, ma il duale od anche il (i) ....5 x'oj^S'ai? ètti (LYjXo^ótoo vaUic 'AxpaYÓVTOc toSjiatov xoXcuvav. Pitia, XII, a Mida. 150 CARUSO LANZA plurale — le ben costrutte colline. Pertanto cade assolutamente l'opinione di coloro, i quali vogliono vedere l'acropoli agrigentina sulla cima dell'attuale città; oltre al buon senso, come notai sopra, ci è anche questa testimonianza implicita nelle parole del lirico sovrano. Quel colle — egli seguita — s'innalza sulle rive dell' erboso Acragante; e nel descrivere Tex- feudo Civita feci osservare, come esso è bagnato egualmente dalle due braccia dell'unico fiume. Si viene a spiegare coerentemente altresì l'altra frase di Pindaro, con la quale si dice Agrigento la sacra stanza del fiume ('), e non dei fiumi. Se il nostro Drago fosse stato davvero l'antico Ipsas, Pindaro ne lo avrebbe taciuto, ne si sarebbe espresso a quel modo: non sarebbe stato esatto chiamare sacra stanza del fiume la città se due diversi fossero stati i fiumi, che ricingevano l'ambito delle sue mura, e che abitavano in essa. Con quella correzione del testo di Polibio si spiegherebbe il passo di Plutarco nella Vita di Dione (2) relativo all'esistenza e al sito della Neapoli agrigentina, o di Nea città delle terre agrigentine, come altri traducono. Dei tre sobborghi sopra indicati quello sulla collina di Girgenti, il villaggio sicano, esisteva prima della fondazione greca; l'emporio nacque necessaria- mente insieme ad essa; ed il piti recente, quello che dovette sorgere all'epoca del maggiore sviluppo della città, posteriormente a Terone, la Neapoli, o Nea poli. (1) tèpòv EO/ov oTxYj|i.a iroTcifioo Olimp., II, a Terone. (2) 4>dtpaxo? 8à jtpò;; Nsqc nóXei t-T]? 'AxpaYoivttvTjc 0tpat0Jit8»t)0VT0C. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I5I che per me vai la stessa cosa (i), fu appunto quel sobborgo posto ad oriente della città, sulla tenuta della Torre che parla, bagnato dall' Ipsa. Si spiegherebbero altresì le parole successive dello stesso tratto di Plutarco riguardanti la distanza dal luogo, in cui combatterono Dione e lo spartano Farace, in sino a Siracusa, che fu di 700 stadi secondo quello storico. Se si pone il luogo del combattimento nelle terre sottostanti alla città, presso l'Acragas, come fa lo Schubring, senza che nessun dato di Plutarco lo autorizzi a far quella supposizione, in tale ipotesi la distanza sino a Siracusa ammonterebbe a 784 stadi, giusto le misure date dallo Schubring stesso. Però se il campo di battagha si trasporta sui piani della Ibisa, ovvero su quelli confinanti di Borraiti o Man- drascava, desso, pur restando a vista delle mura della Neapoli agrigentina, starebbe ad otto o dieci miglia ad est dell'Acragas, e si ehminerebbero così altri 60, od 80 stadi: in tal guisa il conto, che fa lo Schubring, e non gli torna (2) verrebbe a corrispondere esatta- mente con la cifra, che lasciò scritta Plutarco. Se le mura della città e del suo nuovo quartiere si estendessero dall' Acragas all'Ipsas nel modo ond'io (i) Io non so spiegarmi, perchè si debba asserire con tutta certezza che Plutarco scrisse Néa «óXei — le due parole distaccate — e non NeanóXei — riunite; quando sappiamo che le antiche pergamene portano tutte le parole scritte di seguito, ed il relativo distacco, gli accenti, i punti e le virgole sono l'opera di coloro, i quali leggono e trascrivono le opere antiche, non mi pare affatto dimostrato che quella sia stata la dicitura voluta da Plutarco. Ad ogni modo per provare che a quelle due parole si annetteva lo stesso significato, tanto scritte riunite, come separate, porto l'esempio di Dìodoro, il quale le scrisse promiscuamente. V. lib. XIV, cap. II. (2) Op. cit., pag. 22. 152 CARUSO LANZA ritengo, cioè dal nostro fiume a quel di Naro, ver- rebbero a raggiungere un perimetro di 14 a 15 chi- lometri, 80 stadi circa, oltre ai due piccoli sobborghi dell'emporio e di quello sul colle di Girgenti. In tal maniera si renderebbe meno marcata la sproporzione fra Siracusa ed Agrigento, fra i 180 ed i 37 stadi, ed anche 50, se si volesse credere al giro delle mura, che le attribuisce Schubring. Fazello, intendentissimo delle cose sicule, che visse quattro secoli fa, allorquando eran meglio conservati e visibili gli avanzi delle antiche opere, dice che Agrigento occupava l'area contenuta in un perimetro di dieci miglia (^) ; ed altrettanto affermano Rocco Pirri (2) e Vito Amico (3); essi evidentemente giudicarono che la tenuta Torre che parla era inclusa nell'ambito della città; sicché la mia opinione viene ad essere sorretta dall'autorità di archeologi compe- tentissimi. Se l'Ipsa fosse il fiume di Naro, potremmo spie- gare insieme un passo di Vibio ed un episodio di Erodoto. Il primo dice : Hypsa secundum Inicon, urbein Sicaniae^ gratam Herculi. Erodoto narra quest'epi- sodio: Scite, signore di Zaucla, si trovava ad asse- diare una città dei Sicoh; Anassila, tiranno di Reggio, occupò Zaucla; Scite si rivolse per ajuto ad Ippocrate, tiranno di Gela, con cui era legato da un trattato di alleanza; ma Ippocrate accorso col suo esercito prese e mise in ceppi Scite ed il fratello, Pitogene, e li relegò nel castello di Inico; Scite ebbe agio di fuggire (i) De rebus siculis. Deca, I, cap. I: .... ut decem p. ni. ambitu, quo ttrbs conlirìebatur.... (2) Sicilia Sacra. Agrigentum. (3) Lexicon topographicum Siciliae. Agrigentum. SPIEGAZIONE STORICA DELLE MONETE DI AGRIGENTO I53 di là e recarsi in Asia presso Dario, da cui fu tenuto ed onorato sino alla morte (^). Alcuni, commentando la narrazione di Erodoto e tenendo presenti le parole di Vibio, fanno questo ragionamento : si diceva Sicania la parte occidentale dell'isola; presso Selinunte scorreva un fiume chia- mato Ipsas; dunque Scite fu relegato in un castello esistente nelle vicinanze di quella città. Essi però non riflettono, che Gela non ebbe mai possedimenti fino a Selinunte, e che nel 495 circa, allorquando succedev^o quegli avvenimenti, fra il territorio di Gela e quello di quest' ultima città stavano i vasti domini agrigentini; dunque non è possibile che Inico sia stata presso Selinunte. Altri convengono che oltre a quell'Ipsas un altro fiume vi era dello stesso nome, e del quale fa cenno Tolomeo; ma lo mettono nella parte orientale della Sicilia fra Camarina e Pachino. Però sono smentiti, non che da Vibio, da cento altri scrittori antichi, i quali dicono Inico, presso cui scorreva quel fiume, una città sicana, anzi la regia di Cocalo il famoso uccisore di Minos; e quei luoghi invece appartene- vano ai Sicoli. Se ripsa di Vibio fosse stato il nostro Drago, come vogliono Holm, Schubring, Picone e tanti altri, avremmo queste contradizioni ed inverosimiglianze: si dovrebbe mettere il castello di hiico sull'uno o sull'altro dei due colli, nel cui mezzo scorre il fiume, la collina di Girgenti e la Montagna del Crasto, come noi la chiamiamo. Quivi però probabilmente sorse la sicana Krastos, come indica il nome; ed in quanto a Girgenti, domanderei a quegh insigni archeologi, se ci era la città di Inico, come va che essi ci met- tono pure l'acropoh agrigentina? (i) Lib. VI. 154 CARUSO LAN ZA Si aggiunga a ciò, che la relegazione di Scite sarebbe avvenuta intorno all'epoca di Terone — sci o sette anni prima della di lui ascensione alla signoria di Agrigento — allorquando cioè la città era divenuta popolosa e potente, padrona di estesissimo territorio, e Gela non ebbe mai possedimenti sino alle porte di Agrigento, anzi ad occidente delle sue mura, tanto meno poi in quel tempo. L'Inico di Erodoto per tanto non poteva essere sul colle di Girgenti, ne sulla Montagna del Crasto ; in conseguenza non può essere l'Ipsa di Vibio il fiume, che scorre ai piedi delle medesime colline ; e l'Ipsa a cui accenna Polibio, che è evidentemente lo stesso di quello, di cui fa menzione Vibio, non può, anzi non deve identificarsi col nostro Drago per non incorrere nelle contradizioni teste cennate. Viceversa, se si volesse ammettere quella sem- plice correzione del passo di Polibio, che io ho pro- posto di fare, che l'Ipsas cioè scorra ad oriente della città, e però sia il fiume di Naro, noi potremmo spiegare agevolmente la narrazione di Erodoto, e trovare Inico, che non è stata indicata da alcuno, nel sito denominato Castellazzo, una delle cime della montagna, su cui siede la città di Naro. In quel luogo sonvi imponenti vestigia di abita- zione preellenica, primo e che basta per tutti, un ipogeo del medesimo tipo di quelli esistenti sul colle di Girgenti. Scorre ai piedi della montagna di Naro, il fiume, che da quella città oggi prende il suo nome, e che arrivato poi presso il sobborgo agrigentino bagna l'ex-feudo Ibsa. Avremmo dunque una città sicana, presso la quale scorreva il fiume Ipsa, che potremmo ben riconoscere per Iiiico, giacché Hypsa seciindum Inicon, urbeni Sicaniae, e Sicania si diceva tutto il paese occidentale dell'isola. Naro è più vicina a Gela anzi che ad Agrigento; e fin là potevano SPIEGAZIONE STORICA DEU-E MONETE DI AGRIGENTO I55 giungere probabilmente i domini di Ippocrate, i quali così non si farebbero arrivare ne al Pachino, ne a Selinunte, ne alle porte di Agrigento; ed in tal modo riescirebbe perfettamente verosimile e spiegabile l'e- pisodio narrato da Erodoto. Insomma, con quella semplice correzione del passo di Polibio potremmo mettere di accordo Polibio stesso con Vibio, Erodoto Tolomeo, Pindaro, Plutarco, Diogene Laerzio, Strabone e cento altri, e non far la figura del lector unius libri, il quale, non potendo trovare sui luoghi quello, che sta scritto nel suo libro, è costretto ad invocare il beneficio di un cataclisma o di un deus ex machina. Per conchiudere: la moneta, che ho illustrato nel presente capitolo, e che mi costrinse ad una larga digressione, ci presenta in una stessa faccia due figure simboliche di deità appartenenti al regno delle acque, o meglio ancora, il simbolo e la persona propria di due fiumi diversi. Il primo, l'emblema granchio, rappresenta l'Acragas, come dimostrai nel primo capitolo. L'altro nume messo in correlazione con quello — giacche non è ammissibile che nel cerchio Hmitatissimo di una moneta si debbano tro- vare le rappresentazioni di soggetti, che non abbiano veruna concordanza fra loro — l'altro nume dico, non può rappresentar altro che Tlpsa; infatti dissi, e qui ripeto, ne gli antichi scrittori fecero menzione di altri corsi d'acqua vicini ad Agrigento, ne ve ne sono neppur adesso. Si noti che nel vaso cinerario sopra descritto i due geni sono di sesso diverso. Tuo maschio e l'altro femina : e l'Acragas fu rappre- sentato sempre come un giovanotto; il suo nome, Acragas-autis, è di genere maschile, mentre Hypsa-ae, è di genere femminile, e tanto nel vaso come nella 156 CARUSO LANZA presente moneta la relativa figura è precisamente di un mostro femina (V. Tavola II, n. 2). Sicché molti indizi dimostrano concordemente che la figura di cotesto mostro rappresenti il secondo fiume agri- gentino. Tanto nel vaso però come nella moneta abbiamo osservato, che le figure sono separate, indipendenti l'una dall'altra, non presentando verun tratto di unione, il quale debba farci comprendere che gli esseri in esse simboleggiati siano legati insieme fra loro necessariamente, che vivano una vita comune, che rappresentino le due braccia di unico corpo; anzi notai come nel vaso sopra descritto le due figure sono separate da un breve tratto di mare; in conse- guenza di cotali osservazioni possiamo conchiudere che le due figure della moneta non possono rappre- sentare i due influenti S. Biagio e Drago; ma si bene i due fiumi diversi, che mettono foce a poca distanza fra loro, il Drago col suo affluente, ed il Naro coi suoi. I monumenti e i luoghi sono documenti storici di tal natura, che non vanno soggetti agli sgorbi dei copisti, e sui quali non è permesso sofisticare: quel, che dicono, è. (Continua). M. Caruso Lanza. LES MONNAIES de Septime Sevère, de Caracalla et de Géta relatives à l'Afrique (0 Les historiens se sont complu à faire ressortir les faveurs exceptionnelles dont le premier des em- pereurs africains combla la province dont il était originaire. Né à Leptis Magna, le n avril 146, issu d'une famille d'ordre equestre depuis longtemps déjà fixée en Afrique, Septime Sevère fut élevé dans son pays d'origine jusqu'à l'age de 18 ans. « Il frequenta d'abord les écoles d'Afrique, probablement celles de Carthage ou de Madaure, très célèbres a cette epoque et supérieures mémes à celles de Rome » (2). Il s'instruisit à fond dans les lettres puniques, et mème il paraìt que plus tard il conserva toujours dans sa prononciation du latin l'accent punique (s). On connaìt son admiration pour Annibal auquel il fit élever une statue de marbré; son fils Ciracalla fit aussi exécuter plusieurs statues du héros cartha- ginois (4), (i) Memoria presentata e letta dall'Autore al Congresso di Roma. N. d. R. (2) Ad. de Ceuleneer, Essai sur la vie et le règne de Septime Severe, pag- 13- (3) Spartien, Sev., 19; Aurel. Victor, Caes., 20; Epit., 20; cf. Ceu- leneer, op. cit., pag. 14; V. DuRUY, Hist. des Romains, t. VI, pag. 41. (4) Hérodien, IV, 8. 158 ERNEST BABELON Cette prédilection pour l'Afrique et en parti- culier pour Carthage, qui est signalée par les anna- listes romains, et que révèle aussi l'épigraphie africaine si abondante pour cette epoque, a son reflet direct dans les types monétaires des règnes de Septime Sevère, de Caracalla et de Géta. Peu après son entrée à Rome, le 7 Juin 193, Septime Sevère se hàta d'envoyer des légions en Afrique pour protéger cette province con tre son compétiteur Pescennius Niger qui, maitre encore d'une partie de l'Orient, eut pù tenter par l'Egypte un coup de main de ce coté, et ainsi, peut ètre affamer Rome et l'Italie TO. L'année suivante, en 194, Sevère réorganisa l'administration de l'Afrique; il détacha de la Proconsulaire la Numidie dont il fit une pro- vince speciale avec Cirta pour capitale, gouvernée par un prceses provincice Numidice (2). Des monnaies datées des 3*^ et 4^ salutations impériales de Septime Sevère (194-195), font allusion à ces évènements et à cette réforme administrative (3). Ce sont les suivantes: I. B' — L • SEPT • SEV • PERT • AVG • IMP • III. Téte lauree de Septime Sevère, à droite. ^ — AFRICA. L'Afrique debout à droite, coififée de la dépouille d'éléphant, vétue d'une ampie stola et d'un peplum ; de la main gauche levée et tendue en avant elle forme avec les plis de son manteau un sinus rempli de grains de blé et d'épis ; elle ramène la main droite sur sa banche; à ses pieds, un lion. Dans le champ S • C. Grand bronze. Frappé en 194 (Cohen, n. 26). PI. Ili, n. i. (i) Spartien, Sev., 8. (2) A. DE Ceuleneer, op. cil., pag. 246-247. (3) Sur les dates des imperatorats de Septime Sevère, voir : Wuìth, Questiones Severianae, pag. 24; R. Cagnat, Cours d'épigraphie latine (3« édit.), pag. 195. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVERE, ETC. I59 2. Variété, avec le buste cuirassé. Cohen, n. 27. 3. B' — L • SEPT • SEV • PERI • AVO • IMP • illl. Meme téle. I^ — Pareli au précédent. Grand bronza. Frappé en 194 ou 195 (Cohen, n. 28). 4. Variété, avec le buste cuirassé. Cohen, n. 29. 5. Meme description, mais avec la tète radiée. Moyen bronze. Frappé en 194 ou 195 (Cohen, n. 30J. Dans les années qui suivirent. Sevère obligé de passer en Caule pour réduire Albin, puis de diriger une grande expédition contre les Parthes et de parcourir l'Asie et l'Egypte, n'eut guère le temps de s'occuper de l'Afrique. Mais, rentré enfin à Rome, en mai 202, il commenda à jouir, pour plusieurs années, d'un repos qu'il avait bien gagné et qui se prolongea jusqu'à son expédition de Bretagne en 208. Durant ces cinq années, il put, de nouveau, donner libre cours à sa sollicitude pour l'Afrique, ainsi que les monnaies vont nous l'attester, en dépit du silence des sources littéraires ou épigraphiques. Je dois rappeler que Caracalla était investi de la dignité d'Auguste, et Géta, de celle de Cesar, l'un depuis Mai, l'autre depuis Juin 198 (^\ M. de Ceuleneer soupgonne, avec M. Héron de Villefosse, que dans le cours de cette période de paix, c'est à dire peu après 202, Septime Sevère dut entreprendre un voyage en Afrique: « Les auteurs anciens, dit-il, ne nous disent pas que depuis la fin de la guerre d'Orient jusqu'à Texpédition de Bretagne, Sevère ait quitte l'Italie, mais la présence (i) R. Cagnat, op. cit., pag. 197 et 198. l6o ERNEST BABELON à Lambèse, en 203, d'unt familia rattonis castrensts i^\ nous permet de supposer qu'en cette année Sevère se rendit en Afrique. Nous savons, en effet, que le prince ne quittait jamais Rome sans ètre accompagné d'un certain nombre d'employés de sa maison civile et militaire » (^). Les monnaies que nous allons décrire donnent une grande force à cette h3'pothèse, qu'on pourrait d'ailleurs aussi fortifier en rappelant un passage de Spartien et d'Aurelius Victor qui racontent qu'après son expédition des Parthes, Sevère rendit la sécurité à la Tripolitaine, par l'entière défaite de quelques peuplades belliqueuses qui s'étaient avancées jusque sous les murs de Leptis (3). En ce qui concerne le témoignage des monnaies, nous pouvons dire que si elles n'affirment pas, elles non plus, d'une manière catégorique la présence de Sevère en Afrique, du moins elles nous attestent qu'à cette epoque il s'occupa tout particulièrement de cette province et elles nous précisent la nature des bienfaits dont il la gratifia, et qui l'y rendirent populaire au point que les Africains, dit Spartien, vénéraient Septime Sevère comme un dieu {ab Afris ut deus habetur) (4). Ces bienfaits, disons-le tout de suite, sont, en premier lieu, la remise de la taxe à laquelle les Carthaginois étaient soumis depuis le règne d'Hadrien pour payer les frais de construction de l'aqueduc du mont Za- ghouan à Carthage; c'est, en second lieu, la restau- ration ou Tembellissement du tempie d'Esculape, l'ancien sanctuaire punique d'Eschmoun, sur la colline (i) L. Renier, Itìscr. d' Algerie, n. 69; C. /. L., t. Vili, n. 2702; Hérok DE ViLLEFOssE, art. Castrtnses, dans Daremberg et Saglio, Dici, des antiq. gr. et rom., t. I, pag. 960. (2) A. DE Ceuleneer, op. ci/., pag. 133. (3) Spartien, Sev., 18 ; Aurel. Victor, Caes., 20. (4) Spartien, Sev., 13. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVÈRE, ETC. l6l de Byrsa. Il faut ajouter a cela, bien que les monnaies n'y fassent pas une allusion directe, la concession du droit italique à plusieurs vilies africaines. Les monnaies qui furent frappées pour con- sacrer le souvenir du premier de ces actes de la munificence imperiale sont, les unes, à l'effigie de Septime Sevère, les autres à l'effigie de Caracalla ou à celle de Géta; leur rapprochement permet d*en fixer rigoureusement la date en 203 et 204. EUes portent la mention de la 11^ et de la 12^ puissance tribunice de Sevère, et de la 6*" puissance tribunice de Caracalla. SEPTIME SEVÈRE (en 203). 6. ^ - SEVERVS PIVS AVG • P M • TR • P • XI. Buste de Septime Sevère à droite, laure et cuirassé. 9 — INDVLGENTIA AVGGIN CARTH. La déesse C^les- tis assise de face sur un lion qui bondit à droite; elle est tourelée, regarde de face, s'appuie de la main droite sur le tympanum et tient de la main gauche le sceptre. A gauche, un rocher d'où s'échappent des eaux à grands flots. Dans le champ S • C. Moyen bronze (Cohen, n. 218). PI. Ili, n. 2. 7. — Meme description, mais Caelestis tient un foudre de la main droite. Grand bronze (Cohen, n. 223). CARACALLA (en 203). 8. B' - ANTONINVS PIVS AVO • PONT • TR • P • VI- Buste de Caracalla jeune, à droite, laure, drapé et cuirassé. ^ - INDVLGENTIA AVG& • IN CARTH- La déesse Cse lestis assise de face sur un lion qui bondit à droite; elle est tourelée et regarde de face ; de la main droite elle s'appuie sur le tympanum et elle tient l6a ERNEST BABELON le sceptre de la main gauche. A gauche, le rocher d'où s'échappent des flots. Dans le champ S • C. Moyen bronze. Frappé en 203 (Cohen, n. 99). PI. Ili, n. 3. 9. — Variété, avec le buste de Caracalla radié, drapé et cuirassé. Cohen, n. 100. 10. ^ — Meme droit. P^ — Mémes legende et type, mais Caelestis tient (d'a- près la description de Cohen), un rameau d'olivier et s'appuie sur le tympanum. Grand bronze, de la Bibliothèque de Saint-Marc à Venise (Cohen, n. 98}. SEPTIME SEVÈRE (en 204). 11. ^ — SEVERVS PIVS AVG- • P • M • TR • P • XII. Buste de Septime Sevère à droite, laure, drapé et cuirassé. ^ — INDVLGENTIA AVGG- • IN CARTH. La déesse Cae- lestis assise de face sur un lion qui bondit à droite; elle est tourelée et regarde de face ; elle tient le foudre et le sceptre; derrière elle, le rocher d'où s'échappent des flots. Aureus (Cohen, n. 224). PI. HI, n. 4. 12. ^ — Meme droit. I^ — Meme legende et type, mais Caelestis regarde à droite. Dans le champ, S • C Grand bronze avec bords relevés (Cohen, n. 225). PI. Ili, n. 5. 13. — Variété ; Caelestis regarde à gauche. Moyen bronze (Cohen, n. 226). PI. Ili, n. 6. 14. ^ - SEVERVS PIVS AVG • Tète .lauree de Septime Se- vère, à droite. I^ — Meme legende et type ; mais la déesse regarde à droite; elle tient le foudre et le sceptre. Aureus (Cohen, n. 227). LES MONNAIES DE SEPTIME SEVÈRE, ETC. 163 15. — Meme description. Denier d'argent (Cohen, n. 222). PI. Ili n. 7. 16. ^ — Meme legende. Buste de Septime Sevère, à droite. '^ — Meme legende et type ; mais la déesse regarde de face ; elle tient le tympanum et le sceptre. Aureus (Cohen, n, 217). PI. Ili, n. 8. CARACALLA (en 204). 17. ;& — ANTONINVS PIVS AVO- • Buste jeune de Caracalla à droite, laure et drapé. I^ - INDVLGENTIA AVGG • IN CART • [sic). Caelestis sur un lion, comme ci-dessus ; la déesse regarde à droite, et elle tient le foudre et le sceptre. Aureus (Cohen, n. 96). 18. — Variété, avec CARTH. Denier d'argent (Cohen, n. 97). PI. Ili, n. 9. La grande déesse de Carthage, la Tanit ou Astarté punique, devenue Caelestis, et assimilée, à la fois, à Junon et à Cybèle, représente sur les monnaies que nous venons de décrire, la ville objet de la faveur imperiale {indulgentia Attgitstonim); derrière elle, on n'a jamais hésité, avec raison, à reconnaìtre le rocher du mons Zeitgitanus (djebel Zaghouan) dont les sources abondantes furent captées et amenées à Carthage par un aqueduc dont les proportions gigantesques étonnent encore le voyageur moderne. Cet aqueduc qui avait un parcours de 92 kilomètres, dont 17 composés d'arcs et de piliers qui dépassent parfois vingt mètres de hauteur, déversait dans les immenses citernes de Carthage, trente deux millions de litres d'eau par jour (0. (i) EcKHEL, Doctr. num. vet., l. VII, pag. 184; Ph. Caillat, Notice sur l'aqueduc de Carthage, dans la Rev. archéoL, 1873, II, pag. 298; Adr. Blanchet, Etudes de numism., II (1901), pag. 172. 164 ERNEST BABELON On a suppose, sans la moindre preuve, que cet aqueduc existait déjà à l'epoque punique et qu'il fut restaurò par Hadrien vers l'an 136. Mais rien dans cette construction, non plus que dans celle des ci- ternes de La Malga et de Bordj Djedid auxquelles la canalisation aboutit, ne parait remonter à l'epoque punique. Il est à croire que si cet aqueduc qui do- mine si superbement la plaine des environs de Car- thage eut existé à l'epoque du siège de l'an 146 par Scipion, par exemple, les historiens du siège en parleraient; il eut joué un ròle non seulement à l'occasion de ce siège mais aussi dans les guerres antérieures, car il serait inadmissible que les Romains n'eussent pas au moins coupé cet aqueduc pour imposer les tortures de la soif aux Carthaginois bloqués ou assiégés. La construction est entièrement romaine. Faut-il en faire honneur à Hadrien? C'est probable, pour les raisons suivantes. Hadrien vint plusieurs fois en Afrique; il combla, nous dit Spartien, les Africains de ses bienfaits (^); il fit exécuter dans la Proconsulaire, en Numidie et en Maurétanie des routes et d'autres travaux d'utilité jìublique attestés par des inscriptions ; il fit Trapper de nombreuses monnaics qui célèbrent son action bienfaisante en Afrique et portent les légendes: AFRICA; ADVENTVI AVGAFRICAE; RESTITVTOR AFRICAE; d'autres médailles se rapportent à la Libye et à la Maurétanie '2) On sait qu' Hadrien, dans ses voyages, était accompagné d'architectes, d'ingénieurs, et d'ou- vriers habiles. Au commencement de son règne, avant son premier voyage en Afrique, Carthage avait eu à subir les effets d'une effroyable sécheresse qui (1) Spartien, Hadr., 13. (2) H. Greppo, Mémoire sur les voyages de l' etupereur Hadrien, pag. 199 et suiv. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVÈRE, ETC. 165 avait dure cinq ans, - ce qui proiive que Taqueduc n'existait point encore. Et à peine Hadrien eut-il mis le pied sur le sol africain qu'une pluie abondante vint faire cesser cette calamite publique: atque ideo ab Afncanis dihctus est, ajoute Spartien (^). Il est donc très probable que Hadrien dut prendre les mesures nécessaires pour éviter le retour du fléau dont les Carthaginois av^aient si longtemps souffert ^2). D'autre part, Taqueduc était achevé sous Antonin le Pieux, puisque sous ce règne on construisit les Thermes desservis par un canal derive des grandes citernes, et dont on a retrouvé Tinscription dédica- toire '^3). Antonin le Pieux, lui aussi, fit frapper, en l'an 139. des monnaies avec la représentation de TAfrique '4). Nous pouvons donc admettre en tonte sùreté que ce furent les ingénieurs romains du temps d'Hadrien et d'Antonin qui congurent et exécutèrent cette oeuvre grandiose, l'une des merveilles de TAfrique, qui devait faire la prospérité de la Carthage romaine. Mais est-on autorisé, en s'appuyant sur les mé- dailles que nous avons décrites plus haut, à affirmer, comme on le fait généralement, que Settime Sevère fit réparer l'aqueduc à ses frais? Telle serait, suivant certains auteurs, le sens symbolique du type mone- taire que nous avons sous les yeux <^5). C'est avec (i) Spartien, Hadr., 22. (2) Ph. Caillat, dans la Rev. Archéol., nouv. sèrie, t. XXVI, 1873, pag. 293. (3) Vernaz, dans la Revue Archéol., 3* sér., t. X, 1887, pag. 164; R. Cagnat, Ménte recueil, pag. 171 ; Ch. Tissot, Géogr. cotnp. de l'atte, prov. d'Afrique, t. I, pag. 799. (4) H. Cohen, Méd. impér., t. II, pag. 272, n. 21 et suiv. (5) EcKHEL, Doclr. mmior. vet., t. VII, pag. 184 ; E. de Sainte-Marie, Mission à Carthage, pag. 194 ; cf. Ph. Caillat, Noiice sur l' ancien aque- diic de Carthage et sa restaiiration, loc. cit. ; J. Vernaz, dans la Revue archéol., 3' sèrie, t. X, 1887, pag. 12 à 23 ; E. Babelon, Carthage, p. 148. l66 ERNEST BABELON raison que, naguère, M. Adrien Blanchet s'est élevé contre cette opinion; il observe justement que le mot indiilgentia doit avoir, comme toujours, le sens de remise d'impot; seulement, tandis qu'il reconnait bien que le type des monnaies vise l'adduction des eaux du Zaghouan, il croit que la legende a, au contraire, « rapport à une remise d'impot dont Carthage béné- ficiait par le fait mème que le jus italicum lui avait été conféré. » Ainsi, chose étrange en vérité, la legende de ces monnaies ne serait pas en connexion étroite avec leur type. C'est sur ce dernier point que je me séparé de M. Blanchet, ainsi qu'on va en juger. Au point de vue juridique et administratif, — M. Edouard Cuq Ta démontré récemment, — le mot indulgeiitia a le sens d'immunité, de dispense d'obser- vation de la loi, accordée par une faveur speciale de l'empereur; c'est la remise de peine, l'amnistie quand il s'agìt de coupables ; c'est la remise d'impót, le dégrèvement de taxes lorsque le mot s'applique à des contribuables pris en masse ou en particulier. « Uindulgentia, dit M. Cuq, commentant cette dernière acception, s'appliquait le plus souvent à l'arriéré de l'impòt {reliqua) „ (0. Le revers Indiilgentia Augusti paraìt souvent sur les monnaies romaines à partir d'Hadrien, et toujours il a le sens de remise d'impót accordée per la bien- veillance de l'empereur. A l'epoque mème de nos monnaies, Septime Sevère et Caracalla en firent Trap- per Ad'autres qui portent la legende : INDVLGENTIA AVGG" IN ITALIAM N; et cette inscription monétaire fait certainement allusion à la remise d'une taxe ou d'un arriéré d'impót pour les habitants de l'Italie. (i) Edouard Cuq, art. Indulgentia, dans le Dictiontt. des Antiq. de Daremberg et Saglio. (2) Cohen, t. IV, pag. 27, n. 228 et pag. 153, n. 102. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVÈRE, ETC. 167 Par extension, le terme indiilgentia signifìe aussi un privilège special accordé par l'empereur, et c'est dans ce dernier sens qu'il faut entendre la legende d'une monnaie de Patrae d'Achaie frappée sous Au- guste: INDVLGENTIAE AVO- • MONETA IMPETRATA (). Cette legende signifìe manifestement que la colonie de Patrae dut à la bienveillance de l'empereur le privilège d'ouvrir un atelier monétaire. Fxemption ou privilège par faveur imperiale, c'est l'un de ces deux sens que nous devons donner à la legende: Indulgentia Angustoriim in Cartilagine)}!. Jamais V indulgentia imperiale n'a pu prendre la forme d'une gratification pécuniaire ou d'une entreprise de travaux publics. Nous considérerons donc, avec M. Blanchet, qu'il s'agit, dans l'espèce, d'une remise de taxe, de l'abolition d'un impót, concédée aux habitants de Carthage par la bienveillance de Septime Sevère. Mais, de quelle taxe peut-il bien ètre question? Le type monétaire nous apprend, à n'en pas douter, qu'il s'agit d'une taxe relative à l'adduction à Car- thage des eaux du Zaghouan. Et en effet, cette construction de l'aqueduc et des citernes ne dut pas se faire sans entraìner des dépenses énormes qui retombèrent sur les contribuables Carthaginois, sous la forme d'un impòt additionnel comme nous dirions aujourd'hui. Depuis Hadrien et Antonin le Pieux, ils étaient lourdement grevés , obérés. Nous devons admettre que c'est cette taxe ou l'arriéré de cette taxe dont Septime Sevère fit la remise aux Carthaginois: rien de plus naturel, et par là, disparait l'hypothèse tonte gratuite d'une restauration de l'aqueduc par Septime Sevère. Et, il convient de le faire remarquer, cet aqueduc bàti sous Hadrien et Antonin le Pieux, ne pouvait ètre déjà, sous Septime Sevère, dans un tei (i) MioNNET, Descript, des médailles antiques, t. II, pag. 192, n. 326. l68 ERNEST BABELON état de délabrement que sa réparation eut occasionné des travaux assez importants pour mériter les hon- neurs d'une commémoration monétaire. Il en est tout autrement d'une remise d'impòt qui devait contribuer à rendre l'empereur si populaire; ai-je besoin de rappeler les nombreux revers de monnaies romaines, sous Nerva, Trajan, Antonin le Pieux et d'autres règnes, qui consacrent le souvenir de dégrèvements de taxes ou d'abolition d'impóts et de redevances? J'ai signalé dans la description de nos pièces les variétés que présente l'attitude de la déesse. Son attri- but ordinaire est le tympanum ou tambourin qui ca- ractérise la Cybèle gréco-romaine, et celle-ci est, Gomme on le sait, fréquemment représentée assise sur un lion. Mais, à la place du tympanum, Caelestis tient parfois un foudre, attribut nouveau qui mérite de retenir un instant notre attention. Dans son Apologeticum qu'il écrivait en 197, c'est- à-dire cinq ans seulement avant l'émission de nos mon- naies ('), Tertullien appelle notre déesse: pluviariim pollicitatrix (2), et cette qualification, comme l'a bien vu Eckhel, se trouve en relation directe avec le foudre que Caelestis tient parfois à la main La foudre pro- voque et accompagne les orages dont les eaux bien- faisantes alimentaient les sources du mons Zeugitanus ; c'est un foudre aussi que tient à la main Zeus 'Tér.o; {Jupiter Pluvius) sur des monnaies d'Ephèse à l'effigie d'Antonin le Pieux, qui le représentent assis en face des rochers du mont Peion (3^ ce rapprochement pa- raìtra, sans doute, caractéristique. (i) Paul Monceaux, Histoire littéraire de l' Afrique chrétienne^ t. I, pag. 208. (2) Tertullien, Apolog. 23; cf. Eckhel, op. cit., t. VII, pag. 184. (3) Barclay V. Head, tata!, of the greek Coins of Ionia, pag. 79, n» 237 et pi. XIII, 9; cf. Eckhel, Doctr. num. vet., t. II, pag. 514. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVÈRE, ETC. 169 Le troisième groupe des monnaies de Septime Sevère et de ses fils, relatives à l'Afrique, nous reporte à trois ans plus tard, en 207, l'année qui precèda le départ de Septime Sevère pour son expédition de Bretagne oìi il devait, en 211, trouver la mort. Ces monnaies qui, suivant nous, ont au revers, l'image du tempie d'Esculape à Carthage, sont les suivantes : SEPTIME SEVERE. 19. B' — SEVERVS PIVS AVG-. Téte lauree de Septime Sé vére, à droite. ^ — P • M • TR • P • XV • COS • III • P • P • Tempie à deux colonnes sous lequel on voit Esculape, imberbe, nu debout, de face, entre deux serpents dressés; lui mème s'appuie sur un bàton autour duquel est enroulé un serpent, et il ramène la main gauche sur sa banche; le fronton du tempie est orné d'une couronne. Aureus (Cohen, n, 484). PI. \U, 11. io (i). 20. B^ — L-SEPTIMIVS SEVERVS PIVS AVG-- Téte ou buste laure de Septime Sevère, à droite. 9' - P • M • TR • P • XV • COS • MI • P • P • S • C. Le méme tempie. Moyen bronze (Cohen, n. 485). PI. Ili, n. 11. (i) Cet aureus est connu seiilement en trois exemplaires. L'un qui est décrit par Cohen, est depuis longtemps dans la coUection de M. le comte Albéric du Chastel, près de Spa ; le second vient d'entrer au Cabinet des Médailles de Paris, gràce au désintéressement de M. le comte du Chastel, qui l'avait acquis d'une grande trouvaille faite à Karnak, il y a deux ans ; le troisième est au Cabinet de Bruxelles. H. Cohen enregistre à tort les lettres S . C à la suite de la legende du revers. Voyez la description de la trouvaille de Karnak, par M. K. Re- gling, dans la recueil intitulé: Feslchrift zu Otto Hirsclifelds sechzigstem Geburtstage (Berlin, 1903, in-8), pag. 286 à 298). 170 ERNEST BABELON CARACALLA. 2r. ^ " ANTONINVS PIVS AVG-- Téle lauree et imberbe de Caracalla, à droite. R) — PONTIFEX TR-PX-COS- II. Le méme tempie. Aureus (Cohen, n. 409). GÉTA. 22r B' — ? • SEPTINIIVS GETA CAESAR • Buste cuirassé et téte nue de Géta, à gauche. ^ — PONTIFEX COS -se- Le méme tempie. Moyen bronza (Cohen, n. 102). PI. Ili, n. 12. 23- Variété avec le buste de Géta, à droite. Cohen, n. 103. On ne peut guère douter qu'il s'agisse, sur ces monnaies, du tempie d'Esculape à Carthage, et l'on aura remarqué tout de suite les différences qui ca- ractérisent ce dieu, l'ancien Echmoun carthaginois, des autres Esculapes de l'empire romain. Depuis l'epoque des Antonins, Esculape était devenu le dieu à la mode et on lui eleva partout des sanctuaires et des statues qu'on trouve reproduits sur les monnaies de Rome ou des provinces. Esculape est toujours représenté suivant le type d'Epidaure, de Pergame ou de l'ile du Tibre, c'est à dire tei que nous le montre, entre mille, la fameuse statue du musée de Naples, barbu, le haut du torse nu, le reste du corps enveloppé d'une ampie chlamyde dont les plis sont rejetés sur Tépaule (0. Souvent il est accom- pagné d'Hygie et de Télesphore. Sur nos monnaies n. 19 à 23, nous voyons, au contraire, un dieu imberbe, entièrement nu, dans une (1) Maurice Besnier, L'ile tiberine datis l'aniiquUé, pag. 193. LES MONNAIES DE SEPTIME SEVERE, ETC, I7I pose tout à fait differente de celle de l'Esculape or- dinaire avec lequel il n'a de commun que le bàton au serpent sur lequel il s'appuie. Les deux autres serpents qui se dressent sur leurs replis de chaque coté de lui, ne se rencontrent jamais ailleurs. Nous avons donc là une image positive de l'Eschmoun- Esculape Carthaginois, celui que Tertullien stigmatise en mème temps que Caelestis: Ista ipsa Virgo Ccelestis phivianim pollicitatrix , iste ipse ^sculapius medicina- rum demonstrator alia die fuori turi s ('). Les monuments de l'antiquité figurée qui nous sont parvenus, donnent-ils des représentations d'un Esculape imberbe que nous puissions rapprocher de notre type monétaire? M. E. Michon a publié en 1896, sous le titre Esculape jeune, une statuette mutilée, du Musée du Louvre qui représente un buste d'éphèbe ayant pour attribut un baton autour duquel est enroulé un serpent (^^ C'est bien un Esculape jeune, si ce baton n'est pas une restauration moderne; mais le monument est trop mutile pour faire Tobjet d'une comparaison utile. M. Michon examine avec grand soin toutes les autres représentations antiques dans lesquelles on a tenté de reconnaitre des Ksculapes imberbes, et de cette critique minutieuse, il résulte qu'aucune de ces attributions n'est certaine. Des textes, pourtant, affirment que Calamis avait sculpté pour le tempie de Sicyone un Esculape imberbe; il y en avait un autre à Phlius; Scopas enfin, avait sculpté pour Gortys d'Arcadie, un Esculape imberbe (s). Peut- ètre, dirons-nous, dans ces images divines, les artistes grecs eurent-ils l'idée de s'inspirer des représentations (i) Tertullien, Apolog. 23. (2) Monuments et tnémoires de la Fondation Fiot, t. IH, 1^96, pag. 59 à 70. (3) E, Michon, loc. cit., pag. 66. 172 ERNEST BABELON d'Eschmoun, le dieu phénicien et punique qui, par son róle de dieu guérisseur et de dieu au serpent, se rapprochait le plus de l'Asclépios grec. Le fameux tempie d'Eschmoun avait été détruit lors du siège de Byrsa, en 146 avant J. C. ; la femme d'Asdrubal y avait mis le feu elle méme pour s'en- sevelir sous ses ruines. Aussi, n'est-ce pas le tempie d'Eschmoun-Esculape qui parait sur les monnais de la colonie de Carthage frappées sous Auguste. C'est un tempie de Vénus. La legende qui Tentoure, VENERIS, ne laisse subsister aucun doute sur Tidentification de ce monument qui se présente sous Taspect d'un portique à quatre colonnes, le toit surmonté d'acro- tères tout le long de ses deux rampants ('). Le tempie d'Eschmoun-Esculape fut néanmoins reconstruit lui-mème de bonne heure, et Strabon, vers l'an 100, nous le signale comme couronnant l'acropole de Carthage (^). Les traces, plutòt que les débris, d'une longue colonnade, des fragments de bas reliefs sur lesquels on voit le serpent d'Esculape, ainsi qu'un morceau de cratère en marbré blanc, avec une inscription votive Oli on lit [Aesc]>/Lt
kp - a pag iis; 2." edi/.., 1900
— a parf. 292-94.
Lo STESSO. Sulle Restituzioni In Rivista Hai. di Numismatica, anno X, 1897 — a pag. T2S
Blanchet (A.). Les monnaies romaines. Paris, 1896 — a pag. (^.
MowAr iR ). La reconslitution des collections de coins aux /"' et II' siéclc. In Proces-
verbaux et mémoires du Congres internai de Numismatique rcuni à t'aris, en i()00 — a
pag. 210-11.
Camozzi (G.). La consecratio di Traiano. In Riv. It di Num , a XIV, i<_)oi — a pag. 21.
Registriamo infine un'alira opinione, che si scosta dalle precedenti:
Akerman. a Numismatic Manuat. London, 1810 — a pag. 190: « A set ol' Billion Coins
" of this ptriod have usually been attributed to Gallienns, bnt their workmanship and ge-
li neral appcarance railier indicate tliat tliey wcre slruck by Decius, in imitalion of the rc-
« storations of his namosake, Trajanus ».
A PROPOSITO DELLE COSIDETTE « RESTITUZIONI n DI GALLIENO I97
Gli antoniniani di cui parliamo sono dedicati
ad undici imperatori: Augusto, Vespasiano, Tito,
Nerva, Traiano, Adriano, Antonino Pio, Marc'Aurelio,
Commodo, Settimio Severo e Sev. Alessandro. È sol-
tanto di quelli di Traiano che intendo di qui occuparmi.
Essi presentano la singolarità che l'effigie del-
l'imperatore offre due tipi diversi. Il primo ha il
tradizionale ritratto di Traiano, quale siamo avvezzi
a vederlo sulle monete contemporanee di quell'impe-
ratore, coi capegli disposti a larghe ciocche. È questa
probabilmente la varietà che indusse il Cohen a defi-
nirlo erroneamente come « busto laureato »(i), mentre
la testa ne è radiata come in tutti gli altri antoniniani
suddetti, benché in modo forse meno appariscente
che sulla varietà del secondo tipo (2),
In questa, il busto di Traiano è ostensibilmente
radiato, giusta l'uso del III secolo; inoltre, i capegli
non sono disposti a ciocche ma tratteggiati, come
(i) Cohen. Description hislor. des monnaies frappées sous l'Empire
romain [i.» ediz.], t. II, Paris, 1859 — a pag. 86-87. Deuxième édit., t. II,
1882 — a pag. 88.
(2) Che la testa di Traiano sia radiata, si può rilevar già da Pe-
drusi, Hardouin, Banduri, Vaillant, Rasche, Eckhel, e poi da A. de Bar-
36
198 SOLONE AMUROSOLI
p. es, sulle monete di Treboniano Gallo; e, partico-
lare curioso, il ritratto dell' imperatore è assai diffe-
rente, presentando un'altra fisonomia, caratterizzata
soprattutto dal naso spiccatamente aquilino.
Ebbene, s'io non m'inganno, qui ci troviamo di
fronte, non a due tipi della stessa moneta, ma a due
imperatori diversi: — il primo è veramente Traiano,
il secondo è Traiano Decio.
L'identità del nome occultò sinora pei numisma-
tici la diversa individualità dell'imperatore, che ai
tardi nepoti ha potuto sfuggire; ma nel III secolo (cioè
all'epoca dell'emissione di quelle monete) l'identità
del nome non poteva produrre confusione, essendo
allora familiare a tutti il ritratto recente di Decio.
In tal caso, siccome Traiano Decio è il succes-
sore di Filippo, queste cosidette « restituzioni n o
u consacrazioni w non si possono evidentemente più
attribuire a Filippo, ma bensì ad uno dei successori
di Traiano Decio ; senz'essere necessario per questo
di scendere sino a Gallieno.
Si ritornerebbe insomma, per altra via, alla
conclusione formulata da Eckhel, che cioè quella
serie deve essere stata approssimativamente emessa
nel periodo tra Fihppo e Gallieno (^).
thélemy, Fiorelli, Fabretti, ecc. G. Camozzi (1. e, a pag. 25 in nota)
osserva anzi esplicitamente: " a torto [il Cohen] afternia che la
" testa di Traiano è laureata, mentre in realtà è radiata „. Dobbiamo
aggiungere tuttavia che sin dal 1869 lo stesso Cohen, nel catalogo della
coUez. Gréau, essendosi accorto della svista, aveva sostituito la dicitura
esatta: " tète radice „; quantunque gli editori della seconda edizione
delle Médailles impériales non abbiano poi tenuto calcolo della correzione.
(i) Eckhel, 1. e., — a pag. 471 : " Quae.... adfirmari possunt, haec
" sunt. I. Eos [numos] omnes ah uno eodenique Augusto uno Consilio
" fuisse percussos.... II. Non ergo nisi post Alexandrum Severum feriri
" potuisse, quia ejus quoque consecrati in hac serie numi exstant.
" III. Suadente fabrica et metalli mixtione eorum exortum imperiis
" Philippi et Gallieni circumscribendum. „
Cohen. Descr. des monn.frappces. sous l'Enip. ront. [I." ediz.]. t. VII,
Stipplcment, Paris, 1868 — a pag. 100 : " rcstitutions faites par les em-
" pcreurs cntre Philippe et Gallicn „.
A PROPOSITO DELLE COSIDETTE « RESTITUZIONI " DI GALLIENO I99
E, se mi è lecito esprimere il mio avviso perso-
nale, pure per altra via arriverei all'ipotesi del Pel-
lerin, che cioè appartenga al regno di Treboniano
Gallo, ipotesi che quell'autore sostiene con plausibili
motivi (0,
Un'ultima parola, affine di prevenire un'eventuale
obbiezione.
Al dire di Eutropio, Traiano Decio, dopo la sua
morte, fu divinizzato (2). È vero che Eckhel motteggia
Eutropio per la soverchia hberalità nel concedere
(1) [Pellerin]. Recueil de médailles de Peuples et de Villes. Tome III.
A Paris, 1763 — a pag. Ij : " Quant au motif qui peut avoir engagé
" Trébonien-Galle à faire fabriquer catte espèce de médailles, l'Histoire
" nous apprend que durant tout son règne.... la peste qui avoit com-
" mencé sous Trajan-Dece, ne cessa point en Italie, & qu'occupé des
" moj'ens de l'arréter, il employa entre autres celui des sacrifices qu'il
" ordonna dans toutes les provinces de l'Empire. Il invoqua tous les
" Dieux généralement; de sorte qu'on peut juger que regardant comme
" tels les Empereurs ses prédécesseurs qui avoient été déifiés après
" leur raort; & voulant que les peuples les invoquassent de mème, il
" fit Trapper pour cela ces médailles qui renouvelloient la mémoire de
" leur consécration. „
ZoNARAS. Annales. In Corpus Universce Historice, praesertim Bìzantinae.
Lutetiae, 1567 — a carte 104: " Pestis quoque tum prouincias inuasit:
" quae ab iEthiopia orta, totùmque pene orientem & occidentem perua-
" gata, multas vrbes ciuibus desolauit.... „.
ZosiMUS. Historiae. Interprete Leunclavio. Bonnae, 1837 — ^ pag. 26:
" .... lues etiam pestilens in oppidis atque vicis subsecuta, quicquid erat
* humani generis reliquum, absumpsit.... „.
Victor. Historice Romance Breviarium. Trajecti ad Rhenum, 1696
— a pag. 376: « Dein pestilentia oritur, qua atrocius saeviente, Hostilianus
" interiit „.
Cfr. del resto anche lo stesso Eckhel, 1. e, — a pag. 467 : " In
" numis iis, in quibus Trebonianus aut proximorum alius superiorum
" principum consecrationem restituii ,.
(2) EuTROPius. Historiae Ronianae libri decem [ed. Schoonhove].
Basileae, 1546 - a pag. 158-59: " Cum biennio ipse [DeciusJ & filius
" eius iinperasser.t, uterque in Barbarico interfecti sunt. senior meruit
" in ter diuos referri „.
EuTR. Hist. Rom. Breviarium [ed. Dacier]. Parisiis, 1683 — a
pag. 113: " ....in Barbarico interfecti sunt, c\: inter Divos relati „.
200 SOLONE AMBROSOLI
quest'onore agl'imperatori di cui narra le vite ('), ma
forse l'illustre nummografo viennese vi sarà stato
indotto dal non trovarsi monete di consacrazione di
qualche altro imperatore del quale pure Eutropio
afferma che fu divinizzato. Ora, almeno per Traiano
Decio l'informazione di Eutropio riceverebbe una
conferma dalla numismatica; in ogni caso, quell'au-
tore verrebbe in aiuto all'osservazione che ho creduto
di formulare.
La quale avrebbe anche per risultato di portare
a dodici il numero di codesti antoniniani, formando
così una serie completa di dodici imperatori diviniz-
zati, come vi erano dodici dii consentes.
Solone Ambrosoli.
(i) EcKHEL, 1. c. — a pag. 463: " Augeri poterit numerus ex testi-
" moniis veterum aliis, ac praecipue Eutropii, in conferendo consacra-
" tionis honore perquam liberalis „.
Cfr. anche Stevenson, op. cit. — a pag. 313: " Eutropius, ever
" liberal in awarding divine honours to princes, states, that Decius and
" his son were numbered among the gods „.
LES RELATIONS MONÉTAIRES
entre l'Italie et les provinces belges au moyen àge
et à l'epoque moderne
Pendant le haut moyen àge, le commerce de
l'argent, qui consistait surtout alors en prèts sur
gages, resta, en Belgique comme en France, l'apa-
nage presque exclusif des Juifs.
Les bénéfices énormes que produisait ce trafic
special devait fatalement faire naìtre la concurrence.
Elle vint d'Italie où, dès le XIIP siècle, le commerce
avait acquis une importance capitale.
Seuls intermédiaires entre l'Orient et l'Occident,
les riches et entreprenants marchands de Gènes, de
Pise, de Florence, de Venise, frtquentaient les cé-
lèbres foires de Champagne auxquelles s'approvi-
sionnaient alors les Pays-Bas.
Pour donner plus d'extension encore à leurs
affaires et surtout plus de stabilite à leurs tran-
sactions, les marchands italiens établirent bientòt à
demeure fixe des comptoirs en France, en Angleterre
et dans les Provinces belgiques. Originaires de Flo-
rence, de Pise, de Milan, de Gènes, de Venise, de
Plaisance, de Lucques, de Pistole, de Sienne, c'est
à dire de villes du nord de la Péninsule, ils furent
dès l'abord désignés par les populations sous le
nom générique de Lomhards, qui leur est reste depuis.
Très versés dans les questions financières, les
Lombards eurent vite fait de se rendre compte des
sources de bénéfice que pouvait offrir le commerce
202 ALPHONSE Dli WITTE
de l'argent dans des pays de civilisation encore
primitive et nous les voyons, presque simultanément,
ouvrir des tables de préts, non seulement dans les
villes, mais méme dans certains gros villages.
Au XIIP siècle ou au commencemens du XIV^
des documents d'archives Tétablissent, il existait en
Belgique de ces tables: à Bruges, à Termonde, à
Gand, à Audenarde, à Bruxelles, à Mons, à Liège,
à Malines, à Anvers, à Binche, à Ath, à Forest, à
Courtrai, à Louvain, à Nivelles, à Hérenthals, à
Genappe, à Assche, à Hai, à Landen, à Hannut, à
Wavre, à Fleurus, à Tirlemont, etc, etc.
L' existence de ces comptoirs se prolongea
jusqu'au début du XVIP siècle, c'est à dire jusqu'à
l'epoque oìi, sur les conseils de Wenceslas Cobergher,
les archiducs Albert et Isabelle enlevèrent aux Lom-
bards Tautorisation de. préter sur gages pour accorder
ce monopole aux Monts de piété, dont le premier
s'ouvrit, à Bruxelles, en 1618 (0.
*
* *
Banquiers des princes et des villes, les prèteurs
italiens, en general hommes fort experts, prirent une
part active à l'administration financière des pays
qu'ils habitaient. En Belgique, par exemple, jusqu'au
commencement du XV^ siècle, la fabrication des mon-
naies fut, pour ainsi dire, uniquement dirigée par eux.
Certains indices porteraient mème à faire croire
qu'avant l'organisation et la réglenientation des corps
(i) Détail typique, de nos jours encore les Monts de piété sont
désignés par le peuple, en Belgique, sous le nom de " Lombards „. Nous
avons einprunté les renseignements qui précèdent à deux ouvrages
récemnient parus sur la maticre: Les Lombards en France et à Paris,
par C. Piton, Paris 1892-93 et Les Lombards dans les Pays-Bas^ par
F. Donnet, Termonde, 1900.
LKS RELATIONS MONETAIRES, ETC. 203
de monnayeurs nationaux, des Lombards à la tète
de compagnons exercés dans leur art, mettaient leurs
connaissances techniques au service des autorités en
puissance du droit de Trapper monnaie. Cela expli-
querait l'amélioration subite que l'on constate, au
commencement du XIIP siècle, dans la facture des
expèces et, dès lors, il serait permis de se demander
s'il ne faut pas reconnaìtre dans quelques uns des
noms de monétaires qui se rencontrent sur les
élégants petits deniers de l'epoque, les signatures de
ces étrangers. La création du corps de monnayeurs
nationaux n'enleva pas, d'ailleurs, aux Lombards
l'influence qu'ils avaient acquise car, sous le nom de
Maitres des monnaies , nous les voyons, pendant
longtemps encore, présider, dans les Pays-Bas méri-
dionaux, à la fabrication du numéraire.
Citons parmi ces industriels de la finance, Falco
de Lampagne, de Pistole, qui donna son nom à une
monnaie d'or brabangonne, le « Falcon Schilde », et
fut maitre de la Monnaie d'Anvers sous le due Jean III;
Bardet de Malpalys, de Florence, place à la tète de
l'atelier d'Anvers, en 1356, lors de l'occupation de
cette ville par le comte de Fiandre, Louis de Male,
pour y Trapper de la monnaie d'or et Atidrieu du
Porche, de Lucques, pour y forger la monnaie d'ar-
gent; Nicolas Ciavre, aussi de Lucques, mort en 1397,
chambellan de la duchesse Jeanne de Brabant, qui
fut pendant de longues années maitre de la Monnaie
de Louvain; Barthélemy, fils de Thomas, de Florence,
maitre du mème atelier en 1394 et en 1395 et André,
autre fils de Thomas, de Florence, qui dirigea les
Monnaies de Vilvorde et de Louvain de 1409 à 1412(1).
(i) A. DE WiTTE, Histoire monétaire des comies de Louvain, dttcs de
Brabant et marqiiis du Saint Empire Romain, 3 volumes in 4, Anvers,
1894-1899.
204 ALPHONSE DE WITTK
Voilà pour le Brabant. En Fiandre, les Monnaies
du comté sont successivement affermées, sous Louis
de Crécy (i 322-1 346) à Perceval dii Porche, de
Lucques et à un certain « Faucon » (1338) qui pourrait
bien ètre le méme personnage que le Falco, maitre
de la Monnaie d'Anvers, mentionné plus haut; sous
Louis de Male (i 346-1 384), à Ops, dit Jehan Perceval
dii Porche, de Lucques, à Robert et à Andrieti du
Porche; à Bardet de Malpalys^ de Florence, dont les
biens furent saisis pour malversation, à Henri de le
Strieghe, de Lucques; à Alderic des hiterminelli, de
Lucques et à son frère Jehan, enfin h Jehan Joiirdain,
toujours de Lucques (^). Disons encore que sous
Philippe le Hardi, Jean et Barthélemy Thomas de
Florence furent maitres de la Monnaie de Bruges et
qu'au début du règne de Philippe le Bon, Andrieu
Thomas dirigeait la fabrication monétaire du comté (2),
Dans le Hainaut, le comte Jean II d'Avesnes
accorda au Lombard « Bonsignour », fils de monsei-
gneur Ourlant, Chevalier de Sienne, et à ses compa-
gnons, l'autorisation de fabriquer monnaies d'or et
d'argent, blanches et noires, de Noel 1303 au Noel
suivant, et ce, là où il conviendra le mieux soit au
comte, soit à Bonsignour (3).
Cet octroi donna lieu à un accord passe le 2
mai 1312, entre le comte Guillaume I d'une part et
« Bonsegneur de Sene, Conrat Berignon de Sene,
(i) V. Gaillakd, Rechcrches sur les monnaies des comtes de Fiandre.
Gand, 18521857.
(2) L. Deschamps de Pas, Essai sur l'histoire monétaire des comtes
de Fiandre de la maison de Bourgogne. Paris, 1863.
(3) A. DE WiTTE, Supplément aux Recherches sur les monnaies des
comtes de Hainaut de M. Renier Chalon. Bruxelles, 1891. — Les Buon-
signori possédaicnt une banque à Sienne, qui, vers 1298, commenda à
décliner par suite de dissensions cntre les associés (Pn on, Les Lombards
en France et a Paris, t. I, pp. 88-89).
LES RELATIONS MONETAIRES, ETC. 205
« maistre Willaume de Montmor, Banket Malclaniel,
« Binchin Monald, Faince et Lappe Aringi de l'autre
« pour Toquison dou faict de la monnoie de Yalen-
u ciennes ke li dit Bonsegneur et si compaigna
« tinrent al tans liomme de -clere memoire, monsei-
" gneur Jehan, par le grasce de Dieu jadis comte de
u Haynau w, etc.
Enfin, le 7 novembre 1305, Guillaume I place à
la tète de la fabrication monétaire faite au donjon de
Walcourt, le Lombard JeJiati Lyonin, qu'il remplace
Tannée suivante par Bernard Rogiers, de Florence (^*.
A Cambrai, l'évèque Pierre de Mirepoix (1309-
1324) cède à « Frankine, de Pistoire », déjà maitre
de la monnaie de Valenciennes, la direction de son
atelier épiscopal (2) et, en 1283, Gui de Dampierre,
donne octroi à Ubiei t Alien, citoyen d'Asti et à ses
compagnons de forger monnaie à Namur (3).
Les renseignements nous font malheureusement
défaut en ce qui concerne l'évèché de Liège et le
Luxembourg.
L'influence des Lombards sur le monnayage des
provinces belgiques, surtout au XIV^ siècle, nous
semble incontestable et il est permis de lui attribuer,
plus encore qu'aux relations commerciales, le choix
fait par Louis de Crécy (1322-1346), par Jean III (1312-
1355) et par Guillaume II (1337-1345) du type du
Florin de Florence à la fleur de lis et au Saint Jean-
(i) R. Chalon, Recherches sur les monnaies des comtes de Hainaut.
Bruxelles, 1848-57.
(2) C. RoBER!, Numismatique de Cambrai. Paris, 1861.
(3) R- Chalon, Recherches sur les mnnnaies des comtes de Namur.
Bruxelles, 186070.
rj
206 ALPHONSE DE WITTE
Baptiste pour les premières monnaies d'or qui aient
été frappées en Fiandre, en Brabant et dans le Hainaut.
Ces pièces sont des copies quasi serviles de
leur modèle florentin dont elles ne diffèrent que par
un indice monétaire à la fin de la legende du droit
et par l'inscription du revers. Fort élégantcs de
gravure et de très bon aloi, elles acquirent bientót
aux Pays-Bas une vogue immense et furent à leur tour
imitées par un grand nombre de comtes et de dynastes.
Nous en connaissons, en effet, pour Marguerite II,
d'Avesnes, comtesse de Hainaut (i 345-1 356), pour
Wenceslas I, comte de Luxembourg (1356-1383^ pour
Englebert de la Marck, évèque de Liège (1345-1364),
pour Thierry de Heinsberg (1336-1361) et pour
Godefroid de Dalembroek (i 361-1362), l'un et l'autre
en leur qualité de comte de Loos, etc. Il existe
encore d'autres imitations du Florin de Florence
faites par de petits seigneurs féodaux, mais frappées
dans des ateliers situés en dehors des limites de la
Belgique actuelle nous n'avons pas à nous en occuper
ici (^). Il y a lieu, cependant, de signaler encore une
autre serie d'imitations du Florin FLORENTIA, qui se
distingue de la précédente en ce que les pièces qui
la composent se bornent à emprunter au prototype
italien une seule de ses faces. De ce nombre est le
florin à Tévéque à mi-corps sous un dais gothique
et au revers du Saint Jean-Baptiste, forge par Arnould
de Horn, évéque de Liège (1378-1389) i^K
(i) La liste la plus complète des imitations du florin d'or de Flo-
rence a été publiée, d'après celles de MM. Dannenberg et P. Joseph,
par M. Serrure dans le Bulleiin de numismafisque. Paris, 1898.
(2) Baron de Chestuet de Haneffe, Nuniismaiiqtie de la Principauté
de Liè^e, pi. XV, n. 266. Le droit de cette monnaic se retrouve exacte-
ment sur un florin d'or de Florcnt de Wcvelinkhovcn, cvcquc d'Utreciit
('379-'398). Vander Chijs, De Munteti der Bisscìwppeu van de hecrlijkheid
en de Si ad Utrecht, pi. XII, n"" 3 et 4.
LES RELATIONS MONÉTAIRKS, ETC. 2O7
C'est encore, parmi le numéraire liégeois si varie
de types, que nous rencontrons deux autres imitations
de pièces italiennes: d'abord une monnaie d'argent
dont le dessin est emprunté aux deniers au Saint
Ambroise de Milan, emise par Thibaut de Bar (1303-
1312) qui fit divers V03'ages en Italie, puis, mais
beaucoup plus tard, un florin d'or de Gerard de
Groesbeeck (i 564-1 580), dont le droit est la copie
exacte d'un pistolet d'Hercules II, due de Ferrare
(1534- 1559), au Saint Géminien assis et bénissant.
Cette deniicre monnaie devait ètre assez répandue
dans les Pays-Bas, puisqu'elle se trouve reproduite,
sous le nom de couronne de Ferrare, dans un tarif
monétaire du roi Philippe II, imprimé à Anvers, en
1576, chez Christophe Plantin. Hercules II n'avait
fait, du reste, qu'imiter lui mème, presque servilement,
le droit d'un ducat au Saint Géminien, du pape
Clémcnt VII (1523-1534), reproduit, lui aussi, dans
un placart anversois de l'année 1575.
Les copies italieimes des seigneurs de Baten-
bourg et de Viane, la frappe à Hedel de pièces d'or
inspirées des pistolets de Parme et de Plaisance, les
imitations par Jean I de Bronckhorst des pistolets
toscans de Cosme de Medicis appartiennent à la nu-
mismatique des Pays-Bas septentrionaux.
Les monnaies italiennes sont rares dans les
trésors découverts en Belgique. Nous mentionnerons,
comme en contenant quelques exemplaires, les trou-
vailles de Fontaine l'Evèque, près de Charleroi, 1843
(une monnaie d'or du Pape Grégoire XII) ^»); de
(i) Rev. belge de num., t. I, p. 402.
2o8 Al PHONSE DE WITTE
Nederheim, daiis le Limbourg, 1859 i^^^'^^ pièce d'ar-
gent du Pape Paul II et 2 gros de Philibert de Sa-
voie) (^^; de Horion-Hozimont, aux environs de Liège,
1877 (i sol de Louis de Savoie) (2) de Neerpelt, 1882,
(réal d'argent de Charles Quint au S* Ambroise de
Milan) (3); de Hasselt, 1883 (monnaie d'or de Venisc
et de Charles Quint pour Naples, pièces d'argent du
méme pour Milan, un giulo du Pape Paul III, pour
Bologne) (4); de Bruges, 1888 (3 variétés du Frane
à pied, de Jeanne 1", reine de Naples) (5); de Lokeren,
1896 (monnaie d'or de 1601, à la Vierge, d'Emmanuel
de Savoie) (^); de Mesnil-Blaise, dans la province de
Namur, 1900 (monnaies milanaises d'argent) (7).
Seule la trouvaille faite à Turnhout, le 16 juin
1891 et dont l'iiìventaire a été publié par M. C.-A.
Serrure, présente un peu plus d'intérèt. Elle contenait,
en effet, 7 écus d'or d'Emmanuel Philibert de Savoie
pour les années 1577, 1578, 1579, 1580 et 1584
(Promis, pi. XXVII, n. 53); un doublé pistolet de
1578 de Philippe II pour Milan; un pistolet de Phi-
lippe I; un pistolet d'Andrea Gritti, doge de Venise,
un écu d'or du roi de France Henri II, frappé à Sienne
(Hoffmann, pi. XV, n. 91); un pistolet au saint Gé-
minien d'Hercules li, due de Ferrare, 2 pièces d'or
d'Alphonse II; deux monnaies d'or de Mantoue, 6
pistolets des Papes Paul III, Paul IV et Grégoire XIII,
une pièce d'or au Saint Pierre de Bologne, 2 monnaies
de Lucques, dont l'une au nom de Charles V empereur
et 4 pistolets napolitains.
(1) Rev. belge de nmn., t. XXI, pp. 384-85.
(2) Rev. belge de nitm., t. XXXllI, pp. 215-237.
(3) Bulletin de num. et d'arch., t. II, p. 167.
(4) Bulletin de num. et d'arch., t. II, p. 196.
(5) Rev. belge de num., t. XLIV, p. 198.
(6) Rev. belge de nmn., t. Lll, p. 137.
(7) Rev. belge de num., t. LVI, p. 259.
LES RELATIONb MONÉTAIRLS, ETC. 209
Le petit nombre de monnaies italiennes contenues
dans ces différents dépòts monétaires est d'autant plus
inexplicable que le cours des espèces d'or frappées
en Italie fut longtemps toléré dans les provinces
belges.
*
* *
Il iious a paru nécessaire pour rendre cette
brève étude un peu moins incomplète de relever les
mentions de ces espèces dans les ordonnances et
tarifs monétaires du temps. Ces mentions sont fré-
quentes, nous les classons par ordre chronologique,
mais tout d'abord on voudra bien nous permettre de
signaler l'existence d'un curieux document manuscrit
italien concernant la valeur des monnaies au marche
de Calais, adressé en Brabant, le 22 novembre 1376,
à Nicolas Ciavre, de Lucques, par Nicolas Commingi,
de Bruges. Il y est question de Fiorini di Firenze
battuti in Firenze che sono a lega 24 carati^ de Fiorini
di Genova battuti in Genova e di Venezia battuti in
Venezia si sono di peso, et de Fiorini papali che sono
alla lega d' Inghilterra 'i).
Les florins de Florence et de Gènes se retrouvent
cités, comme ayant cours en Brabant, dans une or-
donnance du 20 décembre 1409 du due Antoine de
Bourgogne et lors du congrès monétaire réuni à
Bruges, en 1469, par Charles le Téméraire et
Edouard IV, roi d'Angleterre, la valeur libératoire
des ducats pontificaux, vénitiens, florentins, génois
(i) Ce document, qui a échappé aux recherchts de l'auteur de
l'article sur Nicolas Ciavre alias Chavre public dans le Tome I de la
GazeUe niimismatique fratt^aise, présente cet intérèt particulier de fixer
la nationalité de l'ancien maitre de la Monnaie de Louvain, sous les
ducs de Brabant, Jeanne et Wenceslas.
210 ALPHONSE DE WITTE
et milanais, de 23 carats 2'/^ grains en aloi est établi
de commun accord à 52 gros de Fiandre.
Ce sont d'ailleurs presque toujours les monnaies
d'or d'Italie que l'on rencontre dans les ordonnances
sur le cours des espèces, publiées aux Pays-Bas
méridionaux. En voici des exemples:
1546. — Ducats et doubles ducats d' Italie, de Rome, de
Bologne et de Milan.
1548. — Ducats d'Italie, de Rome et de Venise taillés à 72
au mare et les couronnes de Sicile, de Venise, d'Italie,
de Lombardie et de Savoie.
1559. — Les couronnes d'Italie, de Rome, de Venise et de
Lombardie, les ducats d'Italie.
1563. — Les couronnes d'Italie, de Rome, de Venise et de
Lombardie, les ducats d'Italie.
1572. — Les couronnes d'Italie, de Lombardie, de Rome et
de Venise.
1574. — Les couronnes d'Italie.
1576. — Les doubles et les simples pistolets d'Italie.
1577. — Les doubles et les simples ducats d'Italie, les pis-
tolets d'Italie.
1586. — Les pistolets d'Italie de 72 au mare, les doubles
ducats de 36 au mare et les simples ducats de 72.
1590. — Les doubles et les simples pistolets d'Italie de 36
et de 72 au mare; les doubles et les simples ducats
d'Italie de 35-7 et de 71 au mare.
^599- — L^s doubles et les simples pistolets ou couronnes
d'Italie.
1602. — Les couronnes d'Italie de 72 au mare; les doubles
et les quadruples couronnes; les ducats d'Italie de 71
au mare et les doubles de 35 |-.
161 1. — Les ducats d'Italie de 71 au mare, pesant 2 esterlins,
8 as et les doubles ducats.
Les pistolets d'Italie de 72 au mare, pesant 2 esterlins, 7 as
et les doubles pistolets.
1617. — Les ducats d'Italie pesant 2 esterlins, 8 as et les
doubles ducats.
LES BELATIONS MONÉTAIRES, ETC. 211
Les couronnes d'Italie, telles celles de Lucques, de Venise,
de Milan, de Savoie, de Génes, de Lombardie, pesant
2 esterlins, 7 as, les doubles et les quadruples.
1633. — Les ducats d'Italie, de 2 esterlins, 8 as et les doubles
ducats.
Les couronnes ou pistolets d'Italie de 2 esterlins, 7 as; les
doubles et les quadruples couronnes.
1644. — Les couronnes ou pistolets d'Italie de 2 esterlins,
7 as; les doubles et les quadruples.
Les simples et les doubles ducats d'Italie.
1652. — Les simples et les doubles ducats d'Italie ; les sim-
ples, les doubles et les quadruples couronnes ou pistolets.
1701. — Les doubles et les simples ducats d'Italie.
1704. — Les doubles et les simples ducats d'Italie.
1725. — Les ducats d'Italie pesant 2 esterlins, 9 as, trébu-
chant; les doubles ducats pesant 4 esterlins, 18 as.
Etc.
Des exemplaires de tous ces régleinents, tarifs
ou ordonnances font partie de notre bibliothèque.
La plupart reproduisent le dessin des pièces qu'ils
mentionnent. C'est ainsi que l'ordonnance de 1546
nous fait connaltre cinq ducats pontificaux des papes
Leon X, Sixte IV, Alexandre VI et Pie II, un ducat
de Florence, un de Saluces, un de Lucques, deux de
Bologne, un de Venise, trois de Milan, un d'Ancóne,
un de Gènes, un de Sienne, deux de Sicile, un de
Mantoue et un de Savoie; l'ordonnance de 1576, une
doublé couronne d'Italie de Charles Quint, des cou-
ronnes des papes Jules II, Paul III, Jules III et Clé-
ment VII. de Cosme II et d'Alexandre de Médicis, de
Florence, de Venise, de Ferrare, de Lucques, de
Lombardie, de Montferrat, de Gènes, d'Urbino et de
Savoie; enfin l'ordonnance de 1652, des écus ou
pistoles de Rome, de Parme, de Bologne, de Sicile,
de Milan, de Gènes, de Venise, de Sienne, de Florence,
de Lucques, d'Urbino, de Mantoue, de Lombardie, de
ALPHONSE Die WIITE
Savoie ; des quadruples pistoles de Milan, de Parme,
de Plaisance, de Génes, de Florence et de Mantoue;
des doubles pistoles de Savoie; des ducats de Rome,
Mantoue, Venise, Parme, Génes, Savoie, Saluces,
Milan, Verone, Lucques, Sienne; des doubles ducats
de Rome, Bologne, Milan et Florence.
Quant aux espèces d'argent nous ne pouvons
guère citer que les testons de Savoie, de Milan et
de Montferrat (ordonnance de 1586) et les ducatons
de Milan du poids de 21 esterlins (ordonnances de
1633, 1644 et 1652).
L'article XXI du placard du 19 Septembre 1749,
concernant la fabrique des nouvelles monnaies de
Marie Thérèse porte:
" Auront aussi cours les ducats à nos coings et armes, ceux
au coing de Sa Majesté Imperiale, les anciens ducats
des archiducs Albert et Isabelle et ceux des Provinces
Unies et point d'autres. „
C'est l'interdiction definitive du cours dans les
Pays-Bas autrichiens de la monnaie d'or d'Italie. Déjà,
en effet, dans l'Instruction pour les changeurs, publiée
le 19 Juillet précédent, nous voyons figurer au nombre
des espèces billonnées les :
" .... doubles et simples Ducats d'italie, forgés au mème pied
en AUemagne.... „
" .... doubles et simples Ducats d'Est, Savoye, Saluce, Man-
toua, et autres trouvés à moindre alloi. „
" Ducats de Spinola, comte de Tassaroli et autres pièces
de tei alloi. „
" Doubles et simples Ducats de Mirandola et d'Urbino.... „
" Les Pistoles, simples, doubles et quadruples légères de
Sicile et celles des 4 estampes d'Italie. „
" Les Écus, Pistoles simples, doubles et quadruples du
S' Siège, ceux de Parma et Plaisance.... „
LES RELATIONS MONETAIRES, ETC. 2I3
" Autres Pistoles de Luca, Sienna, Ferrare, Urbino, Camerin,
Masse, ensemble celles de Mantoua et Monferrat forgées
avant Fan 1614. „
" .... Pistoles de Lombardie, de Savoye.... „
" Autres Pistoles de Saluce, Lavanie, Benevente, du corate
de Deciane et autres pièces de cet alloi. ,,
" Les Pistoles simples, doubles et quadruples de Mantua,
forgées depuis l'an 1614, avec la Remonstrance du Très
Saint Sacrement. „
* .... et autres Ducats de Spinola, aux Flèches et aux Lettres,
contrefaits après ceux d'Hollande. ,,
" Autres doubles Pistoles de Sedan on Bouillon, sans date,
Ecus de Battembourg et autres contrefaits après ceux
d'Italie et de Portugal et autres pièces de seniblable
alloi. „
" .... Les Florins de Mirandola.... „
" Les Ducatons et vieux Testons d'Italie. ,,
" Daelders de Mantua, de Messera, sans aigle et Daelders
d'Amédée de Savoye. „
" Daelders de Mantua et Messera à l'aigle.... „
" Autres Daelders de S' Carolus de Savoye.... „
" Testons de Savoye et Testons de Spinola à l'aigle et
aucuns Daelders d'Est. „
" Autres Daelders et Testons de Messera, à l'aigle, et autres. „
" Daelders du conile de Deciane à l'aigle. „
* •
La convention monétaire, connue sous le noni
de u Union latine n conclue à Paris le 23 décembre
1865 entre la Belgique, la France, l'Italie et la Con-
féderation suisse, et à laquelle la Grece adhéra, a
rendu aux espèces italiennes le libre cours en Bel-
gique. Cependant, le gouvernement italien ayant
demandé et obtenu, en 1894, le retrait de ses mon-
naics divisionnaires d'argent et le gouvernement
belge ayant interdi, par la loi du 19 Juillet 1895, les
214 ALPHONSE DE VVITTE
monnaies de billon étrangères, les seules pièces d'or
de 20 francs et les pièces d'argent de 5 francs frap-
pées par les Souverains de la Maison de Savoie,
d'abord comme rois de Piémont puis comme rois
d'Italie, circulent actuellement.
En 1868, la monnaie de Bruxelles frappa
37.000.000 de pièces de bronze de io centesimi pour
l'Italie. Les coins de ces bronzes ont été gravés
d'après les poingons fournis par le graveur en chef
des monnaies italiennes, M. Ferraris. Au lieu de
porter le signe propre à l'atelier de fabrication, les
pièces de Bruxelles sont marquées, à l'exergue du
revers, du monogramme OM, forme des initiales des
deux adjudicataires de cette fabrication, MM. Oeschger
et Mesdach, qui dirigeaient, à cette epoque, les usines
de Biache Saint-Vaast.
*
* *
Dans les anciennes provinces belgiques les
monnaies d'or, et parfois méme les monnaies d'argent,
étaient regues non au compte, mais au poids. De là,
pour chacun, la nécessité d'ètre muni d'instruments
de pesage: une petite balance, dite Trébuchet et
des poids de cuivre appelés dénéraux. Ces dénéraux
offraient le plus souvent sur l'une de leur face une
figuration emprunté au type principal de la monnaie,
dont ils représentaient le poids legai.
Farmi les dénéraux fabriqués à Anvers, au XVI l^
siècle, un certain nombre ont au droit l'écu des Mé-
dicis, somme des clefs de Saint Fierre surmontces
de la Tiare pontificai. Leur poids varie de 3 gr. io
à 3 gr. 40 et de 6 gr. 80 à 6 gr. 85.
Quelques rares exemplaires sont au type des
monnaies génoises.
LES RELATIONS MONÉTAIRE,S, ETC.
21 =
*
* *
Les modeleurs italiens de la Renaissance qui, au
cours du XV^ siècle, travaillèrent pour les Princes
de la Maison de Bourgogne, eurent une incontestable
influence sur le développement que prit dans les
Pays-Bas Tart de la gravure en médailles. Pour nous,
qui n'avons à nous occuper ici que de la monnaie,
il suffira de rappeler qu'en 1557, ce fut l'italien
Jean-Paul Poggini qui fut chargé de fournir le modèle
des Philippus d'argent, récemment créés par Phi-
lippe 11, modèle plein d'élégance et de finesse que
les tailleurs de fers des monnaies de Brabant et de
Fiandre eurent vite fait de défigurer, comme on peut
le voir par les dessins reproduits ci-dessus.
2l6 ALPHONSE DE WITTE
»
* *
Dans ces quelques pages, hatìvement écrites
pour le congrés historique de Rome à la demande
de M. le commandeur Francesco Gnecchi, le pro-
moteur du mouvement numismatique en Italie, nous
avons traité le sujet au seul point de vue belge;
souhaitons qu'un de nos confrères d'au delà les
Alpes, le traite à son tour au point de vue italien.
Il ne lui sera pas difficile de faire mieux que nous.
Alphonse de Witte
Secrétaire de la Société royale de numismatique de Belgique.
RELAZIONE
intorno ai lavori della Sezione Numismatica
al
Congresso Internazionale di Scienze Storiche
TENUTOSI IN Roma nei giorni 2-9 Aprile 1903
haSezione Numismatica, che era propriamente una
Sottosezione della IV, comprendente anche Archeologia
e Storia deWArte, ma che per voto del Comitato
ordinatore era stata considerata autonoma, fu per
numero di iscritti ed intervenuti, per importanza di
temi discussi e di lavori presentati una delle migliori
del Congresso e lasciò in tutti ottima impressione.
Gli inscritti alla Numismatica giunsero al numero
di 141 ; gli intervenuti oscillavano tra la quarantina
e la cinquantina quasi costantemente, e ben ventisette
numismatici fra stranieri e italiani presentarono co-
municazioni, due, i proff. Ambrosoli e Ricci presen-
tarono oltre le comunicazioni anche i temi. Regnò
la più viva animazione e la più perfetta cordialità
in tutti e la migliore serenità degli studi e delle
opinioni: le conclusioni alle quali giunsero parecchi
degli studiosi furono veramente utili al progresso
delle discipline numismatiche.
La Numismatica per la prima volta figurava a
se in un Congresso internazionale in Italia e si può
concludere che si fece onore e che rifulsero maggior-
mente le benemerenze della Società Numismatica
italiana, che è come faro di luce che attrae ed accentra.
La Sezione non si riunì il primo giorno, ma
solo il 3 aprile e continuò le sue sedute il 4, il 6, il
7, lasciando così modo ai soci e in principio e in
fine del Congresso di partecipare alle feste di inaugu-
Kazione e di chiusura e ai trattenimenti consecutivi.
2l8 SERAFINO RICCI
comprese le belle gite a Norma (antica Norha), ad
Orvieto e a Napoli.
L'inaugurazione ufficiale del Congresso nell'Aula
Capitolina del Palazzo Senatorio ebbe luogo il giorno
2 aprile alle ore 9.30 alla presenza delle LL. IVIM.
il Re e la Regina, accompagnati dal presidente del
Congresso senatore P. Villari , dal sindaco prin-
cipe Colonna, dai ministri, sotto-segretari di Stato,
presidenti della Camera e del Senato e dalle altre
autorità.
Parlò per il primo il sindaco porgendo il saluto
di Roma agli intervenuti; secondo parlò il ministro
dell'Istruzione, porgendo il saluto augurale dell'Italia
e del Re ai Congressisti e dichiarando in nome del
Re aperto il Congresso.
Il prof, senatore Villari pronunzia allora uno
splendido discorso inaugurale, svolgendo a grandi
quadri lo sviluppo della storia in Italia nel secolo XIX
e soprattutto delineando con tratto sicuro e visione
lucida i nuovi orizzonti che il secolo ventesimo pone
dinanzi a se negli studi storici.
Finiti gli applausi che coprirono le ultime feli-
cissime parole dell'illustre vegliardo, il prof. Frédéricq
dell'Università di Gand, delegato dalla riunione dei
rappresentanti ufficiali esteri, porse al Re, al Governo
italiano, al sindaco di Roma i ringraziamenti di tutti
i Congressisti stranieri.
Seguì all'inaugurazione del Congresso quella
della Forma Urbis, o pianta topografica di Roma
antica, disposta opportunemente su una parete del
cortile del Palazzo dei Conservatori per cura della
Commissione archeologica Comunale di Roma: l'il-
lustre prof. Lanciani riassunse in un bel discorso i
dati principali della ricostruzione della Forma Urbis.
Chiuse la cerimonia la presentazione dei doni: da
parte del barone Manno la pergamena della proto-
carta Sabauda comitale del 2 aprile 1003 di Umberto
Biancamano; da parte del prof. Gierke, rettore dell'U-
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 219
niversità di Berlino, quattro volumi di fotografie di
antichi monumenti romani.
Lo stesso giorno incominciarono i lavori la
Sezione 1 di Filologia classica e comparata, quella II
di Storia medioevale e moderna, quella IV di Ar-
cheologia.
Prima Seduta.
Il giorno susseguente, 3 aprile, la Sezione Nu-
mismatica inaugurava i suoi lavori in una grande
Sala terrena del Collegio Romano, dove l'illustre
prof. Haeberlin aveva già fatto esporre lungo le
pareti le tavole del suo splendido atlante in folio
suWaes grave italico e romano.
Alla prima seduta il Comitato esecutore era
rappresentato dal prof. No vati, della R. Accademia
Scientifico-Letteraria di Milano, la Società Numisma-
tica Italiana dal suo Presidente conte comm. sen. Pa-
padopoli e dal suo Vice-Presidente comm. Francesco
Gnecchi, il Circolo Numismatico Milanese dal suo
Presidente prof. Serafino Ricci. Il governo chileno
si fece rappresentare dall'ili, sig. Rodriguez. Notammo
fra i presenti, oltre il maggior numero dei nostri
numismatici più noti, Ambrosoli, Sahnas, Ruggero,
De Petra, Vitalini, Perini, Correrà, Cabrici ed altri,
anche i migliori numismatici stranieri, cioè 1* Hae-
berlin, il Babelon, Riggauer, Luschin von Ebengreuth,
Pick, Bresslau, Forrer, Lambros ed altri. Nella prima
seduta del 3 aprile, il prof. Novati prende la parola
per proporre i nomi dei candidati alla Vice-Presidenza
e alla Segretaria della Sezione. Viene eletto Presidente
il prof. Babelon; Vice-Presidenti stabili per la durata
della Sessione Papadopoli, Gnecchi Francesco, Am-
brosoli Solone, Salinas Antonino. A Segretari furono
eletti Ricci prof. Serafino e Motta ing. Emilio.
Iniziati allora subito i lavori del Congresso col
Presidente Babelon, si apre la discussione sul tema
del prof. Ambrosoli intorno all'uso delle lingue na-
SERAFINO RICCI
zionali negli scritti di Numismatica. Il relatore pre-
senta ai convenuti la Relazione stampata che qui si
riproduce per intero.
Relazione del dott. Solone Ambrosoli sul tema :
Intorno all'uso delle lingue nazionali negli scritti di
Numismatica.
Alcuni anni or sono, nel 1897, il relatore pubblicava un Vo-
cabolarietto pei numismatici, in 7 lingue, il quale è oggi comple-
tamente esaurito, circostanza questa che autorizzerebbe a conclu-
dere per la rispondenza di esso allo scopo.
Mi si conceda di qui riferirne il principio della prefazione,
perchè giovai allo svolgimento del tema proposto al Congresso.
a Se vi è una scienza che avrebbe dovuto e facilmente potuto
continuare, come la Botanica, a valersi del latino, almeno nelle
descrizioni, questa è senza dubbio la Numismatica.
« Ma poiché la costanza e la concisione delle formule di essa,
e la elegante regolarità della sua terminologia, non valsero ad ot-
tenerle grazia in confronto della babele scientifica che in quasi
tutti i campi ha tenuto dietro alla caduta di quel vero e nobilissimo
linguaggio universale, invece di perdere il tempo in vane queri-
monie sarà bene di risparmiarlo con l'escogitare qualche rimedio
al presente stato di cose.
«Oggidì, infatti, è divenuto per così dire inattuabile il con-
durre in porto un'indagine numismatica di qualche serietà e sicu-
rezza, senza consultare alternativamente e, rapidaimente libri e
periodici in tre o quattro o più lingue, le quali dovrebbero per con-
seguenza esser tutte note in egual grado anzi addirittura fami-
liari allo studioso od al dilettante.
«Ogni numismatico dovrebb'esser insomma nello stesso tem-
po un poliglotta, e se non lo fosse dovrebbe improvvisarsi tale.
«Ora, quantunque la diffusione dello studio delle lingue ab-
bia fatto così mirabili progressi, non si può pretendere che ogni
persona colta possegga le quattro o cinque lingue principali in
modo da raggiungere in ciascuna quella prontezza ch'è necessaria
nelle ricerche numismatiche.
«L'erudito stesso conoscerà a preferenza l'una o l'altra di
queste lingue, mentre, come ho detto, al numismatico occorrerebbe
di aiverle tutte egualmente a disposizione.
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 221
« Ben pochi saranno senza dubbio coloro che troveranno la vo-
lontà, e l'agio, e la perseveranza di studiare, fors'anco in età ma-
tura, quelle lingue nelle quali si sentono deficienti ; di studiarle,
intendiamoci, al solo scopo di facilitarsi le eventuali ricerclie.
« Ma vi è fortunatamente una restrizione da fare : non tutto
il materiale di una lingua è necessario al numismatico ; a lui basta
(a rigor di termine) il conoscere di una data lingua quelle voci e
quelle espressioni che s'incontrano più frequentemente nelle ope-
re descrittive.
cCosì stando le cose, il rimedio ch'io avrei escogitato è que-
sto : di riunire tradotte quelle voci e locuzioni che più di frequente
s'incontrano nei libri di Numismatica^ scritti nelle singole lingue
più adoperate per questa scienza, ecc. ecc ».
Le lingue rappresentate nel mio vocabolarietto erano (oltre
all'italiano) il francese, il tedesco, l'inglese, lo spagnuolo, il la-
tino e il greco-moderno.
A questo proposito noterò che l'egr. mio collega e amico A-
driano Blanchet, discorrendo del V ocabolarieito nella Revue nu-
mismatique di Parigi, così si esprimeva : t L'idée est bonne, mais
il faudra certainement introduire le russe dans le prochain voca-
bulaire.... ». A questo, a dir vero (come casualmente venni a co-
noscere appena un paio di mesi or sono), aveva già pensato l'emi-
nente orientalista Stanley Lane-Poole, il quale sin dal 1 874, pre-
cedendo adunque di un ventennio e più il mio Vocabolarietto,
pubblicava nella Numisma tic Chronicle di Londra un breve glos-
sario numismatico russo. Anzi, coincidenza che sarebbe singolare
se non fosse fondata appunto nella natura delle cose, lo scienziato
inglese, nella sua prefazione, adduce argomenti dei quali io pure
mi son valso nella mia : quello soprattutto che al numismatico è
sufficiente di poter riuscire a decifrare in qualche modo le mere
descrizioni. Il Lane-Poole, nel suo glossario, alla voce russa fa se-
guire non solo la traduzione inglese, ma anche quella latina., per .
rendere utile il suo lavoro, dic'egli, anche a quei numismatici che
non conoscono l'inglese. E aggiunge : « Il francese, forse, avrebbe
corrisposto al mio scopo meglio del latino, ma esso non è stato an-
cora accettato come strumento internazionale per gli studiosi, fun-
zione adempiuta sinora dal latino».
Comunque siasi, se il russo è certamente Einch'esso una delle
lingue utili come strumento di studio ai numismatici (e ancora più
accenna a diventarlo per l'avvenire, al pari di altre lingue slave).
29
SERAFINO RICCI
credo mi si vorrà concedere che pel momento le lingue viventi, dav-
vero indispensabili per lo studio della Numismatica siano quattro :
francese, inglese, tedesco e italiano.
Ne si dica che ho aggiunto l'italiano per considerazioni sog-
gettive, posponendogli a torto p. es. lo spagnuolo (eh e pur utile
talvolta anch'esso). Il eh. archeologo Reginald Stuart Poole, nel
suo capitolo sullo studio delle monete, che forma parte del bel
volume Coins and Medals pubblicato dagli, autori dei Cataloghi
ufficiali del Museo Britannico, conferma implicitamente questa de-
signazione, con le parole : « L'esser un grande numismatico ge-
nerale supera le forze d'un uomo solo. Taluni sapranno a suffi-
cienza di greco e di latino, con quella padronanza d&U'inglese,
del francese, del tedesco e deWitalmno ch'è richiesta dai moderni
commentarli, da poter intraprendere lo studio della moneta greca
e romana. Coloro che vogliono entrare nel vasto campo della Nu-
mismatica orientale devono aggiungere a quelle lingue, ancor ne-
cessarie per essi, lo spagnuolo e il russo ; ecc. ecc. ». Donde si de-
duce che la cognizione delle prime quattro lingue (francese, in-
glese, tedesco e italiano) è appunto quella necessaria e sufficiente,
in genere,, come mezzo di studio per la Numismatica greca e ro-
mana.
E infatti, se gettiamo uno sguardo sulle opere moderne di
più frequente consultazione, e sui periodici speciali più importanti,
vediamo che, per lingua, si aggruppano come segue.
Francese : Mionnet, Beulé, Mommsen-Blacas , Cohen, L.
Sambon, Feuardent, Svoronos, Babelon, Lenormant, Sabatier,
Barthélemy, ecc. ; la Reviie numìsmatique.
Inglese : Head e i Cataloghi del Museo Britannico, della
Collezione Hunter, ecc. ; la Numismaiic Chronicle.
Tedesco : Imhoof-Blumer, Sallet, Pick, Bahrfeldt, i Ca-
taloghi dei Musei di Berlino e di Vienna, ecc. ; la Zeitschrift filr
N umismaiik di Berlino, la Nuniismatische Zeitschrift di Vienna.
Italiano: Borghesi, Bestini, Cavedoni, Marchi e Tessieri,
Garrucci, Salinas, Fiorelli, Fabretti, Milani, ecc. ; il Periodico
dello Strozzi, la Rivista Italiana di Numismatica.
Rimangono fuori del quadro alcune rare opere di Numi-
smatica antica scritte in altre lingue (p. es. in ispagnuolo, in gre-
co, ecc.), ma esse formano l'eccezione che conferma la regola.
Diversamente stanno le cose per la Numismatica medioevale
e moderna. Qui le lingue nazionali hanno preso da lungo tempo il
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 223
sopravvento, e qui è naturale che lo abbiano, ed è inevitabile che
lo prendano sempre più.
Ma è precisamente in questo loro campo che il relatore vor-
rebbe vederle legittimamente circoscritte, mentre sta il fatto che
le più svariate lingue nazionali tendono oggi ad esorbitarne, in-
vadendo territorii che secondo il relatore dovrebbero conservare un
carattere intemazionale.
Si dirà che questo fenomeno dello sviluppo sempre crescente
che vanno prendendo le lingue nazionali, anche le meno coltivate
sinora, è d'indole generale e non già limitato alla Numismatica.
Ciò è vero, sia per la letteratura che per le scienze. Ma, quanto
alla letteratura, osserverò che ognuno, per mezzo delle numerose
e pronte traduzioni, può rendersi familiari Tolstoi o Sienkiewicz
senza conoscere le lingue slave, Ibsen o Strindberg senza cono-
scere le lingue scandinaviche. E, quanto alle opere scientifiche,
osserverò che almeno quelle più importanti intomo alle scienze
d'interesse vitale ed immediato, come la Medicina, la Chimica, ecc.,
trovano egualmente ben presto un traduttore ; le opere di Numi-
smatica invece, sia per l'indole segregata della nostra disciplina,
sia per il loro carattere prevalentemente descrittivo, assai di rado
vengono tradotte.
Di regola pertanto, o il numismatico è in grado di compren-
dere il testo originale, o la ricerca e lo studio incominciati si sj^ez-
zano inesorabilmente contro l'ignoranza della lingua.
Come si potrebbe riparare a questo gravissimo inconveniente ?
in due modi, a parere del relatore, cioè :
I. Adottando un'unica lingua numismatica internazionale.
II. Aderendo ad alcune proposte concrete che il relatore
fa più innanzi.
Il primo modo, più semplice e radicale, potrebbe avere due
soluzioni : il ritorno al latino, oppure la scelta di una linguai vi-
vente assai diffusa e conosciuta.
Ma il ritomo al latino (la cui caduta deplorano, come abbiamo
visto, sia il Lane-Poole quanto il relatore medesimo nelle prefa-
zioni ai loro glossarii numismatici) è questione troppo complessa.
Anzitutto, la riforma non si potrebbe applicare immediatamente,
essendo assurdo il pretendere che s'improvvisi latinista chi non
abbia mdimento di studii classici. Al più al più, si potrebbe adot-
tarla per la Numismatica antica, essendo presumibile che chi se
ne occupa abbia qualche nozione di latino o sia condotto a procu-
224 SERAFINO RICCI
rarsela. La riforma sarebbe intesa piuttosto quindi all'avvenire ;
ma anche in tal caso non potrebbe attuarsi efficacemente che lad-
dove e quando fosse favorita da un rimaneggiamento dei pro-
grammi scolastici in un senso oggidì vagheggiato a dir vero da
una eletta minoranza, ma osteggiato apertamente dai più.
Miglior partito sembrerebbe al relatore l'adozione pura e sem-
plice di una lingua vivente, per parte dei numismatici d'ogni na-
zione. E, considerando oggettivamente lo stato odierno della bi-
bliografìa numismatica, ragioni di opportunità gli sembrerebbero
suggerire, o addirittura il francese come lingua numismatica inter-
nazionale in genere, oppure l'inglese per la Numismatica greca e
il francese per la romana e per la medioevale e moderna.
Questo, parlando teoricamente ; ma siccome si è visto che or-
mai sarebbe un dar di cozzo nelle Fata il volersi opporre all'uso
della lingua nazionale, p. es. quando si tratti della Numismatica
medioevale e moderna di una data nazione, al relatore parrebbe
ragionevole di concretare almeno le seguenti proposte :
Che tutti i numismatici d' ogni nazione si vogliano servire di
una qualunque delle 4. lingue riconosciute come internazionali
(Francese, Inglese, Tedesco e Italiano),
a) Is! egli scritti di Numismatica antica,
b) Negii scritti intorno a monete medioevali e mo-
derne di un' altra nazione (ammenocche si sapesse servirsi
addirittura' della lingua di questa ; p. es., uno svedese che volesse
scrivere sulle monete brasiliane, dovrebbe servirsi possibilmente
della lingua portoghese, oppure di una delle 4. lingue internazio-
nali).
Queste proposte concrete, ove fossero attuate, varrebbero (se-
condo il relatore), oltre che a facilitare le relazioni internazionali,
ad impedire che rimangano inaccessibili, perchè stesi in lingua jx»-
co nota, lavori talvolta importantissimi i quaji potrebbero avere
un potente interesse pei cultori della nostra scienza in genere, o
almeno per numismatici di lingua diversa da quella in cui è steso
un dato lavoro.
Considerato poi lo sviluppo e l'importanza che vanno as-
sumendo ovunque gli studii artistici e biografici intomo ai meda-
glisti e agl'incisori di conii monetali del Rinascimento, e conside-
rata inoltre l'indole nomade e l'attività spesso internazionale di
quegli artisti, il relatore aggiungerebbe quest'ultima proposta :
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 22$
c) Ai numismatici d ogni nazione si raccomanda pure di
servirsi di una qualunque delle 4 lingue riconosciute come inter-
nazionali, negli scritti intorno a medaglie, medaglisti e inci-
sori di conii del Rinascimento.
Prendono parte alla discussione De Petra, Sa-
linas, Haeberlin notando l'opportunità, ma insieme la
difficoltà di adottare una lingua scientifica unica. Si
approva alla quasi unanimità l'ordine del giorno
presentato dallo stesso relatore che « per le descrizioni
e i cataloghi di numistnatica classica si faccia uso del
latino »; per il resto, cioè sull'uso di una delle quattro
lingue moderne più universalmente conosciute negli
altri scritti di Numismatica, si lascia al buon senso
ed alla cultura dello scrittore e degli studiosi lettori.
La Relazione sarà ristampata negli ^/// del Congresso.
Segue la comunicazione Bresslau Stii denari imperiali
di Federico I, che erano destinati a rappresentare la
moneta principale del Regno, meno pei Veneziani che,
in segno di protesta, invece del nome dell' impeiatore,
misero quello del doge. Il Bresslau, notando che non
si è ancora trovato il danaro imperiale di quelli
anni 1162-1183, nei quaK tale moneta sarebbe stata
coniata, si augura che si facciano ricerche nelle colle-
zioni italiane per rinvenire tale moneta.
Prende poi la parola Francesco Gnecchi per
esporre l'argomento di un suo tema di numismatica
romana: Le personificazioni allegoriche sulle monete
imperiali romane.
Dice che il tema e per importanza e per vastità
varca i limiti di una semplice comunicazione, quindi
egli si limita ad adombrarlo col presentarlo al lettore
nei suoi caratteri più spiccati. Pur essendo rappre-
sentate le varie deità in uno o più modi, una volta
stabilito il tipo o i tipi, essi continuano costanti e
inalterati, salvo le variazioni dell'arte. Solo al tempo ,
di Costantino, quando la nostra religione viene uffi-
cialmente introdotta nel mondo romano, si andarono
modificando anche i tipi delle personificazioni allego-
220 SERAFINO RICCI
riche sulle monete e poi scomparvero. Ora il Gnecchi
si propone di ricercare di queste personificazioni
l'origine, i simboli, gl'imperatori che le hanno intro-
dotte, quali e quanti altri imperatori ne curarono la
riproduzione sulle loro monete. Non possiamo che
augurare al Gnecchi di compiere presto questo lavoro
così interessante anche per la storia dell'arte. Man-
cando Zielinski iscritto per allora, il Segretario Ricci
lesele la comunicazione sua, scritta in francese, intorno
la biografia degli artisti italiani Mosca e Caraglio,
che lavoravano alla corte francese nel secolo XVI,
dando interessanti particolari sui rapporti artistici
che in quel tempo intercedevano tra le due nazioni.
Ettore Gabriel interessa l'uditorio intorno al
valore dei tipi monetali nei problemi storici, etnogra-
fici e religiosi. Essendo la moneta non il capriccio di
un dilettante, ma l'emanazione di una volontà dello
Stato che la conia, deve avere una sua ragione
d'essere in tutti i suoi particolari. Avendo poi le
monete segnato sempre il loro luogo d'origine, pos-
siamo, per es., studiando quelle della Magna Grecia
e della Sicilia, concludere per una civiltà antichissima,
continuazione della micenea, che aveva rapporti con
quella dell'Asia Minore e delle Isole dell'Egeo. Lo
studio del Gabriel è una specie di conferma storica
data dalle monete circa le origini della civiltà italica
nei rapporti di questa con quella ellenica e dell'Asia
Minore.
Chiude la seduta la comunicazione del Presi-
dente Babelon, che invece di trattare il tema annun-
ciato sull'iconografia dell* imperatore Giuliano l'Apo-
stata, tratta dei tipi delle monete di Settimio Severo
per l'Africa, che, secondo la loro importanza e il tipo
da esse rappresentato, il Babelon crede opportuno di
dividere in quattro gruppi, ch'egli illustra anche con
opportune riproduzioni in gesso presentate al pub-
blico plaudente.
Dopo la comunicazione Babelon, il Segretario
Ricci presenta, annunziandoli, i doni offerti ai con-
RELAZIONE AL CONGRtSSO IJiTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 22?
gressisti per cura della Società Numismatica Italiana
e del Circolo Numismatico Milanese. Oltre le due
Relazioni a stampa dei temi Ambrosoli e Ricci,
furono distribuite ai congressisti, anche se non erano
abbonati alla Rivista Italiana di Numismatica o soci
della Società Italiana di Numismatica, i lavori se-
guenti:
1. Omaggio al Congresso internazionale di Scienze
Storiche: Dieciotto memorie numismatiche. Milano, Cogliati,
1902 (dono della Società italiana di Numismatica).
2. Indice sistematico analitico della Rivista Italiana
di Numismatica dalla sua fondazione alla fine del sec, XIX
(I, 1888 — Xlll, 1900), con una introduzione di Appunti re-
trospettivi intorno alla Storia della Numismatica italiana dal
1860 al 1900. Milano, Cogliati, 1903 (lavoro del prof. dott. Se-
rafino Ricci, dono della Società Italiana di Numismatica).
3. Circolo Numismatico Milanese. Omaggio al Con-
gresso internazionale di scienze storiche in Roma. Milano,
Cogliati, 1903 (dono del Circolo Numismatico Milanese).
4. Ambrosoli Solone, Charleville o Carlopoli? Milano,
Cogliati, 1903 (dono Ambrosoli).
Si presentano inoltre come primizie numisma-
tiche il I fascicolo della Rivista italiana di Numismatica
del 1903 e la IV edizione della Giuda Numismatica
imiversale dei fratelli Gnecchi, corretta e accresciuta
in modo da contenere 6278 indirizzi con cenni storico-
statistici di collezioni pubbliche e private e di libri
e pubblicazioni periodiche di numismatica.
Seconda Seduta.
La seconda seduta della Sezione Numismatica
non fu meno importante della prima. Si iniziò tosto
la discussione sul tema del prof. Serafino Ricci intorno
228 . SERAFINO RICCI
all'ordinamento delle collezioni di monete italiane,
medioevali e moderne.
L'importanza stessa del tema teneva sospesi gli
animi degli intervenuti, che avevano già letto la Rela-
zione a stampa distribuita il giorno prima dallo stesso
prof. Ricci. Questi mette subito in chiaro i termini
della questione, rilevando la necessità di abbandonare
l'ordinamento empirico alfabetico e di adottare sempre
in ogni caso l'ordinamento geografico e storico nella
distribuzione delle zecche. Riassunto quanto si è
fatto e messi in luce i tentativi del Tonini, del Promis,
del Muoni, dell'Ambrosoli, del Caucich per risolvere la
questione, il Ricci conclude che nessuna delle spiega-
zioni proposte finora soddisfa completamente ed ag-
giunge quella proposta che egli nel suo convincimento
crede utile: si abbandoni l'ordinamento alfabetico, si
raggruppino le zecche secondo il criterio geografico
in modo non solo di elencarle tutte, ma anche di ri-
costituire gli Stati e quindi la storia pohtica d'Itaha.
La sua Relazione è la seguente e sarà ristampata
per intero negli Atti del Congresso, insieme con la
discussione svoltasi nella Sezione.
Relazione del dolt. Serafino Ricci sul tema:
Dell' ordinamento delle Collezioni di monete italiane
medioevali e moderne.
Il tema che qui si propone è di eccezionale importanza,
come ognun vede, e considerato in sé e per il fatto che dopo
reiterati tentativi non è ancora risolto in modo definitivo e da
tutti accettato.
Il relatore non presume certamente di proporre la so-
luzione dell'arduo problema, ma crede che solo il presentarlo
ad una accolta di dotti, dimostrando in quali termini stia ora
la questione e quali, mezzi siano più adatti a risolverla, sia
opera non del tutto vana, anche in un Congresso Internazionale
di scienze storiche, perchè in primo luogo molti dotti anche
all'Estero si occupano con passione come della nostra arte così
della nostra storia, poi perchè l'ordinamento delle collezioni
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 229
italiane può dare non poca luce su quello di alcune colle-
zioni estere, infine perchè tutta la storia medioevale e quasi
tutta quella moderna d'Italia interessa moltissimo, in causa
delle continue e molteplici dominazioni straniere, anche alla
storia degli altri Stati, specialmente europei, ed occorre sia
ben determinata e chiara dinanzi alla mente degli studiosi
stranieri per non essere misconosciuta o fraintesa.
Per questo non vi è ragione contraria, anzi più d'una
ragione favorevole per risollevare la questione della topografia
delle zecche e del riordinamento delle collezioni italiane nella
parte medioevale e moderna ad un Congresso che si occupa
delle discipline storiche, che da quelle numismatiche ricevono
luce e incremento, e che pel solo fatto di essere internazio-
nale, non può trascurare soltanto per questo uno dei pro-
blemi numismatici che interessano molto la sede stessa del
Congresso.
La discussione del tema viene naturalmente ripartita nelle
parti seguenti:
i.'^ In quali termini sta la questione.
2.° Che cosa si è fatto finora per la sua soluzione.
3.° Tutte le soluzioni proposte e messe in pratica fi-
nora sono o errate o insufficienti.
4." Proposte che appaiono piti adatte alla soluzione
definitiva.
i." In quali termini sta la questione:
Dovendo ordinare in modo facile e costante le monete
medioevali e moderne d'Italia e trovando troppo intricata la
classificazione storica, fin dal secolo scorso furono raggrup-
pate queste monete sotto le rispettive zecche e queste elen-
cate in ordine alfabetico.
Questo ordinamento non si limitò ai privati, ma si estese
anche a parecchie collezioni numismatiche pubbliche ed è
quello universalmente accettato nei libri di numismatica italiana.
Si tratta di osservare se la classificazione alfabetica sia
scientifica, altrimenti non può essere adottata per una scienza
vera e propria come è la numismatica.
3»
230 SFRAFINO RICCI
Di qui nasce il dissenso fra i dotti e gli studiosi circa la
classificazione delle monete italiane.
2." Che cosa si è fatto finora per la soluzione della
questione?
I numismatici nel primo periodo di ricerche e di pub-
blicazioni intorno alla numismatica italiana medioevale e mo-
derna adottarono il riordinamento alfabetico come quello che,
riconosciuto allora buono, fu senza contrasto accettato dap-
pertutto. Ma più tardi il progresso stesso degli studi, la ret-
tifica di alcune zecche errate, le considerazioni storiche dei
singoli Stati mostrarono illogico, antiscientifico, confuso il
sistema della classificazione alfabetica, che riduce lo studio
delle collezioni e il loro riordinamento ad un puro e sem-
phce indice di nomi, uniti in forza dell'alfabeto, mentre sono
invece divisi e per la loro lontananza e per le loro ragioni
storiche talora profondamente diverse fra loro.
Allora alcuni numismatici cercarono di intrecciare nella
classificazione il sistema alfabetico con quello geografico e
storico, altri tentarono aprirsi una nuova via, abbandonando
l'ordinamento per zecche, ma la maggior parte di essi, pur
riconoscendo l' errore , vi persistettero per mancanza di
meglio.
3.° — Tutte le soluzioni proposte e messe in pratica
finora sono o errate o insufficienti.
Se si deve ammettere assurdo l'uso dell'alfabeto in un
ordinamento innanzitutto storico come quello delle collezioni
numismatiche, è per lo meno insufficiente l'uso degli elenchi
a sistema misto, che dovrebbero essere possibilmente sosti-
tuiti da un criterio unico e generale di classificazione, che si
fondasse su elementi geografici e storici e quindi cronologici,
ed avesse perciò i caratteri della unità e verità scientifica.
Sarebbero quindi da escludere a rigore anche quegli
ordinamenti che, pure partendo dal concetto della distribu-
zione per regioni, poi accolgono tutti i nomi delle zecche di
ogni singola regione disponendole alfabeticamente, come pure
si dovrebbe condannare l'ordinamento generale per zecche,
poiché la zecca non è che un contingente secondario nella
RELAZIONE AL CONGRESSO INTEUNAZ. DI SCIENZE STORICHE 23I
Storia della monetazione di un popolo, un'attribuzione nomi-
nale alla officina monetaria che talora non coincide con lo
Stato che ha diritto di zecca, o con la famiglia che vi regna
per diritto ereditario di feudo o per propria conquista.
4.° — Proposte che appaiono più adatte alla soluzione
definitiva.
Da quanto è venuto dicendo il relatore conclude che il
criterio storico e topografico sarebbe il solo veramente logico
e sicuro e quindi universalmente da seguire nell'ordinamento
delle nostre collezioni monetarie medioevali e moderne. Gli
sforzi degli studiosi devono essere rivolti esclusivamente ad
eliminare dall'attuazione di questo criterio di ordinamento
ogni difficoltà nell'applicazione pratica, escogitando quei mezzi
mnemonici e cartografici che agevolino la ricerca e il ritro-
vamento dei luoghi e delle monete senza turbare il reale e
scientifico ordinamento delle collezioni numismatiche.
Conclusione.
Posta dunque chiaramente la questione e fattane la cro-
naca elencando i tentativi fin qui escogitati per condurre a
termine il riordinamento delle collezioni di monete itahane, il
relatore espone concludendo quale sia il modo mighore, se-
condo lui, per ottenere questo riordinamento facile e costante.
Il relatore vi giunge per esclusione:
1. Lasciando in disparte l'elenco alfabetico perchè an-
tiscientifico;
2. Non accettando gli elenchi misti topografici ed in-
sieme alfabetici perchè non sono di carattere unico ;
3. Considerato che il criterio storico-cronologico di
distribuzione é adatto ad una sola città e zecca dalle sue
origini ai tempi nostri, ma incontra troppe difficoltà nella
pratica, obbligando a tante diverse collezioni quanti sieno i
periodi principali di storia delle singole regioni ;
4. Osservando che qualunque altro ordinamento (escluso
l'alfabetico e quello topografico-alfabetico) presuppone la co-
gnizione esalta e pronta degli avvenimenti storici, dei muta-
menti politici di confine, — il relatore conclude che il metodo
232 ■ SERAFINO RICCI
migliore sta nel porre per base dell'ordinamento la presente
distribuzione regionale d' Italia per province e comuni, e nel-
l'elencare le città che ebbero zecca propria secondo l'ordine
puramente geografico in cui esse si trovano rispettivamente
alla capitale politica della regione.
P. es., per la Lombardia l'ordinamento facile, sicuro, co-
stante, che parte dalle condizioni presenti della regione (ed è
quindi accessibile a tutti) si presenterebbe con Milano, suo
centro e con le altre zecche minori considerate nell'ordine geo-
grafico a nord, ad est, a sud e ad ovest di Milano; cosicché
chiunque appena abbia in mente una carta geografica della
Lombardia può facilmente ricordare l'ordine delle sue zecche
o facilmente accertarlo consultando una Carta della regione.
Questo riordinamento porta per conseguenza la neces-
sità delle seguenti aggiunte :
i.*^ Le zecche non più esistenti si elencheranno nell'or-
dine del luogo dove esistevano, aggiungendo il nome di due
località note fra le quali ciascuna di esse si trovava.
2.° Ogni mutamento politico che portò alterazione di
confini territoriali è accennato al luogo rispettivo, rimandando
alla regione alla quale ora questo luogo appartiene.
3.° Qualora due volte si dovesse ripetere la città che
ebbe zecca o l'officina monetaria, una volta si fa sotto quel
nome la collocazione delle vere monete, l'altra volta si ri-
manda alla prima o si ripete identica per mezzo di calchi
in gesso.
4.** Per evitare confusioni si distinguerà ogni volta la
città che ebbe la zecca dalla semplice ofììcina monetaria ove
le monete erano coniate per conto d'altre città o Stati.
5.° L'ordinamento entro ogni zetca rimane stretta-
mente storico e cronologico dall'origine fino ai nostri giorni.
6.° L'ordinamento alfabetico si manterrà negli indici
finali, ove si elencherà di fianco al nome del luogo anche il
posto che occupò attraverso i secoli e quello che occupa oggi
per gli opportuni confronti.
7." Saranno aggiunti a dilucidazione e a consultazione
frequenti schizzi cartografici per ogni regione e frequenti
prospetti storici e genealogici per ogni città che ebbe zecca.
8," Infine si faccia precedere e seguire tutte quelle
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 233
spiegazioni storiche, cronologiche, topografiche che comple-
tino l'ordinamento semplicemente geografico che è stato
scelto e diano maggior valore non già alla zecca, ma allo
Stato al quale la data serie di monete appartiene.
Solo in tal caso il relatore riconosce che l'ordinamento
delle collezioni numismatiche può giovare alla storia, perchè
ne è la fonte più sicura e diretta, ne è il complemento più
importante e duraturo, nel quale il relatore intravvede un
avvenire per le disciphne numismatiche più fecondo di utili
frutti di quello che fu il passato, sia per la scuola sia per
la vita.
Si legge una brev^e Relazione di Giuseppe Castel-
lani a proposito del tema, e prendono la parola in
vario senso Luschin von Ebengreuth, Ambrosoli,
Papadopoli, Salinas, Piccione, Gnecchi. Il cav. Lisini,
sindaco di Siena, quantunque si dichiari non del tutto
favorevole all'opinione del Ricci, pure prende la
parola per far notare che la vera storia delle monete
è ancora da fare e ne fa rilevare l'indispensabile
utilità anche per i profani. Il sen. Papadopoli avendo
rilevato la necessità di nominare una Commissione
competente che studi la questione, il prof. Ricci
propone l'ordine del giorno seguente:
" La Sezione IV (Numismatica) del Congresso Interna-
" zionale di Scienze storiche, udita la Relazione del prof. Se-
" rafino Ricci intorno all'ordinamento delle collezioni di mo-
" nete italiane medievali e moderne, fa voti affinchè in awe-
" nire nello studio e nell'ordinamento di quelle collezioni sia
" seguito l'ordine geografico-topografico nella distribuzione
" delle zecche e l'ordine storico-cronologico nella loro illu-
" strazione, invece di quello puramente alfabetico adatto pei
" cataloghi di compra e vendita, in modo che le Collezioni
-italiane rappresentino lo sviluppo storico dei singoli Stati
italiani. Incaiica inoltre la Presidenza della Società Numi-
smatica italiana di nominare una Commissione per studiare
l'ordinamento delle collezioni italiane medievali e moderne,
giovandosi anche dei lavori dei numismatici esteri. „
234 SERAFINO RICCI
Alla lettura di questo ordine del giorno il
signor Piccione vorrebbe che la Commissione fosse
di nomina ministeriale, al che sono contrari gli altri,
e il Sahnas desidererebbe modificare la seconda parte
dell'ordine del giorno Ricci, non parendogli di doveV
raccomandare ai numismatici di studiare le monete.
L'ordine del giorno è approvato alla quasi unanimità.
È presentata la comunicazione di Ercole Gnecchi
su uno scudo di G. B. Spinola, principe di Vergagni.
Segue la comunicazione di Solone Ambrosoli intorno
alle cosidette restituzioni o consacrazioni del III secolo,
generalmente attribuite a Gallieno oppure a Filippo,
le quali recano l'effigie e il nome di undici imperatori
divinizzati.
L' Ambrosoli esprime l'avviso che alcune fra
quelle col nome di Trajano si debbano invece asse-
gnare a Trajano Decio; col che si avrebbe una serie
completa di dodici imperatori divinizzati, emessa pro-
babilmente durante il regno di Treboniano Gallo.
Dopo la comunicazione Ambrosoli ne vengono
presentate altre: quella di Adriano Blanchet sul Con-
giariuni de Cesar che sarà pubblicata integralmente in
uno dei prossimi fascicoli della Rivista; quella di
Castellani sulla Storia della moneta pontificia negli
idtimi anni del secolo XVIII, poderoso lavoro che
sarà pure integralmente pubblicato nella Rivista;
quella di Simonetti Sin tipi delle monete greche, che
sono secondo l'autore la guida più sicura per com-
prendere le monete stesse.
Applaudite le comunicazioni svolte, viene eletto
presidente per la seduta successiva il prof. Luschin von
Ebengreuth di Gratz e si leva la seduta alle ore 17,20.
Terza Seduta.
La terza seduta, presieduta dall'illustre prof. Lu-
schin von Ebengreuth, si apre con lo svolgimento
RFLAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 235
della comunicazione dello stesso Presidente : sul me-
todo che debba osservarsi nella descrizione di ripostigli
di monete del medio evo, per trarne il tnaggior profitto
scientifico.
Lasciato il suo posto ad uno dei vice-presidenti,
il prof. Luschin con parola chiara e perfettamente
italiana considera l'importanza che non per il racco-
glitore, ma per il numismatico abbia il dato della
provenienza, e soprattutto la notizia delle monete in
quanto provengano da ripostigli, il cui studio chia-
risca spesso le circostanze o il motivo stesso della
formazione e del nascondimento del ripostiglio mo-
netale. Il prof. Luschin aggiunge qui le norme ne-
cessarie per studiare ponderatamente e in modo
esauriente questi ripostigli, aggiungendovi particolari
pratici molto interessanti, come, p. es., la numerazione
non solo del complesso di tutte le monete, ma anche
dei singoli generi che vi si trovano, prendendo il
peso genere per genere per trovare la media, la
quale per le monete del Medio Evo spesse volte ha
maggiore importanza del peso individuale quasi
sempre alterato.
Accolto con applausi generah il prof. Luschin
alla fine del suo discorso, i profif. Salinas e Ambrosoli
aggiungono, pure applauditi, schiarimenti sull'oppor-
tunità e la praticità dei mezzi tecnici e pratici sugge-
riti dal prof. Luschin; di poi il prof. Salinas riprende
la parola per dare particolari tecnici relativi alla
coniazione delle antiche monete siciliane, mostrando
e descrivendo una massiccia forma di bronzo in due
pezzi del Museo di Palermo con otto serie di buchi
per la fusione dei tondini da servire alla coniazione
delle monete.
La comunicazione del prof. Salinas desta la ge-
nerale vivissima attenzione, soprattutto dinanzi alla
forma di bronzo che gira fra i convenuti. Egli ag-
giunge poi la descrizione della varia forma del me-
tallo prima che sia sottoposto all'azione del conio
nella monetazione antica di Sicilia, e vi fa seguire
236 SERAFINO RlCCl
interessantissimi appunti di numismatica siciliana del
periodo Aragonese. A proposito di un grande ripo-
stiglio di monete di argento acquistate dal Museo di
Palermo, il Salinas fa notare un errore storico in
cui cadono tutti i numismatici, attribuendo a Fede-
rico li di Sicilia, le monete di Federico il vSemplice
col titolo di Duca d'Atene e Neopatria e spiega
l'equivoco, descrivendo poi alcuni pierreali della
regina Maria d'Aragona e del marito Martino il
Giovane.
A questo punto è invitato il prof. Pick dell'Uni-
versità di Gotha a prendere la parola su un tema
molto importante non solo per la numismatica, ma
anche per l'archeologia e per la storia dell'arte, cioè
lo studio delle statue di Apollo riprodotte sulle mo-
nete greche e romane. Il Pick rileva l'utile che può
dare in tali casi la numismatica a tutta l'indagine
archeologica e storica nei rapporti dello stile, mo-
strando che la serie delle monete ellenistiche e ro-
mane per questo riguardo è più importante delle
altre, appunto perchè vi è frequente la riproduzione
di note opere d'arte dei secoli anteriori.
Dimostrato poi quanto possano servire le mo-
nete anche nel campo della religione antica per la
rappresentanza frequente di divinità in vari atteg-
giamenti e con vari attributi, passa poi all'esame
vero e proprio delle statue di Apollo, rappresentate
sulle monete, facendo distinzioni di queste in gruppi
secondo i tipi di Apollo già fissati in capilavori d'arte
ai quali risalgono le riproduzioni, notando anche
qualche variante dei tipi tradizionali e a noi noti. È
molto apprezzato lo studio coscienzioso del prof. Pick.
Chiudono la seduta le comunicazioni del conte Pa-
padopoli su una tariffa veneziana del 1543, la pre-
sentazione e illustrazione dell'Atlante deìV aes grave
italico da parte del prof. Haeberlin, e infine la dis-
sertazione del dott. Caruso-Lanza sullo studio delle
monete greche nei rapporti con la storia, con la mi-
tologia e con la scienza delle religioni comparate.
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 237
Il Papadopoli rammenta che all'elenco delle ta-
riffe veneziane a stampa presentate per studio al
Congresso internazionale di Parigi nel 1900 manca-
vano due di queste tariffe, l'una del 1543, l'altra
del 1547, di cui si conosce l'ordine a stampa e sono
ricordate nella bibliografia del Cicogna ed in uno
scritto dello Zon. Trovata per ora la tariffa del 1543,
la presenta come omaggio ai dotti riuniti in Roma
pel Congresso internazionale di scienze storiche.
Lumeggia con brevi ma vivaci parole le condi-
zioni finanziarie di Venezia dal tempo della lega di
Cambray, che obbligarono Venezia a ricorrere a
espedienti monetari. Si alzò nel 1525 il valore del
mocenigo sino a 24 soldi e del cavallo fino a 12 soldi,
ma, sopravvenuto l'aumento del prezzo dell'oro, il
Consiglio dei Dieci deliberò nel 1543, che il Ducato
veneziano d*oro nuovo de cecha non si possa accettare
né spendere per più di L. 7 soldi 12, il vecchio per
L. 7 1:10 e lo scudo di stampa nostra per piti di
L. 6 soldi 15.
Il ducato fu poi modificato dallo .stesso Consi-
glio dei Dieci e la tavola che il sen. Papadopoli
presenta mostra la riproduzione di quella pubblicata
dai Provveditori della zecca in obbedienza agli ordini
del Consiglio dei Dieci.
Il dott. Haeberlin di Francoforte sul Meno parla
intorno alle monete fuse dtWaes grave di Roma e
dell'Italia Centrale. Egli eccita l'ammirazione di tutti
i presenti quando dice che egli ha raccolto tutto il
materiale eseguendo personalmente i calchi sugli
originali nei principali musei di Europa e che può
dare per la prima volta l'opera completa di tutto il
materiale autentico per mezzo di tavole fototipiche.
I presenti, che già le avevano osservate e studiate
perchè rimasero esposte nel salone della sezione
durante tutto il periodo del Congresso, non possono
che riconoscere unanimemente ch'esse sono splendide
e fatte con una coscienziosità e una competenza più
unica che rara. Il dott. Haeberlin, entrato così in ar-
238 SERAFINO RICCI
gomento sovra le più gravi questioni che si aftacciano
nelle trattazioni di questo vasto campo numismatico,
mentre non può risolvere quelle del luogo primi-
tivo di origine dei pezzi, invece avverte di esser
potuto giungere a buoni risultati sulla questione del
sistema monetario che servì di base alla coniazione
dei vari pezzi. Osserva che Roma coniava avendo
per base una libbra meno pesante di quella fin qui
supposta e precisamente quella osca latina, mentre
usava la Hbbra greca più pesante per la prima volta
per la riduzione dell'asse a semilibrale. Conclude ri-
levando che non si debba considerare come un peg-
gioramento della valuta le continue riduzioni della
monetazione, ma solo una emissione di pezzi più
adatti al commercio spicciolo e volge l'attenzione
degli uditori sull'importanza di queste conclusion
che rivendicherebbero a Roma un perfetto ordina
mento finanziario nazionale anche durante i period
torbidi delle gravi guerre. Dopo i meritati applausi
volti allo Haeberlin, l'avv. Caruso-Lanza espone i
capisaldi del suo studio sui rapporti che la moneta-
zione greca presenta con le istituzioni religiose e
storiche. Le monete greche contengono il ricordo
di fatti importanti, di episodi storici, e bisogna leg-
gervi tutto quello che vi è stato scritto, essendo una
pagina di storia ogni moneta greca scritta dalla mano
di un artista greco, e bisogna poi estendere lo studio
alla serie per formare di quelle pagine un volume.
Studiando dunque attraverso i periodi storici la mo-
netazione, il Caruso-Lanza conclude che la moneta-
zione greca accompagnava quel graduale movimento
dei vari miti per un lunghissimo periodo di tempo,
un millennio circa dalla sua origine all'epoca della
conversione del mondo pagano al cristianesimo. Stu-
diando poi specialmente questi miti, il Caruso-Lanza
osserva che essi esistevano già fin dall'epoca proto-
ariana e le prime genti immigrate nell'Eliade, come
in tutto il resto d'Europa, li portarono seco dalla
madre patria comune; e qui si indugia a studiare
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 239
questi miti sulle monete per un certo periodo a guisa
di saggio per concluderne l'importanza che tale studio
acquista attraverso i vari periodi della monetazione
greca e la dignità che un simile studio conferisce
alla scienza numismatica.
Con la comunicazione Caruso-Lanza, si chiude
l'importantissima seduta del giorno 6 aprile alle
ore 15, designando per presidente della prossima
seduta il dott. Haeberlin.
Quarta Seduta.
Il martedì seguente 7 aprile si ebbe la quarta
ed ultima seduta. Presiedeva il prof. Haeberlin e
v'erano presenti i vice-presidenti Ambrosoli e Gnec-
chi, e venne eletto il prof. Riggauer, direttore del
Gabinetto Numismatico di Monaco, in assenza del
conte Papadopoli. Inizia la seduta il prof. Correrà
parlando di una moneta di Neapolis, di cui fa rile-
vare l'importanza; segue il prof. De Petra presen-
tando una Nota che ha per titolo la data di due
momte greche, nella quale rileva il significato storico
di una moneta di Cuma e di una di Napoli. La prima
ricorda l'aiuto che Cerone di Siracusa nell'anno 474
av. C. portò a Cuma, dando, nelle acque di questa
la più completa disfatta agli Etruschi. La seconda
si riferisce alla pace che le città greche della SiciHa
conclusero fra di se e con Atene nel 424: Napoli,
amica di Atene, volle celebrare una pace che traeva
la sua amica dal mal passo in cui s'era impigliata.
Prende poi la parola il Segretario, prof. Sera-
fino Ricci, per svolgere il tema preannunziato: La
Nitìnismatica nelFinsegnaniento. Il Ricci dimostra che
a torto si trascurano negli studi superiori e secon-
dari le discipline numismatiche, che per la parte an-
tica danno vivida luce all'archeologia e alle antichità
classiche, per la parte medievale e moderna sono il
240 SERAFINO RICCI
sussidio più chiaro e sicuro della storia dei popoli.
Osserva con rammarico che in Itaha non esiste cat-
tedra di Numismatica, mentre dovrebbe esserci al-
meno rappresentata in Roma o in un altro centro di
primo ordine; nota inoltre che nelle scuole secondarie
dovrebbe introdursi tale insegnamento complemen-
tare alla storia e alla storia dell'arte, non come ma-
teria a se che sovraccarichi il giovane studente
liceale, ma per mezzi pratici di piccole collezioni
numismatiche presso i gabinetti archeologici e arti-
stici, che dovrebbero sorgere presso ogni singolo
liceo, o almeno presso il piii importante. Quando
l'insegnamento della numismatica sarà universal-
mente impartito negli Atenei o come materia speciale
o come. corso complementare della cattedra di archeo-
logia e di storia medievale e moderna, allora avremo
i professori hceali che ne comprenderanno l'impor-
tanza e promuoveranno questo nobilissimo studio
anche nei licei.
Prima di finire l'applaudita comunicazione il Ricci
presenta agli intervenuti lo splendido volume edito per
cura del prof. Moschetti: // Museo civico di Padova,
lodandone l'idea animatrice e la forma elegante e
signorile, insiste soprattutto sulla storia del Museo
Bottacin e sulla illustrazione del Medagliere condotta
dal dott. Rizzoli junior. Segue la comunicazione del
prof. Ambrosoli, il quale, dopo di aver richiamato
l'attribuzione da lui proposta di alcune monetine del
Quattrocento (contraffazioni delle monete contempo-
ranee milanesi) alla nuova zecca di Valenza Po, dà
notizie di altre monetine e dello stesso tipo che si
potrebbero attribuire a Pietra Gavina, Mede e Mon-
dondone. Accenna inoltre alla zecca franco-italiana di
Charleville o Carlopoli aperta dai Gonzaga di Nevers
e Rethel, su cui aveva richiamato l'attenzione dei
dotti al Congresso numismatico di Parigi, e presenta
da ultimo un tallero coniato nel 1747 da Enrico Fran-
cesco II, conte di Mansfeld, col titolo di principe di
Fondi, che mostrerebbe invece rapporti italo-germanici
RELAZIONE AL CONGRESSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 24 1
nella monetazione di quel principe, provando chiara-
mente con la riproduzione fotomeccanica alla mano
che quel tallero, benché coniato in Germania e per
la Germania e da un personaggio tedesco, ha qualche
attinenza con la numismatica italiana. ■
Finita la comunicazione interessantissima del-
l'Ambrosoli, uno dei congressisti, il signor Matteo
Piccione, domanda ed ottiene di dare qualche spie-
gazione sulle monete suberate in sèguito a suoi espe-
rimenti intorno alla tecnica di quelle monete, e suscita
l'attenzione dei presenti, fra i quah il prof. Salinas
domanda la parola per dare qualche schiarimento in
proposito.
Vengono presentati i lavori degli assenti:
M. Bahrfeldt in Halle alS. Uber die Chronologie der Miin-
zen des Marcus Antonius (710-724 di Roma, 44-30 a. C).
G. Dattari, IlspioSo; sulle monete alessandrine.
A. De Witte, Les relations monétaires entre l'Italie et les
Provinces Belges ati nioyen age et a V epoque moderne.
F. Marchisio, Studi sulla numismatica di Casa Savoia,
Memoria Quarta: Altre monete inedite del duca Carlo
Emanuele I.
Jlles Maurice, L'atelier monétaire du Sirmium peiuiant la
periode Constatiiinienne.
Luigi Rizzoli, iunior, Monete veneziane del Museo Bottacin
di Padova.
Arturo Spigardi, Le medaglie del Risorgimento italiano.
Tutti questi lavori saranno pubblicati integral-
mente nella Rivista e ne sarà dato ampio sunto negh
Atti del Congresso Internazionale di Scienze storiche.
Alla fine della seduta il comm. Francesco Gnecchi
prende la parola per rilevare che i bellissimi avanzi
delle navi rinvenute nel Lago di Nemi non sono an-
cora proprietà dello Stato, ma in continuo pericolo
di essere allontanati da quella sede degna che sarebbe
il Museo nazionale delle Terme; fa notare lo splen-
dore degU oggetti e T importanza storica ch'essi
242 SK RAPI NO RICCI
hanno e avranno con nuovi scavi sistematici che in
quell'antico lago si facessero: presenta un opportuno
ordine del giorno nel quale s'invita il Governo a
provvedere con sollecitudine all'acquisto di quegli
oggetti e si incarica il prof. Serafino Ricci, che è
iscritto alla Sezione archeologica, di presentare il
detto ordine del giorno a quella sezione. Ma il pro-
fessor Ricci, presentata la proposta la mattina dopo
nella Sezione, dovette pur troppo ritirarla perchè
l'Ufficio di Presidenza, consapevole delle pratiche
infruttuose che già si erano fatte in proposito tra il
Governo e il proprietario di quegli oggetti, non cre-
dette opportuno di dar luogo a discussione e molto
meno promuovere un voto sull'argomento, il che pro-
dusse in ogni modo penosa impressione in quanti si
interessano alla tutela del nostro patrimonio artistico
nazionale.
Dopo il discorso del comm. Gnecchi, il Presi-
dente Haeberlin riassume brevemente i lavori della
Sezione Numismatica che dice importantissimi e
finisce coli' inneggiare a S. M. il Re d'Italia, così
appassionato e valente cultore delle discipline nu-
mismatiche, a Roma, all'Italia.
Domanda la parola il segretario Ricci per rin-
graziare i convenuti dell'intervento e dell'interesse
posto ai lavori della Sezione e specialmente i nu-
mismatici stranieri che hanno onorato della loro pre-
senza le sedute e hanno dato contributi cosi preziosi
di osservazioni e di lavori. Ringrazia specialmente i
Presidenti stranieri che diressero le quattro sedute, i
proff. Babelon, Pick, Luschin von Ebengreuth, Hae-
berlin, e il Vice-Presidente Riggauer, e propone che
si invii a S. M. il Re la fotografia del gruppo della
Sezione Numismatica eseguita nei giorni del Con-
gresso, in segno di riverente omaggio. Plaudendo
a questa proposta, l'ultima seduta si scioglie con
l'augurio dei presenti di presto rivedersi in altra
propizia occasione.
Il prof. Ricci, poi, qualche giorno dopo era af-
RELAZIONE AL CONGRESSO LNTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 243
fabilmente ricevuto da S. M. il Re, che accogliendo
favorevolmente il gradito dono, lo intratteneva a
lungo degli studi prediletti domandando notizie circa
i lavori del Congresso, la Società Numismatica Ita-
liana e il Circolo Numismatico Milanese.
Qualcuno avrebbe desiderato fin dall'ultima se-
duta della Sezione Numismatica di fissare la sede
del prossimo Congresso Numismatico, ma si trovò
più opportuno attendere la deliberazione degli storici.
E infatti, il giorno della chiusura che fu solenne, il
giorno 9 alle ore 16.15 nell'Aula Magna del Collegio
Romano, il Presidente Villari. circondato dai Vice-
Presidenti e dai Segretari, lesse i telegrammi dei
Ministri della Pubblica Istruzione e degh Affari Esteri
e del Sindaco di Roma, che si rallegravano per
l'esito del Congresso, scusandosi di non poter inter-
venire alla seduta; proposta poi la sede del futuro
Congresso internazionale a Berlino pel 1906, è posta
in votazione con un ordine del giorno che è appro-
vato all'unanimità.
Importantissime sono state le dichiarazioni del
Presidente Villari quanto all'incremento dei nostri
studi e ai risultati pratici del Congresso.
Dal discorso del Presidente Villari si deduce che
gli inscritti al Congresso furono 2400, gli interve-
nuti 1800, le rappresentanze ufficiali 300, le adu-
nanze 115, con 54 ordini del giorno. Conseguenze
immediate del Congresso furono non solo la presen-
tazione dei lavori importantissimi riflettenti le disci-
pline storiche, ma anche la pubblicazione del III
volume delle iscrizioni di G. B. de Rossi, e la proposta
di fondare in Roma, dopo la generosa offerta del
sig. Ernesto Modigliani, una scuola storica.
È proclamata Berlino sede del prossimo Con-
gresso internazionale di Scienze storiche. Il Villari,
dopo aver ringraziato gli Stati che per mezzo dei
loro Delegati parteciparono al Congresso, tutti gli
illustri stranieri che ornarono di loro presenza il Con-
244 SERAFINO [Ricci
grasso e quanti cooperarono alla riuscita di questo, tra
gli applausi unanimi ed entusiastici dell'Assemblea
chiude il suo discorso inneggiando alla fratellanza
delle nazioni nel progresso della scienza, fratellanza
di cui è lieto presagio lo stesso presente Congresso.
11 Vice Presidente Harnack ringrazia in tedesco
il Presidente Villari e si afferma veramente commosso
per le cordiali accoglienze ricevute in Italia. Accolto
il suo dire da applausi entusiastici, egli riprende per
ringraziare Governo e Comune degli indimenticabili
ricevimenti al Palatino e al Campidoglio, poiché
unitamente con gli importanti risultati ottenuti al
Congresso resero questo degno dell' Itaha e del pro-
gresso scientifico moderno.
Finisce elogiando il Comitato per il suo zelo e
il suo tatto e in special modo l'infaticabile e intelli-
gentissimo comm. avv. Giacomo Gorrini, segretario
generale del Congresso, che nulla omise, con suo
sacrificio personale, che potesse tornar di decoro e
di utile al Paese; il suo lavoro indefesso per l'orga-
nizzazione del Congresso, che fu semplice e insieme
completa, assicurò la riuscita al Congresso stesso.
Finisce fra gli applausi inneggiando all'Italia e al Re,
che incoraggi e protesse il movimento scientifico e
il metodo storico del Congresso.
Il prof. Cordelli, delegato di Brivio, portò un
saluto in nome della patria di Cesare Cantù, il
comm. Tommasini propose fra gh applausi un saluto
al Re e alla Regina Margherita.
Oltre l'inaugurazione della Forma Urbis soprac-
cennata nel cortile del Palazzo dei Conservatori,
abbiamo avuto nel periodo del Congresso conferenze
interessantissime con proiezioni dell'architetto Boni
sugli scavi del Foro Romano, degli archeologi Pernier
e Gerola sugli scavi di Creta del periodo greco l'uno,
del periodo veneto l'altro. Interessante anche la con-
ferenza del colonnello Borgatti alla Mole Adriana.
11 3 aprile fu inaugurata la Mostra di Topografia
romana nella Biblioteca Vittorio Emanuele per cura
RELAZIONE AL CONGRFSSO INTERNAZ. DI SCIENZE STORICHE 245
del conte Gnoli, e la serd fu dato un concerto di
musica sacra italiana nel Teatro l'Argentina.
Il 4 aprile fu inaugurata la esposizione dei ma-
noscritti e cimeli tipografici nella Biblioteca Casana-
tense: la sera ebbe luogo l'illuminazione a bengala
del Colosseo.
Il 5 il Ministro dell'Istruzione inaugurò il Foro
del Chiostro di Santa Francesca Romana, cioè il Museo
del Foro e la cosidetta Rampa Imperiale, che dal
Foro Romano sale al Palatino lasciando alle sue falde
la storica basilica di S. Maria Antiqua con i suoi
famosi affreschi del IX e X secolo dell' E. V. Al Pa-
latino seguì una sontuosa garden Party y resa splendida
non meno dalle bellezze del panorama di Roma, che
dalla affabile cortesia del Ministro e della Commis-
sione ministeriale che faceva gli onori di casa.
Gareggiò poi col Ministro nell'ospitalità il Sin-
daco di Roma, principe Colonna il giorno dopo,
invitando la sera i congressisti al suo ricevimento
nei Musei Capitolini che parevano palazzi incantati,
alla luce intensa delle lampade elettriche, resa ancor
più viva dal candore del marmo su cui si rifletteva.
Chiuse la serie dei trattenimenti la gita genia-
lissima e ben riuscita che il comm. Gorrini insieme
col Comitato ideò come caro ricordo del Congresso
a Ninfa e a Norir.a (l'antica Norba), non che di ritorno
agli scavi di Sermoneta. La bellezza del cielo caldo
dei dintorni di Roma, resa ancor più accesa da una
splendida giornata di primavera, s'univa alla grandio-
sità delle rovine, alla importanza dei problemi archeo-
logici che si presentavano alla mente degh studiosi
e specialmente degli archeologi. A Norba si credeva
trovare i Pelasgi e non s'incontrarono finora che
Romani; a Sermoneta si scavarono le tombe coeve
alla fondazione di Roma e nei caratteri loro del rito e
della ceramica si mostravano chiaramente apparte-
nenti alla schiatta italica, che viveva in quei luoghi
immediatamente prima della fusione dei vari elementi
nella popolazione dell' 6^r^s.
246 SERAFINO RICCI
Gli scavi continueranno sotto la direzione degli
archeologi Mengarelli e Savignoni, che ci furono di
guida dotta e gentile nella visita ai monumenti, e si
vedrà se le mura credute ciclopiche che rinserrano
ancor oggi il territorio della città antica di Norba
siano davvero preesistite alla civiltà romana o invece
siansi costruite dopo ad imitazione dell'uso e della
tecnica dei primitivi Pelasgi.
Nessun campo di ricerche è più suggestionante
e più promettente per la storia delle stirpi italiche
di quello che s'aderge sul dosso del monte, acropoh
ardita che sfida i secoli e domina la sottostante Nmfa
con la sua torre medioevale, triste e abbandonata
alla solitudine sinistra che rende deserte le Paludi
Pontine.
E ritornando a Roma il pensiero correva all'in-
distruttibilità della storia, che dalle rovine sorge
inesorabile e muta accusatrice o lodatrice delle città,
e che ha segnato a caratteri eterni il nome di Roma.
Milano, Maggio igoj.
Serafino Ricci.
ATTI
DELLA
SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Seduta del Consiglio, 26 Giugno 1903.
(Estratto dai Verbali/.
La seduta è -aperta alle ore 14.
I. Il Segretario dà lettura del Bilancio Consutitivo 1902
da presentare all'Assemblea Generale dei Soci. E approvato
ad unanimità.
II. Viene poi approvata la Relazione sull'andamento
morale della Società durante il 1902.
III. In seguito alle deliberazioni prese nel Congresso
Storico tenutosi recentemente a Roma, il Presidente C* Nicolò
Papadopoli invita il Consiglio a nominare una Commissione
di nove membri per lo studio del riordinamento delle monete
di zecche italiane. Fatto lo spoglio delle schede, risultano
eletti a far parte di detta Commissione i Signori:
Conte Comm. Nicolò Papadopoli, Presidente.
Cav. Dott. Solone Ambrosoli, Bibliotecario.
Prof. Giuseppe Castellani.
Cav. Giuseppe Gavazzi.
Cav. Uff. Ercole Gnecchi.
Cav. Prof. Alberto Puschi.
Prof. Dott. Serafino Ricci, Segretario.
Comm. Col. Giuseppe Ruggero.
Dott. Arturo Sambon.
IV. Il Segretario dà lettura dei seguenti doni pervenuti
alla Società entro il corrente anno:
243 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Ambrosoli cav. clott. Solone.
Le sue pubblicozioni : Una medaglia poco nota di Papa Pio IV (Estr.
ùaWArchivio Storico Lombardo). Milano, 1903. - La Zecca
franco-italiana di Charleville o Carlopoli. Milano, 1903. —
Congresso Internaz. di Scienze storiche. Relazione sul tema:
Intorno all'uso delle lingue nazionali negli scritti di Numisma-
tica. Roma, 1903.
Andrew W. J.
La sua pubblicazione : Notes on « A numismatic history of the Reign.
of Henry I. — Reply to Messrs C. G. Crump und C. Johnson
« Numismatic Chronicle ", 1903.
Bordeaux Paul.
La sua pubblicazione : La moiette d'éperon, different de l'Atelier
monétaire de Saint Quentin {1384-1465), dalla Rcvuc Nmnisma-
tique fran^aise, 1901.
Giacer! prof. Emanuele.
La sua pubblicazione : Il riordinamento del Museo Nazionale di
Napoli e la buona fede de' suoi critici. Napoli, Tocco e Sal-
vietti, 1903.
Circolo Numismatico Milanese.
Una copia della sua pubblicazione periodica, il Bollettino di Nu-
mismatica e di Arte della Medaglia, diretto dal Presidente del
Circolo prof. dott. Serafino Ricci, n. 1-6 con illustrazioni.
Milano, Cogliati, 1903.
Clerici Carlo.
La sua pttbblicazione : Ponti, strade, viaggi, esplorazioni, esploratori,
areonauti (sic) ecc., negli ultimi 150 anni in Italia secondo le
medaglie. Milano, Vallardi, 1901.
Cutiiont Georges di Bruxelles.
La sua pubblicazione: Mélanges Numismatiques: Règne de Jeanne
di Brabant, veuve {1383-141,6). Amsterdam, Moller, 1902.
Qnecchi cav. uff. Ercole.
Parecchie prove di falsificazioni moderne di monete italiane, di
cui alcune milanesi.
Gnecchi Francesco ed Ercole.
Guida Numismatica Universale, 1903, IV edizione
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 249
Qnecchl conim. Francesco.
La sua pubblicazione: « Roman Coins »; traduzione inglese del Ma-
nuale di « Monete Romane » edito dall' Hoepli. Londra, 1903.
Jonghe (le V." Baudoln de) di Bruxelles.
La sua pubblicazione: Deux thalers de Charles de Croy, prince de
Chimay, comte de Megen. — Trois monnaies luxembourgeoises
inédites. Bruxelles, Goemaere, 1902-1903.
Jorgensen Chr. di Copenaghen.
La sua pubblicazione: Médaillons romains en or; traduit par E.
Philipot. Copenhagen, Thieh% 1902.
Kretzschmar dott. Johannes.
La sua fiubblicasione: Die Kónigliche Munze zur Hannover. Dono
dell'Historischer Verein fiir Nieder-Sachsen.
Osnago Enrico.
Le pubblicazioni : Brunacci Gio. Monete tre estensi. Lettera di....
al sig. Nicoletto Venezze.... Padova, 1763, op. in 4, fig. —
Gradenigo Giannagostino. Della moneta veneta-imperiale, di-
scorso di.... letto all'accademia di Udine l'anno 1762. Padova,
Prosperini, 1869, op. in-8. — Macca F. Gaetano Girolamo. Della
zecca vicentina.... Vicenza, Tomaso Parise, 1802, i voi. in-i6.
— Morroni Giuseppe. La moneta metallica. Studio storico-
economico del dottor.... Venezia, Antonelli, 1873. op. in-8. —
Notizie sul fiorino d'oro antico di Firenze, in rapporto special-
mente al suo vero valore a moneta d'argento ; op. in-4. — N. 2
Monete italiane in arg., 6 in rame.
Papadopoli conte comm. Nicolò.
Le sue pubblicazioni : Nicolò Tron e le sue monete (1471-1473).
Milano, Cogliati, 1901. — Monete italiane inedite della Raccolta
Papadopoli {Appendice al N. /).
Perini Quintillio.
Le sue pubblicazioni : La Famiglia Lindegg e le Signorie di Liz-
zana, Mollenburg, Weissenberg, Marbach e Arndorf. — Cenni
storici, stemmi, medaglie. Rovereto, Grandi, 1903.
Piccione prof. Matteo.
La sua pubblicazione : Del bucchero esile. Roma, tipografia editrice
Romana, 1903.
250 ATTI DELLA SOCItTÀ NUMISMATICA ITALIANA
Ricci prof. doli. Serafino.
Le sue pubblicazioni: Indice sistematico analitico della Rivista
italiana di Numismatica dalla sua fondazione alla fine del
sec. XIX (I, 1888 — XllI, 1900) con una introduzione di appunti
retrospettivi intorno alla Storia della Numismatica italiana dal
1860 al 1900. — Una medaglia inedita in onore di Giambattista
Camozzi-Vertova, con illustrazione. Milano, Cogliati, 1903 (dal
Bollettino di Numismatica e di Arte della Medaglia, n. 3-4). —
Omaggio al Congresso Internazionale di Scienze Storiche in
Roma, pubblicato dal Circolo Numismatico Milanese, redatto
dal suo Presidente prof. S. Ricci, con illustrazioni. — Congresso
Internazionale di Scienze Storiche in Roma. Relazione sul
tema proposto al Congresso dal Circolo Numismatico Milanese,
relatore il prof. S. Ricci : Dell' ordinamento delle Collezioni di
monete italiane, medioevali e moderne. Milano, Cogliatt, 1903.
— L'arte della medaglia e della placchetta in Italia, estratto
da.]V Arte italiana decoratica e industriale diretta da Camillo
Boito. Milano, Hoepli, 1903, con molte illustrazioni nel testo
e due tavole delle medaglie e placchette dello Stabilimento
Johnson in Milano.
Rizzoli dott. Luigi, junior.
Le sue pubblicazioni: Quattrini di Francesco Novello da Carrara;
varietà possedute dal Museo Bottacin di Padova. Milano,
Cogliati, 1902. — Due bassorilievi in bronzo di Giovanni Dal
Cavino. Padova, Società Cooperativa tipografica, 1902. —
I sigilli nel Museo Bottacin (Vili). Padova, Società Cooperativa
tipografica, 1902. — Di un sigillo in uso a Trento durante il
dominio bavarese (1806-1809). Rovereto, tipografia Grandi, 1902.
— Il Museo Bottacin in Padova. Padova, Prosperini, 1903.
Vanden Broeck Edouard di Bruxelles.
La sua pubblicazione : Cinq jetons de Magistrats Bruxellois pour
des fonctions restant à déterminer (XVII siècle) con tavola.
V. Si approva da ultimo la composizione del II fascicolo
della Rivista 1903.
Alle ore 143/4, esaurito l'Ordine del Giorno, la seduta
è levata.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 25 1
Assemblea Generale dei Soci 26 Giugno 1903.
L'Assemblea, convocata nella Sala Sociale del Castello,
è aperta alle ore 15.
Sono presenti il Presidente, il Vice-Presidente Cav.
Uff. Ercole Gnecchi, cinque Consiglieri e buon numero di Soci.
In assenza del Vice Presidente Comm, Francesco Gnecchi,
indisposto, il Segretario Angelo Maria Cornelio, legge la
seguente Relazione:
Egregi Colleghi,
Nella mia relazione precedente accennavo con piacere
a un fatto consolante che da qualche tempo si verifica nel
nostro paese, cioè ad un risveglio sensibile negli studi nu-
mismatici e nella passione per le raccolte. Non dubito di
asserire che il merito principale di questo nuovo indirizzo
di studi e d'intenti è dovuto all'influenza e all'impulso della
nostra Società e del suo periodico che da ben quindici anni
continua regolarmente le sue pubblicazioni. Molti, special-
mente fra i giovani, ne sono divenuti fedeli collaboratori, e
ogni anno qualche nuovo nome viene ad ingrossare il loro
numero. Altri giovani, specie della nostra città, hanno iniziato
delle collezioni; alcuni di questi vi attendono con serietà
d'intenti, ed è certo che presto porteranno essi pure alla
Rivista il contributo dei loro studi.
Come indizio di questo risveglio, di questa nuova orien-
tazione di studi e di gusti, possiamo citare un altro fatto.
Sulla fine dello scorso anno 1902, per iniziativa del nostro
collega prof. Serafino Ricci e col concorso di alcuni giovani
studiosi, si fondava nella nostra città il Circolo Niimismalico
milanese. Questo Circolo ha per iscopo il ritrovo e l'aflìata-
mento fra i cultori della numismatica, per promovere ed
aumentare le collezioni, per la consultazione gratuita circa
le monete e le medaglie, per il prestito gratuito dei libri,
ecc., ecc. Il Circolo pubblica un Bollettino mensile, redatto
in modo pratico e con tutte quelle notizie che possono inte-
ressare i raccoglitori.
Noi salutiamo con piacere il sorgere di questo nuovo
sodalizio e siamo ben lungi dal minimo sentimento di gelosia.
252
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
o dal temere che esso possa in alcun modo danneggiare la
nostra Società e la nostra Rivista, o farci, come si dice,
concorrenza. Nel campo degli studi, ogni istituzione può riuscir
utile. Perciò le due Società si daranno la mano, si ajuteranno
a vicenda, e l'una sarà anzi il complemento dell'altra. Eccomi
ora a darvi qualche notizia riassuntiva sull'andamento della'
Società nostra durante il 1902:
Soci.
Alla fine dello scorso anno la Società contava: N. 54
Soci Effettivi e 57 Corrispondenti. Gli abbonati alla Rivista
erano 140. Durante l'annata la Società acquistava nuovi Soci
ed Abbonati, ma questi bastarono appena a sostituire quelli
cessati per morie; sicché il numero totale è ancora quello
dell'anno precedente.
Biblioteca e Medagliere,
Un nuovo incremento segnarono nell'anno la Biblioteca
e il Medagliere della nostra Società. Eccone il prospetto
numerico alla fine del 1902:
Biblioteca.
Volumi
Opuscoli
N. 580
Medagliere.
Monete
Oro .
Argento
Bronzo
Vetro
Argento
Medaglie \ Bronzo
\ Metalli diversi
Piombi
\.
13
»
614
>ì
4872
>}
448
»
20
»
328
II
95
»
94
Totale pezzi N. 6484
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 253
Si è potuto finalmente far acquisto di un nuovo mobile
per la divisione razionale delle monete e delle medaglie, ed
entro il corrente anno la nostra suppellettile numismatica
sarà completamente riordinata per cura del nostro collega
Vice-Bibliotecario, prof. Serafino Ricci.
Rivista.
Mentre il numero degli abbonati alla nostra Rivista pur
troppo si mantiene esiguo e non proporzionato alle spese
occorrenti, constatiamo con piacere che la schiera dei colla-
boratori va sempre aumentando, talché i direttori, pur la-
sciando da parte quei lavori che non meritano attenzione,
durano talvolta fatica a dar posto a tutti gli articoli degni
d'esser pubblicati. Nel 1902, quantunque le finanze noi con-
sentissero, si dovette sorpassare il numero di 500 pagine
prescritte come limite ed avvicinarsi alle 600, unendovi
inoltre ben 17 tavole. La materia fu, come di solito, distribuita
in giusta misura, dalla numismatica classica a quella medio-
evale e moderna e alle medaglie; e fra le sue pagine la Rivista
ebbe l'onore di accogliere gli studi di distinti numismatici
esteri, elaborati che erano stati predisposti per il Congresso
Storico di Roma. Anche nel 1903 i nostri lettori vedranno
indubbiamente comparire ancora sulla nostra Rivista lavori
dei più riputati scrittori d'oItr'Alpe.
Bilancio.
Ed eccoci ora al Bilancio Consuntivo del 1902:
Rimanenze attive del 1901.
Libretto Cassa di Risparmio L. 122 io
Quote da riscuotere n 60 —
L. 182 IO
Entrate dell'anno 1902.
Quote di Soci ed Abbonati alla Rivista . . L. 3660 —
Elargiz.' del Conte Comm, N. Papadopoli . ■» 500 —
" dei F.lli Comm. F. e Cav. E. Gnecchi »» 500 —
Dal Congresso Storico di Roma ..." 450 —
L. 51 IO —
33
254 ^TTI DKLLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
Rimanenze attive del 1901 . . . L. 182 io
Entrate dell'anno 1902 come retro » 5110 —
Residui passivi.
Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1903 . . L. 180 —
L. 5472 IO
Rimanenze passive del 1901.
Anticipazioni quote di Soci ed Abbonati pel 1902 . . L. 170 —
Spese del 1902.
Stampa della Rivista ed accessori . . . . L. 4020 -
Fotoincisioni ed eliotipie » 605 —
Affitto locale nel Castello Sforzesco ...» 250 —
Al Custode dell'Ufficio » 100 —
Competenze di Segreteria » 100 —
Spese postali ...» 24 —
L. 5099 -
Rimanenze attive al 31 Dicembre 1902.
In Cassa L. 103 10
Quote da riscuotere » 100 —
L. 203 IO
L. 5472 IO
Dimost r a zio n e .
Attività in principio di esercizio L. 182 io
Passività » 170 —
L. 12 IO
Attività in fine di esercizio L. 203 10
Passività » 180 —
L. 23 IO
Aumento di Patrimonio L. 11
Rendite dell'anno L. 5110 —
Spese " 5099 —
Avanzo L. 11 —
// Segretario Tesoriere: Angelo Maria Cornelio.
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 255
11 nostro Bilancio, dunque, si mantenne in pareggio,
quantunque la spesa per la Rivista sia risultata considerevol-
mente superiore a quella dell'anno precedente, e malgrado le
spese incontrate pel Congresso Storico di Roma, spese che
furono solo in parte rimborsate sul fondo che la Commissione
Governativa aveva a disposizione per quello scopo.
Congresso storico internazionale di Roma.
Un avvenimento che, quantunque abbia avuto luogo
nel 1903 e non nel 1902 di cui ora ci occupiamo, pure deve
prender posto in questa relazione, è il Congresso Internazio-
nale di Scienze Storiche tenutosi in Roma al principio dello
scorso Aprile. Mercè i buoni ufficii della nostra Società, la
Numismatica vi ebbe la sua parte e così anche l'Italia può
ora dire d'avere avuto il suo Congresso internazionale di
Numismatica. Bruxelles iniziò la serie di tali Congressi
nel 1891, Parigi tenne il secondo nel 1900 e Roma il terzo
appunto nello scorso mese d'Aprile. L'Italia che, passiamo
dirlo, figurò bene nei primi due, non poteva restare indietro
in quello qui organizzato e ci pare di poter dire che l'onore
degli studii numismatici venne tenuto alto dai numerosi
intervenuti. Iscritti alla Sezione Numismatica furono N. 141
di cui N. 75 italiani e N. 66 esteri.
Le memorie presentate furono 27, di cui 17 italiane e
IO straniere. Per la maggior parte le memorie furono lette
dagli autori stessi presenti, e, cosa notevole, quasi tutte
furono lette in italiano, gentilezza, di cui non possiamo che
essere grati ai colleghi stranieri.
Io non mi fermerò qui a dare una descrizione delle feste
che accompagnarono il congresso, delle cortesie che ai con-
gressisti usarono la città di Roma, la Corte e la Presidenza
del Congresso stesso, perchè un'ampia relazione del prof. Ricci
apparirà nel II fascicolo della Rivista, e neppure mi soffer-
merò a citare i nomi degli intervenuti, né le memorie presen-
tate, perchè queste verranno pure pubblicate nella Rivista,
incominciando appunto con questo II fase, dell'anno in corso.
Qualche parola invece credo di dover aggiungere sui due
temi presentati dai Sigg. Ambrosoli e Ricci e discussi nelle
sedute del Congresso. Il primo di questi temi versava sull'uso
delle lingue nazionali negli scritti numismatici, il secondo
sull'ordinamento delle Collezioni di monete italiane medioevali
e moderne.
I due temi non erano di facile soluzione, troppi essendo
gli argomenti che si possono portare prò e contro. Quanto
256 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
al primo, abbandonato ormai, e pur troppo, il latino come
lingua scientifica, non è certo più il caso di poterlo far rivi-
vere, e altrettanto difficile riescirebbe sia il creare una lingua
nuova, sia l'adottare come lingua universale una delle viventi.
Ormai non resta che limitare il numero di queste, le quali
invece col rafforzarsi dei sentimenti nazionalisti, tendono a
moltiplicarsi, e il voto espresso fu appunto la limitazione alle
quattro principali, francese, inglese, tedesca e italiana. I
Prof Salinas e De Petra poi proposero, e il relatore accettò
un ordine del giorno, in cui si esprime il desiderio che almeno
per le descrizioni delle monete classiche venisse conservato
il latino. Vedremo quale fortuna otterrà nella pratica questo
voto del Congresso romano.
L'altro tema sull'Ordinamento delle collezioni italiane
fu lungamente discusso e vi presero parte con molta compe-
tenza anche parecchi fra gli stranieri. Le proposte furono
diverse, molte le difficoltà e le opposizioni sollevate, e quando
si vide che il tema non poteva essere svolto né in una né
in due delle sedute del Congresso, si pensò di rimandarne
lo studio a una Commissione, deferendo la nomina di questa
alla Società Numismatica Italiana.
Può darsi che la questione abbia il seguito della di-
scussione al Congresso Numismatico di Berlino, già indetto
pel 1906.
Un argomento che, per quanto non fosse proposto alla
discussione in un tema speciale, pure occupò replicatamente
le sedute del Congresso, fu quello delle falsificazioni. Nessun
tema più pratico e più attuale di questo. Le falsificazioni
incominciarono presto nella numismatica, come del resto in
tutti gli altri oggetti che presentano un valore; ma ormai
raggiunsero un'intensità e una estensione impressionanti.
Roma é una delle città dove più fiorente é tale vergognosa
industria ed era ben giusto che se ne parlasse.
Le falsificazioni dei bronzi hanno avuto il loro tempo di
floridezza; ma ormai si possono dire poco pericolose, perché
per quanto sia grande l'abilità dei falsarli, gli amatori che
si sono lasciati cogliere all'inizio di tale industria, ormai
hanno imparato a conoscerle assai bene ed è difficile che si
lascino ingannare. Non é dire che non si trovino falsificazioni
di monete di bronzo a Roma; tutt' altro. Solo del famoso
Gran Bronzo di Tranquillina trovai ben sette esemplari nel
giro che feci fra gli antiquarii di Roma. E oltre a questa
falsificazione ne trovai molte altre; ma ormai queste non
destano più apprensioni.
Sull'argento pure non è molto intensa la falsificazione;
ma dove invece é grandissima e enormemente pericolosa è
ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 257
nell'oro. Questo metallo tanto dolce e malleabile e tanto resi-
stente a cjualunque ossidazione e quindi così sempre eguale
a qualunque età, si presta mirabilmente alle falsificazioni. Non
è questione che di eseguir bene i conii. Sia poi che questi si
facciano a mano da abili incisori, sia che si trovi un sistema
meccanico di ricalcarli sugli antichi, una volta ottenuti i conii,
la moneta che ne risulta è tanto simile all'antica, che è
sempre difficilissimo — talvolta aggiungerei impossibile — il
distinguere l' una dall'altra.
A Roma poi non si fanno solamente monete nuove che
sembrano antiche, si correggono anche — e assai bene —
sulle monete antiche, e specialmente sulle medioevali lettere
o simboli, e si rendono così rare delle monete comuni. Perciò
l'amatore in cerca di monete d'oro si trova in un ambiente
tanto pieno d'insidie che è ben difficile che ne esca senza
danno. Difatti, durante il mio ultimo soggiorno a Roma, ho
visto parecchi fra i più intelligenti talvolta rimanere perplessi,
tal'altra restare completamente ingannati dalle monete d'oro.
Tale la posizione dei fatti. Ma i rimedii? poiché, mi si
osserverà: è di questi probabilmente che le discussioni del
Congresso si saranno occupate. I rimedii sono pochi e poco
efficaci, perchè troppo difficile è colpire il falsificatore, il
quale attende anche apertamente al suo mestiere, allegando
che eseguisce delle copie, come i pittori che vanno a copiare
nelle pinacoteche. L'esecutore poi ha la cura di non vendere
i suoi prodotti ai raccoglitori; ma trova chi si assume questo
incarico , il quale ha sempre la scappatoja di confessare
d'essersi ingannato quando il falso viene scoperto. E frattanto
non resta che raccomandare il più caldamente possibile ai
raccoglitori di aprir bene tutti e due gli occhi davanti alle
monete d'oro; di dubitare di ogni moneta che esca appena
dal comune, e di non acquistarne se non da persone pratiche
e oneste; e finalmente di essere rassegnato, di quando in
quando, a pagare la scuola colla propria borsa. Pur troppo è
questa la condizione generale e numerosi sono gli esempi
che si possono citare non solo fra i privati amatori , ma
benanco fra i direttori dei principali musei. Non preciserò i
fatti; ma alcuni di questi sono ormai di dominio pubblico.
Il Prof. Piccione di Roma, che si occupa dello studio
delle monete antiche sotto l'aspetto tecnico della fabbrica-
zione, che dubita assai — e con molta ragione — delle
monete che circolano in commercio, che per i suoi studii
tagliò e sventrò e diede al crogiuolo tante monete, che
per essere sicuro sulla qualità dell'argento nelle diverse
epoche non esitò a sagrificare un denaro di Tranquillina —
benché il sacrificio assai più tenue fatto colle monete del
258 ATTI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA
marito avrebbe condotto al medesimo scopo — intrattenne
diverse volte l'adunanza interessandola colle sue critiche
osservazioni; ma la conclusione finale è sempre quella. Il
pericolo esiste ed è molto grande; ai raccoglitori il guardar-
sene.... fin che lo possono.
Come i nostri Soci ed Abbonati avranno potuto consta-
tare, la nostra Rivista ha già cominciato ad occuparsi di
questo argomento, pubblicando in una Rubrica speciale un
certo numero di falsificazioni recentemente apparse. Essa
continuerà coraggiosamente la sua campagna contro questi
sfruttatori della scienza e della buona fede, accogliendo di
buon grado tutte le comunicazioni e le notizie che le verranno
date a questo proposito da' suoi Collaboratori.
Il Congresso si chiuse solennemente come era stato
inaugurato e lasciò in tutti gli intervenuti un gratissimo
ricordo. Si fecero parecchie conoscenze, se ne ravvivarono
altre sia con membri italiani che con membri stranieri; e fra
questi e quelli regnò sempre la massima cortesia, motivo
pel quale sentiamo il dovere di mandare ancora un cordiale
saluto a tutti gli stranieri che ci onorarono del loro inter-
vento.
La Relazione e il Bilancio Consuntivo 1902 sono appro-
vati ad unanimità.
Dietro invito del Presidente si apre una viva e interes-
sante discussione circa la nuova legge relativa all'esporta-
zione all'estero degli oggetti antichi, legge già approvata dal
Parlamento e che sta per essere trattata in Senato. Tutti
sono d'accordo nell'affermare che la nuova legge, per quanto
riguarda le monete, oltre riuscire affatto inefficace, lede i
diritti e gli interessi dei raccoglitori e dei negozianti, e, nonché
favorire, inceppa e rende difficile l'incremento delle collezioni,
per le quali si ricorre in gran parte all'estero. Viene pertanto
approvato ad unanimità il seguente telegramma da spedire
seduta stante alla Presidenza del Senato:
u Società Numismatica Italiana, oggi radunata in Assemblea
Generale, presa cognizione della legge in discussione al Senato circa
divieto esportazione oggetti antichità, fa voti ne siano escluse le
monete, poiché qualsiasi limite loro esportazione riesce di difficile
applicazione, mentre inceppa grandemente scambi internazionali,
incremento collezioni, progresso studii numismatici. »>
ATJI DELLA SOCIETÀ NUMISMATICA ITALIANA 259
Si passa da ultimo alla nomina di tre Membri del Con-
siglio in sostituzione dei Sigg.: Cav. Dott. Soloue Ambrosoli,
Conte Nicolò Papadopoli e Cav. Uff. Ercole Gnecchi, scadenti
per anzianità. Fatta la votazione, i tre Consiglieri uscenti
sono rieletti. Vengono pure confermate le cariche sociali in
corso, delle quali ecco 1* elenco pel 1903.
Presidente Onorario :
S. M. Vittorio Emanuele III, Re d'Italia.
Presidente:
Conte Comm. Nicolò Papadopoli, Senatore del Regno.
Vice- Presidenti :
Comm. Francesco Gnecchi.
Cav. Uff. Ercole Gnecchi,
Consiglieri:
Ambrosoli Cav. Dott. Solone (Bibliotecario).
Gavazzi Cav. Giuseppe.
Motta Ing. Emilio.
Ricci Prof. Dott. Serafino ( Vice- Bibliotecario).
Ruggero Comm. Col. Giuseppe.
V^iscoNTi March. Cav. Carlo Ermes.
Angelo Maria Cornelio, Segretario.
Alle ore 16 Vi, esaurito l'Ordine del Giorno, il Presidente
dichiara sciolta l'Adunanza.
Finito di stampare il 30 Giugno 1903.
Achille Martelli, Gerente responsabile.
FASCICOLO III.
APPUNTI
DI
NUMISMATICA ALESSANDRINA "
(Vedi Fase. I, 19031
XVI.
Saggio storico sulla monetazione dell'Egitto
dalla caduta dei Lagidi
all'introduzione delle monete
con leggenda latina.
Parte VI.
§ I.
A tutti sono note le tante calamità che si suc-
cessero durante il lungo regno di Marco xA.urelio, e
la finanza dell' impero in grande parte dovette ripa-
rarvi, cosicché si trovò a dovere affrontare delle
spese ingenti e straordinarie, a tale segno che il
tesoro si trovò spesso in grandi ristrettezze.
Per regola generale non solo nei tempi più
remoti, ma anche in tutti gli altri, compresi i mo-
derni, fra le tante conseguenze che portano seco le
ristrettezze finanziarie di un governo, prima tra que-
ste, è la penuria del numerario. Nei tempi che ora
ci occupano quella penuria fu quasi sempre causa
di qualche cambiamento nel sistema monetario, cam-
biamento in parte decretato dal governo ed in parte
abusivo di coloro che erano addetti all'emissioni
delle monete.
264 G. DATTARI
Sembra che a questa legge, che chiamerei na-
turale, la monetazione di M. Aurelio si sottraesse,
poiché apparentemente il sistema non cambiò da
quello che lo aveva lasciato Antonino Pio. Ho detto
a quello che sembra, giacche per quanto è a mia
conoscenza, tanto per le monete della serie romana
quanto per quelle di tutte le altre, nessuno ha mai
avanzato l' idea che durante questo regno avvenis-
sero delle modificazioni al sistema monetario, se si
eccettua l'avvilimento nel valore del denaro. Anzi
tutti i numismatici sono in pieno accordo, assegnando
a Caracalla la prima modificazione dopo che il si-
stema venne riformato da Nerone.
§ 2.
Si ricorderà come con l'Appunto IX (i) vagamente
accennai che in Egitto fino dai tempi di M. Aurelio
si pensava ad una riforma monetaria. A questa idea
che oggi vengo a comfermare, ne aggiungo un'altra,
ed è che in Alessandria, sotto di questo imperatore
e per la prima volta, venne inaugurata una zecca,
la quale probabilmente fu istituita sulle stesse basi
di quella di Roma, e forse col tempo divenne unica
in Egitto.
Questa idea viene suggerita dalla comparsa che
fa la Dea Moneta sopra i rovesci delle monete di
questa serie, tanto di mistura come di bronzo ^^^). La
Dea viene rappresentata come lo è sulle monete di
Roma, con la differenza che talvolta sopra quelle
di bronzo della maggior grandezza, dietro la Dea
apparisce un alto monumento con sopra una statua
(i) Le date sulle monete di Commodo.
(2) NVMI AVGG- ALEXANDRINI. Vedi descrizioni N.i 3478 e 3732.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 265
(Moneta?). Quelle monete portano la data dell'anno 3°
(162-163 d. C); mentre che a Roma da Galba in poi
la Dea Moneta venne immancabilmente esibita sui ro-
vesci delle monete, è proprio sopra a quelle di M. Au-
relio, Faustina, Lucio Vero e Lucilla che manca.
Questa Dea di creazione puramente romana e
mancante nel Pantheon Greco ed Egizio, onde fosse
conosciuta nel nuovo ambiente, il suo nome venne
ellenizzato e tutte le monete con quel rovescio por-
tano la leggenda « MONHTA w.
Perchè in Egitto si sarebbe riprodotto un ro-
vescio copiato dalle monete di Roma di tempi an-
teriori a questi? e perchè a quel rovescio venne
aggiunto il monumento? Bisogna convenire che con
quella nuova rappresentazione si volle commemorare
un avvenimento proprio ad Alessandria e quell'av-
venimento, quale altro può essere se non T inaugura-
zione della sua Zecca?
Se r interpretazione che ho dato alla comparsa
delle monete con la nuova Dea ha qualche cosa di
vero, si può anche dedurre che sotto di M. Aurelio
la Zecca di Alessandria venne messa in più stretta
relazione con quella di Roma e con più forte ragione,
i due sistemi monetari dovevano camminare di un
più comune accordo, per cui, le innovazioni fatte da
una di esse dovevano quasi per conseguenza essere
risentite dall'altra.
§ 3-
Se all'epoca di questo Augusto, come v^edremo
in appresso, il sistema monetano d'Egitto venne mo-
dificato, senza che a Roma si abbia fatto altrettanto,
bisogna convenire che il caso è unico, poiché ab-
biamo constatato e lo constateremo anche pei regni
266 G. DATTARI
seguenti, che la monetazione d'Egitto seguì regolar-
mente i movimenti di quella di Roma.
Non sarà fuori di luogo che faccia osservare
che per questo regno l'epoca delle emissioni ed il
quantitativo di monete emesse dalle due Zecche
(Roma ed Alessandria) camminava di pari passo.
Mi spiegherò. A Roma nel 167 d. C. non vennero
emesse monete di argento e pochissime di bronzo;
a partire dal 171 d. C. la produzione è più cospicua
di quella degli anni antecedenti, specialmente per le
monete di bronzo; mentre negli ultimi anni si ritorna
alla scarsità delle emissioni dei due metaUi. In Egitto
la produzione delle monete, sì di mistura che di
bronzo, è stragrande dal i" al 5° anno; nel 6°
(165-166 d. C), vennero emesse delle rare monete
di mistura, ma se ne emisero in assai quantità di
quelle di bronzo. Dall'anno 7° all' 11° (166-167-170-
171 d. C), la produzione è molto scarsa, quando
nel 12° (171-172 d. C.) si vede un risveglio per le
monete del bronzo, che cessa l' anno dopo, causa
forse r insurrezione dei Bucoli ed il sollevamento
capitanato da Avidio Cassio. Nell'anno iS*" (177-178
d. C.) altro risvegho nelle emissioni del bronzo e,
come a Roma, cessa negli ultimi due anni di regno.
Fra l'anno 11° e 20" (169-170 al 179-180 d. C.) non
vennero emesse monete di mistura, eccettuate alcune
poche nel 17° (176-177 d. C).
È dunque evidente che, per quanto fosse possi-
bile, l'attività delle due Zecche era uguale.
Riguardo le monete di Roma, mi permetto di
fare osservare, che se nelle loro grandi linee appa-
rentemente non danno luogo a supporre che in quel-
l'epoca avvenissero delle modificazioni al suo sistema
monetario, tutte le monete di PB. descritte dal Cohen,
tanto per M. Aurelio come per Faustina, Lucilla e
Commodo Cesare, oppure associato all'impero, sem-
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 267
brano così differenti dalle loro consorelle battute pre-
cedentemente, che il citato autore trovò necessario
accompagnare le descrizioni di quelle, da altrettante
note (^) assai significative.
Perchè tutte quelle monete sono mancanti delle
lettere S • C ? e perchè il loro spessore è oltre l'or-
dinario? Ed il N. 406 di Commodo che viene adde-
bitato ad una prova di zecca I I PB. che il Cohen
chiama suberati, oppure falsi aiitichi, da chi furono
emessi? dal governo oppure dai falsari? (2). Perchè
mancano i PB. di Lucio Vero? ed i soH due co-
nosciuti di Lucilla, secondo il Cohen, sono eviden-
temente battuti con dei conii che servirono per le
monete di argento. Senza perdermi in altri dettagli,
dirò francamente che quelle monete meritano di
essere meglio studiate per vedere se non potessero
suggerire delle soluzioni differenti da quelle date
dal Cohen.
(i) Cohen, voi. Ili, pag. 2, P • B (N.os 119, 120 et 121). Toutes Its
autres irédailles de petit bronze de M. Aurèle que j'ai vues ne sont que
des pièces defourrées ou des deniers faux antiques, etc. etc.
Faustine, pag. 135, P • B. Voyez aux incertains, tom. Vili.
Lucilla, pag. 220, N.63 (sans S 'C). Celte médaille a été évidemment
frappée avec le coin qui a servi à l'argent. Cependant son épesseur
prouve qu'elle n'a jamais été couverte d'une feuille d'argent et que
d'ailleurs, ce n'est pas un denier faux. J'ignore s'il en existe d'autres
exemplaires. La médaille décrite ci-après N. 91 se trouve dans les mémes
conditions.
Commode, pag. 257, N. 220 (sans S • C); pag. 281, N. 406. Ce petit
bronze très épais d'un très beau style semble avoir servi de pièce
d'essai, pag. 312, N.> 617, 618 (sans SC). Les letires S*C manquent sur
ces deux pièces dont le flan est très épais, pag. 326, N. 735 (sans S • C),
flans épais, pag. 327, N. 742 (sans S • C).
(2) Non sono consapevole quanti di quei denari falsi e suberati
passarono per le mani del Cohen; ma, come egli dice toutes les autres, è
giusto sottointendere che il numero da lui esaminato dovette essere non
indifferente. In tal caso bisogna quasi credere che durante questo re-
gno i falsari emisero tante di quelle monete che oggi ritroviamo in
quantità non minori a quelle delle monete genuine.
268 G. DATTARI
L'estetica delle monete di mistura di M. Aurelio
differisce assai tra moneta e moneta, tanto che pos-
sono essere divise in tre gruppi; cioè:
1° Monete di colore bianco e qualche volta
rossiccio, il metallo lucente e compatto, oppure
colore piombo, e allora il metallo è poroso; l'arte è
simile e talvolta migliore delle ultime monete di
Antonino Pio (vedi impronta N. i).
2.° Monete di colore rosso-rame, di un dia-
metro assai maggiore, i tipi appiattiti e di un'arte
quasi barbara (vedi impronta N. 2).
3.*" Monete di colore rossiccio, di un diametro
simile alle monete del 1° gruppo; ma di un'arte
scadente.
Come ho già detto, l'estetica di queste monete
è così diff"erente tra di loro, che non mi sbagliai al-
lorché ne feci la scelta, onde fare analizzare una
moneta di ciascun gruppo. Il risultato delle analisi
conferma pienamente quello che non può sfuggire
all'occhio meno pratico e meno indagatore ed eccone
il risultato:
i'' Gruppo, contengono 160 7oo ^i argento;
3° gruppo, ne contengono 8o7ooJ quelle del 2° non
ne contengono che 40 7oo- Come si vede, il risultato
è superiore a quello che potevamo mai aspettarci,
anzi, dirò francamente che l'esatta proporzione che
risulta del doppio del valore di argento contenuto
in una moneta più che nell'altra, lo attribuisco piut-
tosto al caso, anziché alla precisione esercitata dai
monetari del tempo; comunque sia, è chiaro che le
tre monete rappresentavano dei diff'erenti valori, giac-
ché non credo che ad alcuno verrà mai l'idea che
le monete le quali contengono 40 7oo ^^ argento,
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 269
fossero opera di falsari; stante che se la loro estetica
non arrivò ad ingannare i nostri occhi, molto meno
facile era ingannare quelli da cui dovevano ricevere
le dette monete quale mercede delle loro fatiche.
Le monete del i° gruppo vennero battute nei
primi dieci anni di regno e qualcheduna contempo-
raneamente a quelle del 2" gruppo, le quali portano
la data degli anni 9**, 10°, 17° (quelle che io co-
nosco); queste ultime, a quello che sembra, vennero
emesse in piccolissime quantità. Le monete del 3°
gruppo sono tutte coireffigie di. Commodo, battute in
occasione del suo avvenimento al trono in società
col padre, per cui portano la data dell'anno 17° e
per il valore di argento che esse contengono appar-
terrebbero ad una frazione che non si ritrova tra le
^ monete di Commodo solo all'impero, mentre la si
ritroverà in epoche assai lontane da queste.
Per non dividere le idee e per non ritornare
più volte sullo stesso soggetto, fa mestieri trattare
collettivamente le monete del padre con quelle del
figlio, le quah come si è detto sono simili tra loro, e le
impronte sottostanti daranno un'adeguata idea della
loro somiglianza estetica.
M. AURELIO C(HfMODO
Ni N. a N. 3
Arg., i6o7,„ Arg., 150 «/oo
270
G. DATTARI
2 GRUPPO.
COMMODO
N. 4
Arg., 42 o/o
Arg, 40 o/o
Nelle monete di Commodo simili alle impronte
N. 2 e 3, come si vede, l'arte non è per niente infe-
riore alle monete di M. Aurelio dell'impronta N. i;
la lega è la stessa (170 e 150 7oo» media 160 7oo)-
Nelle monete simili all' impronta N. 4, arte, mo-
dulo, lega, sono esaltamente simili alle monete del-
l' impronta N. 5.
L'opinione che prevale si è che Commodo fu il
primo ad emettere delle monete di bassissima lega(');
ma, la stretta somiglianza che abbiamo constatato
tra le monete di un regno e quelle dell'altro, dimo-
stra chiaramente che se le monete del padre furono
emesse tredici anni prima che non potesse emet-
terne il figlio ^^\ rimane accertato che fu sotto di
M. Aurelio che apparve la nuova moneta e con essa
venne portata una modificazione al sistema monetario.
(i) Feuardent, pag.XI. C'est seulement à partir du règne de Commode
que nous croyons devoir admettre la dénomination du mot POTIN.
PooLE, pag. XXIX. This billon coinage falls in purity and in the time of
Commodus is almost copper washed with Silver.
(2) Nell'appunto IX (già citato) cercai di stabilire la cronologia delle
monete di Commodo solo all'impero e conclusi che le di lui prime mo-
nete vennero emesse in Egitto, qualche tempo dopo il 29 Agosto 180
d. C. Oggi, secondo la regola stabilita con questo studio, apparirebbe
che quelle monete vennero emesse dopo il i." Gennaio 181 d. C, ossia,
nove mesi dopc la morte del padre.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 27I
Osservando la questione anche dal punto logico,
veniamo allo stesso risultato; perchè è diffìcile di
ammettere che il dissoluto Commodo, appena salito
al trono, siasi dato tanta premura di una sì impor-
tante riforma amministrativa; mentre è assai vero-
simile attribuirla a M. Aurelio. E di ciò ne avremo
la prova materiale allorché esamineremo le di lui
monete di bronzo.
§6.
Fra le monete di Commodo con la data del-
l'anno 21" (primo del suo regno^ ve ne sono alcune
che per la loro estetica farebbero credere essere
quelle il trai t-d' union tra le monete del i" e quelle
del 2" gruppo; ma l'analisi di una di esse, essendo
risultata di un valore di 170 7oo ^^ argento, non
lascia ombra di dubbio che appartengano alle mo-
nete del i" gruppo (0, le quali per la maggior parte
sono di colore bianco piombo ed il metallo è più
o meno poroso. La pluralità dei rovesci di queste
si riferisce alle gesta dell'Imperatore; ma qualche
raro rovescio si ritrova tra le monete del 2" gruppo.
L'effigie del diritto è rivolta a d. oppure a s ; la testa
è nuda, oppure laureata ed anche radiata; talvolta,
invece della testa vi appare il busto, sia loricato che
paludato, veduto di fianco, oppure di dorso; tutte
queste varianti di posizioni e di acconciature si ri-
trovano sulle monete di M. Aurelio del i" gruppo.
Le date dimostrano che furono emesse tra l'anno 30"
ed il 33^
Le monete dell'altro gruppo, di un'arte assai
(i) Le monete di Crispina degl'anni 21* e 22" sembrano appartenere
alle monete del i' gruppo ; poiché dall'analisi di una di queste si rileva
che conteneva 151 ojoo di argento.
272 G. D ATT ARI
barbara e con tipi appiattiti, sono di un colore rosso
rame; l'effigie dell'Augusto porta invariabilmente la
testa laureata e sempre rivolta a d. (simile alle mo-
nete d; M. Aurelio dello stesso gruppo».
Le monete di Commodo del 1" gruppo, con po-
chissime eccezioni si rinvengono miste con le mo-
nete del i" gruppo di M. Aurelio e regni antece-
denti ed anche con le monete di S. Severo, Pertinace,
Pescennio e Macrino; quelle del 2" gruppo si ritro-
vano confuse con le monete di Eliogabalo fino a Gal-
lieno. Qualche volta, e molto raramente, le monete
dei due gruppi sono trovate assieme; ma in tale caso
quelle del 1° gruppo sono in grandissima minoranza
oppure viceversa. La differente associazione con cui
vengono ritrovate le monete dei due gruppi, dimostra
oltre il necessario che non solo appartenevano a due
valori differenti, ma più ancora che le monete di
Commodo valevano le monete dei rispettivi gruppi
del padre.
§ 7.
È ritenuto che sotto di M. Aurelio il valore del
denaro venisse ridotto del 25 7„. per cui non conte-
neva più che gr. 2,558 in argento puro. Venticinque
di questi equivalendo sempre ad un aureo, nel loro
totale contenevano un insieme di gr. 63,938 di ar-
gento.
Le monete alessandrine del i" gruppo, del peso
medio di gr. 12,50, contengono t6o 7oo ^^ argento,
vale a dire che ogni moneta ne contiene gr. 2 e
gr. 10,50 di lega. Quelle del 2" gruppo, di un mag-
giore peso, cioè di gr. 13, contenendo 40 o 42 7oo ^^
argento, ogni moneta, ne doveva contenere circa
gr. 0,546 e gr. 12,454 di lega.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 273
La quantità di lega, in massima parte rame, con-
tenuta nelle monete di quest'ultimo, gruppo, avendo
superato il peso ed il valore di un asse, è quasi
naturale di supporre che si dovette tenere conto
di quel valore ed io credo sia bene giusto che lo
stesso dovremo fare noi nei calcoli che andremo svi-
luppando .
Moltiplicando per 30 la quantità di argento e
quindi quella del bronzo contenuta nelle monete del
i" gruppo, avremo: argento gr. 60; bronzo gr. 262,50;
quest'ultima quantità rappresenta il valore di un de-
naro e mezzo ; ossia, gr. 3,835, i quali aggiunti al
totale dell'argento (gr. 60), otteniamo che 30 monete
del 1° gruppo equivalevano a gr. 63,835 di argento.
Facendo la stessa operazione per le monete del 2"
gruppo, ma la quantità dei due metalli moltiplicata per
90, avremo: argento gr. 49,140; bronzo gr. 1120,50;
quest'ultima quantità rappresenta un valore di cinque
denari e 13 16, ossia argento gr. 14,857 i quali ag-
giunti a gr. 49,140. si ottiene un totale di gr. 63,997;
per cui, il valore di argento contenuto rispettivamente
nelle tre monete, era il seguente :
25 denari contenevano gr. 63,938 di argento puro.
30 tetradrammi . „ 63.835 »
90 nuove monete (?) „ „ 63,997 „ ., »
Con queste cifre dinanzi a noi, si può stabilire
che un aureo era eguale a 30 tetradrammi — a 90
monete del 2° gruppo.
Apparentemente il risultato è più che soddisfa-
cente, ma, non posso celare che le monete del
2" gruppo vengono a rappresentare una frazione
quasi direi incompatibile con la divisione del tetra-
dramma.
274 ^' D ATT ARI
8.
Si vuole che Commodo abbia ridotto il valore
del denaro del S^'^^'^ e così sia; ma, in tale caso
abbiamo pienamente veduto che non fu lo stesso con
il tetradramma di Egitto; da ciò risulterebbe che du-
rante questo nuovo regno, 30 tetradrammi" valevano
27 denari, oppure, che il tetradramma circolava a
un tasso inferiore del suo valore reale.
9-
La monetazione del bronzo di M. Aurelio e quella
dei regni che gli successero, si presenta quale pro-
blema di somma difficoltà!
Queste monete sono di quattro moduli; tra quelle
dei tre maggiori, se ne trovano alcune che altrove
abbiamo distinte col nome di mezze monete. Sta nel
fatto che tra quelle della maggiore frazione ve ne
sono che pesano gr. 31,50, mentre altre appena
raggiungono il vile peso di gr. 16,60. Quelle della
seconda grandezza, da gr. 19,70 scendono a gr. 7,40;
finalmente quelle della terza, da gr. 10,80 scendono
a gr. 5,80 (quasi tutte monete di primissima con-
servazione).
Gran parte di quelle monete potrebbero essere
classificate fra le tante che ben di sovente furono
addebitate ai falsari ed anche piti modestamente si
dice alla frode dei monetari.
Io credo che nel caso delle monete che ora ci
occupano, non dobbiamo fare uso di quei comodi
(i) Dall'analisi e dal relativo peso di un denaro di Conimodo è ri-
sultato che conteneva gr. 2,765 di argento.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 275
scappavia poiché sono convintissimo, che molte mo-
nete le quali a noi sembrano apocrife, in verità
non lo sono, ma, ci appariscono tali, perchè sortono
dal perimetro della realtà a cui la scienza e la pratica
hanno assegnato le frontiere; come pure, perchè di-
mentichiamo che le monete che sono l'oggetto dei
nostri studi, vennero emesse allorché lo stato sociale
differiva di molto dall'attuale; è dunque necessario
che le giudichiamo con criteri differenti da quelli
coi quali giudicheremmo le monete di cui facciamo
uso giornaliero.
Esaminando quelle monete dobbiamo constatare
che esse non possono essere opera di falsari ('), poi-
(i) Non mancano le prove che i falsari esistettero in tutti i tempi
non esclusi quelli più remoti, di questi che ora ci occupano. Come tutte
le cose di questa terra andarono progredendo, i falsari non rimasero
addietro, ed oggi sono arrivati a tale perfezione che possono van-
tarsi di metterci per le mani delle abilissime falsificazioni da ingannare
i più esperti e pratici numismatici. £. dunque bene giusto di essere
guardinghi e circonspetti; però abbisognano dei limiti e non intestar-
darsi a condannare falsa una moneta od un oggetto, perchè sorte fuori
dalle generalità che la pratica e la teorica hanno assegnate per distin-
guere il falso dal veritiero. Non di rado, per le ragioni anzidette, certi
nummi d'indisputabile autenticità vennero condannati per falsi da som-
mità numismatiche. Fra i più recenti di questi casi, ricorderò il famoso
pezzo d'oro con le iscrizioni geroglifiche, trovato in Egitto or sono
cinque anni, il quale venne studiato sotto l' aspetto di una moneta,
e giudicato per un' abile falsificazione, perchè naturalmente gli man-
cava i requisiti voluti per rappresentare un valore. Lo scopo di quel
pezzo d'oro, allorché venne emesso, non fu quello che dovesse rap-
presentare un valore, bensì un peso e le sue qualità. Dunque non
stupisce che, studiato sotto un aspetto contrario da quello che costi-
tuiva la sua missione, venne giudicato per una moneta falsa.
Quel monumento, per sicuro uno dei piii preziosi dell'antichità, ca-
lunniato dai più, sarebbe andato ai crogiuolo, se per il primo, il celebre
egittologo signor Maspeix), Direttore del Museo di antichità egiziane del
Cairo, non avesse irrevocabilmente provato che le iscrizioni sopra il
pezzo d'oro non erano il parto di un falsario e se la scienza del signor
G. Svoronos di Atene non avesse pienamente dimostrato che quel
pezzo non è una moneta, ma l'unico AOKIMION di oro che la terra
si è compiaciuta di restituirci.
276 G. D ATT ARI
che qui è proprio il caso di dire che anche i ciechi
lo avrebbero veduto. Non possono essere il risultato
di una tecnica imperfetta, ne esser dovute alla trascu-
ranza con cui vennero scelti i tondelli che servirono
per batterle, se non che si voglia ammettere che il
metallo fosse malleabile al punto che una volta rice-
vuto il colpo del martello, il tondello di un diametro
di 24 milL potesse espandersi tanto da raggiungere
il diametro di 31 mill. riproducendo perfettamente i
tipi impressi sulle due faccie, senza lasciare traccie
della minima mancanza di metallo. Dunque bisogna
ammettere che in gran parte quelle mezze monete
vennero emesse con uno scopo prefisso.
Il sistemia monetario del bronzo ereditato da
M. Aurelio, era diviso in sei frazioni le quali erano
rappresentate da monete di sei differenti moduli ;
mentre che le di lui monete sono di quattro soli
moduli. Io sono convinto che le frazioni dei moduli
mancanti non furono abolite e che se le monete
vennero battute di due differenti pesi, ma di uno
stesso modulo, ciò fu fatto allo scopo di ottenere
una vistosa economia nella preparazione dei conii,
cosicché, con lo stesso conio si potevano battere le
monete di due frazioni e per fare ciò i tondelli ve-
nivano preparafi di uno stesso modulo, ma di diffe-
rente peso. Una simile economia sembrami di ri-
scontrarla anche nella zecca di Roma allorché con gh
stessi coni si batterono monete di oro e di argento.
Purtroppo convengo che quella strana fabbricazione
può avere dato agio ai monetari di operare la frode
sopra un'ampia scala.
Per più chiarezza di quanto andremo esaminando,
in appendice ho dato un prospetto (N. 4) dal quale
si potranno esaminare i differenti pesi delle monete
di bronzo di M. Aurelio fino a Macrino.
Quel prospetto darà un'adeguata idea delle dif-
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 277
ficoltà che andremo incontrando, difficoltà che farò
del mio meglio per risolvere; ma par troppo nutro
poca speranza che il risultato riceva l'approvazione
generale.
§ IO.
Il problema di questa monetazione sarebbe quasi
insolvibile, se la buona stella non mi avesse favorito
della monetina di cui dò qui sotto l'impronta.
#•
A me sembra che questo piccolo gioiello, non
solo stabilisca in modo assoluto che in Egitto, re-
gnando M. Aurelio, avvenne una riforma monetaria;
ma più ancora ci riveli le basi dell'avvenuto cam-
biamento.
La monetina è di perfetta conservazione e benché
sia anepigrafa, indubbiamente appartiene a M. Au-
relio; porta la data dell'anno 2** ed il suo peso è di
gr. 0,80. Questo peso è del tutto nuovo per essere
quello dell'unità monetaria. Mi verrà contestato che
quel peso non ha niente di straordinario in una mo-
netazione i cui pesi sono così oscillanti, e che la
nostra monetina può benissimo voler rappresentare
l'obolo di gr. 1,20. Senza entrare in dettagh del come
i monetari avrebbero trovato poco compenso nel
frodare sul peso di quel piccolo bronzo, mi limiterò
a dire che già sotto di Nerone, allorché avvenne la
riforma con la quale si aumentò il numero dei te-
tradrammi equivalenti a un aureo, allora, sembra
36
278 G. DATTARI
che fosse stato necessario di aumentare il peso del-
l' unità monetaria, cioè da gr. 0,73 venisse portato
a gr. 1,20 (0. Per la stessa ragione, ma. in senso
inverso, M. Aurelio avendo diminuito il numero di
tetradrammi eguali al valore di un aureo, il peso
della moneta unitaria dovette diminuire. Quali potes-
sero essere le basi che regolassero queste propor-
zioni, non sono in grado di spiegare (2).
Stabilito che l'obolo venne portato al peso di
gr. 0,80 e supposto che le così dette mezze monete
non sono opera di falsari e non del tutto frode dei
monetari, le frazioni ed i pesi normali delle nuove
monete dovevano essere i seguenti:
45 oboli del peso normale di gr. 36
3^ » » » » » » ^4
■^5 » » » » » »
^" i> n » n n }) ^
^ w ì> » n » » OjOO.
§ II.
Nel prospetto N. 4 si osserverà che le monete
della prima grandezza (colonna I), dal peso quasi
normale gradatamente scendono e si confondono col
peso al disotto del normale delle monete della se-
conda grandezza (colonna IVj, e lo stesso è per le
(i) A suo tempo misi in campo l' idea che probabilmente fu sotto
Claudio I che il peso della moneta unitaria venne aumentato, giusto
perchè fu durante il suo regno che il numero dei tetradrammi equivalente
ad un aureo venne aumentato, cioè da 22 fu portato a 44.
(a) Non bisogna dimenticare che la moneta unitaria del sistema mo-
netario alessandrino di Augusto si basava sul peso deWUieu; mentre
quella di Nerone apparteneva al semionciale ed ecco forse il perchè
non esiste una proporzione tra l'aumento del peso fatto da Nerone con
il peso diminuito da M. Aurelio.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 279
monete delle altre due grandezze. Ho dunque as-
segnato alla trazione di 45 oboli (colonna I) tutte le
monete il cui peso oscilla tra il peso quasi normale
ed i gr. 25,50, ottenendo una media di gr. 28. Alla
frazione di 30 oboli ho assegnato le monete del
maggiore modulo (colonne II e III) che da gr. 24,70
scendono a gr. 17,20, più le monete della seconda
grandezza del peso di gr. 19,70 (colonna IV). Alla
frazione di 15 oboli sono assegnate le monete della
seconda grandezza (colonna V) che da gr. 16,20 scen-
dono a gr. 7,40, più le monete della terza grandezza
(colonna VI) che da gr. 10,80 scendono a gr. 9,60;
finalmente, alla frazione di io oboli sono comprese
tutte le monete della terza grandezza (colonne VII,
Vili, IX).
Ammetto che la proposta divisione, giudicata
con criteri adattabiU all'epoca in cui viviamo, sa-
rebbe addirittura roba da pazzi; ma non credo che
sia lo stesso per i tempi in cui vennero emesse quelle
monete. D'altra parte, i prospetti N.' 6, 7 e 8 che
si troveranno pure in appendice, serviranno, se non
totalmente a convincere, per lo meno a dimostrare
che i pesi medi delle frazioni secondo il metodo che
ho proposto, si avvicinano di più al peso normale di
quello che non sarebbe dividendo le frazioni col si-
stema dei moduli e ciò sia detto, tanto che la mo-
neta unitaria fosse di gr. 1,20 come di gr. 0,80.
§ 12.
A Roma 25 denari equivalevano sempre a gr. 4800
di rame ; lo stesso doveva essere di 30 tetradrammi
ed anche di 90 nuove monete; per cui, un tetradramma
valeva 200 oboli (200 X gr. 0,80 = gr. 160 X 30 =
28o G. DATTARI
gr. 4800) ed una nuova moneta ne valeva circa 67.
Ciò stabilito abbiamo :
Qr. Gr.
4 monete di 4=; oboli 36 = 144 ) . , ,.
^ ^^ ^ ^^ ( = o-r. 160 = 200 oboli =
I
5
15
I
»
0,80
=
':^
C3
I Tetradramma.
•6
»
30
}>
24
=
144)
I
»
15
»
=
12 > =
come sopra.
5
);
I
»
0,80
=
4 )
13
5
15
I
12
0,80
=
156 1_
4 )
come sopra.
20
»
IO
»
8,-
=
160 =
come sopra.
200
»
I
u
G,8o
=
160 =
come sopra.
La nuova moneta equivaleva a circa gr. 53,60
di bronzo; per cui:
Qr. Qr.
= gr. 53.60 X 3 = gf •
i6o,8o meno i obolo =
gr. 160 = I Tetradramma.
= gr. 53,60 come sopra.
1 1
noneta di
U5'
Dboli
-
- 36
I
»
15
>}
=
= 12 ;
7
»
I
»
0,80 =
= 5-60 )
I
n
30
»
=
= 24 )
2
n
15
V
12
= 24 >
7
n
I
»
0.80 =
= 5.60 )
4
»
15
n
12
= 48,- ì
7
»
I
))
0,80 =
= 5.60 s
6
»
IO
i>
8 - =
= 48,- 1
7
})
I
»
0,80 =
= 5.60)
67
»
I
»
0,80
= gr. 53,60 come sopra.
= gr. 53,60 come sopra.
== gr. 53,60 come sopra.
Con la riduzione del peso dell'obolo e la divi-
sione delle frazioni, come abbiamo giustamente sta-
bilito, si constata che con quelle modificazioni si ri-
portò il bronzo di Egitto a rassomigliarsi a quello
di Roma, come avvenne con la riforma di Nerone;
di fatti, ritroviamo il sesterzio, nella moneta di 45
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 281
oboli; il dupondio, in quella di 30; e Tasse, in quella
di 15 oboli. Questa nuova riforma permise al denaro
di trovare in Egitto la sua circolazione meno con-
trastata di quello che doveva esserla nei regni an-
tecedenti.
Niente di più probabile, che la riforma sia stata
suggerita dall' idea di portare ad unificare i due si-
stemi monetari e col tempo la moneta autonoma sa-
rebbe scomparsa naturalmente. Avendo assimiliate
le monete di bronzo, il primo passo era fatto e non
mancava che il momento opportuno per mettere il
resto ad effetto. Pur troppo durante il regno di
M. Aurelio i tempi non furono propizi e Commodo
non fu certo l'amministratore voluto per continuare
l'opera del padre.
§ 13.
Con l'avvenimento di Pertinace al trono e Tusur-
pazione di Pescennio, l'andamento della zecca non
cambiò e nemmeno il sistema offrì innovazioni.
Non potendo pagarmi il lusso di fare distrug-
gere delle monete di tanta rarità come sono quelle
di questi due Augusti, non sono nel caso di affer-
mare quanto argento contengano le loro monete di
mistura. Per ciò che riguarda l'estetica, non lasciano
dubbio che appartengono al tetradramma; prova ne
sia che il Feuardent allorché descrisse l'unica mo-
neta allora conosciuta di Pertinace, accompagnò la
descrizione di essa con la nota seguente:
et le metal en est de hon aloi comme les
pièces de Sept. Severus et Julia Domna et Macrin; aitisi
noiis avons repris pour ces règnes les lettres A\ au lieu
de POT.
Questa nota che ho creduto dare in exienso è
282 G. DATTAR.
della massima importanza poiché è la migliore ri-
prova di quanto ho stabilito circa le monete di Com-
modo, le quali a partire dall'anno 30 ** fino al 33") ul-
timo del di lui regno) sono di buona lega (1/ gruppo).
Se al contrario, come si volle fino oggi, le monete
di Commodo fossero tutte di bronzo imbiancate di
argento, male si spiegherebbe come che Pertinace
venuto al potere così inaspettatamente ed avendo
regnato solo tre mesi, avesse fatto battere delle mo-
nete del valore simile a quelle dei primi anni del
regno di M. Aurelio. Lo stesso si può dire per le
monete di Pescennio. Ciò afferma oltre il bisogno
che le monete di Commodo sono di due differenti
valori ; le analisi di quelle monete ne fanno fede;
oltre di ciò non è possibile supporre che Commodo
durante i primi io anni (^) facesse emettere delle
monete contenenti 7, rneno di argento di quello che
contenevano le monete del padre e che dopo tanti
anni che il governo ingannava i contribuenti, si rav-
vedesse e facesse emettere delle monete di migliore
titolo. Tutto questo ci prova una volta di più che
le monete del 2° gruppo rappresentano una frazione
del tetradramma, la quale essendo stata emessa per
IO anni consecutivi, il loro numero venne a bastare
per soddisfare le esigenze commerciali (^\ tanto che
nell'anno 11" si riprese a battere dei tetradrammi
che forse cominciavano a mancare poiché non ne
erano stati emessi fino dai tempi di M. Aurelio.
Le monete di bronzo di Pertinace e di Pe-
scennio (vedi prospetto N. 4) sono simili a quelle
dei regni precedenti.
(1) Si noti che anche durante questo regno nel io" anno avvenne
un cambiamento nella fabbricazione del numerario.
(a) La grande quantità di queste monete che sono state rinvenute
e si rinvengono giornalmente, provano che durante i dieci anni ne deb-
bono essere state emesse delle enormi quantità.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 283
Parte VII.
§ I-
Se la serie romana abbonda oltre misura di mo-
numenti numismatici di Settimo Severo e della sua
famiglia, nella serie alessandrina, sono rare le mo-
nete di S. Severo e di Giulia Donna, rarissime
quelle di Caracalla e di Geta.
La penuria del numerario di questo lungo regno
merita la nostra attenzione ed a suo tempo ce ne
occuperemo.
Si vuole che S. Severo portasse una nuova ri-
duzione al valore del denaro (50 o 60 "/J, talché 25
denari contenevano solamente gr. 34,100(0 di puro
argento. Il tetradramma a suo turno venne pure ri-
dotto di valore e l'analisi di due di essi prova che
contenevano 95 e 107 Voo (rispettivamente) di ar-
gento ('); di maniera che ogni nuovo tetradramma
conteneva gr. 1,313 di argento, contro gr. 1,365 che
ne conteneva il denaro; la differenza di argento in
meno contenuto nella moneta di Egitto veniva larga-
mente compensata dalla quantità di bronzo in piti
(gr. 11,238).
Altrove abbiamo detto che le monete del 2.**
gruppo di Commodo vengono ritrovate insieme alle
monete di Eliogabalo e fino a GaUieno; tanto basta
per assicurarci che quelle monete, regnando S. Se-
vero, non vennero tolte dalla circolazione. Il loro
(1) Dall'analisi di un denaro di S. Severo, del peso di gr. 2,18, ri-
sulta che contiene gr. 1,686 di argento. Se però il peso del denaro fosse
maggiore di gr. 2,10 il contenuto di argento sarebbe ancora rraggiore.
(2) Possibilmente una quantità di analisi di tetradrammi di S. Severo
potrebbe dare un risultato differente, ma ancora più soddisfacente.
284 G. DATTARI
valore, come abbiamo veduto più sopra, era di
gr. 0,546 di argento e gr. 12,454 di bronzo, cioè a
dire, due di esse valevano un nuovo tetradramma
di S. Severo, ed in tale caso si può dire che le mo-
nete del 2" gruppo presero il posto del didramma.
Le monete di bronzo di questo regno (v. pro-
spetto N. 4) benché poche, ci garantiscono che il
sistema di M. Aurelio non subì alcun cambiamento;
però con la riduzione del valore del tetradramma,
questo, probabilmente venne ad essere diviso in 240
oboli. Per cui la relazione rispettiva del tetradramma
e del didramma con le differenti frazioni del bronzo
dovettero essere le seguenti; per il tetradramma:
Qr.
Qr.
5 monete di
45
^5
oboli 36
n
= 180 1
= 12 i
■ gì-- 192 =
1
I
8 .
30
V 24
=
V 192 =
I
16 „
15
„ 12
=
„ 192 —
I
24 .
IO
,. 8
=
» 192 =
I
240 „
1
„ 0.80
=
„ 192 =
I
per il didramma:
Gr. Qr.
2 monete di 45 oboli 36 =^ 72 1 g-,. 96 = 1 Didramma (V.. Tetra).
I ., 30 V - == 24 )
4 „ 30 „ 24 — „ 96 = I
8 „ 15 „ 12 = „ 96 = I
12 „ IO „ 8 = „ 96 = I
120 „ I „ 0,80 == „ 96 = I
Dunque, le monete dei due metalli di Egitto sta-
vano con le monete di Roma, nel modo seguente :
I aureo = a 25 tetradrammi ^ a 50 didrammi —■ 25
denari = 50 qiiinarii.
1 denaro = a i tetradramma = a gr. 192 bronzo = 240
oboli = 16 assi.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 285
I scstenio = a i moneta di 45 oboli = a gr. 36 bronzo.
I dupondlo ==ai „ ^3o„=a„24 „
I asse =ai „ „i5„=a»i2 ,
Ecco dunque che runificazione dei due sistemi
iniziata da M. iXurelio venne messa ad effetto da
S. Severo. Le monete dei due sistemi essendosi as-
similate, non solo il denaro venne a circolare in
Egitto quasi direi in società con la moneta auto-
noma; ma forse anco qualche bronzo romano si sarà
introdotto nel paese fino da quell' epoca. Così si
spiegherebbe perchè la monetazione di Egitto du-
rante il lungo regno di S. Severo fu tanto scarsa
al punto che non si conoscono monete di mistura
battute negli anni: 7", 14", 15", I7^ l8^ 19" e di
quelle di bronzo, degli anni: 2", 6", 7", 11**, 13",
14", i6^ I7^ 18", 19". Se in questi anni vennero
emesse delle monete, forse un giorno ne troveremo ;
ma in tal caso, ben poche ne dovettero essere emesse.
Questo ci viene chiaramente provato, dai ritrovi che
sono stati fatti in Egitto <^^ di veri tesori composti
di denari della famiglia di Settimo Severo, come pure
di ritrovi di monete coloniali di bronzo, mentre che
raramente furono trovati denari da Augusto fino ad
(1) Fra i diversi ritrovi di quelle monete dirò come che uno di
questi venuto alla luce circa 6 mesi fa, conteneva 152 denari, così
divisi : I di Vespasiano ; i di Domiziano ; 2 di Traiano ; 2 di Adriano ;
tutti estremamente frusti ; quindi : 3 di M. Aurelio ed uno di Commodo
di media conservazione; il rimanente erano tutti della famiglia di Set-
timo Severo con alcuni di Caracalla solo all' impero ; tutti erano a
f. d. e, però ricoperti di un ossido simile a quello che ricopre i tetra-
drammi di buona lega ; mentre i denari dei primi imperatori erano ap-
pena ossidati di una materia biancastra.
Per bene due volte in quest'anno (per non dire quante volte prima)
feci acquisto di tesori di monete di bronzo della terza grandezza, com-
posti di monete alessandrine e coloniali come pure di quelle greco impe-
riali. Queste ultime in speciale modo appartenevano a S. Severo e fa-
miglia.
286 G. DATTARI
Antonino Pio e quei pochi furono rinvenuti alla spic-
ciolata; ciò prova pienamente che il denaro ai tempi
di S. Severo aveva corso in Egitto come mai lo
aveva avuto prima di allora.
Parte Vili.
§ I.
In qualche maniera fino a questo punto siamo
riusciti a sviluppare e dare delle basi più o meno
solide alla metrologia delle monete di questa serie
e ciò è unicamente dovuto all'aiuto delle conoscenze
metrologiche già da tempo stabilite per le consorelle
di Roma. A partire dal regno di Caracalla questo
necessarissimo aiuto ci viene a mancare, poiché bi-
sogna convenire che, non ostante i tanti e penosi
studi intrapresi dalla metrologia dei tempi che an-
dremo esaminando, i soggetti sono ancora avvolti
nelle tenebre, non meno di quelle in cui furono la-
sciati dai nostri primi maestri. Per conseguenza, la
continuazione di questa storia si presenta ardua e
piena di difficoltà quasi insormontabili e richiede una
certa arditezza per affrontarle; quest'arditezza mi
viene inspirata dalle monete alessandrine, giacche
sono convinto che scrutate nei loro più intimi par-
ticolari, in gran parte potranno additare la via della
soluzione di qualcuno dei molti problemi.
Vano sarebbe qualsiasi tentativo che volessimo
fare onde accordare le varie teorie emesse per la
metrologia delle monete della serie romana, con ciò
che andremo constatando per le monete alessandrine.
Sarà dunque necessario che per un momento ci rei:-
diamo indipendenti dalle diverse teorie in voga, così
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 287
che le ipotesi che andrò formulando, baseranno uni-
camente sopra dati che constateremo circa certe mo-
nete di Roma per poi confrontarli con i dati che a
suo turno rileveremo dalle monete alessandrine. È
facile immaginarci come con questo sistema ci tro-
veremo spesso in contraddizione con molte delle
teorie emesse da altri autori, le quali in buon nu-
mero sono approvate dalla maggioranza; ma, tutto
considerato, trovo che questa è Tunica via che mi
resta aperta onde portare a compimento questo saggio
storico.
§2.
Le monete di mistura di Caracalla e di Geta
Augusti sono eccessivamente rare, tanto è vero che
ne conosciamo sette solamente (e non tutte sicure),
cioè, una per Caracalla (^) due per Geta (2) quattro
(i) PooLE, N. 1475. Questa moneta porta la data dell'anno 19", giusto
quello in cui mori S. Severo. La leggenda del diritto di essa è AVT K
M AVPHA ANTCONINOC C€B, cioè, simile a quella che portano le
monete allorché Caracalla era associato col padre; mentre, che possiedo
delle monete di piccolo bronzo, pure di Caracalla, ma allora solo al-
l'impero, le cui leggende sono come sulle monete di GB cioè AVT*
K • M • AVP • CE • ANTCONINOC [n M€r • BP€]M€r • €V • C6[B]
per cui se questa lunga leggenda venne scritta sulle piccole monete,
con più forte ragione la stessa dovrebbe apparire sulle monete di mi-
stura il cui spazio è maggiore. Dunque la moneta descritta dal Poole
senza ragioni che possano convincere del contrario, deve essere resti-
tuita a Caracalla associato all'impero e così il numero di monete, in-
vece di sette, viene ridotto a sei solamente.
(2) Poole, N.» 1480-1481. Le lettere K • C€B della leggenda sulla
moneta 1480, sono racchiuse da una parentesi, mentre che non è il caso
per le stesse lettere della moneta 1481, ciò che indicherebbe che in
questa, le lettere sono tutte leggibili. Non ostante ciò, ambo le leg-
gende sono accompagnate dall'interrogativo: ?. Sta nel fatto che la
leggenda AVT • K • HOV • C€U TCTAC • K • C€B • ? è strana, a tale
segno che il Poole si vide obbligato di giustificarla con delle spiega-
zioni non meno strane (pag. xvni) che ritraeva dalla leggenda sul ro-
288 G. DATTARI
per Giulia Domna (^). Fra le monete di bronzo sono
rare quelle di Giulia Donna, mentre quelle di Cara-
calla, senza essere comuni, sono più numerose. Di
Geta non se ne conoscono affatto.
La scarsità delle monete di questi regni indica
chiaramente che la Zecca alessandrina mantenne
l'andamento osservato ai tempi di S. Severo e ciò
per le stesse ragioni che abbiamo già stabilito per
quel regno.
La pluralità delle monete di bronzo apparten-
gono alla maggiore grandezza e vennero battute nel
21°, 22** e 23** anno (212-213-214 d. C). Qualunque
sia la ragione per cui quelle monete vennero emesse
a partire dall'anno 21^(2), è certo che la preferenza
venne data alle monete di quel modulo piuttosto che
ad un altro, perchè di quella grandezza non ne erano
state emesse fino dagU ultimi anni di M. Aurelio
(36 anni avanti), mentre, di quelle dei due moduli in-
feriori furono fatte cospicue emissioni da Commodo
ed alcune poche da S. Severo.
vescio del N. 1481 cioè, N€iKH KM BP6TAN e che il Poole per accor-
darla con la leggenda del diritto, la ricostituiva per: NGIKH* KÀICÀPOC
BPCTANNIKOY. Ambedue quelle monete portano la data dell'anno 19.°
Nella mia collezione possedo una moneta (N. 3991) di cattivissima
conservazione, alla quale assegnai l'anno 20° (LK .'*), ma che deve
essere riportata all'anno 19"; essa appartiene a Settimo Severo, e sul
suo rovescio non si distinguono che le lettere KH KAT
Quelle poche lettere sono abbastanza Dcr indicare che la leggenda deve
essere ricostituita nel modo seguente: [N€ljKH KAT[A] [BT6TANNnN]
ed è così senza dubbio che deve essere ricostituita la leggenda del N. 1481
del BM; come pure le due leggende del diritto dovevano essere: AVT
K nOV Cen TETAC e CGB cioè a dire: €[VC6BICJ (Pnis),
C€B[ACT0CJ {.lugustus); in tale maniera non solo le leggende del
diritto si accordano con quella del rovescio del K. 1481; ma si accordano
ancora con le leggende che portano le monete di Geta di Roma: IMF
CAES P SEPT GETA PIVS AVG-.
(i) BM. N.i 1470-71. Collezione Dattari, N.i 4033-34.
(2) Dattaui, Appunto N. Vili.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 289
L' estetica delle monete di mistura dimostra
chiaramente che appartengono al tetradramma (i°
gruppo). Le monete di bronzo, pei loro pesi, moduli
(v. prospetto N. 4) e per tutti gli altri particolari,
debbono appartenere al sistema di M. Aurelio, e si
può stare sicuri che in Egitto sotto di questo nuovo
regno il sistema monetario non subì alcun cambia-
mento.
A Roma invece nella stessa epoca, la libbra
d'oro venne divisa in 50 aurei ed al sistema monetario
venne aggiunta una nuova moneta (l'antoniniano). Il
nuovo aureo venne come al solito diviso in 25 de-
nari; lo stesso dovette essere per l'Egitto, cioè, un
aureo eguale a 25 tetradrammi ed anche a 50 di-
drammi; per conseguenza, il rapporto dell'antoniniano
ed il tetradramma doveva essere simile al rapporto
tra quello ed il denaro, cioè a dire l'antoniniano, il
doppio del denaro (^), per cui :
I aureo = a 25 tetradrammi = a 50 didrammi.
I antoniniano =a2 „ =„4 „
(i) Se ho detto che l'antoniniano è il doppio del denaro, non è per
conformarmi a questa idea generale che prevale in numismatica, ma
solo perchè non ho potuto procurarmi tutte le prove materiali che di-
mostrino il contrario ; prove impossibili di ottenere in Egitto. Intanto
mi permetterò di fare osservare quanto può essere contestato l'appel-
lativo di doppio denaro che viene dato a quel nummo.
Si vuole che il peso suo medio sia di gr. 5,45 mentre, che undici
di essi a. f. d. e. della rinomata collezione del signor Gnecchi di Milano,
hanno dato una media di gr. 4,99; se dunque prendiamo la media
delle medie ci avvicineremo assai al vero peso. L'analisi di un anto-
niniano ha dimostrato che conteneva 475 **/„„ di argento ossia ogni
moneta ne conteneva gr. 2,479. Se Caracalla mantenne il valore del
denaro simile a quello del padre, il quale abbiamo detto che conteneva
gr. 1,364 di argento, dato però che il suo peso non fosse di gr. 3,20
come quello del figlio, ma, bensì di gr. 2,10 come è risultato il peso
del denaro analizzato, solo in questo caso l'antoniniano sarebbe il doppio
denaro. Ho però fatto analizzare un denaro di Caracalla solo all' impero,
per cui battuto contemporaneamente agli antoniniani e risulterebbe, che
290 G. DATTARI
Durante l'effimero regno di Macrino le monete
di mistura appartengono al tetradramma, quelle di
bronzo sono identiche alle monete dei regni che lo
precedettero da vicino.
Parfe IX.
§ I-
Con l'avvenimento di Eliogabalo al trono, l'Egitto
si vide dotare di una nuova moneta. Nuova per la
sua estetica come per il suo valore. In circostanze
normali le prime monete del sedicenne Augusto do-
vettero essere emesse tra il dì 8 di Giugno ed il
28 Agosto ; tempo insufficiente per poter studiare
la riforma, incidere i conii, battere le monete e met-
terle in circolazione. Questa anormalità dà luogo a
formulare due ipotesi. O la riforma venne studiata
allorché regnava Macrino, oppure le monete con la
data dell'anno primo di Kliogabalo vennero emesse
allorché il secondo anno era in corso. Di queste
ipotesi preferisco la prima.
conteneva 765 **/oo di puro argento. Cinquanta denari a f. d. e. della ci-
tata collezione del signor Gnecchi pesano in media gr. 3,200, per cui
secondo l'analisi ogni denaro verrebbe a contenere gr. 2,448 di argento,
cioè a dire, avrebbe un valore simile all'antoniniano : ed in tale caso
questo non sarebbe il doppio denaro né per il peso né per il suo valore.
Quali ragioni avessero potuto indurre il governo a battere due mo-
nete dello stesso valore diremo in altra parte di questo appunto; per
il momento mi contento di avere segnalato che possibilmente il denaro
di Caracalla avendo più valore di quello del padre, se tale differenza
esiste realmente, l'appellativo di doppio denaro che venne dato all'an-
toniniano è improprio.
Profitto di questa occasione per ringraziare vivamente il signor
comm. Francesco Gnecchi per le tante e tanto utili informazioni che ha
avuto la gentilezza d' inviarmi, in questa ed in cento altre occasioni.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 29 1
Benché le monete di mistura dei regni che suc-
cessero a quello di Eliogabalo e fino a Traiano Decio,
appartengano tutte allo stesso sistema, per comodo
di quanto andremo svolgendo, sarà necessario divi-
dere questo periodo in due parti: i/ da Eliogabalo
a Alessandro Severo; 2." da Massimino a Traiano
Decio.
§ 2.
Dairanalisi di una moneta di mistura di Elioga-
balo risulta che contiene 75 7oo ^i argento ; due di
Alessandro Severo ne contengono 56 e 60 "/^^ ri-
spettivamente. Non ostante che il quantitativo di ar-
gento non sia eguale nelle tre monete, ritengo che
il valore che dovevano contenere era di 75 7oo»
poiché quella stessa quantità la ritroveremo nelle
monete dei Gordiani, in quelle dei GaUi ed anche
in quelle di Valeriano. Il peso medio di queste mo-
nete di buona conservazione è di gr. 12,50, così
che ogni moneta contiene gr. 0,937 di argento e
gr. 12,563 di bronzo o altra lega.
Se il denaro di Eliogabalo si mantenne dello
stesso valore di quello di S. Severo e l'antoniniano
si mantenne simile al valore di quello di Caracalla ;
la nuova moneta di Alessandria stava in rapporto
col denaro come 25 a 34 e con l'antoniniano come
25 a 68.
Abbiamo detto più volte che con queste nuove
monete vengono ritrovati i didrammi di Commodo;
secondo la regola, la loro associazione darebbe un
certo diritto a credere, che venissero spese allo
stesso valore; ma certo, tale non doveva essere il
caso, poiché il didramma, allorché fu emesso, con-
teneva gr. 0,520 di argento; la nuova moneta ne
292 G. DATTARI
conteneva circa il doppio (gr. 0,937). Considerando
che i didrammi dopo 30 anni dacché erano in cir-
colazione dovevano essere frusti e perciò perdettero
del primitivo peso e valore, possibilmente venne loro
assegnato un tasso equivalente alla metà della nuova
moneta. Cosicché il didramma mantenne il suo pri-
mitivo posto e per conseguenza la nuova moneta
prese il posto del vecchio tetradramma il quale quasi
con certezza venne tolto dalla circolazione (^). Non
bisogna dimenticare che se le nuove monete e quelle
di Commodo vengono ritrovate assieme, il tipo di
ambedue era tanto differente tra di loro, che non
era possibile confonderle.
Le monete di bronzo di questo regno, benché
siano poche quelle conosciute, sono bastanti a dimo-
strare che la loro divisione si -mantenne come pei
regni precedenti (v. prospetto N. 4).
§ 3.
Lamprido ci fa sapere che Alessandro Severo
portò certe riforme al sistema monetario; ma se-
condo l'Eckhel, il Cohen e forse molti altri, le mo-
nete di Roma di quell'Augusto non lasciano intra-
vedere quanto lo storico ci ha trasmesso.
Delle vere riforme non si riscontrano nemmeno
nelle monete di Alessandria; però, per bene due
volte sotto questo regno, si vedono delle monete
(i) E ben raro che dei tetradrammi di buona lega vengano ritro-
vati con le monete di Eliogabalo e successori, ed allorché se ne trovano,
la loro proporzione è di uno o due '/o. Raramente feci acquisti di lotti
di monete da Eliogabalo in poi, ove trovai qualche raro tetradramma
dei primi tempi; ma non mi fu possibile accertarmi se quei singoli
pezzi vennero aggiunti dagli arabi oppure in realtà si trovavano nel te-
soro allorché venne disotterrato.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 393
esteticamente differenti : ma quelle differenze, a quanto
sembra, non si riferiscono ad alcuna riforma, poiché
non portarono conseguenze ne al peso ne al valore.
Le monete dei primi tre anni sono simili a quelle
di Eliogabalo non solo per il loro valore, ma anche
per l'arte e nell'apparenza generale. Nel quarto, quinto
e sesto anno, oltre alle monete simiH a quelle dei
primi anni, ne vennero emesse delle altre, le quali
non hanno per niente le caratteristiche alessandrine
e quasi con certezza si possono ritenere battute
fuori di Egitto. Esse sono di un modulo maggiore
e talvolta anche di maggior spessore delle altre, tanto
che alcune raggiungono il peso di gr. 16,50 ; ma ve
ne sono che pesano anche gr. 12,50. Il metallo è po-
roso ed in generale del colore del piombo scuro,
l'arte è molto migliorata, le leggende geometrica-
mente disposte, le lettere di quelle, di una perfetta
eguaglianza e simmetria, il contorno è arrotondito
senza lasciare traccie di spacchi. La cosa più rimar-
cabile è l'effigie di Augusto la quale è esattamente
simile alle monete battute a Roma, mentre non è
così nelle altre monete sulle quali la faccia invece
di austera è quasi sorridente. L'anahsi di una di
quelle monete ha dato che conteneva 56 7„„ di ar-
gento, cioè a dire inferiore a quelle di Eliogabalo
che ne contengono 75 "z^^; ma stante che quelle mo
nete, come ho detto più sopra, hanno un peso mag-
giore delle altre, il valore contenuto in ciascuna di
esse è eguale a quelle di Eliogabalo (0. Quelle mo-
nete hanno altri particolari assai interessanti, cioè
la data venne sempre scritta per intiero: L T€TAPTOV •
LnCMniOV • L6BA0M0Y. Il tipo del rovescio, se si ec-
(i) Si è detto che le monete di Eliogabalo contenevano gr. 0,937 <^'
argento. Le nuove monete di A. Severo di maggior peso, diciamo a mò
d'esempio, quelle che pesavano gr. 16,50, contenendo 56 "/oo di argento,
ciascuna ne conteneva gr. 0,924, e quindi erano simili alle altre.
38
294 • ^- DATTARI
cettua qualche rarissimo pezzo con l'effigie di Or-
biana oppure di Mamniea ed anche qualcheduna con
la testa del Dio Ammon, su tutte le altre vi appa-
risce Serapis rappresentato col busto, oppure in
piedi ed anche seduto.
Prima d'ora abbiamo constatato che ogni qual-
volta un regno superò i dieci anni, all'avvicinarsi
del io", si fecero delle nuove emissioni, con le quali
l'arte migliorò, come avvenne sotto Domiziano e
Adriano, oppure peggiorò, come fu sotto Traiano. La
monetazione di A. Severo non andò esente di quella
regola o moda che fosse ed è giusto a partire
dall'anno io" che apparvero delle nuove monete di
un peso simile alle prime, ma di un modulo di
qualche poco maggiore e di uno stile di arte tanto
squisita che alcune possono rivaleggiare con le più
belle di Roma (0. In quello stesso anno venne fatta
una cospicua emissione di monete di bronzo (v. pro-
spetto N. 4), in generale della maggiore grandezza
e tra queste non mancano le così dette mezze mo-
nete. Come pure è a partire da quell'anno che tanto
sulle monete di bronzo che su quelle di mistura nel
campo del rovescio venne messa una palma, quale
simbolo di dieci anni di pace, tra l'Augusto, il popolo
e l'esercito, spettacolo al quale l' impero non aveva
più assistito fino dal regno di S. Severo. È più che
erronea l'idea che A. Severo facesse emettere i GB.
dell'anno io" all'unico scopo di commemorare le de
cennalia. Non solo prima d'allora durante il regno di
quell'Augusto vennero emesse delle monete di GB., ma
ne furono emesse anche di tutte le altre frazioni ^2),
(i) Collezione Dattari, v. Tav. X, impronta N. 4544-
(2) Collezione Dattari, v. N. 4425 dell'anno 4". ìE 29 mill. ; N. 4438
dell'anno 9" (cioè prima delle decennalia). JE 33 mill. ; N.» 4549 e 4554
dell'anno io". JE. 24 mill. Una moneta di Mammea dell'anno 10° di mill. 25
è appunto entrata nella mia collezione.
APPUNTI DI NUBOSMATICA ALESSANDRINA 295
eccettuato di quelle di un obolo che noi non cono-
sciamo ancora. È ammissibile che in occasione delle
decennalia venissero emesse di quelle monete in mag-
giore numero; ma non bisogna dimenticare che tra
le monete di quel modulo ve ne sono che apparten-
gono a due frazioni ed in quello stesso anno vennero
emesse ancora monete della terza frazione.
§ 4.
Prima di passare ad esaminare le monete della
seconda parte di questo periodo, è necessario ren-
dersi conto, per quanto ci sarà possibile, della ra-
gione per cui l'Egitto dopo avere assimilata la sua
moneta a quella di Roma, di un tratto, le monete
di mistura tornano ad avere un differente valore
delle monete di argento di Roma. Premetto che una
ragione tangibile mi è impossibile darla; però con
delle ipotesi, se vorremo un poco azzardose, io credo
che si possa arrivare a delle conclusioni piuttosto
ammissibili.
È impossibile di non riconoscere che fino dai
tempi di M. Aurelio si pensò di unificare il sistema
monetario dell' Egitto con quello di Roma, e forse
balenò anche l' idea dell'unificazione generale della
monetazione di tutto l' impero. A ognuno è noto
quanto l'Oriente teneva alla sua moneta autonoma
e quali conseguenze poteva portare seco la subitanea
abohzione di essa. L'adempimento di un tale pro-
getto non era tanto facile, richiedeva pazienza e bi-
sognava arrivarci a piccole tappe. Per ciò che ri-
guarda l'Egitto, come abbiamo veduto, la sua mo
neta di bronzo e di argento assimilatasi a quella di
Roma degh stessi metalli, queste e le monete pro-
vinciali trovarono sfogo nel paese, e la sua Zecca si
296 G. DATTARI
paralizzò; cosicché le monete della capitale e quelle
delle Provincie vennero quasi a rimpiazzare la mo-
neta autonoma, a tal segno che i cittadini, avvedu-
tisi del pericolo che lì minacciava di veder sparire
l'ultimo emblema della loro passata grandezza e della
presente indipendenza; minacciosi, intendevano sol-
levarsi, quando la venuta di Caracalla ed i massacri
che la seguirono, impedì la rivoluzione. Allorché
Macrino salì al trono, Alessandria come d' incanto
andò riedificandosi più bella di prima; i cittadini
riavuti delle passate sofferenze, colti i momenti più
opportuni, di bel nuovo minacciosi avranno messo
in campo la questione della loro moneta, tanto che
avranno indotto il governo ad operare una riforma,
che il corto regno di Macrino non lasciò tempo ba-
stante per metter ad esecuzione e venne quindi ef-
fettuata subito che Eliogabalo ascese al trono. Onde
impedire la possibilità del ritorno all'unificazione
delle due monete di argento, a quella alessandrina
venne dato un valore il quale non potesse essere
rimpiazzato dal denaro, oppure dall'antoniniano. Pur
troppo non tardarono altri tentativi per l'unificazione
dei sistemi monetari e quantunque ciò avvenisse più
tardi, la moneta autonoma a partire da Eliogabalo
in poi venne emessa in tali e tante quantità che ten-
nero a rispetto quelle di Roma.
§ 5-
Dalle analisi delle monete di mistura della se-
conda parte di questo periodo, risulta che una mo-
neta di Massimino contiene 50 7oo ^^ argento; una
di Gordiano padre, ne contiene 75, due di Gordiano
Pio 65 e 55 rispettivamente; una di Filippo, 50; ed
una di Traiano Decio 70 7oo- Come le monete del
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 297
primo periodo, anche queste normalmente dovevano
contenere 75 "^^ di argento. Il peso totale delle mo-
nete essendo sempre di gr. 12,50, ne viene per con-
seguenza che anche le monete di questa seconda
parte appartengono alla riforma di Eliogabalo.
Non si conoscono monete di bronzo di tutti
questi regni, eccettuate quelle dei Filippi; non perciò,
bisogna ritenere, come altri vorrebbero, che la man-
canza di monete di quel metallo deve essere attri-
buita all'avvilimento del tetradramma il quale ren-
deva il bronzo non necessario (^).
Se r Egitto senza abolire la sua moneta di bronzo
cessò quasi di batterla, in gran parte è dovuto al
corso diffuso della moneta di Roma e a quella colo-
niale, le quali circolavano unitamente ai bronzi frusti
alessandrini a partire dall'epoca di Augusto ed in
parte è dovuto al fatto che in queste epoche a Roma
la moneta di bronzo era divenuta di minor utilità di
quello che non fosse al principio dell'impero; così
r Egitto, che andava sempre più romanizzandosi, se-
guiva Roma su quella stessa via.
D'altra parte T introduzione in Egitto del bronzo
non alessandrino non può nemmeno essere attribuita
all'inattività della sua Zecca, poiché al contrario è
giusto in questi tempi che essa ci dimostri un'at-
tività mai osservata fino allora; basti il dire che nel
breve spazio di cinque mesi (dal Febbraio al Giugno
del 238), Alessandria emetteva delle monete all'ef-
figie di A. Severo, Mammea, Orbiana, Massimino,
Massimo, Gordiano padre e figlio, Balbino, Pupieno
e Gordiano Pio, sì come Cesare che Augusto. È
dunque impossibile di non riconoscere che la man-
canza del bronzo autonomo va attribuita all'avve-
(i) PooLE, pag. XXIX when ali regular issue of bronzes cease
as the (baseness of billon made it unnecessary).
298 G. DATTARI
nuta unificazione dei due sistemi monetari, iniziata da
M. Aurelio e portata a compimento da S. Severo.
Le monete di bronzo dei Filippi (vedi prospetto
N. 5) appartengono allo stesso sistema di quelle dei
regni precedenti. La loro tecnica di molto si avvicina
alle monete della seconda emissione di Vespasiano.
E mentre che a Roma le monete della stessa epoca
perdettero le loro belle forme e divennero quasi ret-
tangolari, quelle di Alessandria sono meglio centrate
di quelle dei predecessori, le leggende tutte visibili,
i tipi di pochissimo rilievo e l'arte è simile a quelle
di Roma della stessa epoca. Le date che portano
quelle monete sono dell'anno 5" e 6^ Quelle di que-
st'ultimo anno invariabilmente portano una palma nel
campo del rovescio, mentre che in quelle dell'anno 5**
raramente vi appare (^).
L' Egitto non avendo battuto moneta di bronzo
per 16 anni e il loro riapparire coincidendo con le
feste dei Ludi Saeculares di Roma, vi è molto da sup-
porre che le dette monete fossero emesse per la cir-
costanza; ma è sorprendente che nessuno dei rovesci
additi a quella commemorazione, sistema quasi direi
contrario all'epoca, poiché se quelle monete furono
battute per commemorare le dette feste, non si sa-
rebbe risparmiato di farlo con delle apposite leggende,
come fecero Commodo e S. vSevero in occasione del
periodo decennale (2).
Il fatto si è che se le monete dell'anno 5" senza
la palma vennero emesse onde commemorare le Sae-
(i) Il Poole a pag, xxr, nega l'esistenza della palma sulle monete
dell'anno 5" e per appoggiare la di lui asserzione mette in campo certe
ipotesi circa le feste Saecolares, facili a demolire. In quanto alla palma
sulle monete dell'anno 5", il N. 4945 della mia collezione è di perfetta
conservazione e la palma vi appare. Il pezzo è unico e può essere
un'eccezione alla regola; ma pure esiste!
(2) Daitaki, n€PIOAOC sulle monete alessandrine.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 299
culares di Roma; le monete dell'anno 6\ cioè quelle
con la palma, devono commemorare un'altra festa;
giacché non è possibile che il simbolo della palma
sia stato posto sopra a certe monete piuttosto che
sopra altre senza che lo scopo fosse determinato.
In mancanza di prove contrarie, ammettiamo
pure che i GB. dell'anno 5" siano stati emessi in oc-
casione delle feste Saeculares ; in tal caso quelle
monete vennero battute ed emesse verso il Gennaio
248 d. C. e possibilmente Alessandria celebrò le
feste contemporaneamente a Roma.
L'origine delle palme nel campo delle monete
è dovuto ad A. Severo, il quale fece porre quel
simbolo onde commemorare un avvenimento perso-
nale, quasi direi dovuto alla saggezza del principe e
non al caso. Dunque le palme sulle monete di Fi-
hppo dell'anno 6" sono dovute ad una causa simile
e non possono riferirsi alle Saeculares per le quali
Filippo doveva al caso di trovarsi sul trono allorché
avvennero. Filippo nel 249 verso il mese di Marzo
compieva cinque anni (solari) di regno e probabil-
mente festeggiò le quinquennali, per cui al pari di
A. Severo ritenendo a se stesso il merito di avere
regnato per quello spazio di tempo che, a vero dire,
per i tempi che correvano era stato abbastanza lungo,
fece porre la palma sulle monete del 6" anno bat-
tute tra il Gennaio e l'Agosto 249.
§ 6.
Cosa avveniva a Roma durante questo intiero
periodo (da Ehogabalo a Traiano Decio?). L'antoni-
niano introdotto da Caracalla venne seguito da quello
di Macrino e di Eliogabalo e scomparve per tutta la
durata del lungo regno di Alessandro Severo, regno,
300 G. DATTARI
se non intieramente di pace, per lo meno di saggia
e solida amministrazione ; nemmeno sotto Massimino
vennero emesse quelle nuove monete; riapparisce
durante Teffimero regno dei Gordiani, ma di un va-
lore ridotto, e senza tregua continua a comparire sotto
tutti i regni, compreso quello di E. Emiliano.
La causa per cui l'antoniniano cessò di essere
emesso per lo spazio di i6 anni, non è certamente
perchè sotto di Caracalla, Macrino e Eliogabalo,
venissero emesse tante di quelle monete da non
sentire il bisogno di emetterne per circa 20 anni.
Abbiamo anzi le prove che durante quei tre regni
ne vennero emesse pochissime i^\ L'antoniniano venne
abohto da A. Severo oppure da Eliogabalo ? Ap-
parentemente sembrerebbe che fu sotto di A, Severo
che ciò avvenne; ma, in realtà, credo che fosse sotto
Eliogabalo e che poco dopo Tanno 219 d. C. non
venissero emesse di quelle monete (2). La causa della
scomparsa di quella moneta la spiegherei con una
congettura di qualche valore. Quella moneta deve es-
sere stata male accolta sì in Occidente che in Oriente.
Sta nel fatto che se l'antoniniano doveva rappresen-
tare il doppio denaro, male spiega la sua necessità;
Roma con il semplice denaro aveva veduto dei tempi
piti floridi di quelli di Caracalla. Se al contrario quella
moneta non era altro che il denaro sotto un'altra
(i) Stando al catalogo del Cohen, troviamo che per il regno di Ca-
racalla sopra 114 monete di Macrino (compreso Diadumeniano) solo 8
sono antoniniani, e per Eliogabalo sopra a 144, solo 28 sono antoniniani.
È bene vero che poàsono essere stale emesse di quelle monete in gran
numero, con tipi poco assortili ; ma ciò è contro al principio della
monetazione romana.
(2) Sfortunatamente sopra a 28 antoniniani di Eliogabalo, 9 solamente
portano le date degli anni 2t8 e 219 d. C. ; gli altri non hanno data, ma
siccome molli denari e bronzi battuti negli anni seguenti portano la data,
la mancanza di date sugli antoniniani dà un certo diritto a credere
che non ne venissero emessi dopo il 219 d. C.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 30I
forma, si spiega il malcontento e la cattiva acco-
glienza. Mi si domanderà, cosa poteva avere indotto
il governo ad emettere due monete differenti, ma di
un valore eguale ? Io sono convinto che l' idea del-
l'unificazione della moneta di tutto l'impero vi entri
per qualche cosa. Se tale è il caso, la nuova moneta
venne emessa per incontrare il gusto dell'Occidente,
conservando a quella il valore del denaro, ed il gusto
dell'Oriente dando alla nuova moneta una dimensione
che rassomigliasse a quella autonoma (il tetradramma).
In tale caso l'Occidente vedeva sparire la moneta
della repubblica della quale Roma andava ancora
orgogliosa, e l'Oriente vedeva sparire la sua moneta
autonoma. Il malcontento generale avrà spinto il
governo ad abolirla oppure a rimettere altre emis-
sioni a momenti più propizi.
§ 7.
Il nuovo antoniniano dei Gordiani, come abbiamo
detto, è di un valore ridotto e le analisi di alcuni di
questi ce ne danno la prova.
Sei antoniniani di Gordiano III contengono 420,
420, 415, 400, 405, 385 7;„ di argento.
Uno di Filippo I ne contiene 420 " ^^ e due di
Traiano Decio ne contengono 420 e 340 \\^ rispetti-
vamente. Come si verifica, sopra otto analisi, la quan-
tità di 420 7oo s^ ritrova ripetuta cinque volte, per
cui, si può ammettere senza alcun scrupolo che quella
è la giusta quantità che le monete dovevano conte-
nere. Queste nuove monete pesando una media di
gr. 470, si può stabilire che ogni antoniniano contiene
gr. 1,974 di argento e gr. 2,726 di lega. Abbiamo ve-
duto come i tetradrammi di Eliogabalo e dei regni
che gli successero contenevano gr. 0,937 di argento
39
302 G. DATTARI
e gr. 11,563 di lega; dunque, l'antoniniano conteneva
circa gr. 0,100 di argento più di quanto ne conteneva
il tetradramma; ma, quella minor quantità veniva
largamente compensata dal bronzo in più che con-
teneva la moneta di Egitto. Da ciò risulterebbe che
il nuovo antoniniano valeva due tetradrammi op-
pure quattro didrammi, cioè a dire il nuovo antoni-
niano ed il nuovo tetradramma rimasero nella stessa
relazione come era l'antoniniano di Caracalla con il
tetradramma della stessa epoca. Questo risultato da sé
solo ci dà un poco di speranza che le diverse ipo-
tesi che abbiamo emesso per questa complicata mo-
netazione non siano lungi dal vero, a meno che si
voglia che tutte queste cifre e calcoli che abbiamo
fatto siano dovuti puramente al caso.
Quale fosse la relazione tra i nuovi tetradrammi
e l'aureo, è cosa che non può essere definitivamente
stabilita fino a tanto che non sapremo con sicurezza
la relazione tra l'aureo ed il nuovo antoniniano.
Parte X.
§ I.
È tra il 251 ed il 253 d. C. che si riscontra la
più grande lacuna nella monetazione dell'Egitto; cioè
a dire tra lo spirare del regno di Traiano Decio e
l'ultimo anno del regno dei Galli, nel quale anno re-
gnarono pure il tiranno Emilio Emiliano e Valeriane
con il figho. Nell'appunto XK') dissi che probabil-
mente all'epoca di Decio doveva essere allo studio
una riforma monetaria. È giusto a quella riforma che
credo dobbiamo addebitare la tregua nell'emissione
(i) Le monete dei Tiranni Emiliani.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 303
del numerario. Le monete dei Galli emesse per la
prima volta nel loro 3" anno (ossia dopo più di un
anno solare dacché erano stati eletti Augusti) appar-
tengono ad- una tecnica del tutto nuova. Il peso è di
gr. 12, l'arte è peggiorata; ma le effigie degli Augusti
ritengono ancora le somiglianze. A Roma al con-
trario le monete dei Galli, come pure quelle del loro
successore, sono simili alle monete dei regni antece-
denti e non fu che all'ascensione di Valeriano al trono
che il numerario della capitale cambiò di aspetto e
di valore. Da ciò risulterebbe che l'Egitto introdusse
la riforma prima di Roma. Tutto ciò non è che in
apparenza ; in realtà non è così. L' innovazione della
moneta venne operata in ambo le Zecche nello stesso
anno ed a piccola distanza una dall'altra. Probabil
mente sì a Roma che in Egitto e forse in tutto l'im-
pero venne stabilito che la riforma avrebbe dovuto
avere luogo col principiare dell' anno 254 d. C. La
Zecca di Egitto dietro la lunga tregua ebbe campo
di prepararsi, e dal i" Gennaio di quell'anno cominciò
a battere delle nuove monete coll'effigie dei Galli. La
Zecca di Roma, i cui preparativi richiedevano mag-
giore tempo, forse, allorché si disponeva a preparare
le nuove monete per i Galli, questi inaspettatamente
perirono. Essendo l'usurpatore E. Emiliano, già pa-
drone di tutto l'Oriente e non lontano da Roma contro
la quale marciava, il Senato romaico minacciato ed
impaurito riconobbe il tiranno quale legittimo Augusto
ed in fretta e furia saranno state battute quelle monete
del vecchio sistema (probabilmente con i conii che
avevano servito per i GaUi?). Poco tempo dopo, a suo
turno il tiranno perì e Roma ritornata alla calma,
ebbe agio di battere delle monete del nuovo sistema,
all'effigie di Valeriano e della di lui famiglia. In tal
maniera l'Egitto emise le nuove monete circa cinque
mesi prima che non lo fece Roma.
304 G. DATTARI
§ 2.
Le nuove monete di mistura di Egitto, non ostante
che contenessero sempre 75 7oo ^^ argento, avendo
diminuito il peso di esse, ogni moneta piti non con-
teneva che gr. 0,900 cioè, gr. 0,037 meno di quello
delle monete di Éliogabalo. Questa quasi impercet-
tibile diminuzione nel valore della nuova moneta,
credo che sia dovuta a che i tetradrammi di Élio-
gabalo e successori, essendo stati in circolazione per
assai tempo, avevano perso del primitivo valore, così
che la nuova moneta venne emessa con lo stesso
valore che più o meno era rimasto nelle vecchie ('^
L'analisi di due antoniniani, uno di Valeriano
l'altro di Salonino, contengono 165 e 140 7oo rispet-
tivamente di argento. Se prendiamo per base la
quantità maggiore come quella normale e dato che
il loro peso medio sia di gr. 4, come è risultato dai
due antoniniani in questione, troviamo che ognuna
(i) Potrò errare, ma io sono della ferma opinione, che se i Romani
per ragioni che non andremo a ricordare, non distruggevano le vecchie
monete, dovevano avere una legge emanata in tempi impossibili a rin-
tracciare ; con la quale si stabiliva che ogni tanti anni le nuove mo-
nete dovevano essere emesse con un valore sensibilmente diminuito,
onde il loro valore reale stesse in accordo con le vecchie monete che
non cessavano di circolare, ed è a questa causa, che credo dobbiamo
addebitare le graduate diminuzioni del valore del denaro che come
si vuole è del 5 e io 7, sotto di Nerone, del 15 % sotto Traiano,
del 200/0 sotto Adriano, del 25^0 sotto M. Aurelio e del 30^0 sotto Com-
modo, proporzioni di un'esatta diminuzione aumentata sempre del s^/^.
Se il denaro fosse stato mantenuto di puro argento, con la diminuzione
del suo valore sarebbe andato continuamente a diminuire di peso e di
modulo, talché un giorno si sarebbe confuso con il quinario e questo
sarebbe divenuto una moneta immaneggiabile; per riparare a quella me-
tamorfosi, all'argento si aggiunse della lega e così al denaro venne
conservato il suo generico aspetto. Un simile esempio lo abbiamo nei
tetradrammi Tolomaici; allorché vennero ridotti di valore, con la lega
venne mantenuto il peso e l'aspetto primitivo.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 305
di quelle monete doveva contenere gr. 0,660 di ar-
gento e gr. 3,337 di lega, cioè a dire un antoniniano
di Decio valeva tre di quelli di Valeriano. Come pure
due tetradrammi valevano tre nuovi antoniniani (0.
Parte XI.
§ I.
Il regno di Gallieno è quello che in tutti i tempi
più d'ogni altro ha dato da fare ai numismatici. Tanto
è vero che questa monetazione fu l'oggetto di un
tema per il programma dell'ultimo Congresso di Nu-
mismatica tenuto a Parigi e, non ostante l'ingegnosa
quanto elaborata risposta data a quel tema dal
signor Col." Vóetter, per il momento per ciò che
riguarda la metrologia Vx non è ancora risoluta.
Quanto tempo resterà così, è difficile prevederlo;
ma non dubito che con un poco di buona volontà e
pazienza, il tempo non è lontano in cui sarà un poco
meglio chiarita la monetazione di questa epoca. Per
ciò che mi riguarda, farò del mio megho portando
il piccolo obolo d' informazioni che ho potuto rilevare
dalle monete alessandrine ed anche in buona parte
da quelle di Roma e mi stimerò contento se con delle
nuove idee, in parte perverrò a scuotere le vecchie.
§ 2.
Le monete alessandrine di Gallieno solo al
potere, benché di un' estetica simile a quelle del
(i) Probabilmente queste monete erano conosciute sotto un altro
nome?
306 G. DATTARI
padre, non hanno lo stesso valore. Dall'analisi di
una di esse risulta che contiene 40 7oo ^i argento,
per cui, quasi la metà di quello che ne contengano
le monete dei tempi di Valeriano. Questa diminu-
zione di valore dobbiamo considerarla quale frode
dei monetari? oppure del governo stesso, o di altri
che si voglia, oppure dobbiamo ritenere che siamo
dinanzi ad una moneta frazionaria del tetradramma?
10 sono per quest'ultima ipotesi; difatti il valore di
questa nuova moneta non è altro che il didramma
simile a quello di Commodo coi quali viene ritrovata.
11 didramma di Commodo, benché durante io anni
consecutivi ne fossero emesse delle immense quantità,
dopo un'esistenza di circa 80 anni, non solo aveva
perso di peso, ma doveva quasi essere scomparso ed
ecco perchè sotto di Gallieno se ne dovette fare
una nuova emissione.
§ 3.
A Roma verso la stessa epoca (261 d. C.) com-
parvero delle monete di un valore affatto nuovo che
al presente sono comunemente chiamate di mi-
stura; ma altri le chiamano anche piccoh bronzi. L'ana-
lisi di una di queste monete ha dato che contiene iioVoo
di argento (0, mentre un'altra non ne ha dato che
2o7oo^^^J queste monete pesano gr. 3 ciascuna, per
conseguenza la prima contiene gr. 0,330 di argento,
la seconda ne contiene gr. 0,060. Anche per ciò che
riguarda il valore di queste monete esse hanno l'ap-
parenza di rappresentare due distinte frazioni del-
(i) Le monete analizzate sono: Cohen, N. 424; Voetter, Atla$ des
monnaies de Gal/ienus, ecc. Tav. XI, N. 16-31.
(2) VòETTER, opera citata, Tav. XIV, N. 39.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 307
Tantoniniano. Per un momento supponiamo che questa
ipotesi sia giusta.
Quali erano le monete che per sicuro a Roma
avevano corso all'epoca che ora ci occupa? I ripo-
stigli ci provano in maniera positiva che erano: gli
antoniniani di Gordiano III, fino a Traiano Decio, gli
antoniniani (?) di Valeriano e le due nuove monete di
Gallieno. Per non confondere gh appellativi di queste
monete, che d'altra parte non sappiamo quali essi
fossero, e per comodo della dimostrazione, chiamiamo:
a) Gli antoniniani da Gordiano a Traiano Decio, con gr. 1,974
di argento.
ò) Gli antoniniani di Valeriano con gr. 0,660 di argento.
e) Le monete di Gallieno, con gr. 0,330 di argento.
e) Le altre monete di Gallieno, con gr. 0,060 di argento.
Stando al valore rispettivo di argento contenuto
nelle quattro differenti monete troviamo che:
Un a = a. tre b = a. sei e = a. trentatre e ossia,
Un a = gr. 1,974 = a tre ^ X gr. 0,660 = gr. 1,980 = a
sei e X gr. 0,330 = gr. 1,980 = a trentatre e X gr. 0,060
= gr. 1,980.
Questi resultati che non sono dovuti né alla mia
immaginazione ne al caso delle analisi, dimostrano
chiaramente che le nuove monete di Valeriano e
quindi quelle di GaUieno erano delle frazioni del-
l'antoniniano dei Gordiani e successori. Questa e non
altra, io credo, deve essere l'ipotesi alla quale bisogna
attenersi, giacché è impossibile ritenere che le monete
che contenevano gr. o,c6o di argento venissero spese
come quelle che ne contenevano gr. 0,330 e molto
meno come quelle che ne contenevano gr. 0,660.
Ammetto che una maggiore quantità di analisi
può portare ad altre proporzioni più precise di quelle
3o8 G. DATTARI
che non abbiamo ottenuto con le poche monete
anahzzate; ma non dubito che il resultato nell'insieme
sarà sempre lo stesso e dimostrerà che le quattro
monete avevano un differente valore.
Le caratteristiche tanto differenti tra gli anto-
niniani dei Gordiani e le monete di Valeriano e fra
queste e le due di Gallieno non permettevano di
confondere una moneta con l'altra. Le due monete
di Gallieno allorché nuove e ricoperte di uno strato di
argento potevano confondersi; ma, forse delle anahsi
future ci permetteranno di stabilire che tutte le mo-
nete di Gallieno, sopra i di cui rovesci sono rappre-
sentati i diversi animali tanto mitologici che naturali,
valevano meno delle altre. Ma anche se ciò non fosse,
perchè non possiamo ammettere che ai tempi dei
romani, al pari di quelli medioevali, con delle gride
si usasse di stabilire il tasso delle varie monete (')?
§ 4.
In Egitto, per quanto io sappia, non furono
mai rinvenuti ripostigli di antoniniani, da Caracalla a
Traiano Decio, se non che qualche singolo pezzo. Al
contrario, le monete a partire da Valeriano vengono
ritrovate in gran quantità; osservando però che i
ripostigli sono composti di qualche raro pezzo di
Valeriano, quelle di Gallieno vi si trovano in pro-
porzioni maggiori; ma con queste e con quelle si
trovano in cospicue quantità le monete così dette
piccoli bronzi, da Claudio II fino a Diocleziano. Dai
(i) Se i documenti delle gride medioevali non fossero stati rinvenuti,
come era mai possibile potere ritrovare la relazione tra le tante e
tante monete che ad un tempo avevano corso in uno stesso stato?
Il sistema delle gride è egli un'istituzione medioevale, oppure fu eredi-
tata da tempi immemorabili?
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 309
ritrovi dunque si può arguire che a partire da Elio-
gabalo fino a E. Emiliano le monete di argento di
Roma non vennero reintrodotte in Egitto; mentre
10 furono quelle di mistura a partire da Gallieno.
§ 5-
Delle monete alessandrine di Gallieno, a comin-
ciare dall'anno decimo, certune portano una palma
nel campo del rovescio, altre non l'hanno.
Questo Augusto fu il primo dopo A. Severo che
pervenne a regnare oltre dieci anni, ed in occasione
del decimo compleanno vennero battutte delle mo-
nete con una leggenda: (A€KA €THPIC KYPIOY Decimo
compleanno del Signore) ricordante il felice avveni-
mento. Oltre la leggenda vi fu posta la data del-
l'anno io" ìli), giustamente per fare rimarcare che
quell'avvenimento successe nel decimo anno alessan-
drino (0. Or bene, quelle monete non hanno la palma
nel campo ; anzi quelle del io" anno che la tengono
sono in minoranza. È dunque con tutta riserva che
dobbiamo dare a queste monete con la palma la
stessa attribuzione che si è data alle monete di
A. Severo. Quantunque io non arrivi a poter spie-
gare il perchè le palme si trovino sopra certe mo-
nete e non sulle altre, non esito a dire che una ra-
gione plausibile ci deve essere.
Nell'anno 12" di questo regno venne fatta una
emissione di monete di bronzo (vedi prospetto N. 5).
11 loro numero essendo così limitato ed in generale
di cattiva conservazione, non è possibile assegnargli
un posto sicuro nella metrologia.
La riapparizione del bronzo prova una volta
(i) Dattari, n€PIOAOC suile monete alessandrine.
3IO G. DATTARI
di più che, nonostante l'ancora più degradata mo-
neta di mistura, il bronzo aveva corso in Egitto, anzi
lo rivedremo allorché esamineremo la monetazione
di Claudio II e quella di Aureliano.
§ 6.
Dei tanti Tiranni che afflissero l'impero sotto
r infausto regno di Gallieno, V Egitto non riconobbe
che i Macriani, oppure, per dire meglio, non battè
moneta per altri che per loro. Quelle monete sono
di un modulo inferiore a quelle del legittimo governo,
contengono 65 "/^^ di argento ed il loro peso non
supera i gr. 10,50, talché si può ritenere che doves-
sero rappresentare dei tetradrammi simili a quelli
di Valeriano; però, date le circostanze con cui quelle
monete vennero emesse, vi è molto da credere che
la mancanza del peso e per conseguenza del valore
sia dovuta alla frode del governo usurpatore.
Le monete di questi Tiranni, essendo simili a
quelle di Valeriano, danno diritto a credere che si
sollevarono subito dopo la prigionia di quell'Au-
gusto ; mentre che per ciò che riguarda la data del-
l'usurpazione di Macriano e dei figli, gli storici non
sono d'accordo; chi vuole che ciò avvenisse nel 260,
altri nel 262.
Le monete dell'anno i** sono unicamente al-
l'effigie di Macriano II e di Quieto e ne vennero
battute in assai quantità, mentre mancano quelle del
loro 2" anno; in compenso, per questo anno ve ne
sono all'elfigie di Macriano padre ('), mane vennero
battute in così piccolo numero che presentemente non
(i) Le monete di Macriano I sono le uniche che mancano alla nii;i
collezione.
APPUNTI DI NUMISMATICA ALESSANDRINA 3 II
conosciamo che quella esistente nel Museo di Londra.
Sestini ne descrisse una simile a quella del citato
Museo e Banduri (0 un' altra con un rovescio dif-
ferente. Dunque l'abbondanza di monete del i° anno,
la mancanza assoluta di quelle dei figli del secondo
anno e le poche del padre, portano alla convinzione
che il primo anno fu di più lunga durata del se-
condo. Or dunque, se i Macriani furono disfatti nel
262, diciamo pure in Gennaio e dato che il loro
regno fosse stato della durata di sette mesi (ciò che
è poco probabile), il secondo anno di regno sarebbe
stato più lungo del primo. Di più, se il regno dei Ma-
criani è stato di una durata di sette e più mesi, ove
furono battute le loro monete ? No certo ad Ales-
sandria, perchè non mancano le monete di Gallieno
dell'anno 8", 9" e io"; come pure, se Alessandria
fosse stata per si lungo tempo nelle mani dei Ti-
ranni, la storia ne avrebbe tenuto parola. Siccome è
più facile che la data in cui perirono i Macriani sia
più giusta di quella del loro sollevamento ed am-
messo che ciò avvenisse nel 262, secondo le mo-
nete, non potrei dire quando i Tiranni si sollevassero;
ma si può ritenere che vennero proclamati Augusti
lo stesso anno in cui perirono (262 d. C), e le monete
del 1° anno vennero battute qualche tempo prima
del 28 Agosto, quelle del 2" anno subito dopo il 29
Agosto.
L' Eckhel (^ ' che tutto vide e previde , faceva
osservare che la mancanza di monete romane per
Macriano I dava luogo ad accettare quanto riferiva
Zonora: (" Macriamim propter adfectt pedis incomoda de-
trac f asse fiirpurani, eamqm iitriqiie filio argitum, eie. „).
Però, in vista delle monete di lui della serie ales-
(i) Mus. Caes.
(2) Doctrina N. V, Pars II, voi. VII, pag. 465-68.
312 G. DATTARI
sandrina portanti la data dell'anno 2°, TEckhel con-
cludeva:
« Ilio tgitur jam inchoate Macrianus in Aegypto
agnitus est imperator, duravitque et'us imperium saltem
usque ad exeuntem Augustum anni sequentis, quo consus
fuit numus LB „.
Se con tutto questo, il maestro non arrivò a
sciogliere intieramente il problema, resta sempre a
lui il merito di averlo accennato.
Io credo potere dimostrare che Macriano I non
fu mai Augusto. La mancanza di monete battute
alla di lui effigie, dalle provinole che lo avrebbero
dichiarato Augusto, non deve essere dovuta al caso,
poiché è quasi impossibile che tutte quelle provincie
abbiano battuto monete per i due Augusti juniori e
non per il capo della Triarchia.
Le leggende sulle monete alessandrine di questa
famiglia sono le seguenti:
per Macriano 1, A • K • M • OOV • MAKPIANOC €V • €VC •
per Macriano II, A • K • T •